Contratto
Legittimità
La natura del mutuo dissenso nei contratti con effetti reali
Cassazione, sez. V, 6 ottobre 2011, n. 20445 – Pres. Pivetti - Rel. Xxxxxxxx – P.M. Xxxxxxxxxxx - Agenzia delle Entrate e S.A.I.F. s.p.a.
Il mutuo dissenso costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o un accordo risolutorio), espressione dell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente nego- zio, anche indipendentemente dall’esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditivi o modi- ficativi dell’attuazione dell’originario regolamento di interessi, dando luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo, anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali; tale effetto, infatti, essendo espressamente previsto ex lege dall’art. 1458 c.c. con riguardo alla risoluzione per inadempimento, anche di contratti ad effetto reale, non può dirsi precluso agli accordi risolutori, risultando soltanto obbliga- torio il rispetto dell’onere della forma scritta ad substantiam.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conforme | Inserire conformi |
Difforme | Inserire difformi |
Svolgimento del processo
Con sentenza 23.5.2005 la 13a sezione della di Bari, ri- gettava l’appello proposto dall’Ufficio finanziario, con- fermando la sentenza impugnata, rilevando che il con- tratto stipulato in data 14.12.1993 tra SAIF s.p.a. ed Edi- lizia Napoli Nord s.r.l. aveva effetto risolutorio del pre- cedente contratto stipulato per atto pubblico in data 23.12.1992 tra le stesse parti con il quale la SAIF s.r.l. - successivamente dichiarata fallita in data 25.11.1996 dal Tribunale di Bari - aveva acquistato da Edilizia Napoli Nord s.r.l. un fabbricato in costruzione per il prezzo di L. 00.000.000.000 oltre Iva al 4%.
I Giudici di appello rilevavano che l’atto di risoluzione era intervenuto nell’ambito della soluzione transattiva concordata tra le parti in ordine alla controversia insorta sulla esecuzione dell’appalto di lavori commissionato dalla acquirente alla venditrice. Pertanto con il contratto del 14.12.1993 si procedeva al ritrasferire l’immobile al medesimo prezzo corrisposto (nonché alla corresponsio- ne a SAIF di un indennizzo di L. 2 miliardi a tacitazione di pretese risarcitorie) ed al rimborso da parte di Edilizia Napoli Nord della IVA pagata da SAIF, con contestuale emissione da parte della stessa Edilizia Napoli Nord di nota di credito n. 2/1993 - con aliquota IVA al 4% - a compensazione della fattura emessa in occasione del primo contratto.
La identità del contenuto dei due contratti e la motiva- zione relativa alla volontà manifestata dalle parti di ri- solvere stragiudizialmente la controversia tra le stesse insorta, legittimava la operazione eseguita che doveva ricondursi sotto la disciplina del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, non potendo dar luogo il secondo atto ad una nuova operazione economica a fini fiscali come riteneva l’Ufficio finanziario che qualificava il secondo atto co- me retrovendita.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo un unico motivo. Resiste con controricorso il Fallimento SAIF s.p.a.
Motivi della decisione
1. I Giudici di appello hanno fondato la propria decisio- ne qualificando il contratto stipulato dalle parti in data 14.12.1993 come atto di muto dissenso volto allo scio- glimento del precedente atto pubblico in data 23.12.1992. A tale conclusione sono pervenuti all’esito della interpretazione del contenuto dei due atti negoziali nonché dei rapporti intercorsi tra le parti nel periodo di tempo tra la stipula del primo e del secondo contratto. Quanto al primo aspetto i Giudici di merito hanno rile- vato che le disposizioni e clausole pattizie di entrambi i contratti erano da ritenersi identiche e contrarie, sicché il secondo contratto veniva ad elidere gli effetti del primo.
Quanto al secondo aspetto i Xxxxxxx rilevavano che la società prima acquirente aveva commissionato all’alienate l’appalto dei lavori di ultimazione dell’immobile compravenduto, nonché aveva conferito alla stessa mandato a vendere le singole unità immobi- liari. Essendo insorta tra le parti controversia in ordine all’esatto adempimento dei rapporti obbligatori, le parti erano pervenute alla definizione delle reciproche prete- se, ripristinando lo “status quo ante” mediante la risolu- zione di comune accordo tutti rapporti negoziali inter- corsi tra di esse (contratto di compravendita - con resti- tuzione del medesimo importo corrisposto a titolo di prezzo ed emissione, restituzione all’originario acqui- rente dell’IVA applicata al 4% e contestuale emissione di nota credito di pari importo; contratto di appalto - con corresponsione a SAIF di un indennizzo a tacitazione di ogni pretesa di natura risarcitoria;
contratto di mandato a vendere), dovendo sussumersi ta- le accordo nella figura dell’accordo transattivo. Inoltre elemento decisivo a sostegno della qualificazione del se- condo atto come negozio risolutorio veniva attribuito dai Giudici di merito alla circostanza che i secondo contrat- to era intervenuto entro l’anno dalla stipula del primo, elemento questo espressamente considerato dal D.P.R.
n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3, per il riconosci- mento di diritto alla detrazione - restituzione della impo- sta versata per la operazione eseguita e successivamente venuta meno “in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti”.
2. La Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appel- lo, denunciando vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1343 c.c., dell’art. 1470 c.c. e ss., dell’art. 1362 c.c. e ss. e dell’art. 1453 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21 e 26 nonché vizio di motivazione, in quanto i Giudici di merito che avrebbero desunto l’effetto risolutorio del secondo contratto da una vicenda inerente un altro e distinto rapporto contrattuale inter- corso tra e parti (appalto lavori), in ordine al quale sol- tanto era insorta controversia e dunque sussisteva la esi- genza della stipula di un atto transattivo: con la conse- guenza che dovevano essere tenute distinte le cause ne- goziali relative alla transazione, avente ad oggetto il rapporto di appalto, ed alla retrovendita immobiliare che configurava, pertanto, un nuovo negozio traslativo ed andava quindi assoggettata ad IVA all’aliquota del 9% vigente al tempo della stipula. Pur senza negare che la retrocessione della proprietà dell’immobile era stata de- terminata dalla risoluzione del contratto di appalto, tut- tavia ciò configurava soltanto il motivo ma non la causa giustificativa del nuovo atto.
Inoltre la autonomia del successivo negozio di vendita derivava necessariamente dal fatto che il primo contratto aveva ormai prodotto i propri effetti traslativi e pertanto non poteva configurarsi un negozio risolutorio di un contratto già eseguito.
3. Controdeduce il Fallimento SAIF s.p.a. aderendo alle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e rilevando che indipendentemente dalla qualificazione del secondo contratto come atto transattivo, era innega- bile che la originaria operazione eseguita dalle parti (tra-
sferimento della proprietà immobiliare) era venuta me- no, entro l’anno, per volontà delle parti contraenti, con la conseguenza che dovevano comunque ritenersi inte- grati i presupposti che legittimavano il recupero dell’IVA assolta in occasione della stipula del contratto risolto per mutuo dissenso.
4. Il ricorso deve essere rigettato in relazione ad entram- be le censure prospettate con l’unico complesso motivo. Occorre premettere che la qualificazione del contratto è una operazione ermeneutica volta ad identificare il mo- dello legale astratto di contratto all’interno del quale sussumere il contratto in concreto stipulato, a fine di as- soggettare quest’ultimo alla disciplina dettata dal primo. Tale operazione strutturalmente si articola in tre fasi, la prima delle quali consiste nella ricerca della comune vo- lontà dei contraenti, la seconda nella individuazione del- la fattispecie legale e l’ultima consiste nel giudizio di ri- levanza giuridica qualificante gli elementi di fatto in concreto accertati (cfr. Xxxx., XXX sez., 16.6.1997, n. 5387; Cass., III sez., 5.7.2004, n. 12289).
La prima fase si risolve in un tipico accertamento di fat- to riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362
c.c. ss. Le successive consistono nella ricerca del para- digma legale da applicare alla fattispecie (id est della norma o del complesso normativo in base al quale si in- tende regolare il rapporto dedotto in giudizio) e nella qualificazione che procede secondo il modello della sus- sunzione - cioè del confronto tra fattispecie contrattuale concreta e tipo astrattamente definito dalla norma - per verificare la corrispondenza degli elementi di fatto ac- certati a quelli individuanti la fattispecie normativa. Queste fasi comportano applicazione di norme giuridi- che ed il giudice non è vincolato dal “nomen juris” ado- perato dalle parti, ma può correggere la loro autoqualifi- cazione quando riscontri che non corrisponde alla so- stanza del contratto come da esse voluto. La ricostruzio- ne data dal giudice di merito è incensurabile in sede di legittimità allorquando si risolva nella richiesta di una nuova valutazione dell’attività negoziale oppure nella contrapposizione di un’interpretazione della medesima a quella del giudice di merito (cfr. Xxxx., XX sez., 3.11.2004, n. 21064; Cass., III sez., 22.6.2005, n. 13399).
Tanto premesso, con riferimento alla asserita violazione delle norme codicistiche indicate in rubrica, palesemente privo di pregio è l’assunto della ricorrente secondo cui la risoluzione con efficacia ex tunc opera esclusivamente quale rimedio ai vizi funzionali della causa e cioè alle si- tuazioni patologiche connesse alla esecuzione del con- tratto, essendo appena il caso di rilevare che la figura del mutuo dissenso (o mutuo consenso o risoluzione con- venzionale o accordo risolutorio: cfr. artt. 1321 e 1372 c.c.) costituisce espressione della autonomia negoziale dei privati che bene sono libere di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio a prescindere dalla e- sistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute impeditivi o modificativi della attuazione dell’originario regolamento di interessi: come infatti ribadito dalle pro-
nunce di questa Corte la risoluzione del contratto per mutuo dissenso costituisce un caso di ritrattazione bila- terale del contratto con la conclusione di un nuovo ne- gozio uguale e contrario a quello da risolvere” (cfr. Xxxx., XXX sez., 10.3.1966, n. 683; id., II sez., 30.8.2005,
n. 17503; id., III sez., 10.7.2008, n. 18859). Inconsisten- te è altresì la obiezione secondo cui il contratto da risol- vere per mutuo consenso aveva già prodotto i propri ef- fetti, trattandosi di contratto ad efficacia reale.
La risoluzione convenzionale integra, infatti, un contrat- to autonomo con il quale le stesse parti o i loro eredi ne estinguono uno precedente, liberandosi dal relativo vin- colo e “la sua peculiarità è di presupporre un contratto precedente fra le medesime parti e di produrre effetti e- stintivi delle posizioni giuridiche create da esso” (cfr. Xxxx., XXX sez., 27.11.2006).
L’effetto ripristinatorio è, peraltro, espressamente previ- sto (art. 1458 c.c.) per il caso di risoluzione per inadem- pimento anche dei contratti aventi ad oggetto il trasferi- mento di diritti reali, non essendo dato pertanto riscon- trare impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo di un contratto ad efficacia reale, fatto salvo l’onere della forma “ad substantiam”: “la forma scritta costituisce requisito necessario dei contratti risolutori del diritto di proprietà sui beni immobili, dovendo dai medesimi trarsi con sufficiente certezza tutti gli elementi del negozio cui le parti abbiano inteso dare vita, quali l’indicazione del bene ritrasferito e dei prezzo, nonché la manifestazione della effettiva volontà di operare il nuo- vo trapasso del bene” (cfr. con riferimento a contratto di compravendita immobiliare: Xxxx, III sez., 18.2.1980, n. 1186; id., II sez., 14.2.1981; id., II sez., 14.7.1989, n.
3288; id., II sez., 7.3.1997, n. 2040; id., II sez.,
15.5.1998, n. 4906 “nel caso di contratto di trasferimen- to della proprietà immobiliare, per la cui validità la leg- ge richiede la forma scritta ad substantiam, anche il suo scioglimento per mutuo consenso deve risultare da atto scritto poiché per effetto di esso si opera un nuovo tra- sferimento della proprietà al precedente proprietario (v. sent. 20.12.1988, n. 6959. 28.8.1990, n. 8878)...”: cfr.
con riferimento al contratto di vendita di cosa futura Cass., II sez., 6.11.1991, n. 11840, che desume l’obbligo della forma scritta dell’accordo risolutorio dalla effica- cia definitiva e non meramente obbligatoria della vendi- ta). Del pari manifestamente infondato è il denunciato vizio di sussunzione della fattispecie concreta nello schema normativo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3, nonché la censura per vizio motivazionale. La norma invocata attribuisce al cedente (nella specie al- la Edilizia Napoli Nord s.r.l.) di portare in detrazione l’imposta - previa registrazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 25 - in ogni caso in cui “un’operazione per la qua- le sia stata emessa fattura. viene meno in tutto od in
parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conse- guenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, o per mancato paga- mento. ’“ (comma 2). Qualora tali eventi si verifichino
“in dipendenza di sopravvenuto accordo tra le parti la neutralità fiscale può essere fatta valere esclusivamente entro l’anno dalla operazione imponibile (comma 3).
