PREMESSA
XXXXX XXXXXXX
Manuale dei CONTRATTI INTERNAZIONALI
Tecniche di redazione
Modelli clausole ricorrenti (precedents)
Negoziazione internazionale Antitrust e contratti internazionali Modelli contrattuali (precedents)
Confidentiality Agreement and Letter of Intent Sales and Long-term supply agreement Agency agreement and Distribution agreement License agreement (know-how and patents) Equity joint venture agreement
PREMESSA
Questo libro nasce sulle ceneri di un altro mio libro, scritto più di dieci anni fa, “Tecniche di redazione dei contratti internazionali”, che ha avuto successo e non è più disponibile sul mercato, essendo esaurito ormai da molti anni, ove avevo cercato di chiarire quale approccio si debba avere nel redigere un contratto internazionale. Nell’accingermi a rivedere, ampliare ed aggiornare il testo di quel libro, mi sono reso conto che “Tecniche” in realtà aveva rappresentato il rimaneggiamento di un progetto più ampio che avevo coltivato negli anni ancora precedenti, quello di scrivere un manuale dedi- cato alla pratica dei contratti internazionali, progetto che riesco oggi, dopo tanti anni, a portare a compimento con la pubblicazione di questo “Manuale dei Contratti internazionali”, dedicato ai contratti internazionali B2B “Busi- ness to Business”.
Giunto, finalmente, alla fine della sua redazione, mi sono sorpreso a considerare che questo potrebbe essere il libro che avrei voluto poter compulsare, quando, all’inizio della mia carriera, ho iniziato a dovermi occupare della redazione di contratti internazionali, e mi interrogavo su cosa scrivere, su come scrivere quei contratti, alcuni dei quali mi sarei poi ritrovato a dover negoziare all’estero con una controparte straniera.
A quel tempo non trovai mai quel libro, e dopo quasi trent’anni da allora e molta esperienza e molti studi, probabilmente, più o meno consciamente, ho cercato di scriverlo. Con quale risultato saranno i lettori a giudicarlo.
Uno degli assunti di base di questo libro è che per le imprese il contratto, nazionale o internazionale che sia, possa, ed anzi debba, rappresentare uno strumento di tecnica mercantile, uno dei mezzi da utilizzare per raggiungere un qualche obiettivo imprenditoriale.
Ciò è tanto più vero qualora l’impresa italiana, in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso (nel bene e nel male, verrebbe da aggiungere, vista la situazione attuale (1) decida di internazionalizzare la propria attività su nuovi mercati.
(1) Situazione che, seppur incidentalmente, mi ha spinto a parlare di Xxxxx e di pandemia, quando ho illustrato, nel cap. VII della Prima Parte del libro, le Mac-Material
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È questo un fatto che incide sul ruolo degli avvocati che già assistono l’impresa, o di quanti si stanno avviando sul percorso della consulenza alle imprese, che non possono certo limitarsi ad essere dei “fini dicitori del diritto codificato” (2) (oltretutto quale diritto, quello italiano o quello dettato dalle norme imperative forti della nazione ove il contratto dovrà essere eseguito?) quanto piuttosto, proprio fin dalla redazione del testo contrattuale, dei “solutori di problemi”.
Cambia così anche il ruolo dell’avvocato che affianca le imprese italiane nelle loro strategie di internazionalizzazione e di globalizzazione, che però, prima di “risolvere i problemi”, deve identificarli, preoccupandosi di com- prendere e valutare le esigenze imprenditoriali dell’impresa cliente e le peculiarità del mercato di riferimento, di prodotto e geografico, così da poter “interpretare” tali esigenze e peculiarità nella redazione del contratto, ivi disciplinando non soltanto i reciproci obblighi e diritti dei contraenti, ma, anche, “creando” e registrando nel testo contrattuale quelle che nel libro definisco le “procedure contrattuali” che dettagliano le attività richieste ad ognuno di essi per adempiere ai rispettivi obblighi, e, da ultimo, raggiungere gli obiettivi imprenditoriali che ognuna delle parti si prefigge di raggiungere. Nel far ciò ovviamente i giuristi, ma anche i manager dell’impresa italiana dovrebbero essere sempre consapevoli (e i giuristi di solito lo sono, ma purtroppo spesso non può dirsi altrettanto per i manager di tante imprese italiane) dei limiti posti all’autonomia contrattuale delle parti dalle norme di legge applicabili al contratto, senza dimenticare le norme previste dal diritto
della concorrenza.
Questo “Manuale dei Contratti Internazionali”, che vuole dunque essere in primo luogo uno strumento pratico per i giuristi che oggi si occupano di contratti internazionali, è suddiviso in tre Parti ed una Appendice.
La Parte Prima, suddivisa in nove Capitoli, è dedicata non già a singoli tipi contrattuali, specificatamente commentati e analizzati nella successiva Parte Seconda, quanto piuttosto alle caratteristiche ed alla struttura di un contratto internazionale, e vi vengono commentate ed illustrate, gradual-
adverse change clauses e le Best efforts clauses, ove, tra l’altro, ho commentato, per quanto ad oggi conosciuti, i termini e le condizioni dell’APA - Advance Purchase Agreement sottoscritto tra AstraZeneca e Commissione UE nell’agosto dell’anno scorso che ha poi provocato non poche polemiche e da ultimo la decisione della Commissione UE di avviare una azione legale contro la AstraZeneca.
(2) Come spiego nel testo, il problema a volte è però costituito anche dall’atteggia- mento dei clienti che pensano di saper gestire il contratto con un partner straniero, confidando soltanto nella esperienza da loro maturata sul mercato italiano, e sono poco propensi a coinvolgere il giurista fin dall’inizio, quindi nella identificazione e nella strutturazione del contratto, e anche, indirettamente, della “strategia” per entrare su nuovi mercati esteri.
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mente, dall’inizio alla fine di un ipotetico testo contrattuale, le clausole che si possono ritrovare in un contratto internazionale (tra cui definitions, conditions precedents, undertakings and best efforts, commercial warranties and legal warranties, representations, warranties and indemnification, force majeure, hardship, MAC-material adverse change, limitations of liability, penalties v. liquidated damages, confidentiality, compliance, term and termi- nation, general provisions, applicable law and settlement of disputes).
Come per i modelli offerti nella Parte Seconda, le clausole proposte nel testo in inglese, con traduzione in italiano da me predisposta per mera comodità dei lettori, sono comunque delle mere esemplificazioni, il cui scopo primario è quello di dare immediata evidenza delle questioni da affrontare nella redazione del contratto.
Spetta dunque ai lettori verificarne l’utilizzabilità alla luce delle peculia- xxxx e specificità proprie del caso concreto nonché delle disposizioni della legge applicabile al singolo contratto internazionale piuttosto che delle norme inderogabili e di applicazione necessaria in vigore nel Paese ove il contratto deve essere eseguito.
Chiudono questa Parte Prima due ulteriori Capitoli, il primo dei quali è dedicato alla negoziazione, internazionale ed interculturale, anche perché, ormai sempre più spesso, quantomeno per i contratti più complessi, gli avvocati sono anche chiamati a partecipare alla loro negoziazione. Nell’ul- timo capitolo viene invece analizzato in maniera dettagliata il diritto della concorrenza UE (in estrema sintesi, Reg. (CE) 1/2003, art. 101 e 102 TFUE e la normativa in tema di Concentrazioni).
Nella Parte Seconda, suddivisa in cinque Capitoli, dapprima vengono analizzati e commentati i tipi contrattuali utilizzati dalle imprese per inter- nazionalizzarsi, a partire dai Confidentiality Agreements e dalle Lettere di Intenti, passando poi ai contratti internazionali di compravendita (sales agreements e long-term supply agreements), ai contratti internazionali di distribuzione internazionale, (agency agreements e distribution agreements), e ai contratti di licenza (license agreements), per arrivare, infine, ai contratti di joint venture.
Anche in questo caso il commento del singolo tipo contrattuale si sviluppa gradualmente, partendo dalle clausole iniziali, per giungere, via via, fino alla fine, e quindi alla sottoscrizione del contratto (una fine che però, come si dirà, è anche e piuttosto, un inizio), ed è accompagnato dall’analisi delle principali clausole che lo caratterizzano, per cui vengono offerti esempi in inglese, con traduzione in italiano, accompagnati, ove opportuno, da tabelle riepilogative.
Per alcune di queste tipologie contrattuali, ove esplichino la loro efficacia nell’ambito dell’Unione Europea, viene anche offerto un commento alle
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disposizioni dei Regolamenti di esenzione di gruppo emanati dalla Commis- sione UE ad essi applicabili e di cui il redattore del testo contrattuale deve tener ben conto per non inserire nel contratto delle clausole che, alla prova dei fatti, risulterebbero nulle e inefficaci in quanto contrarie al diritto della concorrenza unionale.
La Parte Terza è composta da due soli Capitoli, rispettivamente dedicati alla determinazione della legge applicabile in mancanza di scelta da parte dei contraenti, e quindi al Regolamento (CE) 593/2008 (“Roma I”) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, ed ai Regolamenti (CE) 44/2001 (“Bruxelles I”) e il successivo Reg. UE 1215/2012 (Bruxelles I-bis) concer- nente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
Nel rinviare alla Parte Terza per l’illustrazione ed il commento delle singole disposizioni di tali Regolamenti, in questa Premessa è sufficiente sottolineare che il principio della libertà delle parti di scegliere la legge applicabile al contratto da loro sottoscritto rappresenta, per usare le parole utilizzate in Roma I, “la pietra angolare delle regole di conflitto di leggi in materia contrattuale” (e analogo principio lo ritroviamo nei due Regolamenti di Bruxelles).
Aggiungo, seppur incidentalmente, che la scelta di dedicare gli ultimi capitoli alle disposizioni di Roma I e di Bruxelles I e I-bis può apparire per certi versi singolare, in quanto, per converso, in molti commentari dedicati ai contratti internazionali, l’analisi delle norme regolamentari o convenzionali in tema di determinazione della legge applicabile e di competenza giurisdi- zionale compare nella loro prima parte, ed anzi all’argomento è sovente dedicata una parte non certo irrilevante (e a volte proprio preponderante) della trattazione.
