UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M.FANNO”
DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE, GIURIDICHE E STUDI INTERNAZIONALI
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E MANAGEMENT
PROVA FINALE
“IL CONTRATTO DI CREDITO AL CONSUMO: EVOLUZIONE NORMATIVA”
RELATORE:
XX.XX XXXX. XXXXXXX XXXXXX
LAUREANDA: XXXXXXXX XXX’ MATRICOLA N. 1065140
ANNO ACCADEMICO 2015 – 2016
4
1 Il credito al consumo tra disciplina comunitaria e disciplina nazionale
6
1.1 Evoluzione normativa: dalla direttiva 87/102/CEE alla nuova direttiva 2008/48/CE 6
1.2 Gli interventi del legislatore italiano 10
1.3 Il recepimento in Italia della direttiva 2008/48/CE e la modifica del Titolo VI del TUB 14
1.3.1 Pubblicità e informativa precontrattuale 14
1.3.2 Ambito di applicazione, forma e contenuto del contratto 16
1.3.3 Nozione e disciplina del contratto di credito collegato 18
1.3.4 Risoluzione del contratto 20
2 La remunerazione del finanziamento
25
2.2 Le modalità di calcolo del TAEG nel tempo 26
2.3 Determinazione del TAEG: problemi e criticità 29
2.4 Variazione del TAEG dopo la stipulazione del contratto 32
2.5 TAN, XXXX, TEGM, TEG: in che cosa differiscono? 33
3 Responsible lending: la valutazione del merito creditizio del consumatore
35
3.1 L’obbligo di valutazione del merito creditizio nell’ordinamento italiano 36
3.2 Il concetto di “merito creditizio del consumatore” 38
3.3 Gli obiettivi della verifica della solvibilità del consumatore 39
3.4 Violazione dell’obbligo di valutazione del merito creditizio:
3.5 Banche dati e credit scoring 43
45
47
Introduzione
In un’economia avanzata come la nostra il credito al consumo riveste un ruolo di fondamentale importanza per lo sviluppo del mercato e la soddisfazione delle esigenze dei consumatori.
La sua nascita risale all’epoca della seconda rivoluzione industriale grazie ad un’idea di Xxxxx Xxxxxx Xxxxxx, che per favorire la diffusione delle sue costose macchine da cucire aveva introdotto la possibilità di rateizzarne il pagamento.
Nel corso del tempo l’utilizzo del credito al consumo è aumentato, in risposta ad una crescente tendenza delle persone al consumption smoothing (“lisciamento dei consumi”), che ha determinato una maggiore propensione al consumo e all’indebitamento e la diffusione di nuove tecniche di finanziamento, rendendo più facile accedere al credito.
Il credito al consumo permette al consumatore di acquistare un bene o un servizio di elevato valore senza avere la disponibilità immediata dell’intera cifra. Consente così di soddisfare il bisogno nel momento in cui si presenta e nel contempo incentiva acquisti altrimenti insostenibili. Questa forma di finanziamento non deve diventare però uno strumento impiegato costantemente per colmare la mancanza di un adeguato reddito, che si protrarrebbe anche in futuro aggravata.1
Nel Capitolo I descriverò l’evoluzione normativa che ha interessato il settore del credito al consumo a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, illustrando l’ampio intervento del legislatore comunitario e com’è stato recepito nel nostro Paese.
Dopo una panoramica globale sulla regolamentazione degli aspetti più rilevanti del contratto di credito al consumo, nei capitoli successivi mi soffermerò su due tematiche di particolare interesse per il consumatore.
Nel Capitolo II mi occuperò del costo complessivo dell’operazione di finanziamento, aspetto tanto delicato quanto determinante ai fini della decisione di indebitamento.
In particolare mi concentrerò su come sono cambiate negli anni le modalità di calcolo del TAEG, l’indicatore che esprime il costo totale a carico del consumatore. È fondamentale che il richiedente presti sempre attenzione alla definizione del TAEG, che potrebbe non essere coerente con quanto stabilito dalla normativa. Verranno descritte le incongruenze che possono emergere e le conseguenze provocate dal mancato rispetto delle regole da parte dell’ente finanziatore, anche in riferimento all’usurarietà del tasso di interesse.
1 FILOTTO, U. e XXXXX, S., a cura di, 2011. Manuale del credito al consumo. II Ed. Milano: EGEA. P. 3.
Nel Capitolo III affronterò una novità importante introdotta dall’ultima direttiva comunitaria in materia di credito al consumo: l’obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore. Verranno illustrate le ragioni che hanno condotto a questa decisione, gli obiettivi prefissati dal legislatore e le conseguenze derivanti dalla violazione dell’obbligo. Inoltre mi soffermerò sulle modalità concrete impiegate dai finanziatori per eseguire la valutazione, precisando quali informazioni vengono considerate in fase di verifica e trattando, per concludere, la possibilità di consultare le banche dati e utilizzare i sistemi di credit scoring.
CAPITOLO I
1 Il credito al consumo tra disciplina comunitaria e disciplina nazionale
1.1 Evoluzione normativa: dalla direttiva 87/102/CEE alla nuova direttiva 2008/48/CE
Fino alla prima metà degli anni Ottanta i finanziamenti finalizzati al consumo, non strumentali allo svolgimento di un’attività economica, non erano oggetto di una specifica disciplina.
È in questo contesto che è stata emanata la direttiva del Consiglio 87/102/CEE del 22 dicembre 1986 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo. Il legislatore comunitario è intervenuto per uniformare a livello europeo la regolamentazione della materia e per tutelare il consumatore, come parte debole nel rapporto contrattuale con il professionista.
La regolamentazione è stata da lì a poco parzialmente modificata dalla successiva direttiva del Consiglio 90/88/CEE del 22 febbraio 1990.
La direttiva 87/102/CEE ha disciplinato gli aspetti più rilevanti del contratto di credito al consumo e i diritti e gli obblighi delle parti contraenti. Si è occupata dell’ambito di applicazione della normativa e dei casi di esenzione (art. 2), della forma e del contenuto del contratto (art. 4), delle informazioni oggetto degli annunci pubblicitari (art. 3) e ha fissato i criteri per il calcolo del costo complessivo del finanziamento, espresso dal TAEG (art 1-bis).2 Nel corso degli anni il contesto socio-economico è stato coinvolto da numerosi mutamenti e sono cambiati anche i suoi protagonisti: i consumatori. È cresciuta la loro propensione al consumo e all’indebitamento, determinando l’espansione del mercato del credito e la diffusione di nuovi strumenti e tecniche. Quest’evoluzione ha fatto apparire la normativa all’epoca in vigore obsoleta.3
Inoltre la direttiva 87/102/CEE aveva avviato un’armonizzazione cosiddetta minimale, in quanto vietava ai legislatori degli Stati UE di fissare condizioni più sfavorevoli per i
2 XXXXXXX, X. Il percorso dell’armonizzazione nel credito al consumo: conclusione di un iter ultraventennale? In: X. XX XXXXXXXXXX, a cura di, 2009a. La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano. Torino: X. Xxxxxxxxxxxx Editore. P. 8.
3MAUGERI, M., 2011. Cenni su alcuni profili della riforma del t.u.b. in materia di «credito ai consumatori». Nuova giur. civ. comm., 10 (2), p. 463.
consumatori rispetto a quanto da essa previsto, ma consentiva loro di introdurre nei propri ordinamenti tutele più incisive (art. 15).
Questo ha portato all’emanazione di disposizioni divergenti all’interno degli Stati membri, che hanno ostacolato la formazione di un mercato del credito unico e concorrenziale a livello comunitario e disincentivato le negoziazioni transfrontaliere.4
Già nel 1995 la Commissione Europea, presentando una relazione, ha manifestato i primi dubbi sulle disposizioni della direttiva 87/102/CEE.
Attraverso l’analisi svolta ha rilevato che “la direttiva non rispondeva più in modo adeguato alla realtà contemporanea del mercato del credito e che pertanto era opportuno procedere ad una sua revisione”.5 È così emersa la necessità di rinnovare la disciplina del credito al consumo, per incrementare l’efficienza del mercato e garantire maggiori tutele ai consumatori.
Per la realizzazione di questi obiettivi la revisione avrebbe dovuto seguire sei linee direttrici:
1) La ridefinizione dell’ambito di applicazione della direttiva per adattarla alle nuove realtà del mercato;
2) L’introduzione di nuove disposizioni che considerino non soltanto i creditori ma anche gli intermediari del credito;
3) La realizzazione di un quadro strutturato che offra maggiore informazione all’erogatore del credito, per consentirgli una più accurata valutazione dei rischi;
4) La messa a punto di informazioni più complete per il consumatore e gli eventuali garanti;
5) La divisione più equilibrata delle responsabilità tra il consumatore e l’operatore del credito;
6) Il miglioramento, sia per il consumatore sia per l’erogatore del credito, delle forme e delle prassi con le quali gli operatori affrontano i problemi relativi ai pagamenti.6
Successivamente, nell’ottica di ammodernare la regolamentazione del credito al consumo, la Commissione ha presentato una prima proposta di direttiva nel 2002, seguita nel 2005 da un’ulteriore proposta dal contenuto modificato, per arrivare infine all’emanazione della
4 XXXXXXXX, G. La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee d’indirizzo, questioni irrisolte, problemi applicativi. In: X. XX XXXXXXXXXX, a cura di, 2009a, cit., pp. 38, 39.
5 XXXXX XXXXXXX, X., 0000. Il contratto di consumo e la libertà del consumatore. Padova: Cedam. P. 563.
6 OJ C 331E, 31.12.2002, pp. 200–248.
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2008/48/CE del 23 aprile 2008, in sostituzione e abrogazione della precedente normativa.
Nella nuova direttiva il legislatore ha cambiato approccio e ha prefissato l’obiettivo di realizzare un’armonizzazione completa delle legislazioni degli Stati membri, per creare un mercato creditizio più competitivo e integrato a livello europeo e favorire le negoziazioni transfrontaliere. Per questo, come si evince dal 9° considerando e dall’art. 22, paragrafo 1, ha impedito ai legislatori nazionali di mantenere o introdurre discrezionalmente regole divergenti da quanto stabilito dalla direttiva, con lo scopo di garantire a tutti i consumatori europei, in relazione alle materie armonizzate, il medesimo grado di tutela.7
La base giuridica della nuova disciplina è rappresentata dall’art. 95 del Trattato Ce relativo al ravvicinamento delle disposizioni nazionali aventi ad oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.8 Questo evidenzia come l’obiettivo prioritario del legislatore comunitario fosse incentivare lo sviluppo del mercato, della concorrenza e dei crediti al consumo transfrontalieri.
Nonostante il modello della piena armonizzazione prevedesse di fissare “il livello massimo di protezione che non può essere derogato né modificato dai legislatori nazionali” 9, in concreto sono state previste delle deroghe. Ai legislatori nazionali è stata lasciata la libertà di disciplinare autonomamente tutte le questioni non affrontate dalla direttiva, riferendosi anche a “tutti quei conflitti specifici che, pur rientrando all’interno del complessivo macroconflitto regolato, non siano stati oggetto di espresso intervento da parte del legislatore comunitario”.10 Per quanto concerne l’ambito di applicazione, la disciplina si riferisce ai contratti di credito al consumo. Non rientrano in questa categoria i contratti stipulati per la fornitura continuata di servizi o, continuata o periodica, di beni dello stesso genere, che prevedono pagamenti rateali, mentre la direttiva 87/102/CEE escludeva solamente i primi. Inoltre sono stati individuati dei limiti collegati a determinati negozi giuridici o alla natura giuridica dei soggetti stipulanti. All’art. 2 sono elencate le fattispecie alle quali non si applica la normativa, che risultano più numerose rispetto a quelle contemplate dalla precedente direttiva.11
0 XX XXXXXXXXXX, X., 0000x. Verso la riforma della disciplina del credito al consumo. I Contratti, 12, p. 1151.
8 DE XXXXXXXXXX, G., a cura di, 2009a, cit., pp. XVI, XVII (Premessa).
9 XXXXXXX XXXXXX, M., 2016. Credito ai consumatori e strumenti di tutela. In: Scritti in onere di Xxxxxxx Xxxxxxxx. Padova: Cedam. P.1023.
10 XXXXXXX, M. e XXXXXXXXXXX, S., 2013. Il credito ai consumatori. I rimedi nella ricostruzione degli organi giudicanti. Milano: Xxxxxxx Editore. P. 3.
