Indice del 3° numero
Indice del 3° numero
621 | Xxxxxxx Xxxxxx, Esercizio congiunto della prelazione nella c.d. vendita in |
635 | blocco Xxxx Xxxxx, La solidarietà nella destinazione patrimoniale |
667 | Xxxxxx Xxxxxx, Prescrizione, decadenza e «giusto rimedio» |
712 | Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Profili evolutivi del principio fraus omnia cor- |
738 | rumpit tra «contratto in frode al terzo» e «contratto in danno di terzi» Xxxxxxx Xxxxxxxx, Provvedimenti sanzionatori dell’Autorità antitrust e |
768 | applicabilità dell’art. 6 CEDU: necessità di un adeguato controllo da parte di “organes judiciaries de pleine jurisdiction” Xxxxxxxx Xxxxxxx, I contratti post mortem |
808 | Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, «Regolazione» del «mercato»: relazioni semantiche |
830 | e scelte di sistema (spunti dalla casistica) Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Il mutuo dissenso di contratto a effetti reali (con |
particolare riferimento alla donazione) | |
COMMENTI ALLA GIURISPRUDENZA | |
872 | Xxxxxx Xx Xxxxxxxxx, Il procedimento acquisitivo della proprietà degli |
909 | alloggi in cooperative edilizie e le ragioni familiari Xxxxx Xxxxxxxx, Poteri regolatori dell’Aeeg e integrazione dei contratti |
di somministrazione di energia elettrica | |
OSSERVATORIO LEGISLATIVO | |
932 | Xxxxxxx Xxxxxxxxxxxx, La trascrizione degli atti costitutivi di vincoli pubblici |
CRONACHE E ATTUALITÀ | |
952 | Xxxxxx Xxxxxxxxxxx, Gli scritti di Xxxxxxxx Xxxxxxxx |
956 | Xxxxxx Xxxxxxxx, L’ultima regola delle preleggi |
RECENSIONI | |
962 | Xxxxxxx Xxxxxx, La prelazione nelle comunioni [Xxxxxxxxxx Xxxxxxx] |
965 | Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx, Donazioni [Xxxxxxxxx Xxxxx] |
I contratti post mortem*
Sommario: 1. L’evoluzione del sistema successorio e l’attuale valenza dell’art. 458 c.c.
– 2. La ratio del divieto dei patti successori dispositivi e rinunziativi. – 3. Segue. Le ragioni sottese alla proibizione dei patti istitutivi. – 4. I criteri fondanti la dicotomia negozi post mortem - negozi mortis causa. – 5. Le forme di trasmissione della ric- chezza alternative al testamento: il patto di famiglia. – 6. Il family buy out. – 7. Le clausole statutarie di trasmissione delle partecipazioni sociali. – 8. Il mandato post mor- tem, il negozio fiduciario ed il contratto a favore di terzo. – 9. Il trust. – 10. La do- nazione si praemoriar, cum moriar e le clausole c.dd. di accrescimento. – 11. Con- clusioni.
1. Il tema dei contratti post mortem induce innanzitutto ad una rifles- sione di carattere generale. Esso dimostra come possa considerarsi ormai superata la diffusa opinione secondo la quale la permanenza del divieto dei patti successori varrebbe a dimostrare che il diritto ereditario sia il set- tore del diritto civile piú ancorato a vecchi schemi e refrattario ai rinno- vamenti1. Proprio le forme convenzionali di devoluzione della ricchezza post mortem, attraverso istituti che si pongono quale valida ed efficace al- ternativa al negozio testamentario2, evidenziano infatti quanto proficua e,
* Il testo, con l’aggiunta delle note, riproduce la relazione tenuta al Convegno «Il trasferi- mento della ricchezza tra contratto e testamento», svoltosi a Lecce il 24 febbraio 2012 ed or- ganizzato dall’Università del Salento.
1 Tra coloro che ritengono che la permanenza del divieto dei patti successori dimostri che il diritto ereditario sia il settore del diritto civile poco sensibile ad adattarsi ai mutamenti della realtà socio-economica, vedi: X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxx (dir. civ.), in Noviss. dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 748; X. Xxxxxx, Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, in Riv. dir. comm., 1967, I, p. 90; X. Xxxxxxxxx Xxxx, Il testamento, I, Profilo negoziale dell’atto, Milano, 1976, p. 4 ss.
2 Il declino dell’istituto testamentario e la conseguente devoluzione della ricchezza attraverso istituti che si prestano a fungere da valida alternativa al negozio testamentario è stata sottoli- neata nel mio precedente lavoro X. Xxxxxxx, Morte del disponente e autonomia negoziale, Mi- lano, 2001, p. 163 ss. Piú di recente, vedi X. Xxxxxxxxxxx, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei princípi e valutazione comparativa degli interessi, in Rass. dir. civ., 2008, p. 146 ss.; E. Luc- chini Guastalla, Gli strumenti negoziali di trasmissione della ricchezza familiare: dalla dona- zione si praemoriar al patto di famiglia, in Riv. dir. civ., 2007, p. 303 ss.; X. Xxxxxxxx, Feno- meno successorio e strumenti di programmazione patrimoniale alternativi al testamento, in Riv. not., 2008, p. 1007 ss.; X. Xx Xxxxxx, Il testamento ed i negozi transmorte dal punto di vista
seppur non rapidissima, sia stata l’evoluzione del sistema successorio3, gra- zie ai decisivi contributi offerti dalla dottrina e dalla giurisprudenza4 che, ancor prima della novella del 2006 sul patto di famiglia, hanno circoscritto con rigore gli attuali confini di operatività del divieto posto dall’art. 458 c.c., leggendolo in combinato disposto con il principio di autonomia ne- goziale.
Si pensi agli strumenti alternativi al testamento idonei a soddisfare le esigenze economiche dei processi produttivi, sottraendo all’applicazione delle tradizionali regole successorie la scelta dei soggetti che maggiormente garantiscono la continuità dell’attività di impresa, che si pone, attualmente, come valore certamente da tutelare5. Strumenti, cioè, in grado di permet- tere una programmazione nella successione dell’impresa che prevenga le future difficoltà derivanti dall’incapacità gestionale degli eredi o dalla loro non infrequente litigiosità. Il riferimento, oltre al patto di famiglia, è, ad esempio, alle clausole societarie di riscatto, di continuazione e di succes- sione, al leveraged by out, spesso attuato, nel nostro sistema, nella forma del family buy out, visto l’alto numero di imprese familiari presenti nel mercato italiano, al trust, al contratto a favore di terzi, al mandato post mortem e al negozio fiduciario, alla donazione si praemoriar e cum mo- riar, alla donazione o alla vendita con riserva di usufrutto congiuntivo.
E, tuttavia, la proficua elaborazione delle forme di trasmissione in via convenzionale dei beni post mortem, spesso programmata in funzione di
dell’anziano, in Giur. merito, 2011, p. 2295 ss.; X. Xxxxx, Il profilo identitario degli strumenti alternativi al testamento: l’unità assiologia nella variabilità strutturale degli atti inter vivos con funzione successoria vietata, in Dir. fam. pers., 2010, p. 1158 ss.; F. Parente, Le disposizioni in
«forma indiretta» connesse alla morte, in Rass. dir. civ., 2008, p. 107 ss.; X. Xxxxxx, I difficili rapporti tra patti di famiglia e xxxxx successori, in Giust. civ., 2010, p. 1905.
3 X. Xxxxx e X. Xxxxxxxxxxx, Prefazione, in X. Xxxxx e X. Xxxxxxxxxxx (a cura di), Di- ritto delle successioni, I, Napoli, 2008, p. VII, rilevano come il diritto successorio, pur progre- dito e modificato, sia stato per lungo tempo considerato un sistema a sé, con inevitabili conse- guenze negative nelle soluzioni dottrinali e giurisprudenziali; mentre oggi si è sempre piú sen- sibili nell’interpretare gli istituti successori con i quali si attua la trasmissione della ricchezza post mortem in una prospettiva di tipo assiologico, tesa a valorizzare la persona umana secondo criteri di giustizia sostanziale.
4 Il mutamento, seppur non rapido, del sistema successorio in séguito all’evolversi delle con- dizioni politiche, sociali ed economiche, è stata da tempo sottolineata da: P. Barcellona, Di- ritto privato e processo economico, Napoli, 1973, p. 272 ss.; Id., Diritto privato e società mo- derna, Napoli, 1996, p. 15 ss.; X. Xxxxxxx, Xx xxxxxxxxxxx xxxxxxxx xxxxx xxxx ‘00 ad oggi tra crisi dogmatica e riforme legislative, Padova, 1991, p. 137 ss.
5 La dottrina (X. Xxxxx e X. Xxxxxxxxxxx, Prefazione, cit., p. VII) ha infatti evidenziato come il diritto successorio tenda sempre piú ad allontanarsi dal modello codicistico per unifor- marsi alla legalità costituzionale e comunitaria, assumendo il ruolo di strumento di circolazione della ricchezza teso a realizzare «gli obiettivi e i valori segnati dalle nozioni costituzionali della proprietà e dell’impresa».
un ricambio generazionale nella titolarità della ricchezza, se, da un lato, dimostra come il sistema successorio abbia una sua specifica vitalità6 e sol- leciti sempre piú uno studio funzionale e sistematico che, senza intaccarne l’intrinseca coerenza, sappia garantire, in concreto, un corretto bilancia- mento ed una valutazione comparativa dei molteplici interessi in esso im- plicati7; dall’altro, non deve indurre, però, a ritenere che il divieto dei patti successori risulti tacitamente abrogato, oppure non rivesta piú alcuna va- lenza significativa8.
2. Partendo dai risultati cui sono pervenuti dottrina e giurisprudenza in tema di contratti post mortem, preme porre in rilievo, in primo luogo, come essi impongano una lettura destrutturata dell’art. 458 c.c., ossia orien- tata a distinguere la varie fattispecie e le diverse ragioni che stanno alla base del divieto dei patti successori istitutivi, dispositivi e rinunziativi. In tal modo superando definitivamente le opinioni che, muovendo dalla for- mulazione del predetto testo normativo – che ravvisa nell’appartenenza dei beni ad una futura successione il minimo comune denominatore di tutte e tre le tipologie di patti – avevano individuato per essi una mede- sima ratio, costituita dal votum corvinum o captandae mortis, o dal ri- schio che il futuro erede possa compiere atti di prodigalità9.
6 X. Xxxxxxxx, Il patto di famiglia, in Tratt. dir. succ. Bonilini, III, Milano, 2009, p. 635.
7 X. Xxxxxxxxxxx, Il patto di famiglia, cit., p. 146 ss., che rileva come la ratio sottesa al patto di famiglia sia articolata e complessa, dovendosi ricondurre, da un lato, all’esigenza di ga- rantire la continuità d’impresa, evitando che il passaggio generazionale della stessa determini un’eccessiva frammentazione del controllo e della gestione aziendale, con inevitabili riflessi ne- gativi sull’efficienza del mercato e dell’ordine pubblico; dall’altro, alle istanze di solidarietà fa- miliare sottese alla tutela dei legittimari.
8 Per un’analisi storica dell’istituto e degli scopi che il legislatore del ‘42 e quello del 1865 hanno inteso perseguire tramite tale divieto, vedi: M.V. Xx Xxxxxx, I patti sulle successioni fu- ture, Napoli, 1978, p. 3 ss.; Id., Xxxxx successorio, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 533; X. Xxxxxxxxx, Il divieto dei patti successori, in X. Xxxxxxxx (a cura di), Successioni e donazioni, I, Napoli, 1994, p. 48; X. Xxxxx, Il problema dei patti successori tra diritto vigente e prospet- tive di riforma, in Riv. not., 1988, p. 1216; A. Palazzo, Autonomia contrattuale e successioni anomale, Napoli, 1983, p. 6 ss.; Id., Attribuzioni patrimoniali tra vivi e assetti successori per la trasmissione della ricchezza familiare, in Vita not., 1993, p. 1228 ss.; Id., Le successioni, I, in Tratt. dir. priv. Iudica e Zatti, Milano, 1996, p. 45 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, p. 44; Id., Atto mortis causa, in Enc. dir., III, Milano, 1960, p. 233; X. Xxxx, I fenomeni c.d. parasucces- sori, in Riv. not., 1988, p. 1139 ss.; Id., La disciplina del patto di famiglia e l’evoluzione degli strumenti di trasmissione dei beni produttivi (ovvero dei tentativi di rimediare a ipotesi di mal- funzionamento dei meccanismi di riduzione e collazione), ivi, 2009, p. 1081 ss.
9 X. Xxxxxxx, Disposizioni generali sulle successioni, in Tratt. dir. priv. Xxxxxxxx, V, Torino, 1982, p. 40. Un richiamo, sia pure generico, a ragioni di ordine morale viene effettuato da X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Delle successioni. Parte generale, Napoli, 1932, p. 78. Altra dottrina,
Si è infatti dimostrato come il citato divieto richieda una lettura arti- colata, poiché i patti successori sottendono esigenze diverse e implicano problemi differenti10. Tant’è vero che mentre i patti istitutivi sono atti a causa di morte e sono proibiti per ragioni che hanno un’intrinseca valenza sistematica, attinente alle forme di vocazione ereditaria; gli altri sono vie- tati, invece, in virtú di una scelta normativa che si fonda su motivazioni affatto differenti11, dal momento che sono negozi inter vivos12 ed interfe- riscono con il fenomeno degli atti di disposizione di beni futuri e altrui13. Non solo, ma è dato osservare che sia il testamento che gli accordi post mortem, espressamente previsti dal legislatore, ben possono esporre il di- sponente al rischio del votum captandae mortis da parte di coloro che sono stati istituiti eredi o legatari o che risultano essere i beneficiari delle attribuzioni convenzionalmente predisposte14. Infatti, nei piú recenti pro- getti di legge si evidenzia come sia proprio la presenza di determinati schemi contrattuali, utilizzabili dal disponente per rinviare all’epoca in cui avrà cessato di vivere l’attribuzione patrimoniale, unitamente alla mutata coscienza civile, che considera la paura del votum corvinum come un re- taggio di convinzioni ormai superate, a far ritenere maturi i tempi per una
modifica dell’art. 458 c.c.15.
invece, individua in tale esigenza la ratio del divieto dei soli patti successori dispositivi (X. Xxxx- xxxxxxx, o.u.c., p. 233); ovvero di questi e di quelli rinunziativi (X. Xxxxx, o.c., p. 1216).
10 A.A. Xxxxxxxx, Xxxxx successori istitutivi, mandato post mortem, contratto di manteni- mento, in Vita not., 2011, p. 453 ss.; X. Xxxxx, I patti successori, in Id. e X. Xxxxxxxxxxx (a cura di), Diritto delle successioni, cit., p. 60.
11 Diversamente, L.C. Xxxxxx, La tutela giuridica dell’acquirente di un bene proveniente da donazione: una proposta interpretativa, in Vita not., 2002, p. 139, secondo il quale anche il patto rinunziativo pregiudicherebbe la libertà di testare, in quanto il de cuius, di fronte ad una preventiva rinunzia, non potrebbe validamente disporre delle proprie sostanze a favore del ri- nunziante.
12 Si noti che tali accordi non solo non richiedono la partecipazione dell’ereditando, ma pre- suppongono anche che l’eredità si devolva per legge o testamento secondo le regole ordinarie. L’adesione del de cuius al patto dispositivo, prevista dall’art. 1460 c.c. del 1865, è stata infatti considerata inopportuna dal legislatore del 1942, in quanto diretta a creare una sovrapposizione tra patti istitutivi e dispositivi, con ciò determinando una inutile duplicazione di cause di nullità.
13 Questo aspetto si coglieva chiaramente nella formulazione dell’art. 1188 c.c. del 1865 che stabiliva: «Le cose future possono formare oggetto di contratto. Non si può rinunziare ad una successione non ancóra aperta, né fare alcuna stipulazione attorno alla medesima, sia con quello della cui eredità si tratta, sia con terzi, quantunque intervenisse il consenso di esso». Segnala che la norma dell’art. 458 c.c. rappresenta uno dei divieti cui fa rinvio la disposizione dell’art. 1348 c.c.
14 X. Xxxxxxxx, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2005, p. 19; X. Xx- spoli, Riflessioni in tema di patti successori, in Giur. it., 2010, p. 1554; X. Xxxxxxxx, Il divieto del patto successorio istitutivo nella pratica negoziale, in Riv. not., 1992, p. 1411 ss.
15 A. Palazzo, Declino del divieto dei patti successori, alternative testamentarie e centralità
Tale modifica, nondimeno, dovrebbe tener conto che la ratio della proi- bizione dei patti dispositivi e rinunziativi va ravvisata nell’esigenza di ga- rantire stabilità ai traffici giuridici. Di qui il divieto di tali convenzioni, vi- sto la duplice incertezza che le caratterizza: soggettiva, da un lato (il di- sponente, infatti, dovrebbe essere istituito erede), e oggettiva, dall’altro (in quanto presuppone che i beni alienati dal presunto erede rimangano nel patrimonio del de cuius fino alla sua morte). Ragioni, queste, che, seppur maggiormente fondate rispetto a quelle in precedenza citate, potrebbero anch’esse ritenersi superabili per il fatto che i patti dispositivi, se posti in essere a titolo oneroso, potrebbero ricondursi alle previsioni normative dettate per la vendita di cosa altrui; mentre, ove assumano i caratteri delle liberalità donative, potrebbero comunque ritenersi sottratti al divieto po- sto dall’art. 771 c.c.16, visto che la sfera di incidenza di tale norma appare oggi limitata ai soli negozi aventi ad oggetto beni futuri.