Orbene gli elementi normativi della fattispecie possono quindi individuarsi:
a) nella realizzazione di una operazione imponibile, per la quale sia stata emessa fattura, che deve essere “vera e reale e non già del tutto inesistente”, come deve argo- mentarsi dalla disposizione di chiusura del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, che individua il presupposto impositivo, in caso di operazione inesistente, e dunque in assenza di un fatto imponibile definito nel suo effetti- vo contenuto economico D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 6, nel mero elemento cartolare della fattura (cfr. Xxxx., V sez., 10.6.2005, n. 12353);
b) nella realizzazione di una causa di scioglimento del contratto (cui consegue i venir meno della “operazione imponibili”: nella specie cessione di bene immobile), non occorrendo uno specifico accertamento negoziale o giudiziale della intervenuta risoluzione (Cass., III sez., 21.1.2010, n. 987). Deve sussistere quindi un titolo ido- neo a realizzare gli effetti risolutori del precedente con- tratto (Cass., I sez., 23.4.1993, n. 4767, ove si esclude che un “accordo” comportante variazioni dell’imponibile o dell’imposta riguardo ad una prece- dente operazione regolarmente assoggettata ad IVA non può essere desunto dal mero fatto che una delle parti del rapporto di cessione ha emesso, senza neppure indicarne la causa, alcune “note di accredito”): con la conseguenza che raccordo risolutorio di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta “ad substantiam” è soggetto al- la stessa forma stabilita per la sua conclusione e l’anzidetto requisito formale può ritenersi sussistente so- lo in presenza di un documento che contenga in modo diretto la dichiarazione della volontà negoziale e che venga redatto al fine specifico di manifestare tale volon- tà (Cass., II sez., 7.3.1997, n. 2040; id., III sez. 27.11.2006, n. 25126; id., II sez., 6.4.2009, n. 8234):
c) nella identità delle parti dell’accordo risolutorio e del negozio oggetto di risoluzione consensuale (Cass., V sez., 12.2.2010, n. 3380);
d) nel regolare adempimento degli obblighi di registra- zioni previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972: in tema di de- trazioni IVA, la norma di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, - a mente della quale le ragioni per cui un’operazione fatturata viene meno in tutto o in parte, ovvero sia ridotta nel suo ammontare imponibile, posso- no essere varie, e consistere, in particolare, non solo nel- la nullità, nell’annullamento, nella revoca, nella risolu- zione, nella rescissione, ma anche in ragioni “simili”, quali il mancato pagamento o la concessione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente - va interpretata nel senso che ciò che rileva, per volontà legislativa, non è tanto la modalità secondo cui si manifesta la causa della variazione dell’imponibile IVA, quanto, piuttosto, che, tanto della variazione, quanto della sua causa, si effettui registrazione ai sensi degli artt. 23, 24 e 25 del citato
D.P.R. (Cass., V sez., 6.7.2001, n. 9195. Sui rispettivi obblighi di registrazione gravanti sul cedente e sul ces- sionari cfr. Xxxx., I sez., 11.6.1993, n. 6552).
e) nel lasso temporale infrannuale entro il quale deve ve- rificarsi la vicenda risolutoria nel caso in cui l’effetto ri- solutorio trovi titolo in un accordo di mutuo dissenso: la
prova relativa può legittimamente essere fornita soltanto attraverso l’indicazione di quei dati che risultino idonei a collegare le due operazioni - essendo lo scopo perse- guito dalla legge quello di impedire pericolose forme di elusione degli obblighi del contribuente, ed essendo tale scopo perseguibile attraverso il principio di immodifica- bilità, sia unilaterale, sia concordata tra le parti, delle re- gistrazioni obbligatorie, fatto salvo il caso di successive varia/ioni dell’imponibile o dell’imposta, ex art. 26 cita- to - mercè dimostrazione, da parte del contribuente, dell’identità tra l’oggetto della fattura e della registra- zione originarie, da un canto, e l’oggetto della registra- zione della variazione, dall’altro, sì da palesare inequi- vocabilmente la corrispondenza tra i due atti contabili (Cass., V sez., 6.7.2001, n. 9188).
Orbene i Giudici territoriali hanno correttamente ricon- dotto la fattispecie concreta nello schema normativo del
D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3, ravvisando la identità di contenuto dei due atti negoziali uguali e contrari (quanto all’oggetto - proprietà dell’immobile - ed alla prestazione avente ad oggetto il pagamento del prezzo, nonché quanto alla forma), accertando la identità delle parti contraenti, la eseguita registrazione della va- riazione contabile ai fini della detrazione IVA da parte del cedente, la esatta corrispondenza dell’imposta versata e di quella recuperata (con applicazione della identica ali- quota pari al 4%), la esistenza del presupposto temporale richiesto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3. Hanno inoltre desunto l’effetto risolutorio del primo contratto dall’inserimento del contratto stipulato in data 14.12.1993 nell’ambito della composizione transattiva, con la quale le medesime parti hanno voluto definire tut- ti i rapporti pendenti, della più ampia vicenda negoziale intercorsa tra le parti che oltre al contratto di compra- vendita concerneva anche il contratto di appalto relativo alla esecuzione dei lavori di ultimazione dell’intero im- mobile ed il contratto di mandato a vendere le singole
unità immobiliari.
Evidente è la confusione in cui incorre la Agenzia delle Entrate laddove ipotizza una mancanza originaria della causa negoziale dell’accordo risolutorio allegando che il contenzioso tra le parti concerneva esclusivamente il rapporto originato dal contratto di appalto, in tal modo non considerando che, tanto gli artt. 1321 e 1372 c.c. quanto il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3, pre- vedendo espressamente l’accordo delle parti quale nego- zio risolutorio idoneo a determinare il venir meno della “operazione imponibile”, prescindono del tutto da even- tuali vizi genetici o funzionali della causa del contratto che le stesse intendono risolvere.
La critica motivazionale della ricorrente, pertanto, si ri- solve soltanto nel contrapporre una diversa ricostruzione giuridica dei fatti rispetto a quella effettuata dai Giudici di merito, senza individuare specificamente gli errori lo- gici che inficiano la ratio decidendi della sentenza im- pugnata, con la conseguenza che l’accertamento della ri- soluzione del contratto per mutuo dissenso costituisce apprezzamento di fatto del Giudice di merito, che rima- ne incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione (Cass., III sez., 27.11.2006, n. 25126).
5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato ed in appli- cazione del principio di soccombenza la parte ricorrente va condannatala rifusione delle spese del presente giudi- zio che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Suprema Corte di cassazione:
- rigetta i ricorso e condanna la Agenzia delle Entrate al- la rifusione delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 7.200,00 (di cui Euro 7.000,00 per ono- rari) oltre rimborso forfetario spese generali ed accessori di legge.
IL COMMENTO
di Xxxxxxxx Xxxxxxxx
La Cassazione dopo aver ripetutamente trattato l’istituto del mutuo dissenso nei contratti ad effetti reali senza tuttavia approfondirne la natura giuridica, con la sentenza in commento, per la prima volta affronta ex professo la questione, aderendo alla tesi dell’annientamento con effetto retroattivo del contratto oggetto di risoluzione convenzionale. Tale pronunciamento apre la strada a rilevanti conseguenze nella prassi no- tarile con particolare riferimento all’ipotesi in cui oggetto di risoluzione pattizia sia una precedente dona- zione.
Il caso oggetto della decisione
La sentenza che si commenta è di estremo interesse per gli operatori del diritto, in quanto essa affronta per la prima volta ex professo il problema della na- tura giuridica del c.d. xxxxx dissenso, aderendo pe- raltro alla teoria secondo cui tale istituto determina
il ripristino con effetto retroattivo dello status quo ante.
Per la verità la Suprema Corte aveva già più volte in passato avuto modo di trattare del nostro istituto, ma nelle precedenti pronunce, per lo più dirette a dare conto del problema della forma del contratto risolutorio, la questione della natura giuridica del medesimo era stata trattata solo incidentalmente e
talvolta lasciando intendere che si dovesse esclude- re l’efficacia retroattiva dello scioglimento del vin- colo contrattuale1 o affermando genericamente che lo scioglimento di un contratto traslativo determini un “nuovo trasferimento della proprietà al prece- dente proprietario”2.
La sentenza in commento invece si spinge ad ana- lizzare più precisamente gli effetti del contratto ri- solutorio.
Tale esigenza nasce dalla particolarità del caso giunto all’esame della Suprema Corte.
Con un contratto stipulato per atto pubblico in data 23 dicembre 1992 una società aveva acquistato da altra società un fabbricato in costruzione.
Successivamente, con atto stipulato in data 14 di- cembre 1993, le parti avevano provveduto a scio- gliere il precedente contratto tra loro intercorso nell’ambito di una soluzione transattiva concordata in ordine alla controversia insorta sulla esecuzione dell’appalto di lavori commissionato dall’acquirente alla venditrice.
Pertanto con il contratto del 14 dicembre 1993 si procedeva a “ritrasferire l’immobile al medesimo prezzo corrisposto”, con contestuale emissione da parte dell’originario venditore di nota di credito IVA ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, a compensazione della fattura emessa in occasione del primo contratto, e dunque senza assoggettare a nuova tassazione il contratto risolutorio.
L’Agenzia delle Entrate invece aveva ritenuto che il secondo atto desse luogo ad una nuova operazio- ne economica a fini fiscali, qualificando quest’ultimo come retrovendita.
Nei precedenti gradi di giudizio la tesi del contribu- ente era stata accolta, negandosi dunque l’assoggettamento ad IVA dell’operazione risolutoria. I giudici di appello in particolare avevano fondato
Note
1 Sembrano aderire in toto alla teoria che nega l’effetto retroat- tivo del mutuo dissenso Cass. 10 marzo 1966, n. 683; Cass. 17
marzo 1999, n. 2382, in Il fallim. e proc. concors., 2000, 7, 727. Altre decisioni pur affermando che il mutuo dissenso non ha, di regola, effetto retroattivo e, dunque, non comporta normalmen- te il ripristino delle “status quo ante”, ritengono tuttavia che ciò sia possibile in presenza di specifica pattuizione negoziale in tal senso (Cass. 27 marzo 1962, n. 623; Cass. 22 ottobre 1976,
n. 3772; Cass. 29 aprile 1993, n. 5065, in Giur. it., 1994, 3, I, 1,
433; Cass. 6 agosto 1997, n. 7270).
2 V. ad es. Cass. del 15 maggio 1998, n. 4906. Altre volte si assiste ad affermazioni alquanto equivoche sul piano teorico come ad es. Cass. 30 agosto 2005, n. 17503, secondo cui “il mutuo dissenso - cui le parti pervengono per la reciproca con- venienza di non dare ulteriore corso all'affare - realizza, per concorde volontà, la ritrattazione bilaterale del contratto, che si concretizza in un nuovo contratto di natura solutoria e liberato- ria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto ori- ginario, di cui neutralizza gli effetti”.
la propria decisione qualificando il contratto stipu- lato dalle parti in data 14 dicembre 1993 come atto di mutuo dissenso volto allo scioglimento del pre- cedente atto pubblico in data 23 dicembre 1992.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione deducendo che il secondo contratto configurava un nuovo negozio traslativo ed andava quindi assog- gettato ad IVA, in quanto “pur senza negare che la retrocessione della proprietà dell’immobile era stata determinata dalla risoluzione del contratto di appal- to, tuttavia ciò configurava soltanto il motivo ma non la causa giustificativa del nuovo atto. Inoltre la autonomia del successivo negozio di vendita deri- vava necessariamente dal fatto che il primo contrat- to aveva ormai prodotto i propri effetti traslativi e pertanto non poteva configurarsi un negozio risolu- torio di un contratto già eseguito”.
A fronte di tale contenzioso la Suprema Corte è sta- ta costretta ad approfondire la questione ed a tenta- re di individuare con maggiore precisione la natura degli effetti del contratto risolutorio.
In particolare il Giudice di legittimità ha escluso la fondatezza del ricorso, confermando le sentenze di merito, sulla base della considerazione che “la riso- luzione convenzionale integra … un contratto auto- nomo con il quale le stesse parti o i loro eredi ne e- stinguono uno precedente, liberandosi dal relativo vincolo … L’effetto ripristinatorio è, peraltro, e- spressamente previsto (art. 1458 c.c.) per il caso di risoluzione per inadempimento anche dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali, non essendo dato pertanto riscontrare impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo di un contratto ad efficacia reale, fatto salvo l’onere della forma “ad substantiam”.
La travagliata vicenda interpretativa del mutuo dissenso
Ad onta della scarsa propensione dei giudici ad oc- cuparsi del problema della natura giuridica del mu- tuo dissenso negli atti traslativi, in dottrina la dispu- ta su tale questione ha ormai assunto dimensioni temporali secolari.
Nel diritto romano il “contrarius consensus” era ammesso solo se sussisteva il requisito della “re in- tegra”, vale a dire se il contratto non fosse stato an- cora adempiuto da alcuna delle parti3.
Il codice del 0000, xxxxxxxxxxxx x’xxx. 0000 xxx xx- xx xxxxx xxxxxxxx0, disponeva invece all’art. 1123
3 Deiana, Contrarius consensus, in Riv. Dir. Priv., 1939, I, 91.
4 “Les conventions légalement formées tiennent lieu de loi à ceux qui les ont faites. Elles ne peuvent être révoquées que de
che “I contratti legalmente formati hanno forza di legge per coloro che li hanno fatti. Non possono es- sere rivocati che per mutuo consenso o per cause autorizzate dalla legge”.