00 XX XXXXXXXXXX, X., 0000. La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 0000/00/XX x x'xxxxxxxxxxxxxx " xxxxxxxx " delle disposizioni nazionali concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”. Riv. dir. civ. [online], 3 (2), pp. 255 ss. Disponibile su Leggi d’Italia.
Sulle novità apportate dalla nuova direttiva mi soffermerò in seguito. Tra queste emerge l’introduzione della nozione e della disciplina relativa agli “intermediari del credito” (art. 3, lett. f) e ai “contratti di credito collegati” (art. 3, lett. n).
Sono stati ampliati gli obblighi precontrattuali a carico del finanziatore, con l’intento di permettere al consumatore di scegliere l’offerta che soddisfa meglio le sue esigenze al prezzo più competitivo, comparandola con le altre.
Significative sono anche le nuove disposizioni sul diritto di recesso. In particolare l’attribuzione al consumatore dello ius poenitendi (art. 14), non contemplato dalla direttiva 87/102/CEE. Inoltre l’art. 13 prevede anche per il finanziatore, a determinate condizioni, la facoltà di sciogliere unilateralmente un contratto di credito a tempo indeterminato, in assenza di una giusta causa e senza penalità.12 Disposizione che tuttavia sembra non perseguire l’obiettivo di tutela del consumatore.13
00 X. Xx., 0000, op. cit.
13 XXXXXXXXX, X., 2011. Credito al consumo e zone limitrofe. Una scheda di lettura del d.legis. n. 141 del 2010. Nuova giur. civ. comm. [online], 6 (2), pp. 297 ss. Disponibile su Leggi d’Italia.
1.2 Gli interventi del legislatore italiano
Il legislatore italiano ha per la prima volta disciplinato il credito al consumo all’inizio degli anni Novanta con l’emanazione della Legge del 19 febbraio 1992, n. 142 (artt. 18-24), in recepimento delle direttive comunitarie 87/102/CEE e 90/88/CEE.
Si tratta di disposizioni a tutela del consumatore, dirette a migliorare il funzionamento del mercato del credito al consumo.
Le leggi in materia sono poi confluite nel Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.lgs. 1° settembre 1993, n. 385) nel Capo II del Titolo VI, intitolato “Credito al consumo”.
La condizione necessaria per l’applicabilità della disciplina in esame è che il soggetto finanziato agisca in qualità di consumatore. La definizione di consumatore espressa dalla direttiva 87/102/CEE non diverge da quella contenuta nell’art. 3 del d.lgs. 6 settembre 2005,
n. 206 (c.d. Codice del consumo) e rimarrà immutata anche con l’emanazione della successiva direttiva comunitaria 2008/48/CE. Si tratta di “una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” 14, mentre il contratto di credito è definito come “il contratto con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere ad un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria” 15.
Dopo il primo intervento da parte del legislatore italiano nel 1992, il credito al consumo è diventato una forma di finanziamento sempre più diffusa, utilizzata anche come strumento per incentivare gli acquisti. Le dinamiche del mercato si sono evolute ed è emersa così la necessità di “aggiornare” la relativa disciplina. Il legislatore comunitario ha provveduto con l’emanazione della direttiva 2008/48/CE, recepita in Italia con il d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, in attuazione dell’art. 33 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008), con il quale il Governo è stato delegato ad adottare un decreto per il recepimento della direttiva comunitaria sui contratti di credito ai consumatori.
Il d.lgs. 141/2010, entrato in vigore il 19 settembre 2010 e in seguito modificato dal d.lgs. 14 dicembre 2010, n. 218, ha apportato delle variazioni a due fonti normative importanti: il Testo Unico bancario e il Codice del consumo.
Il Titolo I del d.lgs. 141/2010 ha rinominato il Capo II del Titolo VI del TUB come “Credito ai consumatori” e ha sostituito integralmente gli artt. 121 – 126.16
14 Art. 121, comma 1, lett. b), TUB.
15 Art. 121, comma 1, lett. c), TUB.
Ne è derivata una disciplina uniforme e sistemica che regola i diversi aspetti della materia, con riferimento alle operazioni, alla condotta del finanziatore e alla figura del consumatore, per proteggerlo direttamente e indirettamente.17
In conformità con la realizzazione di una completa armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri la nuova direttiva ha abrogato alcune disposizioni del nostro ordinamento. In particolare quanto previsto dal precedente art. 125, comma 1, TUB. Prima della riforma il legislatore ammetteva l’applicazione dell’art. 1525 c.c. alle operazioni di credito al consumo caratterizzate dalla costituzione di un diritto reale di garanzia sul bene acquistato con il credito ottenuto. In caso di inadempimento del consumatore, solamente se questo superava l’ottava parte del prezzo, il finanziatore poteva chiedere la risoluzione del contratto e la restituzione dell’importo. Questa previsione è stata abrogata, ma gli effetti non sono stati rilevanti, considerata la scarsa applicazione nella realtà.18
Il legislatore italiano non ha affrontato la questione relativa all’applicazione o meno delle nuove disposizioni ai contratti di credito al consumo già in essere all’entrata in vigore della normativa. Una risposta al quesito la si trova “interpretando il nostro diritto interno in senso conforme all’art. 30 della direttiva 2008/48/CE”, giungendo alla conclusione che i nuovi artt. 121-126 TUB non si applicano ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 141/2010. Solamente a quelli di durata indeterminata si applicano gli artt. 125-quater, 125- septies e 125-octies, comma 2, in tema, rispettivamente, di scioglimento di un contratto a tempo indeterminato, cessione dei crediti a terzi e conseguenze in caso di sconfinamento protratto per oltre un mese. 19
Nella parte del Codice del consumo relativa al credito al consumo è stato sostituito l’art. 67, comma 6, sono stati abrogati gli artt. 40, 41 e 42 ed è rimasto solamente, riformulato, l’art.43, che per la regolamentazione della fattispecie fa rinvio ai capi II e III del Titolo VI del TUB e alle successive modificazioni e agli artt. 144 e 145 per le relative sanzioni.
Il legislatore italiano ha scelto di riunire l’intera disciplina dedicata al credito al consumo all’interno del Testo Unico bancario. Decisione che ha suscitato reazioni divergenti tra coloro
16 Sull’evoluzione della disciplina del credito al consumo x. XXXXXXX, X., xxx., xx. 0, 0; FEBBRAJO, T., 2010. Profili di diritto dei consumatori. Macerata: Eum Edizioni. Pp. 160- 162; PONCIBÒ, C. Credito al consumo e collegamento negoziale. In: O. M. CALLIANO, a cura di, 2013. Informazione e trasparenza nei contratti asimmetrici bancari, finanziari e assicurativi e diritti del consumatore europeo. Torino: X. Xxxxxxxxxxxx Editore. Pp. 158-161; XX XXXXXXXXXX, X., 0000x. La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario. I Contratti, 11, p. 1041.
17 XXXXXXX XXXXXX, M., 2016, cit., p. 1022.
18 XXXXXXXXXX, X., 2011. Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori (d. lg. 13.8.2010, n. 141). Obbl. e contr. [online], 2, pp. 125 ss. Disponibile su Leggi d’Italia.
00 XX XXXXXXXXXX, X., 0000x, cit., p. 1045.
che propendevano per trattare la materia nel Codice del consumo 20 e coloro che hanno appoggiato l’introduzione di una normativa unitaria e di regole più stringenti in tema di controlli.21
Ciò che contraddistingue il credito al consumo è la causa del finanziamento e la natura del soggetto coinvolto: il consumatore.22 Per l’erogazione vengono quindi impiegati negozi giuridici eterogenei, tipici e atipici. La principale distinzione viene fatta tra credito “finalizzato” e “non finalizzato o diretto”. Il primo si riferisce ad un finanziamento funzionale ad effettuare l’acquisto di uno specifico bene o servizio, per il quale viene concesso al consumatore il pagamento rateizzato. Spesso alla base c’è una convenzione tra il fornitore (dealer) e la società finanziaria. Il finanziatore, su mandato del consumatore, versa l’importo al fornitore subito dopo l’acquisto. In questo caso le forme tecniche più utilizzate sono la vendita a rate con riserva di proprietà (artt. 1525 e ss. c.c.), il mutuo di scopo e il leasing traslativo al consumo. Nel secondo caso il credito concesso non è vincolato ad un determinato utilizzo, ma può essere impiegato liberamente dal richiedente. Si tratta dei prestiti personali, dei prestiti contro cessione del quinto dello stipendio e delle aperture di credito in conto corrente ad utilizzo rotativo collegate a carte di credito revolving.23
Per quanto riguarda l’attività di erogazione di credito al consumo, viene disciplinata per legge. I soggetti autorizzati sono i finanziatori, così come definiti dall’art. 121, comma 1, lett. f), rappresentati da banche e società finanziarie. Si tratta di soggetti affidabili e competenti, dotati di un certo patrimonio e capacità organizzativa e sottoposti al controllo delle autorità di vigilanza.24
Destinatari della disciplina sono anche gli intermediari del credito, che l’art. 121, comma 1, lett. h), definisce come “gli agenti in attività finanziaria, i mediatori creditizi o qualsiasi altro soggetto, diverso dal finanziatore, che nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale svolge, a fronte di un compenso in denaro o di altro vantaggio economico oggetto di pattuizione e nel rispetto delle riserve di attività previste dal Titolo VI-bis, almeno una delle seguenti attività:
1) presentazione o proposta di contratti di credito ovvero altre attività preparatorie in vista della conclusione di tali contratti;
2) conclusione di contratti di credito per conto del finanziatore.”
20 Così Id., 2010a, cit., p. 1049.
21 XXXXXXX XXXXXX, M., 2016, cit., p. 1021.
22 XXXXXXX, U. e XXXXX, S., a cura di, 2011, cit., p. 129.
23 PONCIBÒ, C., cit., pp. 166-172.
24 XXXXXXXXXX, X., 2011, op. cit.; XXXXXXX XXXXXX, M., 2016, cit., p. 1024.
Fanno parte della categoria anche i fornitori di beni o servizi, che partecipano alla conclusione del contratto di credito per conto del finanziatore (i c.d. dealers) e che devono rispettare gli adempimenti minimi previsti dal d.lgs. 141/2010 per gli intermediari del credito.
In base a quanto stabilito dall’art. 124, comma 6, “i fornitori di merci o prestatori di servizi che agiscono come intermediari del credito a titolo accessorio non sono tenuti a osservare gli obblighi di informativa precontrattuale”, che rimangono quindi a carico del finanziatore. Quest’ultimo ha il dovere di “assicurarsi che il consumatore, anche qualora il prodotto di finanziamento sia distribuito attraverso un dealer, riceva tutte le informazioni precontrattuali previste dalla disciplina vigente (art. 124 TUB)”.25 Gli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi sono invece tenuti ad adempiere all’informativa precontrattuale.
Inoltre l’art. 125-novies impone agli intermediari del credito di fornire ulteriori informazioni relative ai loro poteri, all’eventuale compenso richiesto al consumatore e al numero di finanziatori con i quali collaborano.
Disciplinando questa categoria di soggetti la direttiva comunitaria non ha fatto riferimento ai requisiti patrimoniali e finanziari e ai principi di “sana e prudente gestione”, previsti invece per i finanziatori.26 Tuttavia il legislatore italiano si è avvalso della facoltà di stabilire obblighi ulteriori e ha assoggettato gli intermediari del credito al medesimo trattamento giuridico, anche in materia di obblighi di condotta, a cui è sottoposto il finanziatore.27
25 XXXXX, X., 2014. Agenti in attività finanziaria, mediatori creditizi, e altri intermediari del credito. Santarcangelo di Romagna (RN): Maggioli Editore. P. 221.
26 XXXXXXX XXXXXX, M., 2016, cit., p. 1026.
27 XXXXXXX, X., 2010. La disciplina del credito al consumo e le novità apportate dal D.lgs. 141/2010. Altalex [online], 9 Settembre. Disponibile su
< xxxx://xxx.xxxxxxx.xxx/xxxxxxxxx/xxxx/0000/00/00/xx-xxxxxxxxxx-xxx-xxxxxxx-xx-xxxxxxx- e-le-novita-apportate-dal-d-lgs-141-2010 >
1.3 Il recepimento in Italia della direttiva 2008/48/CE e la modifica del Titolo VI del TUB
Le principali innovazioni introdotte dal d.lgs. 141/2010 riguardano la forma e il contenuto dei contratti di credito al consumo, gli obblighi informativi precontrattuali, la disciplina dei contratti di credito collegati, l’obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore e il diritto di recesso.
