Lezione IV - Avv. Laura Carratelli
Lezione IV - Avv. Xxxxx Xxxxxxxxxx
Il contratto di arbitrato. Natura e disciplina dei patti compromissori.
Le controversie arbitrabili: disponibilità e indisponibilità. L'arbitrato e la nullità del contratto.
Per una maggiore comodità di esposizione, nella trattazione dei vari argomenti, è opportuno seguire l'ordine delle disposizioni dettate dal Codice di procedura Civile agli artt.806, 000 x 000- xxx, xxx, xxxxxx e quinquies.-
CONTROVERSIE ARBITRABILI
Due premesse importanti: a)- da tutto il sistema di norme sull'arbitrato discende che ciò che è compromettibile in arbitrato rituale, lo è anche in arbitrato irrituale: non vi è alcuna deroga; b)- il codice, nel testo riformato, fa della arbitrabilità la regola e della inarbitrabilità l'eccezione.
Quali sono le controversie arbitrabili?
Il nuovo testo dell'art.806, per come modificato dalla recente Riforma del 2006, come tutti sappiamo, non contiene più la indicazione prevista nel precedente testo, delle quattro categorie di controversie non arbitrabili, e cioè quelle relative alle controversie di lavoro e previdenza (come tali considerate, dopo la riforma del processo del lavoro, dagli artt. 409 e 459 c.p.c.), alle questioni di stato e alla separazione personale tra coniugi, ma considera arbitrabili "le controversie che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge".
E' la natura disponibile del diritto controverso, dunque, che viene assunta come criterio distintivo: in ciò il nuovo testo dell'articolo non si discosta dal precedente nella sostanza, ma solo nella formulazione testuale, in quanto, nel mentre prima si escludevano dall'arbitrato "le controversie che non possono formare oggetto di transazione", ora si parla di "diritti indisponibili".
Il raccordo tra indisponibilità e intransigibilità si coglie nel testo dell'art.1966 c.c., 2° comma, laddove viene sanzionata di nullità la transazione su diritti che, per loro natura, o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti. E proprio per fugare ogni dubbio, sempre possibile in ordine alla "natura" di un diritto, il legislatore del 2006 ha fatto comunque anch'egli ricorso alla valvola dell'espresso divieto di legge.
Notazione a margine: perché il giudice può conoscere di controversie su diritti indisponibili e l'arbitro no? E' evidente che il giudice decide per autorità propria, non derivata dal consenso dei giudicabili, mentre all'arbitro la questione è rimessa dalla volontà delle parti, sicché la rimessione all'arbitro delle decisioni su diritti indisponibili risulterebbe come una elusione ai divieti posti dalla legge sulla disponibilità del diritto: qualcuno ha parlato di una sorta di "gelosia dello Stato per il proprio potere giurisdizionale" (La China).-
Andiamo ora agli aspetti pratici: se la regola è l'arbitrabilità, esaminiamo la casistica della inarbitrabilità.
Cosa ne è stato delle categorie espressamente contemplate dal vecchio testo dell'art.806?
Mentre per le controversie individuali di lavoro ex art.409 dispone oggi il 2° comma dell'art.806, assoggettandole ad un regime che è stato definito di arbitrabilità attenuata o condizionata, le controversie di previdenza o assistenza obbligatoria certamente non possono essere assoggettate ad arbitrato in virtù del disposto dell'art.147 disp.att. c.p.c.
Nessun dubbio anche sulla inarbitrabilità assoluta delle questioni di stato (interdizione, inabilitazione, cittadinanza, elettorato, filiazione, adozione, ecc.), e di separazione, nonché per le controversie coniugali di ogni genere -nullità, scioglimento, cessazione effetti civili del matrimonio, ecc.-, sia per la natura dei diritti, sia per la necessaria presenza del P.M. .
A proposito delle controversie fra coniugi, tuttavia, è da operare una distinzione nell'ambito di quelle relative agli accordi patrimoniali, ritenendosi da più parti che mentre è certamente inarbitrabile la controversia che ha ad oggetto l'obbligo di ciascun coniuge di concorrere agli oneri della famiglia, obbligo inderogabile in quanto di ordine pubblico, potrebbe essere oggetto di arbitrato quella relativa alla misura dell'assegno: ciò sulla base del fatto che in sede di separazione consensuale i coniugi possono accordarsi sul quantum (Rubino, 300). Personalmente xxxxxx molto cauta sull'argomento, atteso che in sede di consensuale a volte, soprattutto per quanto riguarda il reciproco mantenimento, i coniugi finiscono con il disporre anche -eccezionalmente- di diritti riservati all'ordine pubblico, e quindi non mi sembra risolutivo il richiamo a quanto può essere oggetto di separazione consensuale.
Ancora:
L'arbitrato è un procedimento per decidere controversie su diritti, parallelo al processo civile ordinario: risultano, viceversa, inarbitrabili tutte quelle controversie che non vengono decise con cognizione piena, e quindi le procedure camerali (a prescindere se di giurisdizione necessaria, o volontaria); i procedimenti cautelari (perché si tratta di cautele, e non di diritti); le cause possessorie (perché si tratta di situazioni di fatto, e non di diritto, e perché gli arbitri non hanno poteri coercitivi cfr. Cass. n.8399/1990; Cass. n.1249/1958); i processi esecutivi (perché non vi è controversia sul diritto sostanziale, ma si tratta solo della attuazione del diritto); in generale tutte le cause in cui è obbligatorio l'intervento del P.M. (perché vi è un pubblico interesse, e non si tratta soltanto della volontà delle parti): ad esempio, i giudizi di falso civile, di verificazione delle scritture private, diritti di proprietà industriale, marchi e brevetti, ecc. In particolare, in tema di querela di falso, è da escludere l'arbitrabilità non solo per la necessaria presenza del P.M., ma anche perché l'art.1968 c.c. consente la transazione nei giudizi di falso soltanto con la omologazione del Tribunale.
Mentre risultano ex lege arbitrabili le materie in cui il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusiva (v.art.6 comma 2° L.n.205/2000), sono inarbitrabili le controversie che hanno ad oggetto interessi legittimi, perché gli arbitri non possono annullare atti della P.A.; in tal senso, si deve segnalare la recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n.25508 del 30.11.2006, che ha così statuito: L'art. 6, comma 2, l. 21 luglio 2000 n. 205, prevede la possibilità che le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del g.a. siano risolte mediante arbitrato rituale di diritto, mentre resta preclusa la compromettibilità in arbitri delle controversie su interessi legittimi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito di annullamento del lodo arbitrale in materia di revisione delle tariffe del servizio di illuminazione elettrica delle lampade votive del cimitero affidato in concessione, sulla base della qualificazione -non specificatamente e adeguatamente censurata da parte del ricorrente- della posizione soggettiva della concessionaria come di interesse legittimo)
Sono altresì non compromettibili le controverse devolute a giurisdizioni speciali o sezioni specializzate (controversie agrarie, o in tema di acque pubbliche), evidentemente proprio per la esigenza che quella particolare materia venga decisa da un organo giudicante specializzato e competente anche dal punto di vista tecnico.-
E' certo, poi, che non può essere commesso in arbitri un illecito penale; ma può l'arbitro, se ritiene la nullità di un contratto o la illiceità di un comportamento perché in contrasto con una norma penale, decidere sul quantum del risarcimento?
