UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
TESI DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO
XX CICLO
IL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO:
PROFILI SOSTANZIALI, PROCEDIMENTALI E PROCESSUALI
Relatore:
Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxx
Coordinatore: Prof. A. D’Atena
Candidata: Xxxxxxx Xx Xxxxx
Anno Accademico 2007/2008
Alla mia famiglia, sostegno e conforto di tutta una vita
Capitolo Primo 4
Profili Sostanziali 4
1. I principi della Costituzione Italiana, il concetto sostanziale di contraddittorio e il suo legame col principio del giusto processo. 5
2. I principi dell’ordinamento giuridico internazionale. 8
3. I principi dell’ordinamento giuridico comunitario. 12
3.1. Profili generali. 12
3.2. Profili procedimentali. 13
3.3. Profili processuali. 19
4. I principi costituzionali prima e dopo la riforma dell’art. 111 della Costituzione. 22
5. I principi del diritto amministrativo italiano e il diverso significato della realizzazione del principio del contraddittorio nel processo civile e nel processo amministrativo. 26
Capitolo Secondo 30
Profili Procedimentali 30
1. Il principio del contraddittorio come cardine della tutela della situazione giuridica del cittadino nei confronti della p.a. nel corso del procedimento amministrativo. 31
2. La legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificata dalle Leggi nn. 15 e 80/2005. 34
2.1. La figura del responsabile del procedimento. 34
2.2. L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento. 37
2.3. L’obbligo di assicurare la partecipazione mediante il deposito di memorie, documenti e audizioni personali. Gli aspetti strutturali e funzionali. 40
2.4. L’ istruttoria procedimentale. 46
2.5. La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza. 52
2.5.1. La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza tra legittimità ed equità della decisione amministrativa. 56
2.5.2. Rapporti tra l’art. 10 bis, legge n. 241/1990 e la nuova disciplina della dichiarazione di inizio di attività (art. 19, legge n. 241/1990). 58
2.6. L’attività amministrativa alla ricerca del consenso: l’attività consensuale e la predeterminazione amministrativa nell’ambito degli accordi integrativi o sostituvi del provvedimento. 61
2.7. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi sotto il duplice profilo partecipativo e informativo. Coordinamento con la normativa sul diritto alla riservatezza. 62
2.8. Legittimazione procedimentale e legittimazione processuale. 65
2.9. L’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo. 71
3. Riflessioni sulla necessità di compromesso tra esigenze di realizzazione del contraddittorio ed esigenze di accelerazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi. 74
4. Implicazioni tra il principio del contraddittorio e l’amministrazione partecipata. 76
5. Il contraddittorio nell’amministrazione decisoria contenziosa: ricorso gerarchico, ricorso gerarchico improprio, ricorso in opposizione. 80
Capitolo Terzo 86
Profili Processuali 86
1. L’oggetto del giudizio e il principio del contraddittorio. 87
1.1. Il processo amministrativo come processo di parti. 87
1.2. I poteri di allegazione e di istruzione probatoria delle parti e del giudice. Il principio di acquisizione. 90
1.3 Modificazioni al thema decidendum apportate dal ricorrente, dal controinteressato e dall’ufficio. 94
1.4. Il contraddittorio nella fase di istruzione preparatoria. 97
1.5. Il contraddittorio nella fase di istruzione probatoria. Attività e provvedimenti del giudice. Applicazioni pratiche del principio del “giusto processo” nell’istruzione amministrativa. 100
1.6. Il contraddittorio nella fase decisoria. 105
1.7. La tipologia delle azioni nel processo amministrativo. 106
2. La regolare costituzione del giudice: l’astensione e la ricusazione. 107
3. Le parti del processo: Nozioni Generali. 111
3.1. La capacità di essere parte e la capacità processuale. 111
3.2. La legittimazione a ricorrere. 112
3.3. L’interesse a ricorrere. 114
3.4. La rappresentanza tecnica. 115
3.5. La costituzione in giudizio del ricorrente, delle parti intimate e degli intervenienti.
....................................................................................................................................... 116
3.6. La perdita della qualità di parte: l’interruzione e l’estromissione 118
3.7. La successione nella posizione di parte. 119
3.8. Il principio del litisconsorzio necessario e facoltativo, dal lato attivo e passivo. 120
4. Le parti del giudizio e il principio del contraddittorio. 123
4.1. Il ricorrente. 123
4.2. Il resistente. 125
4.3. Il controinteressato. 127
4.4. Il cointeressato. 130
4.5. L’interveniente. 131
4.6. L’evoluzione della figura del legittimo contraddittore nel giudizio amministrativo.
....................................................................................................................................... 134
5. Gli atti del giudizio. 135
5.1. Il ricorso. 135
5.2. Il ricorso collettivo. 138
5.3. Il ricorso cumulativo. 139
5.4. Il controricorso e le difese in generale. 140
5.5. Il ricorso incidentale. 143
5.6. La domanda riconvenzionale 145
6. Il principio del contraddittorio nel giudizio d’appello. 145
6.1. La pluralità di parti nel giudizio di impugnazione: cause inscindibili e cause scindibili. 145
6.2. La legittimazione e l’interesse ad impugnare. 146
6.3. Il ricorso in appello e l’intervento. 150
6.4. Le impugnazioni incidentali. 152
6.5. Il contenuto del contraddittorio nel giudizio d’appello: i poteri delle parti e del giudice. 154
7. Il principio del contraddittorio negli altri giudizi. 157
7.1. La tutela cautelare. 157
7.2. Il regolamento di competenza. 159
7.3. Il giudizio di ottemperanza. 161
7.4. Il ricorso per cassazione e il regolamento preventivo di giurisdizione. 164
8. L’estinzione del processo amministrativo. 166
8.1. La rinuncia. 166
8.2. La perenzione. 168
8.3. La decadenza. 169
8.4. La cessazione della materia del contendere e la sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere. 170
9. La riassunzione del processo amministrativo. La translatio judicii. 171
10. L’opposizione di terzo. 175
11. La revocazione. 178
12. La correzione della sentenza. 179
13. Le procedure giurisdizionali speciali. 180
13.1. Le sentenze camerali. 180
13.2. Il rito in materia di diritto di accesso ai documenti amministrativi. 182
13.3. Il procedimento monitorio ingiuntivo. 185
Capitolo Primo
Profili Sostanziali
1. I principi della Costituzione Italiana, il concetto sostanziale di contraddittorio e il suo legame col principio del giusto processo.
Il 7 gennaio 2000 è entrata in vigore la Legge costituzionale 23 novembre 1999, n.2 intitolata “Inserimento dei principi del giusto processo nell’art.111 della Costituzione”.
I primi due commi fissano una serie di principi relativi al processo in genere, quindi anche al processo amministrativo che qui interessa, prevedendo che “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” e che “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità davanti al giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.
Si tratta, all’evidenza, di garanzie processuali enunciate dalla nostra Costituzione, così come da altre Costituzioni europee, in ritardo rispetto a quanto è avvenuto nel mondo anglosassone, prima con la Magna Carta del 1215 e poi con l’Habeas Corpus e i Bill of Rights; ovvero nel contesto internazionale, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamata dalle Nazioni Unite nel 1948 e con il successivo Patto sui diritti civili e politici, approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966; o infine nel contesto europeo, con la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) siglata a Roma il 4 Novembre 1950.
Seppure in ritardo, si tratta però di una scelta precisa ed impegnata.
Precisa, perché si pone in linea con tutta una tradizione giuridica ed etico-ideologica risalente al costituzionalismo ottocentesco. Le Costituzioni europee dell’Ottocento e del primo Novecento non hanno sentito il bisogno di includere nel catalogo dei diritti e delle libertà fondamentali alcune garanzie processuali, probabilmente per la fiducia che la dottrina civilprocessualistica riponeva nei “principi di ragione naturale”1. Il principio del contraddittorio, ricollegato alla natura delle cose, espressione di un principio giuridico generale, non coincideva, di per sé, con il processo, pur essendone una manifestazione imprescindibile: “esso era infatti, prima di tutto, una condizione extraprocessuale del processo medesimo”2. Già Xxxxxx infatti: “qui statuit aliquid, parte inaudita altera, aequum licet statuerit haud aequus fuerit”.
Questa l’impostazione classica, poi ribaltata dalle concezioni positivistiche che si diffusero nella scienza giuridica nel primo dopoguerra: si continuò certo a parlare di un principio del contraddittorio, ma impoverito di quella carica etico-ideologica che lo rendeva categoria immanente al fenomeno processuale e condizionante l’intero rapporto giuridico processuale. Il contraddittorio finì per rimanere ai margini del fenomeno processuale, considerato un mero “accidente”, un elemento possibile in un iter procedimentale, ma nient’affatto necessario3. Xxxxxxxxxx scrisse: il contraddittorio è “un mezzo del processo non un fine” per cui “il difetto di contraddittorio può pregiudicare, ma non pregiudica in ogni caso, lo scopo del processo; il contraddittorio è uno strumento utile del processo, quando vi sono ragioni per contraddire, se non ve ne sono, è un ingombro”4; e ancora “la mancanza effettiva di contraddittorio non sta punto in contrasto logico col fine del processo, perché l’attuazione della legge, attraverso una decisione giusta, può ottenersi anche senza la cooperazione delle parti”5.
Nella fase più recente della riflessione scientifica si è avvertito, tuttavia, se non un ritorno alle categorie del diritto naturale, perlomeno una rivalutazione del principio del contraddittorio quale nucleo centrale del processo in senso dinamico ed operativo6. Lo stesso Xxxxxxxxxx nella
1 Cfr., le considerazioni di X. XXXXXXX, Il nuovo articolo 111 della costituzione e il “giusto processo” in materia civile: profili generali, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile 2001, p.381 e ss.
2 Vedi a questo proposito X.XXXXXXXXX, voce Contraddittorio (diritto amministrativo), in Enciclopedia del diritto, vol. IX, p. 743.
3 Vedi le posizioni di X.XXXXXXX, Il principio del contraddittorio, in Rivista di diritto processuale, 1998 p.673 e ss.
4 Si vedano le Lezioni di diritto processuale civile, II, Padova 1933 n.99, pp. 168-171.
5 Vedi la posizione di BETTI, Diritto Processuale Civile, II ed., Roma 1936, p.89, Vedi anche sul punto CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p.169.
6 Cfr., a questo proposito voce Contraddittorio, in Digesto Discipline privatistiche, vol. IV.
suggestiva esortazione: “torniamo al giudizio”7, ha espresso l’orientamento dottrinale allora dominante: il contraddittorio è compartecipazione delle parti e del giudice nel giudizio per la ricerca di una probabile verità8. Pretesa e difesa che, se astrattamente considerate, si pongono su un piano di potenziale conflittualità, nel contraddire, in posizione di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale, realizzano quelle condizioni di uguaglianza che rendono un processo giusto. Ora, proprio l’aggettivo “giusto” associato al processo, criticato da più parti come privo di vero valore, quasi rasente la tautologia, in realtà rappresenta un momento di sostanziale contatto tra due tradizioni giuridiche tanto lontane dogmaticamente quanto vicine nei risultati: l’esperienza di “common law” e quella di “civil law”. Con questa riforma costituzionale, l’Italia si impegna a ravvivare il dialogo con la realtà soprannazionale, per dare effettività all’interazione tra ordinamento giuridico italiano e sistema convenzionale (europeo ed internazionale)9.Troppo spesso in passato la nostra Corte costituzionale si è isolata trattando i documenti internazionali come una mera conferma del dato normativo interno10. Le nozioni di due process of law, procèss équitable, fair trial, ci riportano infatti a proclamazioni internazionali:
1. l’art.10 della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” recita: “ogni persona ha diritto, in condizioni di piena uguaglianza, ad essere ascoltata pubblicamente e con giustizia da un tribunale indipendente ed imparziale”.
2. l’art.14 del “Patto internazionale sui diritti civili e politici” prevede invece che “tutti sono uguali dinanzi ai tribunali e alle corti di giustizia. Ogni persona ha diritto di farsi ascoltare, in corretto e pubblico giudizio, da un giudice competente, indipendente ed imparziale, costituito per legge”.
3. l’art.6 1 della Cedu dispone che “ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente ed imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile , sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.
Per cogliere l’universalità di questi valori basta osservare come, nonostante l’impronta individualistica del monopolio di parte nei sistemi processuali di “common law”, il diritto ad un effettivo contraddittorio rappresenti “il fulcro delle massime di natural justice, la cui indiscussa autorità s’impone in qualsiasi giurisdizione. Il rispetto inviolabile di tale diritto nella genesi storica e nell’evoluzione del trial by jury è quindi una componente essenziale delle regole di fair hearing, sulle quali si fonda la razionalità del procedimento giudiziario orale11.
Di conseguenza, la legge processuale deve garantire ad ogni interessato l’effettiva possibilità di essere presente nel processo e la ragionevole opportunità di essere ascoltato dal giudice. Questo modo di concepire lo svolgimento del processo ha assunto un particolare risalto nell’ordinamento nordamericano dove, attraverso un’elaborazione dottrinale secolare, sono stati codificati principi fondamentali sintetizzabili con l’espressione “due process clause”: notice and hearing, adeguate notice, opportunità to be heard12.
Ma il vero vanto13 del sistema giuridico e giudiziario di common law è l’aver inserito tutte queste garanzie di legalità processuale in un quadro di correttezza e lealtà procedurale che il giudice deve imporre alle parti e osservare egli stesso: il “dovuto processo legale” non ha un
7 CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 165.
8 TROCKER, Il nuovo articolo 111 della costituzione e il “giusto processo” in materia civile: profili generali, cit., p.385 e XXXXXXX, Il principio del contraddittorio, in Rivista di diritto processuale,cit., pp. 678-681.
9 TROCKER, Il nuovo articolo 111 della costituzione e il “giusto processo” in materia civile: profili generali, cit., p.391.
10 X. Xxxxx xxxx., 00 febbraio 1992, n. 62, in Giur. Cost., 1992, p. 337.
11 ENCICLOPEDIA GIURIDICA TRECCANI alla voce CONTRADDITTORIO
12 Cfr., le ampie considerazioni critiche di XXXXXXX, La garanzia costituzionale del “dovuto processo legale”, in Riv. Dir. Proc. 1954, pp. 88-89.
13 Cfr., RE, Due process of law, voce della Enciclopedia giuridica Treccani.
contenuto rigidamente prefissato, ma mostra delle aperture per verificare nei singoli casi concreti se siano rispettate le regole di equità, giustizia, imparzialità (fairness)14.
In questa prospettiva è scelta veramente impegnata quella del nostro ordinamento di confrontarsi con nuovi valori: alle garanzie individuali di tutela e strutturali di giustizia che già esistevano nella nostra Costituzione prima della riforma, si aggiungono i nuovi principi del “processo equo”: il “giusto processo” del nuovo art. 111 non è una mera summa aritmetica, ma ha una portata “relazionale”15. Quindi, se è vero che non esiste processo senza contraddittorio, così il contraddittorio stesso non è vero contraddittorio se non è corretto e leale16: il giudice e le parti devono relazionarsi a valori etici e deontologici17, tanto più viste le prospettive. Se il giudice, in certe circostanze e secondo determinate formalità, può essere ricusato dalla parte o astenersi egli stesso, alla parte -indifferentemente che agisca o resista in giudizio- non è assolutamente dato scegliere l’avversario.
In questo contesto la garanzia della “riserva di legge” non può essere intesa né in modo troppo elastico, né troppo rigido: nel primo caso, infatti, considerare “giusto” un processo solo perché regolato dalla legge significherebbe svalutare il dettato costituzionale e accogliere una concezione formalistica e superficiale; nel secondo caso, invece, esigere una disciplina legislativa puntuale ed esaustiva potrebbe far “regredire” il ruolo del giudice e pregiudicare la realizzazione di un’effettiva uguaglianza delle parti nei singoli casi concreti.
Per questo motivo la dottrina18 e la giurisprudenza19 interpretano la clausola nel senso che è sicuramente “giusto” quel processo che rispetta le condizioni minime inderogabili dell’art.1112 Cost. (contraddittorio in condizioni di parità, giudice terzo ed imparziale, ragionevole durata del processo), fermo restando che non è necessariamente incostituzionale quel processo che “trovi invece nella legge una disciplina scarna e sintetica, all’insegna della celerità, della deformalizzazione e della semplificazione del rito, affidando ai poteri discrezionali di direzione processuale ed ai poteri d’iniziativa d’ufficio, di cui sia munito il giudice, la elastica determinazione delle forme, dei tempi e dei termini in cui gli atti del processo vanno compiuti, a seconda delle variabili caratteristiche delle situazioni processuali configurate20”.
Di conseguenza, pur rimanendo valido il diritto inviolabile di difesa in ogni stato e grado del procedimento posto all’art. 242 Cost., non si può dedurre automaticamente l’incostituzionalità dei procedimenti a contraddittorio differito21, ma nell’ottica costituzionale si tratta di verificare quanto il differimento “pesi” sulla possibilità di difendersi o incida negativamente sulla sfera personale e patrimoniale dell’interessato. Per cui, se in linea di principio è possibile posticipare il contraddittorio da una fase sommaria ad altra fase di cognizione nell’ambito dello stesso grado di giudizio, è assolutamente incostituzionale
14 COMOGLIO, Il “giusto processo” civile nella dimensione comparatistica, in Riv. dir. proc. 2002, p.718-721.
15 COMOGLIO, op. cit., p.751.
16 TROCKER, Processo civile e costituzione in Studi di diritto comparato a cura di XXXXX XXXXXXXXXXX, 1974, p.390.
17 Sul rapporto tra l’art.88 c.p.c. ed il “dovere di verità” posto all’art 14 del Codice deontologico forense, COMOGLIO, Regole deontologiche e doveri di verità nel processo, in Nuova giur. Civ. 1998, II, pp. 128 e ss.
18 Il panorama dottrinale sul punto è molto ampio, per tutti confronta COMOGLIO, Il “giusto processo”civile nella dimensione comparatistica, in Rivista di diritto processuale, 2002, n. 3 p.741 ss., X. XXXX, Art.111 Cost. e “giusto processo civile”, in Rivista di diritto processuale, 2002, n. 2, p.495 ss., X. XXXXXXXXX, Giusto processo (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, p.612 ss.
19 Cfr., Corte cost. 31 maggio 1996, n. 175 in cui si legge che “l’effettività del diritto di difesa non comporta che il suo esercizio debba essere disciplinato in modo identico in ogni tipo di procedimento o in ogni fase processuale, essendo legittima espressione della discrezionalità legislativa la modulabilità delle forme e dei contenuti del diritto in parola in relazione alle caratteristiche delle varie fasi e dei singoli procedimenti”.
20 Così si esprime COMOGLIO, op. cit., p.746.
21 Vedi tra le tante, Corte cost.,13 aprile 1995, n.119, 8 maggio 1996, n.148 e 1 ottobre 1997, n.306, rispettivamente in Giurisprudenza costituzionale, 1995, p. 947; 1996, p. 1437 e 1997, p. 2875. Cfr sul punto COMOGLIO, in Commentario della costituzione a cura di X. XXXXXX, pp.67-76.
chiudere quel grado di giudizio inaudita altera parte et sine causae cognizione, differendo al grado di impugnazione l’esercizio del diritto di difesa. In questa prospettiva, anche la clausola della ragionevole durata del processo, seppure rappresenti un forte monito per una migliore amministrazione della giustizia, perde molto della sua carica innovativa del sistema22 e ritorna, per così dire, nell’alveo della tradizione: se è doveroso e ragionevole evitare che le parti abusino del diritto tenendo comportamenti ostruzionistici e defatigatori che impediscano la immediata realizzazione dell’interesse giuridico, altrettanto doveroso e ragionevole è contemperare queste esigenze con la garanzia del contraddittorio tra le parti in condizioni di parità per evitare una giustizia frettolosa e sommaria.
A questo punto, ci si deve porre un interrogativo di fondo: tutta questa costruzione del “giusto processo”, è realmente prospettabile? Personalmente propendo per la negativa, ma non tanto per motivi giuridici, quanto per ragioni pratiche. Molti istituti giuridici, infatti, sono stati creati e altri se ne potranno creare a garanzia della “giustezza”del processo e della sentenza, e, se in astratto potrà parlarsi di un sistema sicuramente giusto, è nel concreto che non sarà mai automaticamente giusto23: si pensi soltanto ai condizionamenti esterni che formano la personalità degli individui e, quindi, anche dei giudici, ineliminabili anche in quelle aule di Tribunale dove si predica l’uguaglianza di tutti di fronte alla Legge e la sottoposizione dei giudici alla Legge. E tra tutte le giurisdizioni, quella amministrativa solleva tradizionalmente più dubbi, forse per il rapporto di funzionalità che lega il giudice amministrativo alla cura dell’interesse pubblico.
2. I principi dell’ordinamento giuridico internazionale.
Il significato del principio del contraddittorio, quale momento essenziale nella realizzazione di un “giusto processo” rappresenta (o dovrebbe rappresentare) un dato ormai acquisito in tutti quegli ordinamenti giuridici che pretendono di fondarsi sul cd stato di diritto24. Molte delle conquiste di civiltà giuridica che oggi crediamo essere nell’ordine “naturale”25 delle cose, infatti, costituiscono il portato di tutta una tradizione liberal- democratica26 fatta di conflitti e di proclamazioni27.
Nel dicembre del 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò, sottoforma di risoluzione, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo con l’intento di assicurare ai popoli un futuro di pace e di giustizia. Tra i diritti contemplati, quello che direttamente ci riguarda è l’art. 10: “Ogni persona ha diritto, in condizioni di piena uguaglianza, ad essere ascoltata pubblicamente e con giustizia da un tribunale indipendente e imparziale”, ulteriormente specificato dall’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici: “Tutti sono uguali dinanzi ai tribunali
22 Cfr., sul punto le considerazioni di X. XXXXXXXXX, Giusto processo (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, cit., p. 610.
23 Vedi per più ampie considerazioni sul punto X. XXXXXXX, “Processo amministrativo e diritto comunitario”, Padova, Cedam, 2003, pp.33-34, dove si legge in particolare: “Si suppone nell’onda del positivismo giuridico e della fiducia sulla professionalità del magistrato che attraverso la triplice garanzia del presupposto processuale riguardante l’indipendenza e l’imparzialità del giudice; della regola fondamentale del contraddittorio (riconosciuta esplicitamente anche dall’articolo 24 della Costituzione Italiana); ed infine attraverso la ragionevole rapidità del processo (seguendo quelle dottrine che iscrivono la rapidità negli elementi non solo della certezza dei rapporti giuridici, ma anche nella loro giustizia), quasi automaticamente il processo metta capo alla sentenza giusta. Che si tratti di un’illusione lo dimostra l’esperienza professionale di qualsiasi avvocato privo di pregiudizi”; IDEM, Il processo amministrativo, Milano, Xxxxxxx, 2008, p.10 ss.
24 Cfr., i commenti di X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXX, in Commentario breve alla Costituzione, Padova, Cedam, 1990, p. 170 ss.
25 Vedi sull’argomento le considerazioni di X. XXXXXXXXX, alla voce “Giusto processo” in Enciclopedia del diritto, cit., p. 595 ss.
26 Cfr., A. D’ATENA, “Lezioni di diritto costituzionale”, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2001, p. 27 ss.
27 Vedi a questo proposito P. F. GROSSI, “I diritti di libertà ad uso di lezioni”, I, 1, II ed. Xxxxxxxxxxxx, Torino, 1991, pp. 41-40.
x xxxx xxxxx xx xxxxxxxxx. Xxni persona ha diritto di farsi ascoltare, in corretto e pubblico giudizio, da un giudice competente, indipendente e imparziale, costituito per legge”.
Accanto a queste proclamazioni si collocano poi altri atti di diritto internazionale corredati di un “meccanismo autonomo di tutela, azionabile dai singoli o dai gruppi”, che fa “capo ad istituzioni di garanzia di livello sopranazionale”28: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, infatti, è stata istituita per assicurare il rispetto degli impegni derivanti alle parti contraenti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e dai suoi protocolli.
La complessità del sistema di protezione dei diritti è tale che gli Stati contraenti sono chiamati ad un triplice intervento, legislativo, amministrativo, giurisdizionale, al fine di rispettare gli impegni assunti. Del resto, non potrebbe essere diversamente, visto che tutto il sistema convenzionale è ispirato al principio di sussidiarietà: né la Corte potrebbe essere una “quarta istanza”, né gli Stati potrebbero esimersi da quelle responsabilità che gli derivano direttamente dalla legittimazione democratica29. Xxxx, le parti contraenti devono rispondere delle violazioni alla Convenzione anche nei casi in cui essi eseguono un obbligo internazionale o comunitario e persino quando l’incompatibilità deriva da un regolamento comunitario, da una direttiva self executing, da una sentenza straniera esecutiva, non potendosi trincerare dietro assunzioni di obblighi o trasferimenti di competenze30.
Prima di iniziare un discorso sul principio del contraddittorio e sul modello di equo processo proposto dalla Corte, è opportuno considerare il processo di fronte alla Corte31.
Il sistema originario prevedeva che gli Stati membri potessero promuovere un ricorso per il solo fatto di aver aderito alla Convenzione, mentre i singoli individui, le organizzazioni non governative e i gruppi di privati, potevano agire per la tutela dei propri diritti subordinatamente all’accettazione da parte dello Stato di appartenenza; ugualmente condizionata all’accettazione dello Stato era la competenza della Corte, vero organo giurisdizionale, in alternativa della quale era prevista la competenza del Comitato dei ministri: un organo politico che non offriva garanzie di imparzialità ed indipendenza e il cui procedimento era dominato dalla segretezza.
Tuttavia, l’esigenza di un riconoscimento dei diritti processuali dei privati fu avvertita dalla Corte e dalla Commissione, che, a livello di prassi, garantirono le seguenti opportunità difensive:
- le osservazioni presentate dal privato alla Commissione venivano trasmesse alla Corte;
- la Commissione poteva farsi assistere dal rappresentante del ricorrente o dal ricorrente stesso davanti alla Corte;
- il ricorrente poteva intervenire direttamente al processo; essere destinatario di tutti gli atti processuali; essere consultato in merito all’opportunità dell’adozione di provvedimenti istruttori; prendere la parola in udienza, rispondere, interpellare.
Con il Protocollo n. 11 viene decisamente riequilibrata la posizione processuale delle parti private e di quelle istituzionali nel momento di instaurazione del giudizio: i ricorsi individuali delle persone fisiche, delle organizzazioni non governative, dei gruppi di privati, possono essere proposti davanti alla Corte senza il tramite statale (art. 34). Differenze permangono solo nella fase preliminare davanti al Comitato, che sindaca la ricevibilità dei soli ricorsi privati, e
28 Cfr., X. XXXXXXX, I diritti fondamentali (Libertà e diritti sociali), Torino, Giappichelli, pp. 439- 442.
29 Xxxx X. XXXXXXXXX, La tutela dei diritti dell’uomo da parte della Corte europea e dei tribunali nazionali, in, Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 2000-2, p. 416-417.
30 Vedi meglio per una ricostruzione dei rapporti tra ordinamenti giuridici nazionali, internazionale e comunitario,
X. XXXXXXXX, Note sui rapporti tra diritto comunitario e diritto europeo dei diritti fondamentali, in, Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 2000-2, pp. 429 ss.
31 Vedi per ampi riferimenti, D. E. TOSI, Il protocollo n.11 alla convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: la tutela dei diritti fondamentali davanti alla nuova Corte europea”, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001- 1, passim.
circa l’istanza di fissazione di un’udienza di discussione, che deve essere obbligatoriamente concessa solo agli Stati.
Per il resto, la procedura è ispirata al principio di parità delle parti:
- la Corte procede all’esame della questione in contraddittorio con i rappresentanti delle parti e, se del caso, ad un’inchiesta per la quale tutti gli Stati interessati forniranno tutte le facilitazioni necessarie ai fini della sua efficace conduzione;
- la Camera procede d’intesa con le parti in causa e stabilisce i termini per il deposito delle osservazioni scritte, fissa le eventuali udienze e il relativo procedimento orale;
- le udienze sono pubbliche e gli atti processuali accessibili al pubblico (eccetto le legittime limitazioni).
Tra tutti i diritti riconosciuti dalla Convenzione, quello che direttamente riguarda il principio del contraddittorio è il diritto ad un processo equo, codificato all’art. 61: “Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.
Per la precisione, il contenuto del principio del contraddittorio è reso in modo più esplicito al III comma del medesimo articolo, che però riguarda specificamente il processo penale:
- diritto di essere informato nel più breve tempo possibile, in una lingua comprensibile e in modo dettagliato;
- diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la difesa;
- diritto di difendersi personalmente o a messo di rappresentante tecnico e, se non si è abbienti, diritto al gratuito patrocinio;
- diritto di farsi assistere da un interprete in giudizio.
Ora, il fatto che queste garanzie processuali non siano esplicitamente contenute anche nel primo comma, che riguarda il processo in genere, non significa che non siano importanti nel processo civile o amministrativo32: specialmente in cause in cui siano parti un privato e un ente pubblico è fondamentale realizzare un contraddittorio effettivamente paritario.
Nella sentenza resa nel caso Morel33, la Corte ricorda che il diritto ad un procedimento contraddittorio “implica, in linea di principio, la facoltà per le parti di un processo, penale o civile, di avere cognizione di ogni documento o osservazione presentata al giudice, anche da parte di un magistrato indipendente, in vista di influenzare la sua sentenza e di dibatterla” (sentenza Xxxx Xxxxxxx c. Portogallo del 20 febbraio 1996, Recueil 1996-I, p. 206-207, par.31). Inoltre, “il principio della parità delle armi – elemento della più ampia nozione di equo processo – esige che a ciascuna parte sia data l’opportunità di svolgere le proprie ragioni e difese in condizioni che non la pongano in una situazione di sostanziale svantaggio rispetto alla controparte” (sentenza Xxxxxxxx- Xxxxx c. Svizzera del 18 febbraio 1997, Recueil 1997-I, p. 107, par. 23).
A proposito del diritto di prova, nella sentenza resa nel caso Dombo Beheer c. Paesi Bassi34, la Corte ha stabilito che, salvo il potere discrezionale del giudice, non può essere dichiarata inammissibile l’unica prova disponibile per sostenere le ragioni difensive dell’una o dell’altra parte, eventualmente anche in deroga alla normativa interna sulle prove35. In questa linea, anche la segnalazione di lacune istruttorie deve avvenire in contraddittorio con entrambe le
32 L’art. 6 è dunque applicabile ai processi civili latu sensu, anche se si tratta dell’impugnazione di un atto amministrativo: sentenze Xxxxxxxxxx e Xxxxxxx c. Sxxxxxxx xxx 00 xxxxxx 0000, Xxxxxxx x. Xxxxxxx xxx 28-3-2000, Malhous c. Repubblica Ceca del 12 luglio 2001, in materia di espropriazioni. Il giudice, poi, deve poter valutare l’atto amministrativo: sentenza Xxxxxxxxxxxx c. Grecia, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1998, 880.
33 Sentenza 6 giugno 2000, Xxxxx x. Xxxxxxx, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 2000-3, p.944 ss.
34 Sentenza del 27-10-1993, in Giurisprudenza italiana, 1996, I, 1, 153.
35 Vedi sul punto le considerazioni di X. XXXXXX, “L’art.111 Cost. e le garanzie europee del giusto processo civile”, in
Rivista di diritto processuale, 2001-1, p. 10.
parti. In determinati casi, poi, è lo stesso giudice europeo che non si ritiene vincolato alla valutazione dei fatti operata dalle autorità nazionali.
Sempre in occasione del caso Xxxxx, la Corte ha avuto modo di rilevare l’importanza di un’altra garanzia processuale ai fini dell’effettività del contraddittorio: il diritto ad un tribunale imparziale. La Corte ricorda che l’imparzialità, ai sensi dell’art. 61 deve essere valutata secondo un duplice approccio: il primo consiste nel tentare di accertare la convinzione personale di un determinato giudice in una determinata occasione; il secondo conduce a verificare che egli offra garanzie sufficienti per escludere al riguardo ogni legittimo dubbio36. Di conseguenza, la mera circostanza, per un giudice, di aver già adottato delle decisioni prima del processo non può, di per sé, suscitare dubbi, mentre, al contrario, si deve parlare di imparzialità se il giudice può partecipare a due fasi di giudizio sulla stessa controversia37.
Ancora su questo tema, la Corte ha scelto di tutelare l’imparzialità del giudice agendo su due fronti: da un lato valutando la legittimità delle critiche rivolte ai giudici, dall’altro sindacando l’opportunità delle dichiarazioni rese dai giudici al pubblico38. Sotto il primo profilo, si ricordano le sentenze Xxxxxx c. Danimarca39, Xxxxxx e Oberschlick c. Austria40 e De Haes e Gijsels c. Belgio41, dalle quali emerge il timore che critiche infondate possano minare la fiducia del pubblico nell’amministrazione della giustizia ed indurre i soggetti interessati a ricercare, piuttosto, un contraddittorio “a mezzo stampa”. Sotto il secondo profilo, invece, i giudici dovrebbero astenersi da comportamenti equivoci (da cui si possa trarre anche solo l’impressione di un’apparente parzialità) o comunque dal ricercare una sorta di “legittimazione popolare”, per la stessa ragione per cui è previsto che si acceda alle cariche per concorso e non mediante elezioni.
Sempre in tema di rispetto del principio del contraddittorio è interessante considerare la sentenza resa nel caso Xxxxxxxxxx c. Italia42, vista l’ampiezza con cui la Corte affronta il problema dei diritti della difesa43. Nel caso concreto si tratta della violazione alla Convenzione commessa dall’Italia nell’esecuzione di una sentenza del giudice canonico che dichiarava la nullità di un matrimonio concordatario, ma, in generale, la Corte prevede che, “ai fini del riconoscimento in Italia di una sentenza resa in uno Stato non contraente della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il giudice italiano deve verificare che in quel processo sia stato assicurato il rispetto del principio del contraddittorio, che costituisce uno degli elementi del processo equo così come sancito dall’art. 6 par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
In particolare, “la Corte afferma che la possibilità per le parti di un processo di conoscere e discutere i documenti e le osservazioni presentate dalla controparte ai giudici, costituisce un aspetto fondamentale del diritto al contraddittorio, senza il quale non vi è equo processo” 44.
Ma la Corte va ancora oltre, precisando che la nozione di “equo processo” di cui all’art. 6 Cedu, va ricostruita in base a quei parametri che risultano dalla sua stessa giurisprudenza, non
36 Vedi per esempio, la sentenza Xxxxxxx e altri x. Xxxxxxx del 20 maggio 1998, Recueil, 1998-III, p. 1030-1031, par. 58.
37 Sentenza 28 agosto 1997, Xx Xxxx x. Paesi Bassi, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1998, 167.
38 Vedi per ampi riferimenti, X. XXXXXXXX, “Le critiche al potere giudiziario e la libertà d’espressione del giudice secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo”, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 2002-3, p. 490 ss.
39 Sentenza del 22 febbraio 1989, Serie A n. 149.
40 Sentenza del 26 aprile 1995, Serie A n. 313.
41 Sentenza del 24 febbraio 1997, Recueil, 1997-I.
42 Sentenza del 20 luglio 2001, sul ricorso n. 30882/96, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2002-1,
p. 254 ss.
43 Già in passato, ma più discretamente, la Corte aveva espresso il medesimo punto di vista. Si ricordano le sentenze rese nei casi Xxxx Xxxxxxx c. Portogallo, del 20-2-1996; Xxxxxxxxx x. Xxxxxx, della stessa data; Mantovanelli
x. Xxxxxxx, del 18-3-1997; Xxxx-Xxxxxx x. Xxxxxx, del 23-6-1993; Xxxxxxxx-Xxxxx x. Svizzera, del 18-2-1997.
44 Cfr. per ampi riferimenti, X. XXXXXXX, “Il caso xxxxxxxxxx dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo: efficacia in Italia di sentenze ecclesiastiche ed equo processo”, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001-4, p. 2063 ss.
rilevando il fatto che le norme sostanziali o procedurali straniere siano compatibili con gli
standards italiani, anzi, a maggior ragione, anche questi ultimi devono essere adeguati.