Di seguito l’analisi dei principali aspetti.
1.3.1 Pubblicità e informativa precontrattuale
Il primo strumento di comunicazione con il consumatore per la promozione di credito al consumo è la pubblicità. Attraverso gli annunci pubblicitari il potenziale cliente conosce le condizioni economiche proposte dal finanziatore e ha una prima occasione per valutare l’offerta e confrontarla con la concorrenza, per effettuare una scelta negoziale ottimale.
Per questo il legislatore è intervenuto sul contenuto dei messaggi pubblicitari, prevedendo “informazioni pubblicitarie dalla portata più ampia e, soprattutto, quantitativamente più minuziosa della vigente disciplina italiana di trasparenza bancaria”.28
L’art. 123, comma 1, TUB definisce il contenuto dei messaggi pubblicitari che includono il tasso di interesse o altri importi relativi al costo del credito, mentre non è più presente il rinvio all’art. 116 TUB in materia di trasparenza bancaria, previsto prima dell’entrata in vigore dell’attuale normativa. Il consumatore è considerato il soggetto debole per eccellenza nel rapporto con l’ente finanziatore, per questo il legislatore ha imposto una maggiore trasparenza nelle operazioni di credito al consumo.29
Le informazioni, che devono essere trasmesse in modo chiaro e accompagnate da un esempio rappresentativo, sono:
a) il tasso d'interesse, specificando se fisso o variabile, e le spese comprese nel costo totale del credito;
b) l'importo totale del credito;
c) il TAEG;
28 XXXXXXXX, X., cit., p. 46.
29 XXXXXXXXX, X., 2011. I contratti del consumatore. Principi e regole. Torino: X. Xxxxxxxxxxxx Editore. P. 274.
d) l'esistenza di eventuali servizi accessori necessari per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni pubblicizzate, qualora i costi relativi a tali servizi non siano inclusi nel TAEG in quanto non determinabili in anticipo;
e) la durata del contratto, se determinata;
f) se determinabile in anticipo, l'importo totale dovuto dal consumatore, nonché l'ammontare delle singole rate.
La pubblicità ha la funzione di trasmettere al consumatore informazioni commerciali di base, mentre è in sede precontrattuale che il richiedente riceve informazioni personalizzate sull’offerta di credito a lui dedicata.30
L’art. 124, comma 2, prevede che le informazioni precontrattuali vengano fornite al consumatore compilando un modulo specifico denominato “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori” (IEBCC). Il documento dev’essere trasmesso attraverso un supporto cartaceo o altro supporto durevole e il finanziatore adempie al suo obbligo informativo semplicemente con la consegna. Nel modulo, il cui contenuto è standardizzato e stabilito dalla direttiva (art. 5), devono essere indicati: l’importo del credito, l’importo, la durata, la periodicità e il numero delle rate, i costi (interessi e altre spese, con specificazione del TAEG), la tipologia di prodotto acquistato e il suo prezzo in contanti, il costo di eventuali servizi accessori e gli interessi e le penali in caso di ritardo nei pagamenti, inoltre deve essere ribadito il diritto, a favore del consumatore, di recesso e di adempimento anticipato, specificando l’eventuale indennizzo dovuto al finanziatore. Per la comunicazione di informazioni aggiuntive dev’essere impiegato un documento distinto.
Un’innovazione importante relativa alla fase precontrattuale è stata introdotta dall’art. 124- bis, in applicazione dell’art. 8 della direttiva, che stabilisce che prima della conclusione del contratto, ma anche successivamente se il consumatore richiede un aumento del credito erogato, il finanziatore ha l’obbligo di verificarne il merito creditizio.
L’obiettivo è valutare l’effettivo rischio di insolvenza del consumatore, per la tutela del mercato, dei creditori, ma anche dello stesso consumatore, prevenendo il rischio che contragga debiti che non sarebbe in grado, successivamente, di sanare.
L’introduzione di questa disposizione si collega ad “un eventuale obbligo, a carico dei finanziatori, di concedere credito responsabile o, viceversa, di un eventuale divieto di
30 XXXXXXX, U. e XXXXX, S., a cura di, 2011, cit., p. 147.
finanziare irresponsabilmente soggetti che non saranno in grado di rimborsare il debito assunto”.31
Approfondirò dettagliatamente il tema nel Capitolo III della relazione.
1.3.2 Ambito di applicazione, forma e contenuto del contratto
Il d.lgs. 141/2010 ha ridefinito l’ambito di applicazione della disciplina in esame, delimitato dalla nozione di credito al consumo. L’art. 122, comma 1, TUB elenca le ipotesi di esclusione, parzialmente diverse rispetto a quelle previste dalla previgente normativa.
In particolare le disposizioni non si applicano ai finanziamenti di importo inferiore ai 200 o superiore ai 75000 euro (lett. a); è stato più che raddoppiato il limite superiore che in precedenza era di circa 30000 euro, espandendo apparentemente l’applicabilità della normativa, anche se in realtà è più circoscritta per le aumentate ipotesi di esenzione.32
Il finanziatore, con l’intento di aggirare la disciplina, potrebbe scomporre un’operazione unitaria di credito al consumo in frazioni di importo inferiore al minimo richiesto per l’applicazione della normativa. In questo caso la dottrina propende per l’applicabilità in via interpretativa della disciplina “dei contratti di finanziamento al consumo posti in essere tra le stesse parti nell’arco di un lasso temporale breve che denotino, …, l’esistenza di un intento elusivo della disciplina”.33 Il finanziatore viene altresì punito con l’irrogazione di una sanzione amministrativa, come previsto dall’art. 144, comma 4, TUB.
Rimangono esclusi dall’applicazione della normativa anche i finanziamenti a titolo gratuito o quasi-gratuito (lett. c e d), i mutui concessi per finanziare l’acquisto di beni immobili (lett. e), i contratti di credito assistiti da garanzia ipotecaria di durata ultraquinquennale (lett. g), le dilazioni concesse gratuitamente per il pagamento di debiti preesistenti (lett. i) e i contratti con i quali viene concesso un finanziamento garantito da pegno, se l’importo del credito accordato non è superiore al valore del bene dato in garanzia (lett. l). Per le altre ipotesi di esenzione si rinvia all’art. 122, comma 1.
Il legislatore italiano, sfruttando la possibilità concessa dalla legge delega (art. 33, comma 1, lett. a), ha accomunato al credito al consumo, ai fini dell’applicazione della presente disciplina, i c.d. “finanziamenti di liquidità”, per i quali la direttiva 2008/48/CE aveva
31 XXXXXXX, X., et al., 2012. Contratti di finanziamento bancario, di investimento, assicurativi e derivati. Milano: IPSOA. P. 143.
32 XXXXXXXX, X., cit., pp. 45, 46.
33 XXXXXXXX, X., 2002. Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo. In: X. XXXXXXX x X. XXXXXXX, 0000. I finanziamenti ai privati. Dal credito al consumo alla cessione del quinto. Matelica (MC): Halley Editrice. P. 11.
previsto l’esclusione. La ratio della scelta si ravvisa nelle esigenze di tutela dei consumatori che i finanziamenti garantiti da ipoteca di durata inferiore a cinque anni presentano, equivalenti a quelle che emergono nelle operazioni di credito al consumo.34
L’art. 125-bis disciplina la forma e il contenuto del contratto di credito al consumo.
A differenza della previgente direttiva che imponeva la forma scritta 35, l’art. 125-bis, comma 1, stabilisce la redazione del contratto “su supporto cartaceo o su altro supporto durevole che soddisfi i requisiti della forma scritta nei casi previsti dalla legge”. Si considerano validi anche i contratti conclusi attraverso un documento informatico con firma digitale o firma elettronica qualificata.36 Il contenuto è determinato dalle disposizioni della Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR. Inoltre il consumatore per certezza deve ricevere un esemplare del contratto.
L’art. 125-bis, comma 2, precisa che ai contratti di credito al consumo si applicano anche i commi 2,3 e 6 dell’art. 117 TUB. Risulta quindi che il CICR può prevedere la possibilità di stipulare determinati contratti, per specifiche ragioni, in una forma diversa (comma 2) e che il contratto è nullo se non è stato stipulato nella forma prescritta (comma 3).
Per i contratti di finanziamento la giurisprudenza propende per considerare nullo il contratto se non sono state redatte in forma scritta sia la proposta che l’accettazione.37
Costituisce un’ulteriore ipotesi di nullità del contratto l’assenza nel testo contrattuale di determinate informazioni stabilite dall’art. 125-bis, comma 8, inerenti “a) il tipo di contratto,
b) le parti del contratto, c) l’importo totale del finanziamento e le condizioni di prelievo e di rimborso.”
L’art. 127, comma 2, specifica che le ipotesi di nullità “operano solamente a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice”. Il presente articolo, riformulato dal d.lgs. 141/2010 e successivamente modificato dal d.lgs. 218/2010, in precedenza prevedeva che solamente il cliente fosse legittimato a far valere eventuali nullità.38
Nei casi di nullità integrale del contratto, per forma o contenuto viziati, l’art. 125-bis, comma 9, stabilisce che il consumatore deve restituire solamente quanto ha utilizzato, con la stessa periodicità stabilita nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili. Sembra così da escludere la possibilità per il finanziatore di richiedere al consumatore la corresponsione degli interessi maturati sulle somme erogate.39
34 XXXXXXXXX, X., 2011, op. cit.
35 Art. 4, paragrafo 1, direttiva 87/102/CEE.
00 XX XXXXXXXXXX, X., 0000x, cit., p. 1052.
37 ACCIARI, X., et al., 2012, cit., p. 145.
38 XXXXXXX, X., cit., p. 15.
00 XX XXXXXXXXXX, X., 0000x, cit., p. 1052.
La mancata indicazione del TAEG o della durata del finanziamento non provoca la nullità del contratto. L’art. 125-bis, comma 7, dispone infatti l’applicazione dei criteri legali.
Il TAEG sarà pari “al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto”, mentre “la durata del credito è di trentasei mesi”.
1.3.3 Nozione e disciplina del contratto di credito collegato
Si parla di collegamento negoziale quando un’unica operazione economica viene realizzata mediante più contratti distinti, ma connessi tra loro: il contratto di vendita del bene o del servizio e il contratto di credito per la concessione del finanziamento ai fini dell’acquisto.
Prima della direttiva 2008/48/CE un’ipotesi di collegamento negoziale era stata implicitamente prevista, anche se non riconosciuta espressamente dal legislatore, dall’art. 125 TUB, il cui contenuto è poi confluito, senza modifiche, nell’art. 42 del Codice del consumo.40 In questo caso la responsabilità del finanziatore per l’inadempimento del fornitore operava solamente, nei limiti del credito concesso e dopo l’inutile costituzione in mora del fornitore, se tra i due sussisteva un rapporto di esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore.41 La nuova direttiva comunitaria ha superato questo limite, disciplinando il contratto di credito collegato e in Italia, con l’emanazione del d.lgs. 141/2010, è stato abrogato l’art. 42 Cod. Cons.
Secondo quanto recita l’art. 121, comma 1, lett. d), TUB, il contratto di credito collegato è “un contratto di credito finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici se ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; [come prova di tale accordo è stata ritenuta sufficiente la presenza della modulistica relativa al finanziamento nei locali del fornitore, unita al fatto che quest’ultimo si fosse occupato di completare e spedire la documentazione]
2) il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito.” Questa definizione appare più “restrittiva” rispetto a quella introdotta dal legislatore comunitario, che identifica il collegamento negoziale come “un’operazione commerciale
40 XXXXXXX, M. e XXXXXXXXXXX, S., 2013, cit., pp. 10, 11.
41 XXXXX, X., 2010. La rilevanza del collegamento contrattuale nel credito al consumo.
Contratto e impresa, 1, p. 25.
oggettivamente unica”.42 Utilizzando quest’ultima espressione si estenderebbe l’applicazione della disciplina anche a fattispecie che non soddisfano alcun requisito tra quelli menzionati dall’art. 121, ma presentano elementi oggettivi per poter essere considerate “un’unica operazione commerciale”. Tuttavia la differenza non viene considerata rilevante, in quanto “il nucleo essenziale delle due previsioni tende a coincidere”.43
L’art. 67, comma 6, Cod. Cons., come modificato dall’art. 2 d.lgs. 141/2010, stabilisce che il contratto di credito collegato “si intende risolto di diritto, senza alcuna penalità, nel caso in cui il consumatore eserciti il diritto di recesso da un contratto di fornitura di beni o servizi” regolato dalle norme sul credito al consumo.
