UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI “XXXXXXXX XX”
Dipartimento di Economia, Management, Istituzioni Dottorato di ricerca in Diritto dell’Economia
XXVI Ciclo
Indirizzo: Diritto previdenziale comparato e riforma dello Stato sociale
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE NEL PUBBLICO IMPIEGO CONTRATTUALIZZATO
Coordinatore:
Ch. mo Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxx
Tutor:
Ch. mo Xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx
Anno 2013-2014
Dottoranda: Dott.ssa Xxxxx Xxxxxxxxx
RINGRAZIAMENTI
Questa tesi, lungi dall’essere il traguardo finale del mio corso di dottorato, è l’espressione di un’esperienza umana e scientifica fecondata dall’incontro con tante persone.
Non posso esimermi dal ringraziale tutte poiché hanno condiviso con me questi anni e questo progetto di ricerca.
Un ringraziamento particolare va innanzitutto al Professore Xxxxx Xxxxxxxx, tutor di questa tesi di dottorato, per la grande disponibilità e cortesia dimostrate, e per tutto l’aiuto fornito con i suoi preziosi insegnamenti.
Un affettuoso ringraziamento è doveroso nei confronti del Professore Xxxxxxx Xxxxxxxx, coordinatore scientifico del dottorato di ricerca in Diritto dell’Economia, e di tutto il collegio dei docenti per il sostegno accordato alle ricerche promosse dai dottorandi.
Un ulteriore ringraziamento va ai colleghi dottorandi per il costante confronto e per i suggerimenti ricevuti.
Infine vorrei anche ringraziare le persone a me più care: la mia famiglia, che durante questo lavoro mi ha seguito con affetto e pazienza, ed infine mio figlio, a cui questo lavoro è dedicato.
INDICE
Introduzione p.10
Capitolo I
Il sistema di previdenza complementare in Italia
1. La nascita della previdenza complementare….……………..…….p.16
2. La previdenza complementare nella riforma del titolo V della Costituzione…………………………………..…………………....p.17
3. Elementi distintivi della previdenza complementare p19
4. Funzionamento della previdenza complementare…………......…..p.25
5. La redditività dei fondi pensione……………………………..……p.26
6. Il regime delle prestazioni……………………………………..…..p.29 7. I vecchi fondi pensione…………..………………….……...……..p.33
8. Commissione di vigilanza sui fondi pensione…………………..…p.35
9. Libro Bianco dell’Unione Europea………….…………..………...p.39
Capitolo II
La previdenza complementare nel pubblico impiego
1. Previdenza complementare nel pubblico impiego e contrattazione collettiva ………………………………………………………....p.42
1.1 La riforma del rapporto di lavoro nel pubblico impiego....……p.43
1.2 (Segue) La prima delega e l’avvio del processo di privatizzazione del pubblico impiego…………………...………….......………p.46
1.3 (Segue). La seconda delega (l. 15.3.1997, n. 59) e il compimento dell’integrazione delle discipline ………………....…………..p.48
1.4 (Segue) la terza delega (l. 4.3.2009, n. 15) e il d. lgs. 27.10.2009, n. 150.……………………………………………..…………...p.51
1.5 L’ambito di competenza della fonte negoziale……………...…p.54
1.6 L’articolazione della struttura contrattuale…………………….p.56
1.7 I soggetti della contrattazione collettiva ….…….…..………....p.59 1.8(Segue) L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni………………………………………………..p.60
1.9 (Segue) Comitati di settore…….………………………………p.66
1.10 (Segue) La parte sindacale……………………...……………p.70
1.11 Il procedimento di contrattazione collettiva………………….p.73
1.12 La contrattazione collettiva integrativa………………………p.77
1.13(Segue) la definizione dei tempi della negoziazione in sede decentrata p.79
1.14 (Segue). La nullità delle clausole integrative e l’applicazione del meccanismo sostitutivo………………………………………p.80
1.15 (Segue). Meccanismi di controllo e pubblicità……………….p.81
1.16 L’efficacia del contratto collettivo…………………………...p.83
2. La normativa di previdenza complementare vigente per il pubblico impiego…………………………………..……..………………….p.85
2.1 Il personale in regime di Tfs………………………………..…p.93 2.2 La disciplina del Tfr…………………….………..…………..p.102
2.3 La trasformazione del TFS in TFR…………………..………p.104
2.4 Il finanziamento delle spese di avvio della previdenza complementare……………………………………………..…….p.108
3. Adesione e governance dei fondi di previdenza complementare nel pubblico impiego…………………..….………………..………...p.112
4. I fondi pensionistici integrativi nel parastato…………..…...……p.115 5. Il ruolo dell’Inpdap……………...……………………..……....…p.119
6. Regime fiscale della previdenza complementare………………...p.128
6.1. (Segue) . Le specificità apportate dal d. lgs. n. 252/2005.......p.132
7. Le differenze tra il regime fiscale e giuridico dei fondi pensione destinati ai dipendenti pubblici e quelli destinati ai dipendenti privati…………………………………………………………….p.136
Capitolo III
I fondi pensione per i dipendenti pubblici
1. Fondo scuola “Espero”………..…………………………………p.149
1.1 Problematiche relative all’avvio di Xxxxxx………..…………p.157
1.2 Organizzazione di Xxxxxx…………………….………………p.161 1.3 Il finanziamento………………………………………………p.168
1.4 Alcuni dati statistici su Espero…….…………………………p.176
1.5 La gestione finanziaria………………………….……………p.182
1.6 Convenienza dell’adesione………………………………..… p.188
2. Fondo Enti Locali e Servizio Sanitario nazionale “Perseo”..……p.190
2.1 Evoluzione del Fondo Perseo……………………...…...……p.198
2.2 Gestione patrimoniale, amministrativa e contabile…..………p.205 2.3 Modalità di adesione…………………………...………….…p.208
2.4 La composizione del fondo Perseo e le sue potenzialità….…p.209
2.5 I vantaggi dell’adesione a Perseo p.213
3. Il fondo pensione per i ministeriali ed il parastato “Sirio”….……p.218 3.1 Modalità di adesione…………...…………………….………p.227
4. Fondi pensione regionali…………………………………………p.230
4.1 Fondo pensione regionale della Valle d’Aosta..…………......p.230
4.1.1 Fondo Cessazione Servizio……..…………...…………p.231
4.1.2 Fondo pensione Fopadiva…….…………..……………p.231
4.2 L’esperienza del Trentino Alto Adige ed il fondo pensione Laborfonds……….…………………………………...……...p.252
4.2.1 Statistiche sull’andamento della gestione…………...…p.267
Bibliografia..............................................................................................p.271
Indice dei grafici e delle tabelle
Tabella 2.1 - Tfr erogato dall’Inpdap a tutti i lavoratori assunti dal 01.01.2001 p.96
Tabella 2.2 - Quote di Tfr………………………………………………p.106 Tabella 2.3 - Trattamenti di fine servizio……………………………....p.107
Tabella 2.4 - Numeri delle attività dell’Inpdap per i fondi pensione operanti per i dipendenti pubblici…………….……………..……..p.127
Tabella 2.5 - Tavola di sintesi delle differenze relative al trattamento
fiscale ……………………………………………..……..p.141
Tabella 2.6 - Tavola di sintesi delle differenze relative al caso morte……………………………………………..……....p.144
Tabella 2.7 - Tavola di sintesi delle differenze relative ai trasferimenti ed ai riscatti………………………………………………..….p.145
Tabella 3.1 - Costi nella fase di accumulo…………………………….p.156 Tabella 3.2 - Ripartizione regionale degli scritti ad Espero al mese di marzo
2006……………………………………………………..p.168
Tabella 3.3 - Ripartizione dei contributi………………………………p.170 Tabella 3.4 - Trasferimenti in entrata ed in uscita da Espero………….p.176 Tabella 3.5 - La raccolta dei contributi………………………………..p.176
Tabella 3.6 - Oneri della gestione amministrativa e finanziaria per l’anno 2010 e 2011…………………………………………..…p.176
Tabella 3.7 - Costi della gestione finanziaria dell’anno 2011 ripartiti per comparto……………………………………………...…p.176
Tabella 3.8 - Composizione degli iscritti ad Espero e confronto con il Comparto (maschi e femmine)………………………...p.176
Tabella 3.9 - Composizione degli iscritti ad Espero e confronto con il Comparto (femmine)………………………………....p.178
Tabella 3.10 - Composizione degli iscritti ad Espero e confronto con il Comparto (maschi)……………………………………p.178
Tabella 3.11 - Composizione per tipologia di contratto ‐ Fondo e Comparto (maschi e femmine) p.179
Tabella 3.12 - Composizione per tipologia di funzione ‐ Fondo e Comparto (maschi e femmine)………………………………..……p.179
Tabella 3.13 - Composizione per tipologia di personale (maschi e femmine)………………………………………..…..p.180
Tabella 3.14 - Rendimento netto annuo Tfr e Paniere..............................p.181
Tabella 3.15 - Valore della quota nei due comparti per gli anni 2010 e 2011…………………………………………………....p.182
Tabella 3.16 - Comparto “Garanzia”. Investimenti per tipologia di strumento finanziario……………………………….…p.185
Tabella 3.17 - Investimenti per area geografica…………………..…….p.185
Tabella 3.18 - Comparto “Crescita”. Investimenti per tipologia di strumento finanziario…………………………..…………………..p.185
Tabella 3.19 - Investimenti per area geografica……………………..….p.186 Grafico 3.20 - Incremento valore quota annuo Comparto Crescita…......p.186 Grafico 3.21 - Incremento valore quota annuo Comparto Garanzia…....p.187
Grafico 3.22 - Confronto rendimenti attesi Comparto Crescita e Garanzia………………………..…………………...p.187
Tabella 3.23 - Lavoratore assunto prima dell’01/01/2001, in regime di TFS……………………………………………..……...p.188
Grafico 3.24 - Vantaggi di Espero………………………………..……..p.189
Tabella 3.25 - Lavoratore assunto dopo il 31/12/2000, in regime di TFR………………………………………..…………p.189
Grafico 3.26 - Vantaggi di Espero………………………..……………..p.190
Tabella 3.27 - Quota Tfr da versare al Fondo Pensione Perseo…………………………………………..…….p.201
Tabella 3.28 - Contributi a Perseo in regime…………………………....p.201
Grafico 3.29 - Dipendenti dei comparti Regioni, AA.LL. e SSN per genere……………………..………………………….p.210
Grafico 3.30 - Dipendenti SSN per genere p.211
Grafico 3.31 - Potenziali aderenti a Perseo per sistema di calcolo della pensione…………………………………..………….p.212
Tabella 3.32- Ripartizione del personale potenzialmente aderente al fondo Perseo……………………………………..…………….p.212
Tabella 3.33 - Distribuzione percentuale del personale a tempo indeterminato dei comparti delle Regioni, EE.LL. e S.S.N…………………………………………..………..p.213
Tabella 3.34 - La convenienza di Perseo in cifre…………………..…..p.217
Tabella 3.35 - Deducibilità dei contributi versati al Fondo Perseo..…....p.217
Tabella 3.36 - Stima della pensione complementare (progetto esemplificativo standardizzato)………………….……...p.217
Tabella 3.37 - Stima della pensione complementare per livello contrattuale personale Enti Locali………………………..…………..p.218
Tabella 3.38 - Contribuzione al Fondo Sirio……………………….…..p.226
Tabella 3.39 - Fondi pensione di ambito regionale per i dipendenti pubblici…..…………………………..……………….p.230
Tabella 3.40 - Comparto Garantito. Investimento per tipologia di strumento finanziario………………………………..……………..p.236
Tabella 3.41- Comparto Garantito. Investimenti per area geografica………………………………………….....p.236
Tabella 3.42 - Comparto Prudente. Investimento per tipologia di strumento finanziario……………………………………..………..p.238
Tabella 3.43 - Comparto Prudente. Investimenti per area geografica…..p.239
Tabella 3.44 - Comparto Dinamico. Investimento per tipologia di strumento finanziario………………………………..……………..p.241
Tabella 3.45 - Comparto Dinamico. Investimenti per area geografica…p.241
Tabella 3.46 - Prospetto riepilogativo della procedura inerente al prelievo della quota associativa……………………………..……p.242
Tabella 3.47 - Quadro normativo riassuntivo……………………..…….p.255
Tabella 3.48 - Rendimento atteso dei comparti p.263
Tabella 3.49 - Rendimenti storici Laborfonds……..……………………p.264 Tabella 3.50 - Costi nella fase di accumulo………………………..…...p.266 Tabella 3.51 - Date di inizio operatività dei comparti Laborfonds……..p.267 Tabella 3.52 - Investimento per tipologia di strumento finanziario…....p.267 Tabella 3.53 - Categoria di emittenti………………………………..…..p.268 Tabella 3.54 - Investimento per area geografica……………………..…p.268 Tabella 3.55 - Investimenti per settori azionari………………………....p.269 Tabella 3.56 - Rendimento medio annuo composto…………..………...p.270
Introduzione
Gli interventi di riforma susseguitisi a partire dai primi anni novanta hanno introdotto modifiche al sistema pensionistico tali da rendere necessaria una trasformazione nel modo di porsi di fronte alla pensione.
La riduzione della tutela pensionistica garantita dalla previdenza obbligatoria operata mediante l’introduzione del metodo contributivo ha imposto al lavoratore la necessità della scelta di un regime di previdenza complementare.
Il presente lavoro ha ad oggetto lo studio della previdenza complementare per i lavoratori del settore pubblico contrattualizzato con particolare riguardo al funzionamento dei Fondi pensione istituiti per i dipendenti pubblici. Il primo obiettivo è quello di considerare quali peculiarità contraddistinguono la previdenza complementare per i pubblici dipendenti rispetto a quella prevista per i dipendenti del settore privato in considerazione anche del decreto legislativo n. 252/2005 (noto come decreto Xxxxxx) che ha innovato la materia; il secondo obiettivo si pone la finalità di capire quali siano i meccanismi posti a regolamentazione di questo nuovo sistema nato ad integrazione della previdenza.
Le particolarità della previdenza complementare per i dipendenti pubblici emergono nitidamente già dalla lettura delle fonti disciplinanti la stessa pertanto non si può comprendere il funzionamento della previdenza complementare per i lavoratori pubblici contrattualizzati senza effettuare un’attenta analisi del decreto legislativo n. 124/1993, della legge n. 388/2000, del decreto legislativo n. 252/2005, delle varie circolari prodotte dall’ Inpdap e delle più recenti deliberazioni in materia di regolamentazione del settore elaborate dalla Commissione di Vigilanza sui Fondi pensione.
Il primo capitolo della tesi individua in maniera puntuale le normative
rivolte alla regolamentazione del settore della previdenza complementare in
genere. Tali interventi normativi sono considerati tracciando la linea evolutiva della previdenza complementare attraverso gli anni del suo sviluppo e considerando anche le implicazioni derivanti a seguito della riforma del titolo V della Costituzione. Si studiano gli elementi distintivi della previdenza complementare, le fonti istitutive e le diverse forme di previdenza. Il contenuto del capitolo primo si sviluppa ulteriormente con l’analisi delle forme che ha assunto la previdenza complementare nel passato e attraverso l’esame delle configurazioni che prenderà nel futuro con l’istituzione dei Fondi pensione regionali e delle forme pensionistiche complementari istituite dagli enti di previdenza. Più specificamente sono analizzati i diversi momenti che scandiscono il funzionamento della previdenza complementare attraverso una disamina della fasi di adesione, accumulo delle risorse ed infine di erogazione delle prestazioni pensionistiche.
Il capitolo prosegue con l’esposizione delle oramai superate forme di previdenza complementare definite “integrative”.
Dall’analisi emerge la necessità dell’adeguamento dei fondi pensione preesistenti alle nuove disposizioni dettate dal D.M. n. 62 del 10 maggio 2007.
Infine vengono illustrate le prerogative della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, importante organismo di tutela della previdenza complementare, che adotta le direttive generali per la regolamentazione del settore.
Il capitolo si conclude con un breve richiamo alla normativa comunitaria in tema di previdenza complementare (Direttiva 2003/41/Ce) e con una sintetica analisi del Libro Bianco delle Pensioni predisposto dalla Commissione Europea.
Dall’esame del testo emerge l’attribuzione di una maggiore importanza alla previdenza complementare con particolare riguardo allo sviluppo di
sistemi pensionistici privati complementari, al potenziamento della sicurezza dei sistemi pensionistici integrativi, al miglioramento dell’operatività transfrontaliera dei fondi pensione nazionali in sintonia con l’evoluzione di un mercato del lavoro flessibile.
Nel secondo capitolo, sulla scorta della considerazione che il contratto collettivo rappresenta per i dipendenti pubblici contrattualizzati la fonte di regolamentazione dei fondi di previdenza complementare, si approfondisce la disciplina della contrattazione collettiva nel settore pubblico al fine di rendere un quadro completo della materia, ampliando, così, anche il campo di indagine.
Nell’analisi, è messo in rilievo che la fonte collettiva, diversamente da quanto avviene nel settore privato, è oggetto di una dettagliata regolamentazione legislativa che ne delinea l’intero processo formativo, tracciandone i confini, la struttura e l’efficacia.
È illustrato, inoltre, come l’articolazione del sistema contrattuale sia di competenza delle parti sociali che, sempre su indicazione del legislatore, provvedono alla definizione dei comparti di contrattazione, della struttura contrattuale, dei rapporti tra i diversi livelli di contrattazione e della durata dei contratti collettivi nazionali ed integrativi.
Successivamente, si passa alla disamina delle fonti e della disciplina della previdenza complementare nel pubblico impiego così come regolamentata nell’ordinamento giuridico italiano.
In particolare, per quanto concerne lo specifico campo di indagine, si osserva come la previdenza complementare per i dipendenti pubblici si fondi su di un passaggio necessario e cioè l’applicazione del Tfr.
Sono stati considerati, inoltre, gli aspetti che contraddistinguono il personale in regime di Trattamento di Fine Servizio con un’analisi delle modalità di calcolo delle diverse indennità di TFS (indennità di buonuscita, indennità premio di fine servizio ed indennità di anzianità); successivamente
viene chiarita la disciplina giuridica del Trattamento di fine rapporto con illustrazione delle modalità di conteggio dello stesso ai sensi dell’art. 4 dell’Accordo Nazionale Quadro del 29 luglio 1999.
Sono poi affrontate le problematiche collegate al meccanismo di gestione virtuale dell’accantonamento di fine rapporto.
In seguito, si considera la governance dei fondi pensione per il pubblico impiego; si rilevano così le modalità di adesione e le norme che ne disciplinano il funzionamento alla luce delle disposizioni contenute nel d. lgs. n. 124/93 e nei successivi decreti ministeriali.
Altre rilevanti questioni esaminate riguardano il trasferimento del montante accantonato e rivalutato al Fondo pensione nel momento della cessazione dal servizio, il riparto delle risorse destinate al finanziamento della previdenza complementare, il versamento ai fondi pensione dei contributi datoriali.
Si compie, poi, una disamina dei fondi pensionistici integrativi nel parastato analizzando i vecchi ed i nuovi vincoli imposti dalle recenti normative.
Parte della trattazione è riservata all’analisi del contributo dell’Inpdap (confluito con legge n. 214/2011 nell’INPS), al quale il legislatore ha assegnato peculiari compiti nella regolamentazione della materia della previdenza complementare. Vengono analizzate le funzioni conferite all’Istituto dalla legge n. 388/2000 e dal DPCM del 2 marzo 2001 con uno sguardo ad alcune problematiche operative che hanno comportato il ritardo nel decollo dei fondi di previdenza complementare per i dipendenti pubblici. Tali cause sono riconducibili alle complessità tecnico finanziarie connesse all’introduzione del trattamento di fine rapporto ed alla sottovalutazione, da parte del legislatore, del bisogno di previdenza
complementare anche per i dipendenti pubblici.
Di indubbio interesse risulta, infine, l’analisi del regime fiscale attribuito alla previdenza complementare con una valutazione che parte dalla disciplina in vigore prima del d. lgs. n. 124/1993 e successive modifiche, per giungere fino al d. lgs. n. 252/2005 che ha introdotto, a decorrere dal 1 gennaio 2008, una nuova disciplina valevole solo per i lavoratori privati. Si sottolineano, dunque, le differenze che emergono dall’analisi dei due regimi fiscali applicabili rispettivamente ai dipendenti pubblici contrattualizzati ed ai dipendenti privati.
Dalla trattazione emerge, quindi, come la carenza di un’organica disciplina regolamentare non abbia consentito l’attuazione per i lavoratori pubblici delle innovative disposizioni previdenziali.
Nel terzo capitolo, si esamina la genesi dei fondi pensione esistenti per i dipendenti pubblici analizzando le rispettive discipline funzionali con una analisi approfondita della procedura istitutiva.
Particolare attenzione è riservata allo studio dei Fondi pensione esistenti per i lavoratori pubblici contrattualizzati: Espero, Perseo e Sirio.
Con riferimento a tali fondi vengono analizzati i poteri degli organi di amministrazione e di controllo presenti nello Statuto e nel Regolamento elettorale.
Specifica attenzione è dedicata allo studio delle problematiche relative all’avvio del Fondo Scuola Espero, accompagnato anche dalla illustrazione e dalla valutazione, sotto il profilo statistico, di alcuni valori numerici riguardanti gli aderenti ad Espero e del patrimonio in gestione.
Segue, poi, la trattazione della gestione previdenziale compiuta da Espero attraverso le sue due linee di investimento: il Comparto CRESCITA ed il Comparto GARANZIA e, in particolare, si evidenziano, sotto un punto di vista strettamente finanziario, le performances economiche ottenute dai gestori.
Una attenta analisi è dedicata anche al Fondo Enti Locali e Servizio Sanitario nazionale “Perseo” ed alle sue possibilità di crescita in considerazione della sua recente operatività (18 settembre 2012). Viene studiata la sua evoluzione con annessa indagine della struttura patrimoniale, finanziaria, amministrativa e contabile.
Anche in questo caso, viene svolta un’analisi economico-finanziaria sulle possibilità di crescita del fondo Perseo e sulle sue future potenzialità.
Infine, attraverso un procedimento di stima, viene rappresentata, in cifre, la convenienza per un dipendente pubblico dell’adesione a “Perseo”.
Si passa, poi, ad illustrare il funzionamento del fondo pensione “Sirio”, operativo dal 19 ottobre 2012, che riguarda il personale dirigente e non dirigente dei Ministeri, degli Enti Pubblici non Economici, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del CNEL, dell’ENAC, delle Agenzie Fiscali, dell’Università, della Ricerca, della Sperimentazione e del Coni.
E’ svolta anche qui l’analisi della convenienza dell’adesione da un punto di vista strettamente economico.
Il capitolo si conclude con un riferimento anche ad alcuni Fondi presenti a livello regionale, quali il Fondo Pensione FOPADIVA per i lavoratori dipendenti residenti nella Regione Autonoma Valle d’Aosta ed il fondo pensione LABORFONDS per i lavoratori dipendenti residenti nella regione Trentino Alto Adige.
Con riferimento a quest’ultima tipologia di fondi, la ricerca termina con una valutazione in ordine alla loro redditività con una particolareggiata raccolta ed illustrazione di dati statistici.
Capitolo I
Il sistema di previdenza complementare in Italia 0.Xx nascita della previdenza complementare.
La previdenza complementare è stata istituita nel nostro paese con il decreto legislativo n. 124 del 21 aprile 19931, che ha introdotto la prima disciplina organica e uniforme per tutte le tipologie di previdenza complementare (collettive ed individuali)2.
La mancanza nel nostro Paese di un sistema di previdenza complementare, era da attribuire all’elevato grado di copertura assicurato dal sistema pensionistico obbligatorio pubblico che a partire dagli anni novanta ha però subito una radicale rivisitazione a causa delle modifiche del sistema di calcolo della pensione.
L’emanazione del d. Lgs. n. 124/1993, tuttavia, non assicurò immediatamente il definitivo decollo del secondo pilastro previdenziale; solo successivamente con la legge di riforma n. 335 dell’8 agosto 1995 fu sancito il ruolo della previdenza complementare come componente dell’intero sistema pensionistico.
Ulteriori interventi di ridisegno ed ampliamento del sistema di previdenza complementare sono contenuti nel d. lgs. del 18 febbraio 2000, n. 47 (riorganizzazione della disciplina fiscale della previdenza complementare ed introduzione dei FIP-Forme Individuali di Previdenza) e nel d. Lgs. n. 252 del 5 dicembre 20053.
1 Anche se alcune forme di previdenza integrativa esistevano già nell’ambito del sistema bancario ma non avevano alcuna regolamentazione di legge.