Il primo è che il giurista che si dedichi alla pratica dei contratti internazionali deve avere, comunque, a monte, una approfondita conoscenza non solo del diritto privato e commerciale ma anche delle norme di diritto internazionale privato.
Il secondo motivo, ma forse è più una certezza, o quantomeno un confidente auspicio, è che i giuristi che assistono le imprese italiane nei loro processi di internazionalizzazione sono ben consci della necessità di dover essi stessi identificare già nella fase di impostazione della struttura del testo contrattuale la legge applicabile al contratto che stanno redigendo e la giurisdizione competente a conoscere delle controversie che dovessero in- sorgere tra i contraenti.
Termine estratto capitolo
La scelta di collocare i due capitoli invece in fondo a questo Manuale, dopo aver ampiamente commentato la pratica dei contratti internazionali, è sostanzialmente dovuta a due motivi.
PARTE PRIMA
CAPITOLO I
LE RAGIONI E LE FORME DELLA COLLABORAZIONE TRA IMPRESE NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE
1. I progetti di crescita e di internazionalizzazione delle imprese
Per un’impresa la crescita è uno strumento per rinnovarsi ed innovare, così da poter rimanere concorrenziale in un mercato sempre più intercon- nesso che, proprio in conseguenza della globalizzazione, è anche sempre più competitivo e ben difficilmente permette di limitarsi a mantenere una rendita di posizione in precedenza acquisita esclusivamente sul mercato domestico. La globalizzazione dei mercati ha comportato e tuttora comporta una serie di conseguenze su quello che l’impresa considera il suo mercato domestico tra le quali si possono considerare l’ingresso sul mercato di nuovi competitors stranieri ed il conseguente aumento della tensione competitiva, un ciclo di vita dei prodotti più breve e cambiamenti nella tecnologia più rapidi. La conseguenza è che i mercati cambiano più velocemente e cambia anche il modo di fare concorrenza non più “sul mercato”, quello domestico, ma “su più mercati”, e per le imprese diventa spesso necessario espandersi all’estero, acquisendo nuove tecnologie e nuove quote di mercato, raggiun-
gendo economie di scala e una minor dipendenza da un singolo mercato.
In un mondo ormai sempre più globalizzato, il processo di espansione delle imprese, italiane e non, il più delle volte si sviluppa lungo due direttrici. La prima è prettamente industriale e commerciale e comporta la deci- sione di entrare in nuovi mercati di prodotto, siano essi affini e contigui al già consolidato “core business” dell’impresa (diversificazione correlata) (1), con conseguenti prevedibili economie di scala e sinergie in termini di conoscenze
(1) Un esempio recente di diversificazione correlata è quello della Ferrero che, a decorrere dal 2016, è gradatamente entrata nel mercato dei biscotti, dapprima attraverso l’acquisizione di una serie di produttori all’estero (Belgio, Danimarca, Stati Uniti) e poi da ultimo con il graduale lancio sul mercato dei Nutella Biscuits e che nei primi mesi del 2021 ha esteso la sua attività anche al settore dei gelati confezionati, grazie all’acquisizione della Ice Cream Factory Comaker spagnola.
4 MANUALE DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI
tecnologiche e di competenze organizzative, manageriali e gestionali, piutto- sto che in mercati affatto diversi e non correlati con quello ove l’impresa tradizionalmente svolge la sua attività, con lo scopo di aumentare il proprio fatturato e ridurre i rischi derivanti dall’operare in un unico mercato di prodotto, seppur mancando o essendo estremamente ridotta la possibilità di sinergie e di condivisione di risorse e competenze tra il core business tradizionale e il nuovo business (diversificazione conglomerale).
La seconda opzione è quella meramente geografica, con l’impresa che cerca di avviare i primi passi all’estero, alla ricerca di nuovi mercati ove espandere la propria attività, a cominciare da quelli delle nazioni geografi- camente più vicine al mercato ove essa già opera, per poi gradualmente estendere la propria presenza su mercati più lontani, non solo da un punto di vista geografico ma anche culturale (internazionalizzazione).
Le motivazioni per decidere di avviare un progetto di internazionalizza- zione e di espandersi all’estero possono essere diverse, anche in funzione del settore merceologico ove l’impresa opera. La prima e probabilmente più immediata motivazione è quella di “uscire” dal mercato nazionale per entrare in nuovi mercati stranieri così da incrementare i propri volumi produttivi e, auspicabilmente, i ricavi e i profitti derivanti.
Non è la sola però, in quanto la necessità per l’impresa di affacciarsi su nuovi mercati esteri può essere la indiretta conseguenza dell’aumentata concorrenza sul mercato italiano dovuta all’ingresso di nuovi competitors stranieri piuttosto che una reazione, se non la mera emulazione, di quello che già fanno le imprese italiane concorrenti.
Ed ancora l’internazionalizzazione, quantomeno nell’ambito dei con- tratti internazionali di somministrazione, i long-term supply agreements, per l’impresa italiana può essere addirittura una necessità per seguire i propri clienti italiani che avviano attività manufatturiere all’estero o per “servire” più efficacemente, avvicinandosi ad essi, i clienti stranieri più importanti (2).
Termine estratto capitolo
(2) Un esempio può farsi a quel che è accaduto nel settore automotive. Se negli anni ottanta la vicinanza agli stabilimenti di produzione delle case automobilistiche aveva favorito i fornitori “nazionali”, in una prima fase la ricerca di nuovi fornitori, anche al di fuori del territorio nazionale, che, pur assicurando la medesima qualità, garantissero prezzi più competitivi aveva gradualmente favorito l’internazionalizzazione dei fornitori, mentre in una seconda fase è stata la continua pressione competitiva e la necessità di assicurare flussi di fornitura sempre più flessibili e “vicini” ai clienti e in linea con i loro mutevoli programmi a spingere i fornitori, e tra queste molte imprese italiane, ad aprire nuovi stabilimenti di produzione al di fuori dei confini nazionali per “seguire” ed avvicinarsi agli stabilimenti dei produttori automobilistici, così da assicurare forniture più rapide sfruttando un processo logistico più semplice.
CAPITOLO II
UN’INTRODUZIONE AI CONTRATTI INTERNAZIONALI
1. Contratti “nazionali” v. Contratti “internazionali”
Quasi inevitabilmente la globalizzazione dei mercati, e la maggior com- petitività che ne deriva, spinge sempre più spesso le imprese italiane a ripensare i propri processi industriali e commerciali in un’ottica non soltanto italiana, ma anche internazionale. Tale scelta può essere principalmente ricondotta a due distinte motivazioni, ovvero la ricerca di una maggior efficienza produttiva (in altri termini una riduzione dei costi di produzione, come può accadere qualora l’impresa decida di de-localizzare in una qualche low cost country, in tutto o in parte, la fabbricazione dei propri prodotti, e/o di determinati componenti tecnologicamente meno sofisticati ad essi desti- nati) piuttosto che la necessità di entrare su nuovi mercati, ove commercia- lizzare, direttamente, o per il tramite di partner locali, i propri prodotti, così da controbilanciare l’accresciuta presenza dei concorrenti stranieri sul mer- cato italiano.
Premesso che soltanto la seconda ipotesi ha la dignità di rappresentare un reale progetto di internazionalizzare, volto cioè ad allargare il mercato potenziale dell’impresa italiana al di là dei confini nazionale, quali che siano le motivazioni e gli obiettivi specifici che le imprese intendono raggiungere, la sfida che ne deriva non riguarda però soltanto le imprese stesse ma anche gli operatori del diritto chiamati ad accompagnarle nei processi di interna- zionalizzazione ed a dare giuridica concretezza agli accordi di volta in volta discussi dalle imprese italiane con clienti e partner stranieri, predisponendo un “contratto internazionale”.
Ma quando un contratto può dirsi internazionale? La nozione di con- tratto accolta dal legislatore italiano è nota: l’art. 1321 c.c. italiano definisce il contratto come « l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale ». Sostanzialmente analoghe le definizioni offerte da altri ordinamenti giuridici di civil law: « Le contrat est une convention par laquelle une ou plusieurs personnes s’obligent, envers une ou plusieurs autres, à donner, à faire ou à ne pas faire quelque
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chose » (art. 1101 codice civile francese), « El contrato existe desde que una o varias personas consienten en obligarse, respecto de otra u otras, a dar alguna cosa o prestar algun serviciò » (art. 1254 codice civile spagnolo). Nei sistemi di common law, e specificatamente nel diritto inglese, il contratto è invece più semplicemente definito come “an agreement which will be enforced by the law” oppure come « an agreement which is either enforced by law or reco- gnized by law as affecting the legal rights or duties of the parties » (1).
Intuitivamente l’internazionalità di un dato contratto può essere invece riferita alla creazione di una qualche relazione giuridica ed economica tra due soggetti appartenenti ad ordinamenti giuridici differenti, avendo essi la
propria sede d’affari in due Stati diversi, ed è questo, ad esempio, il parametro accolto dalla Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci (2), il cui art. 1 ne dispone l’applicazione « ai contratti di vendita di beni mobili tra parti le cui sedi d’affari si trovano in Stati differenti, quando tali Stati sono Stati contraenti, o quando le norme di diritto internazionale privato portano all’applicazione della legge di uno Stato contraente ».
Senza nulla togliere all’immediatezza del criterio adottato nella Conven- zione di Vienna, va nondimeno rilevato che il carattere di internazionalità di un contratto può essere desunto, come ricordato nel Commento al Pream- bolo dei Principi Unidroit dei Contratti Commerciali Internazionali (2016), facendo riferimento, oltreché alla sede di affari o di residenza delle parti contraenti, anche a criteri più generali come la circostanza che il contratto presenti “collegamenti significativi con più Stati”, “comporti una scelta circa il diritto applicabile, ovvero interessi il commercio internazionale”, ovverosia tutte quelle volte in cui un dato contratto presenti degli elementi di “estra- neità” ad un dato ordinamento giuridico nazionale per la presenza di elementi che lo collegano con l’ordinamento giuridico di altri Paesi (3).
(1) Rispettivamente in A.P. XXXXXX, Xxxxxxxxxxxx’x Business Law, 16a ed., London, p. 3 e in G.H. XXXXXXX, An outline of the law of contract, 6a ed., Xxxxxx, 0000, p. 1.