In realtà, si è osservato come, superando una concezione soggettiva di bene futuro ed adottando una visione oggettiva di siffatta categoria con- cettuale, sia possibile distinguere la donazione di beni futuri da quella di beni altrui e cosí ricondurre quest’ultima tra le donazioni obbligatorie di cui all’art. 769 c.c. Il che permetterebbe sia di spiegare le ragioni che giu- stificano l’applicazione a tale ultima figura delle previsioni in tema di ga- ranzia per evizione e del possibile possesso ad usucapionem da parte di colui che ha acquistato a non domino, sia di cogliere gli esatti confini di operatività della sanzione dettata dall’art. 771, comma 1, c.c.17.
del testamento, in Jus, 1997, p. 289 ss., il quale evidenzia come la proposta di modifica dell’art. 458 c.c. sia nel senso di abolire il divieto dei patti successori dispositivi e rinunziativi per motivi che vanno «al di là delle indicazioni espresse nella relazione al progetto di legge che considera soltanto il contratto a favore di terzi con effetti post mortem». Diversamente, X. Xxxxxxxxx e
X. Xxxxxxxxx, Il divieto dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma, in Riv. dir. priv., 1997, p. 75 ss., i quali, seppur favorevoli all’abrogazione del divieto dei patti rinunziativi, manifestano dubbi e perplessità in ordine all’abrogazione della proibizione dei patti dispositivi.
16 Numerosi sono peraltro gli autori che ancóra oggi tendono ad estendere la portata del divieto posto dall’art. 771 c.c. alla donazione di cose altrui, ritenendo che l’espressione beni fu- turi si riferisca non solo alle entità che vengono ad esistenza in rerum natura successivamente alla conclusione del negozio, ma ai beni che non sono presenti nel patrimonio del donante [X. Xxxxxx, I beni, in Tratt. dir. civ. Xxxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, p. 172; X. Xxxxxxxx, La donazione, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, Milano, 1956, p. 412; X. Xxxxxxxxxxx, Il contratto di donazione, in X. Xxxxxxxx (a cura di), Successioni e donazioni, II, cit., p. 196; U. Carne- vali, Le donazioni, in Tratt. dir. priv. Xxxxxxxx, VI, Torino, 1982, p. 469, il quale rileva che è proprio rispetto alla ratio dell’art. 771 c.c., volta ad evitare liberalità avventate, che i beni altrui sono equiparabili ai beni futuri].
17 X. Xxxxx, Il problema dei patti successori, cit., p. 1211; X. Xxxxxxx, La donazione di beni altrui, Napoli, 2012, p. 225 ss., che ipotizza, altresí, in una prospettiva de iure condendo, un profilo di illegittimità costituzionale del divieto di cui all’art. 771 c.c.
3. Particolarmente complessa e articolata è la ragione sottesa al divieto dei patti istitutivi. Essa appare funzionalmente collegata a tutto il sistema di circolazione della ricchezza post mortem18 e non già si identifica esclu- sivamente con la libertas testandi; ossia con l’esigenza di garantire all’ere- ditando il potere di revocare ad libitum suum le disposizioni a causa di morte19. Infatti, se è indubbio che la libera revocabilità delle disposizioni mortis causa costituisce un principio fondamentale del nostro sistema suc- cessorio, che tende a salvaguardare pienamente la libera e spontanea de- terminazione volitiva dell’ereditando, è altrettanto vero, però, che, se per soddisfare tale esigenza fosse bastata la mera revocabilità dell’atto, il legi- slatore non avrebbe avuto motivo di sancire un divieto cosí perentorio e di cosí ampia portata come quello posto dall’art. 458 c.c.; divieto che fa da pendant alla tipizzazione delle fonti di delazione ereditaria, che indivi- duano nel testamento l’unico strumento a disposizione dei privati per di- sporre delle loro sostanze per il tempo successivo alla loro morte20. Né, sotto questo profilo, si sarebbe potuto sostenere che tale previsione avrebbe determinato un inconciliabile contrasto con la natura contrattuale della di- sposizione, in quanto l’irrevocabilità del vincolo rappresenta una normale
18 X. Xxxxx, Per una riforma del divieto dei patti successori, in Riv. dir. priv., 1997, p. 9, rileva come, prima di ogni ipotesi di riforma del divieto dei patti successori, si dovrà procedere ad identificare «con precisione, e attentamente valutare nel loro pregio rispettivo, i diversi inte- ressi» per poi stabilire quali fra essi potranno non essere piú sacrificati «e quindi costruire le formule piú idonee a tradurre normativamente questa selezione di interessi». Formule che im- plicheranno notevoli problemi di tecnica legislativa – ed in primo luogo – i rapporti gerarchici che si vorranno stabilire tra libertà e divieto. Si potrà infatti prevedere che «i patti successori sono in linea di principio ammessi, tranne alcune figure che rimangono ancóra vietate o, all’in- verso, potrà dirsi che i patti successori sono in linea di principio vietati, tranne alcune figure che in via di deroga si ammettono».
19 A.A. Xxxxxxxx, Xxxxx successori istitutivi, cit., p. 455; X. Xxxxx, Il profilo identitario, cit., p. 1158 ss.; A. Palazzo, Autonomia contrattuale, cit., p. 31 ss.; C.M. Xxxxxx, Diritto ci- vile, II, La famiglia. Le successioni, Milano, 1985, p. 414; X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxx, cit., p. 752; X. Xxxxxxxxx Xxxx, Il testamento, cit., p. 28; M.V. Xx Xxxxxx, I patti sulle successioni fu- ture, cit., p. 533; Cass., 16 febbraio 1995, n. 1683, in Riv. not., 1995, p. 559 ss., con nota di X. Xxxxxxxxx, Xxxxx successori: il sottile confine tra nullità e validità negoziale.
20 Nella Relazione del Guardasigilli al Re Imperatore (n. 225) si legge: «Affermato nell’art. 2 [art. 457 c.c.] il principio fondamentale del nostro diritto successorio, secondo il quale due sono le forme di successione: la legale e la testamentaria, ho considerato di escludere espressa- mente l’ammissibilità della terza possibile causa di delazione ossia del contratto come titolo di successione, stabilendo il divieto della cosí detta successione pattizia o patto successorio». Sul tema vedi X. Xxxxxx, Disposizione di beni mortis causa in forma «indiretta», in Riv. not., 1967,
p. 644; Id., Attribuzioni patrimoniali post mortem e mortis causa, in Id., Raccolta di scritti, III, Milano, 1993, p. 195 ss., e già in Vita not., 1971, p. 147; X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Dottrine ge- nerali del diritto civile, Napoli, 1985, p. 222; X. Xxxxxxxxx Xxxx, Appunti in tema di simula- zione del testamento, in Riv. trim., 1962, p. 1218 ss.
e derogabile conseguenza della struttura bilaterale dell’atto di privata au- tonomia e, come tale, modificabile sia dall’autonomia privata (art. 1373 c.c.), sia – a fortiori – da specifiche disposizioni di legge.
Del resto, proprio la stretta relazione esistente tra la previsione nor- mativa contenuta nell’art. 457 c.c. e la proibizione dei patti successori isti- tutivi21, induce a ricercare il fondamento teorico del divieto in ragioni ul- teriori rispetto alla semplice revocabilità del patto; ad aver riguardo, cioè, non solo ai caratteri strutturali dell’atto mortis causa (revocabilità, forma- lità, unilateralità, unipersonalità e non recettizietà)22, ma anche al suo pro- filo dinamico-funzionale, perché solo cosí è possibile cogliere le reali ed effettive motivazioni che stanno alla base del xxxxxxx00.
In questa logica, in cui struttura e funzione costituiscono fattori im- prescinbili del procedimento di qualificazione giuridica24, è dato ritenere
21 X. Xxxxx, Per una riforma del divieto dei patti successori, cit., p. 6, il quale osserva come sia difficile non leggere il divieto dei patti successori alla luce della norma fondante che lo pre- cede e «piú precisamente quale necessario presidio dello spazio e del ruolo da essa attribuiti al testamento, a sua volta eretto ad architrave dell’intero edificio delle successioni mortis causa». Riconoscendo all’art. 458 c.c. carattere integrativo rispetto alla norma precedente (art. 457 c.c.), che individua le fonti di devoluzione dell’eredità e non anche dei legati, si potrebbe essere in- dotti peraltro ad affermare che non rientrino nel divieto dei patti successori istitutivi le attri- buzioni a titolo particolare. È, questa, tuttavia, una interpretazione che non può essere accolta perché l’art. 457 c.c., indicando quale fonte di vocazione dell’eredità il testamento, chiaramente si riferisce non solo all’istituzione di erede, ma anche ai legati, per cui è fondato ritenere che nell’àmbito del divieto dei patti successori istitutivi rientrino tutti gli acquisti mortis causa siano essi a titolo universale o particolare.
22 I predetti caratteri si desumono da una pluralità di norme, quali, ad esempio, quelle po- ste dagli artt. 679 ss. c.c. in tema di revoca, le disposizioni che disciplinano la rilevanza della violenza, del dolo e dell’errore (art. 624 c.c.) o del motivo illecito (art. 626 c.c.), le previsioni che sanciscono la nullità del testamento congiuntivo o reciproco o della condizione di recipro- cità (artt. 589 e 635 c.c.) e le regole formali previste per i vari tipi di testamento, le quali ul- time contribuiscono ad una maggiore «ponderatezza e libertà della volizione» nello stabilire il contenuto ed i beneficiari dell’atto. In questo senso vedi: X. Xxxxxxx, La revoca non formale del testamento e la teoria del comportamento concludente, Milano, 1974, p. 429 ss.; X. Xx Xxxx, Autonomia privata e successioni mortis causa, in Jus, 1997, p. 277, il quale invita a rimeditare sulla forma olografa del testamento in quanto, vista la tarda età in cui il l’atto viene redatto, non sempre il suo contenuto corrisponde all’intento effettivo del testatore.
23 X. Xxxxxxxx, Rapporto contrattuale e successione a causa di morte, Milano, 1990, p. 223, che sottolinea come la tipicità del testamento, che è l’unico atto con cui i privati possono di- sporre dei loro beni per il tempo successivo alla morte, si ricavi proprio dalla peculiare disci- plina ad esso riservata dal legislatore, che vale a contraddistinguerlo da ogni altro negozio (uni- laterale o bilaterale) inter vivos.
24 Per una lettura del diritto successorio in chiave funzionale, per lo piú ignorata dalla let- teratura giuridica che ha prediletto una lettura strutturale del fenomeno, vedi X. Xxxxxxxxxxx, La funzione sociale del diritto successorio, in Rass. dir. civ., 2009, p. 131, il quale evidenzia come la struttura di un negozio costituisca non già un prius, ma una conseguenza degli effetti che il negozio in concreto realizza. Essa, pertanto, non può essere rigidamente predeterminata ed iden-
che la ragione fondativa del divieto dei patti istitutivi debba ravvisarsi in due distinte, complementari, esigenze: la libertà di testare, da un lato, e l’assenza di posizioni giuridicamente rilevanti in capo ai beneficiari, dal- l’altro, in quanto è solo in tal modo che si assicura al de cuius la possi- bilità di disporre secondo il suo libero, effettivo e reale volere25.
Effetto, questo, che non sarebbe raggiungibile, invece, attraverso la sola revocabilità ad nutum, poiché essa non escluderebbe l’applicazione delle regole di buona fede e correttezza che governano tutto l’iter contrattuale e valgono a fondare e salvaguardare le aspettative riposte dai beneficiari nell’atto dispositivo26, e dunque a generare, nel caso in cui vengano vio- late, una responsabilità in capo al disponente, a prescindere dalla natura inter vivos o mortis causa dell’atto. Aspettative che sono invece assenti nel testamento, il quale, ante mortem, deve considerarsi tamquam non esset. Tant’è vero che prima della morte del testatore nessuna posizione giuri- dica soggettiva sorge in capo ai beneficiari dell’atto e nessuna responsabi- lità può essere imputata al suo autore.
Deriva da ciò la peculiarità del negozio mortis causa e la sua idoneità a far sí che il de cuius possa disporre dei propri beni secondo il suo li- bero, reale ed effettivo volere, senza incontrare alcun limite nel vincolo che la convenzione crea con i beneficiari dell’attribuzione, e dunque senza che la revoca possa generare alcuna forma di responsabilità a suo carico27.
4. Sulla scia di tali sintetiche indicazioni, emerge come il criterio di- stintivo tra validità e invalidità delle convenzioni post mortem non possa incentrarsi sulla revocabilità del patto, ma vada ricercato in un diverso cri- terio; e precisamente nella diversa funzione svolta dall’evento morte nel-
tificata esclusivamente con il tipo negoziale, ma varia in funzione degli scopi che i soggetti in- tendono perseguire con l’atto di privata autonomia. Di qui la variabilità della struttura ed il suo parziale modellarsi all’iniziativa dei soggetti.
25 X. Xxxxxxxxx, Il divieto dei patti successori, cit., p. 25 ss.; X. Xxxxxxxx, Il divieto del patto successorio, cit., p. 1411 ss.
26 La dottrina (X. Xxxxxxxxxxx, Regole e comportamenti nella formazione del contratto. Una rilettura dell’art. 1337 codice civile, Napoli, 2003, p. 147 s.) ha infatti rilevato come gli obbli- ghi derivanti dalla regola di buona fede non soltanto prescindano dalla volontà delle parti, ma interessino altresí l’intero arco della vicenda contrattuale: dalla sua genesi alla sua attuazione, as- sumendo rilievi diversi che riguardano sia il piano dell’atto che quello del rapporto.
27 X. Xx Xxxxxx, Il testamento ed i negozi transmorte, cit., p. 2295 ss. Si è osservato (X. Xxxxxxxxxxx, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 168) infatti che la disciplina dei ne- gozi unilaterali inter vivos non può dirsi diretta a garantire unicamente la volontà dell’autore del negozio, cosí come avviene, invece, negli atti a causa di morte, in cui le eventuali aspetta- tive dei terzi che al testamento si ricollegano possono venire in considerazione e «mutuare tu- tela solo subordinatamente al fatto che l’atto si riconosca puntuale alla determinazione e all’in- tento effettivo dell’ereditando».
l’àmbito della complessiva operazione negoziale, poiché occorre valutare se esso si ponga come causa dell’attribuzione o come semplice elemento di ordine temporale volto a differire nel tempo l’effetto negoziale tipico28. Del resto, è in questa logica che va letta la dicotomia contratti mortis causa-contratti post mortem, fatta propria dalla Suprema Corte, che nel noto pentalogo elaborato nel 1971 e di recente ribadito, ha affermato che, ai fini della invalidità del patto, oltre alla irrevocabilità della disposizione, è necessario tener presente se il «convenuto trasferimento dal promittente al promissario, abbia luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di le- gato»29; e cioè – riprendendo una terminologia consolidata in dottrina – se il contratto sia funzionalmente caratterizzato dall’essere stipulato in vi- sta della morte ed abbia come unico scopo quello di fissare la sorte dei beni relitti, in quanto è solo in questi casi che il decesso del disponente costituisce il fattore in forza del quale l’effetto giuridico si produce e senza il quale, invece, esso non può realizzarsi. Mentre deve qualificarsi come valido negozio post mortem l’atto che, fin dal momento della sua conclu-
28 La Suprema Corte ha chiarito che non realizza un patto successorio vietato, ma un va- lido negozio inter vivos, la convenzione con la quale il disponente si riconosce, sin dal giorno della stipulazione, debitore della controparte e differisce, dopo la sua morte, l’estinzione del de- bito riconosciuto, poiché, in questi casi, il decesso costituisce un termine di adempimento (Cass., 3 marzo 2009, n. 5119, in xxx.xxxxxx.xxxxxxx.xx). Mentre ai fini dell’operatività del divieto di cui all’art. 458 c.c. è necessario un atto dispositivo della propria successione, di guisa che la morte del disponente non si traduca in una mera modalità dell’attribuzione (Cass., 1 ottobre 2003, n. 14590, ivi).
29 Cass., 29 luglio 1971, n. 2404, in Giust. civ., 1971, I, p. 1536; Cass., 16 febbraio 1995, n. 1683, cit.; Cass., 9 maggio 2000, n. 5870, in Riv. not., 2001, p. 227 ss., con nota di X. Xxxxxxx, Xxxxx successori: conferma di un’erosione; Cass., 1 ottobre 2003, n. 14590, cit.; Cass., 3 marzo 2009, n. 5119, cit.; Cass., 19 novembre 2009, n. 24450, in xxx.xxxxxx.xxxxxxx.xx; Cass., 12 feb- braio 2010, n. 3345, in Foro it., 2011, I, c. 2160, le quali hanno chiarito che per stabilire se una determinata convenzione rientri nell’àmbito del divieto di cui all’art. 458 c.c. occorre accertare se: 1) il vinculum iuris con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancóra aperta; 2) le cose o i di- ritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione; 3) il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte alla propria suc- cessione, privandosi, cosí, dello jus poenitendi; 4) l’acquirente abbia contratto o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) il convenuto trasferimento dal promittente al promissa- rio avrebbe dovuto aver luogo mortis causa e, cioè, a titolo di eredità o di legato. Al riguardo è dato osservare, però, che se l’ultimo requisito è riferibile esclusivamente ai patti successori isti- tutivi, che sono i soli ad avere natura di atti mortis causa, il primo, invece, non può che ri- guardare i patti dispositivi o rinunziativi, poiché l’istituzione contrattuale di erede o legatario è certamente anteriore all’apertura della successione. Il terzo requisito, invece, altro non rappre- senta se non il riflesso della natura contrattuale del negozio; mentre il secondo ed il quarto sono tra loro speculari, giacché la circostanza che taluno disponga dei propri beni considerandoli parte di una successione non ancóra aperta non può che presupporre la consapevolezza della sua futura qualità di erede.
sione, determina una modificazione immediata e stabile nelle sfere giuri- diche delle parti contraenti o dei terzi destinatari dei suoi effetti diretti, attribuendo loro la titolarità di situazioni soggettive giuridicamente rilevanti30. È questo un criterio che, netto e chiaro da un punto di vista logico – concettuale, necessita però di alcune precisazioni sul piano pratico – ap- plicativo. Precisazioni che possono essere formulate sulla base di taluni si- gnificativi indici che connotano le attribuzioni mortis causa e che possono trarsi dagli ormai aboliti istituti del lucro dotale, della comunione de re- siduo e dalle esperienze europee che ammettono i patti successori in ter- mini generali o in via di eccezione31. Da tale indagine emerge infatti che il contratto mortis causa è caratterizzato essenzialmente dalla sopravvi- venza del beneficiario al disponente, dall’avere ad oggetto beni che si in- dividuano nella loro esistenza e consistenza quantitativa e qualitativa al momento dell’apertura della successione (c.dd. attribuzioni de residuo), dal- l’intrasmissibilità a terzi della situazione soggettiva di cui il beneficiario è divenuto titolare e dalla revocabilità dell’atto, dal momento che proprio tale elemento contribuisce ad attenuare sensibilmente l’attualità dell’attri-
buzione.