Tale disposizione è poi nella sostanza riprodotta anche nell’art. 1372 del codice civile del 1942, se- condo cui “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.
Già fra i pandettisti tedeschi si enuclearono due op- poste scuole di pensiero che si sono perpetuate an- che nella dottrina italiana posteriore all’emanazione del codice del 1942.
Alcuni autori5 infatti hanno ritenuto che la risolu- zione consensuale, anche quando si riferisca ad un atto traslativo, costituisca un negozio sui generis, espressamente previsto dal citato art. 1372 c.c., a- vente per effetto l’annientamento della precedente trasferimento e diretto quindi a porre nel nulla quest’ultimo ed a ripristinare, con effetto retroatti- vo, lo status quo ante.
Secondo tale impostazione dunque il mutuo dissen- so non produrrebbe né effetti traslativi né effetti obbligatori, ma effetti risolutori, vale a dire distrut- tivi di ciò che le parti avevano in precedenza creato e costituirebbe pertanto una figura generale ed on- nicomprensiva, riferibile perciò ad ogni contratto, la quale ha funzione e contenuto sempre concet- tualmente identici, qualunque sia il tipo degli effetti prodotti dal contratto risolto.
Nei contratti di effetti reali, in conseguenza, il “ri- trasferimento” del bene dall’acquirente all’alienante non sarebbe un effetto diretto di un siffatto negozio, bensì un effetto mediato conseguente alla risoluzio-
ne voluta dalle parti.
Ed anzi dovrebbe escludersi che si tratti di un vero e proprio trasferimento, dipendendo l’imputazione della titolarità del diritto a suo tempo alienato in capo all’originario alienante dal ripristino retroatti- vo della situazione preesistente.
Altri autori6 invece, sulla scorta della tradizione romanistica, hanno qualificato l’istituto del mutuo dissenso in generale come fattispecie estintiva delle obbligazioni nascenti dal contratto originario, don- de la conclusione dell’inammissibilità di un contra- rius consensus posteriore all’esecuzione del con- tratto ed al verificarsi dell’effetto traslativo.
Se dunque dopo l’esecuzione di un contratto di vendita le parti volessero ripristinare lo stato ante- riore delle cose, esse non potrebbero fare altro che stipulare una seconda vendita in senso inverso, nel- la quale l’acquirente originario assumerebbe il ruo- lo di venditore e il venditore originario quello di acquirente.
Del pari ove il contratto da risolvere fosse una do- nazione, ed essa fosse stata eseguita con il verifi- carsi dell’effetto traslativo, non sarebbe più possibi- le porla convenzionalmente nel nulla, ma occorre- rebbe necessariamente una donazione in senso in- verso.
Xxxx negozi peraltro a rigore7 porrebbero con ogni evidenza notevoli inconvenienti pratici, in quanto
- in caso di retrovendita il compratore che ritrasferi- sce il diritto venduto al venditore sarebbe responsa- bile per i vizi e l’evizione anche se gli uni e egli al- tri non siano a lui imputabili;
6 La teoria in esame risale a Xxxxxxxx, Der Kauf nach gemei-
leur consentement mutuel, ou pour les causes que la loi autori- se”.
5 L’opinione, già in precedenza espressa da alcuni tra i più au- torevoli pandettisti tedeschi, trovò nel Czyhlarz (Zur Xxxxx xxx xxx Xxxxxxxxxxxxxxxxxx, Xxxx, 0000, 31 ss.) il più accanito so- stenitore. Oggi essa è seguita, tra gli altri, da Xxxxxxx, Xxxxx dissenso. Donazione di bene immobile. Atto di risoluzione. Ammissibilità. Effetti, in Vita not., 1973,605 ss.; Id., Il mutuo dissenso nella pratica notarile, in Vita not., 1993, 1, 635 ss.; Xxxxxxxx, Il mutuo dissenso, Milano, 1980, 49 ss. e 234 ss.; Xxxxxx, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 735; Venosta, La forma dei negozi preparatori e revocatori, Milano, 1997, 219 ss.; Xxxxxxxx, Requisiti formali della risoluzione consensuale di compravendita immobiliare, in questa Rivista, 1997, 6, 517 ss.; Xxxxxxxx, Degli effetti del contratto, I, in Commentario al cod. civ. diretto da Xxxxxxxxxxx, Milano, 1999, 56 ss; Xxxxx, Il mutuo dissenso, in Vita not., 1999, 1658; Xxxxxxxxxxx, Il mutuo dissen- so nei contratti ad effetti reali, in Rass. dir. civ., 1999, 241 ss.; Xxxxxx, Effetti e vincolo, in Trattato del contratto diretto da X. Xxxxx, XXX, Xxxxxx 0000, 98 s.; Xxxxxxxx, Risoluzione, mutuo dissenso e tutela dei terzi, in Riv. dir. civ., 2009, I, 208 s.; Alca- ro, Il mutuo dissenso, in Xxxxxx-Xxxxxxxxxx-Xxxxxxx, Xxxxxxx del contratto, in Trattato di diritto civile, Consiglio Nazionale del No- tariato, Napoli, 2011, 67; Xxxxxx, Il mutuo dissenso, in Aa.Vv., Il contratto a cura di X. Xxxx, Milano, 2012, 2011 ss.
nem Recht, Erlangen, 1884, II, 1, 469. Tale impostazione è so- stanzialmente seguita, fra gli altri, da Xxxxxx, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. diretto da Xxxxxxxx, Torino, 1961, 519; Ferri, in Giur. it., 1970, IV, 25; Xxxxxx, La compravendita, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, XXIII, Milano, 1971, 1024; Carresi, Il contratto, in Tratt. dir. civ. e comm. diret- to da Cicu e Messineo, XXI, 2, Milano, 1987, 874; Ieva, Retro- attività reale dell’azione di riduzione e tutela dell’avente causa dal donatario tra presente e futuro, in Riv. Not., 1998, 1137.
7 Xxxxxxxx è singolare che non tutti i sostenitori della teoria del contrarius actus traggono dalla loro premessa tali rigorose con- seguenze. E’ stato infatti sostenuto, non si comprende su quali basi normative, che <<nello stipulare queste vendite e queste donazioni ecc. con finalità ripristinatoria le parti si daranno vi- cendevolmente atto dello specifico scopo per cui le hanno sti- pulate e pertanto nei loro confronti nonché nei confronti dei loro eredi e entro certi limiti anche dei loro aventi causa dovranno considerarsi ed essere trattate come se realmente non avesse- ro avuto altra finalità all’infuori di quella>>. Da ciò dovrebbe conseguire che “il compratore, il quale … ritrasferisca la cosa al venditore, non sarà responsabile … né per i vizi né per l’evizione … nè il donatario che ridona la cosa a quegli che glie l’ha xxxxxx potrà farla revocare per ingratitudine e per soprav- venienza di figli, né gli eredi chiederne la collazione o agire per la sua riduzione” (Carresi, op. cit., 874).
- in caso di retrodonazione, essa non potrebbe sot- trarsi all’integrale applicazione delle norme che le sono proprie, con la conseguente assoggettabilità della medesima alla revocazione per ingratitudine e per sopravvenienza di figli, alla collazione e soprat- tutto all’azione di riduzione da parte dei legittimari del donatario, che viene ad assumere la veste di do- nante nella donazione in senso inverso; ed anzi il donatario, che abbia in tal modo restituito il bene al donante, rimarrebbe comunque esposto a sua volta al rischio che i legittimari del donante esperiscano l’azione di riduzione con riferimento alla prima do- nazione.
Una particolare posizione è stata invece assunta da antica ed attenta dottrina8, secondo la quale gli ar- gomenti che impedirebbero l’accoglimento della teoria del contatto di annientamento (v. infra) fa- rebbero sì che le parti possano raggiungere il risul- tato che esse si prefiggono solo in via di approssi- mazione ed utilizzando a tal fine mezzi di volta in volta diversi: <<l’espressione <<contrario consen- so>> non sta ad indicare un negozio tipico, bensì una categoria di negozi caratterizzati solo dal fatto che vengono posti in essere per neutralizzare gli ef- fetti prodotti da un precedente contratto, contro cui essi sono diretti. Tra questi vari negozi non esiste un’identità di contenuto ma solo di funzione>>.
Pertanto nei contratti ad effetti meramente obbliga- tori non ancora eseguiti il mutuo dissenso avrebbe contenuto estintivo delle obbligazioni contrattuali. Nei contratti con effetti obbligatori eseguiti o in quelli ad effetti traslativi immediati il mutuo dis- senso di atteggerebbe in modo diverso a seconda del tipo di contratto che si intenderebbe risolvere.
In particolare nella vendita il mutuo dissenso non darebbe luogo ad una compravendita in senso in- verso, ma ad un “contratto innominato caratterizza- to da una funzione sua tipica, ch’è quella di di- struggere la situazione creata dal primo negozio e di neutralizzarne gli effetti ormai verificati e quindi incancellabili”.
Per questa ragione il compratore che ritrasferisce la cosa la venditore non risponderebbe per l’evizione
fosse una donazione, la dottrina in esame sostiene che il contrarius consensus non possa che essere rappresentato da una donazione in senso inverso.
Ed invero poiché il donatario <<ha già acquistato la proprietà della cosa o della somma, l’attribuzione ch’egli viene a fare al donante restituendogliela non può non essere a titolo gratuito. Quanto all’<<animus donandi>>, dal momento che il dona- xxxxx intende fare una attribuzione, sapendo e vo- lendo che questa non rappresenti il corrispettivo di alcunchè (in ciò secondo noi consiste l’intenzione liberale), non vedo come possa dubitarsi della sua esistenza>>.
A tale donazione, dunque, non potrebbe non appli- carsi l’azione di riduzione per lesione di legittima. Ed invero <<poiché questa spetta ai legittimari e non al donante, è evidente come a nulla valga la vo- lontà del donatario (ora donante) che la sua liberali- tà non sia soggetta a riduzione>>.
In questo caso dunque la disciplina legale della do- nazione presenterebbe profili di inderogabilità che renderebbe non interamente attuabile l’intento delle parti.
Del tutto peculiare appare anche la tesi, proposta in epoca più recente da autorevole dottrina, secondo la quale il mutuo dissenso, pur essendo diretto all’annientamento di un contratto precedente, non sarebbe idoneo sul piano causale a giustificare il ri- trasferimento del diritto a suo tempo alienato9.
Conseguentemente il negozio risolutorio potrebbe dispiegare solo effetti di tipo obbligatorio, onde sa- rebbe necessario un ulteriore negozio di tipo trasla- tivo e solutorio, che, in adempimento di quanto pat- tuito dalle parti in sede di risoluzione convenziona- le, operi il predetto ritrasferimento.
Tale trasferimento dunque sarebbe effettuato sol- vendi causa.
Contro la teoria del negozio di annientamento re- troattivo i sostenitori delle opposte scuole di pen- siero adducono l’impossibilità per l’autonomia privata di influire sul passato con effetto retroat- tivo in mancanza di un’espressa disposizione normativa10 e di pregiudicare in tal modo i diritti
e per i vizi della cosa “quando questi o il pericolo
di evizione preesistevano alla conclusione del pri- mo negozio”.
Ciò in quanto la disciplina del contratto innominato in questione sarebbe al riguardo derogabile e pla- smabile dalle parti per conseguire l’intento dalle stesse divisato.
Diversamente, quando oggetto di mutuo dissenso
8 Xxxxxx, Contrarius consensus cit., 122 ss. e 135 ss.
9 Xxxxxxx, La trascrizione immobiliare, in Commentario al Co- dice Civile diretto da X. Xxxxxxxxxxx, artt. 2643-2645-bis, Mila- no, 1998, 419; Id., Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, 1032; Toschi Vespasiani, Riflessioni intorno al mutuo dissenso: spunti per il ripensamento di un dibattito nell’ottica di un rac- cordo tra opinioni dogmatiche e prassi negoziale, in Riv. dir. civ., 2003, I, 291 ss.
10 Sul punto v. già Romano, La revoca degli atti giuridici privati, Padova, 1935, 364 (seguito anche da Deiana, Contrarius con- sensus cit., 104), secondo cui “il potere di influire, oltre che sul presente e sull’avvenire, anche sul passato è un potere del tut- to eccezionale, che presenta questo carattere anche in riguar-
acquisiti medio tempore dai terzi, nonché, relati- vamente ai beni immobili e mobili registrati, l’impossibilità di pubblicizzare il negozio di an- nientamento, non essendone prevista la trascri- zione. Uniformare corpo
Si tratta peraltro di rilievi non decisivi, poiché la possibilità per i privati di risolvere con effetto re- troattivo un contratto precedentemente stipulato sembra trovare espresso riconoscimento normativo nell’art. 1372 c.c.
Ed anzi l’espresso, anche se laconico, riconosci- mento del “mutuo consenso” come autonoma cate- goria giuridica non avrebbe alcun senso se esso si identificasse con una mera retrovendita o una mera retrodonazione.