(2) Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di merci emanata a Vienna l’11 aprile 1980, ratificata dallo Stato italiano con la legge 11 dicembre 1985
n. 765. Il testo della Convenzione può essere consultato sul sito della Pace Law School di New York all’indirizzo xxxx://xxx.xxx.xxxx.xxx e sul sito xxxx://xxx.xxxxxx.xxxx curato da X.X. Xxxxxx, che offrono entrambi una ricchissima bibliografia ed un’ampia raccolta giurisprudenza sulla Convenzione di Vienna.
(3) « The international character of a contract may be defined in a great variety of ways. The solutions adopted in both national and international legislation range from a reference to the place of business or habitual residence of the parties in different countries to the adoption of more general criteria such as the contract having “significant connections with more than one State, “involving a choice between the laws of different States”, or “affecting the interests of interna- tional trade” (Unidroit Principles of International Commercial Contracts, Preamble p. 51 / Il carattere internazionale di un contratto può essere definito in molti modi. Le soluzioni adottate
UN’INTRODUZIONE AI CONTRATTI INTERNAZIONALI
19
I Principi Unidroit non codificano peraltro una specifica definizione di “contratto internazionale”, se non argomentando “a contrariis”, e cioè escludendo dal campo di applicazione dei Principi esclusivamente quei contratti “ove tutti gli elementi ...siano collegati con un solo Paese” (4). Al
medesimo risultato si perviene adottando le definizioni rispettivamente proposte da Xxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxx, secondo cui devono intendersi “internazionali” quei contratti che presentano « da un punto di vista fattuale e sociale collegamenti con sfere territoriali sottoposte all’autorità di Stati diversi e dunque con ambiti entro i quali sono in vigore sistemi giuridici differenti » (5) e da Xxxxxxxx Xxxxxxxx, secondo cui « ..un contratto è inter- nazionale (rectius transnazionale) — e quindi si differenzia dai contratti interni o “nazionali” o ancora “domestici” — quando, per la sua struttura, la sua funzione ed i suoi effetti non è destinato ad esaurirsi nell’ambito di un unico ordinamento giuridico statale » (6).
Diversamente, in un’ottica prettamente internazional-privatistica, è stato sostenuto che non necessariamente la presenza di elementi di “estraneità” può far sì che un contratto possa sempre dirsi “internazionale”, dovendo l’internazionalità essere invece valutata alla stregua dalle norme di diritto internazionale privato proprie dell’ordinamento giuridico di riferimento: un contratto potrebbe dunque dirsi internazionale se ed in quanto, sulla base di tali norme, esso presenti degli elementi di collegamento con più ordinamenti giuridici (e nell’ordinamento giuridico italiano il riferimento è dunque dall’art. 57 della legge 31 maggio 1995 n. 218, recante la riforma del sistema
tanto nella legislazione nazionale ed internazionale variano da un riferimento al luogo dove le parti svolgono la loro attività o hanno la loro residenza abituale all’adozione di criteri più generali come il fatto che il contratto abbia una significativa connessione con più di uno Stato, comporti la scelta tra le leggi di Stati differenti, o abbia un effetto sul commercio internazionale ». La versione inglese dei Principi Unidroit 2016, completa di introduzione, preambolo e commenti è consultabili sul sito xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxx-xxxxxxxxx/ unidroit-principles-201ł. La versione in italiano dei soli Principi 2016, è consultabile all’indi- xxxxx xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxxxxxx-xxxxxxxxxx-000x/xxxxxxxx-xxxxxxxxxx-000x-xxxxxxxx/xxxx xxx-black-letter.
(4) « The assumption, however, is that the concept of “international” contracts should be given the broadest possible interpretation, so as ultimately to exclude only those situations where no international element at all is involved, i.e. where all the relevant elements of the contract in question are connected with one country only. (Unidroit Principles 201ł, pp. 51-52 Preamble) / Il presupposto tuttavia è che al concetto di contratti “internazionali” dovrebbe essere l’interpre- tazione più ampia possibile, così da escludere soltanto quelle situazioni in cui non vi è alcun elemento di internazionalità, i.e. ove tutti gli elementi del contratto in esame siano collegati soltanto con una Nazione ».
(5) S. M. CARBONE-X. XXXXXXX, Il contratto internazionale, Torino, 1994, p. 2.
(6) X. XXXXXXXX, Manuale di Diritto del Commercio Internazionale, Padova, 2020, p.
251.
20 MANUALE DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI
italiano di diritto internazionale privato e processuale ed al richiamo ivi contenuto a quanto disposto dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali il cui art. 1 ne condiziona l’applicabilità all’esistenza di “situazioni che implicano un conflitto di leggi” (7) (ed il medesimo criterio si ritrova nell’analogo art. 1 del Reg. (CE)
n. 593 del Parlamento e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Regolamento “Roma I”), che a decorrere dal 17 dicembre 2009 ha sostituito la Convenzione) (8).
Guardando alle definizioni appena sopra menzionate, potremmo limi- tarci a concludere, con una mera tautologia, che il contratto internazionale è lo strumento utilizzato per dare una veste giuridica alle transazioni proprie del commercio internazionale e passare quindi ad esaminare le norme di diritto internazionale privato in materia di determinazione della legge appli- cabile alle obbligazioni contrattuali, nonché quelle in tema di conflitto di giurisdizione, come pure le alternative a disposizione nella scelta dell’organo chiamato a risolvere eventuali controversie che dovessero insorgere tra le parti durante l’esecuzione del contratto internazionale.
Sebbene nel discettare di contratti internazionali sia questo il criterio più comune, perlomeno tra i giuristi di civil law, ed in particolare tra quelli italiani, dal punto di vista dell’avvocato, o del giurista d’impresa, che debba redigere il testo di un contratto internazionale, esso non appare del tutto soddisfacente, o comunque risulta non esaustivo delle questioni che dovreb- bero essere affrontate, e delle considerazioni di cui si dovrebbe tener conto, allorquando ci si appresti per la prima volta a redigere un contratto inter- nazionale.
Da un lato un simile criterio ha come indiretto risultato di contribuire a focalizzare l’attenzione, della dottrina prima e degli operatori del diritto poi, principalmente, se non esclusivamente, su elementi, quali norme di diritto internazionale privato e convenzioni internazionali di diritto privato e pro- cessuale, che certamente rivestono un ruolo importante nelle dinamiche giuridiche del commercio internazionale (e di cui in effetti si tratta più diffusamente nella successiva Parte Terza), e specificatamente nei casi in cui il rapporto internazionale abbia dato luogo ad una qualche patologia con- trattuale, ma che sono comunque esterni alla transazione commerciale di cui il giurista è di volta in volta chiamato a predisporre la disciplina contrattuale (ferma comunque restando la necessità di sempre identificare nel testo
Termine estratto capitolo
(7) A. DE XXXXX-X. XXXXXXX, Le operazioni del commercio internazionale - Regole giuridiche sostanziali e tutela processuale, Milano, 2000, pp. 31-32.
(8) Per il commento al Regolamento Roma I si veda il successivo Capitolo I della Parte Terza.
CAPITOLO III
I REQUISITI DI UN CONTRATTO INTERNAZIONALE
1. I requisiti di un merchants’contract
Ma quali dovrebbero essere le caratteristiche di un merchants’ contract, ossia di un contratto che possa veramente essere utilizzato come strumento per l’internazionalizzazione dell’impresa e per il raggiungimento delle finalità economiche che essa si prefigge? A mio parere le caratteristiche di un contratto di tal fatta sono completezza e chiarezza nonché la capacità di contemperare, per quanto possibile, le esigenze di entrambi i contraenti.
1.1. Un contratto chiaro ed esaustivo
Un primo obiettivo del giurista dovrebbe dunque essere quello della chiarezza del linguaggio utilizzato nella redazione del testo contrattuale. Un contratto chiaro e comprensibile dunque, ma chiaro e comprensibile per chi? Non tanto e non soltanto per il giurista che lo redige ed eventualmente per l’avvocato di controparte, quanto piuttosto e soprattutto per i rispettivi clienti, per i merchants che saranno chiamati prima a negoziare l’accordo e poi, ognuno per quanto di competenza, ad eseguire le obbligazioni contrat- tuali ivi reciprocamente assunte (e ciò, ad onor del vero, dovrebbe valere tanto per i contratti internazionali che per quelli di diritto interno).
Si guardi ad esempio alla clausola qui di seguito proposta, tratta da Condizioni generali di appalto disciplinate dalla legge italiana predisposte una ventina di anni fa e realmente applicate per disciplinare contratti di appalto tra una società committente italiana ed i suoi appaltatori, italiani o stranieri che fossero (che peraltro indubbiamente rappresenta un esempio “estremo”) (1).
(1) Sebbene questo libro sia dedicato ai contratti internazionali questa clausola, così come la prima versione di quella successiva pure commentata in questo paragrafo, sono tratte da testi contrattuali che mi è capitato di “incontrare” nel corso della mia esperienza professionale, disciplinati dal diritto italiano e sostanzialmente pensati e redatti per discipli-
38 MANUALE DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI
« Le parti concordano che l’appaltatore dovrà adempiere alle obbligazioni poste a suo carico dalle presenti Condizioni generali di appalto secondo quanto disposto dagli articoli 1218 e 1453 c.c., provvedendo ad eseguire dette obbligazioni contrattuali in buona fede, in accordo con le previsioni dell’art. 1375 c.c., ed adempiendo agli obblighi posti a suo carico con natura dell’attività esercitata, ai sensi dell’art. 1176 c.c., avuto riguardo ai criteri di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. ».
Sebbene vi siano citati ben cinque diversi articoli del codice civile (art. 1218 c.c. - Responsabilità del debitore, art. 1453 c.c. - Risolubilità del contratto per inadempimento, art. 1375 c.c. - Esecuzione di buona fede, art. 1176 c.c. - Diligenza nell’adempimento, art. 1175 c.c. - Comportamento secondo correttezza), nella sostanza tale clausola esplicita due diversi principi di carattere assolutamente generale: l’appaltatore deve adempiere alle pro- prie obbligazioni in buona fede e con diligenza mentre il committente, in caso di inadempimento dell’appaltatore, può risolvere anticipatamente il contratto.