2 Il decreto 124/1993 all’art. 1 “disciplina le forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale”.
3 Come atti di normazione secondaria ricordiamo: il D.M. n. 673 del 1996 che ha disciplinato i criteri e le modalità di amministrazione delle risorse dei fondi pensione da parte delle società di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare aperto; il D.M. n. 703 del 1996 che regolamenta i criteri ed i limiti di investimento delle risorse dei fondi pensione; il D.M. n. 211 del 1997 ed il D.M. n. 79 del 2007 che contengono norme sui requisiti formali costitutivi, sugli elementi essenziali statutari, sui requisiti di onorabilità e professionalità dei componenti degli organi e sulle procedure per l’autorizzazione all’esercizio
Il d. lgs n. 252/2005, che ha sostituito la precedente disciplina contenuta nel d.lgs. n. 124/1993, rappresenta attualmente la base normativa di riferimento della previdenza complementare italiana.
Il suddetto decreto emanato in attuazione della legge delega n. 243 del 23 agosto 2004, ha posto in essere a partire dal 2007 una complessiva riforma della disciplina della previdenza complementare mediante una revisione delle disposizioni contenute nel d. Lgs. n. 124 del 1993 ricomprendendo in un unico corpo normativo anche le norme fiscali4.
2. La previdenza complementare nella riforma del Titolo V della Costituzione.
Con la riforma del Titolo V della Costituzione l’art. 117 ha attribuito anche alla potestà legislativa concorrente delle Regioni la previdenza complementare5; le stesse sono tenute però a rispettare i principi stabiliti in materia dalla legislazione statale (legge 243/2004 e normativa delegata di dettaglio di cui al d. Lgs. n. 252/2005).
Il d. Lgs. n. 252/20056 prevede, coerentemente con la potestà legislativa concorrente, che le Regioni possono istituire direttamente forme pensionistiche complementari disciplinando con “legge regionale il funzionamento di tali forme, nel rispetto comunque della normativa nazionale di settore”. L’inserimento delle Regioni quali fonti istitutive di forme di previdenza complementare riguarda solo l’ambito dei destinatari
dei fondi pensione gestori di forme di previdenza complementare; il D.M. n. 62 del 2007 contiene le norme di adeguamento dei fondi pensione preesistenti.
4 Per effetto delle disposizioni della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006) le disposizioni in esso contenute, salvo alcune norme di immediata attuazione, sono entrate in vigore il 1 gennaio 2007, rispetto all’originario inizio previsto nel 2008.
5 Per un approfondimento sul tema x. XXXXXXXXXXX M., La previdenza complementare nell’evoluzione dei principi costituzionali, in Rivista del Diritto della sicurezza sociale, Anno XII, 3/2012, 611. L’Autore osserva come i testi riformati del secondo comma dell’art. 117 e del secondo comma dell’art. 120, dettando la nuova disciplina dei rapporti tra Stato, regioni e autonomie locali, scompongono la struttura della prestazione che “concerne” i diritti sociali (previdenza sociale e previdenza complementare), distinguendo, al suo interno, livelli essenziali da livelli non essenziali delle prestazioni.
6 Art. 3, comma 1, lettera d).
privati, per i pubblici dipendenti continua ad esistere la riserva di contrattazione di cui all’art.3 del d. lgs. n. 252/2005 e del d. lgs. n. 124/1993. Come ha precisato la COVIP nelle direttive del giugno 2006, oltre a provvedervi direttamente, resta ovviamente ferma la possibilità delle Regioni di promuovere e favorire lo sviluppo di iniziative di previdenza complementare, in primo luogo attraverso formule che prevedano il
coinvolgimento della contrattazione collettiva.
Tutto ciò ha come conseguenza che le Regioni hanno un potere di regolamentazione che non si limita ai soli fondi da esse istituiti ma anche su altre forme pensionistiche a prescindere dalla fonte istitutiva .
In sintesi le Regioni potranno istituire fondi di previdenza complementare, che saranno sottoposti alla stessa disciplina degli altri fondi di origine negoziale per poteri e limiti7 , con la differenza che la
7 In particolare, per quanto riguarda la natura giuridica dei fondi regionali, considerato che l’art. 1, comma 4, del d. lgs 252/2005 prevede che le forme pensionistiche complementari siano attuate mediante appositi “fondi” ovvero mediante “patrimoni separati”, i fondi regionali, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del dlgs 252/2005, dovranno essere dotati di una propria autonoma soggettività giuridica. Qualora, poi, disciplinino forme pensionistiche riguardanti “categorie, comparti o raggruppamenti, sia per lavoratori subordinati sia per lavoratori autonomi, devono assumere” ai sensi del comma 5, “forma di soggetto” con personalità giuridica “riconosciuto ai sensi del comma 1, lettera b), ed i relativi statuti devono prevedere modalità di raccolta delle adesioni compatibili con le disposizioni per la sollecitazione al pubblico risparmio”. Inoltre, le modalità di gestione delle risorse dei fondi regionali potranno essere disciplinate solo mediante il ricorso ad appositi soggetti gestori, siano essi imprese assicurative ovvero società di gestione del risparmio ovvero ancora società immobiliari. I fondi regionali, inoltre, al pari degli altri, saranno tenuti ad erogare le prestazioni previdenziali da essi previste, secondo le modalità ed i requisiti fissati dalla previdenza obbligatoria di base; requisiti ora “cumulativamente” richiamati in forma omnicomprensiva dall’art. 11 del
d. lgs. 252/2005, il quale afferma che “il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari”. Infine al pari degli altri fondi, anch’essi potranno essere destinatari del conferimento del Tfr maturando da parte dei lavoratori, usufruendo della liberalizzazione avviata dalla riforma della previdenza complementare, che, nel riconoscere nel Tfr maturando quella che dovrà essere la principale fonte di finanziamento delle forme pensionistiche complementari, consente al prestatore di scegliere liberamente il fondo cui contribuite, senza più essere sottoposto ai pregressi limiti determinati dalle scelte datoriali e dalla contrattazione collettiva, anche in ordine alla determinazione dei contributi. Sotto tale profilo ai sensi dell’art. 8, comma 7, del d. lgs.
n. 252/2005, il conferimento potrà avvenire secondo modalità esplicite (a seguito, cioè, della espressa scelta del lavoratore), ovvero secondo modalità implicite, ma in questo secondo caso la destinazione ai fondi regionali è rimessa ad apposita previsione in tal senso da parte degli accordi aziendali in deroga. Questa previsione ripropone, pertanto, anche per tale tipologia di fondi i dubbi e le perplessità connessi al difficile contemperamento tra una liberalizzazione che, per certi versi, sembra portata all’estremo dalla riforma in atto, da un lato, e una limitazione alla libertà individuale così evidente, dall’altro lato, quale consegue al meccanismo del conferimento automatico del Tfr in caso di silenzio-assenso. Con riguardo ai fondi regionali il conferimento tacito acquista ulteriori peculiarità, in quanto, ove previsto, non deriverebbe automaticamente dalla legge ma da appositi accordi aziendali che, come tali non possono non essere noti al lavoratore. In questo modo vengono inevitabilmente a confronto fonti di diversa natura, quelle negoziali espressione dell’autonomia collettiva e quelle regionali espressione di autonomia politico-legislativa.
regolamentazione avverrà con legge e sarà soggetta, oltre ai limiti che già operano per gli altri fondi, anche a tutti i vincoli che condizionano la legislazione regionale concorrente.
Nonostante queste previsioni la legislazione regionale in materia di previdenza complementare, ove esistente, finisce per costituire una sorta di terza fase del procedimento legislativo mentre in base alla riforma del Titolo V ad esse spetterebbe l’attuazione diretta dei principi generali posti dal legislatore statale.
3. Elementi distintivi della previdenza complementare.
La volontarietà ed il sistema a capitalizzazione sono gli elementi caratterizzanti la previdenza complementare.
L’adesione alla previdenza complementare è lasciata alla libera volontà del lavoratore. Infatti anche la formulazione del silenzio-assenso prevista dal d. Lgs. 252/2005, non comporta un obbligo di adesione e lascia libero il lavoratore di esprimere una volontà di non adesione;
Con il sistema a capitalizzazione l’importo della pensione è calcolato sulla base dei contributi versati e sulla redditività degli investimenti effettuati sui mercati finanziati dal fondo pensione.
Sono destinatari delle forme pensionistiche complementari i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, i lavoratori autonomi ed i liberi professionisti, i soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro, nonché i soggetti destinatari del decreto legislativo n. 565/19968.
Possono iscriversi ad una forma di previdenza complementare anche i titolari di redditi diversi da quelli da lavoro nonché i soggetti fiscalmente a carico.
Le forme pensionistiche complementari possono essere costituite da:
- contratti ed accordi collettivi nazionali, territoriali od aziendali;
8 Si tratta di coloro che possono iscriversi volontariamente al fondo di previdenza costituito presso l’Inps per le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari.
- regolamenti aziendali o di enti che non applicano contratti collettivi per la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti;
- disposizioni dei rispettivi ordinamenti ovvero da accordi tra lavoratori, promossi dalle loro associazioni, con riferimento al personale pubblico escluso dalla contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 3,d. Lgs. n. 165/2001;
- accordi tra soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro, promossi da associazioni nazionali di rappresentanza del movimento cooperativo legalmente riconosciute;
- accordi tra soggetti che svolgono attività di cura in ambito familiare (destinatari del decreto n. 565/19969), promossi dai loro sindacati o da associazioni di rilievo almeno regionale;
- società di gestione del risparmio, società di intermediazione mobiliare, banche, compagnie di assicurazione, attraverso fondi pensione aperti;
- compagnie di assicurazione mediante contratti di assicurazione sulla vita; queste possono raccogliere solo adesioni di tipo individuale.
Il d. lgs. n. 252/2005 ha aggiunto le Regioni quali enti abilitati all’istituzione, tramite legge regionale, di fondi di previdenza complementare. Inoltre, l’opportunità di istituire forme pensionistiche complementari è stata concessa anche agli enti e le casse di previdenza obbligatoria di diritto privato.
Con il d.lgs. 252/2005 è stata effettuata una equiparazione tra le diverse forme di previdenza complementare allo scopo di rendere effettivo il diritto di libera adesione e circolazione dei lavoratori ed è stata sancita anche l’obbligatorietà, per tutte le tipologie di fondi pensione10, di costituzione di patrimoni separati a garanzia degli aderenti.
9 Attuazione della delega conferita dall’art. 2, comma 33, legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di riordino della disciplina della gestione “Mutualità pensioni” di cui alla legge 5 marzo 1963, n. 389.
10 L’obbligo non vale solo per i fondi pensione contrattuali ed i fondi aperti ma anche per le forme pensionistiche individuali attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita.
I nuovi fondi pensione sono tutti quelli nati a partire dal d. lgs. n. 124/1993 ora sostituito dal d. lgs. 252/2005, il decreto definisce come “forme pensionistiche complementari collettive”:
- i fondi pensione negoziali sono destinati ad una categoria specifica di lavoratori e possono assumere la forma giuridica dell’associazione riconosciuta o della fondazione11 o anche dell’associazione non riconosciuta12. Se il fondo riguarda un comparto o un raggruppamento di lavoratori con carattere interaziendale, il riconoscimento giuridico è obbligatorio, inoltre, è assente lo scopo di lucro.
Il fondo si doterà di uno statuto13 e di un regolamento elettorale, disporrà di propri organi sociali che gli permetteranno di agire in nome proprio e per conto proprio.
Il consiglio di amministrazione del fondo pensione nomina il responsabile del fondo, lo stesso deve essere in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità previsti da apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze14 , svolge la propria attività in modo autonomo ed indipendente15 controllando che la gestione del fondo sia svolta nell’esclusivo interesse degli aderenti, nel rispetto delle disposizioni di legge.
Lo stesso invia agli organi di controllo e di sorveglianza notizie sull’attività complessiva svolta dal fondo, vigila sul rispetto delle linee di investimento, controlla che l’amministrazione si svolga secondo le buone pratiche e che non vengano effettuate operazioni in conflitto di interessi, agisce al fine di garantire la migliore tutela per gli iscritti, riporta agli organi di amministrazione i risultati dell’attività svolta16.
11 Art. 12 cod. civ.
12 Art. 36 cod. civ.
13 Può aggiungersi un regolamento attuativo.
14 D. M. 15 maggio 2007, n. 79.
15 Art. 5, c. 2, d. Lgs. n. 252/05.
16 Art. 5, c. 2 e 3, d. Lgs. n. 252/2005.
L’incarico di responsabile può essere conferito anche al direttore generale o ad uno degli amministratori del fondo.
- i fondi pensione aperti sono istituiti unilateralmente da intermediari finanziari (vi possono aderire tutti i soggetti). Il fondo pensione aperto è uno strumento di investimento gestito da operatori finanziari autorizzati alla gestione delle risorse dei fondi pensione (banche, Società di Intermediazione Mobiliare, Società di Gestione del Risparmio ed assicurazioni) .
Tale tipologia di fondo è definita aperta poiché a differenza dei fondi negoziali non viene orientato ad una categoria di lavoratori individuati tramite la contrattazione collettiva ma alla generalità dei lavoratori e dei cittadini.
L’adesione ad un fondo aperto è possibile sia in via individuale che collettiva, a partire dal d. Lgs. 252/2005 è stata prevista la possibilità, per i lavoratori dipendenti, di versare anche le quote del Tfr17 (se consentito dalla contrattazione collettiva).
Anche per i fondi aperti è prevista la figura del responsabile che non può ricoprire la carica di amministratore o avere un rapporto di lavoro dipendente con il fondo oppure con la società che ha istituito lo stesso. La normativa prevede inoltre per i fondi pensione aperti l’istituzione di un organismo di sorveglianza composto da due membri designati dai soggetti che hanno istituito il fondo pensione e scelti tra gli amministratori indipendenti iscritti nell’ apposito albo istituito dalla CONSOB, e da un rappresentante per i lavoratori ed un rappresentante per il datore di lavoro nel caso di iscrizione al fondo pensione di almeno cinquecento lavoratori appartenenti ad una stessa impresa o gruppo di imprese18 .
17 Se ciò è consentito dagli accordi di contrattazione collettiva.
18 Art. 5, c. 4 e 5, d. lgs. 252/2005.
L’organismo di sorveglianza si raccorda con il responsabile della forma pensionistica 19e rappresenta gli interessi degli iscritti controllando che la gestione del fondo venga effettuata in modo diligente20 .
- i piani individuali pensionistici (Pip) sono attuati mediante l’adesione a fondi aperti o mediante l’adesione a contratti di assicurazione sulla vita (piani individuali di previdenza – PIP) stipulati con imprese di assicurazione autorizzate dall’Isvap.
L’adesione a questa tipologia di fondi pensione può essere effettuata da tutti i cittadini e non solo dai lavoratori dipendenti.
Infine è stato disposto che le risorse destinate al finanziamento di queste forme pensionistiche complementari devono confluire in un patrimonio autonomo e separato rispetto a quello della compagnia di assicurazione; anche in queste forme pensionistiche deve essere nominato un responsabile.
Il decreto n. 252/2005 (art. 3, comma 1, lett. d)) prevede che le regioni possano istituire direttamente forme pensionistiche complementari. Ci si potrà trovare, pertanto, di fronte a due tipi di forme pensionistiche complementari a dimensione regionale. Nel primo tipo rientrano le forme costituite su base contrattuale secondo lo schema istitutivo dei fondi pensione ad ambito definito (decreto n. 124/1993) che possono essere promossi e sostenuti dalle regioni (questi fondi esistono in Veneto21, in Trentino Alto Adige ed in Valle d’Aosta22). Il secondo tipo, quello introdotto dal decreto n. 252/2005, è nuovo e consiste in forme costituite direttamente
19 Art. 5, c. 6, d. Lgs. 252/2005.
20 La COVIP con Regolamento del 29 maggio 2011 ha emanato delle regole di comportamento che i gestori dei fondi pensione devono seguire nella proposizione dei prodotti previdenziali. Questi infatti devono rispettare l’obbligo di diligenza e trasparenza nei confronti degli aderenti e fornire loro, in una forma comprensibile, indicazioni corrette, chiare e non fuorvianti. Le informazioni devono essere specifiche riguardo ai costi, alle opzioni di investimento ed ai relativi rischi, al fine di consentire ai partecipanti la possibilità di effettuare scelte consapevoli e rispondenti alle proprie esigenze.
21 Solidarietà Veneto è un fondo pensione intersettoriale ed intercategoriale per i lavoratori delle industrie, della piccola industria e dell’artigianato.
22 In queste due ultime regioni sono state emanate apposite leggi di sostegno alla previdenza complementare
dalle regioni e da esse disciplinate con leggi regionali nel rispetto della normativa nazionale.
Le forme istituite dalle Casse dei liberi professionisti23 rappresentano una nuova tipologia di forme pensionistiche complementari introdotte dalla legge n. 243/200424 e non contemplate quindi nel decreto n. 124/1993. Possono essere istituite direttamente, o attraverso la contrattazione collettiva, dagli enti e dalle casse di previdenza obbligatoria di diritto privato, disciplinati dai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 50925 e 10 febbraio 0000, x. 00000. Queste Casse devono garantire la gestione separata delle forme pensionistiche complementari istituite direttamente o tramite accordi o contratti collettivi.
Infine ricordiamo la forma pensionistica complementare residuale presso l’Inps.
In caso di mancata indicazione della forma pensionistica complementare di destinazione del trattamento di fine rapporto entro i termini fissati dal decreto n. 252/2005 (sei mesi dall’entrata in vigore ovvero dalla costituzione del rapporto di lavoro se successiva all’entrata in vigore del decreto), ed in assenza di una forma pensionistica complementare di riferimento costituita su base negoziale, a decorrere dai termini prima richiamati le quote di Tfr affluiscono presso una forma pensionistica complementare costituita presso l’Inps (art. 9)27.
Questa nuova forma introdotta dal decreto n. 252/2005 è integralmente disciplinata dalle disposizioni contenute nel decreto stesso.
23 Si tratta delle casse e degli enti a cui sono iscritti i liberi professionisti appartenenti agli ordini, albi ed elenchi professionali.
24 Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 222 del 21 settembre 2004.
25 Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza.
26 Attuazione della delega conferita dall’art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, n. 335 in materia di tutela previdenziale obbligatoria dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione.
27 Denominata FONDINPS.
Pertanto la gestione delle risorse avverrà secondo i criteri indicati dall’art. 628, comma 1 (gestione convenzionata con soggetti abilitati ovvero acquisizione diretta, entro determinati limiti, di quote ed azioni di società immobiliari o di quote di fondi immobiliari o mobiliari chiusi); i valori saranno affidati ad una banca depositaria e l’erogazione delle rendite potrà avvenire mediante convenzione con compagnie di assicurazione ovvero in forma diretta nel rispetto dei criteri e delle condizioni fissate dalla COVIP.
La posizione costituita presso questa forma pensionistica complementare può essere trasferita presso altra forma prescelta dal lavoratore in qualsiasi momento e prima del compimento del periodo minimo di permanenza di due anni valevole per le altre forme pensionistiche complementari.
Inoltre i fondi pensione non possono gestire direttamente le risorse loro affidate ma devono incaricare della stessa società di intermediazione mobiliare29, imprese assicurative30, società di gestione del risparmio31, enti previdenziali32.
4. Funzionamento della previdenza complementare.
Il funzionamento della previdenza complementare è scandito dalle tre fasi dell’adesione, dell’accumulo e dell’erogazione della prestazione.
Nella fase di adesione e di raccolta delle risorse finanziarie il soggetto aderisce volontariamente, tramite la compilazione di un modulo di adesione, al fondo pensione con contestuale accensione di un conto individuale. L’adesione è preceduta dalla consegna all’aderente dell’apposita
28 L’organo di amministrazione è individuato in un comitato in cui è assicurata un’adeguata partecipazione ai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, secondo un criterio di pariteticità. Alle nomine dei componenti del comitato provvede il Ministro del lavoro e delle politiche sociali scegliendoli tra soggetti che abbiano maturato una particolare esperienza nel settore della previdenza complementare e che siano in possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità ed indipendenza stabiliti per gli amministratori delle forme pensionistiche complementari .
29 Legge n. 1/1991, ora d. lgs. n. 58/1998.
30 Legge n. 742/1986, ora d. lgs. n. 209/2005.
31 Legge n. 77/1983, ora d. lgs. n. 58/1998.
32 Art. 1, legge n. 88/1989.
documentazione, del regolamento del fondo e della nota informativa al fine di poter permettere le valutazioni circa le modalità di contribuzione, la frequenza dei versamenti, le modalità di investimento ed i costi.
Le fonti di finanziamento della previdenza complementare sono rappresentate dai contributi versati dal lavoratore, dai contributi versati dal datore di lavoro e dal Tfr.
Nella fase di accumulo le risorse presenti nel conto individuale sono investite sui mercati finanziari generando così rendimenti variabili in base alle politiche di investimento scelte dal fondo pensione.
Infine nella fase di erogazione viene corrisposta all’aderente una rendita che maturerà a seguito del raggiungimento dei requisiti anagrafici e contributivi previsti dal regime previdenziale obbligatorio pubblico.
In base alla contribuzione effettuata ed alle prestazioni ottenute avremo fondi pensione a contribuzione definita dove l’entità della contribuzione, da versare periodicamente al fondo, è definita con precisione mentre l’entità della prestazione non è conosciuta in quanto legata sia all’entità delle contribuzioni che all’andamento degli investimenti sui mercati finanziari; e fondi pensione a prestazione definita dove non viene stabilita a priori l’entità della contribuzione ma piuttosto l’entità della prestazione che viene collegata al livello del reddito ed al trattamento pensionistico obbligatorio33. A questa tipologia di fondi possono aderire solo i lavoratori autonomi ed i liberi professionisti che percepiscono una retribuzione più elevata e mutevole che si presta meglio alla contribuzione variabile legata alla politica di investimento del fondo pensione.
5. La redditività dei fondi pensione.
Nella previdenza complementare, così come avviene per la previdenza obbligatoria, la trasformazione del capitale in una rendita avviene applicando
33 L’ammontare dei versamenti sarà periodicamente aggiornato in base a determinati calcoli attuariali e finanziari.
i cosiddetti coefficienti di conversione, i quali sono calcolati in modo da garantire, per le età tipiche del pensionamento, l’uguaglianza tra montante dei contributi e valore attuale medio delle future prestazioni (compresa, se prevista, la reversibilità). Più alta è l’età al pensionamento maggiore sarà l’entità della rendita (è utile ricordare che gioca un ruolo fondamentale la mortalità della popolazione italiana).
I coefficienti di conversione della rendita complementare sono affidati al mercato in cui non vi è solidarietà assicurativa tra uomini e donne, tranne in qualche caso, e quindi sono differenziati, oltre che per età, anche per sesso.
Passando ora all’esame degli elementi di calcolo bisogna precisare che le rendite complementari non sono distribuite direttamente dal fondo pensione ma vengono erogate da una compagnia di assicurazione attraverso la stipula di una convenzione con il fondo stesso. Eventuali errori nella determinazione delle probabilità di morte utilizzate nella tariffazione di un prodotto di rendita può esporre la compagnia di assicurazione ad un particolare tipo di rischio assicurativo: il longevity risk34.
Si tratta del rischio di sottostimare le probabilità di sopravvivenza ossia il pericolo che l’evoluzione futura della sopravvivenza non rifletta la tendenza ipotizzata. Per ridurre il longevity risk già dagli anni 70 le compagnie di assicurazione adottavano tavole di mortalità proiettate, cioè tavole di mortalità costruite estrapolando l’andamento della mortalità dall’esperienza passata e cercando di prevederne l’evoluzione futura. Le
34 Il decreto legislativo del 25 gennaio 2010, n. 5 pubblicato in G. U. n. 29 del 5.2.2010 (decreto di recepimento della direttiva comunitaria 2006/54/CE sul divieto di discriminazione nei luoghi di lavoro, che ha riguardato anche le forme pensionistiche collettive) vieta le discriminazioni nell’erogazione delle rendite in base al sesso. In particolare all’art.1, c. 2, in merito ai dati e ai fattori attuariali si afferma: “La fissazione di livelli differenti per le prestazioni è consentita soltanto se necessaria per tener conto di elementi di calcolo attuariale differenti per i due sessi nel caso di forme pensionistiche a contribuzione definita. Nel caso di forme pensionistiche a prestazioni definite, finanziate mediante capitalizzazione, alcuni elementi possono variare sempreché l’ineguaglianza degli importi sia da attribuire alle conseguenze dell’utilizzazione di fattori attuariali che variano a seconda del sesso all’atto dell’attuazione del finanziamento del regime”. Il decreto inoltre attribuisce alla COVIP il compito di controllare la corretta applicazione della parità di trattamento in base al sesso. Nel caso del settore assicurativo il decreto legislativo di recepimento della normativa comunitaria ha attribuito questo controllo all’Isvap.
tavole di mortalità proiettate maggiormente utilizzate in Italia sono l’RG4835 e l’IPS5536. In particolare anche l’Inpdap nel suo sito istituzionale, nel motore di simulazione (che consente la valutazione della convenienza all’opzione/adesione alla previdenza complementare) e nell’applicativo P 3 (Piano Pensionistico Personale)37, in cui fornisce una proiezione della pensione futura di primo e secondo livello, utilizza la tavola di mortalità IPS55.