La risposta è nel fatto che la disponibilità del diritto richiesta al fine della compromettibilità deve essere riferita al diritto azionato, e non alle questioni che si pongano nel corso della formazione delle decisioni sul piano logico-giuridico, a meno che si tratti di questioni che per legge devono essere decise con autorità di giudicato. Conferma di ciò è nell'art. 819, 1° comma, che riconosce agli arbitri la possibilità di apprezzare, in sede di cognizione incidentale, una questione di per sè non arbitrabile, non per definirla direttamente, ma solo per argomentarne conseguenze di natura certamente disponibile, come condanne a pagamenti o a cessazione di comportamenti lesivi, ecc. Xxxxxx resterà esclusa la cognizione incidentale dei diritti indisponibili soltanto quando la legge imponga sulle relative controversie la pronunzia con efficacia di giudicato.
Ne consegue la compromettibilità delle controversie relative a risarcimento di danni o a restituzioni da reati, così come affermata anche in Cass. 26.1.1988 n.664 (cfr. Cass.3.10.1953 n.3159).
Inarbitrabilità attenuata
Si parla di i.a., ovvero di indisponibilità relativa per quei diritti che possono dar vita a controversie individuali di lavoro e assimilate, la cui arbitrabilità ex art.806 capoverso si ricollega al regime sostanziale dettato nell'art.2113 c.c., ai sensi del quale le transazioni sui diritti inderogabili ivi enunziati sono qualificate non nulle, ma solo invalide, in quanto sanabili se non impugnate nel breve termine di decadenza di sei mesi ivi fissato. A tali limitazioni di ordine sostanziale si aggiungono quelle volute dalla norma processuale, e cioè appunto dal 2° comma dell'art.806: "Le controversie di cui all'art.409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro": quindi, la regola è la inarbitrabilità, a meno che l'arbitrato sia espressamente previsto dalla legge o dai contratti collettivi. Qui, evidentemente, il legislatore si è preoccupato di tutelare sia il lavoratore, perché non sia sottratto al favor cui è ispirato il processo del lavoro davanti all'autorità giudiziaria, sia il sindacato, perchè non ne sia indebolita la sfera di protezione. Secondo alcuni autori, invece, dato l'esiguo lasso di tempo a disposizione, non si è voluto fare ordine in una materia che ne aveva certamente bisogno.
Oltre all'arbitrato rituale ed irrituale, ove consentiti, l'art.412- ter disciplina una forma di arbitrato irrituale sindacale, sempre ove previsto da contratti e accordi collettivi.
Restano, invece, inarbitrabili in via assoluta tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni secondo il disposto dell'art.63 D.lgs. 00.0.0000 x.000, per le quali d'altronde è prescritta un preventivo tentativo di conciliazione dinnanzi ad apposita Commissione.-
Qualche caso dubbio
In dottrina è controversa la deferibilità ad arbitri di controversie in materia condominiale. L'art.1138 x.x. xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxx xxxx'xxx.0000 x.x. xxxxx xxxxxxxxxxxx delle delibere assembleari. Cass.5.6.1984 n.3406 (cfr. Cass.10.1.1986 n.73) afferma, tuttavia, che l'art.1137 2° comma c.c. non pone una riserva di competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario, e quindi non esclude la compromettibilità in arbitri di tali controversie, che non riguardano diritti indisponibili, prevedendosi una facultas agendi del condomino a tutela di interessi direttamente protetti dall'ordinamento.
Pertanto, è legittima la norma del regolamento condominiale che concreti una clausola compromissoria, e la stessa non necessita di specifica approvazione per iscritto ex art.1341 c.c., intendendosi accettata con l'atto di acquisto dei locali, per come più volte ritenuto dalla giurisprudenza di merito (App. Torino, 4.5.1984; App. Milano 9.6.1981; Trib.Milano 14.7.1969).
Non sarà invece compromettibile in arbitri una questione concernente la proprietà esclusiva di un condomino, ne' -da parte di due condomini- la questione circa la validità di una delibera condominiale solamente rispetto agli stessi, restando estranei gli altri condomini, trattandosi in entrambi i casi di controversie non assoggettabili al regolamento condominiale.
E' stata invece ritenuta nulla, perché lesiva del diritto dei condomini di concorrere alla scelta dell'arbitro, la clausola compromissoria che devolva la cognizione delle controversie tra i condomini ad un arbitro amichevole compositore, rimettendo la nomina caso per caso alla maggioranza dei voti tra i contendenti.
Anche in materia societaria, prima del D.lgs. n.5/2003, si era registrata un'ampia e contrastante casistica sia in tema di controversie inerenti a diritti disponibili del singolo socio (esclusione, recesso, liquidazione della quota), sia in tema di revoca di amministratore e di impugnazione di delibere assembleari. Tuttavia, mi guardo bene dall'affrontare l'argomento, essendo l'arbitrato societario oggetto di apposita lezione di questo corso.
Per quanto concerne le locazioni, l'art.54 della legge 392/1978 sancisce espressamente la nullità della clausola con la quale le parti stabiliscono che le controversie relative alla determinazione del canone siano decise da arbitri: la norma è stata abrogata dalla legge n.431/1998, ma soltanto per le locazioni abitative. Vi è tuttavia da osservare che, con la cessazione della disciplina dell'equo canone, non ha più senso parlare di controversie in ordine alla determinazione del canone, così come non ha senso per le locazioni non abitative. Cass. 24.3.1982 n.1851 aveva escluso la arbitrabilità delle -oggi non più attuali- questioni riguardanti la proroga legale, in quanto oggetto di disposizioni di legge sopravvenute rispetto al contratto. Quanto alla finita locazione, si è ritenuto che i procedimenti diretti all'ottenimento di provvedimenti di convalida o ordinanze di rilascio siano riservati all'autorità giudiziaria, peraltro per la sola fase a cognizione sommaria, mentre le controversie inerenti la cessazione del rapporto locativo possono essere deferite ad arbitri. Una pronuncia arbitrale milanese del 1999 (Xxxxxxxxx) ha riconosciuto la validità della clausola con cui si deferisce ad arbitri la controversia relativa alla interpretazione ed esecuzione del contratto di locazione di immobili urbani e di affitto di aziende, così come confermato dalla Cassazione con sentenze n.7127/1995 e n.387/1997. In quest'ultima, veniva evidenziato che, proprio perché l'art.54 L.392/1978 escludeva l'arbitrabilità delle controversie in materia di determinazione del canone, tutte le altre sono compromettibili.
Quali conseguenze si hanno a seguito della stipula di una convenzione arbitrale in ordine ad una controversia inarbitrabile in via assoluta?
Nei casi di inarbitrabilità assoluta, è certo che la convenzione arbitrale -e cioè sia il compromesso che la clausola compromissoria- è nulla, e tale nullità costituisce il primo dei motivi di impugnazione previsti dall'art.829.-
Può darsi il caso che una convenzione arbitrale contempli controversie compromettibili ed altre non: in tal caso l'intera convenzione può essere dichiarata nulla. Tuttavia, in forza del principio generale della conservazione dei contratti (cfr. Cass. n..616/1974; Cass.n.3472/1969), occorrerà anzi tutto accertare quale sia stata la volontà delle parti, se compromettere le controversie tutte insieme o anche separatamente: in tale ultimo caso, la conseguenza è la nullità dell'intera convenzione arbitrale. Ciò porta ad affermare che la commistione tra controversie compromettibili e non compromettibili, ove si riscontri in un compromesso, tenderà a produrre l'effetto della nullità, mentre meno automatica sarà la nullità ove si tratti di clausola compromissoria.