Queste ultime infatti sarebbero delle ordinarie ven- dite o donazioni che non giustificherebbero l’autonomia concettuale della categoria, la quale al contrario può sussistere solo attribuendo al mutuo dissenso una peculiarità effettuale.
Ma siffatta peculiarità a sua volta può individuarsi solo nella retroattività dell’effetto risolutivo.
Del resto, come i sostenitori della tesi del negozio di annientamento hanno prontamente rilevato, nel caso in cui oggetto di risoluzione convenzionale fosse un contratto ad effetti obbligatori, quale ad esempio un contratto di locazione, non sarebbe pos- sibile configurare il mutuo dissenso come un con- trarius actus, non potendo evidentemente l’originario conduttore divenire locatore e viceversa. Per altro verso i diritti acquisiti medio tempore dai terzi possono essere fatti salvi dall’applicazione del principio, valevole per la risoluzione legale, ma ap- plicabile a fortiori a quella volontaria, di cui all’art. 1458 2° comma c.c.
Quanto ai regimi pubblicitari, come meglio vedre- mo nel prosieguo della presente trattazione, soccor- re l’art. 2655 c.c., secondo il quale la risoluzione deve essere annotata a margine della trascrizione dell’atto risolto e tale annotazione deve avvenire sulla base della <<convenzione>> da cui risulta la risoluzione.
Da questo punto di vista la sentenza in commento rappresenta un notevole passo in avanti verso il de- finitivo accoglimento nella prassi contrattuale della teoria del contratto di annientamento.
Per altro verso l’accoglimento di siffatta teoria apre orizzonti importanti sul piano della risoluzione di un problema fortemente sentito nella prassi delle contrattazioni immobiliari, tutte le volte in cui il ti-
do agli organi dello Stato … e non può essere riconosciuto all’autonomia privata, se non quando ciò sia chiaramente di- sposto dalla legge”.
tolo di acquisto del venditore sia rappresentato da una donazione.
Tale ultimo acquisto, infatti, si presenta alquanto instabile, essendo suscettibile di venir meno nel tempo, per effetto dell’eventuale esperimento dell’azione di riduzione da parte dei legittimari pre- termessi o lesi, travolgendo anche i successivi pas- saggi di proprietà che su tale acquisto si fondavano. In dipendenza dell’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione, infatti, i legittimari posso- no chiedere la restituzione dei beni attribuiti con la donazione oggetto di impugnazione.
Per di più, in base all’art. 563 c.c., essi possono far valere tale diritto alla restituzione anche nei con- fronti di colui che abbia a sua volta acquistato il bene, oggetto della pretesa restitutoria, dal benefi- ciario della donazione impugnata, salve le limita- zioni previste dal citato articolo, anche a seguito delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 4- novies del d.l.14 marzo 2005, n. 35 (cd. decreto competitività), convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80.
Ciò posto, se fosse possibile il preventivo sciogli- mento consensuale della donazione, ai sensi dell’art. 1372, comma 1, c.c., così da ripristinare la situazione anteriore alla donazione, sarebbe possi- bile che a vendere il bene sia direttamente il donan- te anziché il donatario, senza incorrere negli incon- venienti sopra esposti11.
Nondimeno, prima di legittimare una siffatta inter- pretazione, occorre chiedersi quali conseguenze sul piano sistematico derivino dall’accoglimento della tesi dell’effetto risolutivo retroattivo del mutuo dis- senso con riferimento della causa del negozio riso- lutorio.
Per altro verso occorre anche interrogarsi sulle ri- cadute della qualificazione degli effetti del mutuo dissenso sulla forma del negozio, sulla sua pubbli- cità e sulle formalità prescritte, talvolta a pena di nullità, per gli atti traslativi immobiliari.
Si tratta invero di problemi che la sentenza in commento non ha ritenuto di affrontare ex professo se non in minima parte e con affermazioni non sempre coerenti con le premesse.
Profili causali del mutuo dissenso
con particolare riferimento all’ipotesi in cui
11 In argomento x. Xxxxxxx, La risoluzione della donazione per mutuo dissenso (un rimedio alla potenziale incommercialibilità degli immobili provenienti da donazione), in Riv. not., 2004, I,
113 ss.; Xxxxxx, Lo scioglimento della donazione per mutuo dissenso, in Xxxxxxxxx, 2006, 622 e ss.; Xxxxxxxxxx, Il mutuo dis- senso di contratti ad effetti reali, in Rass. Dir. civ., 2012, 830 ss.
oggetto di scioglimento convenzionale sia una donazione
La qualificazione del mutuo dissenso sul piano del- la causa negoziale risulta avere suscitato scarso in- teresse fra gli studiosi, che non si sono mai dilunga- ti eccessivamente sulla questione.
Il problema non ha ragione di porsi nell’ottica della tesi del trasferimento solvendi causa in esecuzione del mutuo dissenso a carattere obbligatorio.
In tale ottica, infatti, siffatto trasferimento ha sem- pre una causa solutoria ed il problema dell’individuazione della causa si porrebbe semmai con riferimento al negozio obbligatorio di mutuo dissenso.
Maggiori difficoltà si presentano invece laddove si aderisca alle altre ricostruzioni dell’istituto propo- ste dalla dottrina.
Per la verità non sorgono al riguardo particolari problemi con riferimento al mutuo dissenso di con- tratti onerosi.
Il ritorno dell’alienante nella titolarità del bene ori- ginariamente alienato in tali casi, anche per chi af- fermasse l’effetto ripristinatorio retroattivo, può considerasi il prodotto di un atto a titolo oneroso, atteso che l’acquirente che retrocede la cosa vendu- ta si vede tuttavia rimborsare il prezzo pagato12.
Ma, come vedremo meglio nel prosieguo della pre- sente trattazione, il problema, in questi termini, è mal posto, poiché l’effetto risolutivo retroattivo è per così dire sui generis e non si presta ad essere inquadrato in termini di onerosità o gratuità.
La questione si fa più insidiosa, e l’ingannevolezza dell’alternativa onerosità - gratuità diviene palese, laddove oggetto di risoluzione convenzionale sia una donazione.
Si è infatti già avuto modo di rilevare come antica dottrina abbia ritenuto al riguardo che poiché il do- xxxxxxx <<ha già acquistato la proprietà della cosa o della somma, l’attribuzione ch’egli viene a fare al donante restituendogliela non può non essere a tito- lo gratuito. Quanto all’<<animus donandi>>, dal momento che il donatario intende fare una attribu- zione, sapendo e volendo che questa non rappresen- ti il corrispettivo di alcunchè (in ciò secondo noi consiste l’intenzione liberale), non vedo come pos- sa dubitarsi della sua esistenza>>.
Il problema nasce dalla circostanza che il requisito dello spirito di liberalità nella donazione è stato so-
12 Cfr. Xxxxxxxxx, Xxxxx dissenso, la Cassazione aderisce alla tesi della risoluzione retroattiva, in Immobili e Proprietà, 2012, 371.
stanzialmente degradato da parte della dottrina13 e dalla giurisprudenza14 alla mera coscienza del do- nante di compiere un’attribuzione patrimoniale nul- lo jure cogente, al punto da far dubitare che la do- nazione sia un negozio causale e non piuttosto un negozio privo di causa15.
13 V. per tutti Jemolo, Lo “spirito di liberalità” (riflessioni su una nozione istituzionale), in Studi giuridici in memoria di Xxxxxxx Xxxxxxxx, II, Torino, 1960, 973 ss.; A. Palazzo, Le donazioni, in Commentario cod. civ. diretto da Xxxxxxxxxxx, Milano, 1991, 7.
14 X. xx xxxxxx Xxxx. 0 xxxxxxxx 0000 x. 0000, xx Xxxx Xx., 1976,
I , 1 95; Cass. 18 febbraio 1977 n. 737, in Giur. It., 1977 I, 1,
818 ; Cass. 9 aprile 1980 n. 2273; Cass. 11 marzo 1996 n.
2001, in Giust. Civ., 1996, I, 2297; Cass. 21 maggio 2012 n.
8018.
E’ vero peraltro che la Suprema Corte ha escluso la sussisten- za del fenomeno della liberalità con riferimento alle attribuzioni patrimoniali infra gruppo nei gruppi verticali di società, sulla ba- se della considerazione che “quando un atto viene posto in es- sere da una società ‘controllata’, va esclusa la ricorrenza di una donazione e non è necessaria l’osservanza delle forme richie- ste dall’art. 782 cod. civ. se l’operazione è stata posta in essere in adempimento di direttive impartite dalla capogruppo o co- munque di obblighi assunti nell’ambito di una più vasta aggre- gazione imprenditoriale, mancando la libera scelta del donante. Inoltre, al fine di verificare se l’operazione abbia comportato o meno per la società che l’ha posta in essere un depaupera- mento effettivo occorre tener conto della complessiva situazio- ne che, nell’ambito del gruppo, a quella società fa capo, poten- do l’eventuale pregiudizio economico che da essa sia diretta- mente derivato aver trovato la sua contropartita in un altro rap- porto e l’atto presentarsi come preordinato al soddisfacimento di un ben preciso interesse economico, sia pure mediato e indi- retto” (Xxxx. 11 marzo 1996 n. 2001 cit., Cass. 5 dicembre
1998, n. 12325, in Le Società, 1999, 562; Cass. 24 febbraio
2004, n. 3615, in Dir. fall. e soc. comm., 2005, 2, 916).
Nondimeno, pur avendo in questi casi la Cassazione conside- rato anche, con riguardo ai “vantaggi compensativi” derivanti dall’appartenenza al gruppo, il profilo patrimoniale dell’impoverimento e dell’interesse economico del disponente (v. infra la nota successiva), la liberalità è stata esclusa anche e forse soprattutto con riferimento alla nozione di spirito di libe- ralità tradizionalmente adottata dalla giurisprudenza e dunque in ragione del fatto che l’attribuzione è realizzata “in adempi- mento di direttive impartite dalla capogruppo o comunque di obblighi assunti nell’ambito di una più vasta aggregazione im- prenditoriale, mancando la libera scelta del donante”.
15 Gorla, Il contratto, I, Milano, 1954, 98; Mirabelli, Spunti in tema di donazione, in Vita not., 1971, 348.
Ma contra nel senso che la donazione si distinguerebbe dal punto di vista causale dagli altri atti gratuiti non donativi per la necessaria presenza di un interesse non patrimoniale del di- sponente, onde, in presenza di un interesse patrimoniale di quest’ultimo che risulti “socialmente apprezzabile”, dovrebbe escludersi che ricorra un atto di liberalità, in quanto “lo sposta- mento patrimoniale non appare arbitrario, ma risulta giustificato dalla considerazione di un’entità economica che sostituisce e compensa la perdita subita” v. per tutti Checchini, L’interesse a donare, in Riv. dir.civ., 1976, I, 262 e ss; Xxxxxxx, “Spirito di li- beralità” e controllo sull’esistenza della “causa donandi”, in Contratto e Impresa, 1985, 419 e ss.; Xxxxxxxxxx, La donazione costitutiva di obbligazione, Milano, 2004, 201 e ss.
Xxxxxxxxx deve rilevarsi che, anche ponendosi nell’ottica di tale impostazione, potrebbe escludersi il fenomeno della libera- lità solo ove l’atto dispositivo, almeno nelle previsioni del di- sponente, sia idoneo a procurare al medesimo un vantaggio
Del resto in quest’ottica è facile osservare che il pu- ro ed altruistico spirito di liberalità non esiste in rerum natura, atteso che molto spesso si è indotti a donare per fini egoistici o per ragioni fiscali16.
Ma a sua volta la qualificazione del contrarius con- sensus in termini di vera e propria donazione diretta deriva nel caso di specie dalla natura non retroattiva degli effetti di siffatto negozio secondo la dottrina in esame.
Il nuovo trasferimento in senso inverso con effetti ex nunc, unitamente alla coscienza, da parte del do- xxxxxxx che retrocede l’oggetto della donazione, di compiere una attribuzione patrimoniale in favore dell’originario donante, senza esservi obbligato, non può in questa prospettiva che condurre alla qualificazione del negozio in termini di donazione. Se invece l’effetto proprio del mutuo dissenso di una donazione, alla stregua dell’accoglimento della teoria del contratto di annientamento con effetto re- troattivo, venga configurato come di tipo meramen- te risolutivo-ripristinatorio, il “ritrasferimento” del bene al donante non sarebbe un effetto diretto di un siffatto negozio, bensì un effetto mediato conse- guente alla risoluzione voluta dalle parti.
Ma ciò non basta ancora ad escludere che si sia in presenza di una liberalità.