Piú precisamente, in presenza di una attribuzione liberamente revoca- bile, il disponente rimane pur sempre libero di neutralizzare ad libitum
30 Cosí, quasi testualmente, X. Xxxxxxxxxxx, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 168; X. Xxxxxx, Attribuzioni patrimoniali, cit., p. 195.
31 In Francia, ad esempio, si ritiene che ai fini dell’esistenza di un patto successorio è ne- cessario: a) l’esistenza una convenzione che abbia ad oggetto beni suscettibili di far parte della successione di uno dei contraenti (patti istitutivi) o che si pensa di acquistare dalla successione di un terzo; b) che l’oggetto del negozio rientri in una successione non ancóra aperta; c) che si realizzi una modificazione delle regole di diritto successorio concernenti le quote spettanti agli eredi necessari. Cfr. J.F. Vouin, La prohibition des pactes sur succession future en droit fançais, Xxxxx, 0000, p. 15 ss.; X. Xxxxxxxxx, Pacte sur succession future, in Enc. jur. Dalloz, Paris, 1965,
p. 17; X. Xxxxxxx, Les successions. Les libéralités, Paris, 1986, p. 49 ss.; in giurisprudenza, vedi: Cass., 30 maggio 1985, in Rec. Xxxxx, 1986, p. 65. Parzialmente diversa è la disciplina che il si- stema giuridico tedesco riserva all’Erbvertrag. Dal contratto successorio nasce infatti un vincolo obbligatorio che non può essere sciolto unilateralmente dal disponente, di guisa che il benefi- ciario diviene titolare di una situazione di «aspettativa» la quale, pur essendo intrasmissibile ai suoi eredi, dato il carattere personalissimo della disposizione, è assistita da una garanzia legale. Pertanto, se il bene oggetto dell’attribuzione viene distrutto, alienato a terzi o gravato di xxxxx, con l’intento di incidere negativamente sul futuro acquisto della controparte, quest’ultima (solo dopo la morte del promittente) ha il potere di agire per ottenere la surrogazione del valore al bene distrutto o far sí che gli eredi, in esecuzione dell’obbligazione su di loro incombente, gli procurino la proprietà della cosa alienata o liberata da pesi. M.V. De Giorgi, I patti sulle suc- cessioni future, cit., p. 224 ss., secondo la quale i suddetti poteri, almeno in linea di principio, sarebbero da considerarsi eccezionali proprio perché il disponente «conserva integra la libertà di mutare, con negozi inter vivos, la consistenza del suo patrimonio (par. 2286) ed il vincolo assunto riguarda solo il potere di disporre a causa di morte».
suum gli effetti del negozio, anche alienando a terzi i beni negoziati, di guisa che l’attribuzione in concreto, diviene stabile e definitiva nei suoi elementi soggettivi e oggettivi solo dopo la sua morte. Il che dimostra la sostanziale affinità esistente, in questi casi, tra tali operazioni contrattuali e gli atti mortis causa32.
Per tali ragioni, ai fini della validità delle convenzioni collegate al de- cesso del disponente, occorre aver riguardo al concreto assetto di interessi realizzato dall’operazione negoziale, valutando sia la struttura che la fun- zione che l’atto di privata autonomia è destinato a realizzare, poiché è solo in tal modo che sarà dato sapere se il regolamento di interessi sia da di- chiararsi nullo perché contrasto con il divieto dei patti successori istitu- tivi, oppure sia un valido contratto ad effetti post mortem.
5. Alla luce di tali criterio si esamineranno, adesso, alcuni strumenti di devoluzione della ricchezza alternativi al testamento, iniziando dal patto di famiglia, introdotto con la novella del 2006, che ha recepito le istanze comunitarie33 volte a consentire, alla morte dell’imprenditore, una succes- sione nel complesso aziendale con i soggetti ritenuti idonei a garantire una proficua gestione dell’attività di impresa34. Istituto, questo, assai complesso in cui ai profili di carattere teorico generale ed alle importanti ed imme-
32 Sul punto vedi X. Xxxxxxx, Morte del disponente, cit., pp. 116-117. Affinità che non si- gnifica però identità di effetti, sia perché in presenza di un’attribuzione contrattualmente pre- disposta, benché revocabile, gli interessi facenti capo a coloro che della stessa ne sono i desti- natari acquistano comunque giuridica rilevanza, sia perché il potere pattiziamente concesso al disponente di sciogliere unilateralmente il vincolo negoziale, con conseguente possibilità di eser- citare il potere di disposizione in ordine agli stessi bei oggetto della precedente attribuzione, proprio per il motivo anzidetto, non esclude che un siffatto comportamento, a differenza di ciò che accade per la revoca del testamento, venga comunque valutato alla stregua della regola di buona fede.
33 Il riferimento è alla comunicazione della Commissione europea del 7 dicembre 1994 sulla successione nelle piccole e medie imprese ed alla comunicazione della Commissione 98/C 93/02 che ha individuato nei patti d’impresa e negli accordi di famiglia uno dei modi per aumentare la continuità nell’attività di gestione aziendale e per mantenere «talune regole gestionali da una generazione all’altra, attenuando le conseguenze della proibizione dei patti sulla successione fu- tura»; poiché tale proibizione «complica una sana gestione patrimoniale» (art. 4, lett. d, comu- nicazione).
34 La rilevanza socio economica dell’attività di impresa e l’esigenza dell’imprenditore che in- tende garantire alla propria azienda o alle partecipazioni sociali possedute una successione non aleatoria in favore di uno o piú dei suoi discendenti vanno nondimeno coordinate con gli in- teressi dei legittimari a ricevere beni il cui valore va calcolato al momento dell’apertura della successione, alla natura reale riconosciuta all’azione di riduzione e alla collazione e al diritto di ricevere la quota in natura (X. Xxxxxxxx, Autonomia privata e limiti inderogabili nel diritto fa- miliare e successorio, in Familia, 2004, p. 8 ss.; U. La Porta, Il patto di famiglia, Torino, 2007,
p. 27 ss.; X. Xxxxxx, Il patto di famiglia, Padova, 2006, p. 45 ss.).
diate ricadute che essi esplicano sul piano pratico-applicativo si associano aspetti di carattere puramente tecnico di indubbia difficoltà operativa35. Ed è per questo che ad oggi l’istituto non è approdato all’attenzione della Su- prema Corte, né ha dato luogo ad una significativa prassi stipulativa.
Tra gli aspetti di carattere generale, particolare attenzione merita, in questa sede, il problema della qualificazione del patto di famiglia come deroga al divieto posto dall’art. 458 c.c., visto l’inciso iniziale in tale norma introdotto dal legislatore del 200636. Si è già accennato peraltro che, ante- riormente all’entrata in vigore della disciplina dettata dagli artt. 768 bis- 768 octies c.c., l’obiettivo di conservare e tutelare l’efficienza e la funzio- nalità dei beni produttivi per il tempo successivo al decesso dell’impren- ditore era affidato ad altri strumenti negoziali che, ancóra oggi, continuano a rivestire un importante ruolo nella trasmissione della ricchezza post mor- tem, sebbene essi, a differenza del patto di famiglia, non sottraggano i beni oggetto di attribuzione ai meccanismi di tutela previsti per legittimari.
Del resto, è proprio la disattivazione di tali strumenti che costituisce l’aspetto centrale del patto37, poiché esso, nella sua configurazione tipica, concretizzandosi in un contratto ad efficacia traslativa immediata nella suc- cessione dell’azienda o nelle partecipazioni sociali possedute dal titolare, nessuna deroga sembra introdurre al divieto dei patti istitutivi38. Piú pre- cisamente, detto istituto, quand’anche differisca il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali alla morte dell’imprenditore o subordini alla
35 Quali, ad esempio, la determinazione delle quote spettanti ai legittimari non assegnatari e la fissazione dei criteri per la relativa liquidazione, l’eventuale liquidazione in natura e l’im- putazione di tali beni alla quota di legittima ex art. 768 quater, ove si ammetta che i non as- segnatari possano essere liquidati dal disponente con altri beni
36 X. Xxxxxxxx, Le donazioni «mortis causa», in Riv. not., 2006, p. 1469, che considera l’inciso introdotto nell’art. 458 c.c. come «un espresso passo legislativo verso una definizione piú circoscritta dell’àmbito del divieto dei patti successori».
37 X. Xxxxxxx, Profili sistematici della successione anticipata (note sul patto di famiglia), in
M.V. De Giorgi, X. Xxxxx Xxxxxxx e X. Xx Xxxxxxxxxx (a cura di), Studi in onore di Xxxx- xxx Xxxx, II, Padova, 2010, p. 2547 ss.; X. Xxxx, I fenomeni a rilevanza successoria, Napoli, 2001, p. 374 ss.; X. Xxxxxx, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, in Aa.Vv. (a cura di), Patti di famiglia per l’impresa, Milano, 2006, p. 73, che individua nella sot- trazione dell’azione di riduzione e della collazione «il centro di gravitazione del patto di famiglia».
38 Tra coloro che riconoscono natura inter vivos al patto di famiglia, vedi X. Xxxxx Xx- nache, Sub art. 1, in X. Xxxxxxxx e X. Xxxxx Monache (a cura di), Il patto di famiglia. Com- mentario sub art. 768 bis, in Nuove leggi civ. comm., 2007, p. 10 ss.; X. Xxxxxxxx, Patto di fa- miglia e diritto delle successioni mortis causa, in Fam. pers. succ., 2007, p. 390 ss.; A. Palazzo, Il patto di famiglia tra tradizione e rinnovamento del diritto privato, in Riv. dir. civ., 2007, p. 261 ss.; X. Xxxxxxxx, Il patto di famiglia: negoziabilità del diritto successorio con la l. 14 feb- braio 2006 n. 55, Torino, 2006; X. Xxxxxxxxx, La causa del patto di famiglia, in Contr. impr., 2006, p. 745 ss.; X. Xxx Xxxxx, Sistemazioni contrattuali in funzione successoria: prospettive di riforma, in Riv. not., 2001, p. 145 ss.
premorienza di quest’ultimo, rispetto ai beneficiari dell’attribuzione, il ve- rificarsi dell’effetto traslativo, deve pur sempre qualificarsi come negozio post mortem39, in quanto, alla stregua dei criteri sopra illustrati, il decesso del disponente si pone come semplice elemento temporale, essendo ante mortem stabilmente e definitivamente identificati sia i soggetti che l’og- getto dell’attribuzione. Tant’è vero che la versione iniziale del decreto legge sullo sviluppo del 2011, tra le modifiche proposte alla disciplina del patto di famiglia – poi espunte dalla versione definitivamente approvata40 – pre-
39 X. Xxxxxx, Profili funzionali del patto di famiglia, in Riv. dir. civ., 2007, p. 187 ss., che spiega la riserva introdotta all’art. 458 c.c. sulla base della riconosciuta rilevanza e della sotto- posizione agli strumenti dell’autonomia privata inter vivos degli interessi che, anteriormente alla riforma, dovevano ritenersi ad essa sottratti fino alla morte del disponente. Di qui la ricondu- cibilità del patto alla categoria della successione anticipata e la sua funzione divisionale, diretta a distribuire una parte dei beni dell’alienante, in via anticipata, ai suoi familiari. Su tale aspetto vedi però le osservazioni di X. Xxxxxxxxxxx, Il patto di famiglia, cit., p. 150 ss., che giusta- mente osserva come al patto non possa riconoscersi un carattere divisionale-distributivo [cosí, invece, F. Xxxxxxx, Commento all’art. 2 (art. 768-quater), in G. De Nova, F. Xxxxxxx, X. Xxx- polla e X. Xxxxxxxx (a cura di), Il patto di famiglia. Legge 14 febbraio 2006, n. 55, Milano, 2006, p. 20 ss.], poiché al momento della stipulazione non solo manca uno stato di comunione attuale e una qualsiasi forma di contitolarità, ma anche perché la funzione distributivo-divisio- nale può anche essere assente, visto che la stessa si identifica non già nella nascita, ex lege, del- l’obbligo di liquidazione, ma con l’effettiva liquidazione, che, nel caso di specie, può anche man- care a causa della rinunzia del legittimario non assegnatario. Come, pure, l’A. precisa che al patto non possa essere riconosciuta natura di donazione modale [cosí, invece, X. Xxxxxxxxx, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. Appunti per uno studio sul patto di famigli: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Aa.Vv. (a cura di), Patti di fami- glia per l’impresa, cit., p. 48], sia perché il profilo liberale, seppur presente, non esaurisce la fun- zione del contratto, sia perché l’eventuale modus verrebbe ad avere un ruolo non già accesso- rio, ma essenziale e tipico, in quanto imposto dalla legge. Per tali ragioni, il patto piú che es- sere assimilato ad una divisione o donazione ha una peculiare funzione produttiva che induce a ricondurlo tra le c.dd. liberalità non donative, ossia tra agli atti attraverso i quali «si attuano oggettivamente effetti equivalenti o risultati economici analoghi alla donazione» (p. 156).
40 L’art. 8 del testo originario del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con l. 12 luglio 2011, n. 106, al comma 1 stabiliva: «Per rafforzare la disciplina del cosiddetto “Patto di fami- glia”, per favorire la continuità nell’esercizio delle imprese, al Codice civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’art. 768 bis sono aggiunti i seguenti commi: “L’assegnatario del- l’azienda o delle partecipazioni sociali può anche ricevere la titolarità dei beni alla scadenza di un termine o di una condizione sospensiva non retroattiva, anche successivi alla morte dell’im- prenditore o del titolare delle partecipazioni societarie. In tal caso, l’imprenditore o il titolare di partecipazioni societarie nomina nel contratto un terzo al quale si applicano le disposizioni di cui al quinto e al sesto comma del presente articolo”». Commi, questi, che prevedevano ri- spettivamente «Tra la morte dell’imprenditore e l’accettazione del beneficiario o il verificarsi di uno degli eventi di cui al secondo comma, l’azienda o le partecipazioni sociali e i relativi frutti costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello del terzo. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori del terzo o nell’interesse degli stessi. Il terzo dovrà ammini- strare l’azienda o le partecipazioni societarie e i relativi frutti secondo le indicazioni contenute
vedeva espressamente che gli effetti del contratto potessero essere differiti alla morte dell’imprenditore e che, nel periodo intercorrente tra la con- clusione del contratto e la sua efficacia tipica, i beni potessero essere am- ministrati da un terzo designato dall’imprenditore. Ciò in analogia a quanto accade nel trust, visto che la proposta prevedeva che i predetti beni ed i relativi frutti costituivano patrimonio distinto da quello del terzo e non erano aggredibili dai creditori di quest’ultimo41.
Un profilo di interferenza con il divieto delle convenzioni successorie istitutive si potrebbe tuttavia ravvisare nell’ipotesi in cui il patto attribui- sca espressamente al genitore imprenditore il potere di recedere libera- mente dal rapporto obbligatorio, ai sensi dell’art. 768 septies n. 242. In tal caso – come si è detto – il disponente rimarrebbe libero di neutralizzare ad libitum suum gli effetti del negozio, di guisa che l’assegnazione diver- rebbe stabile e definitiva nei suoi elementi soggettivi e oggettivi solo dopo la sua morte. La previsione di siffatto potere di recesso, infatti, rendendo identificabili sia l’oggetto che i beneficiari dell’assegnazione esclusivamente post mortem, contribuirebbe a mitigare sensibilmente l’attualità dell’attri- buzione e farebbe sí che il patto, in sostanza, venga a svolgere una fun- zione assai simile quella tipica dei contratti a causa di morte. Di qui la clausola c.d. «di salvaguardia»43 di cui all’inciso iniziale dell’art. 458 c.c., tesa ad evitare, appunto, che il patto possa essere dichiarato nullo perché in contrasto con il divieto degli accordi successori istitutivi.
Non solo, ma la predetta clausola sembra diretta a sottrarre il patto anche dall’àmbito operativo del divieto dei contratti successori rinunzia- tivi44. Infatti, muovendo dalla premessa secondo la quale la partecipazione dei legittimari non assegnatari non rappresenta un elemento costitutivo ed essenziale del contratto – il quale è pertanto valido ed efficace e deter- mina comunque, ex lege, la nascita del diritto alla liquidazione della quota, indipendentemente dal loro consenso45 – ma costituisce piuttosto un se-
nel contratto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico ed evitando situazioni di con- flitto d’interessi. Il terzo dovrà rendere conto del suo operato ai soggetti indicati al terzo comma».
41 X. Xxxx e X. Xxxxxxx, Brevissime note sulla proposta di modifica del patto di famiglia inserita nel testo originario del decreto sviluppo, in Riv. not., 2011, p. 1458
42 In questo senso, vedi X. Xxxxxxxx, Le donazioni «mortis causa», cit., p. 1468.
43 X. Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Il patto di famiglia, in X. Xxxxxxxxxxx e Aa.Vv., Manuale di diritto civile, 6a ed., Napoli, 2007, p. 945.
44 X. Xxxxxxxxxx, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati. L’ordina- mento successorio italiano dopo la legge 14 febbraio 2006 n. 55, in Aa.Vv. (a cura di), Patti di famiglia per l’impresa, cit., p. 73; X. Xxxxx, Profili civilistici del Patto di famiglia, ivi, p. 104;
X. Xxxxxxxx, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. not., 2006, p. 428.
45 La dottrina (X. Xxxxxxxxxxx, Il patto di famiglia, cit., p. 166) ha ampiamente dimostrato come il patto di famiglia, anche in assenza della partecipazione dei legittimari non assegnatari,
parato atto «diretto ad assicurare soltanto l’esclusione dalla collazione e dalla riduzione delle attribuzioni»46 già operate in sede di stipulazione del- l’accordo, è dato ritenere che sia stata siffatta convenzionale rinunzia ai citati strumenti rimediali ad aver indotto il legislatore a novellare l’art. 458
c.c. Ciò al fine di impedire che il patto, ponendosi in contrasto con la previsione di cui all’art. 557, comma 2, c.c., che del divieto dei negozi suc- cessori rinunziativi costituisce espressa applicazione47, potesse, anche sotto questo profilo, essere dichiarato illecito.
