Contratto di Locazione e registrazione tardiva con effetto sanante
Contratto di Locazione e registrazione tardiva con effetto sanante
Cass. civ., sez. III, Ordinanza 20 dicembre 2018, n. 32934 – Pres. Vivaldi, Rel. Scrima
Il contratto di locazione di immobili ad uso abitativo, ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346, della l. n. 311 del 2004, ma, in caso di tardiva registrazione, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza “ex tunc”, sia pure limitatamente al periodo di durata del rapporto indicato nel contratto successivamente registrato.
[Nel caso la Sezione – richiamato il disposto dell’art. 1, comma 346, della legge n.311/04, per cui, indipendentemente dall’uso abitativo o meno cui l’immobile sia destinato, i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, essi non sono registrati – ha ribadito il principio di diritto di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 23601/17 (ovverosia la registrazione tardiva sana la nullità ex tunc), limitandone però la portata nei sensi di cui alla massima.].
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La forma nei contratti di investimento
Cassazione civile, Sez. Un., 16/01/2018, n. 898
Il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dall’art. 23 del d.lg. n. 58 del 1998, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuto
FATTI DI CAUSA
1.- Con sentenza del 30/1-22/3/2013, la Corte d’appello di Milano, in accoglimento dell’impugnazione proposta da C.E. ed R.E. nei confronti della Banca Popolare di Xxxxxxx s.c. a r.l. ed in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Milano n. 11542 del 15/729/9/2009, ha dichiarato la nullità, per la mancanza di un valido contratto quadro, delle operazioni di investimento effettuate il 18/11/1999 ed il 21/12/1999 tra le parti per l’acquisto di obbligazioni “Argentina Eur 8,75% 1998/2003”, ed ha conseguentemente condannato la Banca a restituire agli appellanti la somma complessiva di Euro 70.124,25, oltre interessi legali dal 21/9/2007 al saldo, nonchè la somma di Euro 12.172,07, ottenuta a titolo di spese in forza della sentenza impugnata, oltre interessi legali dal 28/2/2010 al saldo; ha condannato gli appellanti a restituire alla Banca le obbligazioni argentine di cui è causa ed ha posto le spese di ambedue i gradi del giudizio a carico dell’appellata.
La Corte del merito, per quanto specificamente ancora interessa, premesso che il contratto quadro, da redigersi in forma scritta a pena di nullità D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, ex art. 23, è elemento essenziale per la validità di ogni operazione di investimento, che si pone come semplice negozio esecutivo, ha rilevato che in causa risultava prodotto solo un modulo contrattuale, datato 25/1/1994, predisposto dalla Banca e sottoscritto dai clienti, privo di ogni manifestazione di volontà negoziale della prima e della sottoscrizione del funzionario delegato, da ritenersi quale semplice proposta, ancorchè corredata dalla dichiarazione prestampata “un esemplare del presente contratto ci viene rilasciato debitamente
sottoscritto dai soggetti abilitati a rappresentarVi”, a valere quale dichiarazione unilaterale ricognitiva dei soli clienti, xxxxxxxx a dar vita al contratto a forma scritta obbligatoria o anche solo a provarne la stipulazione.
Nè il contratto poteva ritenersi concluso per adesione con la sola sottoscrizione del cliente o in forza del successivo ordine del cliente o delle successive comunicazioni della Banca, prive di valenza negoziale, nè ne era possibile la sanatoria, così come erano irrilevanti le manifestazioni di volontà desumibili da comportamenti attuativi.
Nè la banca si sarebbe potuta avvalere dell’orientamento secondo il quale la produzione in giudizio del contratto da parte di chi non l’ha sottoscritto determina il sorgere del contratto valido, che avrebbe richiesto la produzione non solo della parte del cliente, ma anche di quella della Banca, e che comunque, intervenendo successivamente all’operazione di cui è causa, ne avrebbe confermato la nullità.