In quest’ottica, la Cedu è veramente strumento per “massimizzare” il sistema di protezione dei diritti, soprattutto in quei casi in cui i principi (es. l’uguaglianza delle parti) abbiano un contenuto elastico ed indeterminato45: elastico per il variare delle nozioni nello spazio e nel tempo; indeterminato perché non si possono individuare a priori i casi di violazioni. Né, tra l’altro, la Corte europea può sindacare in astratto la conformità della legislazione nazionale a quella europea, dovendo invece decidere nei singoli casi concreti: il che non significa necessariamente concretezza della violazione. Infatti, mentre i ricorsi individuali presuppongono una lesione effettiva dei diritti processuali garantiti dalla Convenzione, i ricorsi statali, secondo parte della dottrina46, ne prescindono. Per cui uno Stato, può ben ricorrere contro un altro Stato membro della Convenzione, anche se solo in astratto una norma giuridica non è conforme alla Convenzione.
Conclude il quadro di tutela l’art. 13 Cedu, che dispone: “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad una istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.
Da queste disposizioni si evincono importanti conclusioni. Innanzi tutto le persone vittime di una violazione dell’art.6 devono poter contare sulla possibilità di un ricorso interno effettivo; esaurite le vie di ricorso interne, tali soggetti possono comunque rivolgersi alla Corte europea. In secondo luogo, la Corte può reprimere la violazione da qualsiasi fonte sia stata causata: più spesso si tratterà di norme giuridiche interne incompatibili con la Convenzione; in altri casi si tratterà addirittura della mancanza di norme interne di adeguamento del sistema nazionale a quello europeo. Ma, cosa più importante, gli individui sono tutelati contro le disfunzioni amministrative lato sensu, quindi anche contro le violazioni procedurali commesse dai giudici nell’amministrazione della giustizia.
3. I principi dell’ordinamento giuridico comunitario.
3.1. Profili generali.
Il Trattato di Maastricht47, così come modificato dal Trattato di Amsterdam48, dispone all’art. 61-2 che “L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto di diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri. L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”.
Si tratta, all’evidenza, di disposizioni di fondamentale importanza in quanto registrano il passaggio della C.E. dallo status di Comunità economica a quello di Comunità di diritto: in quest’ottica il rispetto dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentali non rappresenta più un limite, quanto invece il fondamento dell’Unione, tant’è vero che l’art. 12 dello stesso Trattato dispone: “Il presente Trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”.
In questo nuovo contesto il richiamo ai principi di libertà, di democrazia e dello stato di diritto, quali risultano dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, è essenziale per
45 Cfr., X. XXXXX, “Processo civile e diritti dell’uomo”, in Rivista di diritto e procedura civile, 1977, pp.572-573.
46 Cfr., al riguardo X. XXXXX, “Processo civile e diritti dell’uomo”, in Rivista di diritto e procedura civile, 1977, pp.582-584.
47 Trattato sull’Unione Europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992.
48 Trattato che modifica il Trattato sull’Unione Europea, i Trattati che istituiscono le Comunità Europee e alcuni atti connessi, firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997.
costruire uno stato di diritto comunitario49, soprattutto se si considera l’art. 49 TUE, a norma del quale il rispetto di tali principi è condizione indeclinabile per l’adesione all’Unione da parte di un nuovo Stato.
Come del resto emerge dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’obiettivo principale della C.E. non è tanto quello di costituirsi come comunità statuale sovrana, quanto piuttosto realizzare un legame di cittadinanza europea, basato sulla condivisione di principi e valori comuni: la legalità dell’azione amministrativa, la certezza del diritto e la tutela dell’affidamento, l’uguaglianza, la proporzionalità, l’obbligo di motivazione degli atti giuridici, l’effettività dei ricorsi giurisdizionali e del diritto al giudice, il rispetto del contraddittorio e dei diritti della difesa. Detti principi, già trasfusi nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Nizza, 2001), sono ora richiamati dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, presentato e sottoscritto a Roma il 30-31 ottobre 2004, poi seguito dal Trattato di Lisbona del 2005, cd Trattato di riforma.
Occorre rilevare, peraltro, che con le recenti innovazioni apportate alla legge generale sul procedimento amministrativo da parte delle leggi n. 15 e 80/2005, il richiamo ai principi comunitari (art. 1, comma 1, legge n. 241/1990) è destinato ad estendersi anche alle materie non interessate da disposizioni specifiche di derivazione europea.
Completa l’acquis comunitario la Convenzione dei diritti dell’uomo, la quale costituisce “parametro vincolante per l’U.E. e per la C.E.” e “fonte di riferimento diretto del giudice comunitario”50 (nonostante la CE non abbia la competenza in base al Trattato istitutivo per aderirvi formalmente), in quanto i diritti fondamentali che riconosce, risultano da quelle tradizioni costituzionali degli Stati membri da cui si traggono i principi generali del diritto comunitario.
3.2. Profili procedimentali.
Il principio del contraddittorio e, più in generale, del rispetto di diritti della difesa, è stato affermato dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee per la prima volta nella sentenza resa nel caso Alvis51 relativamente ad un procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente della Comunità. È stato poi ribadito, sempre in riferimento alla materia del pubblico impiego, nelle sentenze Pistoj52, Degref 53, van Eick54. Nella recentissima sentenza relativa al caso Xxxxxxx Xxxxxxxx c. Parlamento europeo55 il Tribunale di primo grado delle Comunità europee ha anzi affermato che, persino in “mancanza di una disposizione esplicita nello Statuto (del personale) che preveda una consultazione del dipendente comandato nell’interesse del servizio anteriormente all’adozione di una decisione che ponga fine al comando prima dello scadere del termine inizialmente previsto”, non possa escludersi “un tale obbligo a carico dell’autorità che ha il potere di nomina” (par. 3)56. Proseguendo, il Tribunale rileva che il successivo procedimento di reclamo previsto dallo Statuto non è sufficiente a ripristinare l’effettività del diritto di difesa, soprattutto nei casi in cui l’atto adottato arrechi al destinatario
49 X. XXXXXXX, Il processo amministrativo, op. cit., p. 19 ss.
50 Vedi più diffusamente X. XXXXX, Commentario breve ai Trattati della Comunità e dell’ Unione Europea, Cedam, 2001, pp.15 ss. Vedi anche le sentenze 18 giugno 1991, causa C-260/89, Ert, in Raccolta, p.I-2925; e 29 maggio 1997, causa C-299/95, Xxxxxxx, ibidem, p. I-2629, dove la CG ha affermato che la Cedu riveste “un significato particolare”.
51 Causa 32/62, in Raccolta, 1963, p. 49 ss.
52 Causa 26/63, ibidem, 1964, p. 341 ss.
53 Causa 80/63, ibidem, 1964, p. 391 ss.
54 Causa 35/67, ibidem, 1968, p. 329 ss.
55 Causa T-237/00, ibidem, 2002- 1, p. 163 ss.
56 Per un utile confronto vedi anche: sentenze della Corte 30 giugno 1971, causa 19/70, Almini/Commissione, ibidem, p. 623, par. 1; e del Tribunale 14 maggio 1996, causa T-82/95, Xxxxx de Xxxxxxxx / parlamento, ibidem, PI pp. I-A-211 e II-599, punto 27.
un pregiudizio; e che “solo in circostanze particolari in cui si riveli in pratica impossibile o incompatibile con l’interesse del servizio procedere ad una previa consultazione dell’interessato prima dell’adozione della decisione impugnata, i requisiti imposti dal principio del rispetto dei diritti della difesa possono essere soddisfatti da un’audizione immediatamente dopo l’adozione della decisione impugnata”.
In seguito, la Corte ha esteso l’applicabilità del principio a procedimenti diversi da quelli appena considerati, e tale è stata l’elaborazione giurisprudenziale che oggi si parla del contraddittorio come di un principio generale del diritto comunitario e, anzi, dell’azione amministrativa. Nelle sentenze rese nei casi Transocean Marine Paint Association57 e Xxxxxxxx-La Roche58, il diritto di essere ascoltati in ogni procedimento che possa comportare delle sanzioni è stato definito principio fondamentale del diritto comunitario. Più di recente, invece, ad essere stato esteso è il campo di applicazione del diritto: in materia di concorrenza, nel caso Chemiefarma59, la Corte ha affermato che “il diritto alla difesa è garantito allorché ciascuna delle persone interessate ha avuto la possibilità di presentare le sue osservazioni scritte e orali sugli addebiti mossi dalla Commissione nei suoi confronti” (parr. 56-58); mentre nelle sentenze rese ei casi Xxxxx ed Hoechst60 la Corte ha sottolineato che, proprio in vista del rispetto del contraddittorio nel procedimento, è altresì necessario “evitare che tali diritti possano essere irrimediabilmente compromessi nel corso di procedure di inchiesta preliminari che possono avere un carattere determinante per stabilire delle prove relative al carattere illecito dei comportamenti delle imprese” (par. 15).
A questo proposito è interessante notare come le riflessioni sul tema si siano incentrate specialmente nell’ambito dei procedimenti comunitari antitrust.
Dai regolamenti 17/62 e 4064/89 emerge, infatti, che la regolare instaurazione del contraddittorio è garantita nel corso di procedimenti che culminano con una decisione (o un’eventuale sanzione) definitiva, mentre “non sono soggette a contraddittorio le decisioni complementari rispetto alle prime (le quali, parimenti, possono portare all’irrogazione di una sanzione), in quanto mirano esclusivamente a disporre accertamenti istruttori”61. Dalla mancata instaurazione del principio non si deve però desumere che non esistano limiti alle modalità di reperimento delle prove, tant’è vero che nella sentenza resa nel caso Société Générale/Commissione Ce62 il Tribunale ha ribadito importanti principi:
- La Commissione Ce, nell’ambito di una richiesta di informazioni ( in via interpretativa, anche la comunicazione di documenti) disposta ai sensi dell’art. 11 reg. 17/62, deve indicare le assunte violazioni che giustificano lo svolgimento dell’inchiesta nella quale si iscrive la richiesta, al fine di consentire ai soggetti destinatari della stessa sia di individuare i limiti dei doveri di collaborazione, sia di esercitare il diritto di difesa.
- La stessa, pur non dovendo comunicare al destinatario tutte le informazioni di cui è in possesso né procedere ad una rigorosa qualificazione giuridica delle medesime, è soggetta all’obbligo di motivazione, che si estrinseca nel chiarire precisamente gli indizi che intende verificare.
- La stessa non può imporre alle imprese di fornire risposte da cui si possa derivare il compimento dell’infrazione.
57 Causa 17/74, ibidem, 1974, p. 1063 ss. Il caso Transocean Marine Paint Association, tra l’altro, è interessante sotto altro profilo. È notevole l’influenza del diritto inglese sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia nello sviluppo del principio del “right to be heard” e, da qui, sul diritto amministrativo degli Stati membri.
58 Causa 85/76, ibidem, 1979, p.461 ss.
59 Causa 41/69, ibidem, 1970, p. 661 ss.
60 Causa 374/87, ibidem, 1989, p.3283 ss. Cause riunite 46/87 e 227/88, ibidem, 1989, p. 2859 ss.
61 Così X. XXXXXXXX, Diritti della difesa nella fase precontenziosa dei procedimenti comunitari antitrust in Rivista di diritto internazionale 4/ 1994, p.955.
62 Causa T-34/93, in Il Foro Italiano, 4/1995, pp.194-195.
Inoltre, se alcuni diritti della difesa riguardano esclusivamente i procedimenti in contraddittorio che seguono ad una comunicazione di addebiti, altri diritti, come quelli all’assistenza legale e alla segretezza della corrispondenza fra avvocato e cliente, devono essere rispettati già nella fase preparatoria63.
È poi fondamentale, nei casi in cui le Istituzioni comunitarie dispongano di un potere discrezionale64, assicurare il rispetto di determinate garanzie procedurali:
- l’obbligo per l’istituzione competente di esaminare, con cura ed imparzialità, tutti gli elementi rilevanti per il caso di specie;
- il diritto dell’interessato di accedere al fascicolo che lo riguarda;
- il diritto dell’interessato di far conoscere il proprio punto di vista;
- il diritto di veder motivata la decisione in modo sufficiente.
In particolare, sussiste un forte legame tra l’obbligo di motivazione65 e il diritto al contraddittorio, in quanto il primo è strumentale all’esercizio del diritto di azione e di difesa e al controllo giurisdizionale della legalità e correttezza del procedimento, tanto che una modifica apportata alla motivazione di una decisione, che non sia puramente grammaticale, inficia la validità dell’intera decisione. Del resto anche la certezza del diritto esige che ogni atto dell’amministrazione che produca effetti giuridici sia chiaro, preciso e portato a conoscenza dell’interessato, soprattutto in vista dell’esperimento dei mezzi di impugnazione.
Sempre nell’ambito dei procedimenti antitrust è interessante notare a quali diverse soluzioni si possa approdare a seconda della giurisprudenza applicata: a tutt’oggi, infatti, il sistema di giustizia assicurato dalla Corte comunitaria rimane separato da quello della Corte europea dei diritti dell’uomo.
L’art 61 Cedu, intitolato “Diritto ad un processo equo”, dispone che “Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto applicabile l’articolo in questione non solo ai processi civile, amministrativo e penale, ma –importantissimo- anche alle procedure contenziose o semi-contenziose con l’unico limite di quei casi in cui l’amministrazione eserciti potestà d’xxxxxxx00. L’estensione è stata resa possibile mediante un’interpretazione lata delle espressioni “diritti e doveri di carattere civile” e “accusa penale”, comprendendo nella prima i rapporti tra privati e P.A., nella seconda i procedimenti disciplinari, sanzionatori o comunque afflittivi. In conclusione, a prescindere dalla natura dell’organo procedente, i principi di giustizia ed equità caratterizzano tanto il processo tanto il procedimento, e quindi ugualmente applicabili dovrebbero essere i seguenti principi: indipendenza ed imparzialità dell’organo decidente; sua sottoposizione alla legge; obbligo di assicurare il contraddittorio; pubblicità della procedura; diritto delle parti di farsi assistere da un difensore; obbligo dell’autorità di decidere entro un termine ragionevole.
“Il passaggio dal diritto processuale amministrativo al diritto amministrativo sostanziale non è di poco conto. Esso comporta un’interferenza delle garanzie non statali sopranazionali
63 Cfr., CGCE, 21 settembre 1989, Hoechst/Comm., c.riunite 46/87 e 227/88, in Raccolta, 1989, 2859; 17 ottobre 1989, Dow Benelux/Comm., c. 85/87, ibidem, 1989, 3137; 17 ottobre 1989, Dow Chemical Iberica e a./Comm., c. riunite da 97 a 99/87, ibidem, 1989, 3165.
64 Vedi più diffusamente sul punto X. XXXXXXX, Diritto amministrativo e diritto comunitario, Torino, Giappichelli, 1997, pp. 26-28; X. XXXXX, Diritto amministrativo europeo, Xxxxxxx, pp.311-327; ancora CHITI, Casi e materiali di diritto pubblico comunitario, Torino, Giappichelli, pp.433-446; CGCE, 21 novembre 1991, causa C-269/90, in Raccolta, 1991, I-5469.
65 L’obbligo di motivazione (…) costituisce (…) un principio fondamentale del diritto comunitario, al quale si può derogare solo in forza di ragioni imperative: TPG, 20 marzo 1991, causa T-1/90, in Raccolta, 1991, II-143.
66 Sul punto vedi diffusamente X. XXXXXXX, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e i diritti amministrativi nazionali, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2001-1, passim.
nei rapporti più gelosamente custoditi dagli Stati nazionali, quelli tra l’esecutivo e i cittadini di ogni singolo Stato”67.
Questa interpretazione dell’art.6 Cedu, davvero garantistica, non è stata però accolta con favore dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia: nelle sentenze rese nei casi Xxx Xxxxxxxxx00 e Musique Diffusion69, il procedimento per la repressione delle violazioni alle norme sulla concorrenza è stato ritenuto procedimento amministrativo e non giurisdizionale, sull’assunto che la Commissione, unico organo inquirente e decidente, non può essere assimilata ad un giudice.
In realtà, militerebbero nel senso opposto diverse xxxxxxx00:
- il secondo comma dell’art. 6 TUE dispone che l’unione rispetta i diritti fondamentali garantiti dalla Cedu, quindi dovrebbe essere tenuta in considerazione anche l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, in special modo quella relativa all’art. 6, garanzia sostanziale, procedimentale e processuale degli individui di fronte alla P.A.
- i procedimenti antitrust presentano una struttura comunque assimilabile a quella processuale: il rispetto del contraddittorio e dei diritti della difesa, il controllo giurisdizionale delle decisioni della Commissione in materia di assunzione di prove, l’imparzialità dell’organo decidente qualunque ne sia la natura giuridica.
- La possibilità di considerare i provvedimenti restrittivi o limitativi adottati come vere e proprie sanzioni afflittive.
Per completare il discorso sul principio del contraddittorio è infine opportuno considerare la Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea71, dapprima inserita come seconda parte della Costituzione Europea, in seguito meramente richiamata dal Trattato di Lisbona (cd Trattato di riforma), richiamo comunque sufficiente a rendere la Carta giuridicamente vicolante.
L’art. 41 dispone, infatti, che ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo, ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione. Tale diritto comprende, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio; il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale; l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni. Ogni individuo ha diritto al risarcimento da parte della comunità dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri. Ogni individuo può rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue del trattato e deve ricevere una risposta nella stessa lingua.
Sotto il primo profilo l’articolo sembra una vera e propria “costituzionalizzazione” di principi generali di diritto amministrativo, vigenti sia nell’ordinamento comunitario che negli ordinamenti degli Stati membri.
Il secondo profilo, invece, consiste nel fatto che il principio del contraddittorio si presenta come un nuovo modo di intendere i rapporti tra l’amministrazione e gli amministrati, il che si deduce dalla rubrica, Diritto ad una buona amministrazione, dall’inserimento nel Capo V dedicato alla Cittadinanza e dalla formula di cui al I comma, tradizionalmente riservata alla funzione giurisdizionale (cfr. art. 6 Cedu).
67 Ancora X. XXXXXXX, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e i diritti amministrativi nazionali, cit., p. 314.
68 Cause riunite da 209 a 215 e 218/78, in Raccolta, 1982, p.3125 ss.
69 Cause riunite da 100 103/80, ibidem, 1983, p. 1825.
70 Vedi in proposito X. XXXXXXXX, Diritti della difesa nella fase precontenziosa dei procedimenti comunitari antitrust, in
Rivista di diritto internazionale, 4-1994, p.1001.
71 Proclamata solennemente da Parlamento europeo, Consiglio e Commissione a Nizza il 7 dicembre 2000 e pubblicata in GUCE C 364 del 18 dicembre 2000.
Nello spirito della Carta il rispetto del principio in questione è momento di verifica dell’effettività di quegli alti propositi che il Trattato sull’Unione Europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, aveva proclamato subito all’art. 12: “Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”.
Il contraddittorio allora, da principio generale del diritto comunitario, diviene veramente principio informatore l’intera azione amministrativa, tanto a livello microscopico che macroscopico, esattamente come anticipava molti anni fa un illustre amministrativista italiano definendolo “indice rivelatore del grado di democraticità dello Stato72. Anzi, il valore di questa definizione è tanto più amplificato se si considera la prospettiva politica: non uno Stato, ma una Unione Europea fondata su tradizioni costituzionali comuni.
Al centro del sistema è l’individuo, che esercita nei confronti dell’amministrazione il proprio diritto ad un “giusto procedimento” divenendone parte sostanziale73 e, possiamo aggiungere, paritaria. Si pensi, in particolar modo, al settore degli appalti pubblici (v. direttive comunitarie 17 e 18/2004 e nuovo codice dei contratti pubblici), dove l’esigenza di giustizia è particolarmente sentita, forse anche per il fatto che entrano in gioco i diritti economici. Essenziali, in questo senso, alcuni principi74:
- il principio di imparzialità e di terzietà nella valutazione degli interessi coinvolti nella procedura;
- il diritto di difesa delle imprese partecipanti, specialmente rispetto ai provvedimenti potenzialmente restrittivi dei diritti di partecipazione garantiti dal Trattato;
- il principio del contraddittorio scritto ed orale tra impresa partecipante ed amministrazione aggiudicatrice;
- l’obbligo dell’amministrazione di raccogliere e valutare il punto di vista dell’impresa ai fini della decisione finale;
- l’obbligo di motivazione di tutti gli atti della procedura di attribuzione del contratto dotati di autonomia funzionale;
- la possibilità per l’interessato di potersi opporre alle decisioni dell’amministrazione sia in via amministrativa che in via giurisdizionale.
Il cambiamento di rotta è veramente impressionante se solo si considera con quanta fatica l’individuo ha conquistato lo status di cittadino da suddito quale era, e quanto ancora occorrerà nella pratica per smantellare effettivamente la superiorità del pubblico potere75: un cambiamento che in tutta la sua radicalità non può ancora dirsi realizzato nel nostro
72 Mi riferisco a X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 7.
73 Vedi X. XXXXXXX, Diritto amministrativo e diritto comunitario, Giappichelli, Torino, 1997, p. 27, dove si legge: “il diritto al contraddittorio procedimentale, non diversamente da quello processuale, rientra nel più generale diritto di azione e di difesa. Tuttavia nel procedimento amministrativo il principio del contraddittorio assume particolare rilevanza giuridica, perché consente all’interessato di acquisire e di esercitare pienamente, la qualità di “parte” nel procedimento”. Sul punto vedi anche GHETTI, op. cit., pp. 25 e ss., dove si sottolinea la differenza profonda tra “parte” e “partecipante”. Cfr., anche X. XXXXXX, Appunti sulla ricevibilità dei ricorsi d’annullamento proposti da persone fisiche o giuridiche in base all’173, quarto comma del Trattato CE, in, Rivista di diritto europeo, 1997-3, dove si sottolinea la partecipazione alla procedura di formazione dell’atto è un “segnale” (non certo, però una condizione dell’azione) utilizzato dalla giurisprudenza per dedurne la legittimazione dei singoli ad impugnare un atto generale. Si noti che l’articolo considerato è stato sostituito dall’art.230 Trattato CE.
74 Cfr., soprattutto X. XXXXXXX, “Diritto amministrativo e diritto comunitario”, Torino, Giappichelli, 1997, pp. 254- 255.
75 Vedi il caso Xxxxxxxxx pubblicato in Il corriere giuridico, 2000, 304, in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha escluso l’applicabilità dell’art. 6 Cedu perché il ricorrente non aveva un diritto di carattere civile, in quanto svolgeva funzioni che “comportavano grandi responsabilità nell’ambito delle finanze dello Stato” e che erano esercizio di una potestà d’imperio.
ordinamento nonostante gli importanti risultati raggiunti con la Legge n. 241 del 1990 e s.m.i.76.
Infatti, mentre la Carta pone il contraddittorio orale come regola generale dell’azione amministrativa, nell’ordinamento interno la partecipazione in contraddittorio orale è soltanto l’eccezione che conferma la regola generale della partecipazione mediante deposito di memorie e documenti77.
L’art. 411 della Carta fa poi riferimento all’equità del procedimento, valore che può essere inteso sia come mera “equità procedurale” (al privato è riconosciuta la possibilità di partecipare come contraddittore) che come “equità proporzionale” (l’intervento pubblico deve essere necessario, proporzionato allo scopo e comportare il minor sacrificio possibile per il privato).
In quest’ultimo senso interpreta la maggior parte della dottrina78, sostenuta anche da elementi di ordine esegetico: l’art.412 chiarisce infatti la dinamica della partecipazione, costretta tra due grandi principi del diritto comunitario: contraddittorio e proporzionalità.
L’individuo ha diritto di essere ascoltato prima che venga adottato un provvedimento per lui pregiudizievole, ha diritto di accedere al fascicolo che lo riguarda, ha diritto a veder motivate le decisioni dell’amministrazione, ma queste decisioni sono pur sempre proprie dell’amministrazione. Apparentemente si potrebbe desumere che la Carta nulla abbia innovato, riproponendo il binomio interesse privato-interesse pubblico, laddove -nonostante il promesso contraddittorio- il secondo riesce sempre a prevalere sul primo se solo l’intervento non risulti sproporzionato o arbitrario79.
Questo modo di concepire il rapporto amministrati/amministrazione, in realtà, è fuorviante: l’interesse pubblico coincide con l’interesse del pubblico, della collettività e, se la sua realizzazione comporta un sacrificio per il privato, nei limiti ovviamente della necessarietà e della corrispondenza allo scopo, questo deve essere sopportato: in una società complessa e pluralistica è inconcepibile pretendere di realizzare nella loro assolutezza i diversi valori; quello che invece oggi non può più essere sopportato è il sacrificio del privato per la realizzazione dell’interesse ugualmente privato delle Istituzioni80.
Dunque, ricondotto al suo vero ambito, il contraddittorio non può essere inteso come una mera modalità procedurale (e quindi strumentalizzato per appiattire indiscriminatamente interesse privato e interesse pubblico) ma, al contrario, come una modalità proporzionale (e quindi collaborativa). Xxxx, è proprio controllando la legittimità del provvedimento sotto il profilo della proporzionalità, necessarietà, adeguatezza allo scopo, che si può verificare quanto contraddittorio vi sia stato effettivamente tra privato ed amministrazione.
Se si volesse tracciare un bilancio, questo sarebbe certamente positivo. la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, qualificando esplicitamente l’azione amministrativa equa
76 Cfr., X. XXXX, “Il “diritto ad una buona amministrazione” nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nell’ordinamento interno” in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, n. 2-3 del 2002, p. 432, dove si evidenzia come l’imparzialità ed il buon andamento predicati dall’art. 97 Cost., non configurano una pretesa del cittadino nei confronti della P.A., anzi, a rigore, non informano nemmeno l’azione amministrativa, rappresentando piuttosto regole del momento organizzativo.
77 Cfr., in proposito XXXXXXX-IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Parte III, Torino, 1991, p. 70 ss.
78 Cfr., X. XXXX, “Il “diritto ad una buona amministrazione” nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nell’ordinamento interno” in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, n. 2-3 del 2002, p.435. Xxxx, l’Autore va ancora oltre prospettando una terza interpretazione, e cioè come obbligo della P.A. di utilizzare lo strumento consensuale e privatistico tutte le volte che ciò sia possibile.
79 L’esigenza della protezione contro atti arbitrari o sproporzionati emerge da CGCE, 21 settembre 1989, Hoechst/Comm., c. riunite 46/87 e 227/88, in Raccolta, 1989, 2859; 17 ottobre 1989, Dow Benelux/ Comm., c. 85/87 in Raccolta, 1989, 3137; 17 ottobre 1989, Dow Chemical Iberica e a./Comm., c. riunite da 97 a 99/87, in Raccolta, 1989, 3165.
80 Così XXXXXXXXXX, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965, p. 84 ss: “Ma, imparziale tra il proprio interesse, tra l’interesse pubblico e gli interessi privati, essa non è anzi tenuta a parteggiare sempre per il proprio interesse”.
ed imparziale, ha completato l’iter garantistico iniziato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quando, interpretando in senso ampio l’art. 6 Cedu, ha esteso all’azione amministrativa le libertà civili tradizionalmente legate alla giustizia amministrativa, riconducendo ad unità il diritto amministrativo sostanziale ed il diritto processuale amministrativo.
3.3. Profili processuali.
A tutt’oggi è prematuro parlare di una codificazione dei principi processuali europei sebbene si registri una sostanziale convergenza dei sistemi processuali degli Stati membri dell’Unione Europea, perlomeno sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo81.
L’estrema permeabilità degli ordinamenti giuridici82 a livello internazionale, comunitario e nazionale ha, infatti, generato un sistema di giustizia ampiamente garantistico, per cui si può effettivamente dire che le garanzie processuali sono strumentali alla tutela dei diritti fondamentali ed esse stesse diritti fondamentali.
L’armonizzazione delle procedure e dei modelli di processo in Europa, dovuta in gran parte alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Giustizia, è del resto provata dalla tendenziale coincidenza dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea83 con gli artt. 61 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali84. Xxxx, l’art. 52 CDF specifica che, laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Cedu, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti da quest’ultima. Eventuali limitazioni devono essere previste dalla legge, necessarie e proporzionate rispetto allo scopo, ma in nessun caso sarebbe possibile pregiudicarne il contenuto essenziale.
L’Unione può, al contrario, concedere sempre una tutela più estesa. Importante è anche l’art. 54 CDF che proibisce l’abuso del diritto comunitario85, tradizionalmente proprio del comportamento scorretto e sleale delle parti o dei lori difensori, ma più correttamente riferibile anche al giudice86.
L’ art. 47 CDF dispone, infatti, che ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.
Da questo confronto emergono gli elementi costitutivi di un processo giusto ed equo87:
81 Cfr., L. P. COMOGLIO, Diritti fondamentali e garanzie processuali comuni nella prospettiva dell’Unione Europea, in Il Foro Italiano, 1994-5, pp.155-156.
82 Vedi D. DE PRETIS, La tutela giurisdizionale amministrativa europea e i principi del processo, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2002-3, p. 690: in particolare, la europeizzazione dei diritti processuali amministrativi nazionali è intesa non come esportazione ed importazione di istituti da un sistema all’altro, ma come cross-fertilisation.
83 Approvata a Nizza il 7 dicembre 2000 dal Consiglio dell’Unione Europea.
84 Convenzione firmata a Roma il 4 novembre 1950.
85 Cfr., più dettagliatamente X. XXXXXXX e A. CELOTTO, L’Europa dei diritti, cit., p. 370.
86 X. XXXXXXXX XXXXXXX e XXXXX XXXXX XXXXXXXX, Xxxxx note in tema di abuso del diritto comunitario, in Rivista di diritto europeo, p.247, dove si osserva che la casistica più interessante riguarda il rinvio pregiudiziale, strumentalizzato, più o meno consapevolmente, per incardinare un determinato tipo di controversia ( es. liti fittizie o di natura “corporativa”) presso il giudice comunitario.
87 Vedi L. P. COMOGLIO, Diritti fondamentali e garanzie processuali comuni nella prospettiva dell’Unione europea, in Il Foro Italiano, 1994-5, p. 168, dove individua sinteticamente le “costanti” e le “variabili” del due process of law.
- l’effettività del ricorso, intesa in senso ampio come reale possibilità di contraddire, nel duplice aspetto dell’esercizio del diritto di azione e di difesa.
- L’equità e la pubblicità della procedura, intese come realizzazione di una perfetta parità delle armi e conoscenza dei fatti della causa, non limitata a certi particolari atti, aspetti, momenti o fasi del processo88.
- La decisione entro un termine ragionevole, interpretata solitamente a vantaggio della parte che agisce (si pensi alle lungaggini dei processi), ma correttamente riguarda anche la parte che resiste, la quale ha diritto a tempi processuali ragionevoli per evitare “giustizie sommarie”.
- L’indipendenza e l’imparzialità del giudice; la CGCE ha elaborato una nozione di giudice comunitario nelle sentenze rese nei casi Goebbles89e Xxxxxx Consult90: deve trattarsi di un organo di origine legale, di carattere permanente ed indipendente, la cui giurisdizione è obbligatoria, il cui procedimento ha natura contraddittoria, nel cui procedimento si applichino regole giuridiche.
- Il diritto di difesa, intesa sia come autodifesa (e quindi presenza “reale” della parte in giudizio), sia come difesa tecnica91, con particolare riguardo alla tutela dei non abbienti.
Questi principi, validi lungo tutto l’arco del procedimento, verrebbero però ridimensionati se il principio del contraddittorio non venisse attuato in un momento particolare del processo: la fase di istruzione probatoria.
In questa prospettiva, far coincidere il contraddittorio con la comunicazione dei documenti alla controparte significa aderire ad una impostazione formalistica. Non si può, d’altronde, disconoscere che nella realtà processuale la possibilità di una formazione della prova nel contraddittorio delle parti è alquanto eccezionale, soprattutto se si considera che la più manifesta caratteristica del processo comunitario è il principio della scrittura92.
L’impasse viene superata dalla dottrina93 ammettendo che, se la formazione della prova in contraddittorio può essere disattesa, ciò da cui non si potrebbe comunque prescindere è la reale opportunità per le parti di poter incidere sul convincimento del giudice, in un momento più elementare ai fini dell’ammissione della prova stessa, in un momento ulteriore ai fini della decisione della causa.
Inoltre, è vero che gli atti difensivi di parte sono sempre notificati o comunicati o posti a disposizione della controparte; che eventuali nuove deduzioni in corso di causa danno all’altra parte il diritto di controdedurre; che le parti devono sentite prima dell’ammissione e possono assistere all’assunzione delle prove; che le ordinanze ammissive dei mezzi di prova sono notificate alle parti; che le parti possono prendere visione di ogni atto del processo; che la
88 Cfr.,G. M. UBERTAZZI, Divieto di discriminazione e uguaglianza delle armi nel processo civile, in, Rivista di diritto e procedura civile, 1977, p.565.
89 Causa 61/65, in Raccolta, 1996, I-407.
90 Causa 54/96, in Raccolta, 1997, I-4961.
91 Cfr., X. X’XXXXX, in L’Europa dei diritti (Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), a cura di
X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, Il Mulino.
92 Il regolamento della Corte di Giustizia prevede come atti scritti, nel processo di unico grado, il ricorso introduttivo con i necessari allegati; il controricorso; la replica del ricorrente e la controreplica del convenuto; la risposta alla richiesta di informazioni. Altrettanto scritti gli atti introduttivi dei procedimenti speciali. La relazione dell’avvocato generale viene di solito consegnata alle parti prima dell’udienza e gli avvocati sono consigliati di consegnare agli interpreti, prima della discussione, il testo scritto dei loro interventi orali. Nel processo di impugnazione sono scritti l’atto di impugnazione, la comparsa di risposta, le repliche, le controrepliche,le memorie e le istanze di intervento. Il regolamento del Tribunale conosce, come atti scritti, il ricorso introduttivo, il controricorso, la replica e la controreplica, gli atti introduttivi dei procedimenti speciali.
93 Per tutti confronta X. XXXXXXX, Accertamento dei fatti e tecniche probatorie nel processo comunitario. Seminario giuridico della università di Bologna; e X. XXXXXXX, Processo civile e costituzione, in Studi di diritto comparato a cura di X. XXXXXXXXXXX, Milano, Xxxxxxx, 1974, p. 388 ss.
domanda di provvedimenti provvisori deve consentire al resistente di predisporre le proprie osservazioni94; che l’interveniente riceve comunicazione di tutti gli atti processuali notificati alle parti; che, dopo il deposito della memoria d’intervento, è fissato un termine entro il quale le parti costituite possono rispondere95.
Ciononostante, non è da sottovalutare il fenomeno del declino del principio dell’oralità, non privo di ripercussioni per l’effettività del contraddittorio. C’è infatti chi96 vede nella trattazione orale lo strumento più valido per un’approfondita analisi della causa (magari eccessivamente complessa) e per una giusta risoluzione della controversia.
In questo senso giocano a sfavore dell’immediatezza il fatto che le stesse prove orali vengono esposte davanti ad una sezione o ad un solo giudice relatore; che la decisione viene adottata sulla base dei processi verbali e non dell’ascolto diretto; che la Corte, sia in appello che in unico grado, possa concludere il processo sulla base delle risultanze della fase scritta senza passare all’ulteriore fase orale.
Per non parlare delle modifiche apportate al Regolamento di procedura97 della Corte di Giustizia: l’art. 104-bis introduce un procedimento accelerato di trattazione delle questioni pregiudiziali che presentino carattere di urgenza straordinaria, procedimento basato su una notevole riduzione dei termini di presentazione delle memorie e delle osservazioni scritte; ulteriori modifiche sono poi allo studio, come la possibilità di utilizzare il fax per la trasmissione di documenti, la possibilità di soppressione del secondo scambio di memorie98.
Nella prassi, poi, la procedura è stata ulteriormente snellita, ad esempio per quanto riguarda la lettura delle “conclusioni” degli avvocati generali, che ormai si limita alle conclusioni delle “conclusioni”; ancora, la durata dei dibattiti in udienza, sempre più concisi99.
Un altro problema riguarda la posizione giuridica delle parti nel processo, visto che le parti istituzionali e statali godono sostanzialmente di situazioni privilegiate rispetto ai soggetti privati100. In materia di intervento le prime possono sempre prendere parte alle controversie, mentre le seconde devono dimostrare di avere uno specifico interesse; per quanto riguarda la difesa tecnica, gli Stati e le Istituzioni possono avvalersi dei propri agenti; per quanto attiene al regime linguistico, gli Stati possono difendersi nella loro lingua ufficiale in una serie di ipotesi più ampia101; infine, le parti statali ed istituzionali dispongono di maggiori fonti di
94 Nella sentenza resa nel caso Xxxxxxxx Xxxxxxx e altri c.Parlamento europeo e Commissione CE, causa T-236/00 R, in Raccolta, 2001-1/2 si afferma che la ricevibilità di una domanda di provvedimenti provvisori presuppone che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali è fondata emergano in maniera coerente e comprensibile dalla domanda stessa; se pure è possibile che la domanda venga avallata o completata in punti specifici da richiami a determinati passaggi di documenti ad essa allegati, un rinvio globale ad altri scritti non può sanare di elementi essenziali.