A tal riguardo è opportuno chiarire, nondimeno, che i legittimari non assegnatari che decidono di non prestare il loro consenso al contratto con- cluso tra disponente e assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni so- ciali, pur acquisendo un diritto attuale e certo alla liquidazione della loro quota di riserva48, nessuna preclusione ricevono in ordine all’eventuale at- tivazione dei meccanismi della riduzione e della collazione49. Questo per-
possa considerarsi valido ed efficace perché: a) il prodursi degli effetti essenziali del contratto non determina alcuna lesione dei diritti loro spettanti; b) non vi è alcuna norma che sancisca la nullità del patto bilaterale; c) la sanzione della nullità sarebbe incongrua e inadeguata in quanto in contrasto con la ratio della norma, che detta un favor per la stabilità e continuità dell’im- presa, e con il principio di conservazione degli effetti; d) non spiegherebbe la previsione di cui all’art. 768 septies c.c. che, riconoscendo ai legittimari il diritto di recesso, implicitamente rico- nosce la non necessaria partecipazione degli stessi. Sempre in questa prospettiva, altri autori (X. Xxxx, Patto di famiglia e «diritti della famiglia», in Xxx. xxx. xxx., 0000, x. 000; X. Xxxxxxxxxx, Xxxxx e terzi nel patto di famiglia, ivi, 2008, p. 185) hanno rilevato che la mancata partecipa- zione dei legittimari non assegnatari – che al pari dei legittimari sopravvenuti sarebbero da con- siderarsi terzi – inciderebbe sul loro diritto ad ottenere la liquidazione della quota fintanto che non si apre la successione dell’imprenditore. Diversamente, tra coloro che ritengono che la par- tecipazione di tutti i potenziali legittimari sia necessaria ai fini della validità del patto, vedi X. Xxxx, La disciplina del patto di famiglia, cit., p. 1085 ss.; X. Xxxxxxx, Xxxxxxx e spunti in tema di patto di famiglia, in Giust. civ., 2006, II, p. 233 ss.; A. Palazzo, Il patto di famiglia, cit., p. 9 ss.; X. Xxxxxxxx, Prime osservazioni sul patto di famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2006,
p. 235; Id., Il patto di famiglia a un anno dalla sua introduzione, in Riv. trim., 2007, p. 750 ss.; X. Xxxxxxx, Ipotesi sul patto di famiglia, Riv. dir. civ., 2006, p. 447 ss., che osservano come il peculiare regime derogatorio dei princípi successori e dei meccanismi di tutela dei legittimari non possa che basarsi sul consenso di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda successoria, di guisa che, in caso di mancata partecipazione dei legittimari non assegnatari, il patto dovrà essere con- siderato nullo.
46 X. Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Il patto di famiglia, cit., p. 945.
47 X. Xxxxxxx, Successioni e donazioni, Milano, 2002, p. 322; A Palazzo, Delle successioni, in Comm. c.c. Xxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000.
48 X. Xxxxxxxxxx, Xxxxx e terzi nel patto di famiglia, cit., p. 180, che rileva come in pre- senza della rinunzia da parte dei legittimari non assegnatari il contratto si qualifichi come ne- gozio a titolo gratuito e implichi una pluralità di liberalità donative, proprio perché le rinunzie hanno ad oggetto non un diritto futuro, quale sarebbe la quota di legittima, ma la somma o i beni in natura a loro spettanti come liquidazione, e dunque un diritto di credito attuale e certo.
49 X. Xxxxxxxxxxx, Il patto di famiglia, cit., p. 167, sottolinea che l’espressione «devono par-
ché la neutralizzazione di tali rimedi richiede inevitabilmente una loro ma- nifestazione di volontà, anche successiva al patto, diretta alla riscossione o alla rinunzia della predetta quota. Ne segue che è proprio tale dichiara- zione di volontà che, determinando quale effetto consequenziale tipico la disattivazione dei meccanismi dettati a tutela dei legittimari, si pone come eccezione, legalmente prevista, alla previsioni di cui agli artt. 458 e 557, comma 2, x.x., xxx xxxxxxxxxx xx xxxxxxx xxxxx xxxxxxxx all’azione di ridu- zione effettuata anteriormente all’apertura della successione del disponente. Cosí, pure, una deroga a tale ultimo divieto pare sussistere ove si am- metta che la quota dei legittimari non assegnatari possa essere liquidata, oltre che da coloro che risultano assegnatari dell’azienda o delle parteci- pazioni sociali, anche dal disponente, e si ritenga che gli «altri beni» che l’imprenditore «assegna con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda» (art. 768 quater c.c.), se accettate dai beneficiari, comportino la sottrazione dell’azione di riduzione e della collazione. Ri- sultato, questo, a cui è dato pervenire ove si proceda ad una valutazione in concreto della causa del patto e si adotti un’interpretazione funzionale e sistematica dell’istituto che bilanci l’esigenza di produttività con gli in-
teressi familiari, in conformità ai valori costituzionali50.
Seguendo tale impostazione, emerge allora come, anche in tal caso, i legittimari non assegnatari, accettando la liquidazione della quota ad opera dell’imprenditore, dispongano «eccezionalmente del proprio ed esclusivo diritto di rinunzia all’azione di collazione e riduzione», rendendo cosí sta- bili, anche nei loro confronti, le attribuzioni effettuate dall’imprenditore, in deroga al divieto risultante dal combinato disposto degli artt. 557, comma 2, 458 e 768 quater, comma 4, c.c.51.
6. Tra le operazioni negoziali alle quali i privati possono far ricorso per garantire il passaggio generazionale dell’azienda a favore di uno dei figli
tecipare» di cui all’art. 768 quater, comma 1, c.c., riferita al coniuge ed a tutti coloro che al momento della stipulazione del patto sarebbero legittimari, deve essere intesa non come ele- mento essenziale ai fini della produzione degli effetti essenziali del negozio, bensí come «con- dizione o presupposto di vincolatività del patto in punto di esenzione da riduzione o collazione».
50 X. Xxxxxxx, Patto di famiglia e liquidazioni operate dal disponente, in Rass. dir. civ., 2011, p. 170 ss., ed ivi una sintesi delle posizioni dottrinali sul tema. In particolare, l’A. rileva come, seguendo una prospettiva di tipo funzionale e sistematico dell’istituto e valutando la fun- zione che il patto persegue in concreto, non possa escludersi che le assegnazioni effettuate dal disponente in funzione liquidativa della quota spettante ai non assegnatari rientrino nella causa del patto. Il che può accadere, ad esempio, ove dette attribuzioni siano strumentali all’attua- zione «del complesso contemperamento d’interessi che il legislatore intendeva garantire attra- verso l’introduzione dell’istituto in esame» (p. 174).
51 X. Xxxxxxxxxxx, Il patto di famiglia, cit., p. 168.
o dei discendenti dell’imprenditore, merita di essere ricordato anche il le- veraged buy out. Istituto, questo, nato negli Stati Uniti negli anni ’6052, sviluppatosi gradualmente nei paesi europei e formalmente introdotto in Italia53 con la riforma del diritto societario54. Esso, in particolare, nel campo
52 La tecnica finanziaria del leveraged buy out trova le sue origini negli Stati Uniti negli anni ’60 e si sviluppa poi, gradualmente, anche in Inghilterra e negli altri paesi europei, dove ha incontrato ostacoli nuovi rispetto a quelli sorti nella terra che gli ha dato i natali: la pre- senza in tutti gli ordinamenti comunitari del divieto di financial assistance espresso dalla II di- rettiva CEE in materia societaria n. 77 del 1991 [cfr. X. Xxxxxxx, The constitution of a venture capital company: the case of Italian closed-end funds, in X. Xxxxxxx e X. Xxxxx (a cura di), Ven- ture capital. A Euro-system approach, Berlin-Heidelberg, 2004, p. 3 ss.; Id., Leveraged acquisi- tions: technical and financial features, in X. Xxxxxxx e X. Xxxxx (a cura di), Structured finance. Techniques, products and market, Berlin-Heidelberg, 2005, p. 28 ss].
53 Prima dell’entrata in vigore della riforma del diritto societario, la giurisprudenza e parte della dottrina avevano affermato l’illiceità del leveraged buy out perché in contrasto con il prin- cipio di cui all’art. 2358 c.c., che vieta alla società di accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni proprie, nonché di accettare azioni proprie in garan- zia (Cass. pen., 15 novembre 1999, n. 5503, in Corr. giur., 2000, p. 745 ss., con nota di P. Sch- lesinger, Leveraged buy out: un’apparente presa di posizione della cassazione penale; P. Mon- talenti, Il leveraged buy out, Milano, 1991, p. 86 ss.; X. Xxxxxxx, Diritto commerciale, II, Le società, Padova, 1999, p. 324 ss.). Diversamente, altri autori ritenevano che, nell’intero pro- cedimento, non vi era alcuna attività della società target che potesse definirsi in contrasto con il divieto di assistenza finanziaria. Infatti, nella fase anteriore all’acquisizione, quando la newco s’indebita per finanziare l’acquisizione della target, quest’ultima è del tutto estranea all’opera- zione di finanziamento; mentre nel momento dell’acquisizione, la società target rimane comun- que terza rispetto al contratto. Come, pure, si affermava che con l’atto di fusione la società in- corporata non si accollava il debito contratto dalla società incorporante per l’acquisto delle azioni proprie, in quanto l’eventuale accollo avveniva soltanto per effetto della fusione, e quindi in un momento in cui le azioni della società target non esistevano piú perché già annullate con la fu- sione (X. Xxxxxxxx, Factoring, leasing, franchising, venture capital, leveraged buy-out, hardship clause, countertrade, cash and carry, merchandising, know-how, Torino, 1996, p. 35 ss.; A. Bu- sani, «Leveraged buy out», in Riv. not., 2002, p. 512 ss.).
54 Con la riforma del diritto societario del 2003 si sono superati i dubbi di legittimità sol- levati dalla dottrina e dalla giurisprudenza e si è subordinata la liceità della operazione all’a- dempimento di alcuni oneri. In particolare, l’art. 7, comma 1, lett. d, l. 3 ottobre 2001, n. 366, ha disposto che la nuova legge di riforma del diritto societario dovesse «prevedere che le fu- sioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, ri- spettivamente, agli articoli 2357 e 2357-quater del codice civile, e del divieto di accordare pre- stiti e di fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all’articolo 2358 del codice civile». Nel d.lg. n. 6 del 2003, la prescrizione della legge delega è stata attuata con l’aggiunta di alcune condizioni, quali l’imposizione dell’obbligo agli amministratori delle so- cietà interessate all’operazione di predisporre un piano economico e finanziario, confortato da una relazione di esperti che ne attesti la ragionevolezza, nel quale devono essere indicate le fonti delle risorse finanziarie e devono essere descritti gli obiettivi che si intendono raggiungere; la distinzione tra debito senior (ossia con garanzie e covenant positive e negative) – la cui con- cessione è subordinata all’obbligo di pagare interessi e capitale nel caso in cui vi sia un esubero di liquidità ed al mantenimento del rapporto debit/equity entro un certo valore (in genere 1,75)
che a noi interessa in questa sede, è stato spesso attuato nella formula del family buy out, ponendosi come tecnica finanziaria, variamente articolata55, preordinata all’acquisizione (buy out), da parte di una società apposita- mente costituita (c.d. new company o società veicolo), dell’impresa fami- liare (società target) attraverso il ricorso prevalente al capitale di debito56. In sostanza, il family buy out si concretizza in un’operazione di acquisi- zione dell’azienda del genitore-imprenditore che tende a traslare il costo d’acquisto di quest’ultima sul suo stesso patrimonio, vincolando i futuri flussi di cassa al pagamento del debito a tal fine contratto57. Il che vale a differenziare tale tecnica finanziaria dalle ordinarie attività di acquisizione
– e xxxxxx xxxxxx, che deve essere remunerato dopo il debito senior; un’ampia serie di obblighi di informazione quando, per effetto della fusione, il patrimonio della società acquisita venga a costituire garanzia generica o fonte di rimborso dei debiti contratti per acquisire il controllo della target (art. 2501 c.c.). Cfr. X. Xxxxxxx Furga, Il merger leveraged buy-out nella prospet- tiva di riforma del diritto societario, in Riv. dir. comm., 2005, p. 25 ss.; X. Xxxxxx, «Levera- ged buy out» nelle operazioni di fusione dopo la riforma, in Riv. not., 2005, p. 653 ss.; L.M. Xxxxxxx, Il «giusto equilibrio» del legislatore italiano nel dare definitivo ingresso al merger le- veraged buy out (MLBO), in Obbl. contr., 2009, p. 244 ss.; X. Xxxxxxx, Il nuovo art. 2358 c.c. e la sua relazione con l’art. 2501-bis x.x., xxx, x. 000 xx.; M.S. Spolidoro, Legalismo e tutela dei diritti: leveraged buy out e leveraged cash out nel nuovo diritto delle società, in Riv. soc., 2008, p. 1035 ss.
55 Il processo tipico attraverso cui si completa un’operazione di leveraged buy out com- prende innanzitutto l’individuazione della società da acquisire (c.d. società target), che deve avere una buona solidità patrimoniale e reddituale; la costituzione di una società preordinata all’ac- quisto («new company» o c.d. «newco»), che deve richiedere e ottenere il finanziamento neces- sario per procedere all’acquisto; l’acquisizione totale delle azioni della società target; la fusione per incorporazione della società acquisita nella newco; la restituzione del finanziamento con i cash flows della società acquisita o la vendita degli assets aziendali non strategici. Rispetto a sif- fatto schema base il leveraged buy out può poi subire delle varianti, cosí come accade, ad esem- pio, nei casi in cui la newco sia interessata ad acquisire solo il patrimonio della target o un sin- golo ramo d’azienda e non le azioni (c.d. asset sale), oppure acquisti la maggioranza (e non la totalità) delle azioni; ovvero là dove vi sia una fusione inversa in quanto è la newco che viene incorporata dalla target, con conseguente possibile contrasto con il divieto di acquisto di azioni proprie [X. Xxxxxxx, Gli intermediari finanziari e le operazioni di leveraged buy-out, in G. Fo- restieri (a cura di), Corporate e investment banking, Milano, 2003, p. 47 ss.].
56 Cass. pen., 18 maggio 2006, n. 23730, in xxx.xxxxxx.xxxxxxx.xx, ha affermato che oggi non costituisce illecito penale l’operazione, inquadrabile nel piú ampio schema del c.d. leveraged buy out, con la quale una società operativa ceda a credito parte del pacchetto azionario ad altra so- cietà, creata in modo strumentale per effettuare detto acquisto con contestuale previsione di in- debitamento, per compiere un’attività di gestione di interesse della prima, per poi essere desti- nata alla fusione per incorporazione con la medesima e ripianare il debito con gli utili dell’at- tività posta in essere.
00 X. Xxxxxxx, Xx «leveraged buy out» nella riforma societaria, in Obbl. contr., 2004, p. 935 ss., che definisce tale istituto «una istituzione economico-finanziaria che consiste nell’indebitamento che un soggetto contrae per acquisire la proprietà di un’azienda, con lo scopo di migliorarne e accrescerne la produttività ed impiegare il maggior valore prodotto per pagare il debito con- tratto».
societaria, che richiedono, invece, da parte della società acquirente, suffi- cienti risorse proprie, ossia la capacità economica a realizzare direttamente e autonomamente, a proprio rischio, l’acquisto58.
Le operazioni di family buy out sono finanziate, per contro, con ca- pitale di terzi, generalmente fornito da istituti di credito, merchant bank, intermediari specializzati o altri investitori istituzionali. Esse, pertanto, ri- ducono al minimo l’utilizzo di capitale proprio da parte della newco e, per questo, possono favorire i processi di trasmissione post mortem del- l’impresa familiare, evitando che a capo della stessa subentrino soggetti inefficienti o non interessati alla sua gestione, che potrebbero portare l’a- zienda a subire una diminuzione di valore o di redditività59. Attraverso il family buy out i soggetti maggiormente capaci di proseguire l’attività azien- dale60, pur senza disporre di rilevanti risorse finanziarie, possono acquisire la società familiare mediante la costituzione di una società veicolo la quale, dopo aver proceduto all’acquisizione, si obbliga a rimborsare le somme ricevute per concludere siffatta operazione con le attività e i flussi finan- ziari generati dalla gestione corrente della società acquisita o attraverso la vendita dei beni non strategici di essa. Nel contempo nello statuto e nel- l’atto costitutivo della newco si prevede che in futuro (spesso dopo la morte del genitore-impreditore) essa debba fondersi per incorporazione con la società familiare, in modo tale che nel patrimonio dell’originario imprenditore confluisca una somma corrispondente al valore delle quote trasferite alla società incorporante; prezzo che potrà poi essere suddiviso tra tutti i familiari o soltanto tra coloro che sono rimasti estranei all’ope- razione acquisitiva61.
58 Il leveraged buy out si differenzia inoltre da una normale cessione d’azienda in quanto esso permette, per effetto della fusione, di imputare ad avviamento l’eventuale disavanzo da fu- sione, che potrà essere «spalmato» sui singoli beni patrimoniali della società acquisita, mediante una loro rivalutazione rispetto al valore indicato nei libri contabili della stessa (G.F. Campo- basso, Diritto commerciale, II, Diritto delle società, Torino, 2007, p. 638 ss.).
59 Si pensi, ad esempio, alla società Riello che, dopo varie vicissitudini familiari, fu acqui- sita da due cugini che avevano forti divergenze sullo sviluppo strategico del gruppo e che per evitare ulteriori insanabili contrasti decisero di assegnarla mediante un asta familiare, in busta chiusa, a chi di loro avesse formulato l’offerta piú alta. In tal caso, la somma necessaria all’ac- quisto fu versata al cugino «uscente» e venne fornita da una banca d’affari, la quale acquisí il 50% della holding di controllo del gruppo Riello (F. Vergnano, Tra cambi generazionali, dis- sapori e divorzi, i Riello volano in alto, in Sole 24 ore, 22 ottobre 2001).