La clausola si presta ad una serie di considerazioni, tutte critiche (ma le critiche devono riferirsi all’interezza delle Condizioni generali da cui essa è tratta, in quanto il linguaggio e la metodologia di redazione che le caratte- rizzavano era la medesima esemplificata nella clausola qui proposta):
(i) in generale, la ridondanza dei riferimenti ad articoli del codice civile ed a concetti generali, quali buona fede e correttezza, nuoce alla chiarezza del testo;
(ii) la clausola stessa, nella sua interezza, è ridondante in quanto esprime dei principi che devono comunque trovare una più ampia e compiuta disciplina nel testo contrattuale (i.e. diritto del committente di risolvere anticipatamente il contratto in caso di specifici inadempimenti dell’appalta- tore, da identificare nel testo contrattuale in uno con le modalità e le tempistiche pattuite per esercitare tale diritto) o che comunque, in virtù del disposto normativo, sono in ogni caso applicabili al rapporto contrattuale (quali obbligo di buona fede e correttezza);
(iii) il linguaggio della clausola, inutilmente “tecnico-giuridico”, è tale da renderla difficilmente comprensibile agli addetti ai lavori, ovverosia a coloro che, operando all’interno della struttura imprenditoriale del committente o
nare rapporti tra soggetto italiani. Ciò in quanto, non avendo reperito esempi analoghi tratti da contratti internazionali redatti in lingua inglese (non certo, fortunatamente tra quelli da me predisposti, ma neppure in testi di contratti internazionali che, nel tempo, mi è capitato di visionare) essi rappresentano i migliori (o peggiori, a secondo del punto di vista da cui li si considera) esempi di redazione contrattuale che mi è capitato di leggere e che illustrano “visivamente” quello che, almeno nella mia opinione, non dovrebbe essere il modo con cui si scrivono i contratti, internazionali e non.
I REQUISITI DI UN CONTRATTO INTERNAZIONALE
39
dell’appaltatore, siano materialmente chiamati a seguire contratto di appalto.
l’esecuzione del
In carenza di una qualche ulteriore pattuizione, contenuta in altra parte delle Condizioni generali da cui la clausola è tratta, o in specifiche Condizioni speciali, che chiariscano l’applicazione, in relazione al singolo contratto di appalto, dei concetti generali richiamati in una clausola di tal genere, verrebbe a mancare completamente la “procedura contrattuale” destinata a disciplinare l’operatività dello specifico appalto.
E per predisporre tale procedura dovrebbero essere diversi non soltanto il linguaggio, ma anche le domande da porsi all’atto della redazione del testo contrattuale. Anziché concentrare la propria attenzione soltanto su elementi “esterni” che gli sono ben noti e del tutto familiari (i riferimenti alla disciplina codicistica), il giurista dovrebbe ragionare con altrettanto impegno sugli elementi “interni” al contratto, ovvero su quelle circostanze che sono specifiche ed affatto peculiari a quel dato rapporto contrattuale.
Ciò al fine di identificare le possibili patologie che potrebbero compro- mettere la corretta e puntuale esecuzione di quello specifico contratto, e poi, piuttosto che limitarsi a confidare esclusivamente nella possibilità di risolvere il contratto e chiedere giudizialmente il risarcimento dei danni sopportati, accertare se sia possibile individuare degli specifici rimedi interni al contratto per ognuna di tali patologie (e nel caso di un contratto di appalto si potrebbe in ipotesi prevedere a carico dell’appaltatore l’obbligo di rilasciare una garanzia bancaria a prima richiesta che l’appaltante possa escutere in caso di una non corretta o puntuale esecuzione dei lavori appaltati, piuttosto che modulare i pagamenti del corrispettivo dovuto all’appaltatore in funzione dell’effettivo completamento di singole fasi dell’attività appaltata).
E qui dovrebbe sorgere spontanea la domanda (che il giurista che ha redatto la clausola sopra esposta proposta non si è mai posto...) di chi siano i destinatari del contratto, gli avvocati o i manager che devono eseguirlo?
Qui di seguito vengono poi proposte due diverse formulazioni, alterna- tive l’una all’altra, di una clausola di un outsourcing agreement per la fornitura di servizi connessi con le attività di un call center aziendale e destinata ad esplicitare le modalità di esecuzione del servizio da parte del service provider (2).
A parte l’uso della terminologia anglosassone, oggi di moda e certamente più efficace nel rendere con immediatezza il senso imprenditoriale del rapporto contrattuale, ci troviamo di fronte a quello che nel diritto italiano null’altro è che un mero contratto di appalto di servizi. Nella prima versione
(2) Il termine “outsourcing” può essere tradotto come “approvvigionarsi da fuori/ approvvigionamento esterno”.
40 MANUALE DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI
qui proposta, chi ha redatto il testo contrattuale si è limitato ad utilizzare una formulazione di carattere generale. Per contro l’avvocato che ha redatto la seconda versione della medesima clausola si è preoccupato di dare atto delle specifiche modalità e delle obbligazioni conseguenti con cui l’outsourcee/ appaltatore dovrà fornire i servizi di call center commissionatigli dall’outsourcer/appaltante, calando nella realtà e dando sostanza ai principi contenuti nella prima versione della clausola.
PRIMA VERSIONE
Obbligazioni dell’appaltatore - L’appaltatore adempirà le obbligazioni oggetto del pre- sente contratto con la migliore diligenza, garantendo in particolare che i servizi qui commissionatigli siano prestati a regola d’arte (i) da personale dotato di adeguata prepa- razione tecnico professionale ed in numero adeguato ai volumi ed alle tipologie di servizi programmati e richiesti dall’appaltante, e (ii) utilizzando i più opportuni strumenti infor- matici (hardware e software) e di telefonia fissa, così da garantire un adeguato livello di soddisfazione dei clienti.
SECONDA VERSIONE
Obbligazioni dell’appaltatore - L’appaltatore erogherà i servizi attraverso una Unità Ope- rativa Dedicata costituita dal numero di Operatori Front End, dedicati ai singoli servizi, ognuno dei quali opererà da una Postazione Standard, assicurando il rispetto dei livelli di servizi identificati e mensilmente monitorati in accordo con quanto previsto dall’allegato [•].
Definizioni collegate:
Unità Operativa Dedicata: l’unità operativa costituita dall’appaltatore con personale esclu- sivamente dedicato all’erogazione dei servizi ed allo svolgimento delle attività di cui al presente contratto.
Operatori front end: gli operatori selezionati dall’appaltatore e che abbiano previamente partecipato ai corsi di formazione descritti nell’allegato [•] impiegati dall’appaltatore nell’Unità Operativa Dedicata in via esclusiva per l’erogazione dei singoli servizi, nel numero e con le qualifiche di volta in volta necessari per soddisfare i volumi e le tipologie di servizi programmati e richiesti dall’appaltante in accordo con i criteri di parametrazione operatori/volumi/servizi di cui all’allegato [•];
Postazione Standard: l’insieme integrato degli strumenti informatici (hardware e software) e di telefonia fissa messi a disposizione di ogni Operatore Front End dettagliatamente descritti nell’allegato [•].
Da un punto di vista strettamente giuridico le due clausole potrebbero essere considerate del tutto equivalenti. Nondimeno per valutare quanto l’una e l’altra siaTneormidoinneeeeasdtraatstsoicucraarpeituonloordinato svolgimento del contratto, bisognerebbe domandarsi che cosa accadrebbe nell’eventualità che il servizio prestato dall’outsourcee/appaltatore non dovesse risultare,
CAPITOLO IV
LA DETERMINAZIONE DELLA LEGGE APPLICABILE E DELLE MODALITÀ DI RISOLUZIONE
DELLE CONTROVERSIE NEI CONTRATTI INTERNAZIONALI
1. Autonomia privata e scelta della legge applicabile al contratto
Per quanto le procedure operative che si intendono incorporare nel testo contrattuale, possano apparire del tutto confacenti a regolare le attività necessarie per l’esecuzione del contratto, ed al tempo stesso adeguate per assicurare un equo contemperamento degli obiettivi contrattuali di entrambe le parti, è pur tuttavia sempre necessario verificare in via preventiva che le singole disposizioni contrattuali non siano in contrasto con quanto previsto dalle norme della legge che risulti applicabile al contratto e sulla base della quale dovrebbero poi essere comunque risolte eventuali controversie che dovessero insorgere tra i contraenti.
Tale legge può essere quella espressamente scelta dai contraenti, così come consentito dalla maggior parte dei sistemi giuridici, o, in carenza di una simile scelta, quella individuata sulla base delle norme di diritto internazio- nale privato applicabili nel caso di specie, siano esse quelle proprie del diritto interno di uno Stato piuttosto che di disposizioni di natura convenzionale, dettate cioè da Convenzioni internazionali specificatamente destinate ad individuare la legge applicabile ai rapporti contrattuali che comportino un eventuale conflitto di leggi, o, nell’Unione Europea, da specifici Regola- menti (1).
In Italia è questo anche il caso di quanto previsto dalle norme di diritto internazionale privato dettate dalla legge 218/1995 del 31 maggio 1995 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) il cui art. 57, dedicato alle obbligazioni contrattuali, fa in esplicito rinvio alla Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 e ratificata dall’Italia con legge 18 dicembre 1984, n. 975 (“art. 57. Obbligazioni contrattuali. Le obbligazioni contrattuali
(1) V. Capitolo I, Parte Terza.
52 MANUALE DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI
sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con la legge 18 dicembre 1984, n. 975, senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili”), oggi sostituita dal Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applica- bile alle obbligazioni contrattuali (Regolamento Roma I) (2).
L’articolo 3.1. del Regolamento Roma I, al pari di quanto disposto dall’analogo articolo della precedente Convenzione di Roma, seppur con una serie di eccezioni, sancisce la libertà dei contraenti di scegliere la legge nazionale destinata a disciplinare il contratto, fatte salve, ai sensi del succes- sivo art. 3.3 le norme di applicazione necessaria vigenti nella nazione ove il contratto deve essere eseguito (Art. 3.1. « Il contratto è disciplinato dalla legge scelta dalle parti. La scelta è espressa o risulta chiaramente dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze del caso. Le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto ovvero a una parte soltanto di esso. » - Art. 3.3.