95 Vedi BIAVATI- CARPI, Diritto processuale comunitario, pp. 144, 173- 174, 210-211.
96 X. XXXXXXX, Processo civile e costituzione, in Studi di diritto comparato a cura di X. XXXXXXXXXXX, Milano, Xxxxxxx, 1974, p. 419 ss.
97 GUCE, L. 122 del 24 maggio 2000, p. 43 ss.
98 Vedi più diffusamente sul punto X. XXXX, Verso la riforma del sistema giurisdizionale dell’Unione, in Il Diritto dell’Unione Europea, 1/00, pp. 158-159.
99 Rivista di diritto internazionale 1994 p. 933
100 Vedi BIAVATI – CARPI, Diritto processuale comunitario, p 118.
101 Cfr., M.CONDINANZI Il cittadino comunitario e la lingua del processo (comunitario e nazionale) in un caso recente di fronte alla Corte, in Il Diritto dell’Unione Europea, 1/98: “nei ricorsi diretti, la lingua del processo è scelta dal ricorrente. Tuttavia, se il convenuto è uno Stato membro o una persona fisica o giuridica appartenente ad uno Stato membro, lingua processuale sarà quella di tale Stato. Su richiesta congiunta delle parti, ovvero di una sola parte, ma, in tal caso, sentiti l’altra parte e l’avvocato generale, può essere utilizzato l’uso di un’altra lingua. Nel procedimento pregiudiziale, la lingua è quella del giudice nazionale che rinvia alla Corte. Tuttavia, è possibile consentire l’autorizzazione all’uso di un’altra lingua su richiesta motivata di una delle parti, sentita l’altra parte del giudizio principale e l’avvocato generale. La nuova previsione consente una maggiore elasticità a vantaggio delle esigenze difensive delle parti del processo principale. Si pensi a quelle situazioni, per altro frequenti, in cui davanti al giudice nazionale controvertono soggetti appartenenti a strati membri differenti”.
informazione. Xxxx, a questo proposito, dovrebbe essere rivista la tendenza generale a considerare il processo comunitario come dominato esclusivamente dal principio inquisitorio: in realtà, il giudice deve sempre provocare il contraddittorio sui fatti o documenti sui quali si basa la sua decisione102, e, se è vero che può disporre d’ufficio dei mezzi istruttori, sulle parti pesa l’onere della prova o, quanto meno, del principio di prova, restando quindi un’illusione un perfetto ed equilibrato contraddittorio103.
Nella sentenza resa nel caso Ufex104, la Corte ha affermato il principio in base al quale il giudice non può legittimamente rigettare l’istanza di esibizione di documenti per insufficienza di prova, dal momento che spetta al giudice stesso verificare l’esattezza o meno delle informazioni fornite dalla parte circa l’esistenza del documento. Il valore di questo principio si coglie soprattutto quando una parte non è in grado, da sola, di procurarsi la prova a sostegno della propria difesa perché il documento è in possesso della controparte o si tratta di atto riservato di una Istituzione comunitaria105. A ben vedere, però, la portata pratica del principio è estremamente variabile, in quanto, ampliando o restringendo la nozione di “principio di prova”, si amplia o si restringe la discrezionalità del potere istruttorio, quindi sono necessari ulteriori parametri: la misura d’istruzione deve essere oggettivamente necessaria, proporzionata allo scopo, pertinente a fatti di causa realmente controversi. Si aggiunga che dal rifiuto di produrre i documenti richiesti, non necessariamente, e comunque non automaticamente, discendono conseguenze sfavorevoli per il soggetto: si pensi al caso in cui il destinatario della richiesta sia un terzo; ma anche nel caso che fosse la controparte, il giudice dovrebbe prima sindacare le motivazioni del rifiuto.
Nella sentenza resa nel caso Xxxxxx Xxxxxxxx000 , infine, la Corte di giustizia si è occupata del rapporto tra il rispetto dei diritti della difesa e la nozione di ordine pubblico, quale limite al riconoscimento delle sentenze straniere secondo la Convenzione di Bruxelles del 1968.
La Corte ha concluso che nessuna lesione al diritto di difesa può ritenersi giustificata, in nessun tipo di procedimento giurisdizionale, e che, conseguentemente, il diritto è tanto fondamentale da rientrare nella nozione di “ordine pubblico”. Anzi, il diritto ad un equo processo ha un contenuto più ampio: riguarda i diritti della difesa nel complesso, cioè il diritto ad un processo nel quale il principio del contraddittorio sia assicurato non soltanto in limine litis, ma anche nel prosieguo di questo107. In questa prospettiva, veramente il diritto comunitario è strumento per l’integrazione degli ordinamenti giuridici nazionali in una “civiltà giuridica comune”108.
4. I principi costituzionali prima e dopo la riforma dell’art. 111 della
Costituzione.
È opinione largamente diffusa in dottrina che anche anteriormente alla riforma dell’art. 111 della Costituzione il principio del contraddittorio e le altre garanzie processuali che meglio lo specificano e lo realizzano nell’ambito del “giusto processo” fossero già presenti nell’ordinamento giuridico italiano, ancorché non espressamente enunciati dalla Costituzione
102 Vedi la sentenza resa nel caso Xxxxx Xxxxx e altri c.Commissione CE e South Wales Small Mines Association, causa X- 000/00 X, xx Xxxxxxxx, 0000-0 (X).
103 Cfr., X. XXXXXXX, Accertamento dei fatti e tecniche probatorie nel processo comunitario, p.289.
104 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 0 marzo 1999, causa 119/97, in Raccolta, 1999, I, p.1341 ss.
105 Vedi più diffusamente sul punto, X. XXXXXXX, Nuove prospettive sui poteri istruttori del giudice comunitario, in
Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2001- 2, passim.
106 Causa C-7/98, pubblicata in Raccolta, 2000, p. I-1935 ss.
107 Sul punto ampiamente, X. XXXXXXXX, “L’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordine pubblico processuale nel sistema della Convenzione di Bruxelles”, in Rivista di diritto internazionale, 2001-3 p. 723 ss.
108 L’espressione è di BARILE, “Ordine pubblico (dir.int.proc.), in Enciclopedia del diritto, vol. XXX, Milano, 1980, pp.1106-1124.
medesima109. A queste conclusioni si è giunti in via interpretativa combinando tra di loro i disposti normativi contenuti in diversi articoli, e precisamente gli artt. 2, 3, 24, 25 comma 1,
101, 104, 107, 108, 111, 113 Costituzione110.
Tra i diritti inviolabili dell’uomo rientra, infatti, il diritto di agire e difendersi in giudizio111 in condizioni di parità112 e uguaglianza, davanti ad un giudice naturale, precostituito per legge e soggetto soltanto alla legge, indipendente da ogni altro potere; il diritto a vedere motivati tutti i provvedimenti giurisdizionali; il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, anche contro gli atti della pubblica amministrazione, dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Sebbene il quadro normativo di riferimento fosse, dunque, già completo fin dal momento dell’entrata in vigore della Costituzione, e offrisse la reale possibilità di concretizzare tutto ciò che di esplicito e di implicito vi era contenuto, i tempi non erano ancora maturi per un generale mutamento di prospettiva e, forse, di mentalità: non è sufficiente la precocità di pochi quando deve essere la collettività a dover condividere e difendere i valori. Già Comoglio113, pur riconoscendo che “a grandi linee” il modello italiano “sembra riprodurre, più o meno compiutamente, gli schemi essenziali di un giusto processo”, riteneva che esso fosse ancora ben lontano dal rispecchiare pienamente il “modello internazionale” 114. Di questo si è resa conto anche la Corte costituzionale che, in numerose pronunce115, ha offerto importanti spunti interpretativi da cui in modo paradigmatico si comprende l’evoluzione del principio del contraddittorio, alla luce dei principi costituzionali, nel passaggio da una concezione logico-formale ad una concezione sostanziale.
Se infatti riducessimo il fenomeno del contraddittorio a mero “contrasto dialettico fra opposte posizioni assertive, dirette ad elidersi vicendevolmente”116, svaluteremmo sia l’istituto medesimo, sia le norme, i principi e i valori che idealmente vi si ricollegano già sul piano della teoria generale del diritto processuale, ma molto più sul piano del diritto positivo vigente.
In una complessa visione del fenomeno processuale l’art. 24 cost., letto congiuntamente con gli artt. 2 e 3 cost., non rappresenta soltanto una garanzia dell’esercizio dell’azione e della difesa, ma una effettiva possibilità di partecipazione dei legittimati ad agire e contraddire nell’esercizio della funzione giurisdizionale e in vista della giusta definizione del giudizio. Il
109 Cfr. CALAMANDREI, Processo e democrazia, Padova, 1954, specialmente 46 ss., 121 ss., 145 ss. In tal senso, la legittimità della stessa organizzazione strutturale del processo avrebbe dovuto misurarsi, prima che sull’osservanza di un dato “cerimoniale”, sul rispetto di sostanziali principi di civiltà giuridica, quali l’imparzialità e la terzietà del giudice, il contraddittorio in condizioni di parità, l’obbligo di motivazione delle decisioni.
110 Così CAPPELLETTI, Diritto di azione e di difesa e funzione concretizzatrice della giurisprudenza costituzionale (Art. 24 Costituzione e”due process of law clause”), in Giur.cost., 1961, 1284 ss.Cfr anche COMOGLIO, La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova, 1970; ID., I modelli di garanzia costituzionale del processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 713-730. E ancora, BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, p.287.
111 Sul punto più diffusamente TROCKER, Processo civile e costituzione in Studi di diritto comparato a cura di X. XXXXXXXXXXX, Milano, Xxxxxxx Editore, 1974, p.372. Qui il principio della difesa è considerato un aspetto integrante del diritto di azione.
112 Il principio della uguaglianza delle armi fra le parti e tanto importante da condizionare il riconoscimento di provvedimenti giurisdizionali stranieri. Sul punto, MIGLIAZZA, Il rispetto del principio della parità delle armi e il riconoscimento di provvedimenti giurisdizionali stranieri, in, Riv. dir. proc., 1997, passim.
113 COMOGLIO, La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova, 1970, e I modelli di garanzia costituzionale del processo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1991, 735 ss.
114 Così CECCHETTI, in ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO alla voce GIUSTO PROCESSO.
115 C.cost. 12 dicembre 0000, x. 000, xx Xxxxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxx, 0000, X, 0000; 13 febbraio 1985, n. 41, ivi, 1985, I, 172; 27 giugno 0000, x. 000, , xxx, 0000, X, 0000; 18 febbraio 0000, x. 000, , xxx, 0000, X, 000; 24 aprile 1996, n. 131, , ivi, 1996, 1139; 21 marzo 1997, n. 66, , ivi, 1997, 696; 1 ottobre 1997, n.306, , ivi, 2875; 20 aprile 2000, n. 113, , ivi, 2000, 1009, fanno riferimento al giusto processo. Per l’esplicita qualificazione del giusto processo come principio costituzionale: C.cost. 2 novembre 1996, n. 371, ivi, 1996, 3386; 1 ottobre 1997, n. 307, ivi, 1997, 2888; 30 marzo 1999, n. 105, ivi, 1999, 942.
116 Cfr., Enciclopedia giuridica Treccani alla voce Contraddittorio, p. 1 e, per ulteriori riferimenti, le voci “Contraddittorio e contraddizione “, in Dizionario enciclopedico Treccani, III, Roma, 1970, 484.
contraddittorio è allora esso stesso diritto inviolabile e base per poter garantire l’effettività della tutela giurisdizionale rispetto agli altri diritti riconosciuti all’individuo.
Cos’altro è, in fondo, la “giustezza” di un processo se non la sua conformità ai principi caratterizzanti e fondanti l’ordinamento giuridico positivo in cui è inserito?117. E, analogamente, cos’altro è il principio del contraddittorio se non un “indice rivelatore del grado di democraticità dello Stato”?118: è nel processo che si verifica quanto le norme di procedura siano conformi allo spirito della Costituzione e quanto poi la Costituzione materiale coincida con la Costituzione formale. Da una concezione puramente statica del fenomeno processuale, si passa ad una visione più concreta, attiva, dinamica119: alle parti è data la possibilità di influire –con ogni iniziativa consentita- sulla formazione del convincimento del giudice, e ciò si spiega visti gli effetti che la pronuncia giudiziale potenzialmente produce nella sfera personale e patrimoniale del destinatario120. Non basta. Come avverte Calamandrei121, molto spesso la partecipazione si risolve in una parità meramente giuridica (per non dire teorica), mentre vi sarebbe bisogno di una parità pratica, cioè tecnica ed economica: la parte deve sempre essere messa nelle condizioni di poter recuperare nel giudizio una eventuale posizione di svantaggio e di disuguaglianza iniziale. In tal senso, fondamentali sono le norme che assicurano l’adeguata assistenza in giudizio dei soggetti meno abbienti e l’inviolabilità degli aspetti formali quale garanzia della certezza della difesa tecnico-professionale122. Dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale emerge, infatti, il duplice significato che acquista il diritto di difesa quando lo si riconnette al valore della effettività: in Corte Cost. 46/1957 si legge che i due aspetti (tecnico e sostanziale) della difesa, sono inscindibilmente uniti, perché, sebbene il rappresentante tecnico assicuri l’effettività e la qualità della difesa, è principio di civiltà giuridica consentire al rappresentato di essere presente “realmente” in aula123.
È chiaro quindi che la Legge, quando parla di diritto di agire e resistere in giudizio, intende esprimersi in termini di “pura possibilità” e al di fuori di qualsiasi costrizione da parte dell’ordinamento, che anzi ha condizionato l’esercizio dell’azione all’esistenza del relativo interesse ad azionare la pretesa giuridica sottostante ed ha costruito la costituzione in giudizio come un onere, non un obbligo del convenuto. Appunto in vista della realizzazione di queste condizioni il Legislatore deve garantire l’uguaglianza delle parti “nei punti di partenza”124 e, a fortiori, non condizionare la procedibilità o la proseguibilità del giudizio a prestazioni patrimoniali che anzi creano disuguaglianze incidendo sui diversi aspetti dell’azione o della difesa125.
Una lettura semplicistica dell’art. 24 Cost. potrebbe ingenerare il dubbio che il contraddittorio sia un fenomeno riferibile esclusivamente alle parti esattamente come si potrebbe ritenere che la fase decisionale sia “dominio” del giudice. In realtà, il processo è un
117 Così FOIS, in Il modello costituzionale del “giusto processo”, in Rass. Parl., 2000, 571.
118G.GHETTI, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p.7.
119 ENCICLOPEDIA TRECCANI VOCE CONTR.
120 TROCKER, Processo civile e costituzione, cit., pp. 377-378.
121 Vedi lo scritto Processo e democrazia in Opere giuridiche, I, Napoli, 1965, 690-691.
122 Sul punto, vedi Corte cost., 3 giugno 1966 n. 53,comprende nel “diritto di difesa” la “libertà di promuovere l’azione giudiziaria” e la “necessità di assicurare effettivamente alla parte un’assistenza tecnico-professionale ed un contraddittorio”; Corte cost., 3 luglio 1975, n. 169, in Foro it., 1976, I, 37, parla del “diritto di difesa nel suo duplice aspetto di diritto alla tutela giurisdizionale e di diritto al contraddittorio”.
123 In questo senso X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXX, in Commentario breve alla Costituzione, Padova, Cedam, 1990, p.173.
124 Vedi più approfonditamente sul punto, Enciclopedia giuridica Treccani alla voce Contraddittorio, p.3.
125 Come si ricorderà, la cautio pro expensis era prevista, a discrezione del magistrato procedente, a carico dell’attore non ammesso al gratuito patrocinio nell’ipotesi di fondato timore di in esecuzione dell’eventuale condanna. Venne dichiarata incostituzionale con sentenza 29 novembre 1960, n. 67 (Foro it.,1960, I 1873-1874). Analogamente, con sentenza 2 luglio 1966, n. 80 (Foro it., 1966, I, 1201-1203) la Corte costituzionale dichiarò costituzionalmente illegittima la clausola del solve et repete.
meccanismo molto complesso e la stessa articolazione in “stati” e “gradi” è indice di interdipendenza strutturale e funzionale, non di disarticolazione. Per questo motivo non si possono concepire fasi di pertinenza delle sole parti o del solo giudice, ma un unico giudizio in cui tutte le diverse figure processuali apportano il loro contributo dal primo atto introduttivo fino alla sentenza definitiva. Xxxx, se proprio si volesse delineare un concetto sostanziale di contraddittorio, probabilmente il ruolo più importante sarebbe riservato al giudice, perché per realizzare una effettiva parità delle armi occorre a priori assicurare lealtà e correttezza nello svolgimento del processo e questo dipende dal comportamento delle parti sicuramente, ma molto più dal ruolo del giudice nei confronti di queste. Ciò che la legge esige dal giudice non è in definitiva la neutralità in astratto126, ma la capacità di mantenere equilibrato il giudizio127 . In quest’ottica sono indeclinabili le garanzie dell’indipendenza, della terzietà e dell’imparzialità del giudice per l’effettività del diritto di azione e di difesa e del principio di uguaglianza posto dall’ art. 3 Costituzione128. Si tratta evidentemente anche in questo caso di principi ricavabili dal combinato disposto di diversi articoli della Costituzione e, per quanto riguarda nello specifico la terzietà e l’imparzialità, ribaditi all’art. 1112. In particolare, nonostante l’indipendenza funzionale del giudice rispetto al singolo processo sia ricavabile dagli artt. 251 e 1012 Cost., e l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali dall’art. 1082, è preoccupante che la dottrina manifesti ancora perplessità in proposito ed auspichi un’ effettiva separazione, anche funzionale, tra gli organi di giustizia amministrativa e il potere politico129.
Fondamentale poi l’art. 111 cost. nella parte in cui prevede l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, in modo che le parti possano sempre verificare nel concreto, attraverso la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice, la rispondenza della decisione agli elementi discussi130: è infatti “inammissibile lasciare al giudice la facoltà incontrollata di eludere il principio costituzionale, rendendo vana la partecipazione delle parti, nel momento culminante, con un ratio decidendi da loro non conosciuta in anticipo131”.
Argomentando dalla illegittimità della cd “sentenza a sorpresa”, si dovrebbe dedurre che una pronuncia ultra petita violi a priori il principio del contraddittorio per la mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato132. Sembra invece più corretto ritenere che non sia tanto l’ultra petitum a pregiudicare il contraddittorio, quanto l’effettiva violazione del diritto di difesa, quindi la rinuncia del giudice a dialogare ed ascoltare le parti133: nel sollevare questioni preliminari o pregiudiziali, dunque, il giudice è, rispetto al contraddittorio, nella stessa posizione giuridica delle parti134. Sebbene questo discorso possa essere utilizzato a
126 Si tratta di un concetto messo giustamente in rilievo da DENTI, in Perizie, nullità processuali in Rivista di diritto processuale, 1967, p. 406.
127 È utile in questo senso consultare COMOGLIO, Il “giusto processo” civile nella dimensione comparatistica, in Rivista di diritto processuale, 2002, n.3, pp.756-757. L’Autore rileva come, seppure la nostra Costituzione non abbia sancito un divieto probatorio della prova illecita, il giudice, in coerenza con i suoi doveri di terzietà ed imparzialità, non possa utilizzarla perché incompatibile con condizioni minime di equità e correttezza procedurale.
128 La Corte costituzionale ha applicato in modo esteso il principio di imparzialità, che è definito come “un aspetto di quel carattere di terzietà che connota nell’essenziale tanto la funzione giurisdizionale, quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella di tutti gli altri soggetti pubblici, e condiziona l’effettività del diritto di azione e difesa in giudizio” (Corte cost., sentenza 131/1996; analogamente, 155/1996.
129 Sul punto vedi in particolare X. XXXXXXX, Il “giusto” processo amministrativo in Il Consiglio di Stato, 2000, n.5-6, p.1071, dove anzi si sottolinea come il risultato della completa indipendenza e “ il riconoscimento della centralità del giudice amministrativo quale “giudice ordinario” dei conflitti con la pubblica amministrazione”, dovrebbero portare alla costituzione di un proprio ordine giudiziario; IDEM, Il processo amministrativo, op. cit., pp. 3-56.
130 X.XXXXXXXXX, Enciclopedia del diritto, voce Giusto processo (diritto costituzionale), pp. 598-599.
131 Citazione tratta dal commento di COMOGLIO all’art. 24 cost., in Commentario della costituzione a cura di X. XXXXXX, Bologna, Zanichelli, 1981, p. 59.
132 Cfr., X. XXXXX, Commentario al codice di procedura civile , Milano, Vallardi, 1959, I, pp. 429-430.
133 Xxxx X. XXXXXXX, Processo civile e costituzione in Studi di diritto comparato a cura di X. XXXXXXXXXXX, Milano, Xxxxxxx, 1974, p.386 ss.
134V.DENTI, Questioni rilevabili d’ufficio e contraddittorio, in Rivista di diritto processuale, 1968, pp. 217 ss.
contrario per dimostrare come il contraddittorio non sia in necessario contrasto con i poteri inquisitori del giudice, non di meno è costante il pericolo di tendenze dirigistiche troppo spesso manifestatesi nel processo amministrativo, dove pure vige un principio di tipo acquisitivo, quasi sempre a tutto vantaggio dell’interesse pubblico o, peggio, dell’interesse privato della P.A.: più auspicabile è, quindi, un modello di processo ispirato al principio dispositivo, laddove però, come dicevo, la legge non imponga al giudice la assoluta neutralità.
Ora, una volta dimostrato che la concezione sostanziale del principio del contraddittorio, così come oggi risulta esplicitamente dal novellato art. 111 Cost., poteva comunque essere ricostruita anche in precedenza e, posto che i primi due commi dell’articolo in questione non possono essere nemmeno utilizzati come parametro nei giudizi di legittimità costituzionale perché non innovativi del sistema costituzionale vigente (al contrario i commi 4 e 5 che, pur non essendo innovativi in senso stretto, sono almeno specificativi di principi generali già vigenti), è xxxxxx chiedersi il perché della riforma. Che la scelta fosse assolutamente necessaria è discutibile, visto l’impianto interpretativo creatosi sul punto; ma sicuramente opportuna ed impegnata.
Opportuna in quanto si è inteso fornire una interpretazione autentica di principi già desumibili, in vista della riaffermazione dei principi di legalità e di divisione dei poteri, per cui al Legislatore compete porre la normazione e ai Giudici applicarla.
Impegnata perché il legislatore costituzionale ha voluto in qualche modo completare il lavoro di “positivizzazione”, ampliando l’area di immodificabilità e intangibilità dei principi cd “supercostituzionali”, cioè di quei principi che rappresentano il” nocciolo duro” della costituzione e che non possono essere né abrogati né intaccati nella loro portata garantistica nemmeno da successive leggi di revisione costituzionale135.
5. I principi del diritto amministrativo italiano e il diverso significato della realizzazione del principio del contraddittorio nel processo civile e nel processo amministrativo.
Il contraddittorio, correttamente inteso, è un principio giuridico generale di ordine costituzionale, anche se tradizionalmente esplica la sua portata garantistica nell’ambito del fenomeno processuale, rappresentando anzi un tipico presupposto delle modalità di estrinsecazione della funzione giurisdizionale. E questo principalmente perché è la giurisdizione stessa (spesso a differenza dell’amministrazione) ad essere retta dall’altro fondamentale principio dell’imparzialità. Infatti, laddove non vi è equidistanza tra l’organo decidente e la parte o le parti del procedimento – inteso qui in senso lato, e quindi comprensivo del processo e del procedimento tout court - è impossibile parlare di esistenza di un vero contraddittorio.
Storicamente, peraltro, la dottrina riconduceva il vero e proprio contraddittorio al solo processo civile, restringendone così ulteriormente l’ambito di operatività: il contraddittorio nel processo amministrativo era considerato “sempre e soltanto un fatto eventuale”136, diretta conseguenza questa del fatto che già sul piano del diritto sostanziale la P.A. godeva (e gode tuttora) di una posizione di supremazia rispetto al cittadino, tant’è vero che è in questo contesto che nasce la distinzione, nell’ambito delle situazioni giuridiche soggettive, tra il diritto soggettivo e l’interesse legittimo137. Non a caso in dottrina, fino a qualche tempo fa, si parlava di una sorta di “presunzione di legittimità dell’atto amministrativo”138, derivante dal
135 X.XXXXXXXXX, voce Giusto processo (diritto costituzionale) in Enciclopedia del diritto, cit., pp. 616-620.
136 Così, X. XXXXXXXXX, voce Contraddittorio ( dir. amm. ), in Enciclopedia del diritto, cit., pp. 739-740.
137 Diffusamente, X. XXXXXXX, Il processo amministrativo, op. cit., pp. 3 ss. e 41 ss.; X. XXXXXXXXXX, Riflessioni sull’art. 111 cost. in Rivista di diritto processuale, 2001, passim.
138 Vedi diffusamente X. XXXXXXXXX, “Il processo amministrativo”, in Encicl. del diritto,XXXVI
pregiudizio che l’Amministrazione agisse sempre e comunque secondo principi di buon andamento e di imparzialità per la cura dell’interesse del pubblico.
La tesi non è oggi più sostenibile, soprattutto visti gli accadimenti, ma potrebbe risultare utile per comprendere il valore del contraddittorio nelle dinamiche procedimentali.
La partecipazione procedimentale nel contraddittorio delle parti, nel fisiologico formarsi dell’azione amministrativa, è infatti garanzia se non della “giustezza” o della legittimità dell’atto, quantomeno di una legalità procedurale, cioè di una parziale realizzazione di quelle esigenze di uguaglianza, parità e simmetria che sono l’essenza del processo. Tuttavia, il sistema italiano di giustizia amministrativa si atteggia in modo molto particolare: da un lato il diritto amministrativo sostanziale (e quindi il procedimento) e il diritto processuale amministrativo (e quindi il processo) sono fenomeni legati tra di loro appunto per la cura dell’interesse pubblico, tanto che sarebbe incostituzionale “produrre uno scollamento (…) tra l’interesse pubblico curato dal procedimento amministrativo, e l’assenza di qualsiasi interesse pubblico nel processo amministrativo. Gli autori che equiparano frettolosamente sotto questo profilo il processo amministrativo a quello civile dimenticano che nel processo civile non vi è almeno dal punto di vista formale una gerarchia di valori sottostante agli interessi difesi nel processo”139. Dall’altro lato, -per varie ragioni storiche, politiche ed ideologiche140- sono fenomeni profondamente distinti. Ed è proprio a causa di questa distinzione (a differenza che in altri ordinamenti, dove la linea di demarcazione è talmente esile che ci sono molti organi quasi giurisdizionali e molte procedure semicontenziose di fronte a pubbliche amministrazioni) che il principio del “giusto processo” è costituzionalizzato ed altrettanto non può dirsi del principio del “giusto procedimento”141.
L’entrata in vigore della costituzione nel 1948, l’apertura della dottrina alle esperienze internazionali di “giusto processo”, la giurisprudenza anticipatrice di soluzioni legislative oggi vigenti142 hanno reso il processo amministrativo compatibile con il modello recentemente accolto nel riformato art. 111 cost.: indefettibilità della tutela giurisdizionale, della parità delle armi e dei risultati astrattamente conseguibili, della terzietà del giudice. Al centro di tutto è ancora una volta la lettura in combinato disposto degli artt. 3, 24, e 113 cost.: contro gli atti della P.A. è sempre data la possibilità di un ricorso presso le autorità giurisdizionali, ordinarie o speciali che siano, e, proprio da questa promessa infungibilità della tutela, si deduce il diritto delle parti (pubbliche o private) ad agire e resistere in giudizio in condizioni di uguaglianza. Forte di questi principi, la Corte costituzionale ha colpito le agevolazioni irragionevoli e le disparità di trattamento processuali, sancendo l’illegittimità dei privilegi tecnico-processuali attribuiti senza obiettiva giustificazione alle pubbliche amministrazioni in danno delle controparti private143. Ed è sempre la giurisprudenza poi che ha assoggettato alla tutela giurisdizionale i comportamenti omissivi della amministrazione.
139 Così X. XXXXXXX, “Processo amministrativo e diritto comunitario”, Padova, Cedam, 2003, pp. 35-36.
140 Cfr., più diffusamente X. XXXXXXX, “Processo amministrativo e diritto comunitario”, Padova, Cedam, 2003, p.4 ss. 141 Così L. P. COMOGLIO, “La riforma del processo amministrativo”, in Rivista di diritto processuale, 3-2001, p.638, nota 22: “I principi, oggi accolti dagli artt.3, 7-13 della L.7 agosto 1990, n.241, generalmente non si reputano coperti da una protezione costituzionale diretta, salva restando la portata ermeneutica o integrativa dei principi del “buon andamento” e della “imparzialità” della pubblica amministrazione, sanciti dall’art.97, I comma, Cost. Si ritiene, comunque, che il “giusto procedimento”, da cui scaturisce la necessità della partecipazione procedimentale di tutti i soggetti coinvolti o interessati, rappresenti, in armonia con il canone generale audiatur et altera pars, un fondamentale “criterio di orientamento”, sia per il legislatore, sia per l’interprete”.
142 Fra le tante: Cons. di Stato, 11 luglio 1941 n. 461; ID. 18 giugno 1940 n.347; ID. 29 luglio 1942; ID. 2 giugno
1943.
143 Così COMOGLIO in Commentario della costituzione a cura di X. XXXXXX, in riferimento alla sentenza della Corte cost., 8 giugno 1967, n.97 (Giur. Cost., 1967, 1071). Nello specifico, la Corte ha riconosciuto illegittimo l’art. 11, comma 3, della legge 30 ottobre 1933, n. 1611(rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato), in quanto esso escludeva in ogni caso la sanatoria delle nullità derivanti da notificazione effettuata presso uffici incompetenti dell’avvocatura dello Stato.
Questi risultati però, seppure importanti, non soddisfano ancora chi crede possibile una perfetta parità tra cittadino e P.A., processo civile e processo amministrativo. Da più parti si auspica, infatti, un ripensamento della struttura del processo amministrativo, che è e resta certo un processo da ricorso, ma pur sempre di parti. Di conseguenza, l’oggetto del giudizio non dovrebbe più essere considerato l’atto impugnato144, bensì la pretesa giuridica sostanziale dedotta in giudizio, in conformità del resto a quanto dispone l’art. 103 cost.: ciò che si fa valere in giudizio è l’interesse legittimo, non l’interesse ad agire. Argomentando diversamente, si dovrebbe ritenere corretto l’indirizzo giurisprudenziale che, di fronte al ritiro o alla modifica dell’atto impugnato, surroga la “cessazione della materia del contendere” con il “sopravvenuto difetto di interesse”, a prescindere dalla verifica di una sostanziale soddisfazione dell’interesse del privato145.
Nonostante l’opportunità di queste conclusioni, si deve tuttavia convenire con quella parte della dottrina146 che ritiene impossibile, allo stato attuale della giustizia amministrativa, una simile parità.
Va infatti osservato che solo in determinati settori è verificabile una certa simmetria: la materia degli appalti e l’attività contrattuale della P.A. Non a caso settori dominati dai canoni privatistici e dalle regole del mercato. Per il resto, nemmeno l’accoglimento della nozione comunitaria di interesse pubblico (nel senso di interesse del pubblico) è tale da ridurre sullo stesso piano interesse pubblico e interesse privato. Il privato, infatti, su un piano di parità formale può contraddire con la P.A., ma mai può prevalere se al contempo non è perseguito l’interesse pubblico.
Per quanto concerne, invece, la parità tra processo civile e processo amministrativo, nonostante l’applicazione dei principi generali del processo civile (cd civilizzazione del processo amministrativo, Consolo), nemmeno questa è configurabile, atteso che il ricorso giurisdizionale fa prevalere la vocatio judicis sulla vocatio in judicium, per cui unica controparte in senso sostanziale è la P.A., sebbene, certo, possono intervenire come parti in senso processuale i cointeressati e i controinteressati. E non potrebbe essere diversamente in un tipo di giudizio dove si giudica del rapporto giuridico tra il cittadino e la pubblica amministrazione, cioè tra soggetti che, già sul piano del diritto sostanziale e, in fin dei conti, anche sul piano del diritto processuale, non godono di una vera parità giuridica, si figuri economica e politica147.
Anche storicamente, del resto, “il processo amministrativo è nato come tipico processo (o addirittura controllo) di legittimità di un provvedimento amministrativo, ed in questo era molto vicino al processo per cassazione (che costituisce appunto il controllo finale di legittimità dell’intero processo civile) e successivamente al processo costituzionale (soprattutto per quanto riguarda l’impugnazione dei regolamenti e di atti amministrativi generali)”148.
Si comprende allora il valore e il diverso significato che assume la realizzazione del contraddittorio nel giudizio amministrativo rispetto al processo civile. Il recupero, nel processo amministrativo, della situazione di inferiorità del cittadino di fronte alla P.A. nel corso del procedimento, garantisce (o dovrebbe garantire) la costituzionalità149 e, insieme, la credibilità del sistema di giustizia, quale risulta dalla lettura in combinato disposto degli artt. 3, 24, 97, 111 e 113 Cost.
144 Ancora BENVENUTI sul punto, op. cit. supra.
145 Vedi per un approfondimento X. XXXXXXXXXX, Cessazione della materia del contendere, voce dell’Enciclopedia del diritto, III vol. di aggiornamento, Milano, 2000, ad vocem.
146 Cfr., per tutti X. XXXXXXX, “Processo amministrativo e diritto comunitario”, Padova, Cedam, 2003, p.35-36.
147 Cfr., le considerazioni di X.XXXXXXXXX, voce Il processo amministrativo, in Enciclopedia del diritto, cit., p. 457- 463.
148 X. XXXXXXX, Il Processo amministrativo, op. cit., p. 41.
149 Cfr., X. XXXXXXXXXX, “Il contraddittorio nel processo amministrativo”, Edizioni Scientifiche Italiane, 1977,pp. 20- 25.
Ma, come spesso paradossalmente accade nella realtà, proprio quegli istituti e quei principi che in astratto sono pensati per una migliore realizzazione della giustizia, ne minano la credibilità. Infatti, proprio quel principio dispositivo-acquisitivo che doveva servire al giudice amministrativo per una corretta e completa ricostruzione della realtà extraprocessuale, a tutto vantaggio del cittadino contro lo strapotere dell’amministrazione, si è rivelato uno strumento di dirigismo processuale150. E probabilmente vi sono state altre concause151: il ridotto numero dei giudici amministrativi, la concentrazione in un unico organo a livello centrale e i meccanismi di selezione di secondo grado hanno reso il processo amministrativo più conformato ed uniformemente orientato rispetto al processo civile.
150 Già X. XXXXXXX, in “Processo civile e costituzione”, in Studi di diritto comparato a cura di X. XXXXXXXXXXX, Milano, Xxxxxxx, 1994, pp.373 ss. avverte come se vi sono condizioni di piena parità tra le parti e lealtà di comportamento, il principio dispositivo è preferibile a quello inquisitorio, non tanto perché quest’ultimo sia di ostacolo al contraddittorio, quanto perché sono più facili le deviazioni dirigistiche.
151 Vedi per una riflessione più profonda L’enciclopedia Treccani alla voce giudizio amministrativo, volume XV, p.234.
Capitolo Secondo
Profili Procedimentali
1. Il principio del contraddittorio come cardine della tutela della situazione giuridica del cittadino nei confronti della p.a. nel corso del procedimento amministrativo.
Il fatto che il principio del contraddittorio non rappresenti una prerogativa del moderno Stato di diritto ma, al contrario, nella sintetica formulazione dell’ audi et alteram partem, risalga al diritto romano, dovrebbe far riflettere sul suo vero significato: ogni sistema di diritto che pretenda di instaurare una “legalità veduta non già come mera legalità-legittimità, ma come legalità-giustizia”152, non può rimandare al momento giurisdizionale la tutela delle situazioni giuridiche del cittadino e, anzi, gli interessi giuridici sottesi devono trovare soddisfazione già nella fase di formazione dell’atto, del farsi del potere.
Con l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, sembra che il principio del contraddittorio sia applicabile alla generalità dei procedimenti amministrativi, eccetto i casi, residuali, previsti dalla legge. Si tratta, evidentemente, di un notevole progresso rispetto al passato assetto normativo, in cui, al contrario, il principio del contraddittorio era ritenuto operante nei soli casi previsti dalla legge153, nonostante la diversa interpretazione che si sarebbe potuta dare dell’art. 3 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo154.