60 X. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Gli strumenti negoziali, cit., p. 318 ss.
61 Significativa è l’operazione di family buy out progettata per affrontare il passaggio gene- razionale nella Ipa Sud s.r.l., azienda di famiglia attiva nella grande distribuzione organizzata, aderente al consorzio Despar Italia. In tal caso, furono programmate tre fasi al fine di consen- tire ad uno dei fratelli di acquisire le quote degli altri fratelli che avevano deciso di vendere l’a- zienda, visto che i loro figli avevano intrapreso percorsi professionali diversi. La prima fase si
È evidente, quindi, che il family buy out, realizzato attraverso un col- legamento negoziale (costituzione della società veicolo, clausola di incor- porazione per fusione con la società di famiglia e delibera di fusione at- tuata dopo la morte dell’imprenditore), può essere frutto sia dell’iniziativa del familiare che intenda acquisire il controllo maggioritario o totalitario dell’azienda, sia dell’imprenditore che desideri trasferire l’azienda ai suoi discendenti piú capaci62. Per tale ragione, esso si pone non solo come un valido strumento alternativo al testamento, in grado di assicurare la con- tinuazione dell’impresa di famiglia, ma anche come una tecnica che, uti- lizzata unitamente al patto di famiglia, può consentire ai familiari asse- gnatari dell’azienda di liquidare gli altri legittimari non assegnatari, e ri- solvere cosí uno dei problemi piú spinosi posti dall’art. 768 quater, comma 2, c.c.
Sotto questo profilo non pare potersi condividere l’opinione di coloro che hanno evidenziato che l’atto di fusione, deliberato dopo la morte del genitore imprenditore, porterebbe a qualificare il family buy out come un’operazione in frode alla legge, visto che i singoli atti, pienamente le- gittimi se considerati singolarmente, ove valutati nel loro complesso, sa- rebbero finalizzati ad aggirare il divieto imposto dall’art. 458 c.c.63.
A tal riguardo, è sufficiente rilevare che la fusione, essendo un’opera- zione tipizzata dal legislatore, è di per sé neutra, per cui ai fini della sua illiceità ex art. 1344 c.c. è comunque richiesta la specifica prova che sia stata posta in essere non già per garantire la continuità dell’attività di im- presa, ma unicamente per perseguire un’attribuzione patrimoniale mortis causa. Il che appare assai arduo da dimostrare, visto che la morte del- l’imprenditore, in questi casi, si pone spesso come semplice elemento tem- porale che chiude un’operazione traslativa attuata inter vivos per soddi- sfare proprio il predetto interesse imprenditoriale.
7. Un’altra importante tecnica di trasmissione della ricchezza post mor- tem è data dalle clausole, elaborate dalla prassi societaria, che regolano la sorte delle partecipazioni sociali del socio defunto. Si pensi, ad esempio, alle clausole che stabiliscono che tale quota debba trasferirsi ai successori universali, che assumono automaticamente la qualità di soci sulla base della
concretizzò nella creazione di una società (NextGen) interamente partecipata dal ramo della fa- miglia facente capo al fratello che intendeva acquisire la società, in cui confluí la quota di que- st’ultimo in Ipa Sud. Successivamente, la predetta società, grazie ad un finanziamento bancario, acquistò le quote degli altri fratelli e poi si fuse nella NextGen.
62 G.F. Campobasso, Diritto commerciale, cit., p. 652.
63 X. Xxxxxxxxxx, Il leveraged buy out, cit., p. 88.
semplice accettazione dell’eredità (c.dd. clausole di successione); oppure alle clausole che obbligano gli eredi a stipulare un successivo negozio con i soci superstiti, in virtú del quale subentrano nella compagine sociale (c.dd. clausole di continuazione obbligatoria); oppure, ancóra, ai patti statutari che lasciano gli eredi liberi di scegliere se entrare a far parte della società o chiedere la liquidazione della quota del loro dante causa (c.dd. clausole di continuazione facoltativa)64.
Limitando l’esame ai profili di validità di tali clausole in relazione alla proibizione dei patti successori, può dirsi, innanzitutto, che nell’àmbito delle società personali esse rappresentano una deroga al principio della in trasmissibilità mortis causa della quota, che – è noto – trae fondamento dalle regole che sanciscono la responsabilità illimitata del socio e dal ca- rattere fiduciario che connota tali rapporti societari65.
Tuttavia, la natura derogabile di siffatto principio fa sí che le predette clausole siano considerate valide anche sotto il profilo del divieto posto dall’art. 458 c.c.66. In particolare, per ciò che concerne le clausole di con- tinuazione a titolo oneroso, si è sottolineato come esse sanciscano il tra- sferimento delle quote agli eredi sulla base di un atto inter vivos; e pre- cisamente per effetto del contratto che i successori universali stipulano con gli altri soci (clausole di continuazione obbligatorie), oppure in forza del negozio attraverso il quale i soci prestano il consenso alla trasmissibilità mortis causa della partecipazione sociale (clausole di successione)67, e cioè
64 Per tale classificazione, vedi: X. Xxxxxxx, Clausole di continuazione delle società con l’e- rede del socio personalmente responsabile, in Riv. trim., 1953, p. 885 ss.; A. Palazzo, Autono- mia contrattuale, cit., p. 168 ss.; M.V. Xx Xxxxxx, I patti sulle successioni future, cit., p. 146 ss.;
X. Xxxxxxxxx, Successioni anomale e contratto di società, Napoli, 1999, p. 18 ss.; X. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Divieto della vocazione contrattuale, testamento e strumenti alternativi di trasmis- sione della ricchezza, in S. Delle Monache (a cura di), Tradizione e modernità nel diritto suc- cessorio degli istituti classici al patto di famiglia, Padova, 2007, p. 146 ss.
65 M. Palazzo, La circolazione delle partecipazioni e la governance nelle società familiari in prospettiva successoria, in Riv. not., 2007, p. 1375 ss.; X. Xxxxxxxxx, Successione nella quota so- ciale, successione nell’impresa e autonomia statutaria, Milano, 2002, p. 40.
66 Cass., 11 novembre 2008, n. 26946, in Riv. not., 2010, p. 226 ss., con nota di X. Xxxx- xxxxx, Patto successorio e convenzione tra donatari legittimari; Cass., 16 aprile 1994, n. 3609, in Banca borsa tit. cred., 1996, II, p. 161 ss., con nota di X. Xxxxxxx, Clausole di riscatto delle azioni in favore dei soci superstiti e divieto dei patti successori; X. Xxxxxx, Clausole di conti- nuazione della società con gli eredi dell’accomandatario, in Riv. dir. civ., 1975, II, p. 213 ss.; X. Xxxxx, La tipicità delle società, Padova, 1974, p. 322; X. Xxxx, Le clausole limitative della cir- colazione delle partecipazioni societarie: profili generali e clausole di predisposizione successoria, in Nuove leggi civ. comm., 2007, p. 40 ss.
67 X. Xxxxxxx, Le società in genere. Le società di persone, 3a ed., in Tratt. dir. civ. comm. Xxxx, Messineo e Xxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 71; X. Xxxxxxx, Xxxx- xxxx xx xxxxxxxxxxxxx, xxx., x. 000; X. Xxxxx, Le società, in Tratt. dir. civ. Vassalli, X, Torino,
per effetto di una «convenzione sociale reciproca le cui disposizioni ri- mangono sospese fino alla realizzazione di un evento incerto, qual è, ap- punto, la premorienza», di guisa che gli altri soci conseguono la quota tempore mortis e non causa mortis, non essendo successori né a titolo par- ticolare, né a titolo universale del de cuius68.
Nelle società di capitali, invece, vigendo l’opposto principio della libera trasmissibilità sia inter vivos che mortis causa delle azioni, si è stabilito che le eventuali clausole statutarie derogative dello stesso possono sí vie- tare il trasferimento o limitare la circolazione delle azioni, ma devono pre- vedere la liquidazione agli eredi delle partecipazioni possedute dal socio premorto. In particolare, ancor prima delle novità introdotte con la riforma del diritto societario, che ha ampliato l’autonomia statutaria e con essa il novero delle clausole legittime69, dottrina e giurisprudenza, da tempo, af- fermavano la validità delle clausole che consentivano agli azionisti super- stiti di «riscattare» dagli eredi le azioni da essi acquistate, successionis causa, ad un prezzo i cui criteri di determinazione risultavano convenzionalmente stabiliti.
Tali clausole, peraltro, ancóra oggi, continuano ad essere inquadrate nello schema delineato dall’art. 1331 c.c.70, il quale, in virtú del richiamo
1987, p. 275; C. Xxxxxxx, Xxxxxxxx statutaria sulla morte del socio e patto successorio, Torino, 1983, p. 25 ss.; in giurisprudenza vedi: Cass., 16 dicembre 1988, n. 6849, in Giur. it., 1989, I, 1, c. 1130 ss., con nota di X. Xxxxxx, Divisione testamentaria della quota di partecipazione in società di fatto e continuazione della società con gli eredi.
68 In particolare, la Suprema Corte ha chiarito come detta clausola, configurandosi come atto inter vivos, non contrasti né con l’art. 2322 c.c., che espressamente prevede la trasmissibi- lità mortis causa della quota del socio accomandante, né con l’art. 458 c.c., in quanto fuoriesce
«dallo schema tipico del patto successorio» (Cass., 11 novembre 2008, n. 26946, cit.; in questo senso, vedi pure Cass., 11 ottobre 2006, n. 2183, in xxx.xxxxxx.xxxxxxx.xx).
69 Il d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, disciplina le clausole di predisposizione successoria negli art. 2355 bis, comma 3, c.c., per le s.p.a. (applicabile alle s.a.p.a. ex art. 2454 c.c.) e 2469, comma 2, c.c., per le s.r.l., nonché negli artt. 2437 e 0000 xxx, xxx, xxxxxx x.x., xxx xx x.x.x. x 0000 x.x., xxx xx s.r.l. Esso inoltre ha introdotto alcune importanti novità che riguardano: la circolazione dei certificati azionari (art. 2355, comma 4, c.c.) e i limiti alla circolazione delle azioni (art. 2355 bis c.c.). Infatti, la scelta di fondo del legislatore della riforma è stata quella di ampliare l’auto- nomia statutaria, realizzando la chiusura del sistema di bilanciamento di interessi e la tutela del socio (e dei suoi eredi) con il diritto di ottenere l’equivalente monetario del valore (reale) della partecipazione, ove le clausole non consentano in concreto il trasferimento. Con la rilevante dif- ferenza che nella s.p.a. le previsioni difformi sono affette da inefficacia, mentre nelle s.r.l. re- stano efficaci, salvo il diritto ex lege alla liquidazione delle quota (X. Xxxxxxxxx, La circola- zione delle partecipazioni sociali tra statuto e contratto, in Riv. not., 2004, p. 63; X. Xxxxxxxxx, Partecipazioni di s.r.l. e loro vicende, ivi, 2003, p. 1405; X. Xx Xxxxx, Circolazione delle parte- cipazioni azionarie, ivi, p. 811).
70 X. Xxxxxxx, Interesse sociale ed esclusione del diritto d’opzione, in Riv. dir. comm., 1955, II, p. 281; X. Xxxx, I fenomeni c.d. parasuccessori, cit., p. 1195; M.R. Marella, Il divieto dei
all’art. 1329 c.c. – che stabilisce che la proposta (che ognuno dei soci si è impegnato a mantenere ferma) non perde efficacia alla morte del propo- nente – consente agli azionisti superstiti di perfezionare, inter vivos, il ne- gozio di acquisto71. Xxxxxxxx si ritiene che, in tali casi, la morte del socio assuma una rilevanza meramente temporale e non già «causale», in quanto, a differenza di ciò che accade in presenza di una clausola di consolida- zione – dove il decesso del contraente determina l’immediato trasferimento delle azioni (o delle quote) appartenenti al de cuius in capo agli altri soci
– l’evento morte costituisce soltanto «il presupposto perché il diritto d’op- zione possa essere esercitato»72.
In realtà, anche dopo la riforma del 2003, si continua a sostenere che gli azionisti superstiti acquistano le azioni «non come eredi, ma dagli eredi, esercitando il diritto d’opzione nei limiti temporali e secondo le condi- zioni stabilite nello statuto o nell’atto costitutivo e, perciò, in forza di un atto tra vivi». Dette clausole pertanto – secondo la Suprema Corte – pro- ducono un immediato effetto vincolante nei confronti di tutti i soci e de- terminano la nascita di una situazione di aspettativa in capo ai beneficiari, con conseguente indisponibilità obbligatoria delle azioni73.
La prevalente giurisprudenza e larga parte della dottrina ritengono, pe- raltro, che sia le clausole di riscatto che quelle di continuazione siano va-
patti successori e le alternative convenzionali al testamento, in Nuova giur. civ. comm., 1991, II,
p. 108; X. Xxxxxxxx, Rapporto contrattuale, cit., p. 173 ss. Non sempre, però, tali clausole sono formulate secondo lo schema dell’opzione. In taluni casi esse prevedono un obbligo ad alienare da parte degli eredi, mentre, in altri, attribuiscono un diritto di prelazione a favore dei soci su- perstiti..
71 L’utilità del richiamo all’art. 1329 c.c. è sottolineata da X. Xxxxxx, Il contratto e l’op- zione, Napoli, 1969, p. 60 ss., che trae argomento dalla natura della situazione soggettiva (sog- gezione) in cui viene a trovarsi il proponente per affermare che l’esercizio del diritto d’opzione è un atto diverso da quello disciplinato dall’art. 1326 c.c. Considerano il riscatto come potere conformativo del patrimonio dell’erede X. Xxxxxxx, Azioni con prestazioni accessorie e clausole di riscatto, in Riv. soc., 1982, p. 763 ss.; X. Xxxxxxx, La clausola di riscatto nelle società per azioni, Milano, 1995, p. 272 ss.
72 Cass., 12 febbraio 2010, n. 3345, cit., e in Giur. it., 2010, p. 560 ss., con nota di V. Cuf- faro, Divieto dei patti successori e clausole statutarie c.d. di consolidazione, che, in relazione alle clausole di riscatto, ha ribadito come esse possano considerarsi valide in quanto, a differenza delle clausole di consolidazione che non ricollegano direttamente alla morte del socio l’attribu- zione ai soci superstiti della quota di partecipazione del defunto, consentono che questa entri inizialmente nel patrimonio degli eredi e possa successivamente essere acquistata dai soci su- perstiti attraverso il diritto d’opzione previsto nello statuto sociale.
73 Cass., 12 febbraio 2010, n. 3345, cit.; Cass., 16 aprile 1994, n. 3609, cit.; e già Trib. Roma, 18 giugno 1953, in Temi rom., 1955, I, p. 151 ss.; nonché in Foro it., 1956, IV, c. 22 ss., con nota di X. Xxxxxxxxxx, Un caso clinico. In dottrina, vedi X. Xxxxxxx, x.x., x. 000; F. Parente, Le disposizioni in «forma indiretta», cit., p. 134; X. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Gli strumenti nego- ziali, cit., p. 967.
lide solo là dove prevedano la liquidazione della quota ai successori, in quanto è esclusivamente in tali casi che la clausola, consentendo all’eredi- tando di disporre di un bene sostitutivo (corrispondente al valore della quota), nessun contrasto determina con il divieto dei patti successori. Con- trasto che sarebbe invece ravvisabile ove la clausola stabilisse che alla morte di uno dei soci la quota si trasferisca agli altri soci, senza prevedere al- cuna liquidazione in favore degli eredi. Questo perché, in quest’ultimo caso, la convezione escluderebbe totalmente la libertà testamentaria e, come tale, si porrebbe in contrasto con l’art. 458 c.c.74.
È questa, peraltro, un’impostazione che sembra essere stata ribadita an- che dal legislatore del 2003, il quale ha formalmente sancito l’invalidità delle clausole c.dd. di consolidazione pura, che dispongono l’automatico trasferimento della quota agli eredi senza prevedere l’attribuzione di al- cunché ai successori; mentre ha considerato valide le clausole che consen- tono la consolidazione o il riscatto in favore dei soci superstiti dietro il pagamento di un corrispettivo agli eredi o ai legatari del socio premorto75. Tuttavia, ciò che suscita dubbi e perplessità è proprio l’affermato con- trasto delle clausole di consolidazione pura o di riscatto non onerose con l’art. 458 c.c., poiché tale costruzione porta ad estendere l’àmbito appli- cativo di siffatto divieto oltre i confini suoi propri, ricomprendendo fat- tispecie differenti che sottendono interessi eteronomi rispetto a quelli che si pongono a fondamento dello stesso. La previsione della liquidazione della quota agli eredi e la congruità dei criteri per stabilire il valore della stessa76, sono diretti, infatti, piú a tutelare i creditori particolari del de cuius
74 Cass., 16 aprile 1975, n. 1434, in Giur. it., 1976, I, 1, p. 59; Cass., 16 aprile 1994, n. 3609,
cit.; App. Bologna, 23 ottobre 1996, in Società, 1997, p. 414; App. Torino, 22 novembre 1993, cit.; Trib. Vercelli, 19 novembre 1992, cit., che nel dichiarare nulle le clausole di consolidazione senza liquidazione o con liquidazione della sola quota di capitale, hanno precisato che esse pos- sono essere valide solo se «emergano particolari ragioni che giustifichino l’accrescimento o non sussista un divario eccessivo tra il valore della quota di capitale e quello della quota di patri- monio». È, questa, del resto, la prospettiva in cui si muove la dottrina prevalente M.V. Xx Xxxxxx, I patti sulle successioni future, cit., p. 151; X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, La morte del socio di società di persone, Palermo, 1983, p. 83 ss.; M.R. Xxxxxxx, Il divieto dei patti succes- sori, cit., p. 110; X. Xxxxxxx, La clausola di riscatto nelle società per azioni, cit., p. 281 ss.; X. Xxxxxxxxx, Clausole in funzione successoria negli statuti delle società di persone, in Giur. comm. 1995, I, p. 94 ss.
75 X. Xxxx, Le clausole limitative, cit., p. 40 ss.
76 I criteri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per la liquidazione della quota fanno riferimento, essenzialmente: a) all’ultimo bilancio approvato dal socio defunto (Cass., 17 marzo 1951, n. 685, cit.; X. Xxxxxxx, Intorno all’alienazione di azioni con clausola di gradimento, Mi- lano, 1954, p. 100); b) alla situazione patrimoniale della società, tenuto conto del valore del- l’avviamento (App. Milano, 20 settembre 1985, in Società, 1986, p. 378); c) alla situazione pa- trimoniale contemperata dalla valutazione dell’andamento della società in un determinato arco
ed a salvaguardare l’intangibilità della quota di riserva che ad incidere sulla funzione (mortis causa o inter vivos) dell’attribuzione che la clausola tende a realizzare.