« qualora tutti gli altri elementi pertinenti alla situazione siano ubicati, nel momento in cui si opera la scelta, in un paese diverso da quello la cui legge è stata scelta, la scelta effettuata dalle parti fa salva l’applicazione delle disposi- zioni alle quali la legge di tale diverso paese non permette di derogare convenzionalmente »), stabilendo nei successivi articoli una serie di criteri per l’identificazione della legge applicabile in carenza di scelta dei contraenti.
Ovviamente, ma è quasi superfluo ribadirlo, qualora l’impresa italiana abbia l’accortezza di coinvolgere un avvocato fin dall’inizio della sua avven- tura internazionale, e non già soltanto durante la sua esecuzione, proprio in conseguenza dell’insorgere di una qualche potenziale controversia con la controparte straniera, nella redazione di un contratto internazionale la questione dovrebbe rimanere soltanto teorica, e la legge applicabile do- vrebbe essere quella scelta dalle parti ed espressamente indicata nel testo contrattuale da esse sottoscritto.
A ben guardare, e prima ancora di preoccuparsi di quel che potrebbe accadere in una ipotetica futura controversia, una ulteriore, più immediata e più sostanziale motivazione per il redattore del contratto di scegliere espres- samente la legge destinata a disciplinare il contratto è data dal fatto che
(2) Per l’analisi del rapporto tra la Convenzione di Roma ed il Regolamento Roma I ed il commento dei Regolamenti Roma 1 e Bruxelles I e I-bis si vedano i Capitoli I (“La determinazione della legge applicabile in mancanza di scelta: Il Regolamento UE “Roma I”) e II (“Le modalità per la risoluzione delle controversie nei contratti internazionali: I Regolamenti UE Bruxelles I e Bruxelles I-bis”) della Parte Terza. Il testo del Regolamento “Roma I” è consultabile all’indirizzo xxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXX:X:0000:0 77:000ł:000ł:IT:PDF.
LA DETERMINAZIONE DELLA LEGGE APPLICABILE E DELLE MODALITÀ DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE 53
soltanto attraverso la previa individuazione di tale legge è possibile accertare, durante la redazione del testo contrattuale, se gli schemi e le soluzioni contrattuali approntate possano essere effettivamente fatte valere in quanto conformi alle norme dell’ordinamento giuridico destinato a regolamentare il
contratto o comunque applicabili al contratto (le norme imperative forti (internationally mandatory rules) (3).
2. La scelta della legge applicabile
Come si è visto le norme di d.i.p., tanto quelle di diritto interno che quelle di natura convenzionale o unionale, riconoscono un ruolo essenziale all’autonomia privata dei contraenti nella scelta della legge applicabile al contratto e della giurisdizione competente a giudicare eventuali controversie che ne dovessero derivare.
L’impostazione delle Convenzione di Roma viene sostanzialmente ri- presa nel Regolamento Roma I emanato dal legislatore europeo, che ha dichiaratamente considerato l’autonomia negoziale come la “pietra angolare” del sistema regolamentare, cercando nel contempo di introdurre una maggior “certezza del diritto”, così da ridurre le incertezze riscontrate durante il periodo di vigenza delle Convenzioni, particolarmente riguardo alle norme dedicate al caso di assenza di una specifica scelta delle parti in merito alle legge applicabile ed al foro competente.
(3) Mi lascia quindi estremamente perplesso l’opinione espressa in passato da alcuni commentatori, secondo cui, in determinate circostanze, la rinuncia a scegliere la legge applicabile al contratto potrebbe essere una valida soluzione per risolvere un eventuale disaccordo dei contraenti in merito alla legge da indicare quale legge regolatrice del contratto. Ciò in quanto, mancando la certezza in merito alla legge nazionale sulla base di cui in contratto dovrebbe essere interpretato, il redattore del testo contrattuale potrebbe avere non poche difficoltà ad identificare a priori tutti i potenziali rischi insiti nel contratto e, conseguente- mente, a predisporre nel testo delle possibili cautele e dei rimedi per minimizzare tali rischi. Nessun problema se il rapporto contrattuale viene regolarmente eseguito, ma nell’eventualità che insorga poi una qualche controversia tra i contraenti, circostanza certamente deprecabile, ma che non può essere a priori esclusa all’atto della sottoscrizione del contratto, la necessità di determinare la legge applicabile finirebbe per aumentare i tempi (e i costi...) della controversia e soprattutto alimentare l’incertezza dell’impresa italiana e dei suoi consulenti in merito al possibile esito di una eventuale controversia che dovesse radicarsi tra i due contraenti (ipotesi questa non particolarmente attraente, quantomeno per l’impresa italiana). Xxxxxxxx, ma xxxxxxx che il fatto di per sé non è dirimente, che in tutto il mio non breve percorso professionale non mi è mai capitato di dover esaminare un qualsivoglia contratto, da quelli più complessi, joint venture e acquisizioni, a quelli più semplici, quali sales agreement
/ long-term supply agreements o contratti di distribuzione, in cui le controparti, dalla grande multinazionale alla piccola impresa, fossero disponibili a non identificare nel contratto la legge destinata a disciplinare il rapporto contrattuale che si andava ad instaurare.
54 MANUALE DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI
Il perseguimento di una maggior “certezza del diritto” è indubbiamente un obiettivo da condividere, ed è certamente un obiettivo a cui anelano tutti gli operatori commerciali che si trovano a dover negoziare e sottoscrivere contratti internazionali.
Considerato che, in caso d’assenza di una scelta esplicita dei contraenti, la Convenzione prima, e poi il Regolamento, dispongono soltanto dei criteri di connessione sulla base dei quali il giudice adito, prima ancora di entrare nel merito della controversia, deve accertare la propria (eventuale) compe- tenza ed identificare la legge applicabile, ben si comprendono i tempi ed i costi di un eventuale controversia che dovesse insorgere tra i contraenti che non si siano preoccupati di identificare essi stessi la legge applicabile e le modalità di risoluzione di eventuali controversie che dovessero insorgere durante l’esecuzione del rapporto contrattuale.
Deve essere altresì sottolineato che, durante la predisposizione del testo contrattuale, il redattore, dopo aver individuato le soluzioni più appropriate allo specifico rapporto contrattuale, deve necessariamente verificarne l’ade- guatezza alla luce delle disposizioni della legge applicabile, ed in particolare di eventuali norme inderogabili da tali leggi previste.
Non effettuare la scelta della legge applicabile prima della effettiva sottoscrizione del contratto nella realtà ha come conseguenza, da un lato di posticipare tale verifica di adeguatezza al momento in cui dovesse insorgere una qualche controversia tra i contraenti (e cioè, quando sarebbe poi troppo tardi per porre rimedio ad una eventuale non congruità di una qualche
che gli operatori commerciali (ed i loro consulenti giuridici) avevano invece considerato come applicabile nel momento in cui avevano deciso di avviare una controversia giudiziale.
Anche se i commentatori, in ispecie americani, stigmatizzando un simile approccio, hanno spesso definito le clausole che identificano la legge appli- cabile al contratto e la giurisdizione competente come le “midnight clauses”, le “clausole di mezzanotte” quelle che vengono discusse e concordate soltanto al termine della negoziazione, dopo ore e giorni di estenuanti discussioni, nella realtà dei contratti internazionali, almeno per quelli più complessi o che comunque presentino una rilevanza economica non banale, il più delle volte è quantomeno improbabile che le parti non scelgano
Termine estratto capitolo
pattuizione contrattuale con eventuali norme di applicazione necessarie previste dal diritto interno applicabile al contratto) e dall’altro di affidare ad un terzo, il giudice adito, l’individuazione della legge applicabile (ed in questo caso il rischio è che il giudice, utilizzando le norme di d.i.p. che gli sono proprie per identificare il diritto materiale sulla base del quale giudicare la controversia, giunga ad identificare una legge in ipotesi diversa da quella
CAPITOLO V
LEX MERCATORIA E CONTRATTI SELF-REGULATORY
1. L’aspirazione della dottrina: una lexmercatoria universale
Qualunque sia la soluzione concordata tra le parti in merito alla legge destinata a disciplinare il contratto, quasi certamente, almeno nella maggio- ranza dei casi, si tratta pur tuttavia di una soluzione “incompiuta”, che, a prescindere e nonostante le doverose verifiche di congruità effettuate da consulenti legali locali, lascia non del tutto soddisfatte, e non necessaria- mente tranquille, entrambe le parti (nel caso in cui la scelta sia quella della legge “neutrale”, estranea all’esperienza quotidiana di entrambi i contraenti) o, quantomeno, una di esse (il contraente che, in ipotesi, abbia accettato di indicare quale legge regolatrice del contratto quella della controparte).
A ciò si aggiunga che un’ulteriore domanda che qui ci si potrebbe porre, e che spesso i giuristi più avveduti che si dedicano ai contratti internazionali si pongono, è quella relativa alla possibilità che delle mere norme di diritto interno siano effettivamente in grado di disciplinare compiutamente relazioni giuridiche ed economiche di carattere internazionale, instaurate tra soggetti appartenenti a sistemi giuridici differenti, avendo essi la propria sede d’affari in Stati diversi.
Da tale interrogativo discende quella che potremmo definire un’aspira- zione alla delocalizzazione dei contratti internazionali, tale da consentire di svincolarli dalle disposizioni dei singoli diritti nazionali, che per la verità accomuna tanto la dottrina che i pratici del diritto internazionale, l’una e gli altri perseguendola tuttavia in maniera diversa, seppur speculare alla diversa angolazione con cui dottrina e pratici interagiscono con i contratti interna- zionali.
Nella dottrina, ed in particolar modo in quella dei sistemi di civil law (1),
(1) Sul dibattito dedicato alla lex mercatoria dalla dottrina anglo-sassone si veda il capitolo, non a caso denominato « Una minore attenzione alla lex mercatoria della dottrina di common law » (pp. 696-708) dell’opera di X. XXXXXXXX, La nuova lex mercatoria - Principi Unidroit ed usi dei contratti del commercio internazionale, Xxxxxx, 0000.