CONVENZIONE ARBITRALE E CONTRATTO DI ARBITRATO
L'arbitrato è istituto che si fonda sulla volontà delle parti, e l'atto in cui tale volontà si esprime è la "convenzione arbitrale", che, come tutti sappiamo, assume tradizionalmente due forme distinte: compromesso e
clausola compromissoria.
Per primo Xxxxxxxxxx ha nettamente distinto dal compromesso e dalla clausola compromissoria il rapporto che viene a costituirsi fra le parti e gli arbitri, denominandolo appunto contratto di arbitrato, e tale nomen iuris è stato seguito dalla dottrina.
La convenzione arbitrale non comprende anche l'accordo fra le parti e l'arbitro, cioè il contratto di arbitrato, ma lo precede. Ed infatti, anche quando l'arbitro è stato già designato dalla convenzione arbitrale, l'accettazione dello stesso -che concreta, appunto, il contratto di arbitrato- sarà ugualmente necessaria perché sorga in capo ad esso l'obbligo di emettere la decisione.
Trattasi, quindi, di due atti distinti e separati.
L'arbitro, pertanto, è ancora estraneo alla convenzione arbitrale, che, da sola, non è idonea a dar vita ad una procedura arbitrale.
Affinché essa operi, occorre che l'arbitro venga in primo luogo nominato e quindi, che accetti l'incarico. Solo in tale momento, allorché la nomina degli arbitri, effettuata contemporaneamente o successivamente alla convenzione arbitrale, viene portata a conoscenza di questi ultimi ed essi accettano, si conclude tra le parti e l'arbitro un accordo vincolante che consente di dare inizio al procedimento arbitrale.
Sul punto, il Tribunale di Verona, con sentenza del 25.1.1994, ha affermato che "il rifiuto di accettazione da parte del soggetto, indicato come arbitro dalla clausola statutaria di una società cooperativa, determina la reviviscenza del potere del giudice ordinario di conoscere la causa operando la mancata accettazione alla stregua di una causa sopravvenuta di impossibilità di procedere alla definizione arbitrale della vertenza che implica la risoluzione della clausola compromissoria".
Evidentemente l'estensore della sentenza non ha ritenuto di applicare quanto dettato dall'art.811 per la sostituzione degli arbitri nominati, forse sul presupposto che la norma concerne il diverso caso in cui nella convenzione arbitrale non vengano designati nominativamente gli arbitri, bensì soltanto -come di solito avviene- enunciate le modalità della nomina.
A proposito del contratto di arbitrato, mi limiterò a dare qualche ulteriore breve cenno, perché il rapporto fra le parti e gli arbitri è specifico oggetto della prossima lezione: sulla natura di tale rapporto vi è dissenso in dottrina. Alcuni autori, come Mortara, Verde, e Xxxxxxxxx, ritengono che esso vada qualificato come mandato; secondo Xxxxxxxxx, il compromesso non dava luogo ad un contratto di mandato, ma al conferimento di potestà di giudice privato; Xxxxxxxxxx e Xxxxx facevano riferimento ad una forma particolare di locatio operis, "avente ad oggetto una determinata opera intellettuale, con una obbligazione di risultato a carico degli arbitri e la corrispondente pretesa al compenso pattuito, a favore degli stessi"; Xxxxxx considerava di diritto pubblico il rapporto tra parti e arbitri; Xxxxxxxxxxxx escludeva che potesse ravvisarsi un mandato, in quanto gli arbitri deriverebbero la loro potestas iudicandi dalla legge e non dalle parti, e abbiamo visto invece che non è così.
La Cassazione, con sentenza n.13174/1999, afferma che "qualunque sia la natura, privatistica o pubblicistica, dell'arbitrato rituale, tra i contendenti e gli arbitri si perfeziona, con l'accettazione dell'incarico da parte di questi, un contratto di diritto privato, riconducibile al contratto d'opera intellettuale, dal quale deriva l'obbligo in via solidale dei contendenti di corrispondere il compenso per l'opera prestata, rimanendo ininfluente, a tali effetti, il carattere unilaterale della devoluzione effettiva della controversia agli arbitri". (cfr. Cass. 29.11.2007 n. 24919 sul rapporto fra parti e singoli componenti del collegio arbitrale).
In sostanza, si tratta certamente di un mandato, consistente tuttavia non già nel compimento di un negozio, ma di un atto decisionale a formazione progressiva, attraverso una serie di prestazioni d'opera intellettuale.
Torniamo alla convenzione arbitrale, denominazione che abbraccia sia il compromesso che la clausola compromissoria, e che con la Riforma del 2006 compare per la prima volta nel Codice, e precisamente nella intestazione del capo in cui sono posti gli articoli regolanti il compromesso e la clausola compromissoria, e nella rubrica dell'art.808-bis, a proposito della convenzione di arbitrato in materia non contrattuale.
Con il termine "convenzione arbitrale" il legislatore si è opportunamente adeguato al dettato della Convenzione di New York, il cui art.2, 1° comma definisce tale l'accordo scritto con il quale le parti si obbligano a sottoporre ad arbitrato tutte o talune delle controversie che sono sorte o potrebbero sorgere tra di esse riguardo ad un rapporto giuridico determinato, contrattuale o non contrattuale, relativo ad una questione suscettibile d' essere definita per via arbitrale.
Anche nella Convenzione di Ginevra ricorre l'identica espressione "convention d'arbitrage".
I sostenitori della dottrina privatistica della natura dell'arbitrato rituale vedono nel compromesso un contratto di diritto sostanziale, contenente una transazione in bianco (Xxxxx). Xxxxxxxxxxx afferma che attraverso il compromesso le parti decidono di transigere la controversia rimettendone agli arbitri la determinazione concreta.
Xxxxxxxxxx ha contrastato tale opinione, rilevando che attraverso una transazione le parti definiscono la controversia, mentre con il compromesso la controversia persiste e viene soltanto concordata la modalità in cui la stessa potrà essere definita.
Secondo Xxxxxxxxx il compromesso è un contratto destinato a produrre effetti in un futuro processo.
La giurisprudenza prevalente ha costantemente mostrato di seguire la tesi di Xxxxxxxxxx, qualificando il compromesso come un contratto di diritto privato avente effetti processuali, già con le sentenze n.221/1967 e n.3620/1971.
La distinzione tra clausola compromissoria e compromesso è stata collegata da alcuni alla effettuazione o meno, all'atto stesso della relativa stipula, della nomina degli arbitri: senonché tale nomina può mancare sia nella clausola che nel compromesso.
Non può neanche ritenersi compromesso il contratto appositamente stipulato dopo la controversia e clausola compromissoria quella contenuta nel contratto oggetto della controversia. Può, infatti, sussistere una convenzione arbitrale anteriore al sorgere della controversia, contenuta non nel contratto principale, ma in un apposito contratto successivo al contratto originario: in tal caso la convenzione avrà la forma di un contratto, ma il contenuto di una clausola compromissoria.
Viceversa, rispetto ad un contratto non contenente alcuna convenzione arbitrale, può essere stipulato, dopo l'insorgere della controversia, un ulteriore negozio che disciplini vari elementi del contratto originario e contenga altresì una clausola che sottoponga una controversia già sorta ad arbitrato: in tal caso, la convenzione avrà la forma di una clausola, ma la sostanza di un compromesso: tale ipotesi deve, peraltro, considerarsi assai rara, atteso che le parti dovrebbero concordare su alcuni elementi, pur essendo già insorta una controversia, e per la decisione di tale controversia stipulare una convenzione arbitrale.