Solitamente la rendita da previdenza complementare si considera una rendita vitalizia individuale non reversibile ma esistono anche diverse opzioni che garantiscono al lavoratore la reversibilità della stessa.
- La rendita semplice viene pagata al pensionato finché in vita. Il pagamento della rendita termina al momento del decesso del pensionato. Non è prevista alcuna reversibilità a favore di soggetti diversi dal pensionato.
- La rendita certa per 5 anni o 10 anni e poi vitalizia viene corrisposta per un periodo minimo di 5 anni o 10 anni anche se nel frattempo sopravviene il decesso del pensionato. In caso di premorienza la rendita è pagata agli eredi o beneficiari designati. Se il pensionato vive anche dopo i primi cinque o dieci anni gli viene comunque pagata la rendita vitalizia.
- La rendita reversibile viene liquidata al pensionato finché è in vita e, dopo il suo decesso, al beneficiario da lui designato se ancora in vita. Il pagamento della rendita termina con il decesso del beneficiario.
L’importo della rendita reversibile dipende dall’età del beneficiario designato (se si indica come beneficiario, ad esempio, un figlio minorenne, l’importo della rendita sarà rapportato anche alla aspettativa di vita del
35 L’ RG 48 rappresenta le tavole di mortalità della Ragioneria Generale dello Stato riferita alla generazione dei nati nell'anno 1948. Su queste tavole che attestano il grado di sopravvivenza e durata media della vita della popolazione italiana, si basa il rapporto tra versamenti effettuati e pensioni erogate.
36 L’IPS 55 rappresenta la base demografica desunta dalla pubblicazione dell’ISTAT "Previsioni della popolazione residente per sesso, età e regione dal1.1.2001 al 1.1.2051” del 2002 al fine del calcolo dei tassi di mortalità della popolazione maschile e femminile residente nel nostro paese.
37 E’ un applicativo web, aggiornato sulle ultime novità normative sulla maturazione del diritto a pensione, che consente di stabilire quando si raggiungono i requisiti della pensione basati sull’evoluzione della speranza di vita.
minorenne), dal sesso del beneficiario designato in ragione della diversa aspettativa di vita dei maschi rispetto alle femmine, dalla percentuale di reversibilità richiesta.
- La rendita con contro assicurazione per la restituzione del montante residuale presenta un pagamento immediato al pensionato finché in vita ma garantisce la restituzione, ai beneficiari indicati dal pensionato, del capitale che rimane dopo il decesso del pensionato.
- La rendita con maggiorazione per perdita di autosufficienza (copertura Long Term Care): prevede il pagamento immediato al pensionato ma garantisce, nel caso in cui nel corso del suo godimento il pensionato diventi non autosufficiente per il compimento degli atti quotidiani di vita (alzarsi da solo, vestirsi da solo, lavarsi da solo, mangiare da solo, eccetera), il raddoppio della rendita iniziale secondo le condizioni stabilite nel contratto.
Alla rendita complementare viene infine applicato, come per tutti i prodotti assicurativi, un tasso tecnico di rivalutazione che riveste un ruolo di fondamentale importanza in quanto riflette il rendimento della gestione assicurativa nel tempo.
6. Il regime delle prestazioni.
La previdenza complementare regolata dal d. Lgs. n. 124/1993 come modificato dal d. Lgs. n. 252/2005 si realizza con l’erogazione di prestazioni per vecchiaia38 o per anzianità39 ed eventualmente per morte40 ed invalidità; la tipologia di prestazioni è determinata nell’atto costitutivo o nello statuto e
38 Sono consentite al compimento dell’età pensionabile stabilita dal regime obbligatorio di appartenenza con un minimo di cinque anni di partecipazione al fondo pensione.
39 La pensione di anzianità è stata abolita dalla manovra economica “Salva Italia” del governo Xxxxx. A seguito di tale riforma, è possibile andare in pensione solo dopo aver maturato i requisiti anagrafici di "vecchiaia", cioè solo dopo aver raggiunto l'età prevista per la pensione di vecchiaia. Al posto della pensione di anzianità c'è ora la pensione anticipata: chi vuole andare in pensione prima dell'età di vecchiaia, può farlo, se ha una certa "anzianità contributiva" ma in tal caso subisce una penalizzazione: l'importo della pensione viene tagliato dell'1 per cento per ciascun anno di anticipo rispetto ai requisiti di vecchiaia. Le regole precedenti alla riforma suddetta sono rimaste in vigore solo per chi aveva maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2011.
40 In caso di morte del lavoratore iscritto al fondo pensione prima del pensionamento per vecchiaia, la posizione individuale è riscattata dal coniuge ovvero dai figli o, se già viventi a carico dell’iscritto, dai genitori; in mancanza di tali soggetti la posizione resta acquisita al fondo.
possono essere erogate solo a seguito del raggiungimento dei requisiti minimi prescritti di età e di contribuzione previsti dalla legge.
Il decreto 252/2005 ha previsto la fusione in un’unica prestazione pensionistica delle attuali prestazioni pensionistiche di vecchiaia e di anzianità, stabilendo che il diritto si consegue alla maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche stabiliti dal regime obbligatorio di appartenenza41, con almeno cinque anni di partecipazione alla forma pensionistica complementare.
Il livello della pensione percepita sarà il risultato dei contributi versati sul conto individuale e dalla somma dei relativi rendimenti; la legge prevede che le prestazioni pensionistiche possano essere erogate sotto forma di rendita o sotto forma di capitale solo fino al limite del 50% del montante finale accumulato; vi è una sola eccezione in cui la rendita può essere erogata tutta in forma di capitale nel caso in cui la conversione in rendita del capitale accumulato sia inferiore al 50% dell’assegno sociale42.
Inoltre lo statuto del fondo deve prevedere, nel caso in cui vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare, il trasferimento della quota presso altro fondo pensionistico complementare (nel caso in cui il lavoratore cambi attività) ovvero il trasferimento ad un fondo aperto o il riscatto della posizione individuale.
Gli altri diritti prima del pensionamento sono l’anticipazione, i trasferimenti ed i riscatti.
L’anticipazione è prevista dopo otto anni di permanenza nel fondo per specifiche motivazioni. Questa può essere richiesta, in qualsiasi momento43, per un importo non superiore al 75% del montante maturato nel caso di spese sanitarie connesse ad interventi e terapie conseguenti a gravi situazioni relative all’aderente, al coniuge ed a i figli; ovvero decorsi otto anni
00 X. XXXXXXXX, Xx sistema pensionistico dopo la legge n. 214/2001, in Rivista del diritto della sicurezza sociale, Anno XII, n. 1/2012, 28.
42 Art. 7, c. 6, d. Lgs. n. 124/1993 ed art. 11, c. 3, d Lgs. n. 252/2005.
43 Modifica apportata dal decreto 252/05.
dall’iscrizione al fondo, per un importo non superiore al 75 %, per l’acquisto della prima casa di abitazione per l’aderente o per i figli o per la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia, oppure per un importo non superiore al 30% per ulteriori esigenze dell’aderente.
Le possibilità di anticipazione sono previste anche per i congedi formativi, per la formazione continua e per i congedi parentali.
Le somme anticipate possono essere reintegrate in qualsiasi momento con contribuzioni annuali.
In caso di perdita dei requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare44, l’aderente può richiedere il trasferimento della propria posizione presso un’altra forma pensionistica complementare cui acceda in relazione alla nuova attività lavorativa, ovvero chiedere il riscatto dell’intera posizione maturata, ottenendo il capitale accumulato45.
La COVIP con la partecipazione delle Organizzazioni a vario titolo esponenziali del comparto della previdenza integrativa46 ha definito, il 24 aprile 2008, una sorta di best practice definite nelle Linee Guida sulla gestione dei trasferimenti47.
L’obiettivo è quello di stabilire norme di comportamento e standard di efficienza minimi garantendo agli aderenti stessi l’ottimizzazione dei tempi di evasione della richiesta di trasferimento avanzata e la completezza dei dati informativi48.
Sono state inoltre vietate le strutture di costo, quali commissioni di entrata elevate, che ostacolano la mobilità tra fondi e rendono più difficili i confronti.
44 Cessazione del rapporto di lavoro.
45 Versamenti più rivalutazioni.
46 Assoprevidenza, Xxx, Ania, Assofondipensione, Assogestioni, Mefop.
47 L’adesione alle Linee Guida deve essere pubblicizzata da parte delle singole forme pensionistiche sia sul proprio sito internet che su un apposito sito istituzionale dedicato, individuato nel sito xxx.xxx.xxx.xx del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, e nelle more della sua realizzazione, nel sito di Mefop.
48 L’Aderente ad una forma pensionistica complementare ha diritto a trasferire l’intera posizione individuale maturata ad altra Forma pensionistica complementare cui abbia già aderito, decorso il periodo minimo di permanenza presso il Fondo Cedente.
I riscatti possono essere parziali, nella misura del 50% della posizione individuale maturata49, quando vi siano casi di cessazione dell’attività lavorativa che comportino la disoccupazione per un periodo oltre i dodici mesi50 fino a quarantotto mesi, e di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità51, cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria; totali, quando il periodo di disoccupazione supera i quarantotto mesi o vi sia una invalidità permanente che comporti la riduzione dell’idoneità lavorativa a meno di un terzo. Il riscatto totale non è consentito nel caso manchino meno di cinque anni alla maturazione del diritto alla prestazione pensionistica52.
Nelle direttive generali alle forme pensionistiche complementari del
28 giugno 2006, la COVIP ha ritenuto ammissibile che gli statuti ed i regolamenti delle forme pensionistiche complementari contengano tipologie di riscatto in linea con le causali di perdita dei requisiti di partecipazione ammesse fino all’entrata in vigore del decreto 252/2005, anche in base a previsioni della contrattazione collettiva.
E’ utile ricordare che le posizioni pensionistiche individuali accumulate presso i fondi sono insequestrabili, incedibili ed impignorabili.
Sono invece sequestrabili, cedibili e pignorabili le prestazioni pensionistiche, in capitale ed in rendita, e le anticipazioni per spese sanitarie di carattere straordinario53.
49 Per un approfondimento sul tema x. XXXXX X., Previdenza complementare e disciplina del riscatto, in
Diritto & pratica del lavoro, n. 42/2012, 2675.
50 La COVIP, richiamando gli Orientamenti interpretativi del 28 novembre 2008, ritiene che il periodo di dodici mesi di cassa integrazione a zero ore debba essere continuativo, non reputandosi ammissibile, ai fini del riscatto, il cumulo di più periodi di cassa integrazione inferiori ad un anno.
5151 La COVIP ritiene che il lavoratore licenziato e posto in mobilità possa legittimamente esercitare la facoltà di riscatto totale della posizione ex art. 14, comma 5 oppure chiedere il riscatto parziale ai sensi dell’art. 14, comma 2, lett. b). Nel primo caso il riscatto sarà fiscalmente più oneroso in quanto l’imposta sostitutiva è pari al 23%, nel secondo caso esso sarà fiscalmente agevolato.
52 In questi casi il lavoratore può richiedere, ai sensi dell’art. 11 del d. Lgs. n. 252/05, un’anticipazione della prestazione.
53 Entro gli stessi limiti previsti per le pensioni obbligatorie e disciplinati dal DPR 5 gennaio 1950 n. 180 e successive modifiche.
Non sono soggetti a nessun vincolo i crediti relativi alle somme per riscatti e per anticipazioni per l’acquisto e la ristrutturazione della casa di abitazione nonché per le altre esigenze dell’aderente.
7. I vecchi fondi pensione.
I fondi pensione preesistenti, catalogati dalla normativa come quelle forme pensionistiche complementari istituite ed operative prima del 15 novembre 199254, rappresentano una componente particolarmente rilevante del nostro sistema previdenziale.
L’importanza va rinvenuta sia in termini di numerosità degli strumenti che come consistenza degli aderenti e del patrimonio gestito. Alla fine del 2010, secondo i dati contenuti nella Relazione annuale della COVIP, i fondi preesistenti erano 375, di cui 245 dotati di soggettività giuridica (cosiddetti autonomi) e 130 posti nel bilancio dell’impresa in cui sono occupati i destinatari dei fondi stessi (cosiddetti interni); di questi ultimi, 110 risultavano interni a banche, 7 a imprese assicurative e 13 a società non finanziarie55.
Così come riportato nel Bollettino statistico del Mefop n. 42 di dicembre 2011, gli iscritti al 30 novembre 2011 erano 667.000 con un tasso di adesione stimato pari al 90% rispetto alla platea potenziale, con un patrimonio di 42.100 milioni di euro. Il settore dei preesistenti è dal 2007 in continua evoluzione per un duplice ordine di motivazioni. In primo luogo per l’attivazione di lento ma costante processo di razionalizzazione, sotto l’egida dell’Autorità di Vigilanza, sviluppatosi in particolare attraverso operazioni di scioglimento e concentrazione.
Secondo le rilevazioni della Covip relative al 2010, i fondi preesistenti cancellati dall’albo sono stati 16 e 30 quelli per i quali, alla fine del
54 Queste forme pensionistiche sono comunemente definite “preesistenti” (art. 18, d. Lgs. n. 124/1993, ora art. 20 e 23, d. Lgs. n. 252/2005).
55 Per un approfondimento sul tema x. XXXXX, Fondi pensione preesistenti: processo di adeguamento, in
Diritto & pratica del lavoro, n. 15/2012, 986.
medesimo anno, risultavano ancora in corso procedure liquidatorie con l’estinzione delle posizioni degli iscritti ovvero il trasferimento delle stesse ad altre forme pensionistiche complementari.
Il processo di razionalizzazione che negli anni passati aveva interessato quasi esclusivamente i fondi autonomi, comincia ora ad estendersi anche ai fondi interni, in particolare a quelli di natura bancaria.
In parallelo i fondi pensione preesistenti hanno intrapreso poi un graduale percorso di adeguamento alla normativa di cui al d. lgs. n. 252/2005.
In considerazione dell’eterogeneità e delle peculiarità dei fondi pensione preesistenti, la disciplina ha previsto per tali forme pensionistiche l’allineamento al modello degli organismi previdenziali di nuova istituzione secondo un processo scadenzato temporalmente.
In una breve descrizione dell’evoluzione temporale del percorso di adeguamento, è utile in primo luogo richiamare la circolare Covip 17 gennaio 2008 nella quale si auspicava l’adozione di Statuti e Note informative conformi allo schema adottato per i fondi pensione di nuova istituzione. Venendo a tappe più recenti, la Covip ha inviato il 20 maggio 2010 a tutti i fondi pensione preesistenti una specifica Comunicazione, che si poneva l’obiettivo di rammentare la scadenza, il 31 maggio 2010, dell’adeguamento alle disposizioni in materia di limiti agli investimenti previsti dall’art. 6, comma 13, lettere a), b), c-bis) del d. lgs. n. 252/2005 e alle disposizioni di cui al D.M. n. 703/1996.
Tale adempimento, dettagliato dal Decreto del Ministero dell’economia 10 maggio 2007, n. 62 richiedeva che tutte le forme pensionistiche in oggetto verificassero la compatibilità dei propri ordinamenti statutari o regolamentari con quanto previsto dalle norme sopra citate.
Con riferimento ai più recenti adempimenti, il primo, con decorrenza
31 maggio 2012, ha riguardato la gestione convenzionata e la banca depositaria. Al riguardo viene infatti in rilievo l’art. 5, comma 6, del D.M. n. 62/2007, in base al quale i fondi pensione preesistenti sono tenuti ad adeguare i propri statuti alle altre disposizioni dell’art. 6 (regime delle prestazioni e modelli gestionali) e dell’art. 7 (banca depositaria) del d. lgs. n. 252/2005, “ove compatibili con il modello gestionale adottato”, entro 5 anni dalla data di entrata in vigore dello stesso D.M. n. 62/2007.
Tale decreto individua criteri e modalità di adeguamento dei fondi pensione “preesistenti” alla disciplina del d. Lgs. n. 252/2005 e le relative deroghe in funzione di esigenze relative all’equilibrio tecnico del fondo; al conferimento del TFR ai fondi pensione “preesistenti”; alla disciplina della normativa in tema di conflitti d’interesse dei fondi pensione “preesistenti”.
A seguito di tale decreto la COVIP ha emanato una direttiva che stabilisce che i fondi pensione che intendono essere destinatari del conferimento del TFR dovranno obbligatoriamente essere configurati secondo il regime della contribuzione definita, avere soggettività giuridica e provvedere alla istituzione della linea finanziaria garantita56 .
8. Commissione di vigilanza sui fondi pensione.
La COVIP57, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, rappresenta un importante organismo di tutela del settore della previdenza complementare; essa è soggetta a sua volta alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, di concerto con il Ministero
56 Infine, in data 2 marzo 2012, la COVIP ha indirizzato, ai fondi preesistenti, la circolare n. 868 con cui ha fornito chiarimenti in merito all’adeguamento in materia di banca depositaria. L’Authority precisa in primo luogo come debba ritenersi obbligatorio sicuramente tale adeguamento nel caso in cui le risorse siano affidate in gestione convenzionata esterna.
57 La COVIP è stata istituita con decreto 124/1993 senza personalità giuridica e presso il Ministero del lavoro.
dell’economia e delle finanze, adotta le direttive generali per la regolamentazione del settore della previdenza complementare.
I principali compiti della COVIP sono:
- Approvare gli statuti ed i regolamenti delle forme pensionistiche complementari;
- Autorizzare all’esercizio dell’attività i fondi pensione;
- Verificare il rispetto dei criteri di individuazione e ripartizione del rischio;
- Definire, d’intesa con le autorità di xxxxxxxxx, gli schemi tipo di contratti tra fondi e gestori;
- Controllare le convenzioni di gestione delle risorse;
- Garantire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti;
- Fornire chiarimenti sugli aspetti generali della disciplina della previdenza complementare;
- Garantire la sana e prudente gestione delle forme pensionistiche complementari;
- Esercitare il controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale, contabile delle forme pensionistiche complementari58;
- Indicare i criteri omogenei per la determinazione del valore del patrimonio dei fondi e della loro redditività;
- Utilizzare gli strumenti conoscitivi e di impulso alle attività dei fondi;
- Pubblicare e diffondere studi ed informazioni utili alla diffusione della conoscenza della previdenza complementare;
- Programmare ed organizzare ricerche e rilevazioni nel settore della previdenza complementare;
- Riferire periodicamente al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, formulando anche proposte di modifica legislativa in materia.
A tal fine la COVIP dispone di poteri di normazione secondaria, può convocare presso di sé gli organi di amministrazione e controllo dei fondi
58 Possono essere effettuate ispezioni presso i fondi pensione, richiedendo l’esibizione di documenti (bilanci e rendiconti) e di atti necessari al compimento dell’attività di controllo.
pensione e può richiedere notizie ed informazioni a Pubbliche Amministrazioni59.
In virtù dei suddetti poteri di normazione la COVIP è periodicamente intervenuta con molteplici circolari indirizzate alle forme pensionistiche complementari con la finalità di tenere sotto controllo lo stato di salute del settore della previdenza integrativa60.
Le più recenti ed importanti sono la Deliberazione del 31 ottobre 2006 con cui è stata stabilita l’obbligatorietà per i fondi pensione di fornire informazioni sul tasso di movimentazione annuale del portafoglio titoli61; la circolare n. 7068 del 6 dicembre 2008 con la quale è stato esplicitata la necessità, per i fondi pensione, di comunicare tempestivamente eventuali situazioni di turbolenza finanziaria che possano mettere a rischio la stabilità del sistema62; la circolare n. 2320 del 29 aprile 2010 in relazione ai titoli emessi dalla Repubblica Greca e presenti nel portafoglio titoli dei fondi pensione; la circolare n. 386 del 27 gennaio 2012 con la quale si precisava il comportamento che gli Organi di amministrazione devono adottare con particolare riferimento ai titoli da inserire e mantenere in portafoglio63.
Altrettanto nuove sono le disposizioni COVIP sulle politiche di investimento adottate, dopo un procedimento di pubblica consultazione, a partire dal 22 luglio 2011.
59 I dati, le informazioni e le notizie acquisite dalla COVIP sono tutelati dal segreto d’ufficio.
60 Per un approfondimento sulle più recenti circolari emanate dalla COVIP in tema di previdenza complementare si x. XXXXX, Previdenza integrativa e gestione finanziaria, in Diritto & pratica del lavoro, n. 16/2012, 1028.
61 I dati vanno inseriti nella sezione “Informazioni sull’andamento della gestione” al punto A “Le politiche di investimento e la gestione dei rischi” illustrando sinteticamente il significato dell’indicatore.
62 Obbligo di segnalazione via e mail all’indirizzo di posta elettronica: xxxxxxxxxxx.xxxxxxxx@xxxxx.xx con indicazione del numero di iscrizione all’albo e lo denominazione della forma pensionistica.
00 X. XXXXX, Xxxxxxxxxx integrativa e liberalizzazioni, in Diritto & pratica del lavoro, n. 20/2012, 1300. L’Autore si sofferma, in merito alle modalità da utilizzare ai fini dell’inserimento dei titoli nel portafoglio degli investimenti, anche sulle regole di comportamento che i fondi pensioni devono seguire nella gestione dello stesso.
Tali disposizioni forniscono istruzioni sui criteri a cui le forme pensionistiche complementari e le relative società istitutrici devono attenersi nella definizione della politica di investimento64.
L’obiettivo è quello di indirizzare i fondi pensione nell’adozione di una corretta strategia degli investimenti tale da comportare efficienti combinazioni rischio-rendimenti, coerenti con i bisogni previdenziali degli aderenti; i fondi devono definire la politica di investimento attraverso la redazione di un Documento circostanziato sugli obiettivi da realizzare nella gestione finanziaria, sui criteri con i quali prevedono di attuarla, sui compiti e le responsabilità dei soggetti coinvolti, sulla modalità con cui intendono gestire il controllo del rischio e la valutazione dei risultati65.
I fondi pensione hanno avuto l’obbligo di adeguarsi a queste disposizioni entro il 31 dicembre 2012, se il numero degli iscritti al 31 dicembre 2011 era superiore a 1.000 ed entro il 31 dicembre 2013 se alla stessa data il numero degli iscritti era inferiore a 1.000.
Il documento deve essere sottoposto a revisione periodica almeno ogni 3 anni.
Infine per rendere possibile, da parte degli aderenti ai fondi pensione, il confronto tra le diverse opportunità di previdenza complementare, è stato reso obbligatorio da parte della COVIP, il calcolo e la pubblicazione dell’Indicatore sintetico di costo (ISC) che esprime l’ incidenza dei costi sull’ammontare della posizione maturata per ciascun anno di partecipazione al fondo.
Si tratta di un Indicatore che fornisce una rappresentazione immediata dell’incidenza dei costi sostenuti durante la fase di accumulo.
64 In attuazione di quanto previsto dall’art. 6, commi 5-ter e 5-quater del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, introdotti dall’art. 1, comma 1 del D. Lgs. n. 28 del 6 febbraio 2007 in recepimento dell’art. 12 della Direttiva 2003/41/Ce.
65 Con riferimento ai soggetti chiamati a svolgere “La funzione finanza” la COVIP ribadisce la necessità che gli stessi debbano possedere un elevato livello di professionalità, di conoscenze e di esperienza, oltre a caratterizzarsi per l’assoluta indipendenza rispetto a chi è incaricato della gestione.
L’indicatore è calcolato secondo una metodologia unica ed analoga per tutte le forme di previdenza complementare di nuova istituzione; in particolare è dato dalla differenza tra due tassi di rendimento: quello relativo a un ipotetico piano di investimento che non prevede costi e il tasso interno di un piano che li considera66.
L’ISC viene riportato per diversi periodi di permanenza nella forma previdenziale (2, 5, 10 e 35 anni) poiché alcuni costi67 hanno un impatto che diminuisce con il tempo al crescere della posizione individuale maturata.
I costi presi in considerazione sono il costo di iscrizione, la spesa annua, le commissioni in percentuale sul patrimonio; viene considerato nel calcolo anche il costo per il trasferimento della posizione individuale68.
Restano esclusi tutti i costi che presentano carattere di eccezionalità o che sono collegati ad eventi o situazioni non prevedibili a priori69.
Sul sito della COVIP70 viene inoltre pubblicato l’elenco dell’ISC e dei rendimenti dei fondi pensione negoziali, dei fondi pensione aperti e dei Pip attuati mediante contratti di assicurazione sulla vita.
Infine l’ultimo aggiornamento statistico, pubblicato dalla COVIP per il quarto trimestre 2012, indica un rendimento medio dei fondi pensione negoziali dell’8,2% a fronte di una rivalutazione del Tfr al netto dell’imposta sostitutiva pari al 2,9%.