La Corte d’appello ha disatteso l’interpretazione del Tribunale, secondo cui la forma scritta vale a tutelare solo l’investitore, mentre analoghe ragioni di tutela non potrebbero ravvisarsi nella Banca, per cui l’investitore, che ha firmato, non avrebbe interesse a sollevare l’eccezione, rilevando che la ratio della certezza e ponderazione, sottesa alla forma scritta a pena di nullità, è riscontrabile anche nel contratto di negoziazione di strumenti finanziari; che questo non è un mero documento destinato ad informare il cliente delle condizioni che la banca intende utilizzare nei successivi acquisti, ma costituisce un vero accordo inteso a costituire e regolare tra le parti rapporti di carattere patrimoniale; che anche per la banca, la sola sottoscrizione del cliente è insufficiente a creare un valido titolo contrattuale.
Secondo il Giudice del merito, è ben possibile che il cliente, eccependo la nullità del contratto quadro, possa chiedere la nullità solo di alcune operazioni, essendo la sanzione di nullità specificamente prevista dalla legge, e rispondente a finalità di interesse generale, la regolarità dei mercati e la stabilità del sistema finanziario, da cui la facoltà legittima di agire in relazione ai singoli ordini, aventi autonoma valenza di negozi esecutivi del contratto quadro, e lo stesso carattere relativo della nullità esclude che l’investitore possa essere tenuto a dolersi anche di operazioni eseguite in buona fede e produttive di utili, difettando di interesse e anzi, ove questi dovesse scegliere tra agire per la nullità dell’intero rapporto o subire la violazione dell’intermediario, verrebbe meno lo stesso carattere
protettivo della nullità.
La Corte territoriale ha respinto la richiesta della Banca di restituzione degli importi delle cedole maturate sui titoli, da ritenersi “frutti civili” dell’investimento, che, in difetto di prova contraria, devono ritenersi ottenuti in buona fede dall’investitore.
La Banca Popolare di Xxxxxxx ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, a cui si sono opposti con controricorso C.E. ed R.E..
Il P.G. ha depositato le conclusioni scritte, ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, chiedendo la declaratoria di inammissibilità e in subordine, il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 1.
Con ordinanza del 17/5/2017, la I sezione civile ha rimesso la causa al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, in relazione alla questione di massima di particolare importanza ex art. 374 c.p.c., comma 2, che si pone in relazione al secondo motivo di ricorso, ove respinto il primo, già oggetto di precedente ordinanza di rimessione, per avere il giudice del merito disatteso la rilevanza dell’exceptio doli sollevata per paralizzare l’uso “selettivo” della nullità, ex art. 18 Eurosim, e per non avere quindi “valutato la contrarietà a buona fede della pretesa di far valere il difetto di forma del contratto quadro, per porre nel nulla non tutte ma solo alcune delle operazioni compiute”.
Il primo presidente ha disposto l’assegnazione del ricorso alle sezioni unite.
In prossimità della pubblica udienza, ambedue le parti hanno depositato le memorie illustrative, ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Col primo motivo di ricorso, la Banca denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 1 del 1991, art. 6, comma 1, lett. c), sostenendo che la previsione dell’art. 1350 c.c., è intesa a favorire la ponderazione dei contraenti e la certezza del rapporto contrattuale, mentre la ratio della L.
n. 1 del 1991, art. 6, comma 1, lett. c), è nel senso di assicurare la trasmissione al contraente debole (il cliente) delle condizioni contrattuali, così colmando le asimmetrie informative tra le parti; la forma scritta funge da veicolo del contenuto del contratto, e pertanto l’unica
sottoscrizione rilevante è quella del cliente, come confermato dall’obbligo di consegnare a questi la copia del contratto, dal tenore letterale della norma, dal fatto che solo il cliente può far valere la nullità, dal riscontro comparatistico con la disciplina tedesca del credito al consumo, dalla pronuncia di legittimità del 22/3/2012, n. 4564.