Il criterio distintivo più idoneo, invece, è quello individuato, ancora una volta, da Xxxxxxxxxx e consiste nel deferimento di controversie già insorte o future: "il compromesso si differenzia dalla clausola compromissoria, perché il primo ha per oggetto la compromissione in arbitri di una o più controversie già insorte tra le parti, mentre la seconda riguarda la compromissione in arbitri delle controversie future, che potranno derivare dal contratto al quale la clausola si riferisce"(cfr. Cass. 9.5.1979 n.2651; Cass. 18.4.1953 n.1040).
Pertanto ciò che rileva ai fini della qualificazione della convenzione come compromesso o clausola compromissoria, è la formula adottata dal legislatore, la quale si basa non già sulla forma, che è -come detto- mutevole, bensì sulla sostanza, ossia sull'avvenuta stipula prima o dopo l'insorgere della controversia. Ed infatti, nell'art.808, già dopo la riforma del 1994, si dice che "le parti nel contratto che stipulano, o in un atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto siano decise da arbitri...".
Quindi, compromesso: controversie già insorte, cioè attuali, già esistenti; clausola compromissoria: controversie nascenti, cioè eventuali, possibili, non ancora sorte e prive ancora di un oggetto preciso (ad esempio, controversie sulla tempestività dell'adempimento, o sui vizi delle cose vendute, o sul mancato pagamento del prezzo, così come invece genericamente su ogni aspetto del contratto): si tratta, in tal caso, di una scelta anteriore alle liti per la cui insorgenza il contratto potrebbe essere occasione e materia in ogni sua pattuizione o soltanto in alcune specificate. Peraltro, è opportuno specificare che, nonostante l'art. 808 faccia espresso riferimento al contratto, o al relativo atto separato (in gergo, addendum), la clausola compromissoria può accedere anche ad uno statuto societario (x.xxx. 34 D.lgs.5/2003), ed in tal caso si parla di clausola compromissoria societaria, ovvero a patti di non concorrenza, contratti consortili, regolamenti di condominio (vincolanti per accettazione contrattuale).
Per quanto, poi, riguarda l'espressione "atto separato", introdotta già dalla riforma del 1994 in sostituzione della precedente ("atto successivo"), devesi notare l'opportunità della stessa, perché un atto successivo è sempre separato, ma un atto separato non è sempre successivo, potendo essere anche contestuale (esempio: parti che stipulano un contratto secondo un formulario-tipo che prevede un arbitrato all'estero, e cancellano la clausola compromissoria contenuta nel formulario, stendendo su atto separato la pattuizione relativa alla previsione di un arbitrato in Italia). Naturalmente, l'atto separato deve comunque essere antecedente al sorgere di qualsiasi controversia, diversamente equivalendo ad un compromesso.
Ed è da notare, a questo punto, che quando la clausola compromissoria è contenuta in un atto separato, può accadere che la stessa sia stata validamente conclusa a differenza del contratto la cui stipula può presentarsi viziata o dubbia, mentre, se la clausola è contenuta in un contratto che alla fine della trattativa non è "chiuso", quindi non viene sottoscritto, per un dissenso sul prezzo, non potrà considerarsi come venuta ad esistenza.
Nonostante la sua denominazione, la convenzione di cui all'art.808 ha soltanto il nome e l'apparenza della clausola; essa -per come puntualizzato da Cass.14.4.2000 n.4842- costituisce un negozio a sè stante, dotato di una propria individualità e di causa ed oggetto diversi da quelli del contratto cui accede: il contratto ha di regola una funzione sostanziale, il negozio compromissorio ha una funzione processuale.
Qualche segnalazione di casi particolari
Nel Codice del 1865 la clausola compromissoria era vista come un pactum de compromittendo, ossia come un contratto preliminare di compromesso, il che chiaramente è stato escluso da tutta la evoluzione successiva. Ci si chiede: è possibile, con la vigente legislazione, stipulare un contratto con il quale le parti si limitino ad obbligarsi a stipulare in seguito una convenzione arbitrale? Non sembra possano sussistere ostacoli al riguardo, anche se non riesco a comprendere la rilevanza pratica di un preliminare di convenzione arbitrale.
Può considerarsi compromissoria la clausola di un contratto definitivo così congegnata, senza alcuna specificazione: "le parti prevedono, in caso di controversia, l'applicazione della clausola arbitrale"? Il Tribunale di Genova, con sentenza del 12.10.1998, lo ha escluso, affermando che un semplice annuncio di una futura clausola arbitrale non produce effetto.
E ancora: è configurabile una clausola compromissoria unilaterale , e cioè contenente l'impegno di una sola parte, con facoltà per l'altra di aderire alla proposta dando vita ad una convenzione arbitrale, o di non aderirvi?
Essa è stata qualificata dalla dottrina come opzione, e ritenuta non costituire di per sè convenzione arbitrale. Senonché la Cassazione, con sentenza n.2096/1970, l'ha ritenuta legittima come convenzione arbitrale a formazione progressiva. Secondo alcuni autori l'opzione in materia sarebbe invalida, per possibili speculazioni di una parte nei confronti dell'altra al fine di iniziare il giudizio ordinario mentre è ancora pendente il termine fissato dal proponente in sede di opzione; ma ciò, comunque, non può ostare, se la parte concedente lo ritiene, alla formulazione della opzione stessa.
E' stata inquadrata nell'ambito dell'opzione, anche una particolarissima -anche se datata (cfr. Cass.n.2837/1960)- fattispecie, consistente nella previsione di una clausola compromissoria obbligatoria per una soltanto delle parti, e facoltativa per l'altra, che, se lo preferisce, resta libera di portare la controversia dinnanzi al giudice ordinario.
Convenzione di arbitrato in materia non contrattuale
Sia la Convenzione di New York del 1958, sia la Legge Uniforme delle Nazioni Unite del 1985 prevedevano espressamente che possono essere sottoposte ad arbitrato sia le controversie contrattuali sia quelle relative ad un rapporto giuridico non contrattuale.
La riforma del 2006 ha espressamente introdotto, con l'art. 808-bis, la possibilità di far decidere da arbitri "controversie future relative ad uno o più rapporti non contrattuali determinati."
L'espresso riferimento della norma alle sole controversie future, e non anche a quelle già insorte, ha lasciato pensare che potesse escludersi il compromesso nella materia non contrattuale. Senonché, poiché la norma fa riferimento alla convenzione di arbitrato senza distinzione alcuna, la nuova disciplina dovrebbe valere sia per il compromesso che per la clausola compromissoria.
Tale convenzione, peraltro, dovrebbe avere la forma del compromesso, in forza dell'espresso richiamo all'art.807, e per la peculiarità di essere stipulata come atto indipendente, autosufficiente, non accessorio ad altre pattuizioni. Ad esempio, non potrebbe essere inquadrata ex art.808-bis una convenzione arbitrale accessoria ad un patto contrattuale di non concorrenza, mentre vi rientrerebbe la convenzione di arbitrato tra due imprese per eventuali controversie nascenti, genericamente, da violazioni delle regole legali della concorrenza: nel primo caso si fa riferimento ad un contratto, nel secondo non esiste alcun rapporto contrattuale.
La precisazione relativa al fatto che si deve trattare di uno o più rapporti non contrattuali determinati deve intendersi nel senso che devono essere indicate le categorie dei rapporti ai quali si fa riferimento.