9. Libro Bianco dell’Unione Europea.
In materia di previdenza complementare è stato pubblicato dalla Commissione Europea, in data 16 febbraio 2012, il Libro Bianco delle
66 Al netto del prelievo fiscale.
67 Costo di iscrizione, spesa annua in cifra fissa o in percentuale sui versamenti.
68 Tranne che per l’indicatore a 35 anni dove vale l’ipotesi di pensionamento.
69 Costi legati all’esercizio di prerogative individuali o quelli derivanti dalle commissioni di incentivo eventualmente previste per la gestione finanziaria.
70 xxx.xxxxx.xx. L’aggiornamento statistico pubblicato dalla COVIP per ilo quarto trimestre.
Pensioni nel quale l’Unione Europea delinea un piano strategico per il conseguimento di pensioni adeguate, sicure e sostenibili71.
In concomitanza con il 2012 (Anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni) il Libro bianco prende le mosse dai risultati di un'ampia consultazione avviata nel luglio 201072, proponendo di:
- sviluppare sistemi pensionistici privati complementari incoraggiando le parti sociali a porre in atto provvedimenti in tal senso ed invitando gli Stati membri all’ottimizzazione degli incentivi fiscali e di altro genere;
- potenziare la sicurezza dei sistemi pensionistici integrativi, anche mediante una revisione della direttiva sugli enti pensionistici aziendali o professionali con il miglioramento dell’ informazione rivolta ai consumatori;
- rendere le pensioni integrative compatibili con la mobilità, varando leggi a tutela dei diritti pensionistici dei lavoratori mobili73 e promuovendo l'istituzione di servizi di ricostruzione delle pensioni in tutta l'UE;
- incoraggiare gli Stati membri a promuovere vite lavorative più lunghe, correlando l'età della pensione con la speranza di vita, limitando l'accesso al pre-pensionamento e eliminando il divario pensionistico tra gli uomini e le donne;
71 In data 21 maggio 2013 il Parlamento Europeo ha adottato il Libro Bianco sulle Pensioni, concludendo il percorso avviato nel 2010 dalla Commissione UE, con la pubblicazione del Libro Verde sulle Pensioni: verso un sistema adeguato e sostenibile. Nel documento sono contenute indicazioni per rendere i sistemi di primo pilastro finanziariamente equilibrati e in grado di offrire prestazioni adeguate, tra cui la definitiva affermazione della previdenza complementare e l'aumento dell'età di pensionamento.
72 X. XXXXX, Pensioni UE e Libro Bianco, in Diritto & pratica del lavoro, n. 13/2012, 851. In merito l’Autore osserva che il Libro Bianco detta in primo luogo “i principi cardine, costituiti dalla sostenibilità finanziaria dei regimi previdenziali e dalla adeguatezza delle prestazioni erogate”.
73 In merito è utile ricordare la sentenza della Corte di giustizia europea, sezione terza, del 10 marzo 2011, causa C-379/09 nella quale la Corte afferma che: “il giudice nazionale ha l’obbligo di dare alla disciplina contenuta in un contratto collettivo, anche in materia di previdenza complementare, un’interpretazione ed un’applicazione conformi dell’art. 45 TFUE, sia pure nel rispetto dei limiti stabiliti alla sua discrezionalità dal suo ordinamento nazionale; tale obbligo si traduce nel divieto per il giudice nazionale di interpretare e applicare le disposizioni del contratto collettivo in modo che la disciplina della maturazione dei diritti a pensione complementare in esse contenuta possa sfavorire i lavoratori che si siano avvalsi del loro diritto alla libera circolazione rispetto ai lavoratori sedentari, perché anche soltanto la mera prospettiva di siffatto svantaggio potrebbe avere l’effetto di dissuadere i lavoratori dallo spostarsi a lavorare in un altro Stato membro, così ostacolando l’esercizio della libertà garantita dall’art. 45 TFUE”.
- continuare a monitorare l'adeguatezza, la sostenibilità e la sicurezza delle pensioni e sostenere le riforme pensionistiche negli Stati membri.
La Commissione europea ha inoltre stabilito che presenterà a breve una iniziativa che mira a migliorare la qualità dei prodotti pensionistici74 ed a perfezionare l’informazione e le norme di protezione dei consumatori nonché, eventualmente, un regime di certificazione Ue per tali prodotti75.
74 Le riforme dei sistemi pensionistici sono valutate nell'ambito della Strategia Europa 2020.
75 Tale regime certificatorio risulterà ispirato alle misure adottate nel 2012 per migliorare l’informazione dei consumatori sui “prodotti di investimento preassemblati” (packaged retail investment products – PRIPs).
Capitolo II
La previdenza complementare nel pubblico impiego.
1. Previdenza complementare nel pubblico impiego e contrattazione collettiva.
L’art. 3, 2° co., d. lgs. n. 124/1993 statuisce che: “per il personale di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo.”. Viene definito, così, uno degli elementi di specificità della previdenza complementare per il settore pubblico76.
Anche l’art. 3, 2° co., d. lgs. n. 252/2005 dispone: “per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo”.
Il diverso regime di efficacia soggettiva ed oggettiva della contrattazione collettiva pubblica rispetto al settore privato comporta l’applicazione di regole istitutive dei fondi pensione diversi per i due settori.
Queste caratteristiche del settore pubblico creano una vera e propria riserva di contrattazione di livello nazionale per l’istituzione delle forme pensionistiche complementari dei dipendenti “contrattualizzati” 77, mentre nel settore privato sono consentite forme molto varie che vanno dagli accordi fra lavoratori ai regolamenti unilaterali di enti o aziende.
76 I fondi pensione dei dipendenti pubblici cosiddetti contrattualizzati possono essere istituiti per mezzo di contratti collettivi nazionali di comparto ovvero da contratti di secondo livello ma solo nell’eventualità che la contrattazione collettiva nazionale abbia demandato a questi ultimi la regolamentazione della materia. Anche i contratti collettivi di comparto delle Regioni e delle Province autonome a statuto speciale, titolari di competenza concorrente in materia di ordinamento del personale e previdenza complementare, possono prevedere l’istituzione di forme di previdenza complementare per i dipendenti pubblici.
77 X. XXXXXX, La previdenza complementare dei dipendenti pubblici, in Diritto della sicurezza sociale,
anno 2002, 139.
Al fine di rendere un quadro completo sulle linee evolutive e di sviluppo della previdenza complementare nel settore pubblico contrattualizzato, ci si sofferma, quindi, sulle caratteristiche della contrattazione collettiva e dei soggetti coinvolti nel suo iter formativo.
1.1 La riforma del rapporto di lavoro nel pubblico impiego.
L’attuale disciplina applicata al lavoro nelle amministrazioni pubbliche è il risultato di un complicato processo di riforma che si è posto l’obiettivo di uniformare la disciplina del lavoro pubblico con quella del settore privato.
La ricostruzione dell’iter normativo non può non considerare la legge che ha rappresentato il primo riconoscimento di una fase negoziale nella disciplina del lavoro pubblico.
Il riferimento è alla legge 29 marzo 1983, n. 93 (c.d. legge quadro sul pubblico impiego)78 che legittima le organizzazioni sindacali a definire con l’amministrazione una ipotesi di accordo collettivo destinata ad essere recepita in un regolamento governativo.
I limiti di questo intervento sono noti: nulla cambiava nel sistema delle fonti e nella individuazione delle categorie giuridiche deputate a disciplinare la materia; il rapporto di lavoro nasceva sempre in forza di un atto unilaterale di tipo autoritativo (atto di nomina) rispetto al quale il consenso del lavoratore era considerato una mera condizione di efficacia.
Si è trattato di un inizio del processo riformatore che si sarebbe avviato negli anni ‘90 al quale è stato riconosciuto il merito di aver dato il via alla graduale delegificazione della materia.
78 La legge quadro sul pubblico impiego è stata oggetto di numerosi commenti, per un esame complessivo della stessa v. XXXXXXXX, XXXX (a cura di), Commentario alla legge 29 marzo 1983, n. 93, in Leggi civ. comm., 1984, 783. Per una riflessione sui modelli normativi che hanno caratterizzato il mondo del pubblico impiego prima della trasformazione attuata con il d. lgs. n. 29/1993, x. XXXXXXXX, Le fonti di disciplina del rapporto di lavoro pubblico, Padova, 1990.
La radicale rivisitazione delle categorie giuridiche poste a fondamento della regolamentazione del rapporto di lavoro è stata resa possibile da una diversa lettura dell’art. 97 della Costituzione.
A questo proposito è stato sostenuto che la riserva di legge imposta dal dettato costituzionale non comporta necessariamente una riserva di regime pubblicistico. Se è indubbio che l’organizzazione debba rispondere ai requisiti fissati dal 1° co. dell’art. 97 cost. (imparzialità e buon andamento), i modi per conseguire tale risultato possono essere assai diversi79, con l’unico vincolo per il sistema di fissare “un quantum (di variabile entità) di regolamentazione80” idoneo comunque a soddisfare, nella sostanza, il precetto costituzionale che impone un ruolo di incisivo controllo da parte del Parlamento nella definizione degli assetti organizzativi delle pubbliche amministrazioni ivi compresa la disciplina del rapporto di lavoro dei suoi dipendenti.
Si avviava così il processo riformatore con una prima legge delega (art. 2, legge 23 ottobre 1992, n. 421) attuata con il d. lgs. 3 febbraio 1993,
n. 29, seguita da una seconda delega (legge 15 marzo 1997, n. 59) e tre decreti legislativi di attuazione81 che hanno trovato, provvisoriamente, un organico punto di riferimento nel d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Infine nel 2009 è stata emanata una terza legge delega (legge 4 marzo 2009, n. 15) cui ha fatto seguito il d. lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 di attuazione, che rivisita in modo significativo la materia delle fonti e delle relazioni sindacali.
79 La tesi è ampiamente trattata da ORSI XXXXXXXXXX, Fonti normative e regime giuridico del rapporto di impiego con enti pubblici, in Giornale dir. Lav. e relaz. Ind., 1993, 463, cui si rinvia per ogni ulteriore approfondimento in ordine al ridimensionamento della portata del precetto contenuto nell’art. 97, 1° co., cost.. Per una riflessione sul ruolo che comunque ha svolto ed è destinata a svolgere la riserva di legge imposta in materia di organizzazione degli uffici dall’art. 97 cost. x. XXXXXXXX, op. cit., specie capitolo I. Non è mancato in dottrina chi ha sostenuto che, in questa materia, il d. lgs. n. 29/1993 (oggi n. 165/2001 andrebbe fortemente ridimensionato, poiché “anche nel lavoro pubblico deve essere l’autonomia collettiva a fondare la propria legittimazione ad intervenire per regolare le condizioni di lavoro“ (CASSESE, Per un’autentica contrattualizzazione del lavoro con le amministrazioni, in Giornale dir. amm., 1997, 790).
80 ORSI XXXXXXXXXX, op. cit., 463.
81 D. lgs. 4 novembre 1997, n. 396, d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e d. lgs. 29 ottobre 1998, n. 387.
Gli assetti definiti con gli interventi del 2009 non sono destinati ad assestarsi, l’intenzione è quella di apportare alcune significative modifiche finalizzate a ridare vita al ruolo e la funzione dell’organizzazione sindacale che è stato fortemente ridimensionato dall’insieme delle norme contenute nel d. lgs. n. 150/2009.
Nel mese di maggio 2012 il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, le Regioni, le Province, i Comuni e le organizzazioni sindacali hanno sottoscritto un Protocollo d’intesa sul lavoro pubblico82 nel quale concordano sulla opportunità di adottare “una serie di interventi, normativi e contrattuali”, concernenti, tra l’altro, “un nuovo modello di relazioni sindacali83”.
Ad essere condivisa è l’opportunità di un intervento legislativo che, fermo quanto statuito dall’art. 2, 3° co., d. lgs. n. 165/2001, abbia ad oggetto l’individuazione della contrattazione collettiva come “fonte deputata alla determinazione dell’assetto retributivo e di valorizzazione dei lavoratori pubblici”.
E’ previsto, inoltre, che le organizzazioni sindacali vengano coinvolte nei processi di mobilità, di qualificazione e formazione del personale e di razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni.
Le parti convengono, poi, sulla necessità che l’intervento riguardi “l’individuazione, nell’ambito delle materie di informazione sindacale, anche di ipotesi di esame congiunto tra pubbliche amministrazioni e organizzazioni sindacali”84.
82 Il testo dell’accordo del 4 maggio 2012 è riportato nel sito xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx.
83 Gli interventi riguardano: ”la razionalizzazione e la semplificazione dei sistemi di misurazione, valutazione e premialità, nonché del ciclo della performance; nuove regole riguardanti il mercato del lavoro nel pubblico impiego; i sistemi di formazione del personale; la dirigenza pubblica, rafforzandone ruolo, funzioni e responsabilità al fine di garantirne una maggiore autonomia rispetto all’autorità politica”.
84 Allo stato si registra un unico intervento legislativo che costituisce una prima attuazione degli impegni assunti con l’accordo descritto. Nel d. l. 6.7.2012, n. 95, convertito con modificazioni nella l. 7.8.2012, n. 135, l’art. 2, 17° co., ha apportato alcune modifiche all’art. 5, 2° co., d. lgs. n. 165/2001, che disciplina il potere di organizzazione delle amministrazioni, recependo uno degli impegni contenuti nell’accordo quadro con riferimento al potenziamento del ruolo dell’organizzazione sindacale. A seguito di questa recente rivisitazione, il dirigente pubblico, nell’esercizio del suo potere direttivo in materia di gestione dei rapporti di lavoro, non potrà limitarsi alla sola informazione alle organizzazioni sindacali, ma dovrà avviare con le
1.2 (Segue). La prima delega e l’avvio del processo di privatizzazione del pubblico impiego.
Il legislatore del 1992, raccogliendo le istanze sempre più insistenti provenienti dal mondo sindacale, ha deciso di attrarre nell’ambito del diritto del lavoro la regolamentazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni che era disciplinato dal diritto amministrativo.
Il meccanismo utilizzato per raggiungere l’obiettivo è stato individuato nella modifica del sistema di produzione normativa: non è più l’atto amministrativo deputato a disciplinare il rapporto di lavoro e la sua organizzazione, ma il contratto e l’atto unilaterale di diritto comune.
Il perno di tale modello è costituito dall’art. 2, d. lgs. 29/199385: il 2° co. dell’articolo citato dispone che “i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del Capo I, Titolo II, Libro V del Codice Civile e dalle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa, salvi i limiti stabiliti dal presente decreto per il perseguimento degli interessi generali cui l’organizzazione e l’azione amministrativa sono indirizzate”; il 3° co. opera un espresso rinvio al contratto individuale e a quello collettivo deputati a disciplinare questa tipologia di rapporto di lavoro subordinato secondo regole e modalità previste dallo stesso decreto legislativo.
La disciplina dell’organizzazione della pubblica amministrazione, nel rispetto della riserva di legge di cui all’art. 97. Cost., continua ad essere regolata da “disposizioni di legge o di regolamento ovvero, sulla base delle
stesse un “esame congiunto” secondo modalità e regole preventivamente fissati dalla contrattazione collettiva nazionale.
85 Il decreto delegato è stato emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che detta le linee di fondo nel rispetto delle quali attuare la trasformazione dell’impiego pubblico in un rapporto di lavoro subordinato di diritto privato. I principi di delega più rilevanti ai fini della riforma riguardano: a) la riconduzione dell’impiego pubblico sotto la disciplina del diritto civile e la sua regolamentazione mediante contratti individuali e collettivi; b) i criteri di rappresentatività per le organizzazioni sindacali ai fini della contrattazione collettiva e strumenti per la rappresentanza negoziale della pubblica amministrazione; c) la devoluzione al giudice ordinario delle controversie di lavoro; d) la riforma della dirigenza pubblica; e) l’indicazione di materie e categorie di dipendenti esclusi dalla riforma.
medesime, mediante atti di organizzazione” (così dispone il 1° co dell’art. 2, d. lgs n. 29/1993).
La grande novità della riforma parte proprio dal momento genetico del rapporto: analogamente a quanto accade nel settore privato, questo nasce con la stipulazione di un contratto individuale, nel rispetto delle regole dettate dal codice civile.
Le conseguenze della nuova normativa sono evidenti: cambia l’ambiente giuridico di riferimento, non più costituito dal diritto pubblico, ma dal diritto privato, e si modifica profondamente il rapporto tra le parti, che diventa paritario, venendo meno ogni forma di supremazia speciale in capo alla pubblica amministrazione.
Il legislatore delegato ha, dunque, statuito l’incondizionato ingresso del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa nella disciplina del rapporto di lavoro pubblico, nel rispetto di alcuni limiti espressamente contenuti nello stesso decreto.
Il nuovo sistema delle fonti, così come delineato nella legge delega e nei successivi tre decreti legislativi di attuazione86, consente sicuramente di affermare che si è verificato il mutamento della natura giuridica del rapporto con le pubbliche amministrazioni. Ciononostante non può sicuramente sostenersi che si è in presenza di un modello unico di rapporto di lavoro subordinato, valido sia per il settore privato che per quello pubblico.
Sempre sul piano delle fonti troppe diversità connotano il contratto collettivo pubblico rispetto a quello privato: la procedura di contrattazione è troppo legificata, la sua struttura è eccessivamente centralizzata, persiste ancora una incisiva presenza, in sede di controllo, della Corte dei Conti e del giudice amministrativo.
86 L’originario testo del d. lgs. 3.2.1993, n. 29 è stato successivamente modificato con due decreti correttivi: 18.11.1993, n. 470 e 23.12.1993, n. 546.
1.3 (Segue). La seconda delega (l. 15.3.1997, n. 59) e il compimento dell’integrazione delle discipline.
Le criticità sopra evidenziate hanno determinato, nel giro di quattro anni, un ulteriore intervento del legislatore che sottopone l’intero impianto ad una nuova riforma all’insegna del perfezionamento del processo avviato con la legge delega n. 421/1992 e con i decreti delegati del 1993.
Il legislatore nel 199787 ha riaperto l’originaria delega invitando il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi al fine di:
”completare l’integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato e la conseguente estensione al lavoro pubblico delle disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro privato nell’impresa”88.
Quella che è stata definita la “seconda privatizzazione” del pubblico impiego si inserisce in una legge delega di più ampia portata che investe l’intero sistema amministrativo destinato ad abbandonare la sua vocazione centralista per rimodellarsi, avendo come punto di riferimento il decentramento ed il potenziamento dei governi locali.
Uno dei momenti centrali che continua ad attrarre l’attenzione del legislatore delegante è costituito ancora dal sistema delle fonti.
Ogni questione sulla permanenza di possibili forme di specialità nella disciplina del rapporto di lavoro viene definitivamente risolta eliminando dall’art. 2, 2° co., d. lgs. n. 29/1993 ogni riferimento al perseguimento degli interessi generali cui è indirizzata l’azione amministrativa.
87 Xxxxx Xxxxxxxxx: legge 15 marzo 1997, n. 59 avente ad oggetto la delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa; legge 15 maggio 1997, n. 127 con oggetto misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.
88 Art. 11, 4° co., lett. a), legge n. 59/1997. I nuovi principi di delega riguardano l’estensione del regime di diritto privato all’intera dirigenza pubblica, ferme restando le altre esclusioni di cui all’art. 2, 4° e 5° co., d. lgs. n. 29/1993, una rivisitazione delle procedure di contrattazione, con rivalutazione del ruolo della contrattazione integrativa e riordino e potenziamento dell’Aran, il perfezionamento del cambio della giurisdizione, le procedure di consultazione con le organizzazioni sindacali.
Si perfeziona il modello delle fonti, sia unilaterali che contrattuali, con l’obiettivo di individuare meglio l’area in cui i soggetti operano nell’esercizio delle loro capacità di diritto privato e di favorire l’autonomia delle singole amministrazioni, valorizzando la funzione dirigenziale e il ruolo del contratto collettivo aziendale.
La seconda delega, che ha sicuramente accelerato il processo di privatizzazione del pubblico impiego, ha prodotto tre decreti legislativi, il primo emanato nel novembre del 1997 (d. lgs. n. 396/97), il secondo nel marzo del 1998 (d. lgs. n. 80/98) e il terzo nell’ottobre dello stesso anno il (d. lgs. n. 387/98)89.
L’intero processo di riforma era destinato ad essere trasfuso in un testo unico che poi non è stato realizzato in quanto il d. lgs. n. 165/2001 non si configura tecnicamente come un testo unico, secondo le originarie indicazioni espresse dal legislatore90, ma dispone una nuova numerazione degli articoli del d. lgs. n. 29 del 1993, limitandosi, in tre allegati finali, ad indicare le norme abrogate da altre leggi e dalla prima tornata contrattuale relativa al quadriennio 1994-1997.
Un tratto significativo di questa seconda riforma è costituito dall’erosione del regime pubblicistico anche in un altro settore della materia: quello dell’organizzazione dei pubblici uffici.
Nella fase di avvio della riforma era netta la linea di demarcazione tra i poteri di gestione del rapporto di lavoro e quelli di gestione dell’organizzazione: i primi erano certamente collocati nell’ambito del diritto privato, mentre i secondi continuavano ad essere sottoposti per intero al diritto pubblico.
89 L’intero processo di riforma, a partire dai lavori preparatori riguardanti la seconda delega (art. 11, l. n. 59/1997 per arrivare alla fase di stesura del testo dei decreti legislativi di attuazione, è raccolto nel volume, Riforma del lavoro pubblico e riforma della pubblica amministrazione, a cura di D’Xxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000.
90 X. xxx. 0, x. x. 00/0000 xxxxxxxxx poi all’art. 1, 8° co., l. n. 340/2000.
Il legislatore della seconda privatizzazione riusciva a ricondurre nell’ambito del diritto civile anche i poteri di gestione dell’organizzazione, con la sola esclusione dei rami alti della pubblica amministrazione che continuavano, invece, ad essere sottoposti all’area del diritto pubblico.
I poteri di organizzazione venivano suddivisi in due categorie, da una parte i rami alti dell’organizzazione (c.d. macro-organizzazione), dall’altra quelli bassi (c. d. micro-organizzazione): i primi assoggettati al diritto pubblico, i secondi al diritto privato.
In particolare veniva stabilito in dettaglio quali attività fossero da considerarsi sottoposte al diritto pubblico: alle amministrazioni pubbliche compete la definizione, secondo i principi generali fissati dalle disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, delle “linee fondamentali di organizzazione degli uffici”, nonché l’individuazione degli “uffici di maggiore rilevanza”, dei “modi di conferimento della titolarità dei medesimi” e, infine, “delle dotazioni organiche complessive”91.
Le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro sarebbero state assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro92.
Un’ulteriore modifica consisteva nell’ampliamento dell’ambito di applicazione della fonte collettiva in favore di una generalizzata competenza della disciplina collettiva che “si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali” (art. 40, d. lgs. n. 165/2001).
91 Art. 2, comma 1, d. lgs. n. 165/2001.
92 Art. 5, 2° co., d. lgs. n. 165/2001.
1.4 (Segue). La terza delega (l. 4.3.2009, n. 15) e il d. lgs. 27.10.2009, n.
150.
Quando sembrava che il processo di riforma si fosse definitivamente concluso, è sopraggiunta una nuova poderosa tranche di modifiche legislative, in un segno, questa volta, decisamente inverso a quello che ha caratterizzato, in particolare, la delega del 1997.
La spinta determinante di tale rimaneggiamento è stata la constatazione che il progetto riformatore fosse scaduto, nella prassi, in uno sconfinamento della contrattazione collettiva oltre gli ambiti concessi. Il legislatore ha, dunque, ripensato all’assetto del sistema delle fonti e delle relazioni sindacali, in funzione del contenimento degli spazi riservati alla fonte negoziale.
Con l’intervento della legge n. 15 del 4.3.2009 e del d. lgs. di attuazione n. 150 del 27.10.2009 è stato portato a termine un processo di rivisitazione della materia traducibile in un certo rigetto del processo riformatore culminato nel d.lgs. n. 165/2001.
Il legislatore delegante con l’art. 1, l. n. 15/2009 modifica direttamente l’art. 2 del d.lgs. n. 165/2001 che disciplina l’articolato sistema delle fonti ed interviene sul rapporto tra legge e contrattazione collettiva modificandone il delicato equilibrio.
La chiave di volta della nuova sistemazione delle fonti è contenuta nell’ultimo periodo del 2° co. dell’art. 2 (così come modificato dalla legge n. 15/2009), in materia di derogabilità delle disposizioni di legge, regolamento o statuto, che prescrivono discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia circoscritta ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche o a actegorie di essi, ad opera delle fonti collettive.
Prima della legge del 2009 era stabilito che i successivi contratti o accordi collettivi avessero la possibilità di derogare alle leggi, o anche alle disposizioni di rango secondario che intervenivano sulla disciplina del
rapporto dei pubblici dipendenti, le quali diventavano non ulteriormente applicabili per la parte derogata, salvo il caso che fosse la legge a disporre specificatamente una volontà contraria93.
Nella sistemazione risultante dalla nuova riscrittura, il meccanismo è capovolto e, insieme a questo, anche il ruolo assegnato alle fonti del rapporto.