In realtà, se è vero che i legittimari non hanno diritto ad ottenere in eredità un determinato e specifico bene, dovendosi l’intangibilità della ri- serva intendere in senso quantitativo e non qualitativo77, è altresí indub- bio che, ove la clausola escluda la liquidazione della quota agli eredi, op- pure preveda criteri determinativi del valore poco congrui, i legittimari, ri- cevendo in sostituzione della partecipazione sociale un diverso bene, di valore ad essa inferiore, possono sí subire una lesione delle loro aspetta- tive sull’eredità, e dunque esperire i rimedi a tal fine predisposti, ma non già invocare l’applicazione di un divieto, qual è quello posto dall’art. 458 c.c., che – si è visto – riposa su ragioni altre e diverse rispetto a siffatte esigenze78. Anche perché se si aderisse all’indirizzo giurisprudenziale so- pra descritto dovrebbe ammettersi che la clausola, pur là dove realizzi un’attribuzione a causa di morte, se è onerosa, sia comunque valida. Il che introdurrebbe una distinzione nell’àmbito dei patti successori istitutivi che non trova riscontro nella previsione di cui all’art. 458 c.c., che vieta tutte le convenzioni a causa di morte, siano esse gratuite o onerose.
Conseguentemente, è dato ritenere che il criterio della corrispettività o onerosità del trasferimento delle partecipazioni sociali piú che interferire con la natura inter vivos o mortis causa dell’attribuzione, sia essenzial- mente orientato a contemperare tre diversi interessi: quello dei soci a evi-
di tempo (A. Palazzo, Autonomia contrattuale, cit., p. 172, il quale per evitare il rischio che si verifichi un arricchimento dei soci superstiti a danno dei successori, che potrebbe portare ad una dichiarazione di nullità della clausola per contrasto con il divieto dei patti successori, sot- tolinea la necessità di integrare il criterio sub a con l’introduzione di alcuni coefficienti che fun- zionino da correttivi di tale potenziale squilibrio); d) alla situazione patrimoniale della società al momento della successione nella titolarità dell’azione (X. Xxxx, I fenomeni c.d. parasuccessori, cit., p. 1176,). Con esclusivo riguardo alle società quotate in borsa si è fatto riferimento, altresí, al prezzo medio delle azioni nell’ultimo semestre (X. Xxxxxxx, o.l.u.c.) oppure al valore effet- tivo di mercato delle azioni (X. Xxxxxxx, Clausole di riscatto delle azioni, cit., p. 651).
77 X. Xxxxxxxxxxx, Il patto di famiglia, cit., p. 135 ss.
78 X. Xxxxxxx, Contributo allo studio delle disposizioni testamentarie “in forma indiretta”, in Aa.Vv. (a cura di), Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxxx, II, Diritto privato, 1, Persone, fami- glie, successioni e proprietà, Milano, 1998, p. 966, nota 124, ha rilevato che dal collegamento tra i risultati cui è pervenuta la giurisprudenza e la dottrina in tema di intangibilità della quota di riserva, da intendersi in senso quantitativo, e la regola giurisprudenziale elaborata in ordine alle clausole di riscatto, si evince chiaramente come detta regola sia posta proprio in funzione del- l’esigenza di apprestare tutela ai legittimari e non già per determinare la natura (mortis causa o inter vivos) del patto. L’autore evidenzia, pertanto, come la giurisprudenza utilizzi il divieto dei patti successori per finalità ad esso estranee e ciò al «prezzo della nullità delle clausole non pre- giudizievoli che realizzano una funzione protettiva dell’interesse sociale».
tare che soggetti estranei entrino nella compagine sociale e, dunque, a man- tenere la coesione della società; il diritto degli eredi a non veder intaccata la loro quota di riserva e l’esigenza dei creditori a non veder pregiudicate le loro ragioni79. Ne segue che nessun significativo indice circa la natura successoria dell’attribuzione può trarsi dalla gratuità del trasferimento della partecipazione sociale, visto che in dette clausole, siano esse pure o one- rose, il decesso del socio assume il medesimo ruolo ed impone una valu- tazione circa la liceità del patto in base ai medesimi criteri direttivi.
Cosicché per stabilire se dette clausole contrastino o meno con il di- vieto dei patti successori ciò a cui occorre aver riguardo è soprattutto al- l’attualità e stabilità della disposizione, ossia se essa realizza un’attribu- zione in cui le azioni sono individuabili nella loro esistenza e consistenza ante mortem, oppure un’attribuzione de residuo80, poiché è solo in que- st’ultimo caso che la clausola, sia essa gratuita o onerosa, ricade nell’àm- bito del divieto di cui all’art. 458 c.c.81.
8. Tra gli strumenti utilizzati dai privati per attuare un trasferimento di ricchezza post mortem, significativo è il richiamo al mandato post mor- tem. Espressione, questa, che in una prima generale accezione individua il contratto con il quale una parte si obbliga a compiere una determinata at- tività giuridica dopo la morte del dominus.
Nell’àmbito di tale ampia fattispecie, dottrina e giurisprudenza operano peraltro una preliminare e fondamentale distinzione alla quale ricollegano una serie di conseguenze destinate ad incidere sull’ammissibilità stessa della figura. Piú precisamente, numerosi sono gli autori che tendono a distin- guere il mandato post mortem exequendum, in cui il mandatario è tenuto a porre in essere un’attività esecutiva relativa ad un’attribuzione patrimo- niale che si è già perfezionata inter vivos, dal mandato mortis causa, che ha per oggetto il trasferimento a favore di un terzo di determinati diritti rientranti nell’asse ereditario82.
79 X. Xxxxxxxxxxx, Interessi dell’impresa e interessi familiari nella vicenda successoria, in Aa.Vv. (a cura di), La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del diritto successorio, Padova, 2004, p. 131.
80 Proprio per tale ragione, parte della dottrina (X. Xxxx, La disciplina del patto di fami- glia, cit., p. 1081 ss.) ha evidenziato l’utilità di introdurre la figura del c.d. patto di impresa, di un patto, cioè, che preveda a «favore della società, dei soci o di terzi, il diritto di acquistare le azioni nominative cadute in successione» ad un prezzo corrispondente al loro valore.
00 X. Xxxxxxx, Xxxxx del disponente, cit., p. 149 ss.;
82 Xx xxxxxx, x. X. Xxxxxxxx, Xxxxxxx, xxx., x. 00; X. Xx Xxxxx, Il mandato post mortem exequendum, in Fam. pers. succ., 2011, p. 688 ss.; F.A. Moncalvo, Sul mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante, ivi, 2010, p. 56 ss; A.A. Xxxxxxxx, Xxxxx successori istitutivi, cit.,
Sulla scia di tale distinzione, si tende a considerare nulla quest’ultima figura perché in contrasto con i princípi che regolano la trasmissione dei diritti successori; mentre si ritiene valido il mandato post mortem exe- quendum, proprio perché l’incarico che il mandatario deve adempiere dopo la morte del dominus si traduce in una semplice attività materiale, che può essere anche di natura non economica83. Soluzione, questa, che può defi- nirsi intermedia tra la tesi piú restrittiva – che considera il mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante sempre e comunque nullo per l’in- derogabilità della norma posta dall’art. 1722, n. 4, c.c.84 – e l’opinione di coloro i quali considerano valido anche il mandato mortis causa purché sia liberamente revocabile dal dominus85.
E, tuttavia, se il primo indirizzo può ormai considerarsi superato dai piú recenti orientamenti che, da tempo, assegnano carattere dispositivo86 alla regola, derivante dalla trattazione di Gaio, mandatum morte finitur87,
p. 457 ss.; A. Palazzo, Attribuzioni patrimoniali, cit., p. 1249; X. Xxxxxxx, Successioni e do- nazioni, cit., p. 368.
83 Cass., 23 maggio 2006, n. 12143, in Riv. not. 2007, p. 693, con nota di X. Xxxxxxxx,
Le disposizioni sulla sepoltura fra testamento e mandato post mortem; in Fam. per. succ., 2007,
p. 524 con nota di X. Xxxxxxxx, Iscrizione a «società» di cremazione e mandato post mortem, e già Cass., 28 luglio 1950, n. 2146, in Foro it. 1951, I, c. 920, con nota di X. Xxxxxxx Fer- rara, Mandato post mortem e disposizioni sulla sepoltura; Id., Xxxxxxx minori, Napoli, 1986, p. 602 ss.; la quale ha affermato che l’atto di iscrizione a società di cremazione costituisce man- dato oneroso post mortem, lecito e vincolante per gli eredi; Trib. Palermo, 16 marzo 2000, in Contratti, 2000, p. 1101 ss., con nota di X. Xxxxxxxx, Una valida ipotesi di mandato post mor- tem, che ha affermato la validità del mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante, avente ad oggetto la tumulazione delle spoglie mortali. Il riferimento è altresí al mandato concernente la pubblicazione delle opere inedite o relativo alle credenziali di accesso alle risorse informati- che (N. Di Staso, Il mandato post mortem, cit., p. 690 ss.).
84 X. Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960 (rist.), p. 320; X. Xxxxxxxxx,
Le obbligazioni testamentarie, 2a ed., Milano, 1980, p. 549.
85 In questo senso, seppur con argomentazioni diverse, vedi: M.V. Xx Xxxxxx, I patti sulle successioni future, cit., p. 145; X. Xxxxxxxx, Osservazioni sul mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante, in Riv. dir. comm., 1964, p. 304.
86 Alcuni autori, tuttavia, affermano la derogabilità della previsione di cui all’art. 0000 x.x., xxxxx xxxx xxxxx xxxxxx xxxxxxxxxx xxx xxxxxxxx (X. Xxxxxxxx, Appunti sul mandato, Napoli, 1966,
p. 90 ss.); mentre altra dottrina ritiene che detta norma abbia natura dispositiva perché diretta a tutelare unicamente l’interesse dei successori di scegliere liberamente i criteri e le modalità di amministrazione del patrimonio ereditario (X. Xxxxxxxxx, Il mandato, la commissione, la di- sposizione, in Tratt. dir. civ. Vassalli, Torino, 1954, p. 205; F. Bile, Il mandato, la commissione, la spedizione, Xxxx, 0000, p. 231).
87 X. Xxxxxxxxxx, Intuitus personae e tipo negoziale, in Aa.Vv. (a cura di), Studi in onore di Xxxxxxxxx Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Napoli, 1972, p. 649; X. Xxxxxxx, La rilevanza della persona nei rapporti privati, Napoli, 1974, pp. 113 e 256; X. Xxxxxxxx, Mandato commissione spedi- zione, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, Milano, 1984, p. 125 ss.; X. Xxxxxxxxx, o.c.,
p. 207 ss.; X. Xxxxxxxxx, Xxxxxxx fiduciario e mandato post mortem, nota critica a Trib. Mi-
dubbi e perplessità suscita invece l’opinione di chi riconosce validità al mandato mortis causa ove lo stesso sia liberamente revocabile dal man- xxxxx, ritenendo che in tal caso nessun contrasto sussista con la ratio del divieto dei patti successori istitutivi. Di qui la nullità del solo mandato oneroso o irrevocabile, oppure conferito anche nell’interesse del mandata- rio o di un terzo, visto che, nei primi due casi, il mandante o i suoi eredi, esercitando il potere di revoca (recesso), in assenza di una causa di giu- stificazione, possono sí liberarsi dal vincolo, ma sono comunque tenuti ad indennizzare il mandatario88; mentre, nell’altra fattispecie, lo scioglimento del rapporto è subordinato – come è noto – all’esistenza di una giusta causa89.
Si è già chiarito, però, che la ratio del divieto dei patti successori isti- tutivi non può ritenersi soddisfatta dalla sola revocabilità dell’atto, in quanto essa è piú complessa e articolata e si ricollega al principio di tipicità delle fonti di delazione ereditaria, che individuano nel testamento l’unico stru- mento con cui i privati possono disporre dei loro beni per il tempo suc- cessivo alla morte ed in funzione di essa (art. 587 c.c.). L’esclusività asse- gnata dal legislatore al negozio di ultima volontà concerne proprio la fun- zione che esso è destinato a svolgere; funzione che si differenzia netta- mente da quella dei negozi inter vivos (anche a struttura unilaterale). In- fatti, mentre questi ultimi sono destinati a regolare un conflitto di inte- ressi tra il disponente e coloro ai quali la dichiarazione è diretta, il testa- mento, invece, non creando alcun vincolo giuridico tra l’ereditando ed i terzi, assicura l’effettività e spontaneità dell’intento dispositivo, evitando che lo stesso possa risultare distorto dalla volontà di terzi o dall’esigenza di tutelare l’altrui affidamento.
lano, 18 aprile 1974, in Giur. comm., 1975, II, p. 694; X. Xxxxx, Successioni in generale, in Comm.
c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980, p. 106; in giurisprudenza, ex multis: Cass., 25 marzo 1993, n. 3602, in Foro it., 1995, I, c. 1613.
88 La fattispecie viene qualificata in termini di atto lecito dannoso e determina in capo man- datario il diritto ad ottenere – oltre al compenso proporzionale all’opera prestata fino a quel momento e al rimborso delle spese sostenute – un indennizzo commisurato al lucro cessante sofferto per la anticipata estinzione del rapporto, da ragguagliarsi agli utili che egli avrebbe po- tuto percepire dall’esecuzione dell’incarico, detraendo gli eventuali guadagni conseguiti in tale periodo a séguito dell’esercizio di altre attività che non avrebbe potuto svolgere in mancanza della revoca (X. Xxxxxxxxx, o.c., p. 181; X. Xxxxxxxxxx, o.u.c., p. 645). Diversamente, altri au- tori (X. Xxxxxxxx, o.c., p. 468) ritengono che, ove sia stata pattuita l’irrevocabilità, l’eventuale revoca costituirebbe un illecito contrattuale in quanto violerebbe l’obbligo di non recedere (se non per giusta causa) nascente dall’accordo. Di qui il risarcimento del danno spettante al man- datario commisurato «alla lesione dell’interesse […] alla permanenza del rapporto e non sol- tanto alla lesione dell’interesse al compenso, che potrà costituire semmai (nel mandato oneroso) una delle componenti».
89 Mass. Xxxxx, Il mandato conferito nell’interesse altrui, Milano, 2003, p. 68 ss
Di conseguenza, dubbi suscita anche l’opinione di coloro i quali, sem- pre nell’àmbito del medesimo indirizzo, per dimostrare la validità del man- dato mortis causa revocabile hanno messo in dubbio che il testamento rap- presenti l’unico strumento per realizzare un assetto di interessi successo- rio ed hanno affermato che ciò che è dato desumere dalla disciplina det- tata per l’atto mortis causa è solo il principio della essenzialità della forma
«quale particolare strumento di garanzia di certezza e serietà della volontà testamentaria» e non anche quello della esclusività del tipo. Sicché ben po- trebbe riconoscersi validità al mandato a causa d morte ove questo fosse stato stipulato per atto pubblico o con l’osservanza delle formalità pre- scritte per il testamento olografo90.
Ragionando in quest’ottica, però, non solo non si attribuisce la dovuta rilevanza al peculiare modo di atteggiarsi del testamento sotto il profilo dinamico funzionale, ma riesce altresí difficile comprendere perché il legi- slatore abbia espressamente posto un divieto cosí perentorio come quello desumibile dagli artt. 457 e 458 c.c., quando, ai fini della validità dei con- tratti a causa di morte, sarebbe stato sufficiente imporre ai contraenti l’a- dozione di una determinata forma91.
È per tali motivi, dunque, che, allo stato, può riconoscersi validità al mandato post mortem unicamente là dove esso abbia ad oggetto un inca- rico che si concretizza in un’attività esecutiva relativa ad un’attribuzione patrimoniale già perfezionata in vita dal mandante. Cosí come accade, ad esempio, allorquando il dominus conferisce al mandatario l’incarico di con- segnare a terzi determinati beni il cui diritto di proprietà il mandante, me- diante appositi atti di alienazione, abbia già trasferito ai beneficiari, di guisa che l’attività del mandatario si rivela essere meramente esecutiva rispetto ad un trasferimento di diritti già attuatosi inter vivos92.
Piú complessa e articolata è la soluzione prospettabile nei casi in cui
90 C.M. Xxxxxx, Diritto civile, II, cit., p. 420; in questo senso, in relazione al trust, vedi X. Xxxxx, Trust, Milano, 1997, p. 512, nota 149, dove si sottolinea l’opportunità di far ricorso al- l’atto pubblico. Diversamente, X. Palazzo, Donazione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., VII, To- rino, 1991, p. 157, che evidenzia come il requisito della forma nell’àmbito delle liberalità post mortem, in quanto inidoneo a tutelare adeguatamente il disponente, abbia subíto un profondo declino, nonostante in altri settori del diritto privato si sia assistito ad una rivalutazione dei re- quisiti formali.
91 X. Xxxxxxxx, Rapporto contrattuale, cit., p. 223; A.A. Xxxxxxxx, Xxxxx successori istitu- tivi, cit., p. 457; X. Xx Xxxxx, Il mandato post mortem, cit., p. 690.
92 Relativamente ad un’ipotesi di mandato a vendere da eseguirsi dopo la morte del domi- nus, la Suprema Corte ha chiarito che l’incarico deve considerarsi nullo poiché la coincidenza dei mandatari con gli eredi «necessariamente implica la riferibilità della loro volontà negoziale all’assorbente posizione di successori, ormai ostativa ad una contrattazione in nome e per conto del proprietario» (Cass., 23 aprile 2001, n. 5891, in xxx.xxxxxx.xxxxxxx.xx).
al mandato si affianchi un patto fiduciario con il quale il mandatario si obbliga con il mandante a trasferire al terzo, dopo la morte del dominus, i beni ricevuti inter vivos93. Ai fini della liceità di tali operazioni, è neces- sario svolgere, infatti, una penetrante indagine sugli scopi concretamente perseguiti dalle parti, in modo da valutare se i beni siano stati trasferiti al fiduciario solo formalmente, conservando il fiduciante la sostanziale di- sponibilità sugli stessi, oppure siano realmente entrati a far parte del pa- trimonio del mandatario94.