E’ noto infatti che il risultato caratteristico della donazione può essere raggiunto con mezzi diversi da quello tipico, onde occorre chiedersi se, anche aderendo alla tesi del negozio di annientamento re- troattivo, si possa configurare, nella risoluzione per
economico che sia in grado quanto meno di elidere il depaupe- ramento subito dal disponente stesso, se non addirittura a pro- curagli un saldo attivo (come accade ad esempio negli omaggi che le imprese dispongono in favore del pubblico a scopo di promozione pubblicitaria). Ma a questo punto dovrebbero con- siderarsi ascrivibili alla causa donandi anche gli atti in cui il di- sponente sia indotto a depauperarsi prevalentemente o esclu- sivamente in funzione di un interesse patrimoniale, che non sia tuttavia idoneo a compensare del tutto la perdita subita, come avviene ad esempio nelle donazioni poste in essere in favore di familiari per non pagare l’IMU con l’aliquota prevista per la se- conda casa. Diversamente opinando si escluderebbero dall’assoggettamento alla collazione, alla riunione fittizia ed all’azione di riduzione atti che comportano in fatto un notevole depauperamento del patrimonio del donante. D’altra parte af- fermare l’inammissibilità di siffatte operazioni per la mancanza di una iuxta causa significherebbe negare una realtà molto dif- fusa nel tessuto sociale, senza un adeguato supporto normati- vo idoneo a sorreggere l’assunto. Ma a questo punto, oltre a ri- levanti problemi probatori in relazione all’accertamento in fatto dei presupposti sopra enunciati, rimarrebbe fermo che risulte- rebbe idonea a giustificare un trasferimento donandi causa una serie di interessi tanto numerosi ed eterogenei da far dubitare che siffatto trasferimento si fondi sulla necessaria presenza di un elemento causale.
16 V. al riguardo von Xxxxxxx, Lo scopo nel diritto, trad. it. a cura di Xxxxxx, Torino, 1972, 54, secondo cui “non esiste un agire a vantaggio altrui nel quale il soggetto non voglia, al tempo stes- so, qualcosa per sè”.
mutuo dissenso di una donazione, una liberalità in- diretta.
In linea di principio, infatti, anche le liberalità indi- rette sono soggette alle norme sulla riduzione (art. 809 c.c.), ma in tal caso si pongono delicati pro- blemi relativamente all’esperibilità, con riferimento a siffatte liberalità, dell’azione di restituzione nei confronti del terzo acquirente di cui all’art. 563 c.c. Xxxxxxxxx deve rilevarsi che nelle liberalità non donative, la circostanza che l’arricchimento del be- neficiato avviene indirettamente fa sì che la causa liberale sia esterna allo strumento negoziale utiliz- zato per attuare all’attribuzione patrimoniale.
Tale causa dunque viene posta in essere solo ad o- pera di un ulteriore negozio collegato a quello uti- lizzato come veicolo dell’attribuzione patrimoniale. In altri termini la qualificazione in termini di libera- lità di un negozio o di un fatto, di per sé neutro quanto alla causa dell’attribuzione, deriva da un ul- teriore negozio tra beneficiante e beneficiario diret- to ad attribuire al fatto o negozio principale la va- lenza di liberalità.
Per converso l’eventuale mancanza di tale ulteriore negozio, o la sua successiva caducazione, determi- na il venir meno della causa dell’attribuzione pa- trimoniale, la quale a sua volta necessariamente de- termina una reazione dell’ordinamento diretta a ri- muovere un arricchimento privo di giustificazione. Nella liberalità indiretta più frequente nella prassi, quale ad esempio l’intestazione di beni a nome al- trui mediante l’adempimento del terzo, deve infatti ritenersi che nei confronti del terzo acquirente dal donatario indiretto non sia esperibile l’azione di re- stituzione di cui all’art. 563 c.c., come del resto re- centemente riconosciuto anche dalla giurispruden- za17, poiché tale azione costituisce una conseguenza
17 Cass. 12 maggio 2010, n. 11496, in questa Rivista, 2010, 508, con nota di Xxxxxxxxx, Circolazione dei beni: la Cassazione conferma che gli acquisti provenienti da donazioni indirette so- no sicuri, secondo cui “Nell'ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l'acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la com- pravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il dena- ro. Tuttavia, alla riduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata all'azione nell'ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), poichè l'azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l'acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell'imputazione; pertanto mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell'investimento finanziato con la donazione indiretta dev'esse- re ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito, con la conseguenza che, nell'ipotesi di fallimento del beneficiario, la domanda è sottoposta al rito concorsuale dell'accertamento del passivo ex artt. 52 e 93 della legge fall.”.
della retroattività reale dell’azione di riduzione e del principio resoluto jure dantis resolvitur et jus accipientis.
In altre parole l’esercizio vittorioso dell’azione di riduzione determina l’inefficacia della donazione e la conseguente retrocessione del bene donato dal donatario al donante; in conseguenza il legittimario, che diviene erede a seguito dell’esito vittorioso dell’azione di riduzione, può far valere i propri di- ritti su un bene che rientra a far parte dell’asse ere- ditario.
Tale effetto risolutivo non può invece nel nostro ca- so determinare il rientro del bene dal patrimonio del donatario della donazione indiretta al patrimonio del donante, poiché detto bene, nel caso di specie, non è proprio transitato nel patrimonio del donante stesso18.
L’inefficacia conseguente al vittorioso esito dell’azione di riduzione incide nel caso di specie esclusivamente sul rapporto interno tra donante e donatario, eliminando la qualificazione di donazio- ne indiretta dell’adempimento del terzo nei rapporti tra solvens e debitore; l’attribuzione patrimoniale di cui al detto adempimento rimarrebbe pertanto priva di giustificazione causale e ciò renderebbe possibile soltanto un’azione recuperatoria del solvens (o dei suoi eredi, ivi compresi i legittimari vittoriosi nel giudizio di riduzione) nei confronti del debitore, basata in difetto di qualsiasi altro rimedio, sull’istituto dell’arricchimento senza causa19.
Nello stesso senso Trib. Roma 30 maggio 2011, in questa Rivi- sta, 2012, 381, con nota di Xxxxxxx, La riduzione delle liberali- tà indirette tra certezza dei traffici giuridici e reintegrazione (in natura) della legittima.
18 Xxxxxxxxx, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di legittima, in Le ragioni del diritto, Scritti in onore di X. Xxxxxxx, I, Milano, 1995, 131 ss., il quale pertanto a 145, conclude per l’inapplicabilità degli artt. 561 e 563 c.c. alle donazioni indirette, onde l’insolvenza del donatario indiretto comporterebbe il sacrificio dei donatari anteriori ex art.
560 c.c. L’autore peraltro trae dalle circostanze in esame l’ulteriore affermazione che l’azione di restituzione a favore del legittimario nelle donazioni indirette trova la sua fonte immedia- ta e diretta esclusivamente nella sentenza di riduzione, che o- pererebbe la retrocessione ex nunc della proprietà del bene dal donatario indiretto al legittimario. Ma tale conclusione, come esposto sopra nel testo, non appare condivisibile.
19 Nell’adempimento del terzo in generale si ritiene che, in mancanza di qualsiasi giustificazione causale dell’adempimento nei rapporti tra solvens e debitore, l’azione del primo nei confronti del secondo, xxxxxxxxx non si determi- ni la surrogazione del solvens nei diritti del creditore ex art. 1201 ss. c.c., sarà fondata sulla negotiorum gestio, ricorrendo- ne i presupposti, ovvero in difetto di questi ultimi, sull’arricchimento senza causa (Xxxxx, Onerosità e gratuità degli atti giuridici con particolare riferimento ai contratti, Milano, 1942, 299; Xxxxxxx, Prosperetti, Visintini, L’adempimento delle obbligazioni, in Tratt. Dir. Priv. diretto da X Xxxxxxxx, 9, Torino, 1984, 84; Di Majo, Le modalità dell’obbligazione, (estr. Comm.
Più precisamente l’azione di riduzione rimane an- che in questo caso un’impugnativa negoziale che è diretta, a seconda dell’opinione che si intenda se- guire sulla natura del rapporto solvens-debitore, contro l’accordo tra solvens e debitore diretto a conferire valenza di liberalità all’adempimento del terzo20, ovvero contro un negozio unilaterale del solvens diretto parimenti, non già a rinunziare ad un credito verso il debitore già sorto per effetto dell’adempimento, bensì ad impedire il sorgere di tale credito21.
Il solvens, o in questo caso i suoi eredi originari o tali divenuti per il vittorioso esito dell’azione di ri- duzione, dunque possono agire contro il debitore avvalendosi, in difetto di ogni altro rimedio, dell’arricchimento senza causa22. Ne consegue che
Scialoja e Branca), Bologna, 1986, 560 ss.; Bianca, Diritto civi- le, 4, l’obbligazione, Milano, 1990, 295).
20 Il riferimento va alla nota e suggestiva teoria di Xxxxxxxx, La donazione, in Tratt. Dir. civ. e comm. diretto da Xxxx e Xxxxx- neo, XXII, Milano, 1956, 21-22 e 32, secondo cui, tanto nel ne- gozio indiretto quanto nella donazione indiretta, le parti posso- no piegare un negozio a mezzo o strumento per il consegui- mento di un fine che lo trascende soltanto mediante un accordo tra loro con il quale esse assumono l’obbligo di operare in mo- do da colmare la distanza tra il risultato del negozio posto in essere e lo scopo ulteriore. Vi sarebbe dunque sempre, accan- to al negozio tipico (negozio-mezzo), un ulteriore negozio me- diante il quale si compie l’esteriorizzazione dell’intento liberale, che il più delle volte non ha carattere formale, ma anzi è taci- tamente raggiunto. In tal senso con specifico riferimento all’azione di riduzione nei confronti di liberalità indiretta attuata mediante adempimento del terzo Mengoni, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Xxxx e Messineo, XLIII, 2, Mi- lano, 2000, 254.
21 Ciò beninteso semprechè si ritenga superato il dogma della tipicità dei negozi unilaterali.Che tale volontà unilaterale abbia le caratteristiche di un negozio autonomo, sia pure espresso in forma tacita, e non di un elemento del rapporto solvens- accipiens, è reso evidente dal fatto che essa non costituisce af- fatto un dato essenziale di detto rapporto, poiché detta volontà può addirittura mancare o essere viziata, senza che ciò abbia alcuna incidenza sul rapporto solvens-accipiens.
22 Diversamente Carnevali, Xxxx’azione di riduzione delle dona- zioni indirette cit., 140, ritiene che nelle donazioni indirette l’azione del legittimario costituisca sempre un autonomo effetto dell’azione di riduzione e non una mera conseguenza dell’inefficacia della donazione impugnata, come avviene per le donazioni dirette. Più recentemente si è sostenuto che se è ve- ro che la “riduzione tipica … ha per oggetto non un valore eco- nomico, ma una quota di patrimonio e mira di conseguenza a riattrarre il bene donato all’asse, per consentirne l’acquisto a ti- tolo di delazione necessaria”, tale assunto “vale, con tutta evi- denza, nella sola ipotesi in cui la riduzione, dirigendosi contro una liberalità tipica (vicenda in cui la situazione giuridica di cui il donatario si arricchisce coincide con quella di cui il donante si depaupera) è in grado, (per il tramite dell’inopponibilità di quella vicenda) di far considerare il bene che ne costituisce oggetto come “mai uscito dal patrimonio del de cuius”, e dunque di at- trarlo alla successione di questi. Nella riduzione delle liberalità non donative, nelle quali … tale esito è irraggiungibile, diventa necessario ridefinire le modalità realizzative dei diritti del legit- timario”. Ne conseguirebbe occorrerebbe in tal caso riconfigu-
l’azione in parola non potrà essere rivolta diretta- mente al recupero con efficacia retroattiva reale dell’immobile oggetto della donazione indiretta.
In tal senso la posizione dei legittimari non è diver- sa da quella in cui essi si troverebbero se il de cuius avesse effettuato l’adempimento ex art 1180 c.c. senza animo liberale ed in assenza di qualsiasi altra causale; ed invero un diverso trattamento delle due ipotesi non troverebbe alcuna giustificazione.
Ciò posto occorre chiedersi se tale meccanismo ca- ratteristico delle liberalità indirette ricorra anche nel mutuo dissenso avente ad oggetto una precedente donazione.
A mio avviso la questione deve essere affrontata paragonando la fattispecie in esame all’istituto della rinunzia.
Quest’ultimo istituto, infatti, presenta, come risulte- rà chiaro nel prosieguo della presente trattazione, notevoli affinità con il mutuo dissenso.
Nella dottrina tradizionale, sin da epoca assai risa- lente, è ricorrente l’affermazione secondo cui “poi- ché nel concetto di attribuzione è insito … un van- taggio patrimoniale intenzionalmente procurato da una parte all’altra, ne viene di conseguenza che le rinunce abdicative sono estranee al concetto di at- tribuzione, sia onerosa che gratuita. Ciò è vero an- che se, per avventura, la rinunzia potesse giovare indirettamente ad altri, senza che il rinunziante a- vesse avuto di mira questo effetto secondario della sua rinunzia”23.
Laddove invece la rinunzia fosse fatta animo do- nandi si tratterebbe di una donazione indiretta, onde essa rientrerebbe a pieno titolo fra gli atti qualifica- bili come provvisti della causa liberale24.
Nondimeno siffatta affermazione appare assai di- scutibile dal punto di vista sistematico, in quanto nell’ordinamento positivo la presenza o meno dell’intento liberale non produce alcuna conse- guenza sulla stabilità del vantaggio patrimoniale che colui che beneficia della rinuncia, sia pure indi- rettamente, consegue.