L’art. 125-quinquies, comma 1, rafforza la tutela del consumatore. Sancisce il suo diritto alla risoluzione del contratto di credito con il finanziatore, nel caso di mancato o inesatto adempimento da parte del fornitore (ad esempio se non è stato consegnato il bene o ciò che è stato consegnato non è conforme a quanto pattuito), previa l’inutile costituzione in mora di quest’ultimo e se sussistono, con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi, le condizioni di cui all’art. 1455 c.c., ovvero solo quando l’inadempimento del fornitore non ha scarsa importanza.
Sono così aumentate le casistiche alle quali si possono applicare queste disposizioni, non essendo più richiesto l’accordo di esclusiva tra fornitore e finanziatore per invocare la responsabilità di quest’ultimo. Tuttavia l’unico rimedio offerto al consumatore consiste nella risoluzione del contratto, il legislatore non parla di risarcimento del danno.
L’art. 125-quinquies, comma 2, protegge ulteriormente il consumatore, il quale, in seguito alla risoluzione del contratto di credito collegato a quello di fornitura, non deve rimborsare al finanziatore quanto da questi versato al fornitore, ma è quest’ultimo che è tenuto a restituire l’ammontare ricevuto.
Ulteriore vantaggio per il consumatore è il suo diritto di richiedere al finanziatore la restituzione degli importi versati a titolo di rimborso del credito concesso.
00 XX XXXXXXXXXX, X., 0000x, cit., p. 1056.
43 XXXXXXX, M. e XXXXXXXXXXX, X., 2013, cit., pp. 12, 13.
1.3.4 Risoluzione del contratto
La risoluzione di un contratto di credito al consumo può avvenire prima del termine previsto, per recesso di una delle parti o se il consumatore adempie in anticipo la sua obbligazione restitutoria.
Il recesso
Quando si parla di diritto di recesso è necessario fare una distinzione tra “recesso c.d. di pentimento” e recesso definito “di liberazione”.44
Il “recesso c.d. di pentimento” è un vero e proprio strumento di tutela introdotto dall’art. 14 della direttiva comunitaria, ma può essere ricondotto all’interno della categoria dello “ius poenitendi” già disciplinata nel Codice del consumo in materia di contratti di credito negoziati fuori dai locali commerciali o mediante tecniche di comunicazione a distanza.45
La ratio collegata all’introduzione della disposizione si ravvisa nella necessità di proteggere il consumatore dalle significative conseguenze economiche derivanti dalla conclusione di un contratto di credito, concedendogli la possibilità di ripensare all’operazione, prima di essere definitivamente vincolato, affinché la decisione presa sia completamente razionale e consapevole.46
La disciplina comunitaria ha previsto a favore del consumatore che ci ripensa, entro un limitato intervallo temporale dalla stipulazione del contratto, il diritto di sciogliere il vincolo negoziale con efficacia ex tunc, sia per i contratti a tempo indeterminato che a termine.
In particolare il termine stabilito dalla direttiva e recepito dall’art. 125-ter, comma 1, TUB, è di quattordici giorni dalla conclusione del contratto o se successivo, dal momento in cui il consumatore riceve tutte le condizioni e le informazioni previste ai sensi dell’articolo 125-bis, comma 1. Per la validità del recesso è sufficiente che la comunicazione sia inviata entro il suddetto termine.
Per i contratti stipulati mediante tecniche di comunicazione a distanza il termine dev’essere calcolato secondo quanto previsto dall’art. 67-duodecies, comma 3, Cod. Cons.
44 XXXXXX, X. L’inderogabilità delle disposizioni della direttiva e il rapporto con la disciplina sulle clausole abusive. In: X. XX XXXXXXXXXX, a cura di, 2009a, cit., p. 177.
45 Sul recesso di protezione nel credito al consumo vedi XXXXX XXXXXXX, X., 0000, cit., pp. 574-589.
46 XXXXXXXXX, X., 2011, cit., pp. 375, 376; XX XXXXXXXXXX, X., 0000x. Ius poenitendi
del consumatore e contratti di credito nella Dir. 2008/48/CE. Giur. it. [online], 1, pp. 232 ss. Disponibile su Leggi d’Italia.
Il termine decorre dal momento in cui al consumatore vengono trasmesse tutte le informazioni utili per poter riflettere consapevolmente sull’operazione, confrontandola con le condizioni offerte dalla concorrenza; il finanziatore deve quindi aver adempiuto all’obbligo informativo, altrimenti il decorso del termine è sospeso.
La comunicazione di recesso deve rispettare quanto disposto dall’art. 64, comma 2, Cod. Cons.: deve essere in forma scritta e inviata, o almeno confermata, entro le quarantotto ore successive, mediante lettera raccomandata a.r. 47 Questo è quanto richiesto nello specifico dal legislatore italiano, mentre la direttiva 2008/48/CE (art. 14, par. 3, lett. a) è meno stringente e ritiene sufficiente che la comunicazione avvenga mediante qualsiasi “mezzo che possa costituire prova conformemente alla legislazione nazionale”.
La raccomandata con avviso di ricevimento permette al consumatore di provare l’avvenuta spedizione della dichiarazione di recesso, in quanto “venendo qui in rilievo un atto recettizio ex artt. 1334 e 1335, l’onere della prova sarà comunque a carico del consumatore”.48
Il recesso dal contratto di credito determina automaticamente anche il recesso dai contratti aventi ad oggetto servizi accessori, se questi sono forniti dal finanziatore o da un altro soggetto in base ad un accordo con il finanziatore.
Entro 30 giorni dalla comunicazione del recesso, il consumatore deve restituire al creditore quanto eventualmente ricevuto e corrispondere i relativi interessi maturati fino a quel momento, nonché rimborsare le somme versate dal creditore alla Pubblica Amministrazione (art. 125-ter, comma 2).
Al consumatore è riconosciuto il “diritto di ripensamento” per tutti i contratti di finanziamento, tranne alcune eccezioni: l’art.125-ter non si applica ai contratti di credito “sotto forma di sconfinamento”, alle aperture di credito in conto corrente se il rimborso deve avvenire su richiesta della banca o entro 3 mesi (art. 122, comma 2), ai contratti di leasing finanziario se poi il consumatore non ha l’obbligo di acquistare la cosa concessa in godimento (art. 122, comma 3) e alle dilazioni di pagamento e altre modalità agevolate di rimborso di un debito preesistente in seguito all’inadempimento del consumatore (art. 122, comma 4).
Qualche perplessità sull’effettiva tutela offerta dalla disciplina al consumatore emerge in merito alla situazione in cui il finanziatore non ha adempiuto puntualmente all’obbligo informativo e il consumatore decide di recedere dal contratto. In questo caso il decorso del termine di decadenza per l’esercizio del diritto di recesso è sospeso e “non sono previsti limiti temporali al perdurare della sospensione de qua, la quale potrebbe pertanto, a rigore, protrarsi
47 XXXXXXXXX, X., 2011, cit., pp. 416, 417.
48 XXXXXXX, X. e XXXXXXXXXXX, X., 2013, cit., p. 108.
indefinitamente”.49 Nel contempo però il contratto di credito produce i suoi effetti e il consumatore che recede trascorse più di due settimane, poiché il finanziatore non aveva fornito preventivamente tutte le informazioni, si trova a dover versare gli interessi fino ad allora maturati. La tutela offerta dalla norma appare debole, in quanto a fronte di una violazione dell’obbligo informativo da parte del finanziatore, quest’ultimo non risulta penalizzato in alcun modo, ma gli vengono comunque riconosciuti gli interessi.50
L’art. 13 della direttiva 2008/48/CE disciplina invece il “recesso di liberazione”, riferendosi allo scioglimento unilaterale di un contratto di credito a tempo indeterminato per il quale non è stato fissato un termine ultimo. In questo caso l’art. 125-quater, comma 1, TUB afferma il diritto del consumatore di recedere in qualsiasi momento senza costi e senza dover fornire giustificazioni, con l’unico onore di rispettare il termine di preavviso, se previsto dal contratto, che tuttavia non può essere superiore ad un mese. Si ritiene che la forma della dichiarazione di recesso in questo caso sia libera, né la legislazione nazionale né quella comunitaria prevedono particolari modalità per l’esercizio del recesso.51
L’art. 125-quater, comma 2, in relazione a quanto stabilito dall’art. 13, riconosce anche al finanziatore il diritto di recesso ad nutum, se previsto dal contratto, con l’obbligo di comunicarlo al consumatore almeno due mesi prima, utilizzando un supporto cartaceo o altro supporto durevole. Il finanziatore si può sempre avvalere di questo diritto, indipendentemente dalla sussistenza di ragioni valide che giustificano il recesso.
Questo sembra in contrasto con quanto disposto dalla disciplina sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori. La direttiva 93/13/CEE 52 considera abusiva la clausola che prevede per il professionista il diritto di recesso in assenza di un valido motivo. La disposizione, per i contratti di credito ai consumatori, si deve ritenere tacitamente abrogata da quanto stabilito dalla direttiva 2008/48/CE.53
Inoltre, se è stato pattuito contrattualmente e sussiste un “motivo oggettivamente giustificato”, il finanziatore può decidere di sospendere l’utilizzo del credito da parte del consumatore, avvisandolo in anticipo o se non è possibile immediatamente dopo la sospensione tramite un
00 XX XXXXXXXXXX, X., 0000x, cit., p. 130.
00 XX XXXXXXXXXX, X., 0000x, cit., pp. 1054, 1055.
51 XXXXXXX, X. X. Commento all’art. 125-quater. In: C. COSTA, a cura di, 2013. Commento al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia: D.lgs 1° settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni. Torino: X. Xxxxxxxxxxxx Editore. P. 1456.
52 Direttiva del Consiglio 93/13/CEE del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU n. L 095 del 21/04/1993, pag. 29).
53 XXXXXX, X., 2009. Ius variandi, commissione di massimo scoperto e recesso dal contratto.
I Contratti, 12, p. 1169.
supporto cartaceo o altro supporto durevole. Questo per evitare che il consumatore usufruisca di somme che non sarebbe poi in grado di restituire.54
L’estinzione anticipata del credito
Il consumatore può estinguere il contratto di credito prima della scadenza del termine, rimborsando quanto dovuto in via anticipata, come previsto dall’art. 125-sexies TUB. La legge permette al consumatore di restituire in qualsiasi momento, in tutto o in parte in base al piano d’ammortamento, l’importo del credito ricevuto.
In questo caso il consumatore dovrà restituire il capitale residuo, maggiorato degli interessi maturati fino a quel momento e di eventuali altre spese. Può essere previsto contrattualmente anche il pagamento di un indennizzo a favore del finanziatore, a copertura delle spese collegate al rimborso anticipato. Tuttavia questo non può superare l’1% del capitale residuo se il rimborso avviene più di un anno prima dalla scadenza del prestito e lo 0,5% se avviene a meno di un anno di distanza dalla scadenza. Inoltre questa penale non può essere superiore all’ammontare degli interessi relativi al periodo residuo.55
Nelle situazioni elencate dall’art. 125-sexies, comma 3, il finanziatore non può richiedere alcun indennizzo al consumatore che restituisce il credito in anticipo. In particolare “se il rimborso anticipato è effettuato in esecuzione di un contratto di assicurazione destinato a garantire il credito, se riguarda un contratto di apertura di credito, se ha luogo in un periodo in cui non si applica un tasso di interesse espresso da una percentuale specifica fissa predeterminata nel contratto o se l’importo rimborsato anticipatamente corrisponde all’intero debito residuo ed è pari o inferiore a 10.000 euro.”
Nel caso di estinzione anticipata per il consumatore si riduce il costo totale del finanziamento di un ammontare pari agli interessi non ancora maturati e ai costi relativi ai servizi di cui non ha ancora usufruito al momento del rimborso, come si evince dall’art. 125-sexies.
