La contrattazione collettiva dopo la legge 96/18 (decreto dignità)
La contrattazione collettiva dopo la legge 96/18 (decreto dignità)
(Dipartimento contrattazione e lavoro Cisl confederale)
La recente legge 96/18, con la quale è stato convertito definitivamente il cosiddetto “decreto dignità”, ha prodotto, come ormai tradizione di ogni Governo che si succede nel paese, interventi regolatori nuovi, tra l’altro, nell’utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato e della somministrazione a tempo determinato, introducendo nuove norme relativamente alla durata massima degli stessi, alle causali da apporre dopo i 12 mesi o in caso di rinnovo, al numero di proroghe e ad una serie di altre regole correlate.
La nuova legge non menziona mai il ruolo della contrattazione collettiva, quasi deliberatamente ignorandola. Il legislatore ha così inteso produrre norme di per sé valide e in grado di riregolare l’utilizzo dei rapporti di lavoro a termine.
Xxxx rimane dunque della contrattazione collettiva in materia? A nostro avviso tutto o quasi. Chiariamo: non vi è dubbio che i nuovi limiti e regole per i contratti a termine rappresentano un riferimento generale. Ma la legge in questione non abroga la disciplina attuativa del Jobs act nelle parti relative al lavoro a termine; si limita a modificarne alcuni articoli e commi, lasciando intatti i numerosi rimandi che il decreto legislativo 81/15 ha previsto per la contrattazione collettiva (sia nazionale che aziendale). Dunque restano pienamente in vigore le prerogative della contrattazione collettiva, che certamente è chiamata a regolare la materia tenendo conto di alcuni vincoli maggiormente stringenti previsti dalla nuova legge, a partire da quelli relativi alle causali da apporre per i rinnovi dei contratti a termine o in somministrazione dopo il dodicesimo mese.
Lo spazio per la contrattazione collettiva dunque non si riduce ma anzi viene confermato. Si tratta di una occasione per tornare a riflettere e a produrre innovazione su come la contrattazione possa costruire tutele migliori per le persone e i giovani che lavorano a termine, in maniera ben più concreta di quanto lo stesso decreto abbia saputo realmente fare.
E’ da precisare che disciplina attuativa del Jobs act ha previsto numerosi rinvii alla contrattazione collettiva sia essa nazionale (a condizione che venga svolta dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale) che aziendale (svolta da RSA/RSU) (vedi l’art. 51, d.lgs. 81/15), che restano agibili.
Ecco di seguito alcune possibili indicazioni che la contrattazione collettiva potrà seguire:
- dall’11 agosto (data di approvazione della legge) al 30 ottobre prossimo sono state ripristinate le regole del Jobs act quale regime transitorio, periodo che andrebbe usato in sede aziendale per confronti con le imprese finalizzati a monitorare lo stato di utilizzo della forza lavoro a termine (sia diretta che somministrata) e per negoziare modalità di utilizzo per rinnovi o proroghe dei contratti nel regime transitorio, anche per favorire percorsi di stabilizzazione.
- La legge 96 ha reintrodotto a partire dal dodicesimo mese di rapporto di lavoro o dal primo rinnovo, causali molto selettive per il proseguimento del contratto a termine o in somministrazione (esigenze temporanee, oggettive ed estranee alla ordinaria attività nonché esigenze connesse a interventi temporanei, significativi e non programmabili della attività ordinaria). Il mancato rispetto di tali causali è sanzionato con la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Possiamo immaginare a tale proposito che la contrattazione collettiva pur non potendo prevedere ulteriori causali possa operare per una specificazione di tali causali che esemplifichi le attività straordinarie e non programmabili a livello settoriale o di filiera, definendo meglio, anche a livello aziendale, termini ambigui (cosa ad esempio debba intendersi per “incrementi….significativi….dell’attività ordinaria”).