Anche laddove manchi nel rinunziante l’intenzione di avvantaggiare colui che in fatto fruisce degli ef- fetti favorevoli della rinuncia, tali effetti favorevoli si producono ugualmente e non possono essere ca- ducati in dipendenza di siffatta mancanza25.
Difetta dunque quella necessaria combinazione del negozio mezzo con il negozio fine che è caratteri- stica, come si è visto, delle donazioni indirette in senso proprio.
Ma se il vantaggio economico per il beneficiario della rinunzia sta in piedi a prescindere da un even- tuale intento liberale del rinunziante, ciò significa che tale intento è nel caso di specie giuridicamente irrilevante.
Del resto si è già avuto modo di rilevare come lo spirito di liberalità nella donazione diretta è stato degradato nella corrente interpretazione della dot- trina e della giurisprudenza a mera coscienza del disponente di compiere l’atto dispositivo senza es- servi obbligato, onde sussiste una fattispecie dona- tiva anche laddove il disponente si sia indotto a compiere l’atto per ragioni egoistiche o per motivi fiscali.
Ma a questo punto non rimane che ritenere che la rinunzia costituisca di per se stessa un atto che de- termina un effetto di liberalità, senza che essa possa considerarsi tale solo in determinate circostanze,
onde, in caso di lesione di legittima, l’impugnativa
rare la “riserva come diritto a un valore e dunque come ragione di credito spettante al legittimario leso nei confronti dei favoriti”, onde “un’impugnativa negoziale finalizzata all’inopponibilità del titolo d’acquisto (effetto della riduzione nei casi normali), al le- gittimario non è più necessaria” (CNN, Gli acquisti dal benefi- ciario di liberalità non donative, Studio n. 17-2009/C approvato dalla Commissione studi civilistici il 22 aprile 2009, est. G. A- madio). Ma tali opinioni alla stregua di quanto esposto nel testo non appaiono condivisibili. Ed infatti nel senso che l’azione di riduzione conservi anche in tal caso la natura di impugnativa negoziale x. Xxxxxxx, op. cit., 252.
23 Xxxxx, Onerosità e gratuità degli atti giuridici cit., 24. Nello stesso senso più recentemente Xxxxxxx, voce Rinuncia (diritto privato), in Enc. Dir., XL, Milano, 1989, 930, secondo cui “affin- chè possa ritenersi sussistente il fondamento causale della ri-
negoziale propria dell’azione di riduzione deve ave- re ad oggetto direttamente il negozio rinunziativo. Non a caso recenti studi dottrinari sono giunti a qualificare le rinunce come “figure negoziali gratui- te tipiche dalle quali deriva in via normale il risulta- to di liberalità”, caratterizzate da “regole e oneri formali diversi da quelli della donazione, cui com- pete la realizzazione di una funzione attributiva in senso stretto”26.
Ma ciò che più conta in questa sede è che, anche accogliendo la prospettiva interpretativa in esame,
nuncia, è necessario che il soggetto si sia servito dello schema
negoziale al limitato scopo di provocare la perdita del diritto”.
24 Xxxxx, Onerosità e gratuità degli atti giuridici cit., 296; Bion- di, Le donazioni cit., 1003; Xxxxxxx, voce Rinuncia cit., 930; Ti- locca, voce Remissione del debito, in Noviss. Dig. it., XV, Tori- no, 1968, 392; Bianca, Diritto civile, 4, l’obbligazione cit., 468; Palazzo, Gratuità strumentale e donazioni indirette, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni diretto da Xxxxxxxx, VI, Mi- lano 2009, 84 s., il quale peraltro osserva come “sia difficilmen-
te ipotizzabile una rinunzia con conseguente acquisto e arric- chimento di un altro soggetto, in forza della vis expansiva del suo diritto, che di fatto non determini un effetto donativo”.
25 Gatt, La liberalità, I, Torino, 2002, 431. Contra Lener, “E- xpressio causae” e astrazione processuale, in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, III, Napoli, 1972, 41.
26 Gatt, La liberalità cit., 436.
la liberalità non sussiste ogni qual volta la rinunzia abbia effetti retroattivi, come nel caso della rinun- zia all’eredità27 ovvero della rinunzia al legato28.
La retroattività di tali atti invero fa sì che, più che una dismissione di un diritto acquisto, si verifichi una fattispecie di omissio adquirendi.
Non v’è chi non veda come un fenomeno del tutto analogo ricorra nell’istituto del mutuo dissenso, laddove si accolga la tesi del negozio di annienta- mento retroattivo.
Se infatti la risoluzione consensuale della preceden- te donazione determina il venir meno con effetto re- troattivo dell’acquisto effettuato dal donatario, que- sti si considera come se non avesse mai acquisito il diritto donato, allo stesso modo in cui colui che ri- nunzi all’eredità si considera come se non vi fosse mai stato chiamato.
In altri termini il mutuo dissenso di una donazione sarebbe qualificabile come atto implicante una libe- ralità solo laddove esso producesse l’impoverimento del donatario, che retrocede la do- nazione, ed il conseguente arricchimento del do- nante, che rientra nella titolarità del diritto già do- nato.
Ma tale impoverimento presuppone necessariamen- te (e coincide con) il precedente arricchimento del donatario, onde, laddove il precedente arricchimen- to sia rimosso con effetto retroattivo, non può dirsi, in termini tecnico giuridici, che il donatario, nel ri- solvere la donazione in suo favore, si impoverisca. Alla stregua delle esposte considerazioni gli effetti risolutivi del mutuo dissenso costituiscono effetti sui generis, i quali inducono a ritenere che anche la causa negoziale dell’atto in esame sia del tutto pe- culiare e come tale non inquadrabile nella tradizio- nale alternativa onerosità – gratuità.
Alla stregua della peculiarità degli effetti caratteri- stici del mutuo dissenso, ed in coerenza con la me- desima, devono essere affrontati e risolti gli altri
problemi che si pongono con riferimento al nostro istituto.
In questa sede si accennerà, senza alcuna pretesa di esaustività29, ai problemi di maggiore rilevanza nel- la prassi notarile.
La forma del negozio risolutivo
Quello della forma del negozio risolutorio è il pro- blema che ha suscitato il maggiore interesse nella giurisprudenza della Cassazione, al punto che può affermarsi che la Suprema Corte ha dedicato mag- giore attenzione a tale questione di quanto ne abbia impiegata con rifermento all’esatta individuazione della natura giuridica del nostro istituto, che pure costituisce il presupposto imprescindibile anche per quanto attiene ai requisiti formali.
La Suprema Corte ha al riguardo costantemente af- fermato che nel caso di contratto di trasferimento della proprietà immobiliare, per la cui validità la legge richiede la forma scritta ad substantiam, an- che il suo scioglimento per mutuo consenso deve risultare da atto scritto.
Ed anche la sentenza in commento non si è disco- stata da tale consolidato orientamento.
Nondimeno talvolta siffatto principio è motivato con la considerazione che con tale contratto “si o- pera un nuovo trasferimento della proprietà al pre- cedente proprietario”30.
Ma tale assunto a mio avviso può ritenersi fondato solo ove si aderisse alla tesi che nega l’effetto riso- lutivo retroattivo del mutuo dissenso e afferma che si tratti di un nuovo trasferimento in senso inverso. Tale trasferimento invero sarebbe, in quanto tale, senz’altro soggetto all’applicazione dell’art. 1350 c.c.
Se poi oggetto di risoluzione fosse un atto di dona- zione, trattandosi di donazione in senso inverso, es- sa sarebbe altresì soggetta alla forma della dona- zione e dunque all’atto pubblico con l’assistenza
27 V. infatti per l’esclusione della figura della donazione indiretta nella rinuncia all’eredità Xxxxxxx, Successioni e donazioni, Xx- xxxx, 2009, 1674; Xxxxxxx-Xxxxxxx, La rinunzia all’eredità, in Successioni e donazioni a cura di X. Xxxxxxxx, X, Xxxxxx, 0000, 392; Gatt, La liberalità cit., 444, sia pure con diversa mo- tivazione; Palazzo, Gratuità strumentale e donazioni indirette cit., 87. Contra Xxxxx, Onerosità e gratuità degli atti giuridici cit., 296; Xxxxxxxxx, Le donazioni, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxxx, XX, 0, Xxxxxx, 1997, 499.
28 Contra, sulla base della circostanza che nel legato la rinun- zia elimina un acquisto già prodottosi, Gatt, La liberalità cit.,
446. Ma sulla retroattività della rinunzia al legato v. per tutti in dottrina Xxxxxxx, Successioni e donazioni cit., 1146; Lops, Il legato, in Successioni e donazioni a cura di X. Xxxxxxxx, Pa- dova, 1994, 1008 s.; in giurisprudenza Cass. 26 gennaio 1995
n. 954, in questa Rivista, 1995, 562; Comm. Trib. Centr. 15 maggio 1980, n. 2829, in Boll. trib., 1981, 553.
29 Basti al riguardo osservare che l’adesione alle tesi del nego- zio di annientamento con effetto retroattivo può dispiegare con- seguenze rilevanti anche in materia di regime patrimoniale del- la famiglia, in quanto l’originario alienante in comunione legale che venda un bene personale, in caso di risoluzione conven- zionale del contratto di vendita, non conseguirebbe un acquisto in senso tecnico, che in quanto tale sia suscettibile di cadere in comunione legale. Trattandosi di atto che determina il ripristino dello status quo ante, egli torna dunque ad essere proprietario esclusivo del bene a titolo personale (v. infatti in tal senso Ca- pozzi, Il mutuo dissenso nella pratica notarile cit., 644; Gradas- si, Requisiti formali della risoluzione consensuale di compra- vendita immobiliare cit., 517 ss.).
30 Cass. 20 dicembre 1988, n. 6959 , in Vita not., 1988, I, 1185;
Cass. 7 marzo 1997, n. 2040, in questa rivista, 1997, 517;
Cass. del 15 maggio 1998, n. 4906.
dei testimoni.
Se invece si aderisca alla tesi del contratto di an- nientamento retroattivo, il “ritrasferimento della proprietà” sarebbe un effetto meramente riflesso dell’accordo risolutorio e come tale non potrebbe dirsi a rigore che si tratti di un atto che “trasferisce la proprietà di beni immobili” per gli effetti dell’art. 1351, n. 1, c.c.
Ed a maggior ragione, trattandosi di donazione, non potrebbe dirsi che il relativo atto risolutorio costi- tuisca una donazione, soggetta in quanto tale ai re- lativi oneri formali.
Molte altre volte invece la Cassazione motiva l’assunto secondo cui nel caso di contratto di trasfe- rimento della proprietà immobiliare il suo sciogli- mento per mutuo consenso deve risultare da atto scritto con considerazioni assai diverse dal punto di vista dogmatico.
Si è infatti affermato da alcune decisioni che “l’accordo risolutorio di un contratto riguardante il trasferimento, la costituzione e l’estinzione di diritti reali immobiliari, è soggetto al requisito della for- ma scritta “ad substantiam” per applicazione esten- siva della norma dell’art. 1350 c.c. ai cosiddetti contratti connessi ai negozi solenni”31.
Tant’è che su tali basi teoriche la Suprema Corte32 ha ripetutamente affermato il principio che la riso- luzione consensuale di un contratto riguardante il trasferimento, la costituzione o la estinzione di di- ritti reali immobiliari è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam non soltanto quando il contratto da risolvere sia definitivo, ma anche quando esso abbia carattere preliminare, e non ab- bia quindi prodotto effetti di natura reale, ma solo effetti obbligatori.
In altri termini la giurisprudenza della Suprema Corte ha in tali decisioni affermato il c.d. principio di simmetria, in virtù del quale il requisito della forma deve essere esteso anche agli atti connessi a quelli formali33.
31 Cass. 15 giugno 1993, n. 6656; Cass. 5 settembre 1977, n.
3885; Cass. 4 maggio 1978, n. 2080; Cass. 18 febbraio 1980,
n. 1186; Cass. 14 febbraio 0000, x. 000, xx Xxxx xx., 0000, X,
0000; Cass. 14 aprile 2011, n. 8504.
32 Cass., sez. un., 28 agosto 0000, x. 0000, xx Xxx. xxx., 0000,
XX, 000; Cass. 11 ottobre 1991, n. 10707; Cass. 30 gennaio
1995, n. 1092; Cass. 18 febbraio 1995, n. 1790; Cass. 23 di-
cembre 1995, n. 13104, in Giust. civ., 1996, I, 1340; Cass. 27
febbraio 1997, n. 11939; Cass. 19 ottobre 1998, n. 10328, in
Riv. not., 1999, II, 723; Cass. del 11 ottobre 2002, n. 14524, in
Giust. civ., 2003, I, 352; Cass. 17 maggio 2004, n. 9341. Con-
tra Cass. 20 maggio 1991, n. 5684, in Vita not., 1991, I, 975.
33 In tal senso in dottrina, fra gli altri, Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx in generale, in Tratt. dir. civ. diretto da Xxxxxx e Xxxxxxx Passa- relli, Milano, 1972, 417; Xxxxxxx, Il mutuo dissenso nella prati-
Si tratta di un’opzione interpretativa alquanto pro- blematica laddove si affermi la sussistenza del principio generale della libertà delle forme e della conseguente eccezionalità delle prescrizioni forma- li34.