Aboliti i giudici speciali per il contenzioso amministrativo, la competenza a decidere le controversie in cui fosse parte una pubblica amministrazione e che riguardassero i diritti soggettivi dei privati era attribuita ai giudici ordinari, mentre si demandava alle autorità amministrative il compito di conoscere gli “altri affari”, cioè quelli riguardanti gli interessi legittimi, e di risolverli con decreti motivati solo dopo aver accolto le deduzioni e le osservazioni rese per iscritto dalle parti interessate; nei confronti dei provvedimenti così assunti, poi, era ammesso il ricorso in via gerarchica secondo quanto disposto dalle leggi amministrative.
In linea di principio, dunque, vi erano tutte le condizioni per una riforma del sistema di giustizia amministrativa in senso più garantistico per l’individuo:
Le deduzioni e le osservazioni che i privati potevano presentare già nel corso del procedimento avrebbero potuto essere guardate come un’embrionale realizzazione del contraddittorio in ogni tipologia di procedimento amministrativo155; mentre il ricorso gerarchico avrebbe potuto essere concepito come un procedimento di secondo grado, in cui il
152 Cfr., le ampie considerazioni generali di X. XXXXXXXXX, Il giusto procedimento nel quadro dei principi costituzionali, in La disciplina generale del procedimento amministrativo (Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione), Xxxxxxx Editore, Milano, 1989, p. 72 ss.
153 Vedi le considerazioni critiche di X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, pp. 90-95.
154 Si tratta della legge 20 marzo 1865, n. 2248, ALL. E., art. 3.
155 In senso contrario vedi per tutti le conclusioni di XXXXXX, nella nota a Consiglio di Stato, sez. IV, 30 maggio 1919, in Giurisprudenza Italiana, 1919, III, 231: l’art. 3 “significa che le parti hanno diritto di produrre spontaneamente deduzioni e osservazioni, che l’amministrazione ha l’obbligo di esaminarle, se prodotte, tutt’al più, è tenuta a comunicarle hinc inde se richiesta, ma non implica affatto il principio, ben diverso e più rigoroso, che l’amministrazione ha anche il dovere di provocare le deduzioni e le controdeduzioni con comunicazioni da farsi d’ufficio” (232). Lo stesso Autore, in Corso di diritto amministrativo, Padova, 1960, p. 343, afferma che, nel contesto della legge abolitiva, “gli interessi non potevano avere altra difesa che quella dipendente da un diligente esame da parte degli organi amministrativi e dal ricorso ad autorità amministrative superiori”. Conferme in tal senso provengono anche dalla giurisprudenza: “La norma contenuta nell’art. 3, L. 20 marzo 1865, n. 2248 ALL.
E. abolitiva del contenzioso amministrativo, la quale prevede, in xxx xxxxxxxx, xx xxxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xx procedimento di formazione degli atti amministrativi, non ha introdotto nel nostro ordinamento il principio generale del contraddittorio nel procedimento amministrativo” (T.A.R. Campania-Salerno, 5 luglio 1983, n. 315, in T.A.R., 1983, I, 2671); inoltre, “secondo l’attuale sistema del nostro ordinamento amministrativo, è regola che la fase istruttoria si svolga senza la partecipazione del privato destinatario dell’atto finale della procedura” (T.A.R. Calabria-Catanzaro, 19 gennaio 1983, n. 3, in T.A.R., 1983, I, 263).
ricorrente poteva introdurre, oltre ai motivi già proposti con l’opposizione rimostranza nel pregresso procedimento, anche nuovi motivi, non trovando applicazione nel sistema procedimentale i meccanismi, tipicamente giurisdizionali, della devoluzione, della preclusione e dell’acquiescenza.
Ciononostante, il nostro sistema di diritto positivo si evolse in tutt’altro senso156: una volta affermato il carattere meramente programmatico della norma giuridica posta dall’art. 3, fu facile concludere che l’obbligo del rispetto del principio del contraddittorio sussistesse nei soli casi previsti dalla legge (e non a caso per esigenze di tutela e di difesa particolarmente “sentite” nel contesto sociale: così, in materia di procedimenti disciplinari, sanzionatori, di espropriazione per pubblica utilità, di formazione dei piani regolatori); inoltre, dalla giurisprudenza fu negata ogni possibilità di giuridico raccordo tra le fasi del procedimento, del ricorso amministrativo e del ricorso giurisdizionale, con la conseguente svalutazione della funzione garantistica che avrebbe potuto rivestire il procedimento amministrativo nell’ottica delle fasi successive157. Xxxx, secondo alcuni Autori, nemmeno si pone una questione di raccordo tra le diverse fasi, in quanto l’art. 3 si riferirebbe “a deduzioni e osservazioni in ordine ad atti già emanati e non a quelli ancora da emanare (…). Se è vero infatti che l’art. 3 fa riferimento esclusivamente agli “affari” che genericamente potrebbero anche ricomprendere le questioni insorgenti prima della formazione dell’atto, è anche vero che essi sono della natura di quelli previsti nell’art. 1, ossia importano l’esistenza di “controversie”, le quali non possono che conseguire all’atto della pubblica amministrazione”158.
Infine, lo strumento del ricorso amministrativo si rivelò inadeguato ad assolvere funzioni di effettivo controllo sull’operato della P.A., visto che l’organo gerarchicamente sovraordinato, se nei casi migliori perseguiva l’interesse pubblico, in quelli peggiori “parteggiava” per l’interesse dell’amministrazione stessa159. Ma il colpo definitivo fu assestato dalla legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, con la quale si volle dare tutela giurisdizionale a quelle situazioni deferite alla competenza dell’amministrazione, nella speranza di aumentare le aspettative di tutela che secondo il disegno originario avrebbero dovuto essere realizzate già con l’abolizione del tribunale del contenzioso amministrativo. In realtà, si produsse un nuovo scollamento: lo strumento del ricorso amministrativo entrato definitivamente in crisi, trascinò con sé anche le sorti del procedimento. Ormai era fuori luogo anche solo parlare di un contraddittorio procedimentale (sempre eccettuati i casi previsti dalla legge160), considerato anche il fatto che il ricorso amministrativo era ridotto ad una tappa obbligata in vista della vera tutela giurisdizionale161.
156 Xxxx X. XXXXXXXXXX, L’attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova, Cedam, 1975, p. 210 e ss., sull’impossibilità di rifarsi all’art. 3 come al fondamento di un principio generale del contraddittorio tra Amministrazione e privati nel procedimento amministrativo “non solo per le ombre che ancora sembrano rimanere, dal punto di vista interpretativo, sulla sua esatta portata, ma, soprattutto, perché il contrario orientamento della giurisprudenza, secolare e costante, è talmente radicato che solo un intervento del legislatore potrebbe probabilmente far riassurgere l’art. 3 ad operante disciplina del contraddittorio tra Amministrazione e cittadini”. Vedi anche in tal senso X. XXXXXX, L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 1969, p. 112 e ss.
157 Xxxx X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 40.
158 Cfr., le considerazioni di A. PUBUSA, Procedimento amministrativo e interessi sociali, Torino, Giappichelli, cit., pp. 58-59.
159 Vedi ancora X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 45-48.
160 Cfr., le considerazioni di X. XXXXXXXX, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (La legge n. 241 del 1990 alla luce dei principi comunitari), Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, p. 21 e ss., dove si ritiene che il legislatore abbia approntato una specifica forma di tutela in contraddittorio in tutti quei casi in cui l’autorità pubblica è in grado di limitare o annientare interessi privati di particolare importanza economica o sociale: da qui le prime realizzazioni del principio nell’ambito dei procedimenti sanzionatori e disciplinari. Analogo sviluppo ebbe il diritto comunitario, dove le esigenze di realizzazione del contraddittorio si manifestarono non a caso nei procedimenti disciplinari, in materia di concorrenza e di dumping.
161 Vedi ancora X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 51.
Forse oggi sarebbe possibile ripensare l’assetto del sistema della giustizia amministrativa, in quanto l’estensione dell’operatività del principio del contraddittorio alla generalità dei procedimenti amministrativi ex lege n.241/1990 dovrebbe far riflettere sul nuovo ruolo dei ricorsi amministrativi e sulla possibilità di un raccordo giuridico tra procedimento e processo. In tal senso, prioritaria risulta l’indagine sulla collocazione del principio del contraddittorio nel sistema delle fonti del diritto, anche tenuto conto del fatto che, nonostante i notevoli mutamenti normativi (di legislazione costituzionale, primaria e secondaria) e i contrastanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, la sua natura giuridica è rimasta immutata: principio giuridico generale dell’ordinamento.
Con sentenza n. 13 del 1962162 la Corte Costituzionale, nel precisare la nozione di “giusto procedimento”, ne ha negato il rango costituzionale; sic et simpliciter, lo stesso orientamento è stato ribadito nella sentenza n. 23 del 1978163, in cui, tra l’altro, si è negata la incostituzionalità dell’art. 34 della legge urbanistica n. 1150 del 1942 per non aver previsto nessuna forma di partecipazione o di intervento dei cittadini nel procedimento per la formazione dei programmi di fabbricazione pure essendosi riconosciuto che questi, alla pari dei piani regolatori, possono imporre vincoli alla proprietà privata, sebbene non assoluti o sostanzialmente espropriativi. Coerentemente, con le sentenze n. 200 del 1970, n. 10 del 1971, n. 122 del 1974, si è affermato che l’operatività del principio del contraddittorio e del diritto di difesa è limitata ai procedimenti giurisdizionali e a quelli connessi o preordinati ad un’attività giurisdizionale164.
In senso parzialmente difforme la Corte si è espressa nella sentenza n. 70 del 1961, con la quale fu dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 23 maggio 0000, x. 000 (xx quale demandava agli uffici del Genio civile l’accertamento delle condizioni dello stabile di cui si chiedeva lo sgombero), nella misura in cui nel procedimento non fossero assicurati il contraddittorio e un’istruttoria adeguata; ma, a ben vedere, il motivo di tale decisione risiedeva nell’esigenza di non condizionare la successiva attività del giudice agli accertamenti unilaterali dell’amministrazione, piuttosto che nell’opportunità della tutela diretta del cittadino165.
Ora, mettendo da parte i pur numerosi esempi giurisprudenziali in questa direzione, ci si deve chiedere se non sia opportuna una diversa interpretazione, anche considerato il fatto che la Costituzione non si disinteressa totalmente della tutela dei singoli nel procedimento amministrativo. Indirettamente, anzi, si possono trarre numerosi spunti166.
Infatti, sebbene il principio del contraddittorio non possa essere derivato dall’art. 3 della Costituzione per sostenere la parità procedimentale tra amministrazione ed amministrati, quantomeno è possibile affermare la parità in generale degli amministrati per evitare irragionevoli quanto discriminatorie diversità di trattamento delle posizioni giuridiche dei
162 Sentenza commentata da X. XXXXXXXXXX, in Giurisprudenza costituzionale, 1962, p. 130 ss.: “Il giusto procedimento consisterebbe, com’è detto in sentenza, per un lato od aspetto, nella esigenza della previa legge generale, enunciante “ipotesi astratte”, e del susseguente provvedimento amministrativo, adottato in applicazione ed entro i limiti della legge stessa; d’altro lato o sotto un altro aspetto, nella esigenza che il provvedimento amministrativo autorizzato a incidere sui diritti individuali sia lo sbocco di un procedimento, nel corso del quale gli interessati siano posti in grado di far valere le proprie ragioni e di esperire gli opportuni rimedi, anche nel merito”.
163 Sentenza ampiamente commentata da X. XXXXXXXX, in Giurisprudenza costituzionale, 1978, p. 692 ss.
164 Cfr., le ampie considerazioni generali di X. XXXXXXXXX, Il giusto procedimento nel quadro dei principi costituzionali, in La disciplina generale del procedimento amministrativo (Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione), Xxxxxxx Editore, Milano, 1989, pp. 52-54.
165 Cfr., anche le conclusioni di M. E. XXXXXXXX, Profili evolutivi nella problematica del procedimento amministrativo, in La disciplina generale del procedimento amministrativo (Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione), Xxxxxxx Editore, Milano, 1989, p. 120 e ss. sull’estensione ad opera della giurisprudenza del principio del contraddittorio a determinati procedimenti per ragioni d’opportunità.
166 Vedi per una ricostruzione d’insieme X. XXXXXXXXX, Il giusto procedimento nel quadro dei principi costituzionali, in La disciplina generale del procedimento amministrativo (Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione), Xxxxxxx Editore, Milano, 1989, p. 82 e ss.; X. XXXXXXXXXX, L’attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova, Cedam, 1975, p. 217 e ss.; recenti conferme in tale direzione provengono da M. C. XXXXXXXXX, Il giusto procedimento come principio costituzionale, in Il Xxxx Xxxxxxxxxxxxxx, 0000, 0, x. 0000 xx.
xxxxxxx (xx pensi al diverso status dei dipendenti pubblici statali e regionali; ai vincoli, agli obblighi, alle limitazioni della proprietà privata) a seconda che il procedimento amministrativo sia regionale o statale.
Va ancora osservato che il principio del contraddittorio non può essere derivato nemmeno dall’art. 97 della Costituzione, ritenuta essenzialmente norma programmatica e, comunque, destinata a regolare il profilo organizzativo, non funzionale della P.A. Ora, a parte la superabilità dell’obiezione, è da rilevare come non si possa parlare di imparzialità al momento della decisione se durante il procedimento tutti i soggetti interessati non sono stati posti nelle condizioni di esporre le proprie ragioni, e come, del resto, gioverebbe al buon andamento della
P.A. (in determinati casi, certo non in assoluto) la più ampia collaborazione soprattutto a fini istruttori.
Inoltre, sebbene la maggior parte della dottrina concorda nel ritenere che l’art. 24 della Costituzione sia applicabile ai soli procedimenti giurisdizionali, nondimeno si può osservare come la generica espressione “in ogni stato e grado del procedimento” lasci presupporre una qualche operatività sicuramente nei procedimenti amministrativi connessi o preordinati all’attività giurisdizionale (si pensi ai procedimenti sanzionatori, disciplinari e agli stessi ricorsi amministrativi), ma anche negli altri procedimenti, una volta ipotizzato un raccordo giuridico tra procedimento e processo in vista di un completo e pieno esercizio del diritto di difesa.
2. La legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificata dalle Leggi nn. 15 e 80/2005.
2.1. La figura del responsabile del procedimento.
La figura del responsabile del procedimento è disciplinata nel Capo II della l. n. 241/1990 e s.m.i., emblematicamente anteposta alla regolamentazione degli istituti di partecipazione al procedimento amministrativo (Capo III) e di semplificazione dell’azione amministrativa (Capo IV). Infatti, già la stessa collocazione è indice di un nuovo modo di concepire l’organizzazione della P.A. e i rapporti tra l’amministrazione e gli amministrati in vista di soluzioni partecipate ed efficienti167: “attorno alla figura organizzativa del responsabile, stabile guida e punto di riferimento dell’intera procedura, ruotano dunque le regole, gli istituti e le stesse parti pubbliche e private del procedimento, nel disegno di un’amministrazione paritaria e razionale, rispondente alla concezione di pubblica amministrazione ormai da tempo ricavata dal dettato costituzionale”168.
Di grande rilievo sono i principi organizzativi posti dagli artt. 4 e 5 della presente legge, anche se, a ben vedere, si notano delle incongruenze.
Con molta enfasi l’art. 5 dispone che “il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità dell’istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale”. Ma, fino a quando non sia stata effettuata l’assegnazione, responsabile del singolo procedimento è il funzionario preposto all’unità organizzativa determinata a norma dell’art. 4, il quale però, stranamente, nessun rimedio dispone proprio nei casi in cui manca l’individuazione dell’unità organizzativa stessa ad opera della legge, del regolamento o della P.A.
Quanto alle funzioni del responsabile, dalla lettura dell’art. 6 non sembra emergere una responsabilità in senso tecnico, quanto, invece, una responsabilità di impulso e guida del procedimento, di coordinatore dell’istruttoria, di punto di riferimento per le parti del
168 V. l’articolo di X. XXXXX, Il responsabile del procedimento a dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 241, in La legge
n. 241/1990: fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dell’entrata in vigore, a cura di X. XXXXX, X. XXXXXXXX,
E. R. ACUNA, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., p. 299.
procedimento, ma soprattutto per i privati, nel tentativo di superare “il tradizionale limite dell’impersonalità degli uffici”169.
Il responsabile, oltre a valutare, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione e i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento, svolge funzioni più propriamente istruttorie: accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti necessari, adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria.
Di particolare importanza poi è il potere di chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete, in quanto la regolarizzazione delle domande e della documentazione rappresenta un istituto a garanzia del privato (addirittura la regolarizzazione, la precisazione e l’integrazione non violano il principio della par condicio nemmeno all’interno dei concorsi e dei procedimenti di gara).
Il responsabile può, ai fini di un completo contraddittorio, disporre l’esperimento di accertamenti tecnici ed ispezioni e ordinare esibizioni documentali, nonché, avendone la competenza, indire le conferenze di servizi.
Importante è anche il compito di curare le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti, in quanto i principi di trasparenza e di pubblicità sono i presupposti di un confronto paritario e completo.
Da questa disamina emerge tutta la centralità del ruolo del responsabile del procedimento: le funzioni svolte, di carattere preminentemente istruttorio, sono strutturalmente collegate alla funzione decisoria, per cui, è fondamentale una ricostruzione il più possibile completa, anche tenendo conto del fatto che la decisione viene adottata direttamente dal responsabile solo laddove ne abbia la competenza, mentre più spesso accade che gli atti vengano trasmessi a soggetti cui la legge attribuisce la qualifica dirigenziale.
Xxxx, sotto il profilo garantistico, la mancata coincidenza tra responsabile del procedimento e soggetto competente ad adottare l’atto finale, può risultare utile in vista del raggiungimento dell’obiettivo dell’imparzialità.
Infatti, se da un lato l’autonomia del responsabile, rispetto agli altri organi amministrativi, giova alle attività di supervisione, conduzione, sollecitazione, dall’altro lato, il fatto che il soggetto decidente abbia il potere di riesaminare la completezza dell’attività istruttoria e di richiedere un’ulteriore attività conoscitiva non può che giovare al contraddittorio.
Semmai, un vero problema ricorre tutte le volte in cui il procedimento si articola in più fasi e si registra la compresenza di più responsabili del procedimento, in chiaro contrasto con l’esigenza del privato di rapportarsi ad un solo soggetto; parzialmente diversa è l’ipotesi in cui più amministrazioni siano coinvolte nel procedimento: in questi casi per ovviare all’inconveniente della moltiplicazione dei responsabili, sono predisposti meccanismi collaborativi al fine di concludere accordi170, ad esempio le conferenze di servizio.
Con le recenti innovazioni apportate dalle leggi n. 15 e n. 80 del 2005 alla legge generale n. 241/1990, peraltro, si specifica che, qualora l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale sia diverso dal responsabile del procedimento, lo stesso non possa discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale171. Si tratta, all’evidenza, di un’ulteriore garanzia partecipativa riconosciuta al privato, non tanto in chiave collaborativa quanto invece in chiave difensiva, dovendo il provvedimento amministrativo essere più puntualmente motivato, a tutto vantaggio di una più effettiva tutela giurisdizionale. Già in precedenza, infatti, la giurisprudenza amministrativa era orientata nel senso di considerare viziato da eccesso di potere il provvedimento amministrativo il cui dispositivo contrastasse con i risultati
169 Cfr., X. XXXXXXX, Manuale di diritto amministrativo, Xxxxxxx Editore, cit., p. 369.
170 Cfr., sul punto X. XXXXXXX, Manuale di diritto amministrativo, Xxxxxxx Editore, cit., p. 370-371.
171 X. XXXXXXX, Introduzione al diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2006, p. 369; A. DI XXXXX, Il responsabile del procedimento diventa il quasi responsabile del provvedimento, in Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, (a cura di) X. Xxxxxxxxxx. D. Xx Xxxxxxx, X. Xx Xxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2005, p. 373 e ss.
dell’istruttoria. Si tratterebbe, nello specifico, di un vizio della motivazione, in quanto, secondo l’art. 3, legge n. 241/1990, la motivazione deve sempre indicare i presupposti e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione amministrativa, in relazione alle risultanze dell’istruttoria. Pertanto, se rimane sempre possibile alla pubblica amministrazione l’adozione di un atto il cui contenuto non corrisponda alle risultanze dell’istruttoria, in quanto non ogni contraddittorietà dell’atto rispetto ai risultati dell’istruttoria si traduce in una violazione delle regole di logica ed imparzialità, tuttavia, il soggetto competente ad adottare il provvedimento finale non può sottrarsi all’obbligo di motivarne puntualmente le ragioni.
Occorre osservare, peraltro, che la novella legislativa non eleva ad atto dovuto la formalizzazione della proposta di provvedimento o della relazione istruttoria; più semplicemente impone all’autorità competente ad adottare il provvedimento finale di motivare l’eventuale provvedimento diverso. Ciò non significa, tuttavia, che la norma non imponga un quid pluris, consistente comunque in una relazione che tenga conto dei risultati dell’istruttoria. A tale proposito di discute in dottrina del valore giuridico da attribuire a tale atto. Secondo l’orientamento maggioritario si tratterebbe di una proposta, ovvero di un atto preparatorio, a rilevanza esterna e di impulso nei confronti dell’autorità competente a decidere, non potendo ammettersi una relazione successiva al provvedimento già emanato. Secondo alcuni la proposta di provvedimento potrebbe anche essere considerata quale parere obbligatorio ma non vincolante172. In senso contrario, tuttavia, si osserva che la relazione sulle risultanze dell’istruttoria non configura esercizio di attività consultiva, bensì di amministrazione attiva, facendo sorgere responsabilità in capo al responsabile del procedimento nei confronti dei terzi e non dell’amministrazione173.
Altra questione concerne gli istituti di astensione e ricusazione nell’ambito dei procedimenti amministrativi in cui si esercitano attività discrezionali, previsti dall’ordinamento per garantire l’imparzialità dell’organo decidente. Si tratta di previsioni di estremo rigore rispetto a quelle vigenti nell’ambito processuale, almeno per due motivi: in primo luogo l’amministratore, a differenza del giudice, ricostruisce l’assetto di interessi tramite un’attività discrezionale di comparazione e di valutazione; in secondo luogo, “il provvedimento amministrativo può risultare, in concreto, non impugnabile per l’assenza di soggetti attivamente legittimati a proporre ricorso, con conseguente irrimediabile pregiudizio per l’interesse pubblico”174. Quindi, nel caso in cui l’amministratore abbia un interesse personale, diretto o indiretto, nell’affare; nel caso sia legato da rapporti di parentela o di affinità fino al quarto grado; o ancora sia amministratore o gerente di persone giuridiche o legato da vincoli di società; o infine si trovi in situazioni tali da turbare effettivamente o potenzialmente la serenità e l’obiettività del giudizio, egli deve astenersi e, se non lo fa deve essere ricusato, con la conseguenza che gli atti compiuti sono nei casi meno gravi irregolari, nei casi più gravi illegittimi e quindi sempre annullabili. Tuttavia, “l’interessato ad un procedimento no può provocare l’astensione del responsabile del procedimento stesso e, in tal modo, incidere sulla funzionalità dell’organo, mediante la presentazione di una denuncia penale; pertanto, la situazione di inimicizia che è produttiva di incompatibilità per il funzionario deve preesistere all’avvio del procedimento e non deve trovar causa nel procedimento stesso, altrimenti non si può dire che incida sull’imparzialità dell’azione amministrativa, ma ne costituisce, in realtà, un semplice effetto175.
Per quanto riguarda, infine, la responsabilità civile, penale, disciplinare del responsabile del procedimento, non vi è stata alcuna innovazione normativa, ma si è ampliato l’ambito del
172 TOSCHEI, Le nuove tecniche di diluizione procedimentale del potere delle p.a. dopo la legge 11 febbraio 2005, n. 15: prime riflessioni sulle nuove regole, in Cons. St., parte II, 1/2005, p. 229 ss.
173 A. DI XXXXX, op. cit., p. 406.
174 Cfr., a questo proposito la voce Astensione e ricusazione (dir. proc. amm.), in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, vol. III, pp. 1-2.
175 TAR Veneto, sentenza 29 gennaio 2001, n. 177.
sindacato sulla legittimità o liceità del comportamento tenuto. Infatti, il responsabile risponde nei confronti dei terzi o dell’amministrazione della mancata o erronea comunicazione d’avvio, del mancato o erroneo accertamento di fatti, stati e qualità, di mancate o erronee acquisizioni, senza contare che la previsione generale “adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria”, è tale da ricomprendere in generale tutte le omissioni e i ritardi176.
2.2. L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento.
L’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento rappresenta, accanto agli obblighi di trasparenza e di valutazione, una garanzia per il privato che aspiri ad un contraddittorio paritario con la pubblica amministrazione. È, infatti, abbastanza intuitivo che, laddove manchi una condizione di conoscenza o, comunque, di conoscibilità, viene meno il presupposto stesso del confronto dialettico. Quanto alla determinazione in concreto di ciò che sia rilevante ai fini di una corretta formazione della notizia di avvio, i vari ordinamenti giuridici possono compiere diverse scelte di diritto positivo. L’art. 8, l. n. 241/1990, ad esempio, dispone che nella comunicazione177 devono essere indicati l’amministrazione competente, l’oggetto del procedimento promosso, l’ufficio e la persona responsabile del procedimento, l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti. Con le recenti modifiche legislative, peraltro, il contenuto della comunicazione di avvio del procedimento si è arricchito di nuove previsioni. In particolare, si specifica che occorre comunicare anche la data entro la quale, secondo i termini previsti dall’art. 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento, nonché i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione (art. 8, comma c-bis, legge n. 241/1990, come modificata dalle leggi nn. 15 e 80/2005). A tale riguardo va osservato che, salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini dei predetti commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all'amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza. È fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti. Infine, limitatamente ai procedimenti ad iniziativa di parte, occorre comunicare anche la data di presentazione della relativa istanza (art. 8, comma c-ter, legge n. 241/1990, come modificata dalle leggi nn. 15 e 80/2005).
Va peraltro osservato che in ordine a tale ultima ipotesi, la dottrina dominante178 ha molto insistito, rilevando che il privato che chiede l’apertura del procedimento depositando un’istanza, con tutta probabilità, avrà interesse a ricevere la comunicazione per arricchire il materiale probatorio ed opporre controdeduzioni alle osservazioni di eventuali contro interessati; inoltre, se mancasse la comunicazione, il privato si troverebbe in una condizione di passività sia nel caso in cui il procedimento si concludesse in modo a lui favorevole (tra l’altro non si può escludere che il privato trovi una maggiore soddisfazione in un diverso assetto di interessi, ugualmente possibile in astratto), sia nel caso in cui il procedimento si concludesse in senso sfavorevole (magari, se avesse avuto conoscenza dell’inizio del procedimento, avrebbe
176 Vedi le considerazioni di X. XXXXX, Il responsabile del procedimento a dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 241, in La legge n. 241/1990: fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dell’entrata in vigore, a cura di X. XXXXX,
X. XXXXXXXX, X. X. ACUNA, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., p. 325.
177 Cfr., X. XXXXXXXX, Emersione e risoluzione di problemi nei primi dieci anni di applicazione dell’istituto della partecipazione del privato al procedimento amministrativo, in La legge n. 241/1990: Fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. ARENA, X. XXXXXXXX, X. X. ACUNA, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., pp. 206-209.
000 Xxx., X. XXXXX, Xx partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 1998, p. 35 ss.; e X. XXXXXXX, La partecipazione al procedimento e le pretese partecipative, in Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, a cura di X. XXXXXXX, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 1990, p. 95.
potuto preparare meglio le proprie argomentazioni); infine, il privato si troverebbe paradossalmente in una condizione deteriore rispetto a quella in cui vengono a trovarsi i soggetti a cui viene comunicato un procedimento in cui l’iniziativa è dell’ufficio.
Il diritto comunitario, al contrario, prevede obbligatoriamente la sola comunicazione dell’oggetto del procedimento, anche se nutrita giurisprudenza179 sul punto ha confermato che si tratta di un obbligo particolarmente stringente: il documento deve informare in modo chiaro e preciso di tutti gli elementi essenziali di fatto e di diritto in possesso dell’autorità procedente, anche se è data la possibilità di integrare in un secondo momento quegli elementi che prima erano irrilevanti o sconosciuti180. Per quanto riguarda i soggetti a cui la notizia deve essere comunicata, l’art. 7 individua i diretti destinatari del provvedimento, coloro che per legge devono intervenire nel procedimento e coloro che, individuati o facilmente individuabili181, possono subire un pregiudizio in conseguenza dell’adozione del provvedimento. Normalmente la forma tipica di comunicazione è quella personale, ma, nel caso questa non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione ha la facoltà di adottare forme di pubblicità più idonee.
Xxxxx restando la garanzia formale dell’obbligo di comunicazione d’avvio, rimane il problema di stabilire, nel silenzio della legge, quando una notizia sia effettivamente garantistica182. Infatti, la legge non stabilisce entro quale termine, a partire dal momento della ricezione dell’istanza di parte o del perfezionamento della fattispecie da cui dipende il dovere di iniziare d’ufficio il procedimento, la comunicazione debba essere effettuata. Certamente una prassi che consentisse alla pubblica amministrazione di comunicare con ritardo o addirittura nell’immediato della c.d. fase dell’audizione gli elementi rilevanti ai fini del contraddittorio, impedirebbe di fatto agli interessati di prepararsi adeguatamente, compromettendo così tanto l’aspetto difensivo quanto l’aspetto propositivo dell’intervento183.
Di qui l’opportunità di un sindacato sulla ragionevolezza del termine.
Altra questione concerne l’individuazione dei casi in cui è escluso l’obbligo della comunicazione.
I casi più evidenti consistono nei procedimenti amministrativi diretti all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali l’art. 13 esclude alla radice la possibilità stessa dell’applicazione dell’intera legge.
In secondo luogo vengono in rilievo i provvedimenti adottati in caso di necessità ed urgenza (art. 71) e i provvedimenti cautelari (art. 72). Nel primo caso, addirittura, le particolari
179 C.G.C.E., sentenza 15 luglio 0000, XXX Xxxxxxxxxx, causa 41/69, in Raccolta Ufficiale, 1970, p. 661; C.G.C.E., sentenza 15 luglio 0000, Xxxxxxx, causa 44/69, in Raccolta Ufficiale, 1970, p. 733; C.G.C.E., sentenza 15 luglio 1970, Xxxxxxxxx, causa 45/69, in Raccolta Ufficiale, 1970, p. 769; C.G.C.E., sentenza 14 luglio 1972, Geigy, causa 52/69, in Raccolta Ufficiale, 1972, p. 787.
180 Cfr., M. CARTABIA, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, pp. 112- 116.
181 Vedi sul punto le considerazioni di X. XXXXXXX, Manuale di diritto amministrativo, Xxxxxxx Editore, cit., p. 375, dove si sottolineano le oscillazioni della giurisprudenza nell’interpretazione dell’espressione “soggetti individuati o facilmente individuabili”, soprattutto in considerazione del giudizio di tipo prognostico che dovrebbe effettuare l’amministrazione.
000 Xxx., X, XXXXXXXXX, Xx contraddittorio nel procedimento amministrativo, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., p. 221, dove si distingue tra interessi oppositivi ed interessi pretesivi. Nel primo caso la comunicazione d’avvio è facilmente effettuabile per le parti necessarie – non altrettanto si può sostenere per le parti eventuali -. Nel secondo caso la comunicazione è in ogni modo difficile, in quanto l’amministrazione è chiamata a “scegliere tra una pluralità di aspiranti, titolari di aspettative, tra di loro sostanzialmente omogenee (…), soccorre in questi casi la regola sulla funzione prevista dall’art. 12 della riforma, allorché è fatto obbligo all’amministrazione di predeterminare e rendere pubblici i criteri che verranno applicati in sede di emanazione dei singoli provvedimenti”.
183 Cfr., sul dovere di correttezza gravante sulla P.A. al momento della comunicazione M. CARTABIA, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, pp. 121.
esigenze di celerità del procedimento precludono a qualsiasi tipo di comunicazione184; nel secondo caso, al contrario, la comunicazione è soltanto differita, con ciò significando una maggiore garanzia per il privato. Quindi, considerando da una parte la difficoltà di una netta distinzione tra misure d’urgenza e misure cautelari e, dall’altro, il fatto che anche i provvedimenti cautelari vengono adottati in condizioni d’urgenza, sarebbe auspicabile un potenziamento del potere cautelare in capo alla pubblica amministrazione185.
Altra categoria di procedimenti potrebbe essere individuata per relationem in base alla disciplina del diritto di accesso: laddove è escluso l’esercizio del diritto di accesso in vista della protezione di interessi meritevoli di tutela (segreto, riservatezza…), dovrebbe essere parimenti esclusa la possibilità di comunicare l’inizio del procedimento. Tipico il caso dei procedimenti repressivi di competenza dell’autorità di pubblica sicurezza, non a caso denominati “riservati”.
Una categoria di creazione tipicamente giurisprudenziale è rappresentata dai procedimenti finalizzati all’occupazione d’urgenza delle aree destinate alla costruzione di opere pubbliche. Tuttavia, sussiste comunque l’obbligo di comunicazione “nell’ipotesi di dichiarazione di pubblica utilità implicita, derivante cioè direttamente dall’approvazione del progetto di opera pubblica, in relazione alla quale il giusto procedimento previsto dagli artt. 10 e 11 legge n. 865 del 1971 viene ad essere, se non soppresso, quantomeno differito ad un momento successivo a tale approvazione e alla stessa occupazione d’urgenza e, quindi, non è idoneo a garantire la tempestiva partecipazione al procedimento dei soggetti interessati”186.
Altri casi, ugualmente pacifici, individuati dalla giurisprudenza, consistono nelle ipotesi in cui il privato ha avuto conoscenza dell’avvio del procedimento aliunde ma in tempo utile per partecipare all’iter istruttorio o anche quando il procedimento consegue, con un preciso nesso di derivazione, da una precedente attività amministrativa già conosciuta dall’interessato187.
Tuttavia, lo stesso Consiglio di Stato188 non manca di sottolineare come “nell’ambito di un procedimento espropriativo in cui i termini per la conclusione dell’intervento ablativo siano stati prorogati in virtù di specifici decreti, questi ultimi si atteggiano quali momenti iniziali di sub procedimenti (di proroga), eventuali e straordinari rispetto al procedimento tipico, sicché non se ne presume la conoscenza da parte degli interessati (allorché costoro abbiano avuto notizia del solo procedimento principale).
Ulteriore problema affrontato dalla dottrina consiste nella possibilità di assicurare una forma di partecipazione dei privati in quei procedimenti caratterizzati da discrezionalità tecnica, cioè da un’attività amministrativa di valutazione, verificabile solo in sede di verifica dell’esistenza dei presupposti e delle condizioni previsti dalla legge per l’esercizio del potere189.
Se in passato la giurisprudenza propendeva per una soluzione di inconciliabilità (esigenze di celerità da un lato e prefigurazione normativa e in astratto del quadro di interessi dall’altro facevano presumere l’inutilità, se non addirittura la lesività, dell’intervento del privato in vista
184 Vedi TAR Lazio, sez. I, sentenza 15 dicembre 2000, n. 12129: “Il potere di sospensione provvisoria della pubblicità ingannevole, spettante all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, presuppone la sussistenza di uno stato di urgenza che peraltro non esime di norma l’Autorità stessa, almeno quando la sospensione abbia formato oggetto di richiesta di parte, dell’instaurazione del contraddittorio (…), salvo che sull’ordinario presupposto dell’urgenza si innestino in concreto esigenze di celerità tali da non consentire che il detto intervento cautelare possa essere ritardato per il breve arco di tempo necessario all’audizione delle parti”.
185 Vedi sul punto, in particolare, X. XXXXXXX, Manuale di diritto amministrativo, Xxxxxxx Editore, cit., p. 376-377.
186 TAR Lazio, sez. I, 30 dicembre 2000, n. 13252.
187 Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 22 maggio 2001, n. 2823, in Giornale di diritto amministrativo, 2001, 12, p. 1245 ss.
188 Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 16 marzo 2001, n. 1578.