Alla stregua di detti rilievi, secondo la ricorrente, deve ritenersi un fuor d’opera il riferimento della Corte territoriale alla ratio della certezza e della ponderazione, visto che il contratto – quadro è un mero accordo normativo e non comporta alcun trasferimento patrimoniale, e, a ritenere prevalente la finalità della ponderazione, sarebbe ben difficile giustificare la libertà di forma dei singoli ordini di investimento.
Col secondo motivo, logicamente subordinato al primo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., e L. n. 1 del 1991, art. 6, comma 1, lett. c), e art. 1418 x.x., xxxxx 0, xxx xxxxx xx Xxxxx xx xxxxxx escluso la rilevanza dell’exceptio doli sollevata dalla Banca per paralizzare l’uso selettivo della nullità, mentre tale eccezione ha natura di rimedio di carattere generale, e l’ordinamento vigente conferma come il principio di buona fede oggettiva possa impedire l’esercizio di un diritto pur astrattamente previsto da una norma.
Secondo la ricorrente, si tratta di verificare l’utilizzo di un rimedio in modo “scindibile”, così da conseguirne i benefici, senza sopportarne gli svantaggi.
Col terzo mezzo, in subordine, la Banca denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 820,1148,1418,1458 e 2033 c.c., per avere la Corte del merito rigettato la richiesta di restituzione delle cedole, qualificate come frutto civile dell’investimento, ottenute, in difetto di prova contraria, in buona fede dall’investitore.
La ricorrente obietta che la Corte territoriale sul punto ha applicato i principi di cui all’art. 1148 c.c., (ed anche dell’art. 2033 c.c.) ad una fattispecie del tutto diversa da quella presupposta, dato che detta norma è applicabile solo nel giudizio di rivendica e non nel caso sia esercitata azione personale e che la nullità del contratto d’acquisto tra cliente ed intermediario produce gli stessi effetti che deriverebbero dal venir meno del contratto di mutuo sottostante: da una parte, la restituzione del capitale versato e dall’altra, la restituzione dei titoli e del
corrispettivo ricevuto(le cedole).
3. Prima di esaminare la questione di diritto posta col primo motivo, vanno valutate le eccezioni pregiudiziali sollevate dai controricorrenti, di carenza di potere rappresentativo processuale e sostanziale dei conferenti la procura, dott. N.L. quale “Direttore centrale” e dott. D.G.S. quale “procuratore”, nonchè l’impossibilità di verificare, sulla base della copia notificata del ricorso, se la procura sia stata rilasciata e da chi, prima della notifica del ricorso, e di improcedibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, stante la mancanza della specifica elencazione degli atti e dei documenti su cui è basato il ricorso.
Dette eccezioni sono da ritenersi infondate.
Ed infatti, la Banca ha depositato e notificato alla controparte, ex art. 372 c.p.c., le delibere del Consiglio di amministrazione di nomina dei sigg. N. e D.G. quali rispettivamente “Direttore centrale principale” e “Procuratore” e di conferimento a dette figure del potere di rappresentanza in giudizio e di nomina allo scopo di avvocati e procuratori; quanto alla mancata sottoscrizione dei conferenti la procura nella copia notificata del ricorso, va richiamato il principio espresso nella pronuncia 21/11/2000, n. 14999 (e conformi le successive sentenze del 15/5/2001, n.6679 e del 31/3/2006, n. 7611), secondo cui l’art. 125, comma 1, cod. proc. civ., che prescrive la sottoscrizione delle parti sia nell’originale che nella copia degli atti, non si riferisce alla procura alle liti, la quale, apposta in calce o a margine, si incorpora nell’atto stesso ed è valida anche se non è sottoscritta dalla parte nella copia notificata (nella specie, la sottoscrizione di uno dei ricorrenti figurava sull’originale ma non sulla copia notificata dell’atto, che pur indicava quel soggetto tra i ricorrenti).