In sede di conteggi estintivi la banca utilizza il criterio della “proporzionalità alla frazione di rapporto non maturata” (frutto di un accordo tra ABI e ANIA del 22 ottobre 2008 relativo al rimborso degli oneri assicurativi accessori al credito), distinguendo gli oneri relativi a servizi già completamente resi (c.d. up-front) dagli oneri che invece maturano nel corso del rapporto (c.d. recurring), ma che vengono interamente addebitati al cliente al momento di accensione
54 XXXXX, X. Xxxxxxx e contratti di credito a durata indeterminata. In: X. XX XXXXXXXXXX, a cura di, 2009a, cit., p. 111.
55 XXXXXXXX, X., 2010, cit., pp. 173, 174.
del finanziamento, come ad esempio le polizze assicurative a copertura del rischio di non realizzo.
In questo caso la giurisprudenza arbitrale ritiene che “i costi non univocamente imputabili a servizi up-front debbano essere restituiti ai clienti secondo il menzionato criterio della proporzionalità alla frazione di rapporto non maturata”.56
Tra questi rientrano i premi assicurativi, che devono essere rimborsati al consumatore per la frazione non goduta in relazione all’estinzione anticipata del finanziamento e quindi alla conseguente cessazione del rischio. Il consumatore può richiederne il rimborso direttamente al finanziatore.
56QUARTA, F., 2013. Estinzione anticipata dei finanziamenti a tempo determinato e modulazioni del costo del credito (commissioni di intermediazione, oneri assicurativi e penalità). Rivista di diritto bancario [online], 28. Disponibile su
< xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxxxx/xxxxx-x-xxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxx-xxxxxxxxxx- finanziamenti-tempo-determinato-e-modulazioni-costo-credito >
CAPITOLO II
2 La remunerazione del finanziamento
Dal momento pubblicitario a quando il consumatore decide di concludere un contratto di credito al consumo, il parametro più importante da considerare per fare un confronto con la concorrenza e scegliere l’offerta ottimale è il costo complessivo dell’operazione, espresso dal TAEG (Tasso Xxxxx Effettivo Globale).
Innanzitutto l’informazione viene trasmessa dagli annunci pubblicitari, nei quali deve avere almeno la stessa evidenza delle altre voci ed essere accompagnata da un esempio rappresentativo, successivamente viene riportata in fase precontrattuale e infine inserita all’interno del contratto.
L’equazione da cui risulta il TAEG esprime su base annua l’eguaglianza fra la somma dei valori attualizzati di tutti i prelievi e la somma dei valori attualizzati dei rimborsi e dei pagamenti delle spese, come definito dall’allegato 5B delle Istruzioni Banca d’Italia del 28 marzo 2013.
Il TAEG è definito dall’art. 121, comma 1, lett. m), TUB come “il costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito”.
Al comma 1, lett. e), del medesimo articolo è specificato che il costo totale del credito comprende “gli interessi e tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, a eccezione di quelle notarili, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza”. Tra le altre spese possono rientrare quelle di incasso delle rate e le spese relative all’invio cartaceo di informazioni.
Il comma 2 aggiunge che il TAEG comprende anche il costo dei servizi accessori e dei premi assicurativi, se questi sono necessari per la conclusione del contratto o per ottenere il credito alle condizioni indicate e il comma 3 attribuisce alla Banca d’Italia, in conformità con quanto deliberato dal CICR, il compito di fissare le regole per il calcolo del TAEG e predisporre la formula matematica da utilizzare.
2.2 Le modalità di calcolo del TAEG nel tempo
Inizialmente con l’emanazione della direttiva 87/102/CEE il TAEG era un elemento solo parzialmente regolato a livello comunitario.
L’art.1 si limitava a fornire la nozione di TAEG, rimettendo agli Stati membri la determinazione delle regole di calcolo del tasso. Non esisteva quindi un metodo di calcolo uniforme a livello comunitario, che garantisse al consumatore un’adeguata tutela.
Disposizioni più precise in merito sono state introdotte successivamente dalla direttiva 90/88/CEE, che ha fissato una formula matematica unitaria che tutti i Paesi UE sono tenuti a utilizzare e ha fornito indicazioni precise sugli elementi da includere nel calcolo del costo globale del credito.57
In passato la disciplina vigente in Italia era definita dal D.M. Tesoro 8 luglio 1992 denominato “Disciplina e criteri di definizione del tasso annuo effettivo globale per la concessione di credito al consumo”. Le disposizioni contenute nel decreto sono state applicate fino all’emanazione delle Istruzioni della Banca d’Italia (Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari - Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti) del 9 febbraio 2011 58, i cui allegati 5B e 5C riportano le formule matematiche per il calcolo del TAEG, rispettivamente per le aperture di credito in conto corrente e per tutti i contratti di altro tipo. La Banca d’Italia è stata incaricata di fissare le regole per il calcolo del TAEG, in conformità con quanto disposto dall’art. 19 della direttiva 2008/48/CE sul credito ai consumatori e dall’art. 121, comma 2, TUB.59
Tra le due normative che si sono susseguite emergono numerose differenze: la nuova disciplina ha optato per includere nel costo totale del credito spese che prima non venivano considerate, proprio per rendere più edotto il consumatore, ridurre l’asimmetria informativa tra quest’ultimo e il professionista e fornire un’informazione più completa e trasparente.
Inoltre ha imposto l’indicazione del TAEG anche per le aperture di credito in conto corrente ad utilizzo rotativo non collegate all'uso di una carta di credito, per le quali in precedenza non era prevista.60
57 XXXXXXXXX, X., 2010. Trasparenza (e non) nella nuova direttiva sul credito al consumo alla vigilia del recepimento. Danno e resp., 5, p. 437.
58 Si tratta della seconda modifica apportata alle Istruzioni della Banca d’Italia del 29 luglio 2009, in materia di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari -
Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti.”
Il primo intervento è avvenuto nel 2010 in attuazione della direttiva sui servizi di pagamento.
59 XXXXXXX, X. e XXXXXXXXXXX, S., 2013, cit., p. 19.
60 XXXXXXX, U. e XXXXX, S., a cura di, 2011, cit., p. 143.
Secondo quanto stabilito dall’art. 3, comma 2, del D.M. Tesoro 8 luglio 1992, il TAEG doveva includere: l’importo del credito, i relativi interessi, le spese di istruttoria e di apertura pratica. Altre spese venivano incluse quando rappresentavano una remunerazione per il finanziatore. Si tratta:
⋅ delle spese relative all’incasso delle rate e di tenuta del conto, considerate solamente
se stabilite dal creditore, per l’eventuale importo addebitato al consumatore, che eccedeva il costo sostenuto dall’intermediario. Queste spese rimanevano invece escluse, in base all’art. 2, comma 4, lett. c), quando non venivano stabilite dal creditore, il consumatore disponeva di una “ragionevole libertà di scelta” e non erano “anormalmente elevate”;
⋅ del costo delle coperture assicurative imposte dal finanziatore per garantirgli il
rimborso totale o parziale del credito in caso di eventi negativi che potevano colpire il consumatore (morte, invalidità, disoccupazione);
⋅ del costo dell’interposizione di un terzo quando era necessaria per ottenere il
finanziamento;
⋅ di eventuali altre spese non rientranti tra quelle escluse dal comma 3 del medesimo articolo.
Dubbio era il trattamento degli oneri fiscali in mancanza di una specifica previsione.61
Dal 2011 vengono inclusi nel calcolo del TAEG tutti i costi relativi al finanziamento a carico del consumatore, anche quelli indiretti. In particolare, l’eventuale compenso richiesto dall’intermediario del credito al consumatore, gli oneri fiscali e le polizze assicurative quando la stipulazione è necessaria ai fini della conclusione del contratto o per ottenere il credito alle condizioni offerte. Vengono considerate, se frutto di un accordo tra finanziatore e consumatore, anche le spese di gestione del conto aperto ad hoc per i prelievi e i pagamenti e quelle relative all’incasso delle rate, tranne nel caso in cui questi costi siano indicati precisamente nel contratto stipulato o l’apertura del conto non sia obbligatoria. Nell’eventualità in cui il conto sia usato per una pluralità di operazioni, nel TAEG si includono interamente i costi fissi e i costi variabili connessi al finanziamento. Se il finanziamento è realizzato nella forma di apertura di credito in conto corrente rientrano nel TAEG solamente i costi relativi ai pagamenti e ai prelievi collegati all’utilizzo del credito.
Rimangono in ogni caso escluse dal calcolo del TAEG eventuali spese aggiuntive, diverse dal prezzo del bene o del servizio, che il consumatore dovrà sostenere al momento dell’acquisto ed eventuali penali, come gli interessi di mora, relative ad un suo inadempimento.
61 XXXXXXX, U. e XXXXX, S., a cura di, 2011, cit., pp. 143-145.
Inoltre il calcolo del TAEG si basa sul presupposto che venga rispettata dalle parti la durata del contratto di credito.62
Successivamente, il 28 marzo 2013, la Banca d’Italia ha emanato un provvedimento per il recepimento della direttiva della Commissione Europea 2011/90/UE del 14 novembre 2011. Quest’ultima è stata emanata in linea con quanto disposto dall'art. 19, paragrafo 5, della direttiva 2008/48/CE, che attribuisce alla Commissione la facoltà di introdurre ulteriori ipotesi per il calcolo del TAEG o modificare quelle esistenti, per garantire uniformità e adeguarlo alla mutata realtà commerciale. Sono state così nuovamente modificate le Istruzioni della Banca d’Italia del 29 luglio 2009, in particolare i due allegati relativi alle formule per il calcolo del TAEG sono stati sostituiti da un unico allegato numerato “5B”.
Questo provvedimento, ad eccezione dell’allegato 5B, è stato abrogato dal più recente provvedimento del 15 luglio 2015, che ha apportato anche alcuni cambiamenti in materia di TAEG. In particolare se il finanziatore include nel calcolo del TAEG dati ricavati da stime, deve comunicare al consumatore se le stime si riferiscono al tipo di contratto concretamente concluso e le ipotesi utilizzate per ottenerle. Per quanto riguarda i costi di eventuali servizi accessori, nel caso in cui non si riesca a quantificarli, è possibile escluderli dal calcolo del TAEG e indicarli separatamente.63
00 X. XXXXXXX, X. e XXXXXXXXXXX, X., 2013, cit., pp. 14–16; XXXXXX, X. Le operazioni
di finanziamento. In: P. XXXXXX, a cura di, 2015. Le operazioni e i servizi bancari. VII Ed. Torino: X. Xxxxxxxxxxxx Editore. Pp. 204, 205.
63 XXXXXXXXX & XXXXXXXXX, 2015. Modifica alle “Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari – Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” [online], 21 luglio. Disponibile su < xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx >
2.3 Determinazione del TAEG: problemi e criticità
L’iter che porta all’offerta e alla conseguente stipulazione di un contratto di credito al consumo è caratterizzato da diversi momenti di interazione tra finanziatore e consumatore e talvolta possono sorgere problemi e incongruenze.
Una situazione che si potrebbe creare, a danno del consumatore, è quella in cui il TAEG pubblicizzato non corrisponde a quello indicato nel contratto, che risulta più sfavorevole per il cliente. Il contratto potrebbe includere delle clausole relative a costi che non sono stati considerati o sono stati conteggiati in modo errato nel TAEG pubblicizzato. In questo caso l’art. 125-bis, comma 6, TUB prevede la nullità delle “clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell’articolo 121, comma 1, lettera e), non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato (…)”. Inoltre ai contratti di credito al consumo si applica l’art. 117, comma 6, che sancisce la nullità delle clausole che “prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”. Si tratta di una nullità parziale in quanto “la nullità della clausola non comporta la nullità del contratto”, come dispone l’art. 125-bis, comma 6.
Nel comma successivo il legislatore stabilisce la sostituzione automatica della clausola nulla mediante l’applicazione del tasso legale sostitutivo, ovvero il “tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto”.
In merito si è pronunciato il Collegio Arbitrale di Roma, stabilendo che in questa circostanza “(…) l’intermediario provvederà quindi a rideterminare gli importi dovuti dal ricorrente, eventualmente restituendo l’eccedenza finora percepita rispetto a quanto dovuto dal ricorrente medesimo ai sensi del TAEG così rideterminato”.64
Alla medesima conclusione è giunto anche il Tribunale di Chieti nella sentenza del 23 aprile 2015.65
Ulteriore problema inerente il costo del finanziamento emerge quando il TAEG pubblicizzato e convenuto nel contratto non corrisponde al tasso realmente applicato dal finanziatore e il consumatore si trova all’oscuro del reale costo dell’operazione creditizia.