Si ritiene, ad esempio, che la convenzione in materia non contrattuale possa riguardare l'esercizio di diritti reali, ovvero liti connesse all'uso di beni comuni nel condominio, oppure alla responsabilità precontrattuale, e quindi per violazione delle regole di correttezza e buona fede durante le trattative per concludere un contratto, la responsabilità aquiliana, ecc.
E' difficile che in tale fattispecie possano rientrare anche le domande di indebito arricchimento, in passato giustamente escluse dalla competenza arbitrale (cfr. Coefin, in Arch. giur. oo.pp.1998, 123), non potendosi preventivamente contemplare ipotesi del genere.
Ne' possono ritenersi incluse nella categoria di cui all'art.808-bis eventuali clausole arbitrali accedenti ad un testamento, in quanto in tal caso la parte che ha stipulato la clausola non coincide con quelle che saranno poi le parti in contesa.
Questioni esegetiche sulla convenzione d'arbitrato: capacità delle parti e legittimazione a compromettere
La capacità dei contraenti della convenzione arbitrale di impegnarsi validamente deve essere tenuta distinta dalla legittimazione a compromettere. Entrambe sono presupposti di validità della convenzione arbitrale. La legittimazione a compromettere consiste nella titolarità del diritto fatto valere; la capacità di compromettere si ha quando sussistono capacità giuridica, cioè di essere titolari di diritti e obbligazioni, e capacità di agire, cioè di esercitare i propri diritti.
Pertanto, mentre sulla capacità dovremo esaminare una serie di casi, sulla legittimazione basti segnalare l'esempio del trasferimento d'azienda, per comprendere la rilevanza della titolarità del diritto oggetto della controversia. Così la Cassazione, con sentenza n.7652 del 28.3.2007: In tema di trasferimento di azienda, ai sensi dell'art. 2558 c.c.- secondo cui si verifica il trasferimento "ex lege" al cessionario di tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale e rispetto ai quali le parti non abbiano espressamente escluso l'effetto successorio -si verifica il subentro "ipso iure" del cessionario d'azienda anche nella clausola compromissoria contenuta in contratto stipulato dal cedente per l'esercizio dell'azienda, senza che sia necessario un apposito patto di cessione e senza che sia pertanto richiesta la forma scritta "ad substantiam".
Per quanto concerne la capacità a stipulare la convenzione arbitrale, opportunamente, la Riforma del 2006 ha soppresso il disposto del precedente art.807, 3° comma, che prevedeva l'applicabilità al compromesso delle disposizioni che regolano la validità dei contratti eccedenti l'ordinaria amministrazione.
Quindi, quale evidente espressione del favor introdotto per l'arbitrato dalla Riforma, e come scelta di politica giudiziaria, è scomparsa la qualificazione del compromesso come atto di straordinaria amministrazione.
Tale interpretazione non può non estendersi alla clausola compromissoria, per come del resto si ricava anche dall'art.34 del D.lgs. n.5/2003 sul processo societario, e dall'art.808 u.c., in forza del quale il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausola compromissoria.
Quali le conseguenze? Molto importanti e concrete, secondo alcuni autori, anche se ancora non si è registrata alcuna pronuncia giurisprudenziale sul punto. Ad esempio, per il figlio minore, secondo l'art.320 c.c., può compromettere il genitore con l'autorizzazione del giudice tutelare; il tutore può essere autorizzato dal Tribunale su parere del giudice tutelare (art.375 c.c.); il curatore dello scomparso deve essere autorizzato dall'autorità giudiziaria; ecc. In sostanza, per i soggetti incapaci, l'ordinamento detta particolari formalità abilitative-integrative per quanto riguarda il compimento di atti di straordinaria amministrazione. Secondo una possibile interpretazione, in forza dell'art. 15 delle Preleggi, si dovrebbe ravvisare nella fattispecie una situazione di abrogazione per incompatibilità tra la nuova norma generale e le precedenti norme speciali (e cioè, appunto, artt.320 per il genitore del minore, 375 per il tutore del minore, 394 per il minore emancipato, 397 u.c. per il tutore dell'interdetto, 424 1°c. per il curatore dell'inabilitato, 411 1° c. per l'amministratore di sostegno).
Personalmente, nutrirei qualche dubbio sulla legittimità di una siffatta interpretazione, non tanto a proposito del fatto che, se la legge non qualifica più espressamente l'arbitrato come atto di straordinaria amministrazione, ciò equivale automaticamente a ritenerlo atto di amministrazione ordinaria, quanto su norme di legge che mi sembrano non superate dalla interpretazione stessa.
Esempio, l'art.320 c.c., a proposito degli atti consentiti ai genitori del minore soltanto previa autorizzazione del giudice tutelare, ne elenca una prima serie, che chiude con la dicitura "altri atti eccedenti la ordinaria amministrazione", e poi aggiunge, "promuovere, transigere o compromettere in arbitri giudizi relativi a tali atti". Leggiamo l'articolo.
In tal caso, la norma non qualifica la capacità di compromettere in arbitri come atto di straordinaria amministrazione, ma prevede l'autorizzazione del giudice tutelare per compromissione in arbitri di controversie relativi ad atti di straordinaria amministrazione, o comunque elencati nella prima parte del 3° comma e aggiunge poi l caso della compromissione in arbitri.
Anche nel caso dell'art. 375 c.c., per il minore sottoposto a tutela, è espressamente vietato al tutore (v.n.4) "fare compromessi" senza l'autorizzazione del Tribunale su parere del giudice tutelare: e tale disposizione è richiamata nelle norme sulla interdizione, la inabilitazione e l'amministrazione di sostegno.
In definitiva, soltanto per il minore emancipato, poiché l'art.397 fa riferimento genericamente agli atti di straordinaria amministrazione, potrebbe valere la tesi della capacità di stipula della convenzione arbitrale senza alcuna autorizzazione.
Esaminiamo ora il caso del fallimento: il nuovo testo dell'art.25 n.7 l.f. espressamente prevede, a proposito dei poteri del giudice delegato, la nomina di arbitri su proposta del curatore, verificata la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge. L'art.35, relativo alla integrazione dei poteri del curatore, dispone che il curatore può stipulare compromessi previa autorizzazione del comitato dei creditori, e che il curatore nella richiesta, deve illustrare la convenienza della proposta, e informare previamente il g.d. se gli atti sono di valore superiore ad € 50.000.
Per quanto riguarda il concordato preventivo, è rimasta invariata la norma dell'art.167 cpv. l.f., che include il compromesso arbitrale fra gli atti inefficaci per i creditori anteriori alla ammissione dell'imprenditore alla procedura di concordato preventivo, ove non autorizzati dal g.d.
Quid iuris nei casi di rappresentanza volontaria od organica ?
Rappresentanza volontaria: il mandante potrebbe espressamente conferire al rappresentante il potere di compromettere in arbitri, e magari, a sua discrezione, aggiungere alcune cautele, tipo la limitazione del valore della controversia compromettibile; se, invece, come in diversi modelli di contratto di mandato presi da formulari o adottati da notai anche all'estero, nel testo della procura viene genericamente escluso il potere di compiere atti di straordinaria amministrazione, è possibile per il rappresentante stipulare la convenzione arbitrale nell'interesse del rappresentato ? Ciò dipende dalla qualificazione della convenzione arbitrale di cui abbiamo parlato poc'anzi. Certamente, se al procuratore è conferito il potere di "fare quant'altro opportuno o necessario per prevenire, conciliare, risolvere, definire, far decidere le controversie nascenti dalle sue attività per il compimento del mandato", ciò potrebbe ritenersi sufficiente per consentire al procuratore di stipulare compromessi.