E’ altresì infondata l’eccezione di improcedibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che nel primo motivo è chiaro il riferimento al documento “denominato “contratto di negoziazione”, sottoscrizione, collocamento e raccolta di ordini concernenti valori mobiliari”, sub doc.8, fascicolo di primo grado, ed è incontestato, nonchè ampiamente menzionato dalla sentenza impugnata, che in detto documento manchi la sottoscrizione dell’intermediario, di talchè non incide nella specie la mancata specifica indicazione nella nota finale; gli altri due motivi di ricorso sono di puro diritto e non richiedono l’esame di atti o documenti.
Passando all’esame del merito, va rilevato che nella specie, dato che la domanda spiegata dai sigg. C. e R. è intesa a far valere la nullità di due operazioni di investimento del 18/11/1999 e del 21/12/1999, con le relative conseguenze, per la addotta mancanza di un valido contratto-quadro, occorre vagliare detto profilo avuto riguardo alla disciplina applicabile alla data delle operazioni di investimento, il che vuol dire che, pur risalendo al 25/1/1994 la scrittura a cui le parti hanno fatto riferimento, ed essendo applicabile a detta data ratione temporis, la L. 2 gennaio 1991, n. 1, il cui art. 6, è stato abrogato dal X.Xxx. 23 luglio 1996, n. 415, e l’intera legge è stata abrogata dal D.Lgs. 24 febbraio 1998,
n. 58, art. 214, comma 1, lett. aa), è alla successiva disciplina di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, ed al regolamento Consob n.11522 del 1998 che occorre avere riguardo, proprio perchè rileva il collegamento tra le operazioni del 1999 ed il contratto-quadro, la cui regolamentazione è mutata nel tempo.
Ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, nella formulazione applicabile nella specie, e per la parte che qui rileva “1. I contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. La Consob, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo.
2. E’ nulla ogni pattuizione…
3.Nei casi previsti dai commi 1 e 2, la nullità può essere fatta valere solo dal cliente…“.
Detto disposto normativo pone la questione, specifico oggetto di rimessione da parte della I sezione civile con l’ordinanza del 27/4/2017, n. 10447, “se il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, oltre alla sottoscrizione dell’investitore, anche la sottoscrizione ad substantiam dell’intermediario“.
Ai fini della compiuta valutazione del profilo che qui specificamente interessa, va ricordato che il modulo contrattuale, su cui si è sviluppato il contenzioso tra le parti, porta la sola sottoscrizione dei clienti, e vi è contenuta la dichiarazione prestampata che: ” un esemplare del presente contratto ci viene rilasciato debitamente sottoscritto per accettazione dai soggetti abilitati a rappresentarvi”.
Il contratto-quadro, già previsto dalla L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6, nonchè dal successivo D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, art. 18, così qualificato in quanto destinato a costituire la regolamentazione dei servizi alla cui prestazione si obbliga l’intermediario verso il cliente, è stato ritenuto nella giurisprudenza di legittimità accostabile per alcuni aspetti al mandato, derivandone obblighi e diritti reciproci dell’intermediario e del cliente, e le successive operazioni sono state considerate quali momenti attuativi dello stesso (così le pronunce Sez. U. 19/12/2007, nn. 26724 e 26725).
Per costante giurisprudenza, il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, laddove parla di forma scritta a pena di nullità, si riferisce ai contratti-quadro e non ai singoli servizi di investimento o disinvestimento, la cui validità non è soggetta a requisiti formali, salvo la diversa previsione convenzionale nel contratto-quadro (in tal senso, si richiamano le pronunce del 9/8/2017, n. 19759; del 2/8/2016, n. 16053; del 29/2/2016, n. 3950, del 13/1/2012, n. 384 e del 22/12/2011, n. 28432).
Ne consegue che la questione della nullità per difetto di forma scritta nell’intermediazione finanziaria riguarda, salvo eccezioni del regolamento negoziale, unicamente il contratto-quadro, che è alla base delle singole operazioni concluse nel tempo.