- La contrattazione collettiva, come spesso già è stato praticato soprattutto a livello nazionale, mantiene inoltre le proprie prerogative:
* nella determinazione della durata complessiva dei rapporti a termine intercorsi tra uno stesso datore di lavoro e uno stesso lavoratore per mansioni di pari livello e categoria legale (anche in deroga ai 24 mesi di legge), benché l’obbligo di causale dopo il dodicesimo mese riduca di fatto questa possibilità;
* in merito alla eventuale riduzione dei periodi di intervallo tra contratti (per legge definiti in 10 giorni per contratti fino a 6 mesi e in 20 giorni per contratti superiori);
* riguardo al numero delle proroghe e delle percentuali massime di utilizzo del contratto a termine o del contratto a termine unito alla somministrazione (definite dalla legge rispettivamente nel 20% e 30% dei dipendenti a tempo indeterminato).
- La legge ha inoltre previsto in fase di conversione la non applicazione di numerose norme (a partire dalle causali reintrodotte) per le attività stagionali che, ricordiamo, possono essere fissate in modo specifico oltre che dal DPR 1525/63 anche dalla contrattazione collettiva; si tratta di una possibilità, da valutare certamente con attenzione e responsabilità, per aggiornare il concetto di stagionalità alla nuova vita dei prodotti e servizi nell’economia moderna, estendendo le aree di lavoro così definite ed in grado di essere esentate dai nuovi obblighi.
- Resta sullo sfondo la possibilità di utilizzare la contrattazione di prossimità (ex art.8/138) ai fini di superare completamente i paletti normativi che vincolano l’utilizzo dei contratti a termine, a partire dalla apposizione delle causali; tuttavia è bene ribadire che, oltre alla delicatezza politica che in questi anni si è registrata nell’approccio a questa prospettiva, soprattutto sul piano unitario, il ricorso alla contrattazione di prossimità deve indicare soluzioni valide e congrue sul piano dell’occupazione (infatti l’art. 8 indica con precisione le finalità per le quali possa essere impiegato), per non risultare un mero artificio utilizzato solo per evadere gli obblighi di legge.
- La contrattazione collettiva non va peraltro utilizzata solo per i rimandi specificamente previsti dal decreto legislativo 81/15, bensì deve svilupparsi per rafforzare i diritti sostanziali di chi lavora a termine e per promuoverne al meglio una più forte occupabilità. A tal fine indichiamo la necessità che i lavoratori a termine e somministrati siano sempre più ricompresi nella contrattazione nazionale e aziendale relativa ai sistemi di welfare, al riconoscimento dei premi di risultato e a tutte le norme finalizzate ad una sostanziale condizione di inclusività.
- Da ultimo una contrattazione collettiva innovativa deve porsi l’obiettivo, a livello sia nazionale che aziendale, di migliori tutele per proteggere la persona e promuovere il lavoratore nelle transizioni lavorative come da tempo la Cisl indica. In concreto e a titolo puramente esemplificativo si potrebbe pensare ad un periodo congruo di preavviso circa la risoluzione, la proroga o la trasformazione del rapporto di lavoro; ad una attestazione delle competenze acquisite ed su quelle da rafforzare a ricevere conseguentemente un voucher o un programma formativo volto a rafforzare le competenze inerenti ad una migliore occupabilità; a forme di sostegno e di welfare aggiuntive a quelle di legge nei periodi di transizione da un lavoro ad un altro; ad servizio dedicato di orientamento e ricollocazione verso nuova occupazione.
La Cisl è convinta che a fianco di norme sul lavoro stabili e chiare servano sempre più politiche efficaci e mirate, spettando alla contrattazione collettiva riempire con contenuti e adattamenti gli spazi che le norme legislative non possono o non riescono a coprire, convinti che solo un equilibrato rapporto tra legge e contrattazione possa arricchire la qualità dell’occupazione e le tutele delle persone che lavorano.
Ottobre 2018