La nuova enunciazione della norma prescrive che la deroga delle disposizioni di legge, regolamento o statuto, non è più riservato alla discrezionalità della fonte collettiva, ma sottoposto ad un’autorizzazione espressa contenuta all’interno dello stesso atto normativo che autorizza a disapplicare quanto disposto94.
L’intervento risulta in controtendenza rispetto alle precedenti fasi della riforma, nelle quali era la legge a fare un passo indietro, a fronte dell’attribuzione di un ruolo di risalto alla fonte collettiva95.
Con l’odierna sistemazione della disciplina è la derogabilità della norma a dover essere oggetto di specifica menzione96.
In ogni caso è bene comunque precisare che tale intervento di aperto ridimensionamento del peso della contrattazione collettiva nella gerarchia delle fonti non ha determinato la ripubblicizzazione del rapporto di lavoro ma piuttosto una nuova legificazione della materia con cui il legislatore ha
93 Prima della riscrittura ad opera della legge delega n. 15/2009, la norma stabiliva che: “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”.
94 Il 2° periodo dell’art. 2, ° co., d. lgs n. 165/2001, nella formulazione risultante all’esito delle modifiche operate dall’art. 1, 1° co., l. n. 15/2009, statuisce che: ”Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge”.
95 Si legga a riguardo XXXXXXX, Prove generali di riforma del lavoro pubblico, in Giornale dir. Lav. e relaz. ind., 2009, 241. L’Autore sottolinea che la nuova disposizione “assume un significato strategico (…) giacché suona come un giudizio critico rispetto all’impostazione della riforma degli anni ’90 che aveva sostanzialmente contrattualizzato la gran parte della regolamentazione del lavoro pubblico riconoscendo una competenza preminente della fonte negoziale e una funzione residuale di quella legale”.
96 In questo senso x. XXXXXXX, La privatizzazione del pubblico impiego alla prova del terzo governo Xxxxxxxxxx: dalla legge 133/2008 alla legge 15/2009, in Lavoro nelle PA, 2008, 961.
sottratto “alla competenza generale del contratto collettivo le materie una volta indicate nell’ambito di competenza di quest’ultimo dal vecchio testo dell’art. 40, d. lgs. n. 165/2001 poi modificato con la novella del 2009”97.
Alla base dell’ultima riscrittura vi è la convinzione che l’unico modo possibile per favorire l’efficienza e la produttività del lavoro pubblico consista nell’adozione di un mutamento dei contenuti legislativi, che fondi le sue basi su un orientamento fortemente limitativo nei confronti della contrattazione collettiva.
Il senso dell’inversione di rotta si ricava anche da altre integrazioni volute dal legislatore: nell’art. 2 e precisamente nel co. 3 bis, è previsto che le clausole contrattuali che violino o eccedano le norme fissate dalla legge siano sostituite di diritto dalla clausola legale98.
Il meccanismo sanzionatorio così come strutturato dal legislatore opera a prescindere dal fatto che la divergenza con la norma di riferimento (legge o contratto collettivo nazionale) determini un trattamento migliorativo o peggiorativo per i dipendenti.
Si tratta di un capovolgimento del tradizionale rapporto tra legge ed autonomia collettiva. Ed infatti, in tale settore l’inderogabilità assoluta prevista dalla legge e, di conseguenza, la nullità delle clausole contrattuali difformi servono a presidiare gli “interessi generali e di rango costituzionale” della pubblica amministrazione99.
00 X. XX XXXXXXX, Xx lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: dalla riforma alla controriforma. Il sistema delle fonti, in Mass. Giur. Lav., 2011, 129.
98 Il co. 3 bis dell’art.2, d. lgs. n. 165/2001 [inserito dall’art. 33, 1° co. lett. c), d. lgs. n. 150/2009] stabilisce che nelle ipotesi “di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva”, si applichino gli artt. 1339 e 1419, 2° co., c.c.
99 PISANI, La vera novità sistematica della riforma “Brunetta”: il ridimensionamento dell’autonomia collettiva, in Mass. giur. lav., 2010, 147.
1.5 L’ambito di competenza della fonte negoziale.
La fonte collettiva, diversamente da quanto avviene nel settore privato, è oggetto di una specifica regolamentazione legislativa che ne traccia i confini, la struttura, l’efficacia e l’intero procedimento formativo.
La norma cardine è costituita dall’art. 40, d. lgs. 165/2001 che nel 1° co. si preoccupa di definire l’ambito di intervento della fonte collettiva.
La disposizione prende l’avvio individuando le materie contrattabili e, a tal fine, fissa lo spazio d’azione della fonte negoziale contenendolo attraverso una duplice elencazione “esclusiva”: da una parte, si prevedono materie per le quali la contrattazione è preclusa; dall’altra, si indicano materie nelle quali la negoziazione è consentita, ma negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge.
Il quadro delineato si presenta alquanto complesso: una prima parte accorda alla contrattazione collettiva la competenza nella determinazione di quei diritti e di quegli obblighi imputabili direttamente al rapporto di lavoro; una seconda parte, presenta una chiara e puntuale indicazione degli ambiti preclusi alla contrattazione ovvero alla stessa consentiti, ma soltanto negli spazi autorizzati dalla fonte unilaterale100.
La valutazione d’insieme della previsione normativa consente di condividere il giudizio di chi ha ritenuto che la nuova sistemazione della materia abbia prodotto, nel complesso, l’effetto di restringere l’ambito di competenza prima assegnato alla negoziazione101.
Ma, come già osservato, la nuova disposizione delle materie contrattabili non si esaurisce col primo periodo della disposizione. Segue,
100 Sotto questo profilo, il sistema delle fonti risulta decisamente mutato. La formulazione precedente alla modifica operata dal decreto delegato del 2009, stabiliva – con formula affermativa del principio della generale competenza della contrattazione collettiva nella disciplina dei rapporti di lavoro – che alla fonte negoziale fosse consentita la negoziazione di tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali.
101 V., sul punto, le osservazioni di XXXXXXX, LOMBARDO, Sub art. 40, d. lgs. n. 165/2001, in AMOROSO, DI XXXXX, XXXXXXXX, XXXXXXX A., Diritto del lavoro, III, Il lavoro pubblico, a cura di Xxxxxxxx, Milano, 2011, 1376. V. inoltre, LASSANDARI, Le nuove regole sulla contrattazione collettiva: problemi giuridici e di efficacia, in Riv. Giur. Lavoro, 2010, I, 71.
infatti, una normazione di dettaglio tanto degli ambiti esclusi dal novero delle materie contrattabili, quanto di quelli che, pur non essendo esclusi per intero, sono parzialmente sottratti alla fonte negoziale.
Può rilevarsi, poi, in generale, come l’ambito delle materie precluse alla fonte negoziale appaia alquanto vasto (spaziando, ad esempio, da quelle relative all’organizzazione degli uffici a quelle attinenti alle prerogative dirigenziali).
Il richiamo, nel corpo della disposizione citata, all’art. 5, 2° co., d lgs.
n. 165/2001, esclude dall’ambito negoziale una fetta davvero consistente di attribuzioni. Sul punto si ravvisa nella norma il destino di inibire alla contrattazione collettiva qualsivoglia intervento sull’esercizio delle prerogative dirigenziali, non soltanto in materia di organizzazione degli uffici, ma anche in materia di organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici102.
Il disposto dell’art. 40, 1° co., d. lgs n. 165/200 si conclude con un terzo periodo nel quale il legislatore delegato si occupa di elencare le materie nelle quali la negoziazione, pur non essendo preclusa, è consentita “negli esclusivi limiti stabiliti dalle norme di legge”103.
Si tratta, come è evidente, di un’ulteriore restrizione del campo d’azione della fonte negoziale, operata questa volta in modo indiretto, non già vietando la negoziazione, bensì ammettendola, ma soltanto negli spazi interstiziali lasciati liberi – ovvero non diversamente disciplinati – da disposizioni di legge.
In altre parole, la norma delinea un impianto per il quale, da un lato, si colloca la legge, la quale definisce una cornice entro cui consentire la
102 Fermo restando quanto osservato nel testo, è necessario comunque sottolineare che la valenza “inibitoria” dell’art. 5, d lgs. n. 165/2001 è destinata ad un parziale ridimensionamento. La recente legge 7.8.2012, n. 135, in materia di revisione della spesa pubblica ha integrato l’art. 5, d. lgs. n. 165/2001 nella parte di cui si discute, legittimando le organizzazioni sindacali, limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, ad un esame congiunto con la dirigenza e ciò sempre a condizione che la contrattazione collettiva nazionale lo preveda.
103 Si tratta, si ricorda, delle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, delle modalità e delle progressioni economiche.
competenza della fonte negoziale, dal lato opposto, si pone la contrattazione collettiva, abilitata ad agire all’interno di uno spazio di deliberazione insuperabile, a pena di nullità posto dalle disposizioni medesime.
1.6 L’articolazione della struttura contrattuale.
L’articolazione del sistema contrattuale è di competenza delle parti sociali che, sempre su indicazione del legislatore, provvedono alla definizione dei comparti della contrattazione, della struttura contrattuale, dei rapporti tra i diversi livelli di contrattazione e della durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi.
L’unità base della contrattazione collettiva nazionale è il comparto introdotto dalla legge quadro sul pubblico impiego n. 93/1983.
Nell’originaria formulazione dell’art. 40, d. lgs. n. 165/2001 i comparti della contrattazione collettiva nazionale dovevano riguardare settori omogenei o affini della pubblica amministrazione ed essere determinati mediante appositi accordi tra l’Aran le Confederazioni sindacali aventi titolo. La scelta del legislatore di lasciare autonome le parti nel definire i settori, imponendo nel contempo il criterio dell’affinità, costituiva una giusta mediazione fra l’intento di evitare pericolose frammentazioni nell’ambito della struttura amministrativa e i principi costituzionali in materia di libertà e pluralismo sindacale.
La determinazione dei comparti riveste, infatti, una rilevanza strategica in quanto è destinata ad incidere sulla stessa organizzazione della pubblica amministrazione: il comparto definisce l’area di efficacia del contratto collettivo e quindi della disciplina comune e vincolante per tutte le branche dell’amministrazione che lo compongono.
La materia non si sottrae ad alcune modifiche in occasione della terza delega che ha avviato l’ultimo intervento di riforma.
L’art.3, 2° co., lett. h), n. 4, legge n. 15/2009 affida alla decretazione delegata il compito di ridurre il numero dei comparti e delle aree di contrattazione con riferimento all’intero settore pubblico, ferma restando la competenza della contrattazione collettiva per l’individuazione della composizione dei comparti.
In sede di attuazione della delega si è stabilito di procedere alla ridefinizione, sempre mediante appositi accordi tra l’Aran e le Confederazioni rappresentative, dei comparti di contrattazione collettiva nazionale, fissando nel numero di quattro la consistenza massima dei comparti medesimi, cui far corrispondere non più di quattro aree separate per la dirigenza104.
E’ prescritto, da ultimo, che un’apposita sezione contrattuale di un’area dirigenziale riguardi la dirigenza del ruolo sanitario e che, nell’ambito dei comparti di contrattazione, possano costituirsi sezioni contrattuali dedicate a specifiche professionalità.
Tale opzione legislativa, oltre a limitare l’autonomia degli agenti contrattuali nella determinazione degli spazi negoziali, porta con sé l’ulteriore conseguenza di imporre ad amministrazioni pubbliche anche molto dissimili un’ eccessiva uniformità dei trattamenti contrattuali, con il rischio che, a fronte dell’uniformità sperata, si giunga, invece, ad un appiattimento della disciplina anche in ipotesi che siano coinvolte amministrazioni dalle caratteristiche radicalmente diverse.
Deve riconoscersi, tuttavia, come all’interno del limite fissato dalla legge, la fonte negoziale possa, poi, liberamente regolare la composizione interna di ciascun comparto, essendo venuto meno quel limite, fissato, invece, dalla precedente disciplina, per il quale i comparti medesimi debbano riguardare “settori omogenei o affini” delle amministrazioni.
104 Così dispone l’art. 40, 2° co., d. lgs. n. 165/2001.
Oltre alla suddetta competenza per la definizione dei comparti di contrattazione, alla fonte collettiva spetta la disciplina, “in coerenza con il settore privato” della struttura contrattuale, dei rapporti tra i livelli di contrattazione e della durata dei contratti collettivi.
Sotto quest’ultimo aspetto il legislatore impone alla fonte collettiva che la durata dei contratti debba essere fissata “in modo che vi sia coincidenza fra la vigenza della disciplina giuridica e di quella economica”.
In proposito, può rilevarsi come l’ultimo intervento di riforma si ponga in continuità con il dettato dell’Intesa del 30 aprile 2009 (per l’applicazione dell’Accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22.1.2009 sottoscritto nel settore privato) ove è statuito che i contratti collettivi nazionali abbiano durata triennale, tanto per la parte economica quanto per quella normativa.
Allo stato attuale, la materia è stato oggetto di ulteriori interventi che vedono protagoniste le parti sociali. A quella dell’aprile 2009 ha fatto seguito una successiva Intesa del 4.2.2011, che, con specifico riferimento all’argomento trattato, vede impegnato il Governo a definire “un atto di indirizzo all’Aran per la stipulazione di un accordo quadro che regoli il sistema delle relazioni sindacali previsto dal decreto legislativo 165/2001”, alla luce della riforma degli assetti contrattuali di cui alla medesima Intesa del 2009, e “dal decreto legislativo 150/2009”. Successivamente, è intervenuta una ipotesi di atto di indirizzo all’Aran, predisposta dal Dipartimento della funzione pubblica e datata 18.2.2011, con la quale si forniscono all’Agenzia “i necessari indirizzi (…..) per la stipulazione di un accordo quadro in grado di coniugare ed armonizzare i principi e le disposizioni” contenute nelle fonti succitate.
Come già accennato nel par. 1.1 in data 10 maggio 2012 è stato stipulato un protocollo d’Intesa tra il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, le Regioni, le Province, i Comuni e le
organizzazioni sindacali. Nell’Intesa si sostiene che “il miglioramento delle funzioni pubbliche richiede una serie di interventi, normativi e contrattuali, che riguardano: un nuovo modello di relazioni sindacali; la razionalizzazione e la semplificazione dei sistemi di misurazione, valutazione e premialità, nonché del ciclo della performance; nuove regole riguardanti il mercato del lavoro nel pubblico impiego; i sistemi di formazione del personale; la dirigenza pubblica, rafforzandone ruolo, funzioni e responsabilità al fine di garantirne una maggiore autonomia rispetto all’autorità politica”105.
1.7 I soggetti della contrattazione collettiva.
Il legislatore, nell’ambito dell’individuazione dei soggetti deputati alla contrattazione, ha definito un quadro dettagliato di regole con riguardo, per un verso, ai soggetti di parte pubblica, per altro verso, agli attori di parte sindacale.
Anche in questo caso, con riferimento alla parte pubblica, la definizione legislativa dei criteri e delle regole per la partecipazione delle amministrazioni al procedimento di negoziazione costituisce esercizio di una prerogativa garantita al legislatore medesimo sempre dall’art. 97 cost.
Per la prima volta nel nostro ordinamento vengono introdotte regole anche per la selezione degli attori di parte sindacale. Nonostante le dirette implicazioni determinate dall’art. 39 cost. il legislatore delegato della seconda riforma ha affrontato la questione in termini del tutto inediti, risolvendo, in adempimento a quanto disposto nell’originario principio di delega di cui all’art. 2, 1° co., lett. b), legge n. 421/1992, la questione della definizione della rappresentatività sindacale.
L’impianto normativo delineato ha subito modifiche con l’ultima riforma operata dal d. lgs. n. 150/2009, il quale ha apportato una
105 In data 6.3.1013 si è svolto un incontro presso l’Aran tra I rappresentanti del Governo, in particolare della Funzione Pubblica e le parti sociali, tra cui tutte le Confederazioni sindacali al fine di trovare un accordo sulla definizione dei parametri generali su cui costruire, per l’anno 2014, i nuovi contratti collettivi nazionali dei vari comparti del pubblico impiego.
significativa rivisitazione della disciplina relativa all’agente negoziale pubblico.
1.8 (Segue). L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni.
La rappresentanza legale delle pubbliche amministrazioni, “agli effetti della contrattazione collettiva nazionale”, spetta all’Aran, organismo tecnico cui la legge attribuisce l’esercizio a livello nazionale di “ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell’uniforme applicazione dei contratti collettivi”106.
E’ la prima legge di riforma del lavoro pubblico a delegare al Governo la costituzione di “un apposito organismo tecnico, dotato di personalità giuridica”107. Sin dall’inizio, il legislatore delegato ha perseguito il duplice obiettivo della “depoliticizzazione” dei soggetti pubblici preposti alla fase di negoziazione e della fondazione di una efficacia generalizzata del contratto collettivo di diritto comune.
Con la seconda delega il testo originario è stato modificato con l’obiettivo di esaltare la funzione di rappresentanza dell’intera pubblica amministrazione e di struttura tecnica di servizio, sminuendo la natura di organismo dipendente dal Governo108.
La riforma del 2009 non lascia indenne la materia: già in sede di delega (art. 3, 2° co., lett. h), nn. 1, 2 e 3) vengono fissati taluni obiettivi, al fine del miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia delle procedure della
106 Art. 46, 1° co., d. lgs. n. 165/2001.
107 Art. 2, 1° co., lett b), legge n. 421/1992.
108 Per una ricostruzione delle vicende che hanno interessato l’Agenzia a partire dal testo originario dell’art. 50, d. lgs. n. 29/1993, poi modificato dal d. lgs. n. 396/1997 in fase di attuazione della seconda delega, v. DE XXXXXXXX, I contratti del pubblico impiego 1994-1997: una verifica critica della riforma, in I contratti collettivi di comparto. Commentario, diretto da Xxxxxxx F., Milano, 1997; XXXXXXX X., La terza volta dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle amministrazioni pubbliche. Brevi riflessioni sulla riforma dell’Aran, in Lavoro nelle PA, 1998, 1297 e ID., L’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni e i comitati di settore, in Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Commentario, diretto da Xxxxxxx F., D’Antona, Milano, 2000, 1329.
contrattazione collettiva, attinenti al riordino dell’agenzia, quali il rafforzamento dell’indipendenza dell’Aran dalle organizzazioni sindacali anche attraverso la revisione dei requisiti soggettivi e delle incompatibilità dei componenti dei relativi organi, il potenziamento del potere di rappresentanza delle Regioni e degli Enti locali e, da ultimo, la ridefinizione della struttura e delle competenze dei comitati di settore allo scopo di rendere più incisivo il potere direttivo nei confronti dell’Aran.
I principi indicati dalla legge, poi, hanno trovato attuazione nel successivo decreto delegato, con il quale è stato modificato il dettato delle disposizioni di disciplina dell’Agenzia, già contenute nell’art. 46, d. lgs. n. 165/2001.
In base alla disposizione citata, all’Agenzia è affidata la rappresentanza legale ai fini della contrattazione collettiva, a livello nazionale, con riguardo a tutte le amministrazioni, risultando, peraltro, confermato l’ampio ruolo ad essa attribuito, oltre che con riguardo alla funzione di agente contrattuale, anche con riferimento alle specifiche funzioni di assistenza, tanto nella fase applicativa dei contratti collettivi, quanto in sede di contrattazione integrativa, pure nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome109.
All’Aran è assegnata la cura delle “attività di studio, monitoraggio e documentazione necessarie all’esercizio della contrattazione collettiva”,
109 Come già ricordato, il 1° co. dell’art. 46, d. lgs. n. 165/2001, dopo aver attribuito all’Aran la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, conferisce all’Agenzia medesima l’esercizio di un ampio novero di funzioni (relative alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e all’assistenza delle pubbliche amministrazioni al fine dell’applicazione uniforme dei contratti collettivi stessi). Il 2° co., invece, a seguito della statuizione per cui “le pubbliche amministrazioni possono avvalersi dell’assistenza dell’Aran ai fini della contrattazione integrativa”, prosegue con la fissazione di disposizioni poste ad incentivare uno stretto rapporto, su base volontaria, tra Aran e pubbliche amministrazioni la norma stabilisce, dapprima, che, sulla base di apposite intese, l’assistenza possa essere prestata in maniera congiunta per “amministrazioni dello stesso tipo o ubicate nello stesso ambito territoriale”, poi, che, su richiesta dei comitati di settore, sia possibile costituire, “anche per periodi determinati, delegazioni dell’Aran su base regionale o pluriregionale”). Il 13° co., da ultimo, invita le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, sempre ai fini della contrattazione collettiva, ad avvalersi di “agenzie tecniche”, istituite con apposite leggi, ovvero dell’assistenza dell’Aran nelle stesse forme previste per le altre amministrazioni. Si tratta di disposizioni lasciate inalterate dalla riscrittura del 2009.
nonché la predisposizione, con cadenza semestrale110, del “rapporto sull’evoluzione delle retribuzioni di fatto dei pubblici dipendenti”.
E’ previsto che l’Agenzia debba provvedere all’invio del rapporto medesimo oltre che al Governo ed alle commissioni parlamentari competenti anche ai “comitati di settore dei comparti regioni e autonomie locali e sanità”111. Per la predisposizione di tale rapporto l’Agenzia si avvale della collaborazione dell’Istat 112 e del Ministero dell’economia e delle finanze.
Xxxxxx, inoltre, all’Agenzia l’attività di “monitoraggio sull’applicazione dei contratti collettivi e sulla contrattazione collettiva integrativa”, per la quale era prevista, in precedenza, la costituzione, all’interno dell’Agenzia stessa, di un osservatorio a composizione paritetica.
All’esito di tale attività, poi, l’Aran presenta, con cadenza annuale, al Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell’economia e delle finanze ed ai comitati di settore, una rapporto circa “l’effettività e la congruenza della ripartizione fra le materie regolate dalla legge, quelle di competenza della contrattazione nazionale e quelle di competenza dei contratti integrativi” nel quale si individuano anche “le principali criticità emerse in sede di contrattazione collettiva nazionale ed integrativa”113.
La comunicazione del rapporto ai soggetti indicati consente a ciascuno, nelle proprie competenze, di valutare quanto rilevato all’esito del monitoraggio dell’Agenzia
110 Non più trimestrale, come nella precedente formulazione della norma.
111 Tale espressa menzione sostituisce il generico richiamo ai comitati di settore contenuto nella precedente formulazione. V., sul punto, SOLOPERTO, La riforma della contrattazione collettiva, in La nuova riforma del lavoro pubblico, a cura di Xxxxxxxxxx, Verbaro, Milano, 2010, 111, il quale sottolinea come la norma sia stata evidentemente predisposta “in coerenza” con le indicazioni del decreto delegato “in materia di comparti di contrattazione e di comitati di settore”.
112 L’interazione con l’Istituto è finalizzata all’acquisizione di informazioni statistiche ed alla formulazione di modelli di rilevazione.
113 Art. 46, 4° co., d. lgs. n. 165/2001, come sostituito dall’art. 58, 1° co., lett. a), d. lgs. n. 150/2009. Nella precedente formulazione era statuito che: ”Per il monitoraggio sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa, viene istituito presso l’Aran un apposito osservatorio a composizione paritetica. I suoi componenti sono designati dall’Aran, dai comitati di settore e dalle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi nazionali”.
L’attività così concepita introduce “una forma generale di controllo a posteriori sulla contrattazione” nazionale e consente la migliore tutela degli “interessi negoziali e gestionali” delle amministrazioni stesse114.
Sono organi dell’agenzia il Presidente ed il Collegio di indirizzo e controllo.
Il Presidente, cui la legge attribuisce la rappresentanza dell’Agenzia, “è nominato con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione previo parere della Conferenza unificata”. E’ stabilito, inoltre, che questi possa essere scelto “fra esperti in materia di economia del lavoro, diritto del lavoro, politiche del personale e strategia aziendale, anche estranei alla pubblica amministrazione” nel rigoroso rispetto di specifiche regole sulle incompatibilità.
La carica di presidente ha una serie di incompatibilità che riguardano qualsiasi altra attività professionale a carattere continuativo, incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici, nonché cariche in organizzazioni sindacali, con l’ulteriore precisazione, in tale ultima ipotesi, che l’incompatibilità debba intendersi “estesa a qualsiasi rapporto di carattere professionale o di consulenza con le predette organizzazioni sindacali o politiche”.
Nell’ipotesi che a rivestire la carica sia un dipendente pubblico, si prevede il collocamento in aspettativa o in posizione di fuori ruolo secondo l’ordinamento dell’amministrazione di appartenenza.
Rispetto alla precedente disciplina, quella attuale presenta un più rigoroso regime di preclusioni.
Le modifiche all’art. 46, d. lgs. n. 165/2001 perseguono, per un verso, l’obiettivo di eliminare la connotazione c.d. consociativa dell’Agenzia con la
114 In questi termini, SOLOPERTO, La riforma della contrattazione collettiva, cit., 111 ss.
controparte sindacale, per altro verso, quello di garantire la separazione tra l’indirizzo politico e l’attività gestionale.