68 MANUALE DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI
è ormai da tempo diffuso il dibattito il merito al graduale processo di formazione di un diritto transnazionale del commercio internazionale, alter- nativo rispetto ai sistemi giuridici dei singoli ordinamenti nazionali, ed il riferimento alla c.d. lex mercatoria, intesa, per citare soltanto due delle possibili definizioni offerte dalla dottrina italiana, peraltro rappresentative della diversa ampiezza con cui il concetto di lex mercatoria viene pure interpretato dalla dottrina stessa, come un « diritto creato dal ceto imprendi- toriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati e formato da regole destinate a disciplinare in modo uniforme, al di là delle unità politiche degli Stati, i rapporti commerciali che si instaurano entro l’unità economica dei mercati » (2) piuttosto che come « quel corpo di regole ed istituti concernenti il commercio internazionale comunemente applicata dai mercatores nella con- sapevolezza che si tratti di regulae iuris o, almeno, che gli altri contraenti si comporteranno osservando le stesse regole » (3).
La finalità della lex mercatoria? « Whatever the description, the purpose is
clear: it is to regulate international commercial transactions by a uniform system of law which avoid the vagaries of different National systems/Quale che ne sia la definizione, lo scopo (i.e. della lex mercatoria) è chiaro: è quello di disciplinare le transazioni commerciali internazionali attraverso un sistema uniforme di leggi che consenta di evitare le stravaganze di ordinamenti (i.e. giuridici) nazionali (4) ».
Senza entrare nel merito del costante dibattito al ruolo svolto, o che potrebbe svolgere, la “lex mercatoria” e della rara giurisprudenza che in Italia si è trovata nella necessità di disquisire di lex mercatoria (5), basti qui ricordare l’estremo interesse ed il risalto che la dottrina ha dedicato, e continua a dedicare, alle fonti del diritto del commercio internazionale tradizionalmente identificate come elementi costitutivi della lex mercatoria (principi generali di diritto correntemente applicati dalla giurisprudenza arbitrale, usi e consuetudini commerciali, modelli uniformi di contratto e condizioni generali di contratto redatti da organismi transnazionali o da associazioni internazionali di categoria quali possono essere l’Unidroit la Fidic, l’Orgalime, la Fidic e l’ISDA (6), le N.U.U. - Norme ed usi uniformi
(2) X. XXXXXXX, Lex mercatoria, 4a ed., Milano, 2001, p. 238.
(3) A. XXXXXXXX - XXXXX XXXXXXXX, Diritto comparato e prassi commerciale, 2ª ed., Padova, 2010, p. 25.
(4) A. XXXXXXX-X. XXXXXX, Law and practice of International commercial arbitration, 3ª ed., Londra, 1999, pp. 117-118, come citato in X. XXXXXXXX, La nuova lex mercatoria, p. 701.
(5) In merito alla giurisprudenza italiana in tema di lex mercatoria si rinvia a X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 242-246.
(6) Dell’Unidroit (International Institute for the Unification of Private Law) vanno ricordati i “Principles of International Commercial Contracts (UPICC)”. La Fidic (Fédération
LEX MERCATORIA E CONTRATTI SELF-REGULATORY
69
e gli Incoterms ® predisposti dalla CCI - Camera di Commercio Internazio- nale).
A sostanziare vieppiù, e dare vita all’idea della lex mercatoria la dottrina cita poi le convenzioni internazionali di diritto materiale uniforme, quali la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili, i Principi Unidroit sui contratti commerciali internazionali e, almeno per certi versi, visto l’intento di armonizzazione transnazionale che li contraddistingue, a seguire con i Principles on European Contract Law (PECL) predisposti e pubblicati dalla Commissione per un diritto contrattuale europeo (7) (“Com- missione Lando”) nel 1995 e nel 2000, ed il progetto di codice civile europeo dello Study Group on an European Civil Code, chiamato a proseguire l’opera della Commissione Lando, piuttosto che il Code Européen des Contrats, redatto dalla Accademia dei Giusprivatisti Europei o ancora all’Action Plan della Commissione Europea per la costruzione di un Draft Common Frame of Reference del diritto contrattuale europeo.
L’incertezza in merito al quadro normativo di riferimento all’interno del
quale collocare i contratti internazionali, l’inadeguatezza delle norme di diritto interno e la distanza che ancora sussiste tra l’intuizione della centralità che una lex mercatoria transnazionale potrebbe avere per semplificare e garantire certezza del diritto ai rapporti commerciali internazionali e la costituzione di un “corpus iuris” che sostanzi la tanto auspicata law merchant, probabilmente giustificano l’ampiezza del dibattito e l’attenzione della dot- trina.
Nondimeno la lex mercatoria, così come prefigurata dalla dottrina, oggi è ben lungi dal rappresentare una risposta adeguata alla necessità di offrire alla pratica dei commerci internazionali un uniforme quadro giuridico di riferimento, sol che si consideri la eterogeneità e la frammentarietà degli elementi che dovrebbero sostanziarla, così come spesso citati dalla dot- trina (8).
International des Ingénieurs - Conseils) ha predisposto una serie di modelli contrattuali destinati al settore degli appalti per la costruzione di grandi opere, l’Orgalime (Organisme de Liaison de l’Industrie Métallurgique) ha fatto altrettanto nel settore dell’industria metalmec- canica mentre dell’ISDA - International Swaps and Derivatives Association va menzionato lo Swap Master Agreement, contratto quadro per la cessione di strumenti finanziari derivati.
(7) X. XXXXX-X. XXXXX (a cura di) Principles of European Contract Law, Parts I and II, 2000, Alphen aan den Rijn (Paesi Bassi).
(8) Occorre poi aggiungere che, fatta eccezione per gli Incoterms ® e, almeno per certi versi, per i modelli contrattuali predisposti da associazioni internazionali delle diverse categorie imprenditoriali, quali la Fidic e l’Isda, molti degli altri strumenti citati per dare concretezza alla lex mercatoria non hanno avuto pressoché alcuna influenza nella pratica dei contratti internazionali così come quotidianamente applicata dai merchants (è questo certa-
70 MANUALE DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI
Nella pratica i dubbi che circondano la lex mercatoria non sono di poco conto. La prima e più ovvia considerazione è che la lex mercatoria, pur così come definita e sostanziata dalla dottrina che la riconosce e la sostiene, ad oggi, a ben concedere, rappresenta un sistema per così dire “incompleto”, la cui portata e la cui efficacia non è neppure lontanamente paragonabile a quella esplicata dalle norme di diritto interno siano esse quelle di un sistema giuridico di civil law piuttosto che quelle di un ordinamento di uno Stato che si ispiri alla tradizione anglosassone di common law (9).
Se poi si accede alle definizioni prima ricordate (« un diritto creato dal ceto imprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati... »,
« un corpo di regole ed istituti concernenti il commercio internazionale comu- nemente applicati dai mercatores nella consapevolezza che si tratti di regole di diritto »), sembra quasi scontato osservare che in realtà gli elementi asseri- tamente costitutivi della lex mercatoria (raccolte di principi di diritto con- trattuale o precedenti arbitrali), più che “al ceto imprenditoriale”, siano nella sostanza riconducibili ad elaborazioni formulate da determinate categorie di lawyers (accademici, giudici, arbitri).
Può così spiegarsi come mai nella quotidiana pratica dei contratti internazionali l’atteggiamento dei merchants sembri essere tutt’altro che favorevole all’applicazione della lex mercatoria, e per fare degli esempi si pensi al fatto che sovente, come si è già accennato, la Convenzione di Vienna piuttosto che i Principi Unidroit sono spesso citati nei contratti internazionali soltanto per escluderne l’applicazione (10).
mente il caso delle varie elaborazioni prodotte dalla dottrina in ambito Europeo menzionate sopra (PECL predisposti dalla Commissione Lando, Code Européen des Contrats, Draft Common Frame of Reference). Una maggior fortuna, seppur confinata a contratti di rilevante magnitudine ed alla pratica dell’arbitrato, va invece riconosciuta ai Principi Unidroit, la cui ultima edizione (2016) è consultabile all’indirizzo xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxx/xxx mercial-contracts/unidroit-principles-201ł.
(9) Per una ormai assai risalente critica della teoria della lex mercatoria si veda X. XXXXXXXXXX, L’applicazione degli usi del commercio internazionale ai contratti internazionali, in Fonti e tipi del contratto internazionale, Milano, 1991, p. 86, secondo il quale in realtà « la costruzione dottrinale (della lex mercatoria), concepita per svincolare l’arbitro internazionale dalle norme dei sistemi nazionali con il pretesto del loro carattere arcaico ed inadeguato, rischia, per la stessa genericità ed incompletezza delle sue regole, di pregiudicare l’essenziale esigenza della certezza dei rapporti commerciali internazionali ed i trasformare l’arbitro in un amichevole compositore anche in assenza di una volontà delle parti a questo riguardo ».
Termine estratto capitolo
(10) Con specifico riferimento alla Convenzione di Vienna tale esclusione non è però necessariamente condivisibile ove essa appaia il frutto di una scelta preconcetta e non giustificata alla luce delle circostanze del caso concreto in quanto il compratore potrebbe avere infatti interesse a non escluderne espressamente l’applicabilità allo specifico rapporto con- trattuale, in quanto così facendo si priverebbe della possibilità di far valere le implied
CAPITOLO VI
LE TECNICHE DI REDAZIONE DEI CONTRATTI NEI SISTEMI DI COMMON LAW E DI CIVIL LAW
1. Sicurezza dei commerci e “giustizia del contratto”: il contratto nei sistemi giuridici di civillaw e commonlaw
Mentre nei sistemi di civil law il contratto è eseguito ed interpretato nell’ambito, ed entro i limiti, di un sistema giuridico codificato, nei sistemi anglo-sassoni il contratto ha storicamente esplicato i suoi effetti in un sistema giuridico “aperto”, la natura del cui sviluppo è stata procedurale più che sistematica (e non è quindi un caso, per fare un esempio della a-sistematicità dei sistemi anglo-sassoni che, a differenza di quel che accade nel diritto italiano, nella common law (1) ai singoli tipi contrattuali non sia dedicata una specifica disciplina tipizzata, se non in via eccezionale (2).