In questo caso si esclude l’applicazione degli artt. 117 e 125-bis, comma 6. Il consumatore ha concluso il contratto senza conoscere il reale costo a suo carico, poiché il documento riportava
64 SANCES, M., 2015. Credito al consumo: interessi nulli se il taeg non è chiaro. Altalex
[online], 1 Luglio. Disponibile su
< xxxx://xxx.xxxxxxx.xxx/xxxxxxxxx/xxxx/0000/00/00/xxxxxxx-xx-xxxxxxx >
65 X. Xxxx. Xxxxxx, 00 aprile 2015, n. 230.
carenze informative la sua volontà potrebbe essere viziata. In presenza di un costo più elevato da sopportare avrebbe potuto decidere di non obbligarsi o più probabilmente pattuire condizioni diverse. Nel primo caso si entra nell’ambito di applicazione dell’art. 1439 c.c., se il dolo è stato determinante ai fini della stipulazione, il contratto è annullabile. Nel secondo caso è previsto il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1440 c.c., corrispondente alla differenza tra la somma concretamente versata dal consumatore e quanto pattuito contrattualmente.66
Il precedente articolo è stato richiamato anche dal Collegio Arbitrale di Napoli, che nella circostanza descritta considera legittima la domanda risarcitoria del consumatore.67
La medesima questione è stata affrontata anche dalla Corte di giustizia nella sentenza del 15 marzo 2012.68 In particolare ha valutato la possibilità di considerare come “pratica commerciale sleale” l’indicazione nel contratto di un TAEG inferiore a quello reale, per l’omissione nel conteggio di alcuni costi. Il giudice del rinvio ha fondato la domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2005/29/CE, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori. L’art. 6, paragrafo 1, della direttiva afferma che “è considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:
(…)
d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo;
(…).”
Dalla pronuncia della Corte di giustizia risulta che l’indicazione nel testo contrattuale di un TAEG inferiore a quello realmente praticato rappresenta una pratica commerciale ingannevole ai sensi dell’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29/CE, qualora induca il consumatore in errore e lo porti o sia idonea a portarlo ad assumere una decisione che altrimenti non avrebbe preso. Spetta al giudice del rinvio valutare la specifica situazione.
66 XXXXXXX, X. e XXXXXXXXXXX, S., 2013, cit., pp. 73, 74.
67 X. XXX, Xxxxxxxx xx Xxxxxx, 00 giugno 2011, n. 1335, Pres. Auletta.
68 X. Xxxxx xx xxxxxxxxx XX, 00 marzo 2012, causa C-453, Xxxxxxxxxx e Perenič c. SOS financ, spol. S.r.o. Disponibile su: < xxxx://xxxxx.xxxxxx.xx >
In seguito all’accertamento di una pratica commerciale sleale il giudice competente può valutare l’abusività delle clausole contrattuali concernenti il costo del finanziamento, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE.69
Questo però non influenza direttamente la validità del contratto di credito stipulato. L’art. 6, paragrafo 1, della suddetta direttiva, prevede che le clausole abusive non siano valide nei confronti dei consumatori, nel rispetto di quanto disposto nello specifico dall’ordinamento nazionale di ciascun Stato membro, ma se il contratto può sussistere anche in assenza delle clausole invalide, la sua validità non viene compromessa.
69 Direttiva del Consiglio 93/13/CEE del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU n. L 095 del 21/04/1993, pag. 29)
L’art. 4, par. 1, recita: “(...) il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.”
2.4 Variazione del TAEG dopo la stipulazione del contratto
Prima dell’emanazione del d.lgs. 141/2010, lo ius variandi del TAEG nei contratti di credito al consumo era regolato dall’art. 124, comma 2, lett. d), TUB. La disposizione limitava la libertà del finanziatore, imponendo la predeterminazione nel contratto delle specifiche circostanze al verificarsi delle quali poteva modificare unilateralmente il TAEG.
Nel 2010 l’articolo è stato novellato e questa previsione è stata abrogata.
Ora per i contratti di credito al consumo non esiste una regola specifica, ma si applica l’art. 118 TUB, come disposto dall’art. 125-bis, comma 2.70
Viene riconosciuto così al finanziatore lo ius variandi, cioè la possibilità di apportare modifiche unilaterali al contratto dopo la stipulazione, previa approvazione da parte del consumatore di una clausola contrattuale ad hoc. Viene fatta però una distinzione tra contratti a tempo indeterminato e contratti a termine. Per i primi è riconosciuta al finanziatore la facoltà di modificare le condizioni contrattuali, comprese quelle inerenti il tasso di interesse e altri prezzi. Il legislatore ha cercato di tutelare il consumatore subordinando questa possibilità alla sussistenza di un giustificato motivo e all’inserimento nel contratto di un’apposita clausola approvata dal cliente. Per i contratti a termine il finanziatore può variare solamente le condizioni non inerenti il tasso di interesse.
Ogni variazione dev’essere comunicata al consumatore per iscritto o mediante altro supporto durevole da lui approvato, impiegando un’apposita formula e con un preavviso di almeno due mesi. Il consumatore se non accetta la modifica può recedere gratuitamente dal contratto entro la data di applicazione, altrimenti si considera approvata.
Il mancato rispetto di queste prescrizioni da parte del finanziatore comporta l’inefficacia della variazione contrattuale.71
70 SCIARRONE XXXXXXXXX, X. La pluralità delle normative di ius variandi nel t.u.b.: sistema e fratture. In: A. A. DOLMETTA e X. XXXXXXXXX XXXXXXXXX, a cura di, 2012. Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e di diritto applicato. Milano: Xxxxxxx Editore. Pp. 60-62.
71 MUCCIARONE, G. La pluralità delle normative di ius variandi nel t.u.b.: sistema e fratture. In: A. A. DOLMETTA e X. XXXXXXXXX XXXXXXXXX, a cura di, 2012, cit., pp. 64-68; XXXXXXX, X. x XXXXX, S., a cura di, 2011, cit., p. 153; XXXXXXX, X. X. x XXXXX,
C., 2008. Codice del consumo. Commentario del D.Lgs. 206/2005 e successive modifiche e integrazioni. Santarcangelo di Romagna (RN): Maggioli Editore. Pp. 237, 238.
2.5 TAN, XXXX, TEGM, TEG: in che cosa differiscono?
Nei messaggi pubblicitari e nei contratti di credito al consumo il TAEG non è l’unico tasso di interesse menzionato, ma viene riportato anche il TAN (Xxxxx Xxxxx Nominale), che indica il solo costo degli interessi. Il TAN viene espresso come tasso annuo e calcolato a partire dal tasso di interesse interbancario, al quale viene applicato uno spread, che rappresenta il margine per l’ente finanziatore. Il tasso può essere fisso, variabile o misto; ma solitamente nei contratti di credito al consumo è fisso.72 Il TAN rappresenta una frazione del costo totale, essendo gli interessi solo una delle componenti del costo complessivo del finanziamento, quindi il consumatore per avere un’informazione omnicomprensiva deve considerare il TAEG.
Un altro aspetto fondamentale al quale prestare attenzione è che il tasso di interesse, applicato al contratto di credito, non abbia carattere usurario o sia comunque troppo elevato.
La Banca d’Italia vigila anche su questo aspetto: trimestralmente rileva i tassi effettivi globali medi (TEGM) di mercato per le varie operazioni di finanziamento, che vengono pubblicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per la definizione dei tassi-soglia in materia di usura, ai sensi della Legge n. 108 del 7 marzo 1996, nota come “Legge anti-usura”.
In passato il tasso-soglia era pari al TEGM aumentato del 50%, ora, in seguito all’entrata in vigore del d.l. 14 maggio 2011, n. 70, il limite è pari al TEGM aumentato del 25%, a cui si aggiungono quattro punti percentuali; inoltre la differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali.73
Nel caso in cui il contratto di credito preveda la corresponsione di interessi usurari, l’art. 1815, comma 2, c.c., stabilisce che “la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.
In linea con quanto enunciato dall’art. 644 Codice penale in relazione all’elemento oggettivo del reato di usura74, il d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, ha previsto che la norma civilistica punisca anche la sola pattuizione di interessi usurari.75
Per la determinazione del TEGM le banche e gli intermediari finanziari devono comunicare alla Banca d’Italia il TEG (Tasso Effettivo Globale) applicato alle diverse operazioni di
72 LOPS, V., 2011. Il mutuo perfetto. Come abbattere costi e interessi e trasformare il TUO prestito casa in un grande investimento. Milano: Gruppo 24 Ore. P. 31.
73 XXXXXXX XXXXXXXX, X., 2014. Manuale pratico per la tutela del credito. Padova: Primiceri Editore. P. 133.
74 L’art. 644 c.p. per l’accertamento del reato di usura stabilisce un criterio oggettivo: il superamento del tasso-soglia calcolato come previsto dal d.l. 14 maggio 2011, n. 70. Tuttavia aggiunge che anche se non viene superato il limite legale, il giudice può rilevare la c.d. usurarietà in concreto, quando gli interessi risultano sproporzionati rispetto alla prestazione fornita e se il soggetto passivo si trova in una situazione di difficoltà economica.
75 XXXXXXX, X. x XXXXX, S., a cura di, 2011, cit., pp. 164-166.
credito, tra le quali quelle di credito al consumo. Il TEGM si ottiene calcolando la media dei vari TEG praticati dagli operatori.
Le modalità di calcolo del TEG presentano alcune differenze rispetto a quelle impiegate per il TAEG. Il TAEG è un’informazione che dev’essere fornita ex-ante al consumatore, mentre il TEG viene comunicato ex-post dagli operatori finanziari a Banca d’Italia, che stabilisce le regole per il calcolo del TEGM. Il TAEG riguarda solo le operazioni in cui il contraente è un consumatore, mentre il TEG considera anche i tassi applicati alle imprese.76
Nel TEG si includono gli interessi e tutte le spese relative al finanziamento, compreso il costo di eventuali polizze assicurative e garanzie collegate al contratto di credito, se la stipulazione avviene nel momento di concessione del finanziamento, indipendentemente dal fatto che sia obbligatoria o meno.77 Non vengono considerati gli oneri fiscali e le imposte, che rientrano invece nel calcolo del TAEG.
76 LOPS, V., 2011, cit., p. 42.
77 SIROTTI GAUDENZI, E., 2014, cit., pp. 137, 138.
CAPITOLO III
3 Responsible lending: la valutazione del merito creditizio del consumatore
Il 26° considerando della direttiva 2008/48/CE, dedicata al credito ai consumatori, afferma che “(…) in un mercato creditizio in espansione … è importante che i creditori non concedano prestiti in modo irresponsabile o non emettano crediti senza preliminare valutazione del merito creditizio (…)”. Da queste parole emerge il timore del legislatore comunitario di un’espansione incontrollata del mercato del credito al consumo, senza un’adeguata assunzione di responsabilità da parte dei finanziatori. In linea con quanto enunciato dal 26° considerando, è stato promulgato l’art. 8 della direttiva 2008/48/CE 78, che ha portato all’introduzione di un approccio “responsible lending”.
A tutela del finanziatore, del consumatore e del mercato creditizio, l’art. 8 ha introdotto l’obbligo per il creditore di valutare “il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando la banca dati pertinente”, non solo prima della concessione di un nuovo finanziamento, ma anche nel corso del rapporto qualora il consumatore richiedesse un aumento dell’importo del credito già erogato.
L’art. 8 accenna alla possibilità per il finanziatore di consultare le banche dati, questione approfondita dal successivo art. 9 che afferma la facoltà di accedere agli archivi anche per i creditori di altri Stati membri nel caso di crediti transfrontalieri, in conformità con la creazione di un unico mercato creditizio. Al comma successivo il legislatore aggiunge che nel caso in cui la valutazione sia negativa il finanziatore deve dare immediata comunicazione del rifiuto al consumatore, illustrandone le ragioni e indicando gli estremi della banca dati utilizzata.
La disciplina limita la discrezionalità del finanziatore nella decisione di concessione del credito, subordinandola al controllo della “qualità dei dati posti a fondamento della [sua] decisione di rifiutare la domanda di credito” e all’accertamento dell’adeguatezza delle informazioni impiegate nella valutazione, che devono essere complete, esatte e aggiornate.79
78 VIGO, R. Commento all’art. 124-bis. In: C. COSTA, a cura di, 2013. Commento al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia: D.lgs 1° settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni. Torino: X. Xxxxxxxxxxxx Editore. P. 1438.