La legge fissa in quattro anni la durata in carica del Presidente, potendo questi essere riconfermato, ma solo per una volta.
Accanto alla figura del Presidente, è previsto un Collegio di indirizzo e controllo, costituito da quattro membri “scelti tra esperti di riconosciuta competenza in materia di relazioni sindacali e di gestione del personale, anche estranei alla pubblica amministrazione”, due dei quali “designati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta, rispettivamente, del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e del Ministro dell’economia e delle finanze”, gli altri, “rispettivamente, dall’ANCI e dall’UPI e dalla Conferenza delle Regioni e delle province autonome” e dal Presidente dell’Agenzia che lo presiede115.
Per tale organismo sono previste le stesse incompatibilità già menzionate per il Presidente ad eccezione di quelle riguardanti le attività professionali a carattere continuativo116
Quanto alle funzioni, al Collegio spetta il coordinamento della strategia negoziale, di cui ne assicura l’omogeneità, “assumendo la responsabilità per la contrattazione collettiva e verificando che le trattative si svolgano in coerenza con le direttive contenute negli atti di indirizzo”.
Con riferimento alle risorse di cui l’Agenzia si avvale per lo svolgimento della propri attività, è prescritto che la misura annuale del contributo individuale che le amministrazioni corrispondono all’Aran per ciascuno dei dipendenti in servizio debba essere “definita, sentita l’Aran, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il
115 La durata in carica è fissata in quattro anni e i componenti possono essere riconfermati ma soltanto per una volta (art. 46, 7° co., d. lgs. n. 165/2001).
116 Deve rilevarsi che con la riforma del 2009 si preserva l’Aran da ogni forma di ingerenza da parte delle organizzazioni sia politiche che sindacali non limitando l’incompatibilità agli organi di vertice dell’Agenzia ma estendendola anche alle posizioni dirigenziali: l’ultimo periodo del co. 7 bis precisa che l’assenza delle cause di incompatibilità indicate nello stesso comma “costituiscono presupposto necessario per l’affidamento degli incarichi dirigenziali nell’agenzia”.
Ministro della pubblica amministrazione e l’innovazione, d’intesa con la Conferenza unificata”117 e riferita a ciascun triennio contrattuale.
La procedura di riscossione dei contributi, rimasta invariata per le amministrazioni diverse dallo Stato118, ha subito modificazioni quanto alle amministrazioni dello Stato, per le quali è stabilito che il prelievo debba essere effettuato “mediante l’assegnazione di risorse pari all’ammontare dei contributi che si prevedono dovuti nell’esercizio di riferimento”, da realizzarsi con la legge annuale di bilancio, nella misura definita, “con imputazione alla pertinente unità previsionale di base dello stato di previsione del ministero dell’economia e finanze”119.
L’Agenzia ha personalità giuridica di diritto pubblico oltre che autonomia organizzativa e contabile, nei limiti del proprio bilancio e definisce, con propri regolamenti, l’organizzazione interna, il funzionamento e la gestione finanziaria. Gli stessi sono adottati d’intesa con la Conferenza unificata e sono sottoposti al controllo non più del solo Ministero della funzione pubblica, ma anche del Ministero dell’economia e delle finanze.
Alla Corte dei Conti è riservato il controllo consuntivo sull’intera gestione finanziaria.
Il legislatore si preoccupa di disciplinare anche la materia relativa all’approvvigionamento del personale da parte dell’Agenzia per assolvere ai suoi compiti istituzionali. L’11° e il 12° co. dell’art. 46, d. lgs. n. 165/2001 delineano una pluralità di strumenti: accanto al concorso pubblico è consentito all’Agenzia, in deroga alle limitazioni fissate nello stesso decreto
117 La precedente versione della norma prevedeva che la misura annua del contributo individuale dovesse essere concordata tra l’Aran ed un organismo di coordinamento dei comitati di settore (previsto dalla vecchia formulazione dell’art. 41, 6° co., d. lgs. n. 165/2001).
118 Il 9° co. dell’art. 46, d. lgs. n. 165/2001, lett. b), stabilisce che per le amministrazioni diverse dallo Stato, la riscossione dei contributi debba avvenire “mediante un sistema di trasferimenti da definirsi tramite decreti del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e, a seconda del comparto, dei Ministri competenti, nonché per gli aspetti di interesse regionale e locale, previa intesa espressa dalla Conferenza unificata Stato-regioni e Stato-città”.
119 Nella precedente formulazione del 9° co. dell’art. 46, d. lgs. n. 165/2001, lett. a), era previsto che la riscossione dei contributi per le amministrazioni dello Stato dovesse essere effettuata “direttamente attraverso la previsione di spesa complessiva da iscrivere nell’apposito capitolo dello stato di previsione di spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri”.
dall’art. 36, di avvalersi di personale con contratto a tempo determinato secondo le norme vigenti nel settore privato. E’ prevista inoltre la possibilità di utilizzare personale, anche di qualifica dirigenziale, proveniente dalle pubbliche amministrazioni rappresentate in posizione di comando o fuori ruolo, con la garanzia per tali dipendenti di conservare lo stato giuridico e il trattamento economico delle amministrazioni di provenienza.
E’ prevista altresì la possibilità che l’Aran, senza ricorrere all’istituto del comando, possa comunque avvalersi di personale direttamente messo a disposizione dalle amministrazioni e dagli enti rappresentati previe apposite intese con questi ultimi a condizione che l’onere economico sia a loro carico. L’Agenzia ha anche la possibilità di utilizzare consulenti esterni con contratti di collaborazione da stipulare nel rispetto dell’art. 7, 6° co. ss, dello
stesso decreto.
1.9 (Segue). Comitati di settore.
Un ruolo rilevante nella procedura di formazione dei contratti collettivi rivestono i “comitati di settore”, la cui disciplina è posta dall’art. 41, d. lgs. n. 165/2001.
Tali organismi – costituiti dalle istanze associative o rappresentative delle pubbliche amministrazioni con riferimento ai singoli comparti di contrattazione – rappresentano lo strumento attraverso il quale le amministrazioni pubbliche esercitano “il potere di indirizzo nei confronti dell’Aran e le altre competenze relative alle procedure di contrattazione collettiva nazionale”.
Con l’art. 3, d. lgs. n. 396/1997, il legislatore delegato provvede all’introduzione di tali comitati, stabilendone la costituzione presso le
amministrazioni e attribuendo ad essi il potere di xxxxxxxxx e controllo nei confronti dell’Aran120.
L’introduzione dei comitati di settore è frutto di una politica di decentramento amministrativo, che prende atto della oggettiva diversità di ciascuna delle amministrazioni pubbliche ed intende dotare queste ultime di un apparato che permetta una maggiore differenziazione delle discipline contrattuali oltre che la realizzazione degli esiti negoziali confacenti alle istanze delle amministrazioni rappresentate.
Nel tessuto normativo così delineato, successivamente modificato e poi confluito nell’art. 41, d. lgs. n. 165/2001, sono intervenuti121 dapprima la legge delega n. 15/2009, poi l’art. 56, 1° co., d. lgs. n. 150/2009.
Le modifiche non mutano le funzioni assolte dai comitati di settore che hanno il compito di formulare gli atti di indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale e quello di esprimere pareri sulle ipotesi di accordo contrattuale, autorizzando la firma della stessa e ciò sempre che il testo corrisponda agli indirizzi già formulati.
Le pubbliche amministrazioni, in tal modo, prendono parte, attraverso proprie ed autonome forme di rappresentanza, al processo negoziale, incidendo significativamente oltre che sulla definizione delle linee strategiche che devono caratterizzare il futuro contratto, anche e specialmente nella definitiva stesura del testo contrattuale, che non può essere sottoscritto dall’Aran senza il parere positivo dei vari comitati di settore.
La nuova riscrittura non muta la scissione fra il potere di indirizzo, attribuito ai comitati di settore, e il potere di rappresentanza, che spetta all’Aran.
120 Sull’argomento, quanto alle vicende che hanno riguardato l’introduzione e la modifica della disciplina dei comitati di settore, v. la ricostruzione di XXXXXXX, XXXXXXXX, Sub art. 41, d. lgs. n. 165/2001, in AMOROSO, DI XXXXX, XXXXXXXX, XXXXXXX A., op. cit., 665 ss..
121 Dopo una modifica ad opera dell’art. 3, d. lgs. n. 173/2003.
Nuova è, invece, la disciplina, posta con riguardo alla costituzione dei comitati di settore122, peraltro in linea con quanto già statuito dall’art. 40, 2° co., d. lgs. n. 165/2001 con riferimento ai comparti di contrattazione.
Alla riduzione dei comparti e delle aree di contrattazione ha fatto riscontro il dimezzamento dei comitati di settore, talché al posto dei sei comitati di settore già previsti se ne individuano tre, espressione diretta delle sole amministrazioni centrali e delle autonomie costituzionalizzate.
E’ disposto che per “le regioni, i relativi enti dipendenti, e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale” sia costituito un comitato di settore nell’ambito della Conferenza delle Regioni, aggiungendo, peraltro, che, “per le competenze delle amministrazioni del Servizio sanitario nazionale”, al comitato medesimo partecipi “un rappresentante del Governo, designato dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali”.
Parimenti è prevista la costituzione, “nell’ambito dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI), dell’Unione delle province d’Italia (UPI) e dell’ Unioncamere”, di un apposito comitato di settore che eserciti le competenze relative alle procedure di contrattazione collettiva ”per i dipendenti degli enti locali, delle Camere di commercio e dei segretari comunali e provinciali”123.
Per ogni altra amministrazione è, invece, il medesimo dettato della norma, a prestabilire la configurazione dell’organismo medesimo, fissando
122 La previgente sistemazione dell’art. 41, d. lgs. n. 165/2001, se pure stabiliva direttamente che per le amministrazioni e le aziende autonome dello Stato operasse come comitato di settore “il Presidente del Consiglio dei Ministri, tramite il Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica”, “nonché, per il sistema scolastico, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica e, per il comparto Agenzie fiscali, sentiti i direttori delle medesime” (2° co.), per le altre amministrazioni pubbliche, invece, prescriveva l’istituzione di un comitato per ciascun comparto di contrattazione che tenesse conto delle istanze rappresentative esistenti nel settore degli enti territoriali, delle università e negli enti pubblici non economici e di ricerca (3° co.).
123 Sull’argomento e, in particolare, sulla previsione di due distinti comitati di settore (uno per le Regioni e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, uno per gli Enti locali, le Camere di commercio ed i Segretari comunali e provinciali) x. XXXXXXX, XXXXXXXX, Sub art. 41, d. lgs. n. 165/2001, in AMOROSO, DI XXXXX, XXXXXXXX, XXXXXXX A., op. cit., 669 ss.
che “per tutte le altre amministrazioni opera come comitato di settore il Presidente del Consiglio dei Ministri tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e finanze”. Il legislatore, tuttavia, si premura di salvaguardare le peculiarità delle diverse amministrazioni, prevedendo, in ogni caso, che, in sede di predisposizione degli atti di indirizzo, siano coinvolte le rappresentanza dei diversi settori dell’amministrazione. E’ previsto, infatti, che gli indirizzi siano emanati “per il sistema scolastico, sentito il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca”, come pure che, “per i rispettivi ambiti di competenza”, gli atti di indirizzo siano emanati “sentiti i direttori delle Agenzie fiscali, la Conferenza dei rettori delle università italiane; le istanze rappresentative promosse dai presidenti degli enti di ricerca e degli enti pubblici non economici ed il presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro”.
E’ statuito, poi, che rappresentanti designati dai comitati di settore abbiano la possibilità di assistere l’Aran nel corso delle trattative. La previsione, che non trova precedenti nella passata formulazione della norma124, è inserita nel tessuto normativo al fine dell’attuazione del principio di delega per il quale è richiesto che i comitati di settore siano configurati di modo da risultarne rafforzato il potere direttivo nei confronti dell’Aran125.
Ai comitati di settore è accordata, inoltre la possibilità di stipulare con l’Agenzia specifici accordi finalizzati, tanto alla regolamentazione dei reciproci rapporti in materia di contrattazione, quanto alla gestione di eventuali attività comuni.
E’ stabilito poi che “per assicurare il miglior raccordo tra i comitati di settore delle Regioni e degli enti locali e l’Aran” a ciascun comitato corrisponda una specifica struttura “nell’ambito del regolamento di
124 Ad eccezione di quanto previsto per le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale dall’art. 41, 4° co., d. lgs. n. 165/2001, vecchio testo.
125 Art. 3, 2° co., lett. h), n. 3, l. n. 15/2009.
organizzazione dell’Aran”, senza che tanto comporti nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Per la stipulazione degli accordi che definiscono o modificano i comparti e le aree di contrattazione collettiva o che regolano gli istituti comuni a più comparti – si tratta dei cc.dd. contratti collettivi quadro – “ le funzioni di indirizzo e le altre competenze inerenti alla contrattazione collettiva” sono esercitate dai comitati di settore collegialmente. Rispetto alla precedente sistemazione della materia, è omesso il riferimento all’operatività di un “organismo di coordinamento dei comitati di settore costituito presso l’Aran”.
1.10 (Segue). La parte sindacale.
La scelta degli interlocutori contrattuali di parte sindacale avviene nel rispetto di criteri selettivi indicati dal legislatore: alle trattative per il rinnovo dei contratti collettivi risultano ammesse soltanto quelle organizzazioni sindacali che raggiungano una determinata soglia di rappresentatività, misurata in base a parametri prestabiliti.
I parametri per la misurazione della rappresentatività sindacale sono costituiti dal seguito associativo, “espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate nell’ambito considerato”, al quale si aggiunge il dato elettorale, “espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale, rispetto al totale dei voti espressi nell’ambito considerato” (art. 43, d. lgs. n. 165/2001126).
Per la partecipazione alle trattative è prescritto, infatti, che l’Aran ammetta alla contrattazione collettiva nazionale soltanto quelle
126 Per l’impatto dell’ultima riscrittura del 2009 sulla disciplina relativa alla parte sindacale x. XXXXXXX,
Sub artt. 42-43, d. lgs. n. 165/2001, in AMOROSO, DI XXXXX, XXXXXXXX, XXXXXXX A, op. cit., 680
ss., il quale rileva come, sebbene il d. lgs. n. 150/2009 non abbia modificato, “se non in minima parte”, gli artt. 42 e 43, d. lgs. n. 165/2001, in materia di prerogative, diritti e rappresentatività dei sindacati, “rimasti quindi invariati”, le norme medesime “non potranno non risentire degli effetti derivanti dalla riforma sugli altri articoli del d.lgs. n. 165 del 2001”.
organizzazioni sindacali “che abbiano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5 per cento, considerando a tal fine la media tra dato associativo ed il dato elettorale”127.
Alle trattative possono partecipare, per il comparto o l’area di riferimento, anche le confederazioni sindacali, a condizione, tuttavia, che alle stesse siano affiliate le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva ai sensi del 1° co.
In ossequio al principio maggioritario, è statuito poi, che l’Aran sottoscriva i contratti collettivi avendo previamente verificato – sulla base della rappresentatività accertata per l’ammissione alle trattative – che le organizzazioni sindacali aderenti all’ipotesi di accordo rappresentino, complessivamente, almeno il 51 per cento come media tra dato associativo e dato elettorale nel comparto o nell’area contrattuale, oppure, nel medesimo ambito, almeno il 60 per cento del solo dato elettorale128.
Per quanto riguarda “la stipulazione degli accordi o contratti collettivi che definiscono o modificano i comparti o le aree o che regolano istituti comuni a tutte le pubbliche amministrazioni o riguardanti più comparti”, è prescritto, inoltre, che l’Aran ammetta alla contrattazione collettiva “le confederazioni sindacali alle quali, in almeno due comparti o due aree contrattuali, siano affiliate organizzazioni sindacali rappresentative” secondo i parametri citati.
L’Agenzia assicura la raccolta dei dati sui voti e sulle deleghe. Con l’ulteriore previsione che – per il controllo sulle procedure elettorali, oltre che per la raccolta dei dati relativi alle deleghe – si avvalga, “sulla base di
127 Se il superamento della soglia prevista dalla legge “conferisce” alle organizzazioni sindacali “il diritto di partecipare al processo di contrattazione collettiva”, problemi si pongono, invece, con riguardo all’individuazione delle conseguenze derivanti dalla lesione di tale diritto e, in particolare, con riferimento “agli effetti della contrattazione collettiva approdata alla stipulazione senza la partecipazione di uno dei soggetti necessari”. Per tale argomento x. XXXXXXX, Sub. Artt. 42-43, d. lgs. n. 165/2001, in AMOROSO, DI XXXXX, XXXXXXXX, XXXXXXX A., op. cit., 684.
128 Sui criteri di computo individuati dal legislatore ai fini della selezione del soggetto sindacale e della individuazione del grado di rappresentatività necessario per la firma del contratto collettivo, x. XXXXXXX X., Lavoro pubblico: per un contratto di generale applicazione basta una rappresentatività piccola piccola?, in Riv. giur. Lavoro, 2010, I, 125.
apposite convenzioni, della collaborazione del Dipartimento della funzione pubblica, del Ministero del lavoro, delle istanze rappresentative o associative delle pubbliche amministrazioni”.
A garanzia di una rilevazione certa ed obiettiva, nonché per la certificazione dei dati e per la risoluzione delle eventuali controversie – è stabilita l’istituzione presso l’Aran di un comitato paritetico cui prendono parte le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale alla verifica dei dati relativi ai voti ed alle deleghe (stabilendo, in particolare, che questi possa “deliberare che non siano prese in considerazione, ai fini della misurazione del dato associativo, le deleghe a favore di organizzazioni sindacali che richiedano ai lavoratori un contributo economico inferiore di più della metà rispetto a quello mediamente richiesto dalle organizzazioni sindacali del comparto o dell’area”), nonché la competenza a deliberare sulle contestazioni sorte relativamente alle rilevazioni di cui si tratta.
Con riferimento alla contrattazione collettiva integrativa il legislatore (art. 43, 5° co., d. lgs. n. 165/2001), se da una parte si limita a prescrivere che “i soggetti e le procedure della contrattazione collettiva integrativa sono disciplinati dai contratti collettivi nazional”, dall’altra non manca di richiamare tutti i vincoli alla stessa imposti dall’art. 40 dello stesso decreto e, con specifico riferimento agli agenti di contrattazione, opera un rinvio all’art. 42, 7° co., che sottolinea la possibilità di affiancare, per la contrattazione di secondo livello, agli organismi di rappresentanza unitaria del personale i rappresentanti delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale; e ciò con l’intento di evitare un doppio canale di contrattazione e rafforzare l’unitarietà del sistema contrattuale.
Il modello sopra descritto ha realizzato buoni risultati producendo un sistema di relazioni sindacali effettivamente democratico in quanto
fortemente legittimato dalla base e contribuendo ad incrementare il tasso di sindacalizzazione mediante l’adesione alle varie sigle sindacali129.
L’analisi ex post sul funzionamento del modello pubblico ha dimostrato che il rafforzamento delle regole sulla partecipazione democratica nel sistema delle relazioni sindacali, oltre a riscuotere un notevole consenso da parte dei lavoratori, ha prodotto da parte dei delegati una ripresa della vita associativa di organizzazione con conseguente sviluppo anche della contrattazione collettiva integrativa sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo130.
1.11 Il procedimento di contrattazione collettiva.
Il procedimento di contrattazione collettiva si inserisce in una rigida impalcatura legislativa che ne scandisce in modo analitico le varie fasi131.
Si inizia con la definizione delle risorse finanziarie da destinare alla contrattazione collettiva nazionale: per le amministrazioni a carico del bilancio dello Stato, l’onere derivante dalla contrattazione è quantificato dal Ministero dell’economia e delle finanze, in coerenza con i parametri previsti dagli strumenti di programmazione e di bilancio, con apposita norma da inserire nella legge finanziaria132.
129 GAROIA, XXXXXXXXX, Il settore pubblico come paradigma?, in Quaderni di rassegna sindacale, 2005, n. 1, 125.
130 REGALIA, Rappresentanze sindacali unitarie: quali regole?, in Quaderni di rassegna sindacale, 2002, n. 1, 36.
131 Art. 47, d. lgs. n. 165/2001.
132 Il riferimento è all’art. 48, 1° co., d. lgs. n. 165/2001, nel quale è statuito che: ”Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, quantifica, in coerenza con i parametri previsti dagli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all’articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468 e successive modificazioni e integrazioni, l’onere derivante dalla contrattazione collettiva nazionale a carico del bilancio dello Stato con apposita norma da inserire nella legge finanziaria ai sensi dell’articolo 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. Allo stesso modo sono determinati gli eventuali oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato per la contrattazione integrativa delle amministrazioni dello Stato di cui all’articolo 40, comma 3-bis”.
Per le amministrazioni diverse dallo Stato133, invece, gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale sono determinati a carico dei rispettivi bilanci134.
Segue, poi, la definizione degli indirizzi che, per la contrattazione collettiva nazionale, sono emanati dai comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale ed inviati all’Aran.
Per le Regioni ed enti dipendenti, le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, le autonomie locali, le Camere di commercio e i Segretari comunali e provinciali è prescritto che gli indirizzi medesimi debbano essere preventivamente sottoposti al Governo che, nel termine dei successivi venti giorni, “può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene agli aspetti riguardanti la compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria nazionale”. Termine questo, oltre il quale, in mancanza di valutazioni, l’atto di indirizzo può essere inviato all’Agenzia135.
Ricevuti gli indirizzi, l’Aran apre le trattative, invitando le organizzazioni abilitate a prendervi parte ed informando costantemente i comitati di settore ed il Governo circa lo svolgimento delle trattative medesime136.
133 Si tratta degli enti territoriali in genere, nonché delle università italiane, degli enti pubblici non economici e degli enti e delle istituzioni di ricerca, ivi compresi gli enti e le amministrazioni di cui all’art. 70, 4° co., d. lgs. n. 165/2001.
134 Art. 48, 2° co., d. lgs. n. 165/2001, per il quale “le risorse per gli incrementi retributivi per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali delle amministrazioni regionali, locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale sono definite dal Governo, nel rispetto dei vincoli di bilancio, del patto di stabilità e di analoghi strumenti di contenimento della spesa, previa consultazione con le rispettive rappresentanze istituzionali del sistema delle autonomie”. Il 4° co., inoltre, stabilisce che: “ Per le amministrazioni diverse dalle amministrazioni dello Stato e per gli altri enti cui si applica il presente decreto, l’autorizzazione di spesa relativa al rinnovo dei contratti collettivi è disposta nelle stesse forme con cui vengono approvati i bilanci, con distinta indicazione dei mezzi di copertura”.
135 Art. 47, 2° co., d. lgs. n. 165/2001. La previsione prescrive l’operatività del principio del silenzio- assenso. Si tratta di una novità rispetto alla previgente sistemazione della materia, dove, al contrario, nulla, era stabilito per l’ipotesi che il Governo non esprimesse la sua valutazione nel termine di dieci giorni. Così XXXXXXX, XXXXXXXX, Sub art. 47, d. lgs. n. 165/2001, in AMOROSO, DI XXXXX, XXXXXXXX, XXXXXXX A., op. cit., 777.
136 Circa l’obbligo dell’Aran di tenere costantemente informati i comitati di settore ed il Governo sullo svolgimento delle trattative v. quanto rilevato da SOLOPERTO, La contrattazione collettiva nel settore pubblico, in Il lavoro pubblico in Italia, a cura di Xxxxxxxxx, Carinci M.T., Bari, 331. L’Autore – sul presupposto che il Governo, come comitato di settore delle amministrazioni diverse da quelle del comparto delle Regioni e delle amministrazioni del Servizio sanitario nazionale e del comparto delle autonomie locali, sia già informato dall’Aran sull’andamento delle trattative con riguardo all’attività negoziale di
All’esito della trattativa, raggiunta l’ipotesi di accordo, questa viene trasmessa all’Aran, unitamente alla prescritta relazione tecnica, ai comitati di settore ed il Governo, entro il termine di dieci giorni.
Per gli enti territoriali il comitato di settore esprime il parere, oltre che sul testo contrattuale, anche sugli oneri finanziari diretti ed indiretti a carico dei bilanci delle amministrazioni interessate.
Per tutte le altre amministrazioni il parere è espresso dal Presidente del Consiglio dei Ministri, tramite il Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Una volta acquisito il parere favorevole sull’ipotesi di accordo, l’Aran, nella giornata seguente, trasmette alla Corte dei Conti la quantificazione dei costi contrattuali, perché provveda alla certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio.
La magistratura contabile si occupa di certificare, tanto l’attendibilità dei costi quantificati, quanto la compatibilità dei costi medesimi con gli strumenti di programmazione e di bilancio.
Alla Corte è prescritto di deliberare entro quindici giorni dalla trasmissione della quantificazione di cui si tratta, decorsi inutilmente i quali la certificazione si intende effettuata positivamente.