In realtà, se si valuta esclusivamente la struttura formale dell’operazione negoziale, è evidente che nessun contrasto sussiste con il divieto dei patti successori, dal momento che i beni vengono acquistati immediatamente, inter vivos, dal fiduciario e da quest’ultimo trasferiti, dopo la morte del mandante, al terzo95. Diversamente, se si ha riguardo al profilo funzionale dell’atto ed al suo concreto atteggiarsi, occorre essere molto piú cauti nel- l’affermare la validità di tali operazioni96, in quanto esse, diffuse soprat- tutto in àmbito finanziario, sembrano fondarsi spesso sullo schema della fiducia non romanistica, ma germanistica, incentrata – come è noto – sulla
93 X. Xxxxxxxxx, Xxxxxxx fiduciario, cit., p. 700 ss.; A. Palazzo, Attribuzioni patrimoniali, cit., p. 1249 ss.; X. Xxxxxxxx, Osservazioni sul mandato, cit., p. 304; X. Xxxxxxxxx, Rapporti fiduciari nei trasferimenti mortis causa e post mortem: un vecchio problema rivisitato, in Aa.Vv. (a cura di), Fiducia, trust, mandato ed agency, Milano, 1991, p. 230 ss.; X. Xxxxxxxxx, Il man- dato, cit., p. 125, i quali tendono a considerare valide le fattispecie descritte nel testo.
94 Gli autori che hanno studiato tali schemi negoziali in chiave di alternativa convenzionale al testamento hanno rilevato, peraltro, che essi presentano due difficoltà, e precisamente: a) l’o- perazione negoziale è gravata dalle spese fiscali sul doppio trasferimento che rende assai costoso il congegno; b) l’inadempimento del fiduciante non è sanzionabile specificamente in quanto può dar luogo solo al risarcimento del danno. Nel mandato, invece, all’inconveniente sub a), si ag- giungono la libera revocabilità del contratto da parte degli eredi, che potrebbe ostacolare il ri- trasferimento del bene al beneficiario, e la possibile permanenza del bene per un periodo di tempo indefinibile (fino alla morte del mandante) nel patrimonio del mandatario (X. Xxxxxxxx, Rapporto contrattuale, cit., p. 227; M.R. Xxxxxxx, Il divieto dei patti successori, cit., p. 91 ss.;
M.L. Xxxxxxx, Il negozio fiduciario negli orientamenti della giurisprudenza, in Rass. dir. civ., 1998, p. 965). Proprio per tali ragioni si è sostenuto che per realizzare lo scopo del disponente sarebbe preferibile la donazione fiduciaria (X. Xxxxxxxxx, o.c., p. 238).
95 A. Palazzo, Attribuzioni patrimoniali, cit., p. 1249 ss.; X. Xxxxxx, Patrimoni destinati nell’interesse della famiglia tra diritto positivo e prospettive di disciplina del trust, in Aa.Vv. (a cura di), Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Milano, 2003,
p. 101 ss.
96 X. Xxxxxxxx, Intestazione di quota societaria, negozio fiduciario e mandato a confronto, in Riv. giur. sarda, 2011, p. 518, rileva come anche il primo trasferimento, dal fiduciante al fi- duciario, trovi la sua causa nella morte del mandante, dato il peso determinate che, ai fini della collazione e dell’azione di riduzione, assume il “piano economico effettuale dell’operazione com- plessiva”. Piano che dimostrerebbe il carattere strumentale del primo atto di alienazione rispetto alle reali finalità perseguite dalle parti, che sarebbero dirette essenzialmente ad arricchire il be- neficiario finale dell’attribuzione.
dissociazione tra titolarità sostanziale del diritto, che rimane al fiduciante, e legittimazione formale all’esercizio dello stesso che viene attribuita al fi- duciario97.
Conseguentemente, questi tipi di trasferimento, sebbene in astratto le- citi, possono, per contro, risultare invalidi in concreto, sotto il profilo della frode alla legge, soprattutto là dove il dominus, oltre a conservare integro il potere sostanziale di disporre dei beni negoziati, si sia riservato la fa- coltà di individuare i beneficiari dell’attribuzione mediante un atto di ul- tima volontà98. In presenza di tali caratteri, sia i beni che gli effettivi de- stinatari degli stessi si identificano solo al momento della morte del man- xxxxx-fiduciante, rendendo la funzione dell’atto assai simile a quella dei negozi a causa di morte, e dunque illecita ai sensi dell’art. 1344 c.c.99. Tant’è vero che anche quella parte della dottrina che riconosce validità al man- dato post mortem là dove il dominus abbia la possibilità di revocare libe- ramente l’incarico non ha mancato di avvertire che, a fronte di «una tra- smissione fiduciaria con conseguente titolarità formale e conseguente po- tere di abuso del fiduciario», ogni «lesione o contaminazione» del divieto dei patti successori non possa ritenersi esclusa100.
Viceversa, sembra fuoriuscire dall’àmbito operativo del divieto di cui all’art. 458 c.c. lo schema del contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante101. In tale ipotesi – nella quale,
97 Per il riferimento alla dissociazione tra proprietà formale e proprietà sostanziale, vedi X. Xxxxxx, Introduzione e considerazioni conclusive, in Aa.Vv. (a cura di), Destinazione di beni allo scopo, cit., p. 35 ss.
98 Si è rilevato (A. Palazzo, Attribuzioni patrimoniali, cit., p. 1254 s.) come dalla norma- tiva riguardante le s.i.m. emerga uno schema contrattuale che sembra rientrare nell’àmbito della fiducia di tipo germanistico proprio perché il bene non può considerarsi uscito dal patrimonio del cliente (fiduciante). Per tale ragione, si è affermato che il titolare dei valori mobiliari per di- sporre validamente degli stessi per il tempo in cui avrà cessato di vivere, dovrebbe, al momento della costituzione del rapporto, far ricorso ad una tipologia contrattuale della gestione rappre- sentativa, che rende meno incisivo il potere di controllo del cliente. Non solo, ma sarebbe al- tresí necessario che nel negozio con la s.i.m. si inserisca una clausola la quale preveda che in caso di morte del cliente «la società promette il trasferimento dei beni al terzo beneficiario in- dicato nel contratto».
99 X. Xxxxxx, Attribuzioni patrimoniali, cit., p. 196.
100 M.V. Xx Xxxxxx, I patti sulle successioni future, cit., p. 145; X. Xxxxxxxx, Negozio mor- tis causa o post mortem, in Giust. civ., 1991, I, p. 957, la quale in relazione al contratto a fa- vore di terzo rileva come esso costituisca uno strumento «di legittimazione di operazioni ne- goziali di tipo fiduciario che potrebbero essere considerate invalide proprio perché in contrasto con il divieto dei patti successori».
101 X. Xxxxxxxx, Il contratto e terzi, in X. Xxxxxxxxx (a cura di), I contratti in generale, II, in Tratt. contr. Xxxxxxxx, Torino, 1999, p. 1088 ss.; X. Xxxxxx, Il contratto a favore di terzi, in X. Xxxxxxxx (a cura di), Effetti, in Tratt. contr. Roppo, III, Milano, 2006, p. 390 ss.
a titolo esemplificativo, rientrano la rendita vitalizia, il vitalizio alimentare e l’assicurazione sulla vita a favore di terzi – l’acquisto del diritto da parte del terzo, beneficiario della disposizione, avviene iure proprio e non iure successionis102. Detto acquisto, in particolare, si verifica per effetto del con- tratto stipulato tra promittente e stipulante e non a «causa» della morte di quest’ultimo103. Il decesso dello stipulante si pone infatti come mero elemento temporale teso a differire nel tempo la realizzazione di un di- ritto che è stato già acquistato dal terzo in via immediata e diretta per ef- fetto della stipulazione e che è entrato, inter vivos, a far parte della sua sfera giuridica.
Per tali ragioni, le descritte operazioni negoziali, risultando prive degli indici caratterizzanti le convenzioni a causa di morte, visto che l’attribu- zione non solo non è subordinata alla premorienza dello stipulante al be- neficiario, ma è spesso resa stabile e definitiva attraverso la rinunzia al po- tere di revoca e la dichiarazione del terzo di voler profittare del benefi- cio, devono considerarsi estranee all’area operativa del divieto posto dal- l’art. 458 c.c.104.
9. Particolarmente controverso, inoltre, è l’utilizzo del trust in funzione successoria. Esso, nella sua configurazione essenziale, a differenza del ne- gozio fiduciario, fa sí che il trustee si obblighi direttamente verso il terzo a trasferire i beni che ha ricevuto inter vivos dal settlor; beni che sono og- getto di un effetto segregativo e che rimangono pertanto staccati da quelli del trustee105. Il che vale indubbiamente a differenziare tale negozio sia
102 X. Xxxxxx, Disposizione di beni, cit., p. 641; X. Xxxxxxxxxxx, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 305; X. Xxxxxxxx, I legati, in Cod. civ. Comm. Xxxxxxxxxxx, Milano, 2001, p. 130 ss.; C.M. Xxxxxx, Diritto civile, II, cit., p. 496.
103 Ex multis, v. X. Xxxxxxxx, Contratto a favore di xxxxx e patti successori alcuni orienta- menti confronto, in Vita not., 2011, p. 1796; X. Xxxxxxxx, Contratto a favore di terzi. Art. 1412, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-Roma, 2004, p. 348 ss.; Mass. Xxxxx, Il mandato, cit., p. 103 ss.
104 X. Xxxxxxxx, Rapporto contrattuale, cit., p. 206 ss.
105 La Convenzione dell’Aia del 1 luglio 1985 ratificata dall’Italia con la l. 16 ottobre 1989,
n. 364 (entrata in vigore il 1 gennaio 1992), al fine di evitare eventuali abusi del trustee, ha sta- bilito che: «a) che i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni del trust; b) che i beni del trust siano separati dal patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest’ul- timo o di sua bancarotta; c) che i beni del trust non facciano parte del regime matrimoniale o della successione dei beni del trustee; d) che la rivendicazione dei beni del trust sia permessa qualora il trustee, in violazione degli obblighi derivanti dal trust, abbia confuso i beni del trust con i suoi e gli obblighi di un terzo possessore dei beni del trust rimangono soggetti alla legge fissata dalle regole di conflitto del foro» (art. 11 conv.). Inoltre, «il trustee è investito del po- tere e onerato dall’obbligo, di cui deve rendere il conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge» (art. 2, lett. c, conv.) e
dalle convenzioni successorie che dal negozio fiduciario, garantendo una maggiore tutela dell’interesse del settlor e del destinatario finale dell’attri- buzione, visto che il trustee si obbliga direttamente verso quest’xxxxxx000. Tale istituto, pertanto, se, da un lato, risponde certamente alle moderne esigenze socio-economiche e rappresenta uno strumento idoneo a soddi- sfare la richiesta di pianificare la successione all’interno di un xxxxxx xx- xxxxxxx000, ponendo un limite alla c.d. potestà di abuso, che è invece insita nella figura del fiduciario108; dall’altro lato, però, non esclude, almeno in via generale ed assoluta, che, in concreto, si possa verificare un’elusione dei princípi fondamentali che regolano la trasmissione dei beni ereditari109. Considerata l’ampia figura di trust delineata dalla Convenzione, è possi-
ha la capacità «di agire in giudizio ed essere citato in giudizio o di comparire in qualità di tru- stee davanti ad un notaio o altra persona che rappresenti un’autorità pubblica» (art. 11 conv.).
106 X. Xxxxxxx, Trust e passaggio generazionale di impresa, in Trust, 2011, p. 130, che trae argomento dalla costituzione del vincolo creato inter vivos dal trust per affermare che il nego- zio, seppur posto in essere in funzione successoria, fuoriesce dal divieto posto dall’art. 458 c.c.
107 X. Xxxxxxxxxx, Il trust quale strumento per la successione generazionale dell’impresa in comparazione anche con i patti successori, in Vita not., 2010, II, p. 955.
108 X. Xxxxxx, Fiducia statica e fiducia dinamica, in Rass. dir. civ., 1996, p. 494, sottolinea il distacco netto esistente tra la figura di trust delineata dalla Convenzione e il negozio fiduciario tradizionalmente inteso, quale atto traslativo accompagnato da un patto di natura obbligatoria volto a regolare gli scopi e gli effetti del trasferimento. Secondo l’A. la disciplina che la Con- venzione dedica all’istituto è incentrata soprattutto sul fine che deve essere realizzato e sulle tecniche di tutela idonee a garantire la sua soddisfazione. Il che, spostando l’attenzione dal piano dell’atto e della sua rilevanza causale a quella del rapporto, rende assimilabile il trust alla c.d.
«fiducia statica», ossia a quelle fattispecie fiduciarie in cui il soggetto, essendo già investito di una determinata situazione giuridica, si impegna a utilizzarla per perseguire certi fini (C. Gras- setti, Trust anglosassone, proprietà fiduciaria e negozio fiduciario, in Riv. dir. comm., 1936, I,
p. 548 ss.; X. Xxxxxxx, Problemi in materia di riconoscimento degli effetti dei trust nei paesi di civil law, in Riv. dir. civ., 1984, I, p. 93 ss.; X. Xxxxx, Introduzione ai trusts, Milano, 1994, p. 74 ss.).
109 X. Xx Xxxx, Trust interni con valore aggiunto e trust elusivi: il caso del trust di cimeli napoleonici, in Trust, 2006, p. 174. Occorre considerare che tale figura di trust, seppur rappre- senta uno strumento ottimale per la pianificazione familiare e l’individuazione dei beneficiari, in quanto consente al disponente di modificare l’attribuzione originariamente predisposta sulla base di circostanze sopravvenute o delle mutate esigenze personali, trova un ulteriore ostacolo nella possibile violazione delle norme poste a tutela dei legittimari (A. Palazzo, I trusts in ma- teria successoria, in Vita not., 1996, p. 671 ss.). Per tale ragione, per garantire le quote di legit- tima si utilizzano spesso alcune clausole di salvaguardia quali, ad esempio, quelle che impon- gono al trustee o al beneficiario finale di garantire i diritti degli eredi legittimari del settlor me- diante l’integrazione, con beni o danaro da prelevarsi dal patrimonio stesso, della quota ad essi spettante. Si tenga presente, inoltre, che ai fini dell’eventuale azione di riduzione, per stabilire la priorità dell’eventuale liberalità, dovrebbe far fede non già la data in cui i beni sono usciti dal patrimonio del de cuius e sono stati acquistati dal trustee (X. Xxxxx, Trust, cit., p. 511), bensí quella della morte del settlor (X. Xxxxxxx, Contributo allo studio delle disposizioni testa- mentarie, cit., p. 959, nota 106).
bile infatti che al negozio vengano aggiunte determinate clausole che at- tribuiscono al settlor il potere di revocare liberamente la disposizione, di modificare i beneficiari o di nominarli successivamente, di sostituire il tru- stee o di assegnare a quest’ultimo la facoltà di attribuire beni diversi da quelli originariamente confluiti nel trust (c.d. living trust).
Del resto, basta pensare che un imprenditore avveduto difficilmente sa- rebbe disposto ad operare un’effettiva traslazione dei poteri dominicali in favore del trustee, che sebbene persona di sua fiducia, verrebbe in tal modo ad avere poteri cosí incisivi sull’organizzazione e gestione dell’azienda da alterare quel rapporto simbiotico, inscindibile, che sussiste tra l’impresa (in genere medio piccola) ed il suo titolare. Conseguentemente, in presenza di un trust come quello sopra descritto è necessario procedere ad una at- tenta valutazione degli scopi che il negozio tende in concreto a soddisfare, poiché, proprio attraverso la predisposizione delle suddette clausole non è infrequente che le parti realizzino un assetto di interessi del tutto ana- logo a quello perseguibile attraverso un testamento o un negozio fiduciario110. In realtà, sebbene anche tale peculiare figura di trust sia costituita per atto inter vivos e non preveda alcun accordo tra il settlor e il futuro be- neficiario della disposizione, dal momento che quest’ultimo può essere de- signato anche successivamente dal trustee ed acquista la titolarità dei beni direttamente da quest’ultimo111, non sembra che ciò sia sufficiente ad esclu- dere, in concreto, un’elusione del divieto dei patti successori112. Questo perché il divieto posto dall’art. 458 c.c. può essere aggirato non solo at- traverso accordi intercorsi direttamente tra il disponente e il beneficiario finale dell’attribuzione, ma, anche – e piú in generale – con «ogni con- venzione con cui taluno dispone della propria successione» e, quindi, at-
traverso operazioni contrattuali complesse come quelle appena descritte.
Cosicché in presenza di un trust liberamente revocabile, subordinato alla sopravvivenza del beneficiario al disponente in cui i beni oggetto del- l’attribuzione siano determinabili e commisurabili nella loro esistenza e
110 Sul trust testamentario, vedi X. Xxxxx, Il «trust» testamentario, in Id. e X. Xxxxxxxxxxx (a cura di), Diritto delle successioni, cit., p. 63 ss. La giurisprudenza di merito ha peraltro con- siderato valido il trust costituito dai genitori esercenti la potestà sul minore affinché il figlio, al compimento della maggiore età, possa ricevere l’oggetto del legato attribuitogli dal testatore, in quanto – si è affermato – esso «costituisce la migliore garanzia per la conservazione dei beni segregati fino al conseguimento della capacità di agire del beneficiario» (Trib. Bologna, 3 di- cembre 2003, in Nuovo dir., 2004, p. 907).
111 F. Parente, Le disposizioni in «forma indiretta», cit., p. 135 ss.
112 X. Xxxxxxxxx, Xxxxxxx fiduciario, cit., p. 703 ss.; Trib. Casale Monferrato, 13 aprile 1984, in Giur. it., 1986, I, 2, c. 753 ss., con nota di X. Xxxxxxx, Il trust anglosassone quale istituzione sconosciuta nel nostro ordinamento.
consistenza solo dopo la morte del settlor, potendo addirittura il trustee attribuire ai beneficiari beni diversi da quelli originari, non può escludersi, a priori, un contrasto con il combinato disposto degli artt. 1344 e 458 c.c., dovendo l’interprete operare un’attenta valutazione in concreto degli scopi perseguiti dalle parti attraverso siffatta, articolata, operazione negoziale.