Naturalmente il potere di stare in giudizio conferito da una parte al proprio difensore, concernendo soltanto la difesa, e non poteri sostanziali (a differenza da quanto, purtroppo, si legge, a volte, in alcune formule del mandato alle liti), non può comprendere il potere di compromettere in arbitri, per come affermato dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza del 21.3.1995.
Da registrare la decisione di un Collegio arbitrale di Trani (1.8.1997) in tema di conflitto di interessi, e secondo la quale la clausola compromissoria stipulata con se stesso da un unico soggetto in situazione di cd. doppia rappresentanza è autonomamente assoggettabile al disposto dell'art.1395 c.c., con la conseguenza che essa può essere affetta da un vizio che ne comporta l'annullamento.
Rappresentanza organica: analogo problema, con risvolti ancor più complessi, si pone con riguardo a tutte quelle ipotesi in cui per società, associazioni, enti di ogni tipo, vengano previste nei rispettivi statuti norme circa la stipula di compromessi, e ciò potrà darsi sia relativamente alla indicazione degli organi legittimati a deliberare il ricorso alla procedura arbitrale, sia relativamente alla competenza e alle modalità di manifestazione all'esterno della volontà di compromettere in arbitri.
La capacità di ognuna delle parti è determinata nel nostro ordinamento, in forza dell'art. 17 delle Preleggi, in base alla legge dello Stato cui essa appartiene.
Lo straniero, per l'art. 16, resta ammesso a godere dei diritti del cittadino a condizione di reciprocità.
Per concludere sull'argomento della capacità, è opportuno ricordare che eventuali vizi in proposito possono avere rilevanza enorme nel corso della procedura, e costituire addirittura motivo di impugnazione per nullità del lodo. E' stato altresì osservato che, nella materia, non possono valere le regole dettate per la tutela dell'affidamento dei terzi, ad esempio la presunzione di validità della procura non pubblicata quando ne sia prevista l'iscrizione a fini di pubblicità, o previsioni di imputabilità alla società o all'ente di atti compiuti in difetto di poteri. Insomma, non può esistere una sorta di conferimento putativo del potere di decidere: gli arbitri non sono dei terzi contraenti da tutelare nel rapporto con la società e dei quali rilevi la conoscenza del vizio, la buona o mala fede, ecc. Gli arbitri hanno o non hanno il potere di giudicare, e tale potere non si può desumere indirettamente da eventuali inopponibilità, ad una parte compromittente, del difetto di potere della controparte.
Forma
Nessun dubbio può sussistere circa la forma scritta richiesta, a pena di nullità, e quindi ad substantiam, per tutti e tre i tipi di convenzione arbitrale, e precisamente dall'art.807, 1° c., per il compromesso; dall'art.808 alla fine del 1° c., per la clausola compromissoria; dall'art.808-bis, ultimo alinea, per la convenzione in materia non contrattuale.
Per atto scritto si intende non solo un contratto sottoscritto da entrambe le parti, ma altresì scritture separate contestuali o anche successive: ad esempio, nel 1967, la Cassazione ritenne accettata la clausola compromissoria quando, alla proposta di contratto contenente anche la clausola, da parte di un contraente, l'altro rispose con una nota contenente l'espressione "prendo buona nota; vi ringrazio".
Quaranta anni dopo, con sentenza n.16332 del 24.7.2007, la Cassazione così si esprime:: Il requisito della forma scritta "ad substantiam" richiesto dall'art. 807 c.p.c. ai fini della validità del compromesso, è soddisfatto ogniqualvolta la volontà negoziale di compromettere la causa sia contenuta in un atto scritto e non postula indefettibilmente che la volontà contrattuale sia espressa in un unico documento, avuto riguardo all'autonomia di detta clausola rispetto al contratto cui essa accede. (Nella specie i giudici del merito avevano dichiarato la nullità del lodo per non essere stato prodotto l'originale o copia autentica del disciplinare. In applicazione del principio di cui sopra, una tale pronuncia è stata cassata, atteso che entrambe le parti avevano prodotto in causa, per ben due volte, la fotocopia del disciplinare contenente la clausola compromissoria e poichè le fotocopie non essendo state disconosciute -ma anzi essendo state prodotte in un testo avente identico contenuto da entrambe le parti- hanno la stessa efficacia dell'originale, nessun dubbio poteva sussistere in ordine alla sussistenza della prova scritta della clausola compromissoria).
Ancora: Cass. n.2256 del 2.2.2007 : Il requisito della forma scritta "ad substantiam" richiesto per la validità del compromesso e della clausola compromissoria non postula che la volontà negoziale sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo realizzarsi anche con lo scambio delle missive contenenti rispettivamente la proposta e l'accettazione del deferimento della controversia ad arbitri, potendo realizzarsi anche con lo scambio delle missive contenenti rispettivamente la proposta e l'accettazione del deferimento della controversia ad arbitri, dovendosi interpretare la richiesta di costituzione di un collegio arbitrale e la relativa accettazione come concorde volontà di compromettere la lite in arbitri (nel caso di specie, nell'ambito di un contratto d'appalto il cui capitolato speciale conteneva una clausola compromissoria, una delle parti aveva nominato il suo arbitro e l'altra, in adesione all'iniziativa, aveva nominato il proprio).
Una sentenza della Corte di Appello di Genova del 1989 ha ritenuto che, in applicazione degli artt.2724 e 2725, qualora il contraente, senza sua colpa, avesse perduto il documento contenente la convenzione arbitrale, ha facoltà di chiedere prova per testi sulla esistenza della clausola.
Il 2° comma dell'art.807 completa la disciplina, con la precisazione che la forma scritta si intende rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo o telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi.
Quindi, finalmente, è stato riconosciuto per le convenzioni arbitrali il valore del fax, in linea con la tendenza a valorizzare le nuove tecnologie di comunicazione a distanza già manifestata con la legge 7.6.1993 n.183 sui mezzi di telecomunicazione da avvocato ad avvocato, e con il D.P.R.13.2.2001 n.123 sull'uso processuale di strumenti informatici e telematici nei processi civile, amministrativo e davanti alle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti.
Quando la clausola compromissoria è inserita in un contratto inter absentes, ad esempio come foglio aggiunto, la sottoscrizione è autografa sull'originale che resta alla parte che invia il testo per fax o per telex, ed è riprodotta sul testo ricevuto per fax o per telex dall'altra parte, e viceversa: ciò, peraltro, in linea con quando disposto dall'art.2712 c.c. per le riproduzioni meccaniche, ed oggi anche per quelle "informatiche", che sono pertanto ammesse salvo prova contraria o disconoscimento di conformità. D'altronde, nei messaggi via fax o informatici sono presenti altri elementi di riconoscimento del mittente, quali il numero dell'utenza telefonica, il numero dell'apparecchio, le chiavi elettroniche; ecc.
Ovviamente la regola della forma scritta vale anche per le clausole statutarie.
La scelta della forma scritta è dovuta a giusti motivi di cautela, atteso che, con la convenzione arbitrale, le parti rinunziano ad avvalersi della tutela giurisdizionale da parte dell'autorità giudiziaria statale, e ciò analogamente alla convenzione di New York, applicabile soltanto in presenza di convention ècrite.