Per la nullità del contratto- quadro qualora sia prodotto, come nella specie, un modulo sottoscritto solo dall’investitore, si è pronunciata ripetutamente la sezione semplice, con le recenti pronunce del 24/2/2016, n. 3623; del 24/3/2016, n. 5919; dell’11/4/2016, n. 7068; del 27/4/2016, nn. 8395 e 8396; del 19/5/2016, n. 10331 (da ultimo, la decisione del 3/1/2017, n. 36 si è espressa in senso conforme in relazione all’analoga disposizione di cui al D.Lgs. 24 settembre 1993, n. 385, art. 117).
In particolare, nell’ampia e complessa motivazione, la sentenza 5919/2016, premesso che ben si sarebbe potuto provare il contratto in forma scritta anche in presenza di sottoscrizioni delle parti contenute in documenti distinti, purchè risultante il collegamento inscindibile tra gli stessi, così da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo, ha applicato il principio di carattere generale, secondo cui se è prevista la forma scritta ad substantiam, il contratto deve essere provato a mezzo della produzione in giudizio; si è poi concentrata sulla possibilità, negata, di desumere la conclusione del contratto dalla dichiarazione sottoscritta dalla cliente di avere ricevuto copia del contratto
sottoscritta dal soggetto abilitato a rappresentare la banca; ha di seguito ritenuto preclusa la prova testimoniale, non ricorrendo il caso della perdita incolpevole ex art. 2724 c.c., n. 3, quella per presunzioni ex art. 2729 c.c., ed a mezzo del giuramento ex art. 2739 c.c.; ha escluso infine che potesse invocarsi nella specie il principio secondo il quale la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, dato che si sarebbe in tal modo potuto ritenere perfezionato il contratto, ma solo con effetti “ex nunc” e non “ex tunc”.
Su detto ultimo profilo, vale la pena di segnalare la difforme pronuncia del 22/3/2012, n. 4564, che, in relazione al contratto di conto corrente bancario, disciplinato dall’analoga normativa D.Lgs. n. 385 del 1993, ex artt. 117 e 127, ha escluso la nullità per difetto di forma, rilevando che il contratto aveva avuto pacifica esecuzione, visti gli ordini di investimento e la comunicazione degli estratti conto, e richiamando il principio secondo il quale la produzione in giudizio del contratto realizza un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purchè la parte che ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso ovvero sia deceduta.
A detto precedente si è rifatta l’ordinanza del 7/9/2015, n. 17740, per ritenere valida la clausola compromissoria prevista nel contratto di intermediazione finanziaria.
Dette due pronunce sono sostanzialmente isolate, tanto che la questione che qui specificamente interessa è stata correttamente portata all’attenzione delle sezioni unite come di massima di particolare importanza ex art. 374 c.p.c., comma 2, e non per dirimere un contrasto tra le sezioni semplici o all’interno della stessa sezione.
Tanto premesso, deve aversi in primis riguardo al profilo della nullità, come prevista dalla normativa richiamata, ponendosi, solo ove debba concludersi per il vizio radicale, l’ulteriore questione dell’equipollenza a mezzo della produzione in giudizio della scrittura.
A riguardo, pur non attribuendosi alla formulazione letterale della norma efficacia dirimente, va evidenziato che nell’art. 23 t.u.f. si enfatizza la redazione per iscritto, e, per dato normativo chiaramente espresso, si considerano sullo stesso piano detta redazione e la consegna di un esemplare al cliente, che è l’unica parte
che può far valere la nullità.
Si è quindi in presenza di un precetto normativo che in modo inequivoco prevede la redazione per iscritto del contratto relativo alla prestazione dei servizi di investimento e la consegna della scrittura al cliente, a cui solo si attribuisce la facoltà di far valere la nullità in caso di inosservanza della forma prescritta.
Le previsioni in oggetto rendono ben chiara la ratio della norma.
La nullità per difetto di forma è posta nell’interesse del cliente, così come è a tutela di questi la previsione della consegna del contratto, il cui contenuto, previsto di base dall’art. 30 del regolamento Consob, siccome prevedente le modalità di svolgimento del rapporto, deve rimanere a disposizione dell’investitore.