189 Vedi la dettagliata ricostruzione storica delle sentenze emanate sul punto dai TAR e dal Consiglio di Stato dal 1992 al 1998, considerando in particolar modo oscillazioni e sviluppi, compiuta da X. XXXXXXXXX, nell’articolo La comunicazione di avvio del procedimento nell’interpretatio giurisprudenziale (la questione degli atti vincolati e dichiarativi), in La legge n. 241/1990: fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. ARENA, X. XXXXXXXX, X. X. ACUNA, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., p. 336 ss.
del perseguimento dell’interesse pubblico), oggi l’orientamento dominante è nel senso opposto per diversi ordini di motivi.
In primo luogo deve distinguersi tra discrezionalità tecnica in senso stretto e discrezionalità tecnica in senso lato: solo nel primo caso i presupposti, basati su meri accertamenti tecnici, sarebbero verificabili univocamente dalla P.A., mentre nel secondo caso, essendo le scelte opinabili, sarebbe possibile il contraddittorio procedimentale. (TAR Lazio, sez. II, n. 636/1998; Cons. Stato, sez. VI, n. 1005/1999 e n. 1223/1996).
In secondo luogo, si potrebbe pur sempre replicare che anche nei procedimenti caratterizzati da attività vincolata “pura", l’intervento del privato sarebbe utile almeno sul piano della ricostruzione fattuale190.
In terzo luogo, l’attività vincolata della P.A. segue spesso all’attività di programmazione e pianificazione rispetto alla quale il contraddittorio con il privato è escluso dalla legge stessa (art.13, l. n. 241/1990), quindi un eventuale intervento potrebbe indurre a scelte più opportune fermo restando l’assetto degli interessi.
Ciò premesso, l’orientamento che maggiormente convince sul punto è quello fatto proprio dal Consiglio di Stato191, secondo il quale la comunicazione è superflua quando: l’adozione del provvedimento è vincolata e doverosa; i fatti sono pacifici ed incontestati dalle parti; la norma da applicare è sufficientemente certa.
Il problema della partecipazione nei procedimenti caratterizzati da discrezionalità tecnica pone poi ulteriori questioni interpretative sull’art. 17, l. n. 241/1990. Si tratta essenzialmente di quelle valutazioni tecniche che devono essere obbligatoriamente effettuate in prima istanza da organi ed enti appositi e, in mancanza, da istituti universitari, organi ed enti pubblici con pari qualificazione e capacità tecniche equipollenti.
Apparentemente non si pone nessun problema di partecipazione del privato, visto che la legge fa riferimento a soggetti di natura pubblicistica; ma, a ben vedere, il termine stesso “valutazioni tecniche” dà adito a contrasti: la legge non parla di meri accertamenti tecnici, ma di valutazioni, espressione generica che lascia intendere che residui un margine di discrezionalità in capo all’amministrazione. Applicando questo ragionamento al caso di cui sopra, cioè procedimenti caratterizzati da discrezionalità tecnica in senso lato, si dovrebbe dedurre che anche il privato sia ammesso a partecipare, depositando valutazioni tecniche di ordine strettamente fattuale. È evidente che laddove si accettasse un’interpretazione lata del termine “valutazione”, l’art. 17 andrebbe riscritto, in quanto l’amministrazione non potrebbe più assumere aprioristicamente il giudizio degli organi pubblici, ma dovrebbe sempre confrontarlo con il giudizio dei privati.
In ogni caso, peraltro, tale ultimo problema trova un bilanciamento con la previsione, ad opera della legge n. 205/2000 sul processo amministrativo, di un completo accesso al fatto da parte del giudice amministrativo, che può anche disporre dello strumento della consulenza tecnica.
2.3. L’obbligo di assicurare la partecipazione mediante il deposito di memorie, documenti e audizioni personali. Gli aspetti strutturali e funzionali.
190 Vedi Consiglio di Stato, sez. IV, 13 dicembre 2001, n. 6238, dove si afferma che il Comune non poteva ritenere superflua la comunicazione d’avvio ai proprietari dei terreni interessati da un’occupazione d’urgenza per il semplice fatto che in ogni caso la palestra doveva essere costruita annessa al polo scolastico già realizzato. Infatti, gli interessati avrebbero potuto quantomeno apportare, tramite deposito di osservazioni e controdeduzioni, modifiche al progetto circa le dimensioni e le modalità di realizzazione dell’opera.
191 Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 22 maggio 2001, n. 2823, in Giornale di diritto amministrativo, 2001, 12, p. 1247.
La storia amministrativa italiana si contraddistingue per una scarsa attenzione al fenomeno del contraddittorio tra la pubblica amministrazione e gli amministrati nel corso del procedimento amministrativo, soprattutto in passato ma per alcuni aspetti ancora oggi.
Esempio macroscopico ne è la vicenda interpretativa che ha interessato l’art. 3 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, il quale, pur contenendo in sé le potenzialità per fondare normativamente il principio del contraddittorio, fu più o meno intenzionalmente disapplicato, con la conseguenza di lasciare la determinazione della portata dell’intervento del privato a discipline settoriali e poco garantistiche192.
In questo contesto è stata fortemente significativa l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, la quale, salvo determinate eccezioni, ha esteso l’operatività del principio del contraddittorio alla generalità dei procedimenti amministrativi.
Tuttavia, nonostante l’innovatività della soluzione normativa e l’ampio respiro con cui la legge affronta il problema della partecipazione del privato al procedimento, può essere mosso un importante appunto circa la completezza e la razionalità dell’impianto complessivamente inteso.
Infatti, l’orientamento dominante in dottrina193 ritiene che, rispetto al sistema di tutela garantito dal diritto comunitario, il nostro ordinamento riproduca solo in modo approssimativo ed embrionale le garanzie giurisdizionali.
Sebbene la Corte di Giustizia194, similmente al giudice amministrativo italiano, abbia stabilito che non costituisca violazione del principio del contraddittorio il rifiuto da parte della Commissione di ascoltare oralmente le osservazioni di parte, qualora sia data la possibilità di far conoscere il punto di vista per iscritto tramite il deposito della memorie, è comunque da rilevare che molte norme obbligano la Commissione ad esperire sia la fase scritta che quella orale195.
Al contrario, l’apporto partecipativo delineato dall’art. 10 della legge n. 241/1990 si limita a prevedere la possibilità per i soggetti di cui all’art. 7 e per quelli intervenuti ai sensi dell’art. 9 “di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento”, nonché di presentare osservazioni in risposta all’eventuale comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza che l’amministrazione può adottare ai sensi dell’art. 10-bis. Certamente la legge in questione non nega la possibilità che norme speciali prevedano forme di contraddittorio ispirate al principio dell’oralità, come del resto si è verificato nell’ambito di statuti e leggi regionali, ma il limite normativo rimane comunque evidente. Rimandando infatti alle conclusioni a cui si è giunti nella prima parte del presente lavoro, è agevole rilevare come tra oralità e scrittura non possa darsi assoluta fungibilità, visto che solo la forma dell’ “audizione” è in grado di realizzare la pienezza del contraddittorio attraverso l’immediatezza della presa di posizione.
Una conferma di questa impostazione si trae perfino dalla semplice analisi dei concetti di “memoria” e di “documento”: mentre quest’ultimo ha la funzione di assicurare la certezza della rappresentazione, a tal punto da costituire il mezzo di prova per eccellenza, la memoria
192 Cfr., la ricostruzione di X. XXXXXX, Procedimento amministrativo e interessi sociali, Torino, Xxxxxxxxxxxx, cit., p. 11 e ss. e in particolare p. 156, dove si riportano numerose sentenze sul fatto che il principio del contraddittorio non costituiva principio generale dell’ordinamento prima della legge 241/1990. Tra queste, T.A.R. Campania- Salerno, 5 luglio 0000, x. 000, xx X.X.X., 0000, X, 0000; T.A.R. Calabria- Catanzaro, 19 gennaio 0000, x. 0, xx X.X.X., 0000,
X, 000; Consiglio di Stato, sez. IV, 9 dicembre 1964, n. 1382, in Foro amministrativo, 1964, I, 1397.
193 Vedi sul confronto tra il sistema italiano e quello comunitario le interessanti critiche mosse da X. XXXXXXXX, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (La legge n. 241/1990 alla luce dei principi comunitari), Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, pp. 124-125.
194 C.G.C.E., sentenza 29 ottobre 1979, FEDETAB, cause riunite da 209 a 215/78, in Raccolta Ufficiale, 1979, p. 3125, cons. 18.
195 Regolamento CEE/2176/84 del Consiglio, art. 7, par. 5 e art 10; Regolamento CEE/99/63 della Commissione, artt. 5 e 7; Statuto dei funzionari, art. 87 e allegato IX, artt. 4 e 7.
può contenere argomentazioni dialettiche, prospettazioni utili ad indirizzare in un senso piuttosto che in un altro l’azione amministrativa, semplici opinioni, confutazioni o richieste: insomma, rappresentazioni e prese di posizione che in ragione della loro opinabilità potrebbero meglio essere svolte in un contesto orale di immediatezza, in un confronto che sia “contraddittorio” nel senso etimologico del termine. Ma questa non è stata evidentemente la soluzione normativa accolta, con grande insoddisfazione di quella parte della dottrina favorevole all’approvazione del disegno di legge progettato dalla Commissione Nigro196. Nella redazione originaria, infatti, l’amministrato aveva il diritto di corrispondere oralmente con l’autorità procedente, nonché di presenziare personalmente o tramite un rappresentante alle verifiche, alle ispezioni e agli accertamenti in generale, in modo da contestare oralmente ed immediatamente notizie o circostanze sotto il profilo della correttezza delle modalità di acquisizione o sotto il profilo della loro pertinenza all’oggetto del procedimento e rilevanza ai fini della decisione.
Ma questo non è certo l’unico rimprovero che si può muovere alla legge197. Mancano del tutto norme giuridiche che prevedano la possibilità per il partecipante di farsi assistere da un consulente legale al momento del deposito delle memorie e dei documenti e, in generale, lungo tutto l’iter procedimentale; la tutela della segretezza del rapporto consulente-assistito a garanzia del diritto di difesa; la previsione di un termine certo ed adeguato tra la comunicazione d’avvio del procedimento e la presentazione della osservazioni e il deposito delle prove. Infatti, ai fini di un effettivo contraddittorio, non è sufficiente la previsione di diritti, poteri e facoltà se questa non è al contempo corredata dalla reale possibilità di esercizio: “L’omissione di quello che apparentemente è solo un dettaglio, può in concreto indebolire il principio del contraddittorio in quanto tale. Una prassi che permettesse alle autorità amministrative di comunicare con ritardo o all’improvviso l’avvio di un procedimento, impedirebbe di fatto agli interessati di preparare adeguatamente le loro osservazioni e quindi di essere interlocutori significativi della pubblica amministrazione”198. Va peraltro osservato che con le modifiche introdotte dalle leggi nn. 15 e 80 del 2005 al’art. 8, comma 2, è stata prevista la comunicazione del termine entro cui, ai sensi dell’art. 2, comma 2 e 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi conseguentemente esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione.
Nel diritto comunitario, invece, la ragionevolezza del termine è sentita a tal punto che questo o è stabilito direttamente dalla legge o ne viene rimessa la predisposizione da parte dell’autorità procedente199; tuttavia, il sindacato esercitato dalla Corte sulla ragionevolezza non è di tipo formale: perfino un termine eccezionalmente breve potrebbe essere ragionevole, ove sia data all’interessato la possibilità di esprimersi e di influenzare la decisione finale nell’ulteriore xxxxx xxx xxxxxxxxxxxx000.
Il discorso sulla ragionevolezza dei singoli istituti di diritto amministrativo sposta le riflessioni sulla correttezza del complessivo impianto procedurale, nonché, in ultima analisi, del comportamento delle “parti” del procedimento nell’esercizio dei “diritti procedimentali”.
196 Vedi le importanti considerazioni critiche di X. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, in Ricerche dirette da X. XXXXX, Xxxxx, cit., p. 64.
197 Cfr., sul punto X. XXXXXXXX, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (La legge n. 241/1990 alla luce dei principi comunitari), Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, p. 125.
198 Ancora X. XXXXXXXX, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (La legge n. 241/1990 alla luce dei principi comunitari), Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, p. 121.
199 L’art. 4, allegato IX dello Statuto dei funzionari prevede ai fini della legittimità della sanzione disciplinare un lasso di tempo di almeno 15 giorni tra la comunicazione e la data dell’audizione; in materia di diritto della concorrenza e di dumping, invece, è la Commissione a dover stabilire il termine, che non può comunque essere inferiore alla durata di due settimane, dilatata nella prassi fino a quattro od otto settimane: vedi gli artt. 2 e 11 del Regolamento CEE/99/63 della Commissione, e l’art. 7 del Regolamento CEE/2176/84 del Consiglio.
200 Vedi le considerazioni di X. XXXXXXXX, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (La legge n. 241/1990 alla luce dei principi comunitari), Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, p. 122.
Infatti, da un lato la recente crisi dell’idea della “tipicità”201 del provvedimento amministrativo (addirittura oggi può essere “contrattato”), dall’altro lato l’incompiuta opera di “tipizzazione” della procedura amministrativa, hanno determinato una forte responsabilizzazione dei soggetti coinvolti, tanto che la dottrina ha parlato di “una vera e propria scommessa sull’etica della responsabilità”202. Responsabilità che pesa sia sul soggetto pubblico nella persona del responsabile del procedimento (anche se a tutto rigore non può parlarsi di responsabilità in senso tecnico), sia sul soggetto privato che tenta di convincere l’autorità procedente della fattibilità ed opportunità delle proprie prospettazioni. Del resto, lo stesso istituto del contraddittorio rappresenta un’arma a doppio taglio: se esso in linea di massima giova al privato che con le proprie argomentazioni può influenzare in un senso piuttosto che in un altro la decisione finale203, conseguendo così un beneficio od evitando un pregiudizio, allo stesso tempo però grava chi se ne serve della responsabilità dell’assunzione del rischio.
Responsabilità sicuramente più evidente nei procedimenti ispirati alla logica della semplificazione amministrativa, ma presente in generale in ogni tipo di procedimento amministrativo204.
Infatti, secondo la più fine interpretazione dottrinaria205, lo strumento delle “memorie” si rivelerà tanto più incisivo quanto più sarà in grado di isolarsi da una condizione meramente “individualistica” ed “egoistica” di richiesta di un vantaggio o di opposizione ad un pregiudizio, per perseguire invece il più ambizioso obiettivo della composizione degli interessi, pubblici e privati insieme. A conferma di questa impostazione, del resto, si pone il definitivo superamento dell’antica distinzione tra opposizioni nell’interesse proprio ed osservazioni nell’interesse pubblico, per cui oggi prevale l’idea della giusta composizione degli interessi. Di conseguenza, la partecipazione del privato condiziona l’agire pubblico a diversi livelli.
Un primo livello riguarda la formazione del materiale istruttorio in un contesto di “doverosità ufficiosa”206: l’amministrazione ha l’obbligo giuridico di assicurare la partecipazione mediante il deposito delle memorie; ha l’obbligo di valutarle ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento; ha l’obbligo di accertare i fatti d’ufficio e di compiere qualsiasi altro atto necessario ai fini dell’effettività del contraddittorio nella fase istruttoria; ha l’obbligo di assicurare la pubblicità e l’accesso degli atti del procedimento in vista di una più compiuta corrispondenza tra le parti del procedimento207; ha l’obbligo di promuovere e realizzare la completezza e la correttezza delle acquisizioni in vista di un leale contraddittorio208.
Sempre a questo proposito, occorre considerare il problema del “tempo dell’intervento”. Posto che la legge prevede quale termine ultimo invalicabile solo quello di conclusione del procedimento, si può ragionevolmente sostenere l’ammissibilità delle deduzioni dei privati fino
201 Cfr., le interessanti conclusioni critiche cui giunge X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, p. 26.
202 X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, p. 313. 203 Vedi la definizione del principio del contraddittorio in senso stretto in M. CARTABIA, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (La legge n. 241/1990 alla luce dei principi comunitari), Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, p. 108. 204 Ancora X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002,
p. 313 e ss.
205 Vedi le considerazioni critiche di X. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, in Ricerche dirette da X. XXXXX, Xxxxx, cit., p. 71.
206 X. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, in Ricerche dirette da X. XXXXX, Xxxxx, cit., p. 67.
207 Osserva X. XXXXX in Problema amministrativo e partecipazione al procedimento, in Diritto amministrativo, 1993, p. 138, “un primo modo di comunicare si ha già nella richiesta di esibizione degli atti del procedimento, la cui visione è configurata dalla legge come contenuto di un diritto soggettivo del privato: attraverso quella esibizione, che appunto in quanto correlata ad un diritto dovrebbe essere qualificata come attività dell’amministrazione strettamente obbligatoria, si rendono conoscibili non soltanto i risultati delle operazioni compiute, ma anche e soprattutto, almeno in via diretta, la ragione d’essere di queste e quindi i criteri ed obiettivi dell’indagine”.
208 Vedi in particolare il tenore normativo dell’art. 6 della legge n. 241/1990.
al momento dell’adozione del provvedimento finale209. Sarebbero quindi illegittime eventuali norme regolamentari che stabilissero termini perentori per la presentazione di memorie e documenti, ma non evidentemente quelle disposizioni adottate dal responsabile del procedimento per regolare in modo più razionale e sollecito lo svolgimento delle attività istruttorie.
Un secondo livello riguarda la valutazione e la ponderazione del materiale acquisito secondo i canoni della pertinenza e della rilevanza210. Occorre notare a questo proposito le importanti conseguenze giuridiche sull’effettività del contraddittorio che discenderebbero dalla presunta natura discrezionale dei due tipi di giudizio. Se secondo una parte della dottrina211 la discrezionalità riguarderebbe entrambi i tipi di giudizio, secondo altra parte212 caratterizzerebbe il solo giudizio sulla rilevanza, in quanto è nel momento della comparazione dei diversi interessi che si recide il nesso con la pertinenza: tra due interessi, ugualmente pertinenti, è infatti possibile che solo uno di essi venga giudicato anche rilevante, e proprio questa scelta di valore implica l’operazione discrezionale; al contrario, il giudizio sulla pertinenza sarebbe assolutamente vincolato, anche tenuto conto del fatto che a differenza del processo giurisdizionale, la procedura amministrativa non incontra il limite del c.d. “merito”, risultando in definitiva sufficiente ai fini della semplice acquisizione del fatto giuridico un mero nesso di pertinenza all’oggetto del procedimento213.
Un terzo livello riguarda, infine, l’obbligo di motivazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria, altresì rafforzato laddove il soggetto competente all’adozione del provvedimento, qualora diverso dal soggetto che ha proceduto all’istruttoria, intenda discostarsi dalla medesima: è abbastanza evidente, infatti, che laddove fosse concesso alla P.A. di omettere i criteri e le ragioni giustificative della decisione finale, la funzione del principio del contraddittorio ne risulterebbe alquanto elusa.
La connessione strutturale e funzionale tra deduzioni del privato e obbligo di motivazione emerge in modo netto nel caso in cui sia la legge stessa a prevedere la presentazione delle deduzioni, a prescindere dal fatto che nei singoli casi concreti le deduzioni medesime siano state provocate dall’amministrazione attraverso una comunicazione d’avvio o volontariamente introdotte dai soggetti interessati214.
Tale connessione risulta meno evidente, ma pur sempre ipotizzabile, nei casi in cui manchi la previsione normativa. Così, nel caso dei procedimenti discrezionali è la discrezionalità stessa ad esigere la motivazione in relazione ai risultati del contraddittorio215; nel caso dei provvedimenti limitativi o restrittivi è la funzione di difesa che lo esige216; a rigore, perfino i
209 Così X. XXXXXXX, La partecipazione al procedimento e le pretese partecipative, in Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, a cura di X. XXXXXXX, cit., p. 103.
210 X. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, in Ricerche dirette da X. XXXXX, Cedam, cit., p. 68 nota (48).
211 In questo senso XXXXXXX-IRELLI, Corso di diritto amministrativo, parte III, Torino, 1991, pp. 78-79.
212 In questo senso X. XXXXX in Problema amministrativo e partecipazione al procedimento, in Diritto amministrativo, 1993, pp. 140-141.
213 Il giudizio sulla pertinenza “non vale logicamente ad esonerare l’amministrazione dal pervio obbligo di ricevere ed esaminare ogni scritto ed ogni produzione proveniente dal soggetto partecipante. Diversamente opinando, risulterebbe impedito lo stesso giudizio preliminare sulla pertinenza, solo all’esito del quale potrà essere dichiarata l’eventuale irricevibilità di deduzioni e produzioni che nulla hanno a che vedere con il procedimento in corso”. Così X. XXXXXXX, La partecipazione al procedimento e le pretese partecipative, in Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, a cura di B. XXXXXXX, xxx., x. 000 xx.
000 Si tratta del sistema normativo oggi vigente e risultante dal combinato disposto degli artt. 7, 9 e 10 della legge
n. 241/1990, ampiamente tratteggiato per singoli tipi di procedimento già da X. XXXXXXXXXX, L’attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova, Cedam, 1975, p. 224 e ss.
215 Cfr., ROEHRSSEN, Note sulla motivazione degli atti amministrativi, in Rivista di diritto pubblico, 1941, I, pp. 129, 131 ss.; e MORTATI, Necessità di motivazione e sufficienza della motivazione degli atti amministrativi, in Giurisprudenza italiana, 1943, III, col. 12 ss.
216 Così per tutte Consiglio di Stato, sez. IV, 26 febbraio 0000, x. 000, xx Xx Consiglio di Stato, 1960, I, p. 192; sez. V, 10 luglio 1964, n. 867, ivi, 1964, I, p. 1232.
provvedimenti ampliativi lo esigono, in quanto la portata positiva dell’atto deve pur sempre commisurarsi alle richieste del privato e alla soddisfazione del suo interesse.
A volte è la giurisprudenza stessa ad esigere l’obbligo di assicurare le deduzioni: così, nel caso di procedimenti volti a risolvere una controversia tra soggetti, l’amministrazione non può decidere inaudita altera parte, ma deve provocare essa stessa o comunque ammettere le contestazioni volontarie217.
Un ulteriore aspetto del problema riguarda le deduzioni del privato volontariamente introdotte nel procedimento ma né obbligatoriamente previste dalla legge o dalla giurisprudenza, né tanto meno provocate dall’amministrazione procedente218. In questi casi, nonostante la mancanza di un obbligo di presa in considerazione, è tuttavia possibile prospettare una sorta di contraddittorio eventuale, nel senso che la pubblica amministrazione è libera di avvalersi o non della collaborazione dei privati, ma nel caso decidesse di valutare quelle deduzioni e di porle a fondamento della propria decisione, sarebbe poi obbligata a motivare congruamente: e questo non solo perché costituirebbe vizio di legittimità del provvedimento l’omissione dei criteri e delle ragioni giustificative la decisione, ma anche perché l’amministrazione violerebbe il principio del legittimo affidamento del privato circa la correttezza dell’agire pubblico.
L’ultima problematica che rimane da affrontare concerne la natura giuridica della “pretesa partecipativa” a depositare memorie e documenti.
L’origine del dibattito dottrinale coincide storicamente con il passaggio dal modello liberale dello Stato a quello interventista219, quando cioè ci si rese conto che l’intervento pubblico perdeva “la connotazione di momento eccezionale della vita giuridica dei cittadini, diventandone momento abituale220. In questa nuova e diversa dinamica giuridica il rapporto tra amministrazione ed amministrati si fa sempre più complesso, al punto che la posizione del privato, un tempo costretta nelle maglie del c.d. interesse oppositivo, tende ora a costruirsi in termini propositivi e pretensivi.
La legge n. 241/1990 ha per così dire estremizzato il processo di “soggettivizzazione” in corso, tanto che oggi si pone il problema della qualificazione di queste nuove posizioni giuridiche.
Parte della dottrina ritiene che le pretese partecipative (diritto di ricevere la comunicazione d’avvio, di prendere visione degli atti del procedimento, di depositare memorie e documenti) non possano a ragione configurare una situazione giuridica soggettiva autonoma, essendo la loro natura di carattere esclusivamente “procedimentale”221.
Più somigliante ma, tutto sommato, non pienamente soddisfacente, una qualificazione in termini di interesse legittimo, posto che in determinati casi l’amministrazione si trova in una situazione di soggezione o di obbligo giuridico, essendo tenuta per legge a comunicare l’avvio se non ricorrono particolari situazioni di necessità od urgenza; a consentire la visione dei documenti alle condizioni previste dalla legge stessa; a permettere il deposito di memorie e documenti; a valutarli se pertinenti all’oggetto del procedimento.
A risultati migliori condurrebbe la ben più ardita ricostruzione in termini di diritto soggettivo.
217 Nota la decisione del Consiglio di Stato, sez. V, 18 novembre 1950, n. 1166, in Il Consiglio di Stato, 1950, p. 749, dove si afferma che il contraddittorio è necessari tanto in sede giurisdizionale, tanto in sede amministrativa, qualora la decisione importi la lesione o il disconoscimento dei diritti o interessi legittimi di una delle “parti”.
218 Cfr., sul punto X. XXXXXXXXXX, L’attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova, Cedam, 1975, p. 264 e ss.
219 X. XXXXXXX, Individuo e amministrazione nello Stato sociale:alcune considerazioni sulla questione delle situazioni giuridiche soggettive, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1991, p. 1 ss.
220 X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, p. 22.
221 Cfr., per una disamina dell’orientamento che riconosce le pretese partecipative quali interessi procedimentali
X. XXXX, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Xxxxxxx Editore, 1996, p. 34 e ss.
Criticata da molti, si tratta tuttavia dell’unica soluzione pienamente rispondente al modello di partecipazione disegnato originariamente dalla Commissione Xxxxx, dove non a caso era riportata l’espressione “contraddittorio”, e di cui si auspica oggi la realizzazione, in vista di un’integrazione a tutti i livelli tra amministrazione ed amministrati.
Tra le altre cose, diversi argomenti normativi e testuali militano in tal senso.
In primo luogo l’abolizione anche letterale della distinzione tra opposizioni (nell’interesse proprio) ed osservazioni (nell’interesse pubblico), tant’è che oggi la partecipazione rappresenta un fatto talmente complesso da non consentire una scissione tra aspetti difensivi ed aspetti collaborativi222.
In secondo luogo la partecipazione si pone in una dinamica sempre più propositiva, al punto che la legge stessa non distingue tra procedimenti ad istanza di parte e procedimenti iniziati d’ufficio: in entrambe le ipotesi, insomma, è ricostruibile una proposta e una controproposta223, aperte reciprocamente agli apporti conoscitivi e valutativi delle parti pubbliche e private. Non che ovviamente il procedimento amministrativo possa essere parificato ad una trattativa tra privati, ma sicuramente esso non rileva più come in passato per l’effetto finale (atto amministrativo), quanto invece per il modo di formazione dello stesso224.
Anzi, parte della dottrina225 tende oggi a distinguere “l’agire per la decisione” (si tratta di tutto l’iter procedimentale finalizzato alla preparazione del materiale istruttorio in contraddittorio e in posizione di parità) e “l’agire per la produzione dell’effetto giuridico” (si tratta della fase propriamente decisionale, autoritativa ed ineliminabile del procedimento, ma questo non significa che a priori e necessariamente debba prevalere l’interesse pubblico su quello privato).
In terzo luogo, infine, la configurazione della partecipazione in termini di diritto soggettivo sembrerebbe confermata dall’art. 11: pur essendo sempre la stessa pubblica amministrazione ad “accogliere” osservazioni e proposte ed a formare l’atto amministrativo, è significativo tuttavia che il privato sia giuridicamente posto nella condizione di formulare vere e proprie proposte, di “contrattare” il contenuto dell’atto finale, anche se alle condizioni e nelle forme previste dalla legge226 A tale riguardo va infatti osservato che, nonostante l’art. 11 della legge n. 241/1990, come da ultimo modificato, non contempli più la previsione di legge per la stipulazione degli accordi sostitutivi del provvedimento, equiparati dunque in quanto a disciplina agli accordi integrativi del contenuto del provvedimento, l’aggiunta di un quarto comma bis vale a riequilibrare la tutela dell’interesse pubblico in generale e dei terzi contro interessati in particolare. Tale ultima norma, infatti, prevede che a garanzia del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, la stipulazione dell’accordo deve essere preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe competente all’adozione del provvedimento finale.
2.4. L’ istruttoria procedimentale.
Il fatto che l’istruttoria rappresenti tradizionalmente il luogo di massima realizzazione del principio del contraddittorio nel procedimento amministrativo non comporta necessariamente
222 X. XXXX, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Xxxxxxx Editore, 1996, rileva a p. 103 che forse il termine “memoria” non è stato utilizzato a caso dal legislatore.
223 Cfr., per la teoria della proposta e della controproposta X. XXXX, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Xxxxxxx Editore, 1996, p. 77 e ss.
224 Vedi sul punto le considerazioni di X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, p. 23 e ss.
225 Xxxx X. XXXX, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Xxxxxxx Editore, 1996, p. 116 e ss. 226 Ancora X. XXXX, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Xxxxxxx Editore, 1996, pp. 106- 110.
la conseguenza di ridurre l’istituto a mero strumento istruttorio, anzi, l’adesione a questa tesi svilirebbe enormemente la portata garantistica del principio.
Le teorie227 che in passato hanno accentuato il ruolo istruttorio della partecipazione poggiavano essenzialmente su due considerazioni: in primo luogo, che la realtà non si presenta mai in modo univoco; in secondo luogo, che attività istruttoria e attività decisoria non sono né idealmente né materialmente distinguibili, tanto che la decisione finale, a rigore, rappresenta la summa delle decisioni parziali precedentemente assunte. Da queste premesse, si è dedotto che il contraddittorio sia necessario nei limiti in cui apporti significativi elementi istruttori, e ciò equivale ad affidare alla P.A. procedente il potere di selezionare gli interventori in base alla loro autorevolezza e alla loro presunta idoneità a formulare ipotesi convincenti.
Sebbene le premesse del discorso possano essere condivise, come d’altra parte anche l’intento di realizzare un’amministrazione efficace ed efficiente, viste le conclusioni è preferibile valorizzare quelle teorie che, ricollegando il principio del contraddittorio agli istituti di partecipazione democratica e di garanzia, ampliano maggiormente il numero dei legittimati e le possibilità d’intervento.
Con l’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo, queste istanze garantistiche sono state codificate e generalizzate, tanto da imporre il nuovo modello dell’istruttoria partecipata.
Dal combinato disposto del primo e del secondo comma dell’art. 1, si coglie l’intenzione di mediare tra opposte esigenze: se da un lato il legislatore, innovando al sistema previgente, ha enunciato i criteri a cui deve ispirarsi la P.A. nell’esercizio delle sue funzioni (“l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità”), dall’altro lato si è preoccupato di assicurare comunque l’adeguatezza e la ragionevolezza dell’istruttoria (“la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”).
Inoltre, non è di poco rilievo la normativa sulla partecipazione al procedimento amministrativo contenuta nel Capo III, funzionalmente collegata al fenomeno istruttorio.
In particolar modo, dalla configurazione dei destinatari degli effetti del provvedimento (siano essi titolari di interessi pretesivi od oppositivi) quali parti necessarie del procedimento e dall’apertura dell’istruttoria alle parti c.d. eventuali e alle altre pubbliche amministrazioni chiamate a formulare pareri obbligatori o determinazioni nei procedimenti complessi, derivano importanti corollari. In primo luogo, “le parti, sia quelle necessarie che quelle eventuali, si vedono parimenti riconosciuti il diritto alla rappresentazione dell’interesse che legittima il loro intervento mediante la presentazione di memorie scritte – non è contemplata invece l’audizione orale – e documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento, nonché di proposte per la conclusione di accordi. Eguali sono dunque anche i poteri propriamente istruttori delle parti necessarie e di quelle non necessarie: diritto di visione e copia di atti e documenti (…), diritto alla produzione documentale, formulazioni di istanze di accertamento per la definizione della situazione di fatto, prospettazioni della dimensione d’interessi”228.
In secondo luogo, l’obbligo per l’amministrazione procedente di valutare gli apporti istruttori, limitato in passato alle deduzioni del privato parte necessaria del procedimento, grava oggi anche nel caso di intervento volontario del terzo titolare di un interesse giuridicamente rilevante229.
227 Cfr., per una completa ricostruzione teorica X. XXXXXXXX, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, pp. 58-62.
228 Xxxx X. XXXXXXX e X. XXXX in enciclopedia giuridica treccani voce procedimento amministrativo p. 601.
229 Sull’obbligo di valutazione degli apporti istruttori vedi la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 14 ottobre 1999, n. 1360, in Foro amministrativo, 1999, 10, p. 2117 ss. “ Sussiste eccesso di potere per difetto di istruttoria nel caso in cui l’amministrazione ometta la verifica diretta degli atti allegati all’istanza dell’interessato al fine di conseguire benefici ed agevolazioni previste dalla legge (nella specie il contributo per l’incentivazione industriale
Si potrebbe, quindi, legittimamente sostenere che, ormai, l’unico modello istruttorio adeguato alla luce del sistema normativo complessivamente considerato, sia il modello dell’istruttoria partecipata: questa, infatti, non è più concepita staticamente come sede di un contraddittorio formale, ma, al contrario, come un ambito fortemente dinamico, in cui si attiva un contraddittorio in senso sostanziale230.
Anche strutturalmente, del resto, viene riconfermata questa tensione partecipativa: l’istruttoria è l’insieme degli atti e dei fatti giuridici e delle operazioni materiali attraverso i quali elementi fattuali ed elementi normativi vengono acquisiti al procedimento e valutati ai fini dell’adozione della decisione, senza che rilevi il fatto che tali apporti provengano dall’amministrazione procedente, dalla altre amministrazioni coinvolte, dai soggetti portatori di interessi pubblici, privati o diffusi231.
Tuttavia, nonostante l’astratta possibilità per le parti di partecipare attivamente all’attività istruttoria, non si può correttamente ritenere vigente il principio dispositivo: l’amministrazione, in persona del responsabile del procedimento, accerta d’ufficio i fatti e dispone il compimento degli atti necessari per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria; può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni od istanze erronee o incomplete; può ordinare accertamenti tecnici, ispezioni ed esibizioni documentali.
Inoltre, non è vincolata ad allegazioni ed osservazioni di parte, fermo restando l’obbligo di motivazione della decisione232.
D’altronde, nemmeno si può ritenere vigente il principio inquisitorio in senso stretto, dal momento che solo in astratto il mancato intervento del privato potrebbe essere parificato all’intervento in quanto agli effetti finali dell’atto adottato. Ragionando in astratto, infatti, si dovrebbe desumere che il privato non abbia nulla da temere in qualsiasi tipo di procedimento, perché l’amministrazione procedente, servendosi dei suoi poteri inquisitori, deciderebbe sempre in base alla più fedele ricostruzione fattuale e normativa della realtà. In pratica, però, le cose non stanno proprio in questo modo e, se nell’ambito di un procedimento sfavorevole le conseguenze potrebbero essere molto gravi (si immagini un provvedimento afflittivo o restrittivo che si sarebbe potuto evitare se solo il privato avesse dimostrato il fatto impeditivo, estintivo o modificativo della fattispecie costitutiva), nondimeno potrebbe accadere nell’ambito di un procedimento favorevole (si pensi al caso in cui l’intervento del privato sarebbe stato determinante ai fini dell’adozione del provvedimento)233.
In conclusione, quindi, l’istruttoria può dirsi partecipata proprio perché vige il c.d. principio acquisitivo: la produzione di documenti da parte del privato non è una conseguenza
previsto per le aziende del Mezzogiorno dalla l. 7 aprile 1995, n. 104), e si limiti, invece, alla mera verifica, con sistema ottico, della scheda per lettura elettronica predisposta, secondo il modulo precostituito dalla stessa amministrazione, a cura dell’interessato istante. L’adozione di siffatto metodo di verifica della legittimità delle istanze degli interessati non dispensa l’amministrazione dal dovere di leale cooperazione nei confronti dei soggetti amministrati, ancorché onerati di adempimenti modulari, ai fini dell’accertamento delle condizioni di ammissibilità e dei requisiti di legittimazione per l’emanazione del provvedimento favorevole”.
230 Cfr., in particolare il contributo di X. XXXXXXX e di X. XXXX in enciclopedia giuridica treccani voce procedimento amministrativo p. 600, in cui si afferma, forse un po’ enfaticamente, che la novella, introducendo l’istruttoria partecipata, abbia posto le condizioni per la realizzazione di una democrazia amministrativa accanto alla democrazia politica.