Rispettare la forma scritta, d'altronde, non comporta alcuna difficoltà, e costituisce una ovvia garanzia per le parti, chiaramente semplificando anche la prova della conclusione di una convenzione arbitrale.-
Non occorre la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, che fra l'altro normalmente non ricorrono anche per ragioni di praticità, a meno che tali forme non siano richieste per il contratto cui accede, nello stesso atto, la clausola compromissoria: ad esempio, per la convenzione arbitrale in materia non contrattuale, l'atto pubblico di costituzione di una servitù di passaggio potrebbe contenere una clausola compromissoria in ordine a tutte le controversie che dovessero insorgere circa le modalità di esercizio della servitù stessa.
Vediamo qualche fattispecie particolare.
Qualche problema può nascere quando, per esigenze di celerità, si stipula una clausola per relationem, cioè mediante rinvio al testo di una clausola contenuta in un altro atto. Ciò avviene, ad esempio, con il rinvio ad uno statuto societario, o alla clausola inserita in un contratto-tipo per il settore di commercio in cui operano entrambe le parti (ad esempio, contratti per il commercio di prodotti petroliferi), oppure all'arbitrato gestito da una istituzione individuata (ad esempio arbitrato della Camera Arbitrale presso la Camera di Commercio di Cosenza). In tal caso la clausola è valida, purché sia certa la clausola di rinvio. Ad esempio, se il rinvio fosse alla convenzione arbitrale presso la Camera Arbitrale di una determinata città, ed in quella città vi fossero più camere arbitrali presso diverse organizzazioni di categoria, e non vi fosse alcun altro elemento per desumere la precisa volontà delle parti, allora la clausola per relationem sarebbe nulla.
E' stata ritenuta, invece, in dottrina, la validità di una clausola secca, di tal genere: "Arbitrato in Milano", oppure "Arbitrato in Londra", perché si è ravvisata la volontà delle parti di volere un arbitrato secondo la legge processuale del luogo richiamato.
Altra peculiare fattispecie a proposito della forma, è quella della convenzione arbitrale conclusa tramite mediatore autorizzato, ipotesi frequentissima in molti settori del commercio nazionale ed internazionale, in cui si ricorre -appunto- alla mediazione di un broker. La convenzione arbitrale può quindi recare non già le sottoscrizioni delle due parti, bensì esclusivamente la sottoscrizione del mediatore, purché quest'ultimo sia stato però autorizzato espressamente per iscritto da ognuna delle parti stesse.
Ciò che, invece, appare, secondo alcuni autori, esagerato quanto ai requisiti formali della convenzione, è la necessità dell'approvazione specifica per iscritto, espressamente tuttora prevista dagli artt.1341 e 1342 c.c. (cfr., da ultimo, Cass. 23.05.2006 n. 12153), che rispetto agli ordinamenti esteri è una vera propria rarità, esclusiva del nostro ordinamento e non rinvenibile in altri, e quindi sgradita ai contraenti esteri, anche per le difficoltà dovute alla doppia firma nella comunicazione a distanza o con la firma digitale.
Si è tentato di ovviare all'inconveniente affermando, per le convenzioni stipulate all'estero, che le norme di cui agli artt.1341 e 1342 prescriventi l'approvazione specifica scritta non fanno parte del nostro ordine pubblico interno, e quindi, per i principi generali di d.i.p., non impediscono che in Italia sia riconosciuta validità ed efficacia a clausole compromissorie stipulate all'estero senza tale approvazione e a lodi arbitrali emessi all'estero fondati su tali clausole.
Da segnalare, tuttavia, che, al contrario, per evidente uniformità della disciplina, è stato abrogato dalla riforma del 2006 l'art.833, dettato per l'arbitrato internazionale, il quale precisava la non necessità dell'approvazione specifica per le clausole compromissorie contenute in contratti stipulati mediante moduli o formulari.
Contenuto
A seconda delle varie disposizioni di legge, il contenuto della convenzione è a volte necessario, a volte eventuale.
L'art.807 1° comma, nel prescrivere che, a pena di nullità, il compromesso deve determinare l'oggetto della controversia, detta evidentemente un requisito necessario, e il motivo è che la controversia è già insorta; mentre, quando, per la clausola compromissoria, l'art.808 allude alle controversie nascenti dal contratto, è logico che il contenuto sia eventuale e che non sia prevista la sanzione della nullità per la mancata indicazione delle controversie, non potendosi in anticipo conoscere quale potrà essere l'oggetto della lite. Per la convenzione di arbitrato in materia non contrattuale, l'art.808-bis prevede che le parti possono stabilire che siano decise da arbitri "... le controversie future relative ad uno o più rapporti non contrattuali determinati": quindi ciò che deve essere determinato è il rapporto e, anche se la norma non la commina espressamente, la eventuale indeterminatezza non può non comportare nullità della convenzione.
Per tutti i tipi di convenzione arbitrale vale il criterio ermeneutico dettato dall'art.808-quater, secondo cui "nel dubbio, la convenzione d'arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce".
Tale disposizione è senz'altro opportuna, escludendo la necessità di una minuziosa elencazione di controversie contemplate dalla clausola, e così prevenendo tutte quelle questioni interpretative che, in passato, hanno comportato enormi perdite di tempo nelle controversie in cui fosse in discussione la c.d. competenza arbitrale. Ad esempio, se la clausola faceva riferimento a controversie sulla nullità, anzicché sulla validità del contratto, si eccepiva l'inammissibilità della sottoposizione ad arbitri di una domanda di annullamento del contratto; o per le controversie genericamente indicate come quelle aventi ad oggetto l'esecuzione del contratto, si riteneva che ne fossero escluse quelle inerenti la validità del medesimo.
Già prima della Riforma del 2006, tuttavia, la Cassazione, con sentenza n.28485 del 22.12.2005, aveva statuito che "La clausola compromissoria deve, in mancanza di espressa volontà contraria, essere interpretata nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese aventi la loro causa petendi nel contratto medesimo. (Nella fattispecie la S.C. ha ritenuto rientrante nella clausola la controversia relativa all'annullamento del contratto)".
E', poi, opportuno un cenno su alcune norme non collocate nel capo specificamente inerente la convenzione d'arbitrato, ma comunque afferenti al contenuto della convenzione stessa.
Ad esempio, ai sensi del 1° comma dell'art.809, la convenzione deve indicare nominativamente gli arbitri (il che è frequente per il compromesso, ma è più raro per la clausola, non essendo ancora insorta la controversia, a meno che non si tratti di particolarissime materie: esempio, commercio prodotti petroliferi), o stabilirne il numero e il modo di nominarli: Tuttavia, la riforma del 2006 ha sgombrato il più possibile il campo da occasioni di nullità e così, eliminando la previsione di nullità per la mancata indicazione del numero o del modo di nomina degli arbitri, prevedendo espressamente l'integrazione da parte della legge, ha fatto sì che tali indicazioni siano ritenute contenuto normale, ma non necessario della convenzione arbitrale.
Ulteriore notazione sul contenuto, per quanto riguarda il luogo di stipula della convenzione arbitrale, che si ricava dal secondo alinea del 2° comma dell'art.816, collocato in un capo diverso da quello delle norme generali sulla convenzione arbitrale e dedicato al diverso tema della sede dell'arbitrato. La norma lascia intendere, anzi presuppone, che la convenzione per arbitrato in Italia può essere stipulata anche all'estero, prevedendo, infatti, che, se le parti e gli arbitri non hanno determinato la sede dell'arbitrato (per come previsto nel 1° comma), questa è nel luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato. Se tale luogo, cioè quello di stipula, non si trova nel territorio nazionale, la sede è a Roma, e anche in tale ipotesi, la convenzione arbitrale sarà soggetta in tutto e per tutto alla legge italiana.