Per l’acquisizione degli elementi istruttori e delle valutazioni sul contratto collettivo, la Corte può essere coadiuvata da tre esperti in materia di relazioni sindacali e costo del lavoro, scelti dal Capo del Dipartimento della funzione pubblica d’intesa con il Capo del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, nell’ambito di un elenco redatto di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze137.
propria competenza – sostiene che il riferimento all’informativa al Governo di cui al 3° co. possa essere inteso come “limitato all’andamento delle trattative concernenti i comparti delle amministrazioni non statali di cui si è detto”.
137 Nel caso degli enti territoriali, la designazione di due esperti viene effettuata dall’ANCI, dall’UPI e dalla Conferenza delle Regioni e delle province autonome (art. 47, 6° co., d. lgs. n. 165/2001).
I risultati della certificazione sono comunicati all’Aran, al comitato di settore ed al Governo. Nell’ipotesi di certificazione positiva, il Presidente dell’Aran sottoscrive in via definitiva il contratto collettivo.
Viceversa, nell’eventualità che la certificazione della Corte dei Conti risulti “non positiva”, è precluso alle parti contrattuali di procedere alla sottoscrizione in via definitiva dell’ipotesi di accordo, dovendo, invece, il Presidente dell’Agenzia – “d’intesa con il competente comitato di settore, che può dettare indirizzi aggiuntivi” – provvedere, prima, alla riapertura delle trattative, poi, alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo, procedendo all’adeguamento dei costi contrattuali ai fini della successiva certificazione. Ipotesi che, una volta sottoscritta, è sottoposta ad una nuova procedura di certificazione da parte della magistratura contabile.
La legge, tuttavia, prevede che, nel caso in cui la certificazione non positiva riguardi solo singole clausole contrattuali, alle parti sia consentita, comunque, la sottoscrizione definitiva dell’ipotesi di contratto. Tali clausole, però, restano inefficaci.
E’ stabilito, inoltre, che i contratti collettivi debbano essere corredati da prospetti contenenti la quantificazione degli oneri nonché l’indicazione della copertura complessiva per l’intero periodo di validità contrattuale.
Parimenti, è fissato che siano inserite apposite clausole che prevedano “la possibilità di prorogare l’efficacia temporale del contratto ovvero di sospenderne l’esecuzione parziale o totale in caso di accertata esorbitanza dai limiti di spesa”138.
E’ prescritto infine che i contratti e gli accordi collettivi nazionali debbano essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana oltre che sul sito istituzionale dell’Aran e delle amministrazioni interessate.
138 Art. 48, 3° co., d. lgs. n. 165/2001. In mancanza di precisazioni da parte del legislatore deve intendersi che “la proroga temporale” si riferisca al contratto precedente, mentre “la sospensione” riguardi quello in corso.
La norma estende l’obbligo medesimo anche agli eventuali accordi di interpretazione autentica139.
1.12 La contrattazione collettiva integrativa.
L’impianto legislativo si preoccupa di definire in modo analitico i rapporti tra i livelli di contrattazione, premurandosi, poi, con riguardo alla fonte negoziale di secondo livello, di regolarne il funzionamento, le finalità ed il contenuto.
La contrattazione integrativa è deputata alla determinazione del trattamento economico accessorio al fine di assicurare “adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici”, con il vincolo, legislativamente imposto, che tale tipologia di retribuzione debba essere costituita in prevalenza da somme destinate a premiare il merito del singolo dipendente (performance individuale)140.
Emerge la volontà del legislatore delegato di funzionalizzare la contrattazione collettiva integrativa in materia di trattamenti economici al preciso obiettivo di una maggiore produttività del lavoro pubblico con conseguente effettivo miglioramento quali-quantitativo delle attività e dei servizi delle pp.aa.
Anche per il secondo livello la legge ha posto dei limiti di intervento alla fonte collettiva. In particolare, quanto all’ambito delle materie contrattabili, la fonte unilaterale ha tracciato i confini dell’area negoziale accordata alla fonte medesima: è stabilito, infatti, che la contrattazione collettiva integrativa – che, per espressa previsione, “può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni” – possa svolgersi “sulle
139 Su quest’ultimo aspetto si rimanda alla lettura degli artt. 49 (per il quale, in caso di controversie circa l’interpretazione dei contratti collettivi, le parti “si incontrano per definire consensualmente il significato delle clausole controverse”, con l’ulteriore precisazione che nell’eventualità in cui si giunga ad una nuova pattuizione, questa sostituisca le clausole controverse “sin dall’inizio della vigenza del contratto”) e 64 (in materia di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi), d. lgs. n. 165/2001. Per un approfondimento, si rinvia a XXXXXXX, Sub art. 49, d. lgs. n. 165/2001, in AMOROSO, DI CERBO, XXXXXXXX, XXXXXXX A., op. cit., 800 ss.
140 Art. 40, co. 3 bis ss., d. lgs. n. 165/2001.
materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono”.
Per tal via, è confermata l’adozione di un modello di decentramento centralizzato, nel quale è il contratto nazionale a definire lo spazio negoziale accordato alla fonte di secondo livello.
Con le suddette prescrizioni141 si produce l’effetto di impedire che la contrattazione integrativa si occupi della negoziazione di materie che alla stessa non siano state espressamente delegate142.
Il livello della contrattazione in esame è altresì assoggettato direttamente alla fonte collettiva nazionale e ciò sia in materia di risorse finanziarie che in relazione alle procedure negoziali.
Con riferimento al primo aspetto, si ricorda come alla contrattazione collettiva di secondo livello sia già imposto il rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Tuttavia, è sempre il contratto collettivo nazionale a definire l’entità delle risorse finanziarie destinabili, presso ciascuna amministrazione, alla contrattazione integrativa.
Al livello nazionale è demandata, inoltre, la regolazione delle procedure negoziali.
E’ in questo contesto che vanno collocate le previsioni del co. 3 sexies dello stesso art. 40, d. lgs. n. 165/2001, nel quale è previsto che le amministrazioni pubbliche redigano “a corredo di ogni contratto integrativo” una “relazione tecnico–finanziaria ed una relazione illustrativa”, servendosi di schemi predisposti a livello ministeriale.
141 Sotto questo profilo una rilevanza determinante acquista la previsione di cui al co. 3 quinquies, dell’art. 40, d. lgs. n. 165/2001, nella quale è stabilito che “le pubbliche amministrazioni non possono in ogni caso sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi (….) che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale”.
142 Fuori dai casi di “attribuzione diretta” ad opera della legge, dunque, la competenza della contrattazione integrativa ha natura essenzialmente “derivata”. Valendo, pertanto, nei rapporti tra i livelli di contrattazione, il principio per cui il contratto collettivo di comparto possa validamente “trasferire alla contrattazione integrativa, il compito di regolare soltanto quelle materie che esso avrebbe potuto regolare direttamente”. In questi termini, XXXXXXXXX, Riforma Brunetta: contrattazione collettiva e limiti funzionali della contrattazione integrativa, in Risorse umane, 2011, 1, 26 ss..
Relazioni, queste, che devono essere certificate dagli organi di controllo delle amministrazioni secondo le procedure disciplinate dall’art. 40 bis, d. lgs. 165/2001.
1.13 (Segue). La definizione dei tempi della negoziazione in sede decentrata.
Alla contrattazione collettiva nazionale è attribuita la competenza per la definizione del termine delle sessioni negoziali in sede decentrata, scaduto il quale “le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione” (art. 40, co. 3 bis, d. lgs. n. 165/2001).
La prescrizione deve essere letta unitamente al successivo comma 3 ter, ove – allo scopo di “assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica” – è previsto che, “qualora non si raggiunga l’accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, l’amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione”.
Dalla lettura combinata delle due previsioni discende che, nell’ipotesi in cui trascorrano inutilmente i termini fissati a livello nazionale per le sessioni negoziali decentrate ovvero qualora non si addivenga alla conclusione di un accordo negoziale di secondo livello, si attribuisce alle amministrazioni pubbliche il poter di decidere sulle materie oggetto della contrattazione medesima. Potere, questo, il cui esercizio non è tuttavia, illimitato. Il comma 3 ter fissa un duplice vincolo, stabilendo dapprima che l’azione dell’amministrazione debba essere finalizzata allo scopo di “assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica”; poi, che le decisioni assunte unilateralmente dalle amministrazioni abbiano
durata provvisoria, potendo le amministrazioni provvedere soltanto “fino alla successiva sottoscrizione”143.
Ma, pur se accomunate dagli intenti, le disposizioni differiscono, comportando: la prima (co. 3 bis), che, alla scadenza del termine fissato per la sessione negoziale, l’attività contrattuale si concluda; la seconda (co. 3 ter), che, pur avendo l’amministrazione provveduto unilateralmente, l’attività medesima prosegua.
Tali divergenze, tuttavia, non sminuiscono la radice comune delle due norme: entrambe le disposizioni, infatti, consegnano alle amministrazioni uno strumento con il quale porsi in una posizione contrattuale di certo vantaggio. Si tratta di norme che favoriscono una forte ingerenza sulla gestione del potere negoziale, in piena consonanza con il sistema contrattuale congegnato dal legislatore.
1.14 (Segue). La nullità delle clausole integrative e l’applicazione del meccanismo sostitutivo.
Il comma 3-quinquies dell’art. 40, d. lgs. n. 165/2001 introduce, per l’ipotesi che le clausole dei contratti collettivi di secondo livello contravvengano a quanto imposto dal livello nazionale o dalle norme di legge, una specifica disciplina sanzionatoria.
La norma statuisce che nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole dei contratti medesimi siano nulle, facendone derivare la necessaria disapplicazione e la sostituzione automatica in forza dell’espresso richiamo agli artt. 1339 e 1419, 2° co. del codice civile.
La previsione di tale automatismo sanzionatorio ricorre anche altrove nella disciplina posta dal d. lgs. n. 165/2001144. Già nel co. 3 bis dell’art. 2,
143 XXXXXXX, XXXXXXXX, Sub art. 40, d. lgs. n. 165/2001, in AMOROSO, DI XXXXX, XXXXXXXX, XXXXXXX A., op. cit., 647.
d. lgs. n. 165/2001, infatti, è statuito che nell’ipotesi di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si faccia applicazione delle medesime norme del codice civile.
La disposizione prevista per la contrattazione integrativa impone alle amministrazioni un obbligo ulteriore, con lo scopo di porre un freno all’aumento della spesa pubblica. La norma prescrive infatti che “in caso di accertato superamento di vincoli finanziari da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, del Dipartimento della funzione pubblica o del Ministero dell’economia e delle finanze”, oltre alle conseguenze sanzionatorie sopra descritte, sussista per le amministrazioni interessate, altresì, l’obbligo di recupero nell’ambito della sessione negoziale successiva.
1.15 (Segue). Meccanismi di controllo e pubblicità.
L’obiettivo di rafforzare l’effettività dei vincoli di bilancio fissati dagli strumenti di programmazione economica e finanziaria presso ciascuna amministrazione ha determinato il legislatore a procedere al potenziamento dell’apparato dei controlli sulla contrattazione integrativa, che principalmente aveva contribuito all’incremento della spesa per il personale. Per tale ragione, alle disposizioni del d. lgs. n. 165/2001 è stata aggiunta una nuova norma finalizzata ad un rigido controllo di tale livello negoziale145.
La verifica sulla compatibilità dei costi della contrattazione integrativa deve essere effettuata dagli organi deputati al controllo interni a ciascuna amministrazione. Organi che la norma individua nel Collegio dei revisori dei
144 Non si tratta, in effetti, nemmeno di un meccanismo nuovo. Anche prima della riforma operata con il d. lgs. n. 150/2009, infatti, la nullità sostitutiva era già prevista da tempo, “considerata uno strumento idoneo a garantire la coerenza tra i livelli contrattuali in un sistema in cui al livello nazionale era attribuito un ruolo “ordinante” (così XXXXXXX, LOMBARDO, Sub art. 40, d. lgs. n. 165/2001, in AMOROSO, DI CERBO, XXXXXXXX, XXXXXXX A., op. cit., 650, e XXXXXXX, Contrattazione integrativa, nullità della clausola difforme e responsabilità “diffusa”, in Lavoro nelle PA, 2007, 859 ss.).
145 Si tratta dell’art. 40 bis, d. lgs. n.165/2001 introdotto con la l. n. 448/2001 (legge Finanziaria per il 2002), art. 17, 2° co., modificato dall’art. 14, l. n. 3/2003 e, ancora, rivisitato dall’art. 55, 1° co., d. lgs. n. 150/2009. Per una ricostruzione di tali passaggi si rimanda a XXXXXXX, XXXXXXXX, Sub art. 40 bis, d. lgs. n. 165/2001, in AMOROSO, DI CERBO, XXXXXXXX, XXXXXXX A., op. cit., 653 ss.
conti, nel Collegio sindacale, negli uffici centrali di bilancio o negli analoghi organi previsti dai rispettivi ordinamenti.
E’ disposto, inoltre, che per le amministrazioni statali, per gli enti pubblici non economici e per gli enti e le istituzioni di ricerca con organico superiore a duecento unità, i contratti integrativi debbano essere sottoposti al controllo ulteriore della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della funzione pubblica) e del Ministero dell’economia e delle finanze (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato)146.
Nel contesto sopra considerato si inseriscono anche una serie di obblighi di comunicazione e trasparenza sempre previsti dalla normativa in esame.
Le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di comunicare, annualmente, al Ministero dell’economia e delle finanze “specifiche informazioni sui costi della contrattazione integrativa”, certificate dagli organi di controllo interno147, trasmesse, poi, alla Corte dei Conti che se ne serve anche ai fini del referto sul costo del lavoro.
Restano ferme, in ogni caso, le ipotesi di responsabilità eventualmente ravvisabili, dal momento che le amministrazioni non sono esonerate da responsabilità per l’eventualità che abbiano superato i tetti di spesa (3° co.).
E’ delineato, poi, un sistema di pubblicità degli accordi integrativi, prevedendo che il testo contrattuale – unitamente agli allegati sopra richiamati – venga trasmesso, per via telematica, dalle pubbliche
146 Il 2° co. della norma prevede che la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della funzione pubblica) ed il Ministero dell’economia e delle finanze (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato), accertino congiuntamente, entro trenta giorni dalla data di ricevimento, la compatibilità economico- finanziaria del contratto integrativo, ai sensi del medesimo articolo e dell’art. 40, co. 3 quinquies, d. lgs. n. 165/2001, di modo che, decorso inutilmente tale termine, la delegazione di parte pubblica possa procedere alla stipula del contratto stesso. Nel caso, invece, di riscontro negativo, non potendo le parti stipulare il contratto integrativo, si riaprono le trattative.
147 Si tratta, come spiega lo stesso comma, di informazioni “volte ad accertare, oltre il rispetto dei vincoli finanziari in ordine sia alla consistenza delle risorse assegnate ai fondi per la contrattazione integrativa sia all’evoluzione della consistenza dei fondi e della spesa derivante dai contratti integrativi applicati, anche la concreta definizione ed applicazione di criteri improntati alla premialità, al riconoscimento del merito ed alla valorizzazione dell’impegno e della qualità della performance individuale, con riguardo ai diversi istituti finanziati dalla contrattazione integrativa, nonché a parametri di selettività, con particolare riferimento alle progressioni economiche”.
amministrazioni all’Aran, entro cinque giorni dalla sottoscrizione, ed al CNEL.
Infine è stata prevista un’apposita sanzione per l’ipotesi di inadempimento dei prescritti obblighi, statuendo che, ferme le altre sanzioni pure richiamate148, sia fatto divieto, alle amministrazioni, di procedere a qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa.
1.16 L’efficacia del contratto collettivo.
Il contratto collettivo è in grado di vincolare le amministrazioni che operano nel comparto di riferimento ed anche, quale conseguenza indiretta, la generalità dei dipendenti ricompresi nell’ambito di applicazione del contratto stesso.
Garantiscono la sostanziale efficacia “erga omnes” nei confronti delle pubbliche amministrazioni specifiche norme contenute nel d. lgs. n. 165/2001: l’art. 46, 1° co., assegnando all’Aran la rappresentanza legale delle pubbliche amministrazioni “agli effetti della contrattazione collettiva nazionale”, sortisce l’esito di vincolare le amministrazioni stesse all’applicazione dei contratti sottoscritti dall’Agenzia; l’art. 40, 4° co., imponendo alle pubbliche amministrazioni di adempiere agli obblighi assunti con i contratti collettivi, nazionali o integrativi, e di garantirne l’osservanza “nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti”, rafforza il disposto dell’art. 46, 1° co., cit.
Più in generale deve rilevarsi che è il modello, prefigurato nella sua interezza, a fondare, in via mediata, l’obiettivo del legislatore di dotare il contratto collettivo di una efficacia generalizzata nei confronti di tutti i lavoratori149. Rappresentativo, sotto tale profilo, l’art. 45, 2° co., d. lgs. n. 165/2001, che impone alle amministrazioni la regola della parità di
148 Si tratta delle sanzioni di cui all’art. 60, 2° co., d. lgs. n. 165/2001.
149 Opinione concordemente condivisa, sin dai primi commenti, da parte della dottrina: x. XXXXXX, XXXX, Efficacia del contratto collettivo e parità di trattamento, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, commentario a cura di Xxxxxxx F., D’Antona, Milano, 2000, specie 1432 ss.
trattamento contrattuale e, soprattutto, quella della inapplicabilità di trattamenti inferiori rispetto alle previsioni del contratto collettivo.
Dal lato del dipendente la vincolatività della disciplina pattizia è conseguenza del concatenarsi di taluni passaggi che mettono in relazione le disposizioni del contratto collettivo con quelle del contratto individuale di lavoro. Allo stato attuale, infatti, l’efficacia vincolante dei contratti collettivi sorge in forza di un espresso rinvio ai contratti medesimi inserito nelle clausole del contratto individuale di lavoro150.
Il meccanismo utilizzato per fondare l’efficacia della fonte negoziale collettiva si serve della valorizzazione dell’efficacia soggettiva del contratto medesimo nei confronti di ciascuna delle parti del rapporto di lavoro.
L’efficacia del contratto collettivo risulta, così, essere il frutto della contemporanea operatività, da un lato, dei vincoli legali posti in capo alle amministrazioni e, dall’altro, delle scelte liberamente operate dal dipendente con la sottoscrizione del contratto individuale di lavoro.
Questa ricostruzione ha dato adito alle critiche di quanti hanno ritenuto il modello non conforme al disposto di cui all’art. 39 cost., sostenendo, in particolare, l’illegittimità delle previsioni che avrebbero conferito ai contratti collettivi l’efficacia erga omnes sulla base di un meccanismo diverso da quello previsto – e, peraltro, mai attuato – dalla norma costituzionale151.
A dirimere il dibattito sorto è intervenuta la Corte Costituzionale, che, con una pronuncia di rigetto, ha chiarito come siano le amministrazioni – e non anche i dipendenti delle medesime – ad essere le destinatarie esclusive
150 In tutti i contratti collettivi di comparto sottoscritti nel quadriennio 1994-1997 (peraltro mai modificati, sul punto, in occasione dei successivi rinnovi) è inserito un articolo, dal medesimo contenuto, che indica le clausole che il contratto individuale di lavoro deve necessariamente contenere: tra queste, la clausola di rinvio al contratto collettivo vigente e successive modificazioni.
151 X. XXXXXXX, Comparti, materie, livelli della contrattazione collettiva, in Quaderni dir. lav. e relaz. ind., 1995, 143 e XXXXXXXX, La nuova disciplina del pubblico impiego. Rapporto di diritto privato speciale o rapporto di diritto pubblico speciale?, in Lavoro e dir., 1993, 533.
del dovere, imposto dalle norme richiamate, di osservare gli obblighi assunti con i contratti collettivi.
La Consulta spiega che il meccanismo congegnato dal legislatore si colloca “sul distinto piano delle conseguenze che derivano, per un verso, dal vincolo di conformarsi imposto alle amministrazioni e, per l’altro, dal legame che avvince il contratto individuale al contratto collettivo”.
Allo stesso modo – prosegue la Corte – è possibile dedurre come anche la garanzia della parità di trattamento contrattuale e dell’inderogabilità dei livelli minimi (contenuta nelle previsioni di cui all’art. 45, 2° co., d. lgs.
n. 165/2001) debba considerarsi sottratta al confronto con l’art. 39 cost., in quanto “funzione diretta di un preciso dovere dell’amministrazione-datore di lavoro”, disposto dal legislatore nell’esercizio della potestà, attribuitagli dalla legge, di definire le modalità con le quali pervenire alla contrattualizzazione dei rapporti di impiego.
Le argomentazioni sopra riferite consentono di giungere alla conclusione per cui, nonostante sia imposto alle amministrazioni di applicare i contratti collettivi alle condizioni di garanzia appena riferite, nessuna delle disposizioni di cui si tratta incida sulla natura giuridica dei contratti collettivi, che, pertanto, restano di diritto comune.
Con riguardo alla posizione soggettiva del dipendente, la Consulta afferma come la “fonte regolatrice” del rapporto di lavoro debba essere rinvenuta nel contratto individuale. In tal modo “l’obbligo di conformarsi, negozialmente assunto”, trova origine proprio in conseguenza del rinvio alla disciplina contrattuale contenuto nel negozio medesimo.
2. La normativa di previdenza complementare vigente per il pubblico impiego.
Dopo aver illustrato ampiamente quali siano i meccanismi che disciplinano il funzionamento della contrattazione valevole per i dipendenti
pubblici contrattualizzati, analizziamo sin da ora le normative che regolamentano il funzionamento della previdenza complementare per questa tipologia di lavoratori.
Sia la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 che il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, di attuazione della delega, prevedono tra i destinatari della previdenza complementare anche i lavoratori delle pubbliche amministrazioni152.
Nonostante queste previsioni legislative l’istituzione dei fondi pensione per i dipendenti pubblici era preclusa dall’assenza di una delle risorse fondamentali di finanziamento della previdenza complementare: il Trattamento di fine rapporto.
Alle origini della riforma del rapporto di lavoro pubblico è stato evidenziato che nell’ambito della “contrattualizzazione” del rapporto di lavoro pubblico, l’intervento del d. lgs. n. 29/1993153 in tema di Trattamento di fine rapporto è stato particolarmente inadeguato.
Il legislatore del 1993 si è limitato a dettare una norma transitoria, in base alla quale “in attesa di una regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma la disciplina vigente in materia di Tfr” (art. 72, co. 4, ex co. 2).
Con questa disposizione il legislatore ha preferito non intervenire direttamente sul problema lasciando, in modo generico, la regolamentazione del Tfr dei dipendenti pubblici alla contrattazione collettiva154.
E’ nell'ambito dell'armonizzazione dei trattamenti tra lavoratori pubblici e privati, che si è inserita la normativa di riordino della materia previdenziale, la legge 8 agosto 1995, n. 335 che all’art. 2, commi 5 e 8, prevede alcune sostanziali modifiche del regime di quiescenza dei lavoratori pubblici.
152 In particolare l’art. 3, comma 2 del d. lgs. n. 124/1993 ha previsto che l’istituzione a carattere negoziale dei fondi pensione per i pubblici dipendenti possa avvenire tramite la stipula di contratti collettivi.
153 Poi trasfuso nel d. lgs. n. 165/2001.
154 Per un approfondimento sul tema x. XXXXXXXX X., Il trattamento di fine rapporto dopo la “contrattualizzazione” del lavoro pubblico, in MARTINENGO, XXXXXXX (a cura di), Struttura retributiva nel lavoro privato e riforma del pubblico impiego, CEDAM, 1998, 107.
In base alle norme contenute in questa legge i dipendenti pubblici, assunti a partire dal 1° gennaio 1996, sarebbero entrati nel regime del trattamento di fine rapporto, come regolato dall’art. 2120 del Codice Civile (art. 2, co. 5, legge 335/1995).
Per gli altri dipendenti assunti prima del 1° gennaio 1996 il passaggio dai trattamenti di fine servizio155 vigenti (indennità di buonuscita, indennità premio di servizio, indennità di anzianità) sarebbe avvenuto secondo le modalità definite dalla contrattazione collettiva i cui contenuti avrebbero dovuto essere recepiti da un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri156, finalizzato a dettare le norme esecutive di attuazione del passaggio.
La normativa sull'estensione del Tfr rimase, tuttavia, inapplicata fino al 1999.
Ed infatti, la complessità tecnica, oltre ai non secondari effetti sulla finanza pubblica connessi alla sostituzione dei Tfs con il Tfr, ha concorso a determinare un rallentamento dell’ iter che avrebbe dovuto condurre, entro il 30 novembre 1995, alla definizione delle modalità applicative del citato art. 2 della legge n. 335. Per queste ragioni, sono intervenute, successivamente, norme che hanno legato direttamente l'estensione del Tfr alle trattative per l'istituzione della previdenza complementare e, a questo scopo, le stesse norme hanno disposto stanziamenti specifici per il finanziamento dei fondi pensione per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Su questo fronte si registra un primo intervento del legislatore che con l’art. 59, comma 56, della legge 23 dicembre 1997, n. 449, per favorire l'adesione ai fondi pensione, ha previsto la possibilità di optare per il trattamento di fine rapporto in luogo del trattamento di fine servizio e di
155 Indennità di buonuscita per i dipendenti dello Stato, indennità premio di servizio per i dipendenti delle Autonomie locali e del Servizio sanitario nazionale, indennità di anzianità per i dipendenti degli Enti pubblici non economici.