Nondimeno laddove si ritenga superabile il princi- pio di tassatività delle forme vincolate mediante un’interpretazione estensiva delle norme relative, ricorrendone le ragioni, il principio di simmetria appare compatibile anche con la tesi del contratto di annientamento retroattivo.
In quest’ottica infatti il negozio sarebbe soggetto alla forma scritta, ove abbia ad oggetto un immobi- le, ovvero alla forma della donazione, ove si tratti di risolvere una donazione precedente, per il solo fatto che si tratti di negozio diretto ad incidere su un precedente trasferimento immobiliare o su una precedente donazione, anche laddove gli effetti del negozio risolutorio non possano essere qualificati come effetti traslativi.
Va inoltre sottolineato che parte della dottrina, che condivide la tesi del negozio di annientamento con effetto retroattivo, pur negando la possibilità di af- fermare in termini generali il principio di simmetria sopra enunciato, ha ritenuto che la possibilità di e- stendere al mutuo dissenso la forma richiesta per il negozio oggetto di risoluzione vada valutata caso per caso, in ragione della sussistenza della ratio che è alla base della prescrizione formale dettata con ri- ferimento al contratto risolto35.
Sulla base si tale considerazione si è ad esempio giunti:
- ad affermare la necessità del requisito della forma scritta per il mutuo dissenso relativo a contratti di trasferimento immobiliare, determinandosi un mu- tamento patrimoniale in qualche modo assimilabile a quello causato dal contratto oggetto di risoluzio- ne;
- a negare la necessità della forma dell’atto pubbli- co per il mutuo dissenso relativo a contratti di do- nazione, in quanto “la forma solenne che è richiesta
ca notarile cit., 610; Xxxxxx, Diritto civile, 2, cit., 736; Xxxxxxx, La risoluzione della donazione per mutuo dissenso cit., 123.
34 Sandulli, Forma del negozio risolutorio di un preliminare di vendita immobiliare, in Giust. civ., 1967, I, 429; Mirabelli, Dei contratti in generale, Torino, 1980, 257. Ma in senso critico cir- ca la sussistenza di un siffatto principio v. Irti, «Idola libertatis». Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985, 79, secondo cui invece nel vigente ordinamento esisterebbe da un lato una fattispecie contrattuale “forte” o “ricca” in cui la forma è prescrit- ta dalla legge a pena di nullità e, dall’altro, una fattispecie “de- bole” o “povera”, in cui gli elementi essenziali del contratto sono solo l'accordo, la causa e l'oggetto, ma non la forma.
35 Xxxxxxxx, Il mutuo dissenso cit., 313 ss.; Xxxxxx, Effetti e vincolo cit., 95, Il mutuo dissenso cit., 2030.
dall’art. 782 si spiega … con la delicatezza di un contratto che mira ad arricchire l’altra parte per spi- rito di liberalità; poiché viceversa il patto risoluto- rio ristabilisce tra le parti la situazione patrimoniale anteriore, esso non pone questo stesso problema e non è assoggettato dunque al suddetto requisito di forma”36.
Ma è evidente che anche in questo caso, stante la peculiarità dell’effetto risolutorio, la necessità della forma vincolata è sostenibile solo alla stregua di un’interpretazione estensiva delle prescrizioni for- mali e sul presupposto che quest’ultima sia ammis- sibile.
Peraltro, una volta che si ritenga di poter superare la supposta barriera normativa della tassatività delle forme vincolate, il risultato del processo di interpre- tazione estensiva appare talvolta opinabile, dipen- dendo da valutazioni controvertibili ed incerte.
Mutuo dissenso e pubblicità immobiliare
La particolare natura degli effetti del mutuo dissen- so assume rilevanza anche in ordine al problema della pubblicità relativa agli atti di risoluzione con- sensuale di contratti soggetti a trascrizione nei regi- stri immobiliari.
E’ evidente infatti che, laddove si sostenga la tesi del contrarius actus, l’assoggettamento a trascri- zione immobiliare del mutuo dissenso discende dall’applicazione dei principi generali di cui all’art. 2643 c.c.
Trattandosi di retrovendita, retrodonazione ecc., tali atti saranno soggetti a trascrizione come lo sarebbe una normale vendita o una normale donazione37.
Più complessa è la soluzione della questione laddo- ve si aderisca alla tesi del contratto di annientamen- to retroattivo.
A tale riguardo deve rilevarsi che l’unico meccani- smo pubblicitario coerente con la natura risolutoria degli effetti del muto dissenso appare essere quello disegnato dall’art. 2655 c.c.
Secondo tale disposizione “Qualora un atto trascrit- to o iscritto sia dichiarato nullo o sia annullato, ri- soluto, rescisso o revocato, o sia soggetto a condi- zione risolutiva, la dichiarazione di nullità e, rispet- tivamente, l’annullamento, la risoluzione, la rescis- sione, la revocazione, l’avveramento della condi- zione devono annotarsi in margine alla trascrizione
36 Xxxxxx, Effetti e vincolo cit., 97; Toschi Vespasiani, Riflessio- ni intorno al mutuo dissenso cit., 299 s.
37 Xxxx’ottica della tesi del trasferimento solvendi causa in ese- cuzione del mutuo dissenso a carattere obbligatorio detto tra- sferimento dovrebbe invece essere trascritto ex art. 2645 c.c. (Xxxxxxx, La trascrizione immobiliare cit., 420).
o all’iscrizione dell’atto”.
A tal fine è altresì disposto che “Se tali annotazioni non sono eseguite, non producono effetto le succes- sive trascrizioni o iscrizioni a carico di colui che ha ottenuto la dichiarazione di nullità o l’annullamento, la risoluzione, la rescissione, la re- voca o la devoluzione o a favore del quale si è av- verata la condizione. Eseguita l’annotazione, le tra- scrizioni o iscrizioni già compiute hanno il loro ef- fetto secondo l’ordine rispettivo”.
Ma soprattutto è previsto che “L’annotazione si o- pera in base alla sentenza o alla convenzione da cui risulta uno dei fatti sopra indicati”.
Dunque il codice dispone espressamente che la ri- soluzione di un atto soggetto a trascrizione possa derivare da una “convenzione” e che in tal caso l’annotamento si esegue in base alla convenzione medesima.
Contro tale impostazione taluni autori hanno tentato di affermare comunque, indipendentemente dalla natura retroattiva del mutuo dissenso, la trascrivibi- lità del medesimo in forza dell’art. 2643 n. 1, lad- dove esso determini il ritorno del diritto alienato all’alienante, ovvero in base all’art. 2643 n. 5 c.c., laddove esso determini il venir meno del diritto rea- le costituito con il contratto risolto.
Secondo tale tesi dunque la “convenzione” di cui all’art. 2655 sarebbe solo quella diretta ad accertare il verificarsi di una causa di inefficacia legale del contratto e non quella diretta a determinare patti- ziamente la risoluzione38.
Ma ancora una volta, come si è già avuto modo ri- petutamente di osservare, deve ribadirsi che secon- do l’opinione preferibile il negozio in esame non ha ad oggetto il trasferimento di un diritto reale su be- ne immobile, essendo il ripristino dell’originario a- lienante nella titolarità del diritto a suo tempo alie- nato un effetto indotto della risoluzione contrattuale. Per altro verso, quanto all’applicazione dell’art. 2643, n. 5, c.c., si è già avuto modo di sottolineare l’affinità concettuale del mutuo dissenso alla rinun- zia sul piano causale.
Nondimeno deve pure sempre rilevarsi che le due figure in esame, pur presentando affinità sotto il profilo della causa negoziale, rimangono pur sem- pre distinte.
Contro il meccanismo dell’annotamento è stata al- tresì addotta l’inidoneità del medesimo a risolvere i conflitti fra gli aventi causa dall’acquirente sogget-
38 Xxxxx, Xxxxx trascrizione immobiliare, in Comm. cod. civ. a cu- ra di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1955, 283. A favore della trascrizione del mutuo dissenso v. anche Trib. Catania 26 gennaio 1983, in Vita not., 1984, 809
to a risoluzione convenzionale e l’originario xxxx- xxxxx, che recupera la titolarità del diritto alienato, o i suoi aventi causa.
Infatti la disposizione di cui al terzo comma dell’art. 2655 c.c. secondo cui “Eseguita l’annotazione, le trascrizioni o iscrizioni già com- xxxxx hanno il loro effetto secondo l’ordine rispetti- vo”, se intesa in modo assoluto, sembrerebbe far soccombere in ogni caso gli aventi causa dall’acquirente soggetto a risoluzione convenziona- le nei confronti dell’originario alienante o dei suoi aventi causa39.
A fronte dell’assurdità di una simile conseguenza si è obiettato che “la risoluzione per mutuo dissenso non può pregiudicare i diritti acquistati dai terzi. Ciò è espressamente previsto dall’art 1458 c.c. per la risoluzione per inadempimento e a maggior ra- gione deve valere per la risoluzione in parola”, on- de “nei confronti dei terzi la risoluzione consensua- le non è altro che una nuova alienazione in senso inverso anche quando le parti abbiano convenuto la retroattività”, come tale soggetta a trascrizione ex art. 2643 c.c.40.
Ma a ben vedere non è detto che il meccanismo pubblicitario di cui all’art. 2655 c.c. sia tale da pre- giudicare in ogni caso gli aventi causa dall’acquirente soggetto a risoluzione convenzionale.
Per tutelare costoro è infatti sufficiente ritenere che l’annotamento operi alla stregua di una trascrizione, onde esso non possa pregiudicare coloro che hanno acquistato diritti dall’acquirente soggetto a risolu- zione in base ad un atto trascritto o iscritto prima dell’annotamento della risoluzione convenzionale41. Che tale sia l’efficacia dell’annotamento può essere dedotto innanzitutto proprio dal principio dell’irretroattività reale della risoluzione, desumibi- le dall’art. 1458 c.c.
Ma soprattutto la stessa normativa sulla trascrizione dimostra che l’annullamento, la nullità, la risolu- zione legale, la rescissione o la revoca di un atto soggetto a trascrizione, anche quando siano state annotate ex art. 2655 c.c., non necessariamente pre- giudicano tutti gli aventi causa dal soggetto che ha acquistato in base al titolo caducato.
L’art. 2652 c.c. prevede infatti che le domande giu- diziali dirette ad ottenere la nullità, la risoluzione legale, la rescissione o la revoca di un atto soggetto
39 Il dubbio è sollevato anche da Xxxxxxx, La trascrizione im- mobiliare cit., 420 ss.
40 Xx Xxxxxxxx, Risoluzione di contratto immediatamente trasla- tivo e pubblicità immobiliare, in Vita not., 1984, 816 ss.
41 Xxxxxxxx, Il mutuo dissenso cit., 336 nt. 98 e 363 ss.; Sire- na, Effetti e vincolo cit., 101.
a trascrizione debbano essere trascritte e che in tal caso le sentenze che accolgono tali domande non pregiudicano (o non pregiudicano in presenza di ta- lune condizioni) i diritti acquistati dai terzi in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla tra- scrizione della domanda.
Ma se ciò è vero, deve anche essere vero che tale salvezza dei diritti dei terzi valga anche
- nel caso in cui le sentenze in questione siano poi annotate ex art. 2655 c.c., altrimenti l’art. 2652 c.c. non avrebbe alcun senso;
- nel caso in cui non si trascriva la domanda e si proceda solo e direttamente all’annotamento della sentenza ex art. 2655 c.c., poiché la trascrizione della domanda vale ad impedire la salvezza dei ter- zi che trascrivano il proprio acquisto dopo la tra- scrizione della domanda, ma a maggior ragione non può pregiudicare la salvezza dei diritti dei terzi in mancanza della trascrizione della domanda, purchè essi trascrivano prima dell’annotamento della sen- tenza.
Dunque, fatta salva l’ipotesi della trascrizione della domanda giudiziale, la salvezza o meno dei diritti dei terzi o le condizioni in presenza delle quali tale salvezza operi deve essere valutata alla stregua dei principi propri di ciascun tipo di fenomeno caduca- torio del contratto.
Per la risoluzione non può che valere il principio dell’art. 1458 c.c., secondo cui essa “non pregiudi- ca i diritti acquistati dai terzi”.
Ma naturalmente tale principio può valere solo fino a che l’annotamento non è eseguito.
Le menzioni urbanistiche e gli adempimenti di cui al D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192,
al D.M. 22 gennaio 2008, n. 37 e all’art. 29, comma 1-bis della legge 27 febbraio 1985,
n. 52
Dalla natura giuridica degli effetti del mutuo dis- senso è possibile dedurre anche la necessità o meno di assoggettare tale atto
- alle formalità urbanistiche di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, all’art. 2, cinquantottesimo comma, legge 23 dicembre 1996, n. 662 e al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;
- agli adempimenti di cui al X.Xxx. 19 agosto 2005,
n. 192, in materia di attestato di certificazione o di qualificazione energetica, laddove oggetto di riso- luzione sia un atto oneroso;
- al D.M. 22 gennaio 2008, n. 37 in materia di sicu- rezza degli impianti all’interno degli edifici;
- all’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52, come introdotto dal D.L. 31 maggio
2010, n.78 convertito, con modificazioni, dalla leg- ge 30 luglio 2010, n. 122 relativo alla conformità catastale degli immobili42.