Quindi, anche la scelta della sede dell'arbitrato costituisce contenuto eventuale, supplendo gli arbitri o la legge alla mancata indicazione nella convenzione arbitrale.
Altri elementi costituenti contenuto eventuale della convenzione d'arbitrato sono dati da possibili disposizioni circa alcuni poteri degli arbitri, norme da osservare nel procedimento e lingua dell'arbitrato (artt.816, 3° comma, e art.816-bis 1° comma); fissazione di un termine diverso da quello previsto dalla legge per la pronunzia del lodo (art.820 1°comma); autorizzazione a pronunziare secondo equità (art.822) o disposizione espressa delle parti che il lodo sarà impugnabile per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia.
NULLITA' DEL CONTRATTO E AUTONOMIA DELLA CLAUSOLA COMPROMISSORIA
Una valida convenzione arbitrale produce due effetti essenziali e simmetrici: da una parte, essa attribuisce agli arbitri il potere di decidere la controversia loro sottoposta; dall'altra, sottrae ai giudici statali il potere di decidere quella stessa controversia, ove fosse loro sottoposta: tale è stata la premessa di una recente pronuncia della Cassazione (n.12684 del 30.5.2007), per ribadire che l'eccezione di arbitrato non è questione di giurisdizione o competenza, ma è questione di merito: In tema di arbitrato, configurandosi la devoluzione della controversia agli arbitri come rinuncia all'esperimento dell'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, attraverso la scelta di una soluzione della controversia con uno strumento di natura privatistica, la relativa eccezione dà luogo ad una questione di merito, riguardante l'interpretazione e la validità del compromesso o della clausola compromissoria, e costituisce un'eccezione propria e in senso stretto, in quanto avente ad oggetto la prospettazione di un fatto impeditivo dell'esercizio della giurisdizione statale, con la conseguenza che dev'essere proposta dalle parti nei tempi e nei modi propri delle eccezioni di merito. La contestuale proposizione di tale eccezione e della domanda riconvenzionale nella comparsa di risposta non implica peraltro la necessità di subordinare espressamente la seconda al rigetto della prima, onde evitare che essa sia ritenuta rinunciata, in quanto l'esame della domanda riconvenzionale è ontologicamente condizionato al mancato accoglimento dell'eccezione di compromesso, essendo la fondatezza di quest'ultima incompatibile con l'esame della prima: Cass. civ., sez. I, 30.5.2007, n. 12684.-
Ma cosa succede se di fronte agli arbitri è posta in dubbio proprio la convenzione dalla quale traggono il proprio potere? Ad esempio, se una delle parti assuma che la convenzione non è stata stipulata, che non è stata approvata specificamente per iscritto, che è stata sottoscritta da soggetto non legittimato, che ha perso l'originaria validità (ad es. per fallimento, per divieti internazionali di commercio, ecc.)?-
Anche in passato (cfr. Cass. 5.8.1968 n.2803), è stato ritenuto che la clausola compromissoria non ha i caratteri propri di un patto accessorio al contratto nel quale viene inserito, ma ha una sua individualità, che concettualmente porta a considerarla distinta dal contratto stesso, con la conseguenza che i requisiti di validità o di efficacia della clausola vanno indagati in modo autonomo, siccome indipendenti, quanto a forma e contenuto, rispetto a quelli richiesti per la validità o efficacia del contratto.
L'effetto è che gli arbitri non vengono privati, dalla nullità del contratto, della competenza a decidere sulla nullità medesima, fatta salva l'impugnazione della loro decisione. Con la sola eccezione che, quando il contratto ha causa illecita, in quanto, ad esempio, frutto specifico di attività di corruzione, la nullità è comune sia al negozio sostanziale sia alla clausola compromissoria. Ciò -sostanzialmente- perché la nullità derivante da contrasto con norme imperative, con l'ordine pubblico o con il buon costume, così come la stipula di contratto in frode alla legge, ovvero il motivo illecito (cfr. Andrioli), costituisce questione indisponibile, e quindi non arbitrabile; mentre le nullità dovute ad altre cause possono essere disponibili dalle parti.
Già nel 1937 e nel 1946 la Cassazione affermò la compromettibilità delle controversie circa la nullità del contratto e, in tempi più recenti, nel 1972 (Cass. n.3003/1972), per arrivare ad affermare, con la sentenza n.15941 del 19.12.2000 (cfr. Cass. 27.2.2004 n.3975), che il ricorso all'arbitrato non è escluso, in linea di principio, per le questioni attinenti alla nullità dei contratti, vertendosi in materia di diritti disponibili.-
Se la nullità è fatta valere in via di eccezione, il potere degli arbitri è certo.
Per come riconosciuto da un Collegio arbitrale del 1999 (Xxxxx), gli arbitri possono e devono esaminare la questione della nullità già in sede di questioni preliminari, al fine di accertare l'arbitrabilità della controversia per affermarla quando ritengano il contratto lecito. In altre parole, se l'eccezione di nullità del contratto per illiceità viene disattesa, non opera più il limite all'arbitrabilità. Anche il famoso lodo Mondadori ritenne che la semplice prospettazione di una nullità non è atta ad impedire agli arbitri di conoscere della questione.
E tuttavia, precedentemente alla riforma del 2006, si erano registrati seri contrasti interpretativi, ed anche prassi scorrette. Il classico espediente della parte che voleva dilatare i tempi di decisione di una controversia e non gradiva più l'applicazione di una clausola compromissoria, era quello di intraprendere il giudizio davanti al giudice dello Stato e, allorché la controparte opponeva l'esistenza della convenzione d'arbitrato, eccepirne la invalidità e chiederne al giudice la declaratoria di nullità al fine di far trattenere la causa in decisione dallo stesso giudice.
Con la riforma del 2006 gli arbitri sono certamente giudici del proprio potere, sia per ciò che riguarda la regolarità della propria investitura, sia per la esistenza, la validità e la efficacia della convenzione arbitrale, ivi inclusa anche l'arbitrabilità della controversia, in virtù del nuovo assetto normativo dettato dagli artt.817 (eccezione di incompetenza) e 819-ter (rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria).
D'altronde, qualche autore ha osservato che l'arbitrato sarebbe come un nato morto se si potesse sottrarre agli arbitri una qualunque procedura semplicemente contestando il loro potere di giudicare.
In sostanza, se gli arbitri ritengono di essere competenti, possono e devono arrivare alla fine della procedura, e decidere sia la questione di competenza che il merito. Se la decisione sulla competenza sarà erronea, la conseguenza non sarà l'inesistenza giuridica della loro decisione, ma l'impugnabilità del lodo da parte del soccombente.
L'art.808-quinquies, infine, prevede che la conclusione del procedimento arbitrale senza pronuncia sul merito, non toglie efficacia alla convenzione d'arbitrato. Vi è soltanto da segnalare che la norma, giudicata inutile ed ambigua da più parti, non può certo riferirsi al caso in cui gli arbitri non abbiano deciso nel merito avendo dichiarato la nullità della convenzione arbitrale: in tal caso, infatti, un atto ritenuto nullo non potrebbe conservare efficacia.-
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