Si coglie quindi la chiara finalità della previsione della nullità, volta ad assicurare la piena indicazione al cliente degli specifici servizi forniti, della durata e delle modalità di rinnovo del contratto e di modifica dello stesso, delle modalità proprie con cui si svolgeranno le singole operazioni, della periodicità, contenuti e documentazione da fornire in sede di rendicontazione, ed altro come specificamente indicato, considerandosi che è l’investitore che abbisogna di conoscere e di potere all’occorrenza verificare nel corso del rapporto il rispetto delle modalità di esecuzione e le regole che riguardano la vigenza del contratto, che è proprio dello specifico settore del mercato finanziario.
Va da sè che la finalità protettiva nei confronti dell’investitore si riverbera in via mediata sulla regolarità e trasparenza del mercato del credito.
L’avere individuato la ragione giustificatrice della prescrizione normativa non vale peraltro a risolvere di per sè la questione che qui interessa, ma sostanzialmente ad indirizzare l’interpretazione dei profili che qui si pongono, e cioè il rapporto tra il perfezionamento del contratto e la forma con cui questo si estrinseca, e tra il documento in forma scritta come espressione della regolamentazione del rapporto e la sottoscrizione come riferibilità dell’atto.
Il vincolo di forma imposto dal legislatore (tra l’altro composito, in quanto vi rientra, per specifico disposto normativa, anche la consegna del documento contrattuale), nell’ambito di quel che è stato definito come neoformalismo o formalismo negoziale, va inteso infatti secondo quella che è la funzione propria
della norma e non automaticamente richiamando la disciplina generale sulla nullità.
Ora, a fronte della specificità della normativa che qui interessa, correlata alla ragione giustificatrice della stessa, è difficilmente sostenibile che la sottoscrizione da parte del delegato della banca, volta che risulti provato l’accordo (avuto riguardo alla sottoscrizione dell’investitore, e, da parte della banca, alla consegna del documento negoziale, alla raccolta della firma del cliente ed all’esecuzione del contratto) e che vi sia stata la consegna della scrittura all’investitore, necessiti ai fini della validità del contratto-quadro.
Ed infatti, atteso che, come osservato da attenta dottrina, il requisito della forma ex art. 1325 x.x., x. 0, xx inteso nella specie non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità propria della normativa, ne consegue che il contratto-quadro deve essere redatto per iscritto, che per il suo perfezionamento deve essere sottoscritto dall’investitore, e che a questi deve essere consegnato un esemplare del contratto, potendo risultare il consenso della banca a mezzo dei comportamenti concludenti sopra esemplificativamente indicati.
Si impone a questo punto un’ulteriore osservazione: tradizionalmente, alla sottoscrizione del contratto si attribuiscono due funzioni, l’una rilevante sul piano della formazione del consenso delle parti, l’altra su quello dell’attribuibilità della scrittura, e l’art. 2702 c.c., rende chiaro come la sottoscrizione, quale elemento strutturale dell’atto, valga ad attestare la manifestazione per iscritto della volontà della parte e la riferibilità del contenuto dell’atto a chi l’ha sottoscritto.
Tale duplice funzione è nell’impianto codicistico raccordata alla normativa di cui agli artt. 1350 e 1418 c.c., che pone la forma scritta sul piano della struttura, quale elemento costitutivo del contratto, e non prettamente sul piano della funzione; la specificità della disciplina che qui interessa, intesa nel suo complesso e nella sua finalità, consente proprio di scindere i due profili, del documento, come formalizzazione e certezza della regola contrattuale, e dell’accordo, rimanendo assorbito l’elemento strutturale della sottoscrizione di quella parte, l’intermediario, che, reso certo il raggiungimento dello scopo normativo con la sottoscrizione del cliente sul modulo contrattuale predisposto dall’intermediario e la consegna dell’esemplare della scrittura in oggetto, non verrebbe a svolgere alcuna specifica funzione.