231 Cfr., l’analisi strutturale di XXXXXXX-IRELLI, Corso di diritto amministrativo, III, Torino, 1991, p. 439 ss.
000 Xxx., X. XXXXXXXXX, Xx contraddittorio nel procedimento amministrativo, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., pp. 251- 252: “Se la presenza … degli interessati fin dall’avvio del procedimento ha sancito un decisivo ed irreversibile superamento della piena disponibilità del materiale istruttorio da parte della sola amministrazione, ciò non toglie che spetta sempre all’autorità il compito di vagliare, sia pure alla stregua di una congrua ed esauriente motivazione, le allegazioni delle parti e degli ntervenienti”.
233 Vedi le ampie considerazioni di X. XXXXXX, L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 1969, pp. 203-213. In particolare, nella nota n. 85 è fatto notare come il rischio della prova mancata sussista anche nel caso in cui il privato alleghi i fatti senza provarli. In questa ipotesi, il comportamento dell’autorità viene censurato dalla giurisprudenza solo nell’eventualità che non venga svolta alcuna attività di accertamento, senza, però, che si dica mai quando tale attività possa reputarsi sufficiente.
della necessità di soddisfare un onere della prova, ma solo una scelta di opportunità per evitare il rischio della mancata prova: o perché l’amministrazione non si è attivata per cercarla o perché, pur avendola cercata, non l’abbia trovata.
Anzi, in termini tecnici nemmeno si può parlare di onere della prova, di atti istruttori e di fase di istruzione, non tanto perché manchi una procedimentalizzazione dell’azione amministrativa, quanto perché la c.d. fase istruttoria “non ha per oggetto l’acquisizione di prove ai fini dell’accertamento di un fatto, ma ha un oggetto molto più ampio e complesso, costituito dall’acquisizione al procedimento degli interessi da valutare e, mediatamente, nella raccolta di elementi che servono alla valutazione degli interessi stessi”234. La rappresentazione degli interessi coinvolti è anzi di tale complessità che si dubita persino che esista una sola fase di istruzione: secondo un’autorevole parte della dottrina235, invece, la fase istruttoria si scomporrebbe in una pluralità di attività istruttorie, non tutte dominate dal principio del contraddittorio. “Di conseguenza, ecco che gli atti di contraddittorio del privato possono assumere le forme più diverse ed intervenire in distinti momenti”236.
Nei procedimenti di tipo sanzionatorio ad esempio, caratterizzati da estrema litigiosità, è la medesima autorità amministrativa che istruisce e decide la controversia, ma nessuna decisione, nemmeno preliminare, viene adottata prima dell’instaurazione del contraddittorio con gli interessati, i quali possono comparire personalmente e farsi ascoltare, oppure presentare memorie difensive nella forma di opposizioni, deduzioni, ricorsi, reclami, in reazione alla contestazione degli addebiti.
Nei procedimenti costitutivi, invece, siano essi ablatori, concessori o autorizzatori, l’autorità competente nella fase istruttoria può essere diversa dall’autorità decidente; inoltre, soprattutto nei procedimenti che iniziano d’ufficio, il primo atto del procedimento comunicato agli interessati non è il primo atto della serie procedimentale, ma un atto conclusivo di una prima attività istruttoria svoltasi al di fuori del contraddittorio.
Infine, nei procedimenti finalizzati all’adozione di un piano, l’autorità locale che elabora il progetto adotta una decisione preliminare al di fuori di qualsiasi confronto: gli interessati possono prendere visione degli atti del procedimento solo una volta conclusa l’attività istruttoria e possono presentare osservazioni ed opposizioni all’autorità centrale che deve approvare il progetto di piano, ma non possono poi replicare alle eventuali controdeduzioni dell’amministrazione decidente.
Del tutto peculiare è poi il contraddittorio che si verifica nei procedimenti che iniziano ad istanza di parte, in quanto il confronto si apre ai terzi, legittimi e volontari interventori.
Nonostante l’autorevolezza237, non pare condivisibile la tesi secondo cui “da un lato esiste un profilo di tendenziale collaborazione tra autorità e richiedenti, dall’altro si rileva una nota di antagonismo, che viene a stabilirsi tra autorità e richiedenti, da una parte, e controinteressati dall’altra”. Questa ricostruzione, infatti, falsa la dinamica della rappresentazione del quadro di interessi: durante la fase istruttoria, alla pubblica amministrazione è inibito di schierarsi a favore dell’uno o dell’altro e, se pure il contraddittorio si instaura tra richiedente, opponente e P.A., ad essere effettivamente in contrasto sono solo chi chiede all’amministrazione la concessione del provvedimento favorevole e chi invece vi si oppone. Solo in un momento successivo, cioè dopo l’adozione del provvedimento, la P.A. si contrappone ad una delle due parti per effetto della comparazione degli interessi privati con l’interesse pubblico da perseguire238.
234 Cfr., XXXXXXXX, Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 842.
235 Vedi in tal senso XXXXXXXX, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1970, p. 898 ss e X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 184 ss.
236 Cfr., X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p.184.
237 La tesi è prospettata da X. XXXXXX, in L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 1969, pp. 228 ss.
238 Cfr., ancora sul punto X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, pp. 164-170.
In definitiva, esiste una pluralità di modi di concepire l’attività istruttoria, tanti quanti sono le forme di realizzazione del principio del contraddittorio, le quali, a loro volta, dipendono dalla natura dell’interesse giuridico rappresentato nel procedimento. Quanto più l’interesse sarà personale, concreto, attuale, differenziato (diritti soggettivi ed interessi legittimi), tanto più il titolare dell’interesse medesimo sarà configurabile come “parte” del procedimento, e il contraddittorio acquisterà il valore di guarentigia sostanziale. Al contrario, quanto più l’interesse sarà indifferenziato (interessi diffusi), tanto più il suo titolare sarà un mero “partecipante”, e il suo contraddittorio ridotto a semplice collaborazione239.
A questo proposito è d’obbligo un riferimento al diritto comunitario.
In occasione della sentenza resa nel caso Rewe240, la Corte di giustizia stabilì che, salva la facoltà delle Istituzioni comunitarie di intervenire per ovviare alle divergenze delle discipline processuali nazionali, “in assenza di siffatti provvedimenti di armonizzazione, i diritti attribuiti dalle norme comunitarie devono essere esercitati, dinanzi ai giudici nazionali, secondo le modalità stabilite dalle norme interne”. Modalità procedurali che certo non possono essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni del sistema processuale nazionale (principio di equivalenza) né possono rendere “in pratica impossibile l’esercizio dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare” (principio di effettività).
In quest’ottica, le norme giuridiche che disciplinano concretamente l’esercizio del diritto al contraddittorio e alla difesa devono essere sindacate sotto il profilo della ragionevolezza: “ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto comunitario deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali.
Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del processo” 241. Da ciò si evince un drastico ridimensionamento della portata della sentenza comunitaria sul caso Peterbroeck242, in quanto il principio dell’applicabilità d’ufficio delle disposizioni comunitarie non invocate dalla parte nei termini vige solo in quei casi in cui le norme processuali nazionali rendano impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto comunitario. Per cui, l’intento della Corte è quello di assicurare alle situazioni giuridiche soggettive di diritto comunitario, nei diversi ordinamenti nazionali, una parità ed uguaglianza di trattamento processuale in termini di “effettività”, ma non di uniformità. Tra gli obiettivi dell’Unione Europea rientra certamente l’armonizzazione della legislazioni nazionali, ma non l’uniformazione delle stesse, appunto per la riserva di legge nazionale sulle regole processuali. In quest’ottica, il diritto comunitario non è violato solo perché nel nostro ordinamento è precluso alla giurisdizione amministrativa rilevare d’ufficio motivi di ricorso che le parti hanno omesso di eccepire nei termini, non comportando affatto, la preclusione in questione, l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà dell’esercizio del diritto di difesa.
Sempre nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, gli ordinamenti giuridici nazionali possono disciplinare discrezionalmente il sistema probatorio: sarebbe, infatti, incompatibile con i principi comunitari dell’equo processo e dell’uguaglianza delle armi, quella disciplina dei mezzi di prova che non offrisse sufficienti garanzie di imparzialità243. E, se
239 Ancora X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 25 ss, sulla differenza tra le qualità di parte e di partecipante al procedimento amministrativo e sulle ripercussioni nelle fasi delle impugnazioni contenziose e giurisdizionali.
240 Corte di giustizia, 16 dicembre 1976, causa 33/76, in Raccolta, p.1989 ss.
241 Corte di giustizia, 14 dicembre 1995, causa X-000/00, Xxxxxxxxxxx, Xxx Xxxxxxxxxx x Xxx, xx Raccolta, p. I-4599.
242 Cfr., X. XXXXXXXX, “Poteri dei giudici nazionali e situazioni giuridiche soggettive di diritto comunitario”, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1997-1, pp.144-146.
243 Cfr. per ampi riferimenti sul tema dell’effettività del diritto comunitario nel processo interno, X. XXXXXX,
“Norme comunitarie, posizioni giuridiche soggettive e giudizi interni”, Milano, Xxxxxxx, p.332 ss; in particolare è interessante
l’esigenza che l’istruttoria si svolga con la massima obiettività è tanto più sentita, a tutela del privato, in quei casi in cui l’amministrazione esercita un potere tecnico e, in definitiva, non sindacabile, non di meno è importante in quei casi in cui l’amministrazione esercita un potere discrezionale244. Infatti, la verifica del corretto uso del potere discrezionale, passa attraverso la tradizionale categoria dell’eccesso/sviamento di potere, e, più di recente, attraverso la verifica del rispetto dei principi fondamentali di diritto comunitario: il principio di uguaglianza, del contraddittorio, l’obbligo della motivazione…
In particolare, il riconoscimento del diritto alla prova, quale manifestazione effettiva del diritto all’azione e alla difesa, è una conquista di civiltà giuridica relativamente recente e, tutto sommato, ancora di grande attualità245. La IV Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza di rimessione n. 2292 del 2000, ha ritenuto di dover dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 19 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, dell’art. 44 X.X. 00 giugno 1924 n. 1054 e dell’art. 26 X.X. 00 agosto 1907 n. 642, nelle parti in cui non è consentito al giudice amministrativo (principalmente nella giurisdizione di legittimità), di avvalersi, ai fini dell’accesso al fatto, di perizie, accertamenti tecnici o consulenze tecniche d’ufficio, per contrasto con gli artt. 3, 241-2 e 1131-2 Cost. In questo senso, non è propriamente rispondente al principio di parità delle armi la prassi di affidare l’incombente istruttorio alla cura dell’Amministrazione resistente (o comunque di altra Amministrazione pubblica), risultando, invece, più corretta, la realizzazione del contraddittorio sia al momento della scelta del soggetto al quale affidare la consulenza tecnica, la perizia, l’accertamento tecnico, sia al momento del concreto svolgimento delle attività di verificazione, ispezione e sopralluogo. A fortiori, non può pregiudicare l’effettività del contraddittorio, un qualsiasi accertamento, di natura amministrativa o giudiziale, reso al di fuori del processo amministrativo in corso.
Si considerino, in primo luogo, gli accertamenti tecnici extragiudiziali, sottratti al controllo delle parti, obbligatori ed insindacabili per il giudice; e, in secondo luogo, le sentenze penali con efficacia di giudicato nei processi civili o amministrativi246. In entrambi i casi, “motivo diretto d’incostituzionalità non è tanto, nell’iter formativo di quell’accertamento, l’assenza di un contraddittorio allargato a tutte le parti potenzialmente sottoposte alla sua autorità, quanto l’incidenza impeditiva dei suoi risultati irrevocabili sui poteri probatori dei soggetti”247.
la nota n. 69 a p. 333, dove si riportano le conclusioni dell’avvocato generale X. Xxxxxx relativamente a un caso di rinvio pregiudiziale sollevato dal TAR della Lombardia in merito alla compatibilità comunitaria di una norma nazionale che, sul presupposto dell’assimilazione delle posizioni giuridiche soggettive di origine comunitaria ad interessi legittimi, avrebbe imposto al giudice nazionale di incaricare delle necessarie perizie un agente della stessa amministrazione che è parte in causa nel procedimento principale. L’avvocato osserva che “se la norma comunitaria conferisce diritti, la loro effettiva tutela implica necessariamente l’indipendenza dei periti designati dal giudice affinché l’istruttoria si svolga con la massima imparzialità ed obiettività” anche tenuto conto del fatto che “principalmente nelle questioni tecniche e nei confronti dell’amministrazione, il semplice privato non dispone assolutamente della competenza necessaria per opporsi agli argomenti dell’amministrazione. Il perito deve quindi rispettare l’indipendenza del giudice , che avete dichiarato essere essenziale” (in Raccolta, 1994, p.485, spec. 492 ss.)
244 Vedi soprattutto D. DE PRETIS, “La tutela giurisdizionale amministrativa europea e i principi del processo”, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2002-3, p. 729 ss.
245 Vedi in particolare il commento di L. P. COMOGLIO all’art. 24 Cost. in Commentario della Costituzione, a cura di X. XXXXXX, p. 63 ss.; e l’articolo di X. XXXXXXX, “Il giusto processo amministrativo”, in Il Consiglio di Stato (Rassegna di giurisprudenza e dottrina), 5-6/2000, pp.1076-1077.
246 Solo in un primo momento la Corte Costituzionale, con sentenza n. 5 del 19 febbraio 1965, ha affermato la costituzionalità dell’art. 28 c.p.p., in forza del quale il provvedimento penale di condanna o di proscioglimento poteva, almeno in certi casi, avere autorità di cosa giudicata anche nel giudizio civile o amministrativo, con la conseguenza che ai terzi estranei al processo penale, non era dato contestare né la sussistenza dei fatti, né le modalità dell’accadimento. Con sentenza n. 55 del 22 marzo 1971 la Corte ha capovolto l’orientamento, dichiarando l’incostituzionalità, per contrasto con l’art. 241-2 Cost., dell’art. 28 c.p.p., in quanto l’esigenza della certezza del diritto deve cedere di fronte ad un principio superiore di “giustizia”: il diritto ad una piena tutela giurisdizionale.
247 Così L. P. COMOGLIO in Commentario della Costituzione, a cura di X. XXXXXX, pp. 64-67.
Di conseguenza, l’incostituzionalità dei limiti probatori è solo “relativa”, e non “assoluta”, proprio perché è nel concreto che si vede quanta e quale possibilità di difesa e contraddizione sia data alla parte per influire sull’esito del giudizio.
2.5. La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
La riforma della legge n. 241 del 1990 ad opera delle leggi nn. 15 e 80 del 2005 ha introdotto il nuovo articolo 10 bis che espressamente recita: “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”.
Le prime esperienze giurisprudenziali sulle nuove regole dell’azione amministrativa e, in particolare, sulla disposizione di cui all’art. 10 bis, legge n. 241/1990, confermano l’impressione che le innovazioni introdotte dalle leggi n. 15 e 80 del 2005 non si siano limitate a canonizzare e sistemare principi già elaborati dalla giurisprudenza amministrativa ma, al contrario, abbiano codificato248 nuovi principi che, sia pure contenuti in norme sostanziali, riverberano i loro effetti essenzialmente sul piano processuale, almeno per due ordini di motivi.
In primo luogo, il preavviso di rifiuto o di rigetto rileva, oltre che come strumento di partecipazione249 e di trasparenza250, altresì come strumento procedimentale per la risoluzione preventiva (e non solo alternativa, come le ADR) di possibili controversie, apprezzandone dunque la funzione deflattiva del contenzioso giurisdizionale251. Infatti, rispetto al pregresso sistema di tutela delle situazioni giuridiche soggettive del privato, l’applicazione dell’art. 10 bis importa la possibilità per l’interessato di venire a conoscenza dei motivi che ostano
248 Per spunti critici, X. XXXXXXXX, Verso la codificazione della disciplina dell’azione amministrativa?, in Giornale di diritto amministrativo, 6/2006, p. 686 e ss.; B.G. MATTARELLA, La codificazione in senso dinamico, in Riv. Trim dir. Pubbl., 2001, 709 e ss; X. XXXXXXXXXX, Dai testi unici misti ai codici di settore: profili costituzionali, in M. A. SANDULLI, (a cura di), Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, Milano, Xxxxxxx, 2005, 110.
249 Sul valore della partecipazione, X. XXXXXXX-X. XXXXXXXX, Basi per il diritto soggettivo di partecipazione nel procedimento amministrativo, in Foro It., 1992, V, 377 e ss.; X. XXXXX, Problema amministrativo e partecipazioneal procedimento, in Dir amm., 1993, 133; FIGORILLI, Il contraddittorio nel procedimento amministrativo, Napoli, 1996; X. XXXX, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1996; A. LUCE, Il procedimento amministrativo e il diritto di partecipazione, in Dir. Proc. Amm., 1996, 552; X. XXXXX, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 1998; X. XXXXXXXX, Quantità e qualità della partecipazione, Milano, 2000; X. XXXXXXX-X. XXXXXXXX, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2000; B. CAVALLO (a cura di), Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, Torino, 2000; X. XXXXXXXX, Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, aspettative ed esperienze, Milano, 2002; X. XXXXXXXXXXXX, Il diritto di difesa nel procedimento amministrativo, Milano, 2004; A.M. SANDULLI, La comunicazione di avvio del procedimento tra forma e sostanza, in Foro amm. Tar, 2004 1595 e ss.
250 X. XXXXXXX-GRIFFI, Un contributo alla trasparenza dell’azione amministrativa: partecipazione procedimentale e accesso agli atti (legge n. 241/1990), in Dir. Proc. Amm., 1992, 56 e ss.; VILLATA, La trasparenza dell’azione amministrativa, in Dir. Proc. Amm., 1987; più recentemente X. XXXXXXX, Il principio di trasparenza nell’ordinamento dell’Unione Europea, Milano, Xxxxxxx, 2004.
251 X. XXXXXXX, La nuova legge sull’azione e sul procedimento amministrativo. Considerazioni generali. I principi di diritto comunitario e nazionale, Relazione al Convegno C.I.S.A. – Roma, 28 giugno 2005, sulla Legge 11.2.2005, n. 15.
.; X. XXXXX, La nuova comunicazione nel procedimento amministrativo, in Urbanistica e appalti, 11/2005, p. 1252; X. XXXXXXX, Le nuove tecniche di diluizione procedimentale del potere delle P.A. dopo la legge 11 febbraio 2005, n. 15: prime riflessioni sulle nuove regole, in Cons. St.,2005, II.
all’accoglimento dell’istanza ben prima che il procedimento si concluda con un provvedimento di xxxxxxx, realizzando un’alta probabilità di evitare il ricorso al giudice amministrativo per lamentare il mancato esercizio dei poteri di integrazione documentale, il travisamento dei fatti, la mancanza, contraddittorietà e perplessità della motivazione in ordine a fatti decisivi252.
Sul piano strettamente processuale, invece, il giudice amministrativo253 ha affrontato da principio la questione relativa all’applicabilità del 10-bis ai procedimenti non ancora conclusi, secondo il noto principio del tempus regit actum, ritenendo irrilevante la circostanza che il procedimento fosse stato avviato in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 241/1990 e s.m.i.254.
Per quanto concerne invece l’ambito oggettivo di applicazione del 10-bis, due essenzialmente sono le questioni che si pongono all’attenzione della giurisprudenza.
La prima attiene all’esatta portata dell’espressione “procedure concorsuali”; la seconda riguarda la limitazione ai procedimenti iniziati ad istanza di parte.
La prima questione, pur potendo in astratto essere affrontata in modo restrittivo, ossia ricomprendendo nel termine procedure concorsuali solo alcune tipologie di procedimenti amministrativi (in particolare, in materia di pubblico impiego, concorsi per l’assunzione o procedure di ammissione alla stipula di contratti di lavoro, ma anche selezioni per il conseguimento dell’idoneità per l’iscrizione negli albi e nei collegi professionali), è stata risolta dai giudici amministrativi alla luce di un’interpretazione estensiva della norma, ossia facendovi rientrare tutte le procedure che comunque implicano una valutazione comparativa tra più soggetti (come le gare di appalto)255, atteso che in ossequio ai principi comunitari l'affidamento di lavori, servizi e forniture è possibile solo con lo strumento giuridico dell'appalto e con procedimento concorsuale256.
La seconda questione, invece, non ancora affrontata dalla giurisprudenza, si pone essenzialmente perché il Legislatore esclude chiaramente l’applicazione del 10-bis fuori dei casi in cui il procedimento sia iniziato ad istanza di parte257. Una possibile giustificazione della norma potrebbe, invero, essere rintracciata nel principio di celerità, efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrazione e comunque nell’obbligo di non aggravamento dell’istruttoria258, ma rimangono comunque delle perplessità. Una prima, di ordine sistematico, visto che il 10-bis con la sua portata restrittiva si pone in contraddizione con la nuova lettera
252 X. XXXXX, Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate, in xxx.xxxxxxxx.xx; X. XXXXXXX, L’art. 10 bis della legge n. 241/1990: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria, in xxx.xxxxxxxx.xx. Secondo l’Autore il contraddittorio (eventuale) generato dal preavviso di rifiuto si colloca ancora nella fase istruttoria del procedimento. Infatti, sebbene si parli di predecisione, la fase decisoria vera e propria deve collocarsi in un momento successivo all’inoltro del preavviso, “in quanto prima di decidere l’amministrazione deve sempre appurare la permanenza dei fattori ostativi prefigurati ponendo in essere un’attività ancora qualificabile come istruttoria”.
253 T.A.R. Lazio-Roma, sez. III ter, 8 settembre 2005, n. 6618; T.A.R. Veneto, sez. II, 27 giugno 2005, n. 2760.
254 T.A.R. Sicilia-Palermo, sez. III, 13 settembre 2005, n. 1528, in xxx.xxxxxxxxx.xx; T.A.R. PIEMONTE - TORINO - SEZIONE I - Sentenza 26 ottobre 2005 n. 3311, in xxx.xxxxxxxx.xx.; T.A.R. Abruzzo.Pescara, 14 aprile 2005, n. 185, in xxx.xxxxxxxxx.xx; T.A.R. PIEMONTE - TORINO - SEZIONE I - Sentenza 3 ottobre 2005
n. 2837, in xxx.xxxxxxxx.xx; T.A.R. LAZIO - ROMA - SEZIONE III TER - Sentenza 8 settembre 2005 n. 6618, in xxx.xxxxxxxx.xx; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 4 luglio 2005, n. 9368; TAR Lazio, Roma, Sez. II- bis, 18 maggio 2005 n. 3921; TAR Veneto, Sez. II, 1 giugno 2005, n. 2358.
255 X. XXXXXXX, L’art. 10 bis della legge n.241/1990: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria, cit.; T.A.R. LAZIO - ROMA - SEZIONE II TER - Sentenza 1 aprile 2006 n. 2258; T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI - SEZIONE II - Sentenza 24 marzo 2006 n. 3174.
256 T.A.R. Toscana, sez. I, 7 giugno 2005, n. 2757.
257 X. XX XXXXX, Il termine, il responsabile, la partecipazione, la d.i.a. e l’ambito di applicazione della legge, in Giornale dir. Amm., 2005, p. 502.
258 X. XXXXXX, Semplificazione, garanzie, certezza: modelli di composizione degli interessi, in Il procedimento amministrativo in Europa (Atti del Convegno di Milano), a cura di M.A. XXXXXXXX, p. 59; G. ARENA, Il potere di semplificazione, in Il procedimento amministrativo in Europa, cit., p. 103; X. XXXXXX JAMBRENGHI, Il procedimento amministrativo tra semplificazione e garanzie: la semplificazione codificata, in Il procedimento amministrativo in Europa, cit., p. 107.
c-ter) dell’art. 8, legge n. 241/1990, che estende l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento anche ai casi in cui quest’ultimo sia iniziato ad istanza di parte; una seconda, di ordine sostanziale, dal momento che anche nelle ipotesi in cui il procedimento tragga la propria origine ex officio, “pur non potendosi parlare di istanza formale di parte (istanza-atto), vi sarà comunque un’istanza sostanziale del soggetto interessato dal (e al) procedimento (istanza-interesse), diretta ad ottenere o conservare un bene della vita”259, come nel caso dei procedimenti ex officio che debbono concludersi in senso favorevole per il destinatario: da qui l’interesse sostanziale ad un contraddittorio che preceda il provvedimento negativo (es. procedimenti di valutazione periodica o scrutinii di merito).
Altra importante questione affrontata dalla giurisprudenza amministrativa ancora con risvolti sul piano processuale investe la lettura sistematica dell’art. 10 bis in combinato disposto con l’art. 21 octies della medesima legge, in quanto l’interprete è chiamato a ridisegnare la configurazione dei rapporti tra principio della riserva di amministrazione e sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità amministrativa, ponendo l’attenzione sui nuovi poteri che il giudice amministrativo è chiamato ad esercitare260.
Dalla lettura delle prime pronunce giurisprudenziali261 sull’argomento, invero, si registrava un atteggiamento prudenziale, volto ad escludere una generalizzata pratica di “sanatoria giurisprudenziale” del provvedimento finale262.
Tuttavia, più di recente, l’orientamento giurisprudenziale dominante sembra nel senso di escludere l’automatica illegittimità del provvedimento non preceduto dal preavviso di rigetto, perché la stessa l. n. 15 del 2005 ha introdotto l’art. 21-octies263 e perché l’art. 10-bis deve essere interpretato alla stessa stregua con cui la giurisprudenza costante ha sempre applicato l’art. 7 della medesima l. n. 241 del 1990, ossia nel senso che la mancata comunicazione di avvio del procedimento264 non provoca ex se l’illegittimità del provvedimento terminale, dovendosi verificare se la partecipazione avrebbe potuto rivestire utilità sostanziale per l’interessato; infatti, la comunicazione di cui all’art. 10-bis non è altro che una nuova comunicazione di avvio (della fase terminale) del procedimento, per cui non appare
259 X. XXXXXXX, Articolo 10 bis, in AAVV, L’azione amministrativa, Milano, 2005.
260 Cfr., D. DE XXXXXXX, Prime esperienze giurisprudenziali sulle nuove regole sull’azione amministrativa: alla ricerca dell’assetto perduto, in Urbanistica e appalti, 1/2006, p. 5 e ss.
261 X. XXXXX, Preavviso di rigetto e sedimentazioni giurisprudenziali, in xxx.xxxxxxxxx.xx.
262 T.A.R. PIEMONTE - TORINO - SEZIONE I - Sentenza 3 ottobre 2005 n. 2837; T.A.R. LAZIO - ROMA -
SEZIONE III TER - Sentenza 8 settembre 2005 n. 6618; T.A.R. Sicilia-Palermo, sez. III, n. 1528/2005; T.A.R. Campania-Napoli, sez. VII, 4 luglio 2005, n. 9368; T.A.R. LAZIO-ROMA, SEZ. II BIS, 18 maggio 2005, n. 3921.
263 L’art. 21 octies, comma 2, legge n. 241/1990 dispone che non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norma sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione d’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
264 Sull’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento e più in generale sulla partecipazione vedi X. XXXXXXXX, Emersione e risoluzione di problemi nei primi dieci anni di applicazione dell’istituto della partecipazione del privato al procedimento amministrativo, in La legge n. 241/1990: Fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. ARENA-X. XXXXXXXX- E.R. ACUNA, Napoli, ESI, pp. 206-209; M. CARTABIA, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx, 1991, pp. 112-116; F. XXXXXXXXX, Il contraddittorio nel procedimento amministrativo, Xxxxxx, Xxx, x. 000; X. XXXXX, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 1998, p. 35 e ss.; X. XXXXXXX, La partecipazione al procedimento e le pretese partecipative, in Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, a cura di X. XXXXXXX, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 1990, p. 5; X. XXXXXXXXX, La comunicazione di avvio del procedimento nell’interpretatio giurisprudenziale (la questione degli atti vincolati e dichiarativi), in La legge n. 241/1990: Fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. ARENA-X. XXXXXXXX- E.R. XXXXX, cit., p. 336 e ss.; X. XXXXXXX, La partecipazione nei procedimenti caratterizzati da discrezionalità tecnica, in Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, prospettive ed esperienze, a cura di X. XXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Milano, Xxxxxxx, p. 133-143.
ragionevole che il regime di invalidità265 del provvedimento sia diverso a seconda della fase del procedimento in cui la violazione delle norme procedurali viene perpetrata, fermo restando in ogni caso il principio del libero convincimento del giudice in ordine alla prova data in giudizio dalla P.A. circa il contenuto discrezionale del provvedimento266. Nonostante il fatto che, almeno nei casi di esercizio discrezionale del potere, l’onere della prova gravi sull’amministrazione, tuttavia è da rilevare che questa, normalmente, non ha alcun interesse ad effettuare un giudizio di tipo prognostico sul contenuto del provvedimento, limitandosi essenzialmente a dimostrare la conformità dell’atto rispetto ai fatti acquisiti all’istruttoria, ricadendo ancora una volta sul privato la dimostrazione dell’utilità del (mancato) contraddittorio. La vera novità, semmai, si pone circa i nuovi poteri che sono riconosciuti al giudice amministrativo, che sembrano travalicare i poteri coglitori classici del giudizio di legittimità. Tale evenienza, del resto, appare confermata dall’impostazione complessiva della legge n. 15/2005, la quale ricostruisce il giudizio amministrativo come un giudizio sulla spettanza al bene della vita anche nelle ipotesi di silenzio, potendo il giudice valutare la fondatezza della pretesa sia pure nell’ambito nei procedimenti vincolati.
Xxxxxxx, invece, residuino in capo all’amministrazione margini di discrezionalità così significativi da impedire al giudice, pur a fronte degli elementi introdotti in giudizio dalla P.A., l’accertamento ex ante del contenuto del provvedimento che sarebbe adottato in esito al contraddittorio in precedenza mancato, non può ritenersi operante la preclusione all’annullamento di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990267, con conseguente caducazione del provvedimento.
Posto, dunque, che né l’omessa comunicazione dei motivi ostativi né l’omessa o insufficiente motivazione del provvedimento finale di xxxxxxx in ordine agli eventuali ulteriori fatti dedotti dalla parte istante importano una automatica illegittimità-caducazione del provvedimento in presenza delle condizioni previste dal 21-octies, l’ulteriore interrogativo investe il significato attuale dell’elemento “motivazione”268, che torna a soffrire una svalutazione già sperimentata, sia pure in termini diversi, nel nostro recente passato. Già la nostra migliore dottrina (XXXXXXXX) definiva come “dequotazione della motivazione” quel fenomeno originato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che imponeva alle amministrazioni l’obbligo di motivare alcuni atti, non preoccupandosi però di controllare che i motivi espressi fossero poi effettivamente quelli che avevano determinato la decisione. Oggi, invece, la situazione rischia di essere diversa ma pur sempre con il medesimo esito svalutativo: per superare il vaglio giurisdizionale, infatti, il provvedimento può anche non essere ben motivato o non essere motivato affatto, purchè sia sostanzialmente legittimo. Resta da sperare
265 Sul regime dell’invalidità per vizi formali vedi X. XXXXXXX, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, Torino, Giappichelli, 2003; D.U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento amministrativo e annullabilità del provvedimento, Milano, 2003.
266 T.A.R. PUGLIA - LECCE - SEZIONE II - Sentenza 5 dicembre 2005 n. 5633, in xxx.xxxxxxxx.xx.; T.A.R. VENETO - SEZIONE II - Sentenza 13 settembre 2005 n. 3421; ma soprattutto CONS. ST., sez. IV, 20 settembre 2005, n. 4836, in xxx.xxxxxxxxx.xx.
267 T.A.R. XXXXXX XXXXXXX - PARMA - Sentenza 10 novembre 2005 n. 507, in xxx.xxxxxxxx.xx.
268 Sull’argomento la letteratura è amplissima: M.S. XXXXXXXX, Motivazione, in Enciclopedia del diritto, vol. XXVII, Milano, Xxxxxxx, 1977; X. XXXX, Motivi e motivazione del provvedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx, 1963; ZUBALLI-SAVOIA, La motivazione dell’atto amministrativo, Milano, Xxxxxxx, 1999; AAVV, La motivazione del provvedimento amministrativo, Padova, Cedam, 2002; A. XXXXXX XXXXXXX, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano, Xxxxxxx, 1987; P. M. VIPIANA PERPETUA, Gli atti amministrativi: vizi di legittimità e di merito, cause di nullità e di irregolarità, Padova, Cedam, 2003, passim ma particolarmente p. 164 e ss.; M. CARTABIA, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (la legge 241/1990 alla luce dei principi comunitari, Milano, Xxxxxxx, 1991, p. 126; A. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, in Diritto e istituzioni, ricerche dirette da X. XXXXX, p. 187; X. XXXXXXXX, Quantità e qualità della partecipazione (tutela procedimentale e legittimazione processuale), Milano, Xxxxxxx, 2000, p. 102 e ss; X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 200 e ss.; F. XXXXXXXXX, Il contraddittorio nel procedimento amministrativo (dal processo al procedimento con pluralità di parti), Xxxxxx, XXX, 0000; D. DI CARLO, Il principio del contraddittorio nel diritto amministrativo (profili sostanziali, procedimentale e processuali) in Cons. St., nn.1-2-3/2004.
che il giudice amministrativo valuti la sostanziale legittimità non più come mera legittimità- legalità dell’azione amministrativa ma come legittimità-equità della decisione.
2.5.1. La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza tra legittimità ed equità della decisione amministrativa.
La legge 11 febbraio 2005, n. 15 nel modificare ed integrare alcune disposizioni della legge
n. 241/1990 ha comportato tra l’altro una importante innovazione alla struttura del procedimento amministrativo attraverso il rafforzamento del contraddittorio e della partecipazione dei privati all’esercizio del potere da parte della Pubblica Amministrazione. In particolare, nei procedimenti ad istanza di parte è previsto che quando debba essere formalmente adottato un provvedimento negativo rispetto al contenuto dell’istanza di parte, il responsabile del procedimento o l’autorità competente hanno l’obbligo di comunicare tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza. Entro il termine di dieci giorni questi hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione interrompe i termini per concludere il procedimento, che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza dei dieci giorni. Dell’eventuale mancato accoglimento delle osservazioni è data motivazione in sede di adozione del provvedimento finale. Tale procedura, tuttavia, non trova applicazione per espressa previsione di legge in caso di procedimenti concorsuali, procedimenti in materia previdenziale ed assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti da enti previdenziali.
Dal punto di vista strutturale l’introduzione dell’art. 10 bis nel corpo della legge n. 241/1990 importa l’apertura di un vero e proprio subprocedimento269 che ha come presupposto un evento diacronico, ossia l’interruzione dei termini per concludere il procedimento stesso, e all’interno del quale il privato ha diritto di presentare osservazioni scritte e documenti di cui la P.A. deve tenere conto se pertinenti e rilevanti per l’oggetto del procedimento, pronunciandosi con apposita motivazione nel provvedimento finale.
Si introduce, dunque, “una sorta di contraddittorio sullo schema di provvedimento negativo”270, definito assai efficacemente come preavviso di diniego o di rigetto, attuando l’antico principio del contraddittorio amministrativo già contenuto a livello embrionale nell’art. 3 della Legge abolitrice del contenzioso amministrativo (legge n. 2248/1865, All. E). L’unico rammarico è probabilmente dovuto alle involuzioni in senso autoritario che hanno caratterizzato il nostro sistema di giustizia in generale ed amministrativa271 in particolare, condizionando in modo determinante l’interpretazione della predetta disposizione: non come principio generale dell’ordinamento, come avrebbe dovuto e potuto essere estratto, ma come
269 X. XXXXXXX, Introduzione al diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2006, p. 334.
270 X. XXXXXXX, La nuova legge sull’azione e sul procedimento amministrativo. Considerazioni generali. I principi di diritto comunitario e nazionale, cit.
271 T.A.R. Campania-Salerno, 5 luglio 1983, n. 315: la norma contenuta nell’art. 3, L. 20 marzo 1865, n. 2248 AALL. E, la quale prevede, in xxx xxxxxxxx xx xxxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xx procedimento di formazione degli atti amministrativi, non ha introdotto nel nostro ordinamento il principio generale del contraddittorio nel procedimento amministrativo; T.A.R. Calabria-Catanzaro, 19 gennaio 1983, n. 3: secondo l’attuale sistema del nostro ordinamento amministrativo, è regola che la fase istruttoria si svolga senza la partecipazione del privato destinatario dell’atto finale della procedura. CAMMEO, nella nota a Consiglio di Stato, sez., IV, 30 maggio 1919, in Giurisprudenza italiana, 1919, III, 231: l’art. 3 “significa che le parti hanno diritto di produrre spontaneamente deduzioni ed osservazioni che l’amministrazione ha l’obbligo di esaminare, se prodotte, tutt’al più, è tenuta a comunicarle hinc xxxxx se richiesta, ma non implica affatto il principio, ben diverso e più rigoroso, che l’amministrazione ha anche il dovere di provocare le deduzioni e le controdeduzioni con comunicazioni da farsi d’ufficio.
principio di materia (formazione dei piani urbanistici) o addirittura di singoli istituti (rilascio di concessioni; ricorsi gerarchici)272.