00 XX XXXX, X. Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore alla stipulazione del contratto e le conseguenze della loro violazione. In: X. XX XXXXXXXXXX, a cura di, 2009a, cit., pp. 68, 69.
3.1 L’obbligo di valutazione del merito creditizio nell’ordinamento italiano
L’obbligo stabilito dal legislatore comunitario è stato recepito nell’ordinamento italiano con l’introduzione nel TUB dell’art. 124-bis, nel quale è stato trasposto il testo dell’art. 8 della direttiva. Il legislatore ha imposto al finanziatore la valutazione, in fase precontrattuale, dell’affidabilità del consumatore, ma non si è espresso esplicitamente sulle conseguenze della verifica e sul regime sanzionatorio di eventuali violazioni da parte del soggetto erogatore.80 Per una corretta analisi dell’art. 124-bis si deve considerare anche il contesto nel quale è inserito: all’interno del Testo Unico bancario nella parte dedicata alla disciplina del credito al consumo. In particolare, per attribuire un significato adeguato alla disposizione introdotta, è necessario interpretarla in relazione all’articolo precedente (art. 124) e a quello successivo (art. 125) per avere una panoramica globale.81
La valutazione del merito creditizio del consumatore può essere collegata ad un ulteriore obbligo a carico del finanziatore, fissato dall’art. 124, comma 5, in tema di informativa precontrattuale. La disposizione prevede che devono essere fornite al consumatore non solo le informazioni standardizzate contenute nel modulo “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”, ma anche “chiarimenti adeguati, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria (…)”, in un’ottica di autotutela del consumatore, che è l’unico responsabile della propria scelta.82
Il finanziatore deve tenere una condotta diligente, in linea con quanto richiesto e supportare il consumatore nella decisione di indebitamento, fornendogli ulteriori informazioni personalizzate. Per questo deve disporre di dati più dettagliati relativi alla particolare situazione del singolo soggetto, che può ricavare dalla verifica del merito creditizio, che ha quindi una “funzione strumentale” all’ottenimento di maggiori informazioni.
La connessione tra l’art. 124, comma 5, e l’art. 124-bis può essere considerata anche in un’ottica diversa. Prima della conclusione del contratto la valutazione del merito creditizio favorisce l’interazione e lo scambio bidirezionale di informazioni tra finanziatore e consumatore.
L’ente erogatore rappresenta dettagliatamente le caratteristiche del finanziamento e le possibili conseguenze in relazione alla situazione economico-finanziaria del consumatore, che
80 XXXXXXXXXX, X., 2014a. L’obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore: spunti di riflessione per un nuovo modo di guardare alla “contrattazione con l’insolvente”. Nuove leg. civ. comm., 5, pp. 1106, 1107.
81 XXXX, X., 2014. Verifica del merito creditizio ed efficacia dei rimedi a tutela del consumatore. I Contratti, 10, p. 882.
82 XXXXXXXXX, X., 2011, op. cit.
conosce anche grazie alle informazioni fornite da quest’ultimo, con lo scopo di valutare la sostenibilità dell’operazione, nel rispetto della regola di buona fede oggettiva.83
Funzionale alla verifica della solvibilità del consumatore è anche la possibilità per gli intermediari bancari e finanziari di accedere al contenuto delle banche dati, come stabilito dall’art. 125. Le informazioni ivi contenute devono essere corrette, aggiornate e adeguate, in quanto influenzeranno l’esito della valutazione da parte del finanziatore.
Nella regolamentazione dell’obbligo di valutazione del merito creditizio si inserisce anche il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze (nella veste di presidente del CICR), del 3 febbraio 2011, n. 117, che all’art. 6 stabilisce che “al fine di evitare comportamenti non prudenti e assicurare pratiche responsabili nella concessione del credito, i finanziatori assolvono all'obbligo di verificare il merito creditizio del consumatore, previsto dall'articolo l24-bis del TUB, applicando le procedure, le metodologie e le tecniche relative alla valutazione e al monitoraggio del merito creditizio dei clienti previste ai fini della sana e prudente gestione dei soggetti vigilati dagli articoli 53, 67, 108, 109 e 114-quaterdecies del TUB e dalle relative disposizioni di attuazione”.
Sono stati definiti così i criteri attuativi del processo di valutazione da parte del finanziatore, con lo scopo di assicurare una gestione responsabile ed equilibrata.84
Inoltre la Banca d’Italia, attraverso la definizione delle disposizioni attuative collocate all’interno delle “Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”, ha imposto alle banche e agli intermediari finanziari il rispetto delle regole in materia di vigilanza prudenziale contenute nelle “Istruzioni di vigilanza”, per il corretto adempimento dell’obbligo imposto dall’art. 124-bis.85
83 XXXXXXXXXX, X., 2014a, cit., pp. 1106, 1107.
84 XXXXXXXX, X. e DE MATTEIS, S., 2015. Crisi da sovraindebitamento. Santarcangelo di Romagna (RN): Maggioli Editore. P. 164.
85 XXXXXXX, U. e XXXXX, S., a cura di, 2011, cit., pp. 149, 150.
3.2 Il concetto di “merito creditizio del consumatore”
La verifica della solidità finanziaria del consumatore è un’attività propedeutica alla conclusione del contratto di credito.
Valutare il merito creditizio del richiedente significa formulare un giudizio oggettivo sulla capacità del soggetto di adempiere alla sua obbligazione restitutoria. Il finanziatore valuta il rischio di insolvenza a cui si esporrebbe il consumatore in seguito alla concessione del credito, mentre non considera il motivo per cui è stato richiesto; “il consumatore lo impiega sicuramente nei consumi e ciò è sufficiente”.86
Per analizzare la capacità restitutoria del consumatore si deve valutarne l’affidabilità sulla base della sua situazione patrimoniale ed economico-finanziaria passata e corrente, in particolare si considerano la disponibilità di reddito, i debiti già assunti e le relative modalità di adempimento (numero di rate, importo, scadenza)87, inoltre si verifica la regolarità nell’adempimento delle obbligazioni e l’assenza di protesti e di esecuzioni individuali negli ultimi cinque anni.88 Non rilevano ai fini della valutazione eventuali garanzie fornite da soggetti terzi o la stipulazione di polizze assicurative a garanzia del rimborso del finanziamento. La valutazione ha esito positivo solo se il soggetto passivo risulta in grado di restituire personalmente l’eventuale credito ottenuto, senza l’intervento di altri.
La presenza di garanzie personali rassicura il finanziatore, in quanto un altro soggetto rimborserà il debito al posto del consumatore se quest’ultimo risulta inadempiente. Per questo potrebbe essere incentivato a concedere il credito in modo irresponsabile, senza effettuare la preventiva valutazione della capacità restitutoria del consumatore. Questa è una delle ragioni che hanno indotto il legislatore comunitario a rendere obbligatoria la verifica. Un altro motivo è rappresentato dal disincentivo per la banca o l’intermediario finanziario a valutare la solvibilità del debitore nel caso di ricorso alla cartolarizzazione dei crediti, i quali una volta concessi non verranno incassati dal finanziatore stesso, ma rivenduti sul mercato finanziario, con il conseguente trasferimento di prodotti rischiosi.89
86 XXXXXXXXX, X. Prime note in tema di valutazione del merito creditizio del consumatore nella direttiva 2008/48/CE. In: X. XX XXXXXXXXXX, a cura di, 2009a, cit., p. 184.
87 PRESTIPINO, M., 2012. Obblighi precontrattuali del finanziatore: adeguatezza
dell’informazione e adeguatezza del “prodotto” nella nuova disciplina del credito al consumo. In: X. XXXXXXXXXX, 2012. Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti. Torino: X. Xxxxxxxxxxxx Editore. P. 75.
88 XXXXXXXX, N. e DE MATTEIS, S., 2015, cit., p. 25.
89 XXXXXXXXX, X., cit., pp. 185-187.
3.3 Gli obiettivi della verifica della solvibilità del consumatore
La valutazione del merito creditizio del consumatore è funzionale al soddisfacimento di un doppio ordine di interessi, collocandosi “tra tutela macroeconomica del mercato e tutela microeconomica dei consumatori”. In primo luogo ha finalità pubblicistiche, mira a garantire la corretta allocazione delle risorse del sistema finanziario, per la tutela del mercato del credito. Ulteriore obiettivo è la protezione del consumatore da scelte di indebitamento non sostenibili, per prevenire il rischio di situazioni di sovraindebitamento. È proprio il soddisfacimento di quest’ultimo obiettivo, grazie alla preventiva verifica dell’affidabilità del soggetto, a consentire il corretto funzionamento del meccanismo concorrenziale di mercato.90 L’obbligo introdotto dall’art. 124-bis può essere osservato da una doppia prospettiva, che corrisponde alla sua duplice finalità: come “protezione del creditore dall’insolvente”, ma anche come “protezione del debitore dall’insolvenza”.91
Per il soddisfacimento di questi obiettivi possono essere adottati due approcci diversi. L’approccio “responsible borrowing” consiste nel responsabilizzare il consumatore, fornendogli con chiarezza e trasparenza tutte le informazioni necessarie, affinché possa riflettere sull’operazione e prendere una decisione ponderata.
Viceversa con l’approccio “responsible lending” viene richiesta una maggiore diligenza al finanziatore, al quale è affidato l’onere di valutare e selezionare prudenzialmente le richieste di credito che riceve. In questo caso si cerca di responsabilizzare il soggetto che concede il finanziamento, affinché non prenda decisioni irrazionali.92
Per lungo tempo è prevalso l’approccio “responsible borrowing”, che sottolinea l’autoresponsabilità del consumatore e la necessità di renderlo edotto in merito alla possibile scelta di indebitamento. Con l’introduzione dell’obbligo di valutazione della solvibilità del consumatore si è affermato l’approccio “responsible lending” 93, determinando la corresponsabilizzazione di creditore e debitore.
90 XXXXX, X., 2015. Valutazione del merito creditizio, adeguatezza delle sanzioni e tutela microeconomica dei consumatori. Giur. it. [online], 2, pp. 285 ss. Disponibile su Leggi d’Italia.
91 XXXXXXXXXX, X., 2014a, cit., p. 1089.
92 Id., 2014a, cit., p. 1092.
93 XXXXXXXXXX, X., 2014b. Composizione delle crisi da sovraindebitamento: il “piano del consumatore” al vaglio della giurisprudenza. Diritto civile contemporaneo [online], aprile/giugno. Disponibile su < xxxx://xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xx- content/uploads/2014/06/PDF-Pellecchia.pdf >
Uno degli obiettivi dell’obbligo in esame è la protezione del consumatore dal rischio di sovraindebitamento. La disposizione introdotta dalla direttiva impone implicitamente al finanziatore il rispetto del principio di “prestito responsabile”. Si tratta di un principio inizialmente contemplato nella proposta di direttiva della Commissione dell’11 settembre 2002, ma successivamente soppresso. Nella nuova direttiva non è enunciato espressamente, ma si evince dal contenuto del 26° considerando, che sottolinea che “è importante che i creditori non concedano prestiti in modo irresponsabile” e che “dovrebbero avere la responsabilità di verificare individualmente il merito creditizio dei consumatori”.94
Il soggetto che eroga il finanziamento deve attenersi a questo principio, ma non sempre è sufficiente a prevenire il sovraindebitamento del consumatore. Ad esempio nel caso in cui il credito venga concesso dietro cessione del quinto dello stipendio, valutando la capacità restitutoria del richiedente non si rileva il livello di indebitamento già in atto, potrebbe quindi indebitarsi eccessivamente con conseguenze pregiudizievoli per il suo patrimonio.95
94 FALCONE, G. L’indebitamento delle famiglie e le soluzioni normative: tra misure di sostegno e liberazione dai debiti. In: X. XXXXXXXX e X. XXXXXXX, a cura di, 2011. La ristrutturazione dei debiti civili e commerciali. Milano: Xxxxxxx Editore. P. 191.