10. Un richiamo infine merita il problema della donazione mortis causa che nella sua configurazione tipica di negozio liberamente revocabile dal donante, teso realizzare un’attribuzione de residuo e subordinato alla so- pravvivenza del beneficiario al disponente, è da tempo considerata nulla. La presenza di tali caratteristiche, che ben si armonizzavano con la fun- zione che la donazione era destinata a svolgere nel diritto romano, induce a considerare tale istituto non solo in contrasto con il divieto dei patti successori, dal momento che è diretto a realizzare un’attribuzione patri- moniale a causa di morte, ma, ancor prima, incompatibile con le regole dettate in tema di scioglimento del vincolo contrattuale113.
In particolare, con riguardo al menzionato contrasto dell’istituto con il divieto posto dall’art. 458 c.c. è opportuno ribadire che la facoltà di re- voca, pur ove non integri gli estremi di una condizione sospensiva si vo- lam, non è comunque idonea, di per sé, a sottrarre il negozio dal con- flitto con la ratio che ispira la proibizione dei patti successori istitutivi. Questo perché – si è detto – un contratto liberamente revocabile dall’a- lienante non esclude comunque la nascita immediata di un vincolo obbli- gatorio, e quindi l’operatività delle regole contrattuali volte a tutelare l’al- trui affidamento.
Diversamente possono considerarsi valide sia la donazione cum moriar, in cui la morte del donante si pone come termine che differisce nel tempo il prodursi dell’effetto negoziale tipico, sia la donazione si praemoriar, dove l’effetto attributivo è subordinato alla premorienza del donante al benefi-
113 La nullità della donazione liberamente revocabile dal donante deriva, infatti, prima ancóra che dal divieto dei patti successori, dai princípi che regolano la materia contrattuale, i quali – è noto – ammettono lo scioglimento del vincolo obbligatorio solo per mutuo consenso o per le cause ammesse dalla legge (art. 1372 c.c.) e non consentono l’apposizione di clausole che ren- dano il negozio dipendente nei suoi effetti dal mero arbitrio del disponente. Del resto, la do- nazione mortis causa era ritenuta inammissibile già durante la vigenza del codice civile del 1865 proprio perché contrastava con il principio stabilito dall’art. 1050 c.c., secondo il quale la do- nazione implicava lo spoglio attuale e irrevocabile del bene donato. X. Xxxxxxxx, La dona- zione, cit., p. 314; Id., Variazioni sul tema della donazione «mortis causa», in Foro it., 1959, I,
c. 580; X. Xxxx, Il testamento, Milano, 1972 (rist.), p. 41; X. Xxxxxxx Ferrara, Le successioni per causa di morte, Milano, 1985, p. 52; X. Xxxxxx, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. Xxxxxxxx, XXX, Xxxxxx, 0000, p. 103 ss.; X. Xxxxxxxx, Le donazioni «mortis causa», cit., p. 1451.
ciario114. Anche se alcuni autori operano una distinzione tra le due fatti- specie, riconoscendo validità alla donazione si praemoriar e considerando nulla la donazione sottoposta a termine iniziale115. Ciò sul presupposto che, in quest’ultima ipotesi, il negozio, producendo i suoi effetti tipici sol- tanto dopo la morte del donante, rientrerebbe tra gli atti mortis causa; mentre nell’altro caso, vista la retroattività della condizione, ogni interfe- renza con il divieto dei patti successori sarebbe esclusa, potendosi gli ef- fetti della donazione farsi risalire al momento della stipulazione dell’atto. È questo, però, un indirizzo che non solo sopravaluta il carattere re- troattivo della condizione – carattere, peraltro, soltanto normale e non ne- cessario, potendo essere derogato dall’autonomia privata o escluso dalla natura del rapporto (art. 1360 c.c.) – ma, riportando la donatio cum mo- riar tra le fattispecie vietate dall’art. 458 c.c., sembra non cogliere com- piutamente i caratteri distintivi tra negozi mortis causa e negozi inter vi-
vos ad effetti post mortem in precedenza esposti116.
Piú adeguata a rappresentare la complessità del fenomeno appare l’o- pinione espressa dall’orientamento prevalente che, trattando unitariamente le due fattispecie, sottolinea le differenze esistenti tra esse e le convenzioni successorie117. Si afferma, cosí, da un lato, che l’apposizione del termine o della condizione altro non determinano se non una valorizzazione dei mo-
114 La giurisprudenza ha affermato, peraltro, che il contratto con cui una parte deposita presso un’altra persona una determinata somma di danaro ed attribuisce poi ad un altro sog- getto, che è parte dell’atto, il diritto a pretendere la restituzione della somma dopo la morte del disponente, non potendosi configurare come un contratto a favore di terzi ex art. 1412 c.c., in quanto il beneficiario è parte del negozio e lo stipulante si è obbligato a mantenere ferma l’at- tribuzione in suo favore, deve qualificarsi come una «complessa convenzione costituita da un deposito irregolare e da una donazione a causa di morte» vietata ai sensi dell’art. 458 x.x. (Xxxx., 00 xxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxx. not., 1991, p. 517).
115 X. Xxxxxx, Le donazioni, cit., p. 106; X. Xxxxxxx, Donatio mortis causa (dir. civ.), in Enc. dir., XIV, Milano, 1964, p. 1004. Diversamente, considerano nulle sia la donazione cum moriar, che la donazione si praemoriar: X. Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 312, nota 4; X. Xxxx, Il testamento, cit., p. 26, ritenendo che detto negozio, sostanzialmente, produce effetti assai simili a quelli dell’atto mortis causa, non comportando l’immediato trasfe- rimento di alcun diritto al donatario e producendo quale effetto immediato solo quello che ca- ratterizza la fattispecie vietata e, cioè, la non revocabilità dell’attribuzione (C.M. Xxxxxx, Di- ritto civile, II, cit., p. 355).
116 X. Xxxxxxxxx, Xxxxx successorio, cit., p. 229.
117 X. Xxxxxx, Attribuzioni patrimoniali, cit., p. 150; X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Validità della donazione di usufrutto «cum praemoriar», in Foro it., 1950, I, c. 385; X. Xxxxxxxx, Variazioni sul tema della donazione, cit., p. 580; X. Xxxxxxxx, Osservazioni sulla donazione mortis causa, in Riv. dir. civ., 1990, p. 91 ss.; M.V. Xx Xxxxxx, I patti sulle successioni future, cit., p. 537; X. Xxxxxxxxx, Le donazioni, cit., p. 490; in giurisprudenza x. Xxxx., 0 luglio 1976, n. 2619, in Mass. Giust. civ., 1976, p. 1130; Trib. Torino, 26 febbraio 2009, in xxx.xxxxxx.xxxxxxx.xx.
tivi del donante118 e, dall’altro, che, durante la fase di pendenza, il con- tratto è comunque produttivo di effetti giuridici preliminari, i quali si tra- ducono nella nascita di situazioni giuridiche soggettive normativamente tu- telate, immediatamente azionabili e trasmissibili agli eredi secondo i princípi che regolano la successione nei rapporti contrattuali119. Di qui la differenza con il negozio a causa di morte e la conseguente validità delle fattispecie in esame.
Particolarmente controversa inoltre è la soluzione prospettabile nei casi in cui la donazione venga effettuata in favore di piú beneficiari e risulti caratterizzata dall’apposizione di una clausola di accrescimento, che pre- vede che alla morte di uno dei coacquirenti la quota non si trasmetta ai suoi eredi, ma si trasferisca ai beneficiari superstiti.
Gli autori che sostengono la validità di simili clausole fanno leva so- prattutto sulla retroattività della condizione e affermano che, proprio in virtú di tale carattere, il coacquirente premorto deve considerarsi come mai divenuto comproprietario del bene, di guisa che il trasferimento della sua quota in capo ai coacquirenti superstiti si realizza non successionis causa, ma in forza del negozio originario stipulato tra il donante ed i benefi- ciari120.
E tuttavia non può sottacersi che l’accrescimento della quota in capo al coacquirente, modificando l’ordine legale dei successibili, è diretto es- senzialmente ad istituire erede o legatario l’ultimo dei donatari superstiti121. Infatti, se è vero che la clausola realizza, inter vivos, un effetto attributivo immediato in favore di tutti i coacquirenti, è altresí indubbio che alla morte di uno di essi il comproprietario superstite acquista la quota non dal di- sponente (donante) originario, ma direttamente da colui che è premorto122. In virtú dell’atto di alienazione stipulato tra il disponente ed i donatari, il bene, infatti, entra immediatamente (pro quota) nel patrimonio di questi ultimi, di guisa che alla morte di uno di essi la sua quota (ideale) si tra-
118 X. Xxxxxxxx, Le donazioni «mortis causa», cit., p. 1454.
119 Trib. Torino, 26 febbraio 2009, cit., che ha ribadito che la donazione si praemoriar per essere valida esige che il consenso prestato al tempo della stipulazione sia perfetto e irrevoca- bile «ab initio» e soltanto differito negli effetti alla data del decesso.
120 La diversità delle clausole di accrescimento rispetto alle clausole condizionali e la con- trarietà delle stesse al divieto dei patti successori è sottolineata da X. Xxxxxxxxxxxx, Il diritto di accrescimento nei negozi tra vivi, Milano, 1951, p. 72; e da A. Palazzo, Accrescimento, in Dig. disc. priv., Sez. civ., I, Torino, 1987, p. 47 ss.
121 La Suprema Corte ha affermato che il patto di accrescimento integra una donazione mor- tis causa – e non una donazione si praemoriar – che, come tale, non si sottrae alla censura di nullità per violazione del divieto dei patti successori (Cass., 16 giugno 1966, n. 1547, in Giust. civ. 1967, I, p. 1351; Cass., 9 luglio 1976, n. 2619, cit.
122 Trib. Torino, 26 febbraio 2009, cit.
sferisce automaticamente ai comproprietari superstiti123. Xx è per questo che tali clausole, essendo dirette ad evitare che la quota di colui che pre- muore cada nel suo patrimonio ereditario, attuano una vicenda traslativa a causa di morte al di fuori delle tipiche forme di delazione ereditaria che, come tale, non può che essere dichiarata nulla ai sensi degli artt. 457 e 458 c.c.124.
Diversa, per contro, sarebbe la soluzione se il negozio avesse ad og- getto un diritto per sua essenza temporaneo, destinato ad estinguersi, ex lege, alla morte del contitolare. L’ipotesi alla quale si intende fare riferi- mento è quella tipica della costituzione per atto di donazione (art. 796 c.c.) di un diritto di usufrutto congiuntivo, di guisa che, alla morte di uno dei cousufruttuari, la sua quota, anziché consolidare la nuda proprietà, ac- cresce quella degli altri titolari del diritto reale minore. In tal caso, infatti, in favore dei beneficiari si determina un’attribuzione patrimoniale imme- diata; mentre l’accrescimento a favore dei cousufruttuari superstiti si rea- lizza esclusivamente in virtú della citata previsione legale che esclude, ab origine, ogni possibile contrasto tra l’atto di autonomia ed i princípi che disciplinano il trasferimento dei beni a causa di morte125. Ciò analogamente a quanto accade in presenza di una vendita con riserva di usufrutto vita natural durante (ex art. 1002, comma 3, c.c.)126, dove la morte del vendi-
123 In particolare, si è precisato che «Configura un patto successorio vietato dall’art. 458 c.c., l’atto con il quale due soggetti comprino in comune la proprietà di un immobile, contestual- mente pattuendo che la quota ideale di comproprietà di ciascuno acquistata debba successiva- mente pervenire a chi di essi sopravviva, in quanto quest’ultimo acquista l’altra quota non dal- l’originario venditore che l’aveva già alienata al soggetto premorto, ma direttamente dal mede- simo, al di fuori delle prescritte forme di successione mortis causa» (Cass., 18 agosto 1986, n. 5079, in xxx.xxxxxx.xxxxxxx.xx).
124 Non solo, ma anche là dove la condizione di premorienza si atteggiasse come condi- zione sospensiva e non risolutiva si creerebbe un grado di incertezza in ordine al soggetto de- stinato ad acquistare la titolarità definitiva dei beni del tutto inammissibile, visto che sarebbe solo in séguito alla morte del penultimo donatario che si conoscerebbe l’effettivo proprietario dei beni donati.
125 In tal senso sono orientate la dottrina e la giurisprudenza prevalenti che hanno chiarito come il consolidamento dell’usufrutto in capo al donatario, nudo proprietario, costituisca un ef- fetto legale dovuto all’estinzione del diritto reale minore alla morte del donante riservatario e non un’attribuzione fatta da questi con effetti post mortem. Cfr. L. Xxxxxxxxx Xxxx, Usufrutto, uso, abitazione, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, Milano, 1979, p. 82; X. Xxxxxxx- Xxxxxxxxxx, Validità della donazione di usufrutto, cit., p. 385; X. Xxxxxxxx, La donazione, cit.,
p. 313; X. Xxxxxxxxxxx, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 45; X. Xxxxxxxxx, Le do- nazioni, cit., p. 490.
126 X. Xxxxxxxx, Le donazioni «mortis causa», cit., p. 1454, che rileva come la predetta norma dimostri la liceità dell’istituto, il quale è stato «accostato al diritto di usufrutto per la frequenza con cui la riserva è stata e viene utilizzata rispetto a tale ultimo diritto soprattutto negli atti di liberalità».
tore riservatario, determinando la ricostituzione della pienezza del diritto di proprietà in capo all’acquirente, non per effetto dell’atto di privata au- tonomia, ma in virtú dell’automatico estinguersi, ex lege, del diritto di usu- frutto, nessun contrasto determina con il divieto posto dall’art. 458 c.c.
11. Il quadro sinteticamente delineato in ordine alle forme di devolu- zione della ricchezza post mortem attraverso istituti che si pongono come valida alternativa al negozio testamentario, da un lato, dimostra, dunque, come il divieto dei patti successori istitutivi, pur trovando la ragion d’es- sere in motivazioni che sorreggono l’intero sistema successorio, non sia espressione di alcun valore costituzionalmente garantito, per cui ben po- trebbe essere abrogato o ulteriormente circoscritto da apposite previsioni normative; dall’altro pone in evidenza quanto complessi e articolati siano gli interessi implicati nelle vicende contrattuali sopra richiamate. Il che im- pone di rifuggire da analisi descrittive e proporre, invece, mediante un’in- terpretazione funzionale e sistematica, attenta ai princípi normativi ed ai valori costituzionali, soluzioni tese a bilanciare, in concreto, i diversi princípi e le molteplici istanze di tutela sottese agli istituti illustrati.
In questa logica, la libertà di testare, nell’accezione delineata, rappre- senta quindi un valore non piú assoluto, ma relativo, in quanto le regole poste a salvaguardia della reale, spontanea ed effettiva volontà del de cuius, devono comunque contemperarsi sia con i princípi di solidarietà familiare, sottesi alla posizione dei legittimari, sia con le esigenze economiche dei processi produttivi, sempre piú al centro delle indicazioni provenienti da- gli organi europei e sensibili al mantenimento dei livelli occupazionali, in conformità del principio di uguaglianza127. Di qui gli attuali confini del di- vieto posto dall’art. 458 c.c. e le soluzioni sopra delineate, le quali, pro- prio perché fondate su una valutazione comparativa dei contrapposti in- teressi che animano le vicende contrattuali post mortem, tendono a favo- rire una lettura del predetto testo legislativo piú aderente alle recenti ten- denze normative e giurisprudenziali sia interne che comunitarie.
Xxxxxxxx Xxxxxxx
Abstract
Il lavoro ha per oggetto il tema dei rapporti correnti tra l’autonomia privata e la normativa successoria e tende a verificare se determinati contratti, i cui ef- fetti tipici sono destinati a prodursi dopo la morte del disponente, possano rice-
127 X. Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Il patto di famiglia, cit., p. 941.
vere un giudizio di validità da parte dell’ordinamento. In questa prospettiva, l’A. esamina il problema della esclusività della funzione riservata al testamento e del significato stesso della tipizzazione legale, analizzando la compatibilità con tale previsione e con il divieto dei patti successori di altre figure contrattuali cui fanno ricorso i privati per soddisfare le esigenze economiche dei processi produttivi e garantire la continuità dell’attività di impresa. Dopo aver messo in luce la ratio sottesa ai contratti successori istitutivi e gli indici che caratterizzano i contratti post mortem, vengono prese in esame le figure contrattuali che maggiormente con- sentono una programmazione nella successione dell’impresa, quali il patto di fa- miglia, le clausole societarie di riscatto, di continuazione e di successione, il fa- mily buy out, il trust, il contratto a favore di terzi, il mandato post mortem e il negozio fiduciario, la donazione si praemoriar e cum moriar. Si delinea in tal modo un quadro complesso e articolato che impone di ricercare soluzioni attente ai princípi normativi ed ai valori costituzionali e sensibili a bilanciare, in concreto, i molteplici interessi e le contrapposte esigenze di tutela sottese a tutte le opera- zioni esaminate.
The paper treats the relationship between the contractual freedom and the law of succession. Its target is to verify the legal validity of certain kind of contracts whose typical effects are produced after the settlor’s death. In the described per- spective, the Author examines the issues related both to the function of the will and to the meaning of the legal typing. Thus, the analysis regards the legal com- patibility and the prohibition of the inheritance agreements that involve other pacts directed by the private parties to satisfy the economic interests of the pro- duction and to guarantee the continuation of the enterprise’s activity. After hav- ing underlined the ratio of the contract of the founding inheritance and the in- dexes which characterize the post-mortem contracts, the study is focussed on the major contracts which allows the succession of the enterprise, such as the (so called) «patto di famiglia», the corporate’s clauses providing the redemption, the continuation and the succession of the enterprise, the family buy out, the trust, the contract to third party, the post-mortem mandate, the fiduciary, the donation si praemoriar and cum moriar. Therefore, it is depicted a complex framework which imposes the research of solutions harmonised with the legal and constitu- tional principles and capable to concretely balance the multiple interests and the different needs of protection present in the whole described operations.