Un giurista italiano (ma lo stesso accade ai giuristi che appartengano ad un altro Paese il cui ordinamento giuridico sia riconducibile alla civil law) che si trovi a dover redigere un qualche contratto di diritto interno, ne predispone il testo avendo ben presente che esso, quali che siano le dispo- sizioni contrattuali pattuite tra i contraenti, esplicherà la sua efficacia in accordo con le norme codicistiche applicabili a quel determinato tipo contrattuale.
Nei contratti di diritto interno, quelli che l’impresa è abituata a sotto-
(1) Occorre tuttavia non dimenticare che, come d’altra parte accade nei sistemi di civil law, parlare di “sistemi giuridici di common law” è comunque una, seppur necessaria, semplificazione in quanto è ben possibile distinguere le nazioni che appartengono a tale tradizione giuridica, e il riferimento più immediato e al diritto inglese se confrontato con la common law U.S.A. A tale proposito si veda X. XXXXXXXX-X. XXXXXXX, Common law contract law. A practical guide for the civil law lawyer. Guida pratica alla disciplina dei contratti nell’ambito del sistema di Common Law, Milano, 2015.
(2) Nel Regno Unito si pensi al Sale of Goods Act (1979), la cui prima versione tuttavia risale al 1893, o all’Unfair Contract Term Act (1977), o, anche, alle Commercial Agents Regulations (1993), peraltro necessariamente introdotte per recepire la Direttiva (CEE) 86/653.
80 MANUALE DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI
scrivere con controparti italiane, le parti potrebbero dunque limitarsi, al- meno in teoria, a definire nel testo contrattuale i soli elementi essenziali della transazione che intendono eseguire, confidando che, per quanto non espres- samente disposto nel contratto, essa sia comunque disciplinata dalle dispo- sizioni dettate dal legislatore, prime tra tutte quelle del codice civile.
Paradossalmente, in un simile contesto, il redattore del contratto po- trebbe anche decidere, magari pensando in buona fede di sbloccare un’em- passe negoziale o di favorire in futuro il proprio cliente, di adottare una qualche formulazione ambigua o lacunosa, nella convinzione che, all’occor- renza, il contratto possa essere integrato e interpretato conformemente alle norme del codice civile, in applicazione di quanto disposto dagli artt. 1362-1371 c.c., e quindi mediante “l’accertamento della comune intenzione delle parti”, “senza limitarsi al senso letterale delle parole” da valutarsi avuto riguardo al “comportamento complessivo” delle parti stesse, “anche posteriore alla conclusione del contratto” (art. 1362 c.c.), e fermo restando il criterio sussidiario dell’interpretazione “secondo buona fede” (art. 1366 c.c.).
In effetti troppo spesso, nel leggere un qualche contratto predisposto da giuristi italiani, specie se trattasi di “contratto nazionale”, non ci si può non accorgere che una certa clausola sembra essere stata pensata e costruita, a bella posta, in maniera volutamente ambigua, e comunque tale da consentire ad una delle parti, durante l’esecuzione del contratto, di sostenere questa o quella interpretazione del disposto contrattuale, alla luce del tornaconto del momento.
A mo’ di parziale consolazione, nel guardare simili clausole, bisogna ammettere che, quantomeno, esse rispondono ad una specifica finalità, seppur non condivisibile, ovverosia quella di attribuire ad uno dei contraenti una maggior libertà (ma forse sarebbe meglio parlare di licenza) nel cercare di strumentalizzare a proprio vantaggio, durante l’esecuzione del contratto, il disposto contrattuale, a volte con il risultato di dover far poi ricorso alla norme dettate dal codice civile in tema di interpretazione del contratto, magari in ciò assistiti da un giudice o da un arbitro al quale l’una o l’altra delle parti si è nel frattempo rivolta per “chiedere lumi” sul “vero” significato di quelle clausole da essa stessa in origine redatte e sottoscritte.
Ovviamente un simile approccio, che fortunatamente è sempre meno adottato dagli avvocati italiani, non è certamente condivisibile nell’eventua- lità di un mero contratto di diritto interno, tra soggetti italiani, ma, in virtù di quanto detto in precedenza in merito ai requisiti di un merchants’ contract, appare addirittura esiziale in un contratto internazionale, in quanto rinviando la definizione di una qualche questione, o tacendo su qualche elemento essenziale delle attività contrattuali, certo non si contribuisce alla chiarezza
LE TECNICHE DI REDAZIONE DEI CONTRATTI NEI SISTEMI DI COMMON LAW E DI CIVIL LAW 81
ed alla esaustività del testo contrattuale, ma anzi si pongono le basi di futuri fraintendimenti e di potenziali contenziosi tra i contraenti.
Almeno normalmente, l’impostazione adottata dai giuristi di common law nel redigere i contratti risulta del tutto diversa. Sebbene anche nei sistemi anglo-sassoni la libertà delle parti di determinare il contenuto del contratto che intendono concludere sia ormai sempre più influenzata, e limitata, dalle disposizioni di legge (gli “Statutes”), la teoria del contratto rimane sostan- zialmente basata sul principio della autonomia negoziale dei contraenti, la “freedom of contract”, e sul valore vincolante dei precedenti giurispruden- ziali: « Nearly every branch of the common law is now heavily affected by statute. But statute is not “code”. In particular, whereas the code represents the “default” principle in civil law systems, common law principle is the “default” rule in common law jurisdiction. So statute... is widely thought to be irrelevant to the development of the common law / (3). Praticamente ogni settore della common law è oggi pesantemente influenzato dalla legge. Ma la legge non è il “Codice”. Mentre nei sistemi di civil law le norme codicistiche svolgono un ruolo di supplenza e di integrazione (i.e. delle disposizioni contrattuali), in un sistema di common law tale ruolo è svolto dai principi di common law (i.e. i precedenti giurisprudenziali). Da ciò consegue che la legge sia considerata largamente irrilevante per lo sviluppo della common law ».
Schematizzando in maniera molto sommaria il differente approccio adottato dai due sistemi giuridici è possibile osservare che nel diritto inglese, storicamente la teoria del contratto sia stata ispirata dalla volontà di assicu- rare certezza e prevedibilità alle pratiche commerciali. Spetta dunque alle parti valutare i rischi connessi con la transazione che intendono realizzare e predisporre di conseguenza un testo contrattuale che ognuna di loro ritenga adeguato a contemperare le rispettive esigenze ed a preservare gli interessi di entrambe.
In questa situazione, in linea di principio il ruolo storicamente affidato al giudice nel sistema giuridico inglese è quello di accertare la volontà dei contraenti sulla base di quanto appare dalla lettera del contratto che essi hanno sottoscritto, senza che le parti possano far valere, se non in misura limitata, come si dirà meglio appena più oltre, circostanze e fatti esterni al testo contrattuale (e quindi, almeno tendenzialmente, sono esclusi i riferi- menti alle trattative, ai comportamenti successivi alla sottoscrizione del contratto e ad elementi che risultino “esterni” al testo contrattuale) senza che possano trovare applicazione nella valutazione del giudice principi di buona
(3) X. XXXXXXX, The Role of Statute in the Development of Common Law Doctrine, in The Law Quarterly Review, 117 (2001), Londra, p. 247.
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fede (almeno non nel senso e con la latitudine con cui il principio di buona fede viene utilizzato nei sistemi giuridici di civil law).
Ciò in quanto, sempre seguendo l’approccio tradizionale di common law, l’accertamento di elementi esterni al testo contrattuale, piuttosto che la valutazione in merito alla buona fede ed alla ragionevolezza del comporta- mento dell’una e dell’altra parte, in quanto demandato alle circostanze del caso concreto, avrebbero finito per introdurre un elemento di incertezza e di discrezionalità nell’interpretazione del contratto, a tutto detrimento della certezza delle pratiche commerciali tra imprenditori.
Una prima conclusione che si può trarre è che storicamente la common law, interpretando il contratto esclusivamente alla stregua di un mero strumento di tecnica mercantile e privilegiando la libertà delle parti di determinarne i con- tenuti, ritiene che il giudice debba evitare, per quanto possibile, di interferire con la volontà dei contraenti, quale risulta dal contratto, al punto da arrivare a decisioni che appaiono allo stesso giudice palesemente unfair, seppur ri- spettose del significato letterale del testo contrattuale, sulla base del principio
« judges do not make the contract for the parties/i giudici non scrivono, o (ri-
)scrivono il contratto per le parti », oggi criticato, ma fortemente radicato nella storia del sistema giuridico inglese e di common law.
È questo un approccio evidentemente diverso da quello del diritto italiano, e, seppur con diverse gradazioni, anche degli altri sistemi di civil law, ove le regole interpretative del contratto hanno come aspirazione quella di garantire la “giustizia del contratto” (o meglio dello specifico contratto che si debba interpretare), assicurando il rispetto delle reali intenzioni delle parti, quali risultino anche al di là del mero dato contrattuale e se del caso, applicando, seppur in via sussidiaria, proprio il criterio della buona fede.
2. L’interpretazione del contratto nei sistemi di commonlaw ed i suoi effetti sulle tecniche di redazione dei contratti
Come si è detto nel diritto anglo-sassone il disposto contrattuale deve essere interpretato sulla base di quanto può essere ragionevolmente dedotto dai termini contrattuali, ad esclusione di elementi estrinseci che non possono essere utilizzati per modificare o contraddire i termini di un contratto concluso per iscritto - « Extrinsic evidence cannot be admitted to add to, to vary or contradict a deed or other written instrument/Elementi estrinseci non possono essere utilizzati per aggiungere, variare o contraddire i contenuti di un documento contratTtuearlem»in(4e):eèstqruaetsttoa lcaacp.dit. oplaorole evidence rule (che, nel
(4) Xxxxxx x. Xxxxxxx C General Plantation Trust [1924], CH 287, 295.
CAPITOLO VII
LA STRUTTURA DI UN CONTRATTO INTERNAZIONALE
1. La lingua del contratto
Nei capitoli precedenti si è cercato di illustrare l’opportunità per il giurista, e per i suoi clienti, di considerare il contratto come uno degli strumenti a disposizione per perseguire e gestire i progetti di internaziona- lizzazione che l’impresa italiana si propone di realizzare attraverso una qualche transazione, commerciale o industriale che sia, con un partner straniero, identificando poi i criteri e gli obiettivi che dovrebbero guidare la redazione del testo contrattuale. Si tratta ora di capire come raggiungere tali risultati, ovvero come materialmente strutturare la proposta contrattuale da sottoporre alla controparte.