Nè l’interpretazione qui seguita incide sulla doverosa, specifica ponderazione con cui l’investitore sceglie di concludere il contratto-quadro nè porta a concludere per un singolare contratto “a forma scritta obbligatoria per una sola delle parti e con effetti obbligatori solo per l’altra parte che nulla ha invece sottoscritto”, scenario che non tiene conto della precipua ricostruzione imposta dalla normativa e che omette integralmente di considerare che la nullità può essere fatta valere solo dall’investitore.
Nella ricostruzione che qui si è offerta, inoltre, la previsione della nullità, azionabile solo dal cliente, in caso di inosservanza dei requisiti di forma della redazione per iscritto e della consegna dell’esemplare alla parte, si palesa quale sanzione per l’intermediario, ben armonizzandosi nello stesso contesto del D.Lgs.
n. 58 del 1998, che è nel complesso inteso a dettare regole di comportamento per l’intermediario, e rispetta il principio di proporzionalità, della cui tenuta si potrebbe dubitare ove si accedesse alla diversa interpretazione (e sulla rilevanza cardine del principio di proporzionalità queste sezioni unite si sono di recente espresse, sia pure nell’ambito della responsabilità civile, ai fini del riconoscimento di sentenza straniera comminatoria di danni punitivi nella pronuncia del 5/7/2017, n. 16601).
E’ stato sostenuto da autorevole dottrina che la normativa in oggetto sarebbe intesa non solo alla tutela del cliente, ma risponderebbe anche all’esigenza di garantire una buona organizzazione interna della banca, da ciò conseguendo la nullità del contratto-quadro ove privo della sottoscrizione del delegato dell’istituto di credito: tale ricostruzione, pur muovendo dall’esigenza di modificare in melius prassi organizzative non del tutto commendevoli, oltre a non trovare un solido fondamento nella normativa che qui si esamina, sembrando una sorta di giustificazione a posteriori della nullità, si muove in un’ottica esasperatamente sanzionatoria, e perviene ad un risultato manifestamente sproporzionato rispetto alla funzione a cui la forma è qui preordinata.
A riguardo, ragionando in termini più generali, può affermarsi che nella ricerca dell’interpretazione preferibile, siccome rispondente al complesso equilibrio tra interessi contrapposti, ove venga istituita dal legislatore una nullità relativa, come tale intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto l’interesse particolare, l’interprete deve essere attento a circoscrivere l’ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l’interesse protetto dalla nullità, determinandosi altrimenti conseguenze distorte
o anche opportunistiche.
L’interpretazione seguita è altresì in linea con le disposizioni dell’ordinamento Europeo, che nell’art. 19, par. 7 della direttiva 2004/39/CE del Parlamento e del Consiglio del 21/4/2004 (Mifid 1), recepita dal d.lgs. 17/9/2007, n.164, così come nell’art. 25, par. 5 della direttiva 2014/65/UE (Mifid 2), a cui è stata data attuazione con il D.Lgs. 3 agosto 2017, n. 129, al fine di perseguire gli obiettivi di trasparenza e di tutela degli investitori, punta l’accento sulla registrazione del o dei documenti concordati, in tal modo evidenziandosi la necessità che risulti la verificabilità di quanto concordato.
Nè la conclusione muterebbe a ritenere ancora in vigore l’art.39 della direttiva 2006/73/CE del 10/8/2006, con il riferimento all’ accordo di base “scritto, su carta
o su altro supporto durevole, con il cliente, in cui vengano fissati i diritti e gli obblighi essenziali dell’impresa e del cliente”.
Conclusivamente, va affermato il seguente principio di diritto:
“Il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti“.
3.2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono conseguentemente assorbiti.
4.1. Conclusivamente, accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli ulteriori mezzi, va cassata la pronuncia impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto sopra indicato e che provvederà anche alla statuizione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2018.