95 XXXXXXXXX, X., cit., pp. 188, 189.
3.4 Violazione dell’obbligo di valutazione del merito creditizio: conseguenze e sanzioni
L’art. 8 della direttiva 2008/48/CE ha introdotto l’esecuzione della verifica della solvibilità del consumatore/debitore, ma non ha regolato le conseguenze dell’eventuale inadempimento di quest’obbligo da parte del finanziatore. Quest’ultimo aspetto non è stato disciplinato in modo dettagliato dalla direttiva, che all’art. 23, in linea con quanto enunciato dal 47° considerando, si limita a rimettere agli Stati membri la definizione di sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive” per punire la violazione delle disposizioni nazionali in materia di credito al consumo.
La discrezionalità lasciata ai legislatori nazionali sembra però contrastare con l’obiettivo della direttiva di realizzare un’armonizzazione completa a livello europeo.
Il legislatore italiano non è intervenuto per determinare le conseguenze sanzionatorie dell’omessa valutazione del merito creditizio da parte del finanziatore, che dipenderanno dall’interpretazione della normativa da parte dei giudici nazionali, attraverso il ricorso ai rimedi civilistici.96
Innanzitutto nell’ordinamento italiano non è espresso il divieto di erogare il finanziamento qualora la capacità restitutoria del consumatore risultasse negativa. La giurisprudenza e la dottrina ammettono quindi la validità dei contratti stipulati in questa circostanza. Tuttavia la violazione dell’obbligo di verifica danneggia il consumatore, che dopo la concessione del credito confida sulla sostenibilità del piano di rimborso, affidandosi alla valutazione che il finanziatore avrebbe dovuto eseguire prima dell’erogazione.97
Se il creditore non effettua la preventiva verifica del merito creditizio o concede il finanziamento in presenza di una valutazione negativa o errata, al consumatore potrebbe essere erogato un credito eccessivo rispetto alla sua capacità restitutoria e per questo potrebbe non riuscire a rispettare gli impegni assunti. In mancanza di una specifica disposizione in merito, la dottrina tutela il consumatore prevedendo che il mancato rispetto da parte del finanziatore di un obbligo di condotta determini la possibilità di pretendere il risarcimento del danno. Il debitore non ha ricevuto tutte le informazioni necessarie per prendere una decisione ponderata e di conseguenza ha contratto un debito non sostenibile. Salva la possibilità di
96 XXXXX, X., 2015, op. cit.
97 XXXXXXXXXX, X., 2012. Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti. Torino: X. Xxxxxxxxxxxx Editore. Pp. 92, 93.
prova contraria per il finanziatore, sul quale ricade l’onere di dimostrare che in realtà il consumatore era consapevole del rischio dell’operazione.98
Conforme a quanto appena affermato è la pronuncia del Collegio Arbitrale di Roma del 20 agosto 2013, n. 4440, che sancisce il risarcimento a favore del consumatore danneggiato, mentre esclude l’annullabilità del contratto, “considerato che tale sanzione non è stata comminata dal legislatore e non è generalmente applicabile al di fuori dei casi previsti dalla legge”.
In questa circostanza il finanziatore non ha rispettato il principio di buona fede e le regole di correttezza professionale. Se avesse adempiuto al suo obbligo il consumatore, maggiormente edotto, non avrebbe concluso il contratto o avrebbe negoziato a condizioni diverse, per questo il finanziatore inadempiente risponde per responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. 99
Più esplicito è stato l’intervento in merito del legislatore francese. Il Code de la consommation (art. L. 311-48) prevede che in caso di mancata valutazione del merito creditizio anteriormente alla concessione del credito, qualora il debitore risultasse insolvente, il finanziatore non ha diritto agli interessi convenzionali pattuiti contrattualmente, ma dal momento della pronuncia giudiziaria che impone al debitore la restituzione di quanto dovuto può esigere gli interessi al tasso legale. In aggiunta il Code monétaire et financier (art. L. 313- 3) dispone che, trascorsi due mesi dalla decisione giudiziaria, se il consumatore non ha ancora rimborsato il debito, al tasso di interesse legale devono essere aggiunti cinque punti percentuali.
La Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi sulla conformità del regime sanzionatorio francese all’art. 23 della direttiva 2008/48/CE. Nella sentenza ha dichiarato che la normativa francese non è applicabile nei casi in cui il giudice nazionale accerta che gli interessi legali spettanti al creditore non sono notevolmente inferiori agli interessi che avrebbe percepito se avesse rispettato l’obbligo di preventiva verifica del merito creditizio, in quanto la sanzione non avrebbe carattere dissuasivo, come richiede invece l’art. 23.100
98 XXXX, X., 2014, cit., p. 884.
99 Così FEBBRAJO, T., 2011. La “nuova” responsabilità precontrattuale. Xxx. xxx. xxxx., 0, x. 000; XXXXX, X., 2015, op. cit.; XXXXXXXXXX, X., 2012, cit., pp. 93, 94.
100 V. C. giust. UE, 27 marzo 2014, causa X-000/00, XXX Xx Xxxxxx Xxxxxxxx XX c. Fesih Kalhan.
3.5 Banche dati e credit scoring
Gli artt. 8 e 9 della direttiva 2008/48/CE, rispettivamente, prevedono e disciplinano l’utilizzo delle banche dati ai fini della valutazione dell’affidabilità creditizia del consumatore. Quanto disposto è stato recepito nell’ordinamento italiano negli artt. 124-bis e 125 TUB.
Al finanziatore che utilizza le banche dati, pubbliche o private, è richiesta trasparenza, soprattutto per quanto riguarda le comunicazioni da inoltrare al consumatore. L’art. 125 prevede che qualora l’esito negativo della verifica sia collegato alla consultazione di banche dati, il consumatore debba essere informato e conoscere gli estremi delle banche dati impiegate. La ratio è collegata all’ipotesi in cui un soggetto viene inserito erroneamente o non viene cancellato, pur avendone diritto, dalla Centrale dei rischi.101
Il finanziatore deve inoltre comunicare preventivamente al consumatore la sua segnalazione nelle banche dati e le relative conseguenze negative.
La diffusione delle informazioni presenti nelle banche dati, relative al livello di indebitamento e alla solvibilità dei consumatori, rafforza la concorrenza nel mercato del credito e previene la formazione di asimmetrie informative tra i diversi operatori finanziari. Inoltre si tratta di dati necessari per l’utilizzo dei sistemi di credit scoring.102
Il “Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti” entrato in vigore il 1° gennaio 2005 103, all’art. 1, lett. h), definisce i sistemi di credit scoring come “programmi informatici basati su un algoritmo e legati a modelli statistici utili a valutare il rischio creditizio”.
Una corretta valutazione della capacità restitutoria del consumatore dipende dalla qualità dei dati impiegati, che si ricavano dai “sistemi di informazioni creditizie”, definiti dall’art. 1, lett. c), del Codice. Si tratta di archivi gestiti da soggetti terzi, diversi dagli intermediari bancari e finanziari che vi partecipano e che trasmettono informazioni sui rapporti di credito instaurati, facendo in modo che diventino conoscibili da tutti i partecipanti (banche, intermediari finanziari e altri soggetti che concedono finanziamenti sotto forma di dilazione del pagamento del prezzo del bene o del servizio). Le informazioni possono riguardare tutti i rapporti creditizi in essere, oppure solamente quelli interessati da inadempimenti.
L’art. 3 specifica che nei data base, per ciascun rapporto di credito, vengono indicati i dati anagrafici, la descrizione del credito e delle modalità di rimborso ed eventuali vicende
101 XXXXXX, X., 2010. La verifica del merito di credito. Obbl. e contr., 12, p. 860.
102 XXXXXXXXXX, X., 2012, cit., p. 101.
103 V. G.U. 23 dicembre 2004, n. 300.
intervenute. I dati devono riguardare il debitore principale e se presenti eventuali coobbligati o garanti. A tutela dei debitori, il trattamento dei dati personali dev’essere finalizzato unicamente alla gestione delle richieste di credito o dei rapporti già in essere e non deve eccedere rispetto a questi scopi.104
Se per la valutazione del merito creditizio il finanziatore si avvale di sistemi automatizzati di credit scoring deve rispettare alcuni principi previsti dall’art. 9 del Codice.
Come per il trattamento dei dati personali, anche l’utilizzo delle tecniche di credit scoring dev’essere funzionale a prevedere la futura performance di pagamento del richiedente o a gestire un credito già erogato. Le comunicazioni devono avvenire unicamente tra il gestore della banca dati e il finanziatore interessato e non vengono trasmesse agli altri operatori. Inoltre periodicamente devono essere controllati e aggiornati gli algoritmi impiegati.
Se al consumatore viene negato il credito dev’essere informato del sistema utilizzato e dei dati considerati nella verifica.105
Utilizzando un sistema di credit scoring si ottiene un punteggio (score) espressivo del “profilo di rischio, affidabilità o puntualità nei pagamenti” del soggetto che richiede il credito.106 Questo permette al finanziatore di classificare il potenziale cliente e formulare un giudizio sulla sua desiderabilità in base ai criteri a cui si attiene per la concessione dei crediti.
104 XXXXXXXX, X., 2005. Il nuovo codice deontologico per le centrali rischi private e le tutele per i consumatori. Matelica (MC): Halley Editrice. Pp. 22-26.
105 XXXXXXXX, X., 2005, cit., pp. 40, 41.
106 Art. 1, lett. h), Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi.
Conclusioni
Nel corso degli anni il credito al consumo è stato interessato da una vivace evoluzione normativa, in linea con i cambiamenti che hanno coinvolto il mercato e i consumatori, sempre più propensi ad usufruire di questa forma di finanziamento.
La promulgazione, nel 1986, della direttiva comunitaria 87/102/CEE, la prima dedicata al credito al consumo, è stata seguita da ulteriori interventi legislativi, che hanno portato all’emanazione dell’ultima direttiva 2008/48/CE.
Le nuove disposizioni in materia sembrano perseguire un duplice obiettivo: rafforzare le tutele offerte ai consumatori, ma anche contribuire allo sviluppo di un unico mercato del credito a livello europeo.
Le innovazioni introdotte sono finalizzate a rendere il consumatore sempre più consapevole e informato sull’operazione che si appresta a compiere, per evitare che questa si riveli insostenibile.
Per questo sono stati potenziati gli obblighi che il finanziatore deve assolvere in fase precontrattuale, propedeutici alla conclusione del contratto, tra i quali emerge la valutazione del merito creditizio del consumatore. Tuttavia questa verifica non è funzionale solamente a supportare il consumatore nella decisione e a prevenire il rischio di un sovraindebitamento, ma è altresì orientata a proteggere il creditore dal rischio di insolvenza del debitore e, nell’ipotesi di cartolarizzazione dei crediti, il mercato finanziario.
Nell’ottica di rendere più edotto il consumatore sono state formulate anche le disposizioni che regolano il costo del finanziamento e la determinazione del TAEG. Con l’emanazione della nuova direttiva sono aumentati i costi da includere nel calcolo del TAEG, proprio per fornire un’informazione più completa al consumatore. Nel contempo al finanziatore è imposto il rispetto di precise regole di corrispondenza tra TAEG pubblicizzato, indicato nel contratto e realmente applicato.
L’obiettivo è quello di corresponsabilizzare consumatore e finanziatore, affinché la stipulazione del contratto di credito non risulti dannosa per le parti.
Tuttavia il consumatore si trova in una posizione di svantaggio informativo ed è da sempre considerato la parte debole nel rapporto con l’operatore finanziario. Per questo, per proteggerlo dalle rilevanti conseguenze economiche derivanti dalla conclusione dell’operazione, gli viene riconosciuta la possibilità di ripensarci e, in caso di pentimento, recedere dal contratto, entro un certo termine dalla stipulazione.
Nonostante le ampie tutele previste a favore del consumatore, talvolta la disciplina comunitaria appare lacunosa. Alcune disposizioni sembrano non offrire una tutela effettiva al
consumatore, che potrebbe subire conseguenze pregiudizievoli. Tra queste la possibilità per il finanziatore, se prevista contrattualmente, di sciogliere unilateralmente i contratti di credito a tempo indeterminato, anche in assenza di una giusta causa.
Per concludere occorre sottolineare che diversi aspetti non sono regolati a livello comunitario e ciascun Stato membro è libero di emanare discrezionalmente disposizioni in merito, che risulteranno divergenti da quelle degli altri Paesi. Questo sembra contrastare con l’obiettivo, prefissato dalla direttiva, di realizzare un’armonizzazione completa delle legislazioni dei Paesi europei in materia di credito al consumo.
Numero di parole (bibliografia esclusa): 14790
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