La prima, quasi banale, questione da affrontare, è quella della lingua da utilizzare nella redazione del contratto. In alcuni, Paesi (Russia, Cina) permane ancora l’uso di predisporre una versione bilingue dei contratti. In tale eventualità ovviamente è necessario chiarire nel testo contrattuale quale delle due versioni debba prevalere in caso di una qualche discrepanza nel testo riportato in ciascuna versione (e naturalmente la scelta dell’impresa italiana di solito non è particolarmente orientata in favore del cinese o del russo).
Può comunque accadere che la controparte locale, per una mera que- stione di prestigio o perché così imposto dalle autorità locali alla cui previa approvazione o verifica sia condizionata l’entrata in vigore del contratto, pretenda di indicare quale versione prevalente quella redatta nella propria lingua.
In tale eventualità, qualora l’impresa italiana ritenga di dover accedere alla richiesta di controparte (o proprio non possa fare altrimenti), è sempre opportuno far verificare da un giurista madrelingua la versione in lingua locale prima della firma del contratto, così da accertarne la perfetta corri- spondenza con il testo redatto nella lingua immediatamente comprensibile all’impresa italiana.
E questo certamente un ulteriore onere da sopportare, ma così facendo
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si ha la sicurezza di non dover scoprire, nel peggiore dei modi, ovvero durante l’esecuzione del contratto, che l’accordo delle parti su un qualche elemento contrattuale poggiava in realtà su un errore di traduzione o su una traduzione volutamente ambigua.
Peraltro, fatta eccezione per quei pochi Paesi ove ancora è diffusa la pratica di stipulare una versione bilingue del contratto, normalmente le parti sono libere di scegliere la lingua da utilizzare nel contratto, anche se per la verità la gran parte dei contratti internazionali sono ormai redatti diretta- mente in inglese, non fosse altro per la sua diffusione quale “lingua franca” del commercio internazionale e per la predominanza nella pratica dei contratti internazionali delle drafting techniques anglo-sassoni di cui si è detto in precedenza.
Per contro la scelta di predisporre il testo del contratto internazionale dapprima in lingua italiana, per poi far predisporre una traduzione in lingua inglese non infrequentemente può portare a risultati insoddisfacenti, tanto più se la traduzione è rigorosamente letterale e finisce per riprodurre nel testo inglese espressioni e strutture sintattiche italiane.
Quand’anche si dovesse adottare un simile approccio, si dovrebbe quindi avere cura di affidare il compito di tradurre il testo non soltanto ad un traduttore fluent nella lingua inglese, quanto piuttosto ad un giurista (o a un traduttore con una preparazione giuridica) che abbia dimestichezza con entrambe le lingue, e con la terminologia e le espressioni utilizzate tanto nei sistemi di civil law che di common law, così da poter non solo tradurre la
versione di partenza, ma anche, ove opportuno, interpretarla, al fine di rendere la versione tradotta congruente con l’identità e la cultura giuridica a cui appartiene la lingua in cui viene effettuata la traduzione (1).
(1) Non che la traduzione in altra lingua di contratti redatti in lingua inglese non presenti i medesimi problemi, aggravati quando il testo inglese è in realtà il testo di un contratto o di una clausola standardizzata di una qualche multinazionale anglo-sassone che riproduce, senza alcuno sforzo interpretativo o di adattamento bensì in maniera del tutto acritica fattispecie e soluzioni giuridiche proprie di quel sistema giuridico, ma del tutto improprie, se non addirittura non operanti nel Paese a cui il contratto, così tradotto, è destinato (e il mio personale ricordo corre a diversi contratti redatti da avvocati U.S.A. che mi è capitato di visionare). Da un diverso punto di vista, nonostante sia pur vero che nella prassi del commercio internazionale l’inglese è una sorta di “lingua comune” della negoziazione, o quantomeno del contratto, è altrettanto vero che ove sia necessario predisporre una versione bilingue a volte il negoziatore italiano è costretto a modificare il testo di clausole che gli appaiono perfettamente chiare non tanto perché esista un qualche disaccordo sui contenuti con la controparte, ma esclusivamente per rendere la clausola “traducibile” nella lingua della controparte (ed è questo il caso della Cina, considerato, per fare un esempio, che la lingua cinese, non coniugando i verbi, non conosce un tempo futuro vero e proprio). In un caso in cui sono stato coinvolto, ciò ha fatto sì che durate la negoziazione (condotta in cinese e in
LA STRUTTURA DI UN CONTRATTO INTERNAZIONALE
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Ove i contraenti si limitino invece a predisporre una versione bilingue del contratto, le alternative a disposizione sono due: o identificare in con-
tratto la versione prevalente (naturalmente, se possibile, quella preferita dall’impresa italiana) oppure, ove invece le due versioni abbiano il medesimo valore, farne verificare la congruenza prima della sottoscrizione del contratto.
1. Language (Versione bilingue con prevalenza del testo inglese)
This Agreement has been executed by the Parties in the English language and a Russian translation of this Agreement has also been prepared. To the extent that an inconsistency exists between the English and Russian versions of this Agreement, the Parties agree that the English version of this Agreement shall prevail.
Il presente Contratto è stato redatto dalle parti in lingua inglese e ne è stata pure predisposta una traduzione in lingua russa. Qualora dovesse esistere una qualche discre- panza tra le versioni inglese e russa del Contratto, le Parti concordano che farà fede la versione inglese del contratto.
1. Language (Prevalenza versione inglese)
These Standard Terms, including their Annexes, are written in English and any translation of it is for referential purpose only. In case of discrepancy between the English version and its translation, the English version shall prevail.
Le presenti Condizioni Generali, ivi inclusi i loro allegati, sono redatte in lingua inglese e qualsiasi traduzione ha mero valore di riferimento. In caso di discrepanze tra il testo inglese e la sua traduzione, prevarrà il testo inglese.
1. Language (Versioni inglese e cinese entrambe con la medesima efficacia)
This Agreement is made in both English and Chinese language in four (4) copies for each version. Both versions have the same effect. The two versions, namely Chinese and English, shall be authentic and of equal force and effect.
Il presente Contratto è predisposto tanto in lingua inglese che in lingua cinese in quattro
(4) copie per ognuna delle due versioni. Entrambe le versioni, quella cinese e quella inglese, saranno considerate autentiche ed avranno il medesimo valore e la stessa efficacia.
In linea di principio, a parere di chi scrive, il più delle volte non vi è vera alternativa, stante le prassi del commercio internazionale, all’utilizzo della lingua inglese per redigere un contratto internazionale, adottando le drafting techniques anglo-sassoni, e specificatamente quelle inglesi, anche nell’even- tualità che il rapporto contrattuale sia destinato ad essere eseguito in un Paese il cui ordinamento giuridico sia riconducibile ai sistemi di civil law, o
italiano, con l’assistenza dei rispettivi traduttori) le clausole contrattuali venissero concordate nella loro versione inglese, e poi modificate ed adattate per renderle traducibili e meglio comprensibili nella versione Cinese.
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nel caso in cui la legge che disciplina il contratto comunque non appartenga ai sistemi di common law.
Ciò in quanto, fatta eccezione per il caso che il sistema giuridico di civil
law o la legge applicabile siano quelli italiani, e siamo quindi del tutto familiari all’impresa italiana ed ai suoi consulenti legali, la predisposizione di un agreement redatto utilizzando le tecniche di redazione anglo-sassoni, meglio si attaglia, anche per gli scopi dell’impresa italiana, alle incertezze derivanti dalla necessità di sottoporre il contratto ad una legge che non è la propria, quand’anche essa fosse quella di un ordinamento giuridico che, al pari di quello italiano, appartiene alla tradizione di civil law, nonché all’op- portunità di costruire, all’interno del contratto, la “procedura contrattuale” a cui i contraenti dovranno attenersi durante la sua esecuzione.
Fatta questa premessa, sia qui comunque consentita qualche parola di cautela sull’uso di termini propri dei sistemi giuridici anglo-sassoni, e più in generale sull’uso della lingua inglese nella redazione dei contratti internazio- nali. Così, nel predisporre un contratto internazionale in lingua inglese, è necessario essere consapevoli che la mera assonanza tra due termini (i. c.d. “falsi amici”), l’uno inglese e l’altro italiano, non significa in alcun modo che essi abbiano il medesimo significato (2), e che vi sono poi termini giuridici anglosassoni che non sono immediatamente traducibili, in quanto indicano una fattispecie giuridica tipica della common law ma che non ha un equiva- lente immediato in civil law (quali ad esempio estoppel, tort, consideration).
Per contro bisogna essere ben consci che termini inglesi, la cui traduzione, da un punto di vista meramente linguistico, non causa alcun problema, nell’ordina- mento inglese hanno un significato giuridico ben preciso (e si pensi alla differente valenza giuridica di warranties e conditions, ove l’inadempimento delle prime dà luogo al mero diritto al risarcimento del danno, mentre quello delle seconde giu- stifica la risoluzione del contratto) che potrebbe essere difforme da quello che le parti intendono ad esse attribuire nel testo contrattuale.
Resta comunque il fatto, ormai innegabile, che la lingua inglese è quella più comunemente utilizzata per predisporre i contratti internazionali, seppur con tutte le ulteriori complessità derivanti dal dover nel caso concreto coordinare il linguaggio utilizzato, l’inglese per l’appunto, con le norme della legge applicabile, non necessariamente appartenente alla common law (3).
Termine estratto capitolo
(2) Si pensi all’espressione inglese “to execute a contract” che non riguarda l’esecuzione (performance) del contratto, ma indica invece la sottoscrizione del contratto.
(3) Sui problemi, linguistici e xxxxxxxxx, connessi con la traduzione e l’adattamento di modelli contrattuali di derivazione anglosassone si veda X. XXXXXXX (a cura di), Falsi amici e trappole linguistiche - termini contrattuali anglofoni e difficoltà di traduzione, Torino, 2011.