L’adesione alla teoria del contratto di annientamen- to retroattivo, infatti, implica che l’intestazione all’originario alienante del diritto a suo tempo alie- nato non possa qualificarsi come trasferimento in senso tecnico - giuridico, ma come mera conse- guenza legale della risoluzione retroattiva del con- tratto.
In altre parole nella specie non si tratta, come è in- vece richiesto dalle norme sopra citate, di un atto che ha ad oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti reali su detti immobili.
Del resto ad analoghe conclusioni si è giunti, in ma- teria di atto di fusione societaria, ove si è affermato che, anche laddove si ritenesse che l’atto di fusione determini una successione a titolo universale in senso tecnico, esso implicherebbe “soltanto come effetto accessorio e riflesso la circolazione dei beni, che deve invece costituire l’elemento causale dell’atto negoziale, affinché lo stesso venga assog- gettato alla disciplina della legge”43.
In conseguenza, con specifico riferimento al mutuo dissenso, si è affermato in dottrina che, se si segue la teoria del contratto di annientamento, “dal mo- mento che effetto diretto ed immediato del mutuo dissenso è solo quello di porre nel nulla il prece- dente contratto e non di ritrasferire la proprietà dell’immobile, si deve concludere che non occorre osservare alcuna formalità”44.
Profili fiscali
42 Cfr. CNN, La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (c.d. Manovra Economica). Prime note, se- condo cui “La norma fa esplicito riferimento a “gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasfe- rimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di di- ritti reali su fabbricati già esistenti”, con una formulazione ana- loga a quanto previsto dall’art. 46, comma 1, del T.U. edilizia (d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380) la cui definizione dell’ambito appli- cativo può essere d’ausilio per interpretare il comma 1-bis dell’art. 29 citato”.
43 CNN, La legge 28 febbraio 1985, n. 47 - Criteri applicativi, in CNN, Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del Notaria- to, Milano, 1999, 7.
44 Santarcangelo, Condono edilizio, Formalità e nullità degli atti tra vivi, Milano, 1991, 414, il quale tuttavia, aderendo all’opposta tesi del contrarius actus, propende per la necessità di osservare le formalità in esame. Nello stesso senso, nell’ottica della tesi del trasferimento solvendi causa in esecu- zione del mutuo dissenso a carattere obbligatorio, Toschi Ve- spasiani, op. cit., 294. Ma nel senso del testo, nell’ottica della tesi del negozio di annientamento, x. Xxxxxxx, Il mutuo dissen- so nella pratica notarile cit., 645; Gradassi, Requisiti formali della risoluzione consensuale di compravendita immobiliare cit., 517 ss.
Infine ci si deve chiedere se l’adesione alla tesi del negozio di annientamento retroattivo propugnata dalla sentenza in commento possa avere implica- zioni sul piano fiscale.
Ed invero la sentenza in commento si è pronunciata proprio su una controversia di natura tributaria cir- ca la necessità di assoggettare ad IVA o meno il mutuo dissenso, sul presupposto che entrambe le parti del contratto risolto erano soggetti IVA.
A tale riguardo occorre analizzare le norme relative a ciascun tipo di imposta inerente agli atti trasferi- mento immobiliare che facciano riferimento alla ri- soluzione convenzionale del trasferimento.
In materia IVA viene in rilievo l’art. 26 del D.P.R.
26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli arti- coli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, riso- luzione, rescissione e simili o per mancato paga- mento in tutto o in parte a causa di procedure con- corsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuo- se o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in de- trazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispon- dente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa”.
Ma soprattutto è altresì previsto che “Le disposi- zioni del comma precedente non possono essere applicate dopo il decorso di un anno dalla effettua- zione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di soprav- venuto accordo fra le parti”.
Dunque la legge IVA prevede espressamente che la risoluzione possa avvenire “in dipendenza di so- pravvenuto accordo fra le parti” ed in tal caso, nel limite temprale dell’anno, consente il recupero dell’imposta pagata.
La legge nulla dice espressamente circa l’assoggettamento ad IVA del “ritrasferimento” de- rivante dalla risoluzione consensuale, ma la circo- stanza che sia consentito nei limiti sopra indicati il recupero dell’imposta pagata con riferimento al tra- sferimento originario lascia intendere che, anche ai fini fiscali, detto trasferimento si consideri come non avvenuto e dunque non via sia nel mutuo dis-
senso materia tassabile.
La sentenza in commento aderisce pertanto a questa interpretazione proprio sulla base della natura riso- lutiva retroattiva del mutuo dissenso.
Non altrettanto univoca è la disciplina fiscale del mutuo dissenso ai fini dell’imposta di registro.
L’art. 28 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, recante il testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, dispone infatti che “La risolu- zione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolu- tiva espressa contenuta nel contratto stesso ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo suc- cessivo a quello in cui è stato concluso il contratto. Se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l’imposta proporzio- nale prevista dall’art. 6 o quella prevista dall’art. 9 della parte prima della tariffa.
In ogni altro caso l’imposta è dovuta per le presta- zioni derivanti dalla risoluzione, considerando co- munque, ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risolu- zione come maggiorazione delle prestazioni stesse”. La norma è chiaramente ispirata a finalità antielusi- ve e pertanto sembra a prima vista considerare ma- teria tassabile tutte le risoluzioni effettuate “me- diante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto”.
In tal modo essa sembra riferirsi anche alla risolu- zione derivante dal mutuo dissenso.
Ciò posto, occorre chiedersi in cosa consistano le “prestazioni derivanti dalla risoluzione” da assog- gettare a tassazione.
A tale riguardo l’amministrazione finanziaria e la giurisprudenza fiscale della Cassazione hanno rite- nuto che “il contratto con il quale viene convenuta la risoluzione del contratto di vendita … di un im- mobile, comportando la retrocessione del bene og- getto del contratto risolto …, deve essere assogget- tato alla imposta proporzionale da applicarsi con la aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari”45. E’ evidente che tale impostazione risente dell’adesione alla tesi del contrarius consensus, in quanto qualifica gli effetti della risoluzione con- venzionale come “retrocessione del bene oggetto del contratto risolto”.
45 Cass. 13 febbraio 1998, n. 5075, in Vita not., 1998, I, 1079; Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 329/E del 14 novembre 2007. Nello stesso senso Gradassi, Requisiti formali della riso- luzione consensuale di compravendita immobiliare cit., 517 ss.; Busani, L’imposta di registro, Milano, 2009, 924.
Ma la conclusione potrebbe cambiare se si qualifi- cassero diversamente, anche dal punto fiscale, gli effetti della risoluzione convenzionale.
In primo luogo, infatti, si potrebbe considerare la “prestazione derivante dalla risoluzione” come una prestazione di tipo patrimoniale, ma non di caratte- re traslativo in senso proprio, stante la peculiarità dell’effetto risolutivo nell’ottica della tesi del con- tratto di annientamento.
In tal caso l’aliquota applicabile sarebbe quella del 3% di cui all’art. 9 della tariffa parte prima allegata al TUR.
In secondo luogo se si valorizzasse il carattere re- troattivo della risoluzione nell’ottica della tesi pro- pugnata dalla Cassazione nella sentenza in com- mento, sarebbe addirittura possibile sostenere che l’imposta di registro si applichi in misura fissa.
E’ interessante notare che in questo ordine di idee si è posta la stessa amministrazione finanziaria in materia di tassazione della rinunzia al legato im- mobiliare46.
L’affinità di tale fattispecie a quella del mutuo dis- senso appare evidente in considerazione del fatto che anche in tal caso si determina un acquisto im- mobiliare in capo al legatario e successivamente siffatto acquisto viene meno in forza di un negozio diretto ad elidere gli effetti del precedente negozio attributivo.
Ebbene a tale riguardo l’amministrazione finanzia- ria ha ritenuto che “La rinuncia al legato è un nego- zio unilaterale, non recettizio, che produce effetti ex tunc, ossia fin dall’apertura della successione”, on- de l’atto con il quale si esercita la facoltà di rinun- zia “rientra tra le “… scritture private autenticate … non aventi per oggetto prestazioni a contenuto pa- trimoniale”, di cui all’articolo 11 della tariffa, parte prima, del Testo Unico dell’imposta di registro, ap- provato con DPR 26 aprile 1986, n. 131 (di seguito TUR). In tal caso l’atto di rinunzia va registrato in termine fisso e ad esso si applica l’imposta di regi- stro nella misura fissa”.
Ciò posto non si vede per quale ragione non possa ritenersi quale “prestazione a contenuto non patri- moniale” anche quella derivante dalla risoluzione convenzionale, ove si sostenga che la stessa abbia carattere retroattivo47.
46 Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 435/E del 12 novembre 2008; Commissione Tributaria Centrale 15 maggio 1980, n.
2829, in Boll. trib., 1981, 553.
47 Nel senso dell’applicabilità dell’imposta in misura fissa v. an- che Casino, Il mutuo dissenso e la legge di registro, in questa Rivista, 2008, 549 ss.; Xxxxxx, Il mutuo dissenso cit., 2034; Cri- scuoli, Xxxxx dissenso, la Cassazione aderisce alla tesi della risoluzione retroattiva cit., 2012, 373. In giurisprudenza Comm.
Quanto infine all’imposta di donazione, si è posto nella prassi il problema dell’imposta applicabile alla risoluzione convenzionale di un atto di donazione.
Anche in questo caso l’amministrazione finanziaria ha ritenuto di dover applicare addirittura l’imposta di registro ex art. 28 del TUR e non l’imposta di donazione, fatta eccezione del caso in cui taluna delle parti della donazione originarie sia deceduta48. Nondimeno siffatta argomentazione si rivela desti- tuita di qualsiasi fondamento, anche laddove si ade- risse alla teoria del contrarius actus, in quanto, co- me si è visto, secondo tale teoria il mutuo dissenso andrebbe qualificato come donazione in senso in- verso e come tale assoggettato all’imposta di dona- zione49, indipendentemente dal fatto che taluna del- le parti sia deceduta.
A maggior ragione, se si aderisca alla tesi del nego- zio di annientamento retroattivo, non potrebbe ap- plicarsi al caso di specie alcuna imposta proporzio- nale sia essa di registro o di donazione.
Un analogo discorso può essere fatto anche con ri- ferimento alla tassazione dei redditi da plusvalenze immobiliari di cui all’art. 67 del TUIR, in relazione alla rivendita, successiva alla stipulazione del mu- tuo dissenso, di terreni agricoli e fabbricati, in quanto “a voler negare che il mutuo dissenso sia un ritrasferimento, ed a voler affermare, di contro, che sia un uno strumento generale, utilizzabile dalle parti per annientare il precedente vincolo contrattu- ale e per sciogliere, con efficacia retroattiva, il rap- porto nato dal contratto stesso, si potrebbe perveni- re ad escludere l’imponibilità della plusvalenza nel caso in cui tra l’acquisto dell’immobile da parte
dell’originario donante e la rivendita del medesimo sia intercorso un periodo di tempo maggiore di cin- que anni oppure laddove, intercorso un periodo in- feriore a cinque anni, l’immobile sia stato adibito ad abitazione principale per la maggior parte di tale lasso temporale”50.
trib. centr. 30 novembre 1992, n. 6418 (ud. del 10 marzo 1992), in Banca dati Fisconline; Commissione Tributaria Provinciale di Matera, sez. II, 29.9.2005, n. 157, in Il Fisco, 2006, 7, 1084-
1085; Comm. trib. reg. di Potenza 7 gennaio 2009 (ud. del 17 giugno 2008) n. 4, in Banca dati Fisconline.
48 “Si ritiene che la facoltà di risolvere il contratto di donazione perfezionatosi tra donante e donatario non sia trasmissibile mortis causa agli eredi Conseguentemente, il trasferimento
mortis causa agli eredi del donatario concerne la titolarità del diritto di proprietà degli immobili originariamente donati al de cuius e non anche la facoltà negoziale di risolvere consen- sualmente il predetto contratto di donazione Pertanto, ai fini
dell’applicazione delle imposte indirette, l’atto di risoluzione consensuale in questione è da considerarsi un autonomo ne- gozio dispositivo mediante il quale gli eredi del donatario trasfe- riscono a titolo gratuito al donante l’immobile oggetto della pre- gressa donazione. In base alle precedenti argomentazioni deve ritenersi che l’atto che si intende stipulare vada assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni ai sensi dell’articolo 2, comma 49, del decreto-legge n. 262 del 2006 e successive in- tegrazioni e modificazioni, nonché alle imposte ipotecaria e ca- tastale dovute in misura proporzionale ai sensi, rispettivamente, degli articoli 1 e 10 del DLGS 31 ottobre 1990, n. 347” (Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 329/E del 14 novembre 2007).
49 In tal senso Busani, L’imposta di registro cit., 926.
50 CNN, Plusvalenze immobiliari: lo stato dell’arte, Studio Tribu- tario n. 45-2011/T, Approvato dalla Commissione Studi tributari il 23 settembre 2011, est. Basilavecchia – Cignarella.