Del resto, il fatto che il principio del contraddittorio non rappresenti nemmeno una prerogativa del moderno Stato di diritto ma che, al contrario, nella sintetica formulazione dell’audi et alteram partem, risalga al diritto romano, dovrebbe far riflettere sul suo vero significato: ogni sistema di diritto che pretenda di instaurare una “legalità veduta non già come mera legalità-legittimità, ma come legalità-giustizia”273, non può rimandare al momento giurisdizionale la tutela delle situazioni giuridiche soggettive del cittadino, che anzi devono trovare soddisfazione già nella fase di formazione dell’atto, del farsi del potere274.
L’allineamento all’ordinamento giuridico comunitario è dunque evidente: con l’art. 10 bis si codifica un principio generale già conosciuto nel diritto amministrativo europeo, ossia il principio di equità, preannunciato da altri principi quali il giusto procedimento, la buona fede, il legittimo affidamento, la proporzionalità275.
Tuttavia, come spesso accade quando ci si riferisce a concetti giuridici indeterminati, tanto è più agevole un’immaginazione in astratto quanto più è difficile una loro rappresentazione in concreto. Tentando una prima approssimazione, equa è quella decisione adottata dalla P.A. cercando, per quanto possibile, “la soluzione più confacente agli interessi dedotti nel procedimento, soprattutto quando essi siano di tipo pretensivo…non importa se fondati su un interesse legittimo o su un diritto soggettivo”276.
Una decisione giusta, dunque, non più soltanto legittima.
Nel trapasso da un sistema di amministrazione basato sul principio della certezza dei rapporti giuridici ad un sistema basato sulla giustizia delle decisioni l’art. 10 bis “in un certo senso costituisce un contrappeso allo snellimento operato con l’art. 21 octies comma 2. Infatti, se da un lato l’amministrazione acquista la possibilità di non rispondere di vizi puramente formali, dall’altro proprio per ciò deve ricercare la decisione “giusta” nel bilanciamento dell’interesse pubblico con quello privato e non una decisione solamente “legittima”” 277. Di qui l’obbligo a carico dell’amministrazione procedente e decidente di effettuare la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza e di motivare specificamente anche in ordine al mancato accoglimento delle osservazioni suppletive presentate dall’istante.
In via del tutto prudenziale il Legislatore ha escluso dall’ambito di applicazione del 10 bis le procedure concorsuali genericamente intese (sia di impiego, sia di gara che di assegnazione di contributi)278.
La ratio giustificatrice dell’esclusione è probabilmente da ricercarsi nel fatto che l’adozione di una decisione equa e giusta, già sommamente difficile nella dimensione tradizionale classica del rapporto giuridico bilaterale, appare una chimera nell’ambito di un modello di amministrazione complessa, multilaterale e poligonale, dove plurali sono i centri di potere e di
272 X. XXXXXXX, Introduzione al diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2006, p. 102; X. XXXXXX, L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, Padova, Cedam, 1971; X. XXXXXXXXXX, L’attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova, Cedam, 1975, p. 210 e ss.
000 X. XXXXXXXXX, Xx giusto procedimento nel quadro dei principi costituzionali, in La disciplina generale del procedimento amministrativo, (Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione), Xxxxxxx, Milano, 1989, p. 72 ss.
000 X. XXXXXXXXXX, xx Giurisprudenza costituzionale, 1962, p. 130; X. XXXXXXXX, in Giurisprudenza costituzionale, 1978, p. 692 e ss; M. CARTABIA, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (la legge n. 241/1990 alla luce dei principi comunitari), Milano, Xxxxxxx, 1991, p. 21 e ss.; M.E. XXXXXXXX, Profili evolutivi nella problematica del procedimento amministrativo, (Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione), Xxxxxxx, Milano, 1989, p. 120 e ss.; M.C. XXXXXXXXX, Il giusto procedimento come principio costituzionale, in Il Foro Amm., 2001, 6, p. 1829 e ss.;
275 X. XXXXXXX, Introduzione al diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2006, p. 104.
276 X. XXXXXXX, Introduzione al diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2006, pp. 105-106.
277 X. XXXXXXX, La nuova legge sull’azione e sul procedimento amministrativo. Considerazioni generali. I principi di diritto comunitario e nazionale, cit.
278 T.A.R. Veneto, sez. I, 13 ottobre 2005, n. 3663.
interesse279. Osterebbero inoltre ad una diversa conclusione le preminenti esigenze di razionale ed agevole definizione del procedimento, che mal si conciliano con l’intreccio delle posizioni dei singoli aspiranti, oggetto di valutazioni di ordine comparativo280. Tuttavia, il principio contenuto nell’art. 10-bis continuerebbe ad applicarsi quantomeno alle fattispecie slegate dalla concorsualità, quali ad es. la presentazione delle offerte anomale (come confermato dalla giurisprudenza comunitaria), la richiesta di rinnovo o di proroga da parte dell’appaltatore; l’opposizione a nuova gara sulla base del diritto di insistenza; la richiesta di revisione o adeguamento di prezzo; la richiesta di procedimento per composizione bonaria281
Al più potrebbe ipotizzarsi una diversa soluzione qualora si riuscisse ad incrementare l’uso dell’informatica nelle procedure concorsuali, ma con seri dubbi di successo circa l’equità sostanziale della decisione adottata282.
Ad ogni modo, la scelta del Legislatore nel senso dell’esclusione delle procedure di gara sembra anche da un punto di vista logico e razionale incanalarsi senza soluzione di continuità nel peculiare regime processuale che assiste le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, rappresentando il naturale pendant di un trattamento giuridico ispirato a celerità e speditezza in ragione dei peculiari interessi coinvolti (art. 23-bis, legge n. 1034/1971, introdotto dall’art. 4, legge n. 205/2000: riduzione dei termini processuali, celere fissazione dell’udienza di trattazione, adozione di misure cautelari in caso di estrema gravità ed urgenza, speciale disciplina per il deposito di documenti probatori, pubblicazione del dispositivo della sentenza entro sette giorni dall’udienza di discussione).
Infine, sempre prudenzialmente, il Legislatore ha inteso escludere dall’ambito di applicazione anche i procedimenti in materia previdenziale ed assistenziale sia pure sorti a seguito di istanza di parte, ma per una ragione diversa, legata alla natura giuridica delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte e alla “gestione di diritti sociali e non di diritti individuali, per cui scattano anche le incompatibilità di bilancio e in ogni caso il bilanciamento con altri interessi pubblici e privati, come si è verificato concretamente a partire dagli anni novanta del 1900”283.
2.5.2. Rapporti tra l’art. 10 bis, legge n. 241/1990 e la nuova disciplina della dichiarazione di inizio di attività (art. 19, legge n. 241/1990).
La problematica dei rapporti tra il nuovo regime della predecisione del procedimento amministrativo (art. 10 bis, legge n. 241/1990) e la nuova disciplina della dichiarazione di inizio di attività (art. 19, legge n. 241/1990) si inserisce nel più ampio e attuale dibattito sulla liberalizzazione-semplificazione delle attività economiche connesse a procedimenti e provvedimenti amministrativi. L’estensione dell’applicabilità della fattispecie del preavviso di rigetto alla d.i.a., infatti, dipende in concreto dalla risoluzione in via pregiudiziale della questione in ordine alla natura giuridica284 di quest’ultima, la quale a sua volta è strettamente
279 M. D’ORSOGNA, Il litisconsorzio nel processo amministrativo. Il problema delle parti e l’intervento, in Processo amministrativo e diritto comunitario, a cura di X. XXXXXXX, Padova, Cedam, 2003.
280 T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 24 marzo 2006, n. 3174.
281 X. XXXXXXX, L’evoluzione del quadro legislativo in materia di appalti di servizi, in Atti del Convegno – Roma, 2006
282 X. XXXXXXX, Introduzione al diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2006, pp. 106-107.
283 X. XXXXXXX, Introduzione al diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2006, p. 107.
000 X. Xx XXXXXXXX, Xxxxxx giuridica della denuncia di inizio attività, in Urb. e app., 2003, pag. 1374 ss.; X. XXXXXXXXX, La denuncia di nuova attività. Profili teorici, Milano, 2000; X. XXXXXXX XXXXX, La denuncia di inizio attività edilizia. Profili sistematici, sostanziali e processuali, Milano, 2005; X. XXXXXXXXX, Nuove norme in tema di dichiarazione di inizio attività, ovvero la continuità di un istituto in trasformazione, in xxx.xxxxxxxx.xx, 2005; X. XXXXXXXXXX, In tema di d.i.a. vecchia e di d.i.a. nuova (spunti tratti da Cons. St., Sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3016), in xxx.xxxxxxxx.xx, 2005; v. altresì, nello stesso senso, D. DE XXXXXXX, Prime esperienze giurisprudenziali sulle nuove regole dell’azione amministrativa: alla ricerca del tempo perduto,
dipendente dalla sua collocazione funzionale tra gli istituti di semplificazione amministrativa o piuttosto di liberalizzazione delle attività economiche private.
Il problema è antico e affonda le sue radici nella incapacità delle costituzioni del primo e del secondo dopoguerra del Novecento di risolvere il binomio libertà-autorità285 alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale286 piuttosto che di integrazione politica (XXXXX), tanto da impedire nel nostro ordinamento giuridico il passaggio effettivo dalla prima alla seconda Repubblica nonostante la recente svolta in senso federalistico287.
La maggiore riprova di tale incapacità risiede ancora una svolta nella occasione mancata dal Legislatore di passare da un regime di semplificazione amministrativa ad un regime di liberalizzazione delle attività economiche288, “a tutto danno della attuale congiuntura economica che postula, per la ripresa dello sviluppo nel nostro paese, interventi certi e rapidi della amministrazione per garantire il massimo di produttività economica possibile in uno standard burocratico assolutamente da allineare a quello degli altri paesi sviluppati”289.
Se infatti il capo IV della legge n. 241/1990 già si intitolava “semplificazione dell’azione amministrativa”, la più logica e lineare conseguenza in un’ottica riformistica sarebbe stata quella di mutare il ruolo della pubblica amministrazione da quello di decisore a quello di garante e controllore del rispetto delle regole, secondo il principio generale per cui tutto ciò che non è vietato è da ritenersi permesso290. E invece il Legislatore si incanala nuovamente senza soluzione di continuità in una dimensione tipicamente pubblicistica, tradendo anche la tendenza del contesto europeo e globale verso la sussidiarietà orizzontale. E, quasi per uno strano scherzo del destino, la restaurazione avviene con un testo normativo intitolato decreto- legge sulla competitività.
Tra gli indici più significativi l’intitolazione del capo II del decreto-legge sulla competitività “semplificazione della regolamentazione”; la mutazione della rubrica dell’art. 19, legge n. 241/1990 da “denuncia di inizio attività” in “dichiarazione di inizio di attività”; la devoluzione
in Urbanistica e appalti, 2006. X. XXXXXXXXX, La natura della DIA alla luce delle modifiche introdotte dal Decreto competitività, in xxx.xxxxxxxx.xx, 2005; X. XXXXXXX, Note su diritto privato, atti non autoritativo e nuova denuncia di inizio dell’attività, in xxx.xxxxxxxx.xx, 2005.
285 X. XXXXX, Gli artt. 19 e 20 della legge n. 241/1990 prima e dopo la legge n. 537/1993. Intrapresa dell’attività e silenzio dell’Amministrazione, in Dir. proc. amm., 1994, pagg. 22, ss.: il significato dell’istituto va individuato nell’inversione del rapporto tra autorità e libertà, “così da fare in modo che la libertà del cittadino preceda l’autorità dell’Amministrazione, così che l’autorità sia chiamata non a fondare la libertà del cittadino, ma, semmai, a riscontrarne e confermarne l’esercizio”.
286 Sul principio di sussidiarietà vedi X. XXXXX, Sussidiarietà e autoamministrazione dei privati, Padova, Cedam, 2004; XXXXX-XXXXX, Il principio di sussidiarietà, profili storici e costituzionali, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000; XXXXXXX XXXXXX DEL SOL, Il principio di sussidiarietà, Milano, Xxxxxxx, 2003; P. DE CARLI, Sussidiarietà e governo economico, Milano, Xxxxxxx, 2002. con particolare riferimento al contesto europeo, D’AGNOLO, La sussidiarietà nell’Unione Europea, Padova, Cedam, 1998; DE PASQUALE, Il principio di sussidiarietà nell’ordinamento comunitario, Xxxxxx, 0000. per una prospettiva di diritto comparato vedi AAVV (a cura di) Droit Administratif et subsidiaritè (a cura di X. XXXXXXXX et XXXXX XX XXXX), Bruylant Bruxelles 2000. In una prospettiva più generale vedi AAVV, Forme della cooperazione (pratiche, regole, valori), a cura di F. VIOLA, Bologna, Il Mulino, 2004; D. D’XXXXXXXXXX, Sussidiarietà, solidarietà e azione amministrativa, Xxxxxxx, 2004; P. VIPIANA, Il principio di sussidiarietà verticale, Xxxxxxx, 2002.
287 X. XXXXXXX, Diritto amministrativo e diritto comunitario, Torino, Giappichelli, 2004, p. 9.
288 X. XXXXXXX, I diritti soggettivi a regime amministrativo (l’art. 19 della legge 241/1990 e altri modelli di liberalizzazione), Padova, 2001; XXXXXXX-IRELLI, Modelli procedimentali alternativi in tema di autorizzazioni, in Diritto amministrativo, 1993; X. XXXXXXX, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo. Autonomia ricognitiva, denuncia sostitutiva e modi di produzione degli effetti, Padova, 1996; X. XXXXX, La liberalizzazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998; X. XXXXXXX, Attività liberalizzate e compiti delle amministrazioni, Napoli, 1999.
289 X. XXXXXXX, La nuova legge sull’azione e sul procedimento amministrativo. Considerazioni generali. I principi di diritto comunitario e nazionale. Relazione al Convegno C.I.S.A., Roma, 28 Giugno 2005, sulla Legge 11.02.2005, n. 15, recante modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241.
290 X. XXXXXXX, La nuova legge sull’azione e sul procedimento amministrativo. Considerazioni generali. I principi di diritto comunitario e nazionale, cit.
delle controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; e soprattutto la previsione del potere di autotutela291.
Per quanto concerne il primo aspetto l’espressione è indubbiamente significativa in negativo, ossia per quel che non dice: il riferimento è sempre alla regolamentazione dell’attività amministrativa sia pure in un’ottica di semplificazione292, ma giammai alla deregolamentazione intesa propriamente come soppressione di leggi che disciplinano un dato settore e la restituzione del medesimo nell’ambito decisionale puramente privato (XXXXXXXX). Prudenza, dunque, nell’uso delle categorie e dei concetti giuridici, posto che la dia pare atteggiarsi come istituto che semplifica ma non liberalizza e soprattutto non sottrae settori al regime amministrativo tradizionale di autorizzazione: rispetto alla tradizionale struttura dei procedimenti autorizzatori (diritto o facoltà; connotazione della previa norma di legge; provvedimento) quello che muta è solo il profilo diacronico, collocandosi il potere amministrativo non già ex ante in funzione di programmazione, bensì ex post in funzione di controllo293.
Pertanto, alla luce di tali considerazioni, appare più consona la scelta di riportare la d.i.a. all’interno del concetto di autoamministrazione294 e quindi di integrazione politica e amministrativa dello Stato, posto che non solo non vi è alcun ritiro o riduzione della sfera pubblica, ma nemmeno il carattere sussidiario del suo intervento: la P.A. esercita sempre poteri di controllo e vigilanza, in via preventiva o comunque di autotutela.
Per quanto concerne invece il secondo aspetto occorre considerare che in sede di teoria generale del diritto la “dichiarazione” non ha una valenza meramente notiziale bensì negoziale, nel senso di atto giuridico con cui si manifesta all’esterno la volontà, nel nostro caso specifico, di esercitare una determinata attività295. E che si tratti di un atto non già di denuncia di inizio di una certa attività, ma della dichiarazione con cui si manifesta la volontà di iniziare la predetta attività, è avvalorato dalla necessità della decorrenza di un termine di 30 gg e della successiva comunicazione dell’avvio dell’esercizio dell’attività medesima, configurandosi così una fattispecie complessa che va inquadrata come provvedimento in regime di autoamministrazione piuttosto che come mero atto soggettivamente e oggettivamente privato296.
E ciò pare ulteriormente confermato non solo dalla previsione della giurisdizione amministrativa che alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004 si riconferma come giurisdizione sul potere, ma soprattutto dalla previsione di un potere di autotutela che altrimenti sarebbe difficilmente spiegabile297, posto che esso tradizionalmente si
291 Contra, X. XXXXX, La dia e la tutela del terzo: fra pronunce del g.a. e riforme legislative del 2005, in Urb. app., 2005, pag. 1337, ove si legge che “il richiamo alla disposizione sull’annullamento d’ufficio non vale ad assegnare alla dia o al decorso del termine il valore di un atto amministrativo, ma vale a imporre la verifica delle condizioni previste per l’esercizio dei poteri di annullamento d’ufficio, una volta scaduto il termine ordinario per il riscontro della dia”.
292 XXXXXXX IRELLI-X. XXXXXXX, La semplificazione dell’azione amministrativa, in Dir. amm., 2000, pag. 637.
293 M.S. XXXXXXXX, Diritto amministrativo, Milano, 1998.
294 X. XXXXXX, L’autoamministrazione dei privati, in Procedimenti e accordi dell’amministrazione locale (Atti del XLII convegno di studi di scienza dell’ammnistrazione, Tramezzo, 19-21 settembre 1996), Milano, 1997; X. XXXXXXX, I diritti soggettivi a regime amministrativo (l’art. 19 della legge 241/1990 e altri modelli di liberalizzazione), Padova, 2001; X. XXXXX, Sussidiarietà e autoamministrazione dei privati, Padova, 2004.
295 X. XXXXXXX, La nuova legge sull’azione e sul procedimento amministrativo. Considerazioni generali. I principi di diritto comunitario e nazionale, cit.
296 Cons. St., sez. VI, 20 ottobre 2004, n. 6910; T.A.R. Veneto, sez. II, 10 settembre 2003, n. 4722; Cons. St., sez. VI, 30 luglio 2003, n. 4391; T.A.R. Xxxxxx Xxxxxxx, Bologna, sez. II, 18 aprile 2003, n. 484; contra, Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916; Cons. St., sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4453
297 T.A.R. Piemonte, sez. II, 19 aprile 2006, n. 1885, secondo cui “il riferimento espresso agli istituti dell’autotutela decisoria induce a ritenere che il legislatore abbia voluto assumere una posizione specifica in ordine alla vexata quaestio della natura giuridica della dia, nel senso che la previsione dell’adottabilità di provvedimenti di secondo grado sottende la qualificazione della DIA (rectius, degli effetti della dia) come atto abilitativo tacito formatosi a seguito della denuncia del privato e del conseguente comportamento inerte
esercita su provvedimenti adottati in sede di procedimento di primo grado. Ma se allora non è possibile attribuire alla dichiarazione di inizio di attività il carattere di mero atto privato, ma al contrario la natura complessa di titolo che tiene luogo dell’autorizzazione, rispolverando la vecchia figura della autorizzazione tacita, e cioè di titolo che si forma silenziosamente298 alla venuta ad esistenza di tutti i requisiti formali e sostanziali, il necessario corollario, fondamentale per la tutela effettiva delle situazioni giuridiche soggettive dei privati, è che la Pubblica Amministrazione non possa intervenire in termini meramente sanzionatori nel caso di non conformità dell’attività denunciata.
Pertanto, posto che l’art. 21, comma 2 bis, legge n. 241/1990 dispone che restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte delle pubbliche amministrazioni, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli artt. 19 e 20, il rispetto del principio del contraddittorio in termini di effettività imporrebbe l’applicazione dell’art. 10 bis, legge n. 241/1990 o quanto meno il previo esercizio del potere di autotutela rispetto al potere sanzionatorio e repressivo.
2.6. L’attività amministrativa alla ricerca del consenso: l’attività consensuale e la predeterminazione amministrativa nell’ambito degli accordi integrativi o sostituvi del provvedimento.
L’attività consensuale della pubblica amministrazione si esprime nella adozione, sempre maggiore, della soluzione consensuale in luogo di quella unilaterale, attesa l’importanza che l’istituto dell’accordo riveste ormai nell’ambito dei rapporti tra le pubbliche amministrazioni e tra queste ed i privati.
La legge n. 241/1990 e s.m.i. disciplina diverse tipologie di accordi:
- gli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento ex art. 11;
- gli accordi tra le pubbliche amministrazioni ex art. 15;
- gli accordi di programma ex art. 14, ma soprattutto ex art. 34 del dlgs n. 267/2000 (cd Testo Unico Enti Locali).
La prima tipologia di accordi è particolarmente funzionale ad una migliore realizzazione del contraddittorio tra i privati e le pubbliche amministrazioni, atteso che la norma stessa prevede che, in accoglimento delle osservazioni e delle proposte presentate dai privati nel corso del procedimento, l’amministrazione procedente possa concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, ed in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con l’interessato al fine di determinare il contenuto del provvedimento finale ovvero in sostituzione di esso.
A tal fine, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento e gli eventuali soggetti controinteressati all’accordo medesimo.
La figura del’accordo integrativo di provvedimento si caratterizza, in particolare, per la determinazione consensuale e tendenzialmente paritaria di formazione del contenuto della volontà che, comunque, resta provvedimentale (Corte Costituzionale, sentenza n. 204 del 2004). A conclusioni non molto diverse occorre giungere, tuttavia, anche per la figura
dell’amministrazione. CFR. anche T.A.R. Abruzzo, Pescara, 1 settembre 2005, n. 494, e 22 settembre 2005, n.
498.
298 M.P. CHITI, Atti di consenso, in Scritti in onore di Xxxxxxxxx, vol. II, Modena, 1996, pag. 530. Secondo X. XXXXXXX, Urbanistica e appalti nella giurisprudenza, a cura di FALCONE-MELE, I, Torino, 2001, pag. 603, la dia in materia edilizia è atto oggettivamente amministrativo che, in sostituzione dell’atto di assenso del Comune, costituisce il titolo legittimante ope legis l’esecuzione dei lavori.
dell’accordo sostitutivo di provvedimento nonostante l’apparente atipicità dell’accordo medesimo, atteso il principio di legalità che governa l’azione amministrativa299.
Tali accordi, inoltre, debbono essere stipulati per iscritto a pena di nullità, salvo che la legge disponga diversamente. Ad essi si applicano, ove non diversamente disposto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili.
Più in generale, tutta la disciplina degli accordi è ispirata ad esigenze di tutela del principio del contraddittorio, sia in senso stretto (ovvero nei rapporti tra il privato e l’amministrazione procedente) che in senso ampio (ovvero con riferimento agli interessi dei terzi).
In particolare l’art. 11 della legge n. 241/1990, come da ultimo modificata dalle leggi n. 15 e 80 del 2005, disciplina compiutamente l’istituto del recesso da parte dell’amministrazione stipulante, prescrivendo che quest’ultimo possa essere esercitato solo per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, salvo, in ogni caso, l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi che il privato contraente possa soffrire.
Rispetto ai terzi, invece, e ad ulteriore conferma della evoluzione del rapporto procedimentale da bilaterale a plurilaterale, il Legislatore esige che l’accordo, in concreto, con contrasti con gli eventuali interessi – altrettanto meritevoli di tutela – dei cd controinteressati, e, in astratto, con l’interesse generale della collettività alla legalità, imparzialità e correttezza dell’azione amministrativa. Proprio a tale ultima ragione, del resto, risponde l’introduzione, con le novelle legislative già citate, del comma 4-bis nel corpo dell’art.11, disponendosi che in tutti i casi in cui l’amministrazione addivenga alla conclusione di accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento, come pure nei casi in cui conclude accordi con le altre amministrazioni, tra cui in particolare gli accordi di programma, la stipulazione medesima debba essere preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento. Tale ultima circostanza conferma, peraltro, la natura prevalentemente pubblicistica dell’accordo integrativo e sostitutivo di provvedimento, non potendosi riconoscere alla pubblica amministrazione una posizione di autonomia privata ed una capacità di diritto privato del tutto analoga a quella riconosciuta ai soggetti di diritto xxxxxx000.
Diversamente, nell’ambito delle diverse tipologie di accordi tra le pubbliche amministrazioni, si osserva una minore valorizzazione del principio del contraddittorio tra i privati e le pubbliche amministrazioni, anche se un minimo di partecipazione dei soggetti privati può comunque essere riconosciuta applicando gli art. 14 e ss della legge n. 241/1990, partecipazione peraltro già istituzionalizzata anche nella fattispecie dei patti territoriali (legge n. 662 del 1996) e, più in generale, della cd urbanistica concertata, contrattata o negoziata301.
2.7. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi sotto il duplice profilo partecipativo e informativo. Coordinamento con la normativa sul diritto alla riservatezza.
Funzionale alla piena ed effettiva realizzazione del principio del contraddittorio è il diritto di accesso alle notizie e ai documenti amministrativi. Un ordinamento giuridico che pretenda di fondarsi sui principi democratici propri dei moderni Stati di diritto non può, infatti, prescindere da una normativa che garantisca la conoscibilità e la visibilità dell’agire
299 X. XXXXXXX, Introduzione al diritto amministrativo, cit., p. 359.
300E. PICOZZA, Introduzione al diritto amministrativo, cit., p. 351 e ss ma in particolare p. 361 per le riflessioni circa la disciplina pubblicistica degli accordi delle pubbliche amministrazioni ed il principio di legalità, interna e comunitaria.
301 X. XXXXXXX, Introduzione al diritto amministrativo, cit., p. 354.
amministrativo nonché una più consapevole partecipazione alla gestione della res publica da parte dei cittadini302.
Tuttavia, nonostante l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 conferisse al diritto di accesso un solido ancoraggio ai diritti di libertà, in particolare al diritto di informazione, nel triplice aspetto di libertà di informare, di cercare e ricevere informazioni, il diritto di accesso visse una stagione poco felice, trovando un fortissimo ostacolo nell’opposta regola della segretezza dell’azione amministrativa precedente il provvedimento303.
Non che mancassero particolari disposizioni di legge che garantissero il diritto di accesso nell’ambito di determinati procedimenti: l’art. 9 della l. n. 1150/1942 (legge urbanistica) e l’art. 10 della l. n. 765/1967 già affermavano il diritto di chiunque vi avesse interesse di prendere visione degli atti di progetto del piano regolatore e – presso gli uffici comunali – della licenza (ora concessione) edilizia e dei suoi elaborati progettuali; l’art. 20 della l. n. 833/1978 prevedeva l’obbligo di informazione sanitaria e ambientale dei lavoratori sottoposti a rischio.
Il diritto di accesso fu al centro dell’attenzione anche da parte delle normative di settore: così in materia di pubblico impiego (l. n. 93/1983 e l. n. 816/1985), in materia ambientale (l. n. 349/1986), in materia di autonomie locali (l. n. 142/1990). In quegli stessi anni, poi, venne istituita una Commissione presso la presidenza del Consiglio dei ministri, presieduta da Xxxxx Xxxxx, la quale elaborò due distinti disegni di legge, intitolati “Disposizioni dirette a migliorare i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione nello svolgimento dell’attività amministrativa” e “Diritto di accesso ai documenti amministrativi”. Ben presto ci si accorse della necessità di unificare i due progetti nella l. n. 241/1990, significativamente intitolata “Norme sul procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti”: il diritto di accesso è, infatti, presupposto e condizione di ogni discorso sulla partecipazione e sul contraddittorio304.
Rispetto ai disegni originari previsti dalla Commissione Xxxxx, tuttavia, ancora oggi l’esercizio del diritto di accesso non consente un controllo generalizzato dell’agire amministrativo (art. 24, legge n. 241/1990 e s.m.i.), rimanendo legato al presupposto della necessità di tutelare una propria situazione giuridica soggettiva.
La legge n. 241/1990n e s.m.i. prevede una disciplina articolata del diritto di accesso, distinguendo a seconda che la richiesta di accesso venga formulata in pendenza o meno di un procedimento amministrativo.
L’art. 10, in particolare, disciplina il c.d. accesso “partecipativo” o “endoprocedimentale”. Si tratta di un diritto riconosciuto in capo ai soggetti di cui agli artt. 7 (diretti destinatari del provvedimento, coloro che per legge devono partecipare al procedimento, soggetti individuati o facilmente individuabili ai quali possa derivare un pregiudizio dall’adozione del provvedimento) e 9 (qualunque soggetto portatore di interessi pubblici o privati e portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati ai quali possa derivare pregiudizio dall’adozione del provvedimento). Il diritto in questione, sostanziandosi nel prendere visione degli atti del procedimento, è strumentale al miglior esercizio del diritto di partecipazione in
302 Il nuovo art. 22, legge n. 241/1990 e s.m.i. dispone infatti che “L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela.
303 Vedi l’articolo di X. XXXXXXXXX, Pubblicità delle informazioni e diritti di accesso, in Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, a cura di X. XXXXXXX, Torino, Giappichelli Editore, 1990, p. 211.
304 Cfr., la ricostruzione storica di M. A. XXXXXXXX, in Enciclopedia del Diritto, alla voce Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, pp. 1-5; e quella di M. TERRASI, Procedimenti amministrativi e garanzie del cittadino, Jovene Editore, 1991, pp. 71- 94.
contraddittorio e di difesa delle proprie situazioni305. Anche per questo motivo, l’esercizio del diritto non è condizionato da valutazioni discrezionali della P.A. in ordine all’ammissibilità della richiesta, che infatti nemmeno deve essere motivata.
L’art. 22 disciplina, invece, l’accesso “informativo” o “esoprocedimentale”, in base al quale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti l’accesso ai documenti amministrativi, al fine di assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’attività amministrativa. Si tratta di un diritto evidentemente scollegato dalla situazione di pendenza di un procedimento, ma non per questo meno funzionale alla realizzazione del contraddittorio: solo una condizione attuale di trasparenza garantisce il legittimo affidamento ad un futuro, paritario confronto. La formula “situazioni giuridicamente rilevanti” dà però adito a contrasti interpretativi, non risultando chiaro se la norma si riferisca ai soli diritti soggettivi ed interessi legittimi, oppure consideri qualsiasi situazione, e quindi anche interessi procedimentali, aspettative, interessi diffusi. Con direttiva n. 27/27720, la Commissione per l’accesso, riprendendo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha ritenuto che l’interesse amministrativamente protetto sia un interesse serio, non emulativo, né riconducibile a mera curiosità, ricollegabile alla persona dell’istante da uno specifico nesso e non necessariamente coincidente con una posizione di interesse legittimo o di diritto soggettivo tutelabile in sede giurisdizionale306. A differenza dell’accesso partecipativo, la richiesta di accesso informativo, debitamente motivata, è soggetta al sindacato dell’autorità in base ai parametri di cui all’art. 24, che costituiscono la c.d. “riserva di amministrazione”: anche per questo motivo si dubita della natura di diritto soggettivo e si propende maggiormente per la natura di interesse legittimo307.
Problematiche si pongono anche per i soggetti passivi del “rapporto amministrativo di accesso”. Se da un lato, infatti, la legge ha dimostrato di tener conto dei recenti mutamenti dell’organizzazione della P.A.308, dall’altro si registrano ancora disparità di trattamento.
Così, l’art. 23, a ragione, adotta la generica definizione di “gestori di pubblici servizi”309 al fine di assoggettare all’esercizio del diritto di accesso anche coloro che gestiscono pubblici servizi in base ad un titolo giuridico non avente il nomen di concessione, in vista di una tutela sempre più ampia e che va di pari passo con l’evolversi dell’organizzazione secondo moduli tipicamente privatistici. Ma poi, irragionevolmente, consente alle Autorità di garanzia e di vigilanza di derogare alle norme sulla trasparenza nell’ambito dei rispettivi ordinamenti,
305 Vedi F. XXXXXXXXX, Il contraddittorio nel procedimento amministrativo, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., p. 131, dove, in particolare, si pone in risalto l’aspetto difensivo e propositivo del diritto di accesso ai fini del contraddittorio: l’interessato non si limita passivamente a prendere visione, ma, in base alle risultanze, si attiva nel presentare memorie scritte.
306 Vedi per una corretta ricostruzione dell’istituto dell’accesso, sotto il duplice profilo partecipativo ed informativo X. XXXXXXXXX, Pubblicità delle informazioni e diritti di accesso, in Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, a cura di X. XXXXXXX, Torino, Giappichelli Editore, 1990, pp. 217- 219 e M. A. XXXXXXXX, alla voce Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enciclopedia del Diritto, cit., pp. 6-
11. Cfr., anche TAR Lazio, sez. I, 15 dicembre 2000, n. 12144 (“la prima forma di accesso ha la finalità principale di assicurare la pienezza del contraddittorio…mentre la seconda forma ha la finalità di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale”).
307 Vedi le conseguenze affatto indifferenti che derivano dall’accettazione dell’una o dell’altra interpretazione in
M. A. XXXXXXXX, voce Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, cit., p. 12. Se l’accesso avesse la natura di interesse legittimo, il ricorrente, lamentando l’illegittimo diniego, dovrebbe a pena di inammissibilità notificare il ricorso impugnatorio al terzo titolare del diritto alla riservatezza, legittimo contraddittore; se, invece, l’accesso avesse natura di diritto soggettivo, si applicherebbe l’art. 102 c.p.c. in tema di litisconsorzio necessario, con la conseguente ammissibilità del ricorso dopo aver provveduto all’integrazione del contraddittorio. Più recentemente sulla natura giuridica del diritto di accesso x. Xxxxxxxxx di Stato, Adunanze plenarie nn. 6-7/2006. 308 Di questo si trova autorevole conferma anche da parte del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, 22 aprile 1999, n. 4, in Foro amministrativo, 1999, 3-4, p. 593 ss.
309 Vedi X. XXXXXXXX, Emersione e risoluzione di problemi nei primi dieci anni di applicazione dell’istituto della partecipazione del privato al procedimento amministrativo, in La legge n. 241/1990: Fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. ARENA, X. XXXXXXXX, X.X. ACUNA, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., p. 211.
proprio loro che dovrebbero presidiare alla tutela della trasparenza in tutti gli ambiti del pubblico agire, persino presso organi costituzionalmente indipendenti come le magistrature310.
Per quanto concerne, invece, l’oggetto del diritto di accesso, problemi interpretativi si sono posti circa la natura del documento. Se, cioè, siano accessibili solo i documenti di diritto pubblico od anche i documenti di diritto privato; l’orientamento dominante311 è in questo secondo senso, anche se permangono differenze di ordine soggettivo: se il documento di diritto privato è formato o detenuto da pubbliche amministrazioni è sempre accessibile; se invece si tratta di un gestore di pubblici servizi, il documento è visionabile solo se inerente ad “interessi collettivi”.
Altra problematica investe i limiti al diritto di accesso, in particolare il segreto e la tutela della riservatezza312. Sotto il primo profilo è rilevante il solo segreto di stato, anche se il Governo può prevedere limitazioni o esclusioni per quegli atti che riguardano particolari materie: sicurezza, difesa nazionale e relazioni internazionali; politica monetaria e valutaria; ordine pubblico, prevenzione e repressione dei reati; riservatezza dei terzi. Relativamente a quest’ultimo punto, la legge precisa che coloro che partecipano al procedimento amministrativo possono in ogni caso prendere visione degli atti la cui conoscenza è necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici. In tal senso, anche una recente ed importante decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato313 ha stabilito che l’interesse del terzo alla riservatezza recede laddove la richiesta di accesso sia strumentale alla difesa giurisdizionale dei propri interessi giuridici. Al contrario, laddove la situazione che legittima all’istanza di accesso è un mero interesse meritevole di tutela, sono sottratti all’accesso non tutti i dati personali, ma quelli che ineriscono alla sfera di riservatezza del terzo314. Da ultimo, con le modifiche apportate all’art. 24 della legge n. 241/1990 ad opera della legge n. 15/2005, tali principi sono stati espressamente stabiliti, con l’ulteriore precisazione che laddove la richiesta riguardi documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è solo consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
Nel caso in cui l’amministrazione rifiuti, differisca o limiti l’accesso, o ancora tenga un comportamento inerte, è data all’interessato la possibilità di ricorrere al TAR, il quale decide in camera di consiglio, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta (art. 25).