156 Su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del tesoro e con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
poter beneficiare, contestualmente, di un'aliquota contributiva aggiuntiva dell'1,5%, calcolata sulla base utile per i trattamenti di fine servizio, da destinare al finanziamento della previdenza complementare.
Poi ha fatto seguito un secondo intervento che con l'art. 26, commi 18 e 19, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 ha provveduto a stanziare 200 miliardi di lire annui per il finanziamento della previdenza complementare, nel contempo, si è demandata alla contrattazione collettiva la definizione dei criteri e delle modalità di passaggio al Tfr (compresi quelli relativi all'opzione, alla permanenza in regime di Tfs e all'adeguamento della struttura retributiva e contributiva, fatta salva l'invarianza della retribuzione netta), diversamente da quanto originariamente previsto dalla legge n. 335/95 che estendeva il Tfr in modo generalizzato a tutti i dipendenti.
Finalmente, sulla base dei criteri indicati nell'art. 26 della legge n. 448/1998, il 29 luglio 1999 è stato stipulato un accordo quadro tra l’Aran e le organizzazioni sindacali al fine di estendere ai dipendenti pubblici la previdenza complementare ed il Tfr157.
L'accordo, secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 18, della legge n. 448/1998, è stato recepito dal D.P.C.M. 20 dicembre 1999. In base all'accordo quadro ed al D.P.C.M. è stato stabilito, tra l'altro, che tutti i lavoratori assunti a partire dalla data di entrata in vigore del D.P.C.M. stesso (30 maggio 2000) sarebbero entrati nel regime del Tfr, mentre per i dipendenti assunti prima di tale data ed in regime di Tfs, il passaggio al Tfr sarebbe stato contestuale e subordinato all'adesione ad un fondo pensione negoziale.
Disposizioni successive hanno modificato alcuni elementi del quadro normativo scaturente dall'accordo quadro e dal D.P.C.M. Si tratta delle norme
contenute nel decreto legge del 24 novembre 2000, n. 346 (decaduto senza
157 Per una ricostruzione normativa della previdenza complementare pubblica x. XXXXXXXXX, La previdenza complementare per i dipendenti pubblici, in Rivista diritto del lavoro, 2003, fasc. 4, 393.
essere convertito in legge ma i cui effetti sono stati fatti salvi dall'art. 78 della legge 23 dicembre 2000, n. 388) e soprattutto dell' art. 74 della legge n. 23 dicembre 2000, n. 388. Queste disposizioni hanno spostato alcuni termini relativi all'estensione del Tfr (in particolare per i dipendenti a tempo indeterminato, tale termine è stato fissato al 1° gennaio 2001) ed hanno incrementato i finanziamenti (a 300 mld di lire annui più ulteriori 100, una tantum, per le spese di avvio dei fondi) a favore della previdenza complementare, stabilendo, altresì la loro finalizzazione a copertura del contributo a carico delle amministrazioni statali datrici di lavoro per i propri dipendenti iscritti ai fondi.
Queste novità sono state successivamente recepite nel D.P.C.M. 2 marzo 2001 che ha modificato, in alcune parti, il D.P.C.M. 20 dicembre 1999.
Secondo il D.P.C.M. del 2 marzo 2001 la misura del Tfr e delle altre quote figurative da destinare alla previdenza complementare sono determinate seguendo i criteri seguenti:
- Lavoratori assunti dopo il 31 dicembre 2000.
Per i lavoratori assunti dopo questa data, sia con contratto a tempo indeterminato che a tempo determinato, è prevista la totale destinazione del Tfr al fondo pensione per un’ aliquota pari al 6,91% della base retributiva utile. Per i lavoratori in regime di Tfr, l’Inpdap provvede a contabilizzare ed a liquidare, alla cessazione dal servizio, il Tfr in base agli accantonamenti effettuati annualmente applicando l’aliquota del 6,91% sulla retribuzione utile composta dall’intero stipendio tabellare, l’intera indennità integrativa speciale, la retribuzione individuale di anzianità, la tredicesima mensilità e gli altri emolumenti considerati utili ai fini del calcolo del Tfs.
- Lavoratori assunti a tempo determinato con contratto in corso o successivo al 30 maggio 2000 ed anteriore al 1° gennaio 2001.
Per i dipendenti assunti a tempo determinato con contratto in corso o successivo al 30 maggio 2000 ma anteriore al 1° gennaio 2001, il D.P.C.M. non indica misure o condizioni per gli accantonamenti di Tfr da destinare a previdenza complementare. Tali misure sono quindi indicate dai singoli contratti o accordi istitutivi. Si precisa che rientrano in questa categoria i soli dipendenti il cui contratto di lavoro sia stato non solo costituito entro il 31 dicembre 2000 ma anche in corso al momento dell’iscrizione al fondo;
- Lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato prima del 1° gennaio 2001 (optanti).
Questi lavoratori sono in regime di Tfs. Per questi l’adesione al fondo pensione comporta l’opzione per il Tfr e la parziale destinazione a previdenza complementare delle quote del trattamento maturate successivamente alla data di adesione .
In fase di prima attuazione queste quote di Tfr non possono superare il 2% della retribuzione base di riferimento, successivamente la quota di Tfr è determinata dalle parti istitutive con apposito accordo.
Accanto al Tfr, per gli optanti, viene destinata alla previdenza complementare una quota aggiuntiva pari all’1,5% della base contributiva di riferimento ai fini dei vigenti trattamenti di fine servizio. Anche questa quota ha natura di elemento figurativo ed è considerata neutra rispetto alle altre quote di pertinenza dei lavoratori e delle pubbliche amministrazioni .
Per le modalità di opzione l’Inpdap con nota n. 11/2005 ha suggerito ai fondi pensione di richiedere tramite apposito modulo una dichiarazione specifica per l’esercizio dell’opzione in modo da ingenerare nel lavoratore una formale presa d’atto. L’opzione determina la trasformazione del Tfs in Tfr con effetto dalla data di sottoscrizione della domanda di adesione alla previdenza complementare .
La contabilizzazione e rivalutazione degli accantonamenti figurativi avviene ad opera dell’Inpdap che al termine del rapporto di lavoro,
provvederà al conferimento al fondo pensione del montante maturato costituito dagli accantonamenti figurativi delle quote di trattamento di fine rapporto nonché di quelli relativi alla quota aggiuntiva dell’1,5% e dal rendimento di entrambi.
Agli accantonamenti verrà applicato un rendimento che in una prima fase verrà calcolato in base alla media dei rendimenti conseguiti da una serie di fondi di previdenza complementare già operanti ed individuati dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 23 dicembre 2005158. Successivamente a consolidamento avvenuto si applicherà il tasso di rendimento del fondo stesso159.
Il fondo liquiderà poi al singolo iscritto una prestazione complessiva, costituita dalle somme ricevute dall’Inpdap e dal montante maturato presso il fondo stesso a seguito degli accantonamenti di risorse effettive.
Bisogna precisare che quanto detto vale esclusivamente per i dipendenti pubblici cosiddetti “contrattualizzati” ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/01, resta escluso da questa disciplina il personale pubblico il cui rapporto di lavoro continua ad essere disciplinato da norme di legge (Magistrati ordinari, amministrativi e contabili; avvocati e procuratori dello Stato; docenti e ricercatori universitari; personale appartenente alle carriere prefettizie e diplomatiche; personale delle Camere del Parlamento e della Segreteria della Presidenza della Repubblica; forze armate e di Polizia)160.
Per questi dipendenti e con riferimento alla previdenza complementare, continua ad applicarsi la disciplina del Tfs.
Secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 2 del decreto n. 124/1993, per queste categorie l’istituzione di forme pensionistiche complementari può
158 Pubblicato nella G.U. del 24 gennaio 2006, n. 9.
159 Come avviene già per il Fondo Espero.
160 X. XXXXXX, I fondi di previdenza ed assistenza complementare, CEDAM, 1998, 65.
avvenire in virtù di norme modificative dei rispettivi ordinamenti ovvero mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi dalle loro associazioni.
Parzialmente differente è la posizione del personale del comparto difesa e sicurezza (appartenenti alle forze armate ed alle forze di polizia civile e militare). Anche per questo personale non trova applicazione la disciplina del Tfr, tuttavia l’art. 26, comma 20, della legge n. 448/1998, ha previsto che in base alle procedure di negoziazione e concertazione, previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995 n. 195, si potrà definire la disciplina del Tfr ai sensi dell’art. 2, commi da 5 a 8, della legge n. 335/1995 e l’istituzione di forme pensionistiche complementari.
Un’altra situazione particolare riguarda i dipendenti delle amministrazioni pubbliche a carattere locale delle province autonome di Trento e Bolzano che possono iscriversi al fondo pensione complementare Laborfonds.
Al personale dipendente da alcune di queste amministrazioni (Regione Autonoma Trentino Alto Adige, Consiglio regionale Trentino Alto Adige, Azienda sanitaria locale del Trentino, Amministrazione scolastica della Provincia di Trento e Bolzano) si applica il D.P.C.M. del 20 dicembre 1999; per il personale delle province di Trento e Bolzano e degli enti collegati trovano applicazione, invece, le norme previgenti il suddetto decreto.
In particolare questo personale è regolamentato dalle leggi della Provincia di Trento del 3 febbraio 1997, n. 2 e dalla legge del 31 dicembre 2000, n. 1 e dalle leggi della provincia di Bolzano del 3 maggio 1999, n. 1 e dell’8 aprile 2004, n. 1.
Queste leggi, in forza della concorrenza legislativa di cui dispongono le due Province in materia di ordinamento del personale, hanno stabilito il passaggio dal Tfs al Tfr per i dipendenti in parola, in attuazione dell’art. 2, commi 5 e 8 della legge n. 335/1995 prima che intervenisse il D.P.C.M.
Queste leggi provinciali prevedono che le amministrazioni interessate,
conservando l'iscrizione all'Inpdap per il proprio personale per il quale continuano a versare la contribuzione all'Istituto, erogano il Tfr cosiddetto provinciale.
Questa prestazione si configura come istituto a carattere ibrido in quanto ai lavoratori viene liquidato, in base all'art. 2120 del codice civile, il Tfr da parte del datore di lavoro e non dall' Inpdap. L'Inpdap, tuttavia, in base alla normativa previgente al D.P.C.M., continua a liquidare le prestazioni di fine servizio non al lavoratore ma all'ente datore di lavoro, per effetto di un mandato alla riscossione rilasciato dal lavoratore stesso. Restano fermi gli obblighi contributivi nei confronti di Inpdap in base alla disciplina delle indennità premio di servizio.
2.1 Il personale in regime di Tfs.
Al fine di poter comprendere come la disciplina del Tfs o l’eventuale opzione per il Tfr possano modificare le scelte previdenziali dei lavoratori pubblici si rende necessario illustrare le modalità di calcolo dei due diversi trattamenti.
Con il termine Tfs si indicano l’indennità di buonuscita, l’indennità premio di servizio, il trattamento di quiescenza degli enti pubblici non economici e degli enti di ricerca161.
- L’indennità di buonuscita è erogata dall’Inpdap162 ai dipendenti statali (Ministeri, Agenzie fiscali, Scuola). Il suo fondamento normativo è nell’art. 37, DPR n. 1032 del 29 dicembre 1973 e successive modifiche. Essa spetta alla cessazione dal servizio dopo almeno un anno di iscrizione al fondo di previdenza per i dipendenti civili e militari dello Stato. Il finanziamento
161 Per un approfondimento sul tema x. XXXXXXX V. E., La previdenza complementare nel pubblico impiego: espero, Perseo e Sirio, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2012, fasc. 5, 933. L’Autore evidenzia che “la previdenza complementare è ancora fortemente condizionata dalla convinzione di alti tassi di sostituzione del sistema obbligatorio e dalla reticenza all’abbandono del trattamento di fine servizio, che inibiscono l’iniziativa dei lavoratori e la piena condivisione dei suoi vantaggi.
162 In passato era erogata dall’ENPAS che successivamente è stato disciolto con D. LGS. n. 479 del 1994 a beneficio dell’Inpdap. Oggi il trattamento è erogato dall’Inps che è subentrato all’Inpdap sciolto con D. L. n. 201 del 2011.
dell’indennità avviene con un contributo complessivo pari al 9,60% della base contributiva di riferimento; il 7,10% di questa percentuale è a carico dell’amministrazione mentre il restante 2,5%163 è a carico dell’iscritto (ex art. 37, comma 1, del DPR n. 1032/1973 come modificato dal successivo art. 18, legge n. 75/1980). La base contributiva è data dall’80% dell’ultimo stipendio, paga o retribuzione annui compresa la tredicesima mensilità. L’importo della prestazione è ottenuto considerando tanti dodicesimi della base contributiva quanti sono gli anni di servizio computabili (artt. 3 e 38)164. Di tale indennità, a differenza del Tfr, non è prevista alcuna anticipazione. Ai fini fiscali165 essa è soggetta a tassazione separata e gode di un’esenzione del 26,04%, che si ottiene dal rapporto tra la quota di contribuzione a carico del dipendente e quella complessiva oltre ad un abbattimento di 309,87 euro per anno di servizio utile.
- L’indennità premio di fine servizio è erogata dall’Inpdap ai dipendenti appartenenti al comparto degli Enti locali (Comuni, Province, Regioni, Comunità montane, Unioni di comuni, Aziende pubbliche di servizi alla persona), e del servizio Sanitario nazionale (aziende sanitarie locali ed ospedaliere, istituti zooprofilattici sperimentali, di ricovero e cura a carattere scientifico, ex istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza – IPAB). Si differenzia dall’indennità di buonuscita per il sistema di calcolo. Essa spetta alla risoluzione del rapporto di lavoro dopo almeno un anno di iscrizione presso l’Istituto. Il suo finanziamento avviene con un contributo
163 DPCM del 20 dicembre 1999 modificato dal DPCM del 2 marzo 2001 art. 1, comma 2 e 3:”A decorrere dalla data dell'opzione prevista dall'art. 59, comma 56, della legge n. 449 del 1997 ai dipendenti che transiteranno dal pregresso regime di trattamento di fine servizio, comunque denominato, al regime di trattamento di fine rapporto non si applica il contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5 per cento della base retributiva previsto dall'art. 11 della legge 8 marzo 1968, n. 152, e dall'art. 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032. La soppressione del contributo non determina effetti sulla retribuzione imponibile ai fini fiscali. Per assicurare l'invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali dei dipendenti nei confronti dei quali si applica quanto disposto dal comma 2, la retribuzione lorda viene ridotta in misura pari al contributo previdenziale obbligatorio soppresso e contestualmente viene stabilito un recupero in misura pari alla riduzione attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali e dell'applicazione delle norme sul trattamento di fine rapporto, ad ogni fine contrattuale nonché per la determinazione della massa salariale per i contratti collettivi nazionali”.
164 TFS = (Retribuzione annua di riferimento x 80% : 12) x N anni.
165 Art. 19 del Testo unico delle imposte sul reddito.
complessivo pari al 6,10% della base contributiva di riferimento; il 3,6% del contributo è a carico dell’ente, mentre il restante 2,5% è a carico dell’iscritto. L’importo della prestazione è ottenuto considerando un quindicesimo dell’80% della media delle retribuzioni contributive degli ultimi dodici mesi di servizio, per ogni anno di servizio valutabile (art. 4)166. Infine anche per tale indennità, a differenza del Tfr, non è prevista alcuna anticipazione. E’ utile ricordare che dal punto di vista fiscale essa è soggetta a tassazione separata e gode di un’esenzione del 40,98%, che si ottiene dal rapporto tra la quota di contribuzione a carico del dipendente e quella complessiva, oltre ad un abbattimento di 309,87 euro per ogni anno di servizio utile.
- L’indennità di anzianità167 spetta al personale dipendente degli Enti pubblici non economici, di ricerca e sperimentazione e delle camere di commercio168; non è sottoposta a contribuzione né da parte del lavoratore, né da parte del datore di lavoro. La liquidazione compete direttamente all’ente o istituto presso il quale l'interessato presta l’attività lavorativa. L’importo è pari ad 1/12 della retribuzione spettante all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro169 moltiplicato per il numero di anni di servizio presso l’ente.
La base di calcolo ai fini del Trattamento di fine servizio è costituita:
- Per i comparti Scuola e Ministeri dall'ottanta per cento dello stipendio tabellare (la I.I.S. è stata conglobata nello stipendio tabellare con decorrenza 1 gennaio 2003 dai nuovi CCNL); dall'80% della R.I.A. , e dall'ottanta per cento delle eventuali altre indennità valutabili ai fini della normativa Tfs e dalla tredicesima mensilità in base alle voci precedenti;
166 (Retribuzione annua di riferimento x 80 % : 15) x N anni.
167 Legge n. 70 del 1975.
168 A differenza dell’indennità di buonuscita e dell’indennità premio di fine servizio, questa non viene erogata dall’Inpdap ma dai singoli enti datori di lavoro.
169 Comprensiva dell’indennità integrativa speciale.
- Per il comparto Enti locali e Sanità dall'ottanta per cento dello stipendio tabellare, dall'80% della I.I.S., dall'80% della R.I.A., dall'ottanta per cento delle eventuali altre indennità valutabili ai fini della normativa TFS e dalla tredicesima mensilità in base alle voci precedenti;
- Per il comparto Parastato dall’intero stipendio lordo, dal 70% della I.I.S., dall’intera retribuzione Individuale di Anzianità, dalle eventuali altre indennità valutabili ai fini della normativa Tfs e dalla tredicesima mensilità in base alle voci precedenti.
Tabella 2.1 – Trattamenti di fine servizio
Comparto | Finanziamento TFS (contribuzione) | Prestazione Tfs |
Stato (ex EMPAS) | 9,60% (di cui 2,5% a carico del lavoratore) x [80% x (retribuzione tabellare + R.I.A. + tredicesima)]170 | [(retribuzione tabellare + R.I.A. + tredicesima) x 80%] / 12 x durata carriera lavorativa171 |
Enti locali (ex INADEL) | 6,10% (di cui 2,5% a carico del lavoratore) x [80% x (retribuzione tabellare + I.I.S. + tredicesima)] | [(retribuzione tabellare + I.I.S. + R.I.A. + tredicesima) x 80%] / 15 x durata carriera lavorativa (in anni di servizio) |
Parastato | Interamente a carico dell’Amministrazione interessata: non è dovuto alcun contributo a carico del lavoratore | [(retribuzione tabellare + 70% I.I.S. + altri emolumenti utili) / 12] x durata carriera lavorativa (in anni di servizio) |
Quanto alla natura del Tfs la Corte Costituzionale172 ha più volte messo in evidenza che il trattamento di fine servizio, ancorché abbia una funzione previdenziale, può ormai considerarsi equivalente alla retribuzione differita del lavoro privato tenuto conto che la componente previdenziale, in rapporto all’entità complessiva della prestazione, è relativamente modesta.
Tra le ultime novità che hanno avuto riflessi sul Tfs possiamo ricordare anche l’art. 12, comma 10 del D.L. n. 78/2010 convertito in legge
n. 122/2010. Tale comma disponeva che “con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2011, per i lavoratori alle
170 L’indennità integrativa speciale non compare più nella base di calcolo perché è stata conglobata per effetto dei nuovi CCNL.
171 In anni di servizio.
172 C. Cost.19.3.1993, n. 99 e C. Cost. 19.5.1993, n. 243. Nello stesso senso anche la giurisprudenza della Cassazione: Cass. 16.2.2009, n. 3708.
dipendenze delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell’art. 1, della L. 31 dicembre 2009, n. 196, per i quali il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a quanto previsto dall’art. 2120 del Codice Civile in materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui all’art. 2120 del Codice Civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento”.
Dunque, per le anzianità utili maturate dal 1° gennaio 2011, il computo di tutti i trattamenti di fine servizio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni andava calcolato secondo le regole di cui all’art. 2120 cod. civ., con applicazione dell’aliquota del 6,91%.
Tale previsione aveva ad oggetto anche il personale in regime di diritto pubblico, ex art. 3, comma 1, del d. lgs. n. 165/2001.
Pertanto in forza di tale decreto, la determinazione del complessivo trattamento previdenziale nel comparto pubblico era pari alla somma di due quote:
a) la prima, relativa alle anzianità maturate alla data di assunzione sino al 31 dicembre 2010, determinata secondo le vecchie disposizioni in tema di trattamento di fine servizio (D.P.R. n. 1032 del 1973 ovvero legge n. 152 del 1968 a seconda del comparto di appartenenza del dipendente), id est pari ad una quota della retribuzione contributiva utile percepita negli ultimi mesi moltiplicata per tutti gli anni di lavoro;
b) la seconda, relativa alle anzianità successive alla predetta data del 31 dicembre 2010, pari all’accantonamento del 6,91% delle retribuzioni annue, successivamente rivalutato secondo le regole del Tfr ai sensi dell’art. 2120, comma 4, Cod.Civ.
Pertanto ai dipendenti pubblici che avevano maturato alla data del 31.12.2010 un’anzianità di servizio utile alla erogazione del Tfs doveva essere erogato al momento della cessazione dal servizio un’indennità costituita da due importi calcolati con sistemi diversi.
La coesistenza di tale doppio regime previdenziale, nonché la non felice formulazione dell’art. 12, comma 10, del d. l. n. 78 del 2010, “a ben vedere estremamente sintetica rispetto alle rilevanti problematiche sottese, davano luogo, da subito, ad alcune incertezze interpretative”173.
Sotto l’aspetto contributivo è evidente che l’applicazione dell’aliquota del 2,5% a carico del dipendente poteva trovare giustificazione solo se la natura della prestazione veniva ricondotta al vecchio trattamento di fine servizio, e ciò in quanto la disciplina codicistica del trattamento di fine rapporto non prevede tale prelievo.
E’ nato così un contenzioso basato sul differenziale di calcolo tra i due trattamenti: il trattamento di fine servizio (Tfs) prevede l’applicazione di un 2,5% dell’80% della retribuzione imponibile in busta paga ed a carico del lavoratore, mentre il trattamento di fine rapporto (Tfr) non prevede alcuna quota a carico dei lavoratori da addebitare in busta paga.
Dunque con il passaggio al Tfr dal mese di gennaio 2011, i dipendenti pubblici non dovevano più vedersi addebitare in busta paga il 2,5% della retribuzione come quota a loro carico.
Ebbene, proprio sulla base di questa astratta compatibilità della vecchia disciplina del trattamento di fine servizio, connotata dalla rivalsa del 2,5% ex art. 37 dpr n, 1032/1973, con quella nuova in tema di trattamento di fine rapporto, il Tar umbro ha ritenuto rilevante e non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del d. l. n. 78/2010.
173 Per un’accurata analisi della sentenza della Corte Costituzionale x. XXXXXXXXX D., Le ultime novità in materia di trattamento di fine servizio per i dipendenti pubblici, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, Anno LXIV, 2013, n. 1, 111.
Ciò sul presupposto, come sostenuto testualmente nell’ordinanza di rimessione che “il protrarsi del prelievo del 2,5% nella nuova disciplina concernente il trattamento di fine servizio contrasta con il principio di eguaglianza e con l’art. 36 della Costituzione, consentendo allo Stato datore di lavoro una riduzione dell’accantonamento, illogica anche perché in nessuna misura collegata con la qualità e quantità del lavoro prestato”.
E’ in tale complesso contesto normativo che la Corte Costituzionale con decisione n. 223 dell’11 ottobre 2012, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,5% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del dpr. n. 1032/1973.
La Consulta, infatti, ha ritenuto condivisibile il quadro normativo tratteggiato dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria nella ordinanza di rimessione degli atti, considerando che non può negarsi che l’estensione del regime di cui all’art. 2120 cod. civ., sia pure per le annualità maturate a far tempo dal 1°gennaio 2011, dovrebbe comportare, a rigore e in ossequio ai principi civilistici in tema di trattamento di fine rapporto, l’applicazione della sola aliquota del 6,91% sulla intera retribuzione, senza nessuna ulteriore decurtazione a carico del lavoratore dipendente.
Di contro, la vigenza della trattenuta nella misura del 2,5%, operata a titolo di rivalsa ex art. 37 del dpr n. 1032/1973, consente alla pubblica amministrazione una riduzione dell’accantonamento del tutto irragionevole, perché non legata in modo diretto ed esclusivo con la qualità e la quantità del lavoro prestato.
Oltre a tale profilo, la Consulta ravvisa un ulteriore aspetto di incostituzionalità della disposizione censurata, per violazione degli articoli 3