È proprio in questo particolare tipo di giudizio (v. più approfonditamente la terza parte relativa ai profili processuali) che si colgono le relazioni tra diritto sostanziale e diritto processuale, nonché la forza espansiva del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, anche con riferimento ai diritti dei terzi titolari del diritto alla riservatezza.
2.8. Legittimazione procedimentale e legittimazione processuale.
Nell’intento di determinare quanto più possibile l’ambito soggettivo della partecipazione e di ridurre il potere discrezionale della P.A. nella selezione degli interessi giuridici meritevoli di
310 Cfr., BARTOLINI, Pubblicità delle informazioni e diritti di accesso, in Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, a cura di X. XXXXXXX, Torino, Giappichelli Editore, 1990, p. 215.
311 Consiglio di Stato, sez. IV, 4 febbraio 1997, n. 82, in Giornale di diritto amministrativo, 1997, 1015; Cons. St., sez. IV, 15 gennaio 1998, n. 14, in Giurisprudenza italiana, 1998, 1266.
312 Vedi Consiglio di Stato, Pareri atti normativi, 26 marzo 2001, n. 62, dove si legge che le attività svolte dall’Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità nei settori dell’energia elettrica e del gas, al fine di garantire agli interessati la piena conoscenza degli atti istruttori, devono conformarsi al principio generale del contraddittorio e della parità delle armi tra accusa e difesa, che tuttavia non comporta l’assoluta prevalenza del diritto di accesso sulle esigenze di riservatezza afferenti ai segreti commerciali. La segregazione deve essere quindi strettamente limitata alla c.d. parti sensibili.
313 Ad. Plen. 4 febbraio 1997, n. 5, in Foro amministrativo, 1997, 423.
314 Cfr., sul punto l’articolo di A. SCOGNAMIGLIO, Diritto di accesso e tutela della riservatezza, in La legge sul procedimento amministrativo, a cura di F. P. PUGLIESE, Milano, Xxxxxxx Editore, 1999, p. 66-67.
tutela la legge n. 241/1990 ha approntato una specifica disciplina attraverso il combinato disposto degli artt. 7 e 9.
L’art. 7, in particolare, individua gli interventori c.d. necessari (soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai diretti destinatari, ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento; soggetti che per legge debbono intervenire nel procedimento), mentre l’art. 9 individua gli interventori c.d. eventuali o volontari (qualunque soggetto portatore di interessi pubblici e privati; portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento).
A norma dell’art. 10, poi, sia agli interventori necessari che a quelli eventuali sono riconosciute le medesime garanzie procedurali che rendono effettivo il principio del contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa: diritto di prendere visione degli atti del procedimento; diritto di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento. Nel diritto comunitario, al contrario, si nota una certa discriminazione tra i diretti destinatari del provvedimento ed i terzi in generale, siano essi interventori necessari o meramente eventuali315.
Infatti, le norme in materia di diritto della concorrenza e di dumping prevedono la facoltà di denuncia da parte di chiunque si ritenga leso dall’altrui comportamento, ma non la parificazione della posizione procedimentale: solo i destinatari diretti dell’atto godono di tutte le garanzie del contraddittorio. Probabilmente questa situazione è imputabile alla limitatezza del raggio di azione del diritto comunitario rispetto alla onnicomprensività del diritto pubblico nazionale, che incide ormai pesantemente nelle sfere giuridiche dei singoli: laddove, invece, le competenze esecutive comunitarie dovessero estendersi ad ambiti che coinvolgano direttamente gli interessi dei terzi, oltre a quelli individuali dei destinatari delle sanzioni, allora non vi sarebbero più esimenti per la mancata introduzione di un contraddittorio generalizzato316.
Quanto alla partecipazione necessaria, tra i diretti destinatari degli effetti del provvedimento rientrano sicuramente i titolari di interessi sia pretesivi che oppositivi317: se, infatti, la necessità del contraddittorio è evidente in quei procedimenti che possono concludersi con un atto pregiudizievole318, a cui ci si oppone, nondimeno si ha interesse a partecipare ai procedimenti che recano un beneficio, magari per rendere più adeguata ed accurata l’azione amministrativa319.
La legge fa poi riferimento ai “terzi”, individuati o facilmente individuabili, diversi dai diretti destinatari, potenzialmente pregiudicati dal provvedimento e, quindi, controinteressati in senso sostanziale alla sua adozione; si tratta, cioè, di soggetti titolari di una situazione
315 Cfr., le importanti conclusioni a cui giunge X. XXXXXXXX, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (La legge n. 241 del 1990 alla luce dei principi comunitari), Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, pp. 92-95.
316 Ancora sul punto M. CARTABIA, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (La legge n. 241 del 1990 alla luce dei principi comunitari), Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, p. 96.
317 Secondo X. XXXXXXXX, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo, cit., pp. 98-99 esiste sul punto una fondamentale differenza tra il diritto comunitario e il diritto interno: nel primo caso “la partecipazione sembra garantita solo quando l’attività della pubblica amministrazione può diminuire la posizione dei soggetti intervenienti, non quando può migliorarla”; nel secondo caso la partecipazione è garantita in qualsiasi tipo di procedimento, ablatorio, concessorio o autorizzatorio, visto che se la legge avesse voluto escludere l’applicazione del principio del contraddittorio per determinate species procedimentali lo avrebbe fatto esplicitamente.
318 Secondo X. XXXXXXXX, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo, cit., p. 96 e ss., nel concetto di “pregiudizio” rientra il c.d. “mancato beneficio”, cioè il fenomeno per cui un soggetto lamenta la mancata concessione di un vantaggio ad altri concesso; conferma di questa impostazione si potrebbe rinvenire forse nell’art. 12 della legge 241/1990, il quale subordina la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausilii finanziari ed altri vantaggi economici a forme più stringenti di pubblicità, ai fini della pubblica trasparenza.
319 Cfr., X. XXXXXXXX, Emersione e risoluzione di problemi nei primi dieci anni di applicazione dell’istituto della partecipazione del privato al procedimento amministrativo, in La legge n. 241/1990: Fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. ARENA, X. XXXXXXXX, X. X. ACUNA, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., p. 212 e ss.
giuridica “strutturata”320, preesistente rispetto all’esercizio del potere, suscettibile di essere pregiudicata dall’atto finale, e per questo legittimati a rappresentare interessi esclusivamente oppositivi.
Non sembra, del resto, che il dettato normativo possa legittimare diversa interpretazione e, quindi, ammettere la necessarietà dell’intervento dei soggetti cointeressati all’adozione del provvedimento, i quali finirebbero per rappresentare l’interesse pubblico, anziché il proprio interesse. Si immagini, ad esempio, una situazione per cui l’amministrazione avvii un procedimento diretto all’annullamento dell’autorizzazione allo svolgimento di un’attività produttiva o commerciale; a fronte dell’effetto pregiudizievole per il destinatario del provvedimento, si potrebbe collocare un eventuale vantaggio per il terzo proprietario confinante, il quale magari vorrebbe depositare memorie e documenti a sostegno delle argomentazioni della P.A.
In questo caso è evidente che il terzo non riveste la qualità di controinteressato in senso sostanziale, in quanto non potrebbe mai vantare un interesse materiale suscettibile di essere compromesso: la sua è piuttosto una situazione di aspettativa.
Infine, sono parti necessarie del procedimento coloro che per legge debbono intervenirvi. Si tratta in massima parte di soggetti aventi una natura pubblica, chiamati a svolgere funzioni consultive, di concertazione o di accertamento tecnico. Meno agevole risulta l’individuazione nell’ambito dei soggetti privati: con un po’ di approssimazione, forse, ci si potrebbe riferire alle associazioni e ai comitati, titolari di interessi legittimi, che perseguono finalità statutarie connesse con l’oggetto del procedimento.
Quanto alla partecipazione volontaria, meramente eventuale, l’art. 9 sembra legittimare l’intervento di soggetti titolari di posizioni “destrutturate”, cioè di interessi giuridici (diversi dal diritto soggettivo e dall’interesse legittimo) non collegati direttamente ad un bene della vita, ma, comunque, amministrativamente protetti. Infatti, “la locuzione “Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici e privati… cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento” sembra consentire ad un ampio spettro di soggetti di prendere parte al procedimento. Oltre ai destinatari dell’atto e ai controinteressati pretermessi, nonché agli enti esponenziali che partecipano facendo valere interessi collettivi, tutti titolari di interessi legittimi, essa abiliterebbe ad intervenire nel procedimento anche soggetti in capo ai quali non pare individuabile una concreta situazione assegnata dall’ordinamento (in via originaria o derivata, come accade quando questa situazione è conferita dal potere) ai fini della protezione di un bene materiale coinvolto dall’azione amministrativa”321. Ragion per cui, la legge stessa esclude che si possa evincere l’esistenza di una “scala di valori”322 tra le diverse posizioni giuridiche soggettive e gli interessi che vi sono sottesi, prima di tutto in rapporto allo schema partecipativo, in secondo luogo in relazione agli effetti del provvedimento finale.
Più semplicemente, quanto maggiore è l’intensità del collegamento tra titolarità dell’interesse giuridico sul bene e oggetto del procedimento, tanto più il terzo risulta individuato o facilmente individuabile per l’amministrazione e, di qui, l’obbligo di comunicazione d’avvio. Quanto più, invece, l’intensità del collegamento è minore, tanto più è difficile (e in alcuni casi impossibile) la sua individuazione. Una conferma di questa impostazione, del resto, è rinvenibile nella portata normativa dell’art. 10, il quale prevede gli stessi diritti “procedimentali” sia per i partecipanti necessari che per quelli eventuali323.
320 Cfr., sul punto le ampie considerazioni di X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, pp. 392-398.
321 X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, p. 404. 322 Vedi le considerazioni di X. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, Cedam, cit., p. 52. 323 L’art. 10, l. n. 241/1990 dispone che: “I soggetti di cui all’art. 7 e quelli intervenuti ai sensi dell’art. 9 hanno diritto: a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto disposto dall’art. 24; b) di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento”.
Tuttavia, nonostante la portata estremamente innovativa della norma generale rispetto alla disciplina normativa previgente, articolata in modo del tutto settoriale, a rigore non può parlarsi dell’introduzione di una “azione popolare”324.
Infatti, contrariamente a quanto prevedeva la proposta di disegno di legge elaborata dalla Commissione Xxxxx, per la quale era legittimato a partecipare qualunque soggetto portatore di interessi pubblici, diffusi o privati, cui potesse derivare un pregiudizio dal procedimento, l’attuale assetto richiede quale specifico requisito, oltre al pregiudizio, la costituzione in associazioni o comitati325: il fatto stesso di subordinare la legittimazione procedimentale al requisito strutturale e organizzativo326 consente di dubitare della natura propriamente “diffusa” degli interessi, così come, del resto, accostare l’istituto della legittimazione al fenomeno della partecipazione popolare risulta una contraddizione in termini; ulteriore conferma in tal senso il fatto che l’intervento, condizionato dalla necessità della ricorrenza del “pregiudizio”327, sia di tipo oppositivo: se la partecipazione fosse veramente generalizzata al massimo grado, non dovrebbe escludersi un intervento pretensivo o, addirittura, propositivo328.
Semmai è vero il contrario, e cioè che ancora prima dell’approvazione della legge sul procedimento amministrativo dottrina e giurisprudenza,329 rimarcando la necessità di rimanere nel solco della tradizione, interpretarono intenzionalmente in chiave “collettivistica” la categoria degli interessi diffusi (come se anche per questi fosse rintracciabile un soggetto esponenziale) e, sempre consapevolmente, esclusero dall’ambito di operatività della legge proprio quei procedimenti in cui poteva essere possibile la partecipazione degli interessi diffusi330 correttamente intesi. Da qui, l’evidente discriminazione tra la partecipazione regolata da norme particolari e settoriali e la partecipazione regolata dal Capo III, decisamente più garantistica331.
Non è un caso, del resto, che la possibilità di introdurre nel procedimento amministrativo gli interessi diffusi sia stata riconosciuta non alla generalità dei soggetti, ma solo a determinate
324 Cfr., le riflessioni di X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, p. 407: “Seppure abbia accezione diversa rispetto a quella assunta nell’art. 7, legge n. 241/1990, non può non tenersi in considerazione il “pregiudizio” ex art. 9, legge cit.: esso pare costituire ostacolo per qualsiasi tentativo volto a sostenere che il quivis de populo possa avvalersi dell’istituto partecipativo contenuto nel capo III della citata legge, che non sembra introdurre una sorta di partecipazione c.d. organica”.
325 Vedi le conclusioni di X. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, cit., p. 53 e, solo in chiave retrospettiva, XXXXX, Ma che cos’è questo interesse legittimo, in Foro amministrativo, 1988, II, p. 322.
326 I portatori di interessi diffusi sono stati, per così dire, “istituzionalizzati”: la l. n. 349/1986 istitutiva del Ministero dell’Ambiente legittima all’intervento nel procedimento le associazioni ambientaliste più rappresentative, riconosciute con decreto ministeriale e dotate di legittimazione processuale.
327 Vedi X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, p. 405, dove viene riportato il diverso orientamento dottrinario sintetizzabile nella teoria “del minor vantaggio conseguibile”, in forza del quale l’art. 9 dovrebbe essere letto nel senso di ammettere a partecipare in via oppositiva o pretensiva tutti coloro ai quali dal provvedimento derivi un qualche effetto sulla propria posizione giuridica, senza distinzione alcuna.
328 Vedi sul punto le riflessioni di X. XXXX, Contributo allo studio della manifestazione degli interessi diffusi nel procedimento amministrativo, Roma, 1996, p. 179.
329 Cfr., Adunanza Generale del Consiglio di Stato, parere 7 febbraio 1987, n. 7: “va rilevato che la duplicità delle espressioni adoperate (interesse diffuso, interesse collettivo) non pare contribuire alla chiarezza della formula normativa: meglio sarebbe avvalersi, perciò, solo del primo degli anzidetti termini”.
330 L’art. 13 della legge n. 241/1990 statuisce: “Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione degli atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”.
331 Come ha ben evidenziato X. XXXXX, Procedimento, procedura, partecipazione, in Studi in memoria di Xxxxxxxxxx, Padova, Cedam, 1975, p. 795, come la partecipazione sociale e quella individuale avvengono su due piani diversi, così divergono la partecipazione individuale in nome della società e la partecipazione individuale in nome proprio, in funzione di difesa. In materia urbanistica, ad esempio, la partecipazione dei privati alla formazione dei piani è di mera collaborazione all’azione della P.A.. “Di ciò è segno d’altra parte la stessa tendenza dominante della giurisprudenza secondo cui una volta soddisfatto l’obbligo di esaminare le osservazioni, la p.a. può anche rigettarle tutte ed anche in un solo contesto temporale”. Così X. XXXXXXX, Il piano regolatore, cit., p. 147.
associazioni e comitati, come se questi potessero effettivamente far valere interessi particolari in nome della società.
Ora, a parte la difficoltà (ed erroneità332) nel ridurre l’interesse diffuso ad interesse particolare, è possibile constatare che, per quanto l’interesse diffuso (rectius, collettivo) possa essere “qualificato” e “differenziato”333 in ragione del suo valore sociale, in molti casi (non essendo rintracciabile una relazione immediata tra il bene e l’interesse) è possibile ipotizzare una legittimazione alla rappresentazione esclusivamente di natura procedimentale, risultando in definitiva preclusa la legittimazione alla successiva fase giurisdizionale. Analoga situazione inoltre, nonostante le apparenze, può verificarsi nel caso in cui a partecipare siano i singoli soggetti che, non individuati o comunque non facilmente individuabili, si rendano portatori di interessi pubblici o privati che non abbiano direttamente ad oggetto un bene materiale della vita.
In linea di massima, quindi, una perfetta corrispondenza tra legittimazione procedimentale e legittimazione processuale è immaginabile solo nelle ipotesi disciplinate dall’art. 7334, visto che l’amministrazione ha la reale possibilità di comunicare l’avvio del procedimento ai destinatari del provvedimento, ai controinteressati in senso sostanziale e a coloro che per legge debbono partecipare proprio perché essi sono e appaiono anche all’esterno come titolari di diritti soggettivi o di interessi legittimi.
Questo ovviamente non significa che enti esponenziali e soggetti non individuati o non facilmente individuabili non possano in assoluto essere effettivamente titolari di diritti soggettivi o di interessi legittimi (si noti per inciso che l’art. 96, l. n. 349/1986, pur abilitando qualsiasi cittadino a partecipare alla valutazione di impatto ambientale, riconosca la legittimazione processuale alle sole associazioni ambientaliste riconosciute titolari di interessi legittimi); ma significa solo che per determinati soggetti la titolarità di una situazione giuridica protetta può non risultare immediatamente evidente all’esterno o comunque prima del termine dell’attività istruttoria. Da qui l’ampia possibilità di partecipare solo dimostrando la pertinenza del proprio intervento rispetto all’oggetto del procedimento, con le particolari conseguenze che questo comporta: l’interesse procedimentale può prescindere dalla titolarità della situazione sostanziale di diritto soggettivo o di interesse legittimo, mentre questi ultimi presuppongono a monte la possibilità di far valere nel procedimento così come nel processo gli interessi sottesi, tra cui appunto gli interessi procedimentali335.
In conclusione, è agevole rilevare come la partecipazione al procedimento amministrativo non muti la natura della situazione sostanziale: ove si trattasse di diritto soggettivo o di interesse legittimo la mancata partecipazione non “affievolirebbe” la pretesa sostanziale, la quale potrebbe essere tutelata ex post aggredendo il provvedimento amministrativo; al contrario, ove si trattasse di interesse meramente procedimentale, la partecipazione non sortirebbe l’effetto di trasformarlo in interesse legittimo o in diritto soggettivo, né tanto meno modificherebbe i presupposti positivamente previsti ai fini della legittimazione processuale336.
332 X. XXXXX, La legge tutela l’interesse diffuso, ma il giudice ne ricava un interesse individuale, in Le regioni, 1980, p. 734 e ss.; Interessi senza struttura (i c.d. interessi diffusi), in Studi in onore di X. Xxxxxx, Milano, 1982, p. 76: gli interessi diffusi “non possono mai divenire individuali verso il potere amministrativo, in quanto vivono solo perché stanno insieme, sono plurali e non accettano una personalizzazione”.
333 Xxxx X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, p. 409: la differenziazione degli interessi giuridici dipende da molti fattori, quali ad esempio “la prossimità territoriale, l’appartenenza ad un gruppo sociale o ad una categoria produttiva o professionale, l’avere intrattenuto in passato particolari relazioni con l’amministrazione o con i partecipanti al procedimento titolari di interessi legittimi, la pertinenza del loro interesse rispetto all’oggetto del procedimento”.
334 Cfr., X. XXXX, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Xxxxxxx Editore, 1996, pp. 80-81.
335 In questo senso X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, p. 86: “Poco importa, dunque, che la situazione soggettiva su cui il procedimento incide sia un diritto soggettivo o un interesse legittimo, perché all’interno del procedimento quegli stessi poteri sono la manifestazione di un’altra situazione giuridica, appunto l’interesse procedimentale”.
336 Cfr., X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 228 e ss.
Una volta dimostrata l’autonomia dei concetti di “giuridicità”337 e di interesse giuridicamente rilevante rispetto alle vicende partecipative, occorre chiedersi se sia ancora possibile costruire in modo separato ed autonomo legittimazione procedimentale e legittimazione processuale, fermo restando comunque l’impossibilità di una loro “omologazione”.
Xxxxxxx si concludesse in senso positivo, si creerebbe evidentemente un’aporia nel sistema: se non fosse possibile un raccordo giuridico tra la partecipazione al procedimento e la legittimazione processuale338, come sarebbe conciliabile una situazione per cui le stesse memorie valutate ai fini dell’adozione del provvedimento amministrativo potrebbero non formare il contenuto di un ricorso giurisdizionale?339 Come sarebbe possibile concepire, inoltre, il fatto che uno stesso interesse fosse giuridicamente rilevante nel procedimento ma non eventualmente nel processo?
Certo, si potrebbe sempre prospettare la possibilità per cui il ricorrente legittimato possa chiedere l’annullamento del provvedimento illegittimo per omessa od insufficiente valutazione delle argomentazioni proposte dai titolari di interessi meramente procedimentali; ma, a ben vedere, la soluzione non convince: in primo luogo perché nel contraddittorio processuale le argomentazioni dei terzi possono essere introdotte non di per sé, ma solo in via strumentale, e cioè a sostegno di motivi di ricorso che, se accolti, soddisfano principalmente le pretese legittime del ricorrente; in secondo luogo perché non sarebbe giuridicamente corretto condizionare la rilevabilità di un vizio all’attività solo eventuale di un terzo ricorrente, magari nemmeno interessato alla sua concreta rilevazione. Del resto è un’ acquisizione giuridica ormai consolidata il principio per cui non esistono diritti senza la garanzia dell’azionabilità della relativa pretesa.
Per questi motivi l’orientamento dominante in dottrina ritiene che l’esigenza di riconoscere la legittimazione processuale dipenda da fattori formali e sostanziali insieme: è la stessa “possibilità di far valere giuridicamente in una sede quanto è consentito far valere giuridicamente in un’altra”340 che crea un raccordo giuridico tra legittimazione procedimentale e legittimazione processuale, a tutto vantaggio dell’effettività del contraddittorio341.
La soluzione più corretta è allora quella tracciata dal giudice amministrativo342, fondata sulla correlazione tra l’interesse all’impugnazione e le violazioni procedurali addotte: l’interesse a ricorrere non può radicarsi “nella generica pretesa alla puntuale applicazione di norme procedimentali avulsa dalla prospettazione dei vizi dell’atto che incidano sulla sfera giuridica del soggetto ricorrente, ledendone l’interesse sostanziale ad un bene della vita.
337 Vedi sull’importanza di costruire un concetto universale ed unitario di giuridicità e di interesse giuridicamente rilevante: X. XXXXXXXX, “Quantità” e “Qualità” della partecipazione (Tutela procedimentale e legittimazione processuale), Milano, Xxxxxxx Editore, 2000, p. 95.
338 “Tra procedimento e processo non vi è dunque un rapporto di separazione e neppure di alternatività, ma di complementarietà e di integrazione, potremmo dire, “selettiva”, nel senso che non sempre la partecipazione al procedimento è veicolo di legittimazione processuale”. Così X. XXXXXXX, La partecipazione al procedimento e le pretese partecipative, in Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, a cura di X. XXXXXXX, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 1990, p. 97.
339 Cfr., X. XXXXXXXX, Emersione e risoluzione di problemi nei primi dieci anni di applicazione dell’istituto della partecipazionedel privato al procedimento amministrativo, in La legge n. 241/1990: Fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. ARENA, X. XXXXXXXX, X. X. ACUNA, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., p. 223.
340 Cfr., X. XXXXXXXX, “Quantità” e “Qualità” della partecipazione (Tutela procedimentale e legittimazione processuale), Milano, Xxxxxxx Editore, 2000, pp. 61-63.
341 Cfr., X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 205 e ss., sulla possibilità di ipotizzare un raccordo giuridico tra le diverse fasi del procedimento, del contenzioso e del processo ai fini dell’effettività del contraddittorio.
342 Consiglio di Stato, sez. V, 27 luglio 0000, x. 000, xx Xx C.d.S., 1989, I, p. 930; Consiglio di Stato, sez. IV, 10 marzo 1992, n. 268, in Il C.d.S., 1992, I, p. 373; Consiglio di Stato, sez. IV, 4 settembre 1992, n. 724, in Il C.d.S., 1992, I, p. 1042; T.A.R. Campania, sez. Salerno, 13 settembre 1994, n. 469, in I T.A.R., 1994, I, p. 4166.
Infatti, l’eventuale lesione dell’interesse procedimentale oltre a non costituire autonomo motivo di impugnativa, ma solo “presupposto per l’adozione di misure rivolte o contro l’atto emanato o contro successivi atti non strumentali, ma principali”343, sarebbe tutelabile in via giurisdizionale solo nella misura in cui provocasse la lesione di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo: ed è effettivamente “legittimo” l’interesse a partecipare al procedimento ove si debba tutelare una situazione sostanziale e a veder sufficientemente e convincentemente motivate le memorie pertinenti all’oggetto del procedimento.
2.9. L’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo.
La maggiore novità introdotta dall’art. 3 della legge n. 241/1990 non consiste nella previsione di un obbligo generalizzato di motivazione del provvedimento amministrativo in sé e per sé, quanto, invece, nel collegamento tra il detto obbligo e le regole della decisione: “ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato” e “la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.
Ciò, ovviamente, non toglie che la deliberazione finale competa pur sempre alla pubblica amministrazione nella sua qualità di soggetto decidente, e, anzi, che la stessa possa, nella sua discrezionalità, valutare se e quali documenti, atti o fatti introdotti dai privati siano rilevanti (e soprattutto in che misura) ai fini della decisione344. Più semplicemente, l’obbligo di motivazione comporta che coloro che hanno partecipato al procedimento possano esaminare quanto e in quale modo i propri punti di vista siano stati presi in considerazione, controllo oggi reso più agevole dal fatto che i presupposti in punto di fatto e le ragioni in punto di diritto vengono esposte non già in modo apodittico, ma in base a quelle risultanze dell’istruttoria che ne costituiscono il parametro di giudizio: da qui l’illegittimità di una decisione che si fondi su elementi che non abbiano formato oggetto di dibattito procedimentale o che, pur formandone oggetto, siano stati falsamente considerati.
Infatti, si può ritenere, a ragione, che la motivazione non rappresenti la misura della partecipazione, quanto, invece, la misura della decisione. È vero, certo, che “la partecipazione contribuisce ad “aprire” la procedura al controllo giurisdizionale in quanto sottopone all’esame di legittimità gli apprezzamenti dei responsabili per l’amministrazione riguardo agli interessi introdotti dai vari soggetti portatori, a cominciare da quegli interessi ritenuti recessivi dalla decisione”345, e che, attraverso l’obbligo di motivazione, si palesa il contenuto effettivo della partecipazione, ma si tratta solo di un effetto indiretto, derivante dalla esposizione della logica del ragionamento seguito dall’amministrazione decidente, la quale può anzi giovarsi dell’apporto collaborativo dei privati, non costituendo questo necessariamente un ostacolo alle sue determinazioni.
Semmai, il punto nodale è un altro346: legare insieme le sorti della partecipazione e della motivazione – fenomeno molto frequente in passato347- comporta un reciproco
343 X. XXXXXXXX, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 2002, p. 86. 344 Vedi in proposito X. XXXXXXXX, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo (La legge n. 241 del 1990 alla luce dei principi comunitari), Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, p. 126.
345A. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, cit., p. 187.
346 Cfr., le riflessioni di X. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, cit., p. 146, nota n. 8: “D’altra parte, anche quando la partecipazione era ammessa dalle norme dei procedimenti tipici e di fatto esercitata dai soggetti titolari, l’interpretazione restrittiva dell’obbligo di corrispondente motivazione da parte della giurisprudenza, portata avanti all’insegna di una malintesa distinzione tra interventi a titolo di collaborazione ed a titolo di tutela, sovente sovrapponeva uno schermo insuperabile alla percezione analitica dei vizi di ponderazione. Nel caso paradigmatico delle osservazioni al piano regolatore generale, come in numerose altre ipotesi, la giurisprudenza riteneva sufficiente una motivazione sintetica, a prescindere dalla intrinseca rilevanza delle situazioni coinvolte rappresentate dagli atti di intervento”.
347 Vedi l’evoluzione interpretativa rispetto al passato in voce motivazione dell’atto amministrativo in enciclopedia del diritto p. 782 “Se prima si doveva ammettere che l’intrinseca adeguatezza della misura adottata
impoverimento, in quanto sarebbe in astratto pensabile e in concreto realizzabile un procedimento in cui, nonostante il contraddittorio formale, la decisione fosse adottata già prima della comunicazione d’avvio, con ciò riducendo la motivazione a garanzia addirittura extraformale348 (si pensi alla falsa considerazione di alternative che in realtà non sono mai entrate in “competizione” con quella dell’organo decidente). Al contrario, se la motivazione misurasse la correttezza della decisione, per il tramite delle risultanze dell’istruttoria, allora sì la motivazione sarebbe una garanzia formale-sostanziale, in grado di giustificare tutte le possibili e astratte soluzioni del problema amministrativo, da qualunque parte prospettate.
In quest’ottica, davvero pertinente risulta la presa di posizione del Consiglio di Stato349, anticipatrice delle soluzioni accolte dalla vigente legge sul procedimento amministrativo, per cui “non è nella possibilità del contraddittorio –o non è solo in questo- che risiede, nella materia specifica, la vera garanzia del privato, sebbene nella “imparzialità” della scelta amministrativa, che solo può discendere da una valutazione generale degli interessi coinvolti”.
Di effettiva imparzialità si può quindi parlare solo se l’amministrazione procedente, in persona del responsabile del procedimento, accetta una istruttoria partecipata, una comparazione, senza pregiudizi, delle diverse soluzioni prospettate dalle parti.
Anzi, proprio nel collegamento contraddittorio – imparzialità - motivazione della decisione si coglie il fenomeno della c.d. procedimentalizzazione (o addirittura processualizzazione) dell’azione amministrativa350, al punto che l’attività di ponderazione è oggi costruita non tanto come risultato, esito finale, quanto come vero e proprio procedimento351: e questo, in primo luogo, significa che la valutazione non consiste in una mera attività materiale, ma in una funzione. Non stupisce affatto, del resto, che il controllo giudiziale sulla motivazione rappresenti un indice rivelatore dell’eccesso di potere per omessa o insufficiente valutazione di fatti o di interessi, esattamente come “le varie categorie del vizio dell’eccesso di potere, distinto dallo sviamento, sarebbero indici della funzione o, meglio, indici negativi, in quanto la funzione verrebbe alla luce solo come disfunzione”352.
Il sindacato sull’eccesso di potere, inteso quindi come vizio della funzione, esercita un controllo penetrante sulla ragionevolezza-giustizia dell’attività valutativa della pubblica amministrazione, perché, come ha ben evidenziato il Consiglio di Stato353, l’attività di ponderazione non significa assenza di sacrificio ma, al contrario, ragionevolezza del sacrificio,
sfuggisse tendenzialmente al giudice della legittimità, in quanto la decisione costituiva il frutto della capacità soggettiva, definita talvolta addirittura come “intuito” del funzionario, oggi ciò non dovrebbe in linea di massima accadere, perché i titolari della potestà di riscontro hanno in mano gli stessi identici elementi di cui dispone l’amministrazione al fine di orientare il proprio decidere, e tali elementi risultano evidenziati nel cosiddetto dossier”.
348 Vedi Consiglio di Stato, sez. IV, 31 gennaio 1995, n. 36, in Il C.d.S., 1995, I, p. 35; e T.A.R. Liguria, sez. II, 14 aprile 1993, n. 97, in I TAR, 1993, I, p. 1890: “La motivazione degli atti discrezionali deve enunciare le valutazioni, derivanti dall’applicazione dei criteri deducibili dalle norme, compiute con riferimento alla situazione di fatto ed all’assetto degli interessi da regolare nel caso concreto e non può limitarsi a descrivere estrinsecamente il modus operandi dell’amministrazione, a richiamare in modo generico ed astratto i criteri normativi affermando di averne tenuto conto”.
349 Vedi la sentenza resa dal Consiglio di Stato, sez. IV, 29 luglio 0000, x. 000, xx Xx C.d.S. 1980, p. 973 ss.
350 Vedi la sentenza resa dal T.A.R. Lazio, sez. I, 2 dicembre 1995, n. 2036, in Foro amministrativo, 1996, p. 1666 ss.: “Pur non rientrando nei poteri del giudice amministrativo, in sede di giudizio di legittimità, alcun potere di sindacato sulle scelte di merito effettuate da organi amministrativi operanti sulla base di cognizioni tecniche, non può mancare, nella individuazione dei presupposti di fatto con cui è necessario dar conto nella motivazione di ogni provvedimento amministrativo, il raffronto tra le tesi del collegio dei periti e la perizia di parte, essendo in contrasto con le regole della logica e dell’imparzialità che presiedono allo svolgimento dell’azione amministrativa il prevalere della tesi del collegio dei periti senza esame ed analisi di quella che ad essa si contrappone nel procedimento”.
351 Cfr., le riflessioni di X. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, cit., p. 151 ss.
352 Vedi le interessanti conclusioni a cui conduce la scoperta della “funzione” nell’articolo di X. XXXXX,
Procedimento, Procedura, Partecipazione, in Studi in memoria di Xxxxxxxxxx, Padova, Cedam, 1975, p. 779 e ss.
353 Vedi Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 6 febbraio 1993, n. 3, in Il C.d.S., 1993, I, p. 153 ss.
tenuto conto della pluralità dei valori e degli interessi, della alternatività delle soluzioni e della necessità di stabilire un equilibrio. In quest’ottica, “ il maggiore o il minore peso che in un particolare intreccio istruttorio assume un certo interesse che, per ipotesi, venga sacrificato nella scelta amministrativa, dovrebbe potersi tradurre in un corrispondente maggiore o minore rigore riguardo al criterio di sufficienza della motivazione”354: e questo non solo per il principio di proporzionalità (quanto più importante è il valore oggettivo dell’interesse in relazione all’istruttoria, tanto più la motivazione dovrà essere stringente per convincere) ma, soprattutto, per il principio di effettività ed efficienza della motivazione (lo scopo della motivazione è la trasparenza, non l’apparenza).
In questo contesto, in definitiva, si comprende meglio anche la ragione per cui contraddittorio e motivazione amplino le possibilità di tutela: è l’obbligo stesso di motivare in base alle risultanze di ciò di cui si è discusso in contraddittorio a misurare la legittimità e la giustizia della decisione adottata355. Xxxx, forse non a caso il legislatore ha adottato la formula “risultanze” anziché “risultanza” o “ risultato”, proprio per sottolineare che la decisione non rappresenta l’esito di una ipotesi, quanto, invece, il portato di un complesso eterogeneo di ipotesi, tra loro alternative356.
L’entrata in vigore della legge n. 241/1990, collegando esplicitamente obbligo di motivazione e regole della decisione, ha sortito anche l’importante effetto di spostare il controllo giurisdizionale da un sindacato meramente sintomatico dell’attività di ponderazione (vizio di eccesso di potere) ad un sindacato di tipo eziologico (vizio di violazione di legge).357
Gli indici rivelatori del grado di sufficienza della motivazione sono quindi normativamente individuati.
In base all’art. 3, comma 1, la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
L’art. 6, lettere a-b, dispone che il responsabile del procedimento valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento; accerta d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali.
La nuova lettera e) dell’art. 6, invece, stabilisce che il responsabile del procedimento adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.
L’art. 10, lettera b, prevede ancora che i soggetti che partecipano al procedimento a norma degli artt. 7 e 9, hanno diritto di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento.
Il nuovo art. 10-bis, inoltre, rafforza l’obbligo motivatorio introducendo l’istituto della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della istahnza (cd predecisione), avverso la
354 Xxxx X. XXXXXXXX, “Quantità” e “ qualità” della partecipazione (Tutela procedimentale e legittimazione processuale), Milano, Xxxxxxx Editore, 2000, p. 102 e ss.
355 Cfr., in tal senso X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 200 e ss.
356 Vedi ancora sull’argomento X. XXXXXXXX, “Quantità” e “ qualità” della partecipazione (Tutela procedimentale e legittimazione processuale), Milano, Xxxxxxx Editore, 2000, p. 105.
357 Cfr., X. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, cit., p. 153 e ss.; T.A.R. Piemonte, sez. II, 24 novembre 1995, n. 626, in I T.A.R., 1996, I, p. 97: “Il dovere di motivazione di cui all’art. 3 l. 7 agosto 1990
n. 241, ormai non più riconducibile ad alcuna delle figure sintomatiche di eccesso di potere, attinge il proprio contenuto dalle risultanze dell’istruttoria come emerse nel corso del procedimento, di guisa che l’idoneità e l’intrinseca sufficienza dell’adempimento di tale dovere non va valutata in astratto ma comparandosi con la corrispondenza tra la decisione adottata dall’autorità procedente col provvedimento e le acquisizioni istruttorie”.
quale l’interessato ha il diritto di presentare osservazioni, di cui l’amministrazione deve tenere conto ai fini della motivazione del provvedimento finale.
Il nuovo comma 4-bis dell’art. 11 impone l’obbligo di adozione di una determinazione preventiva da parte dell’organo che sarebbe competente all’adozione del provvedimento finale. In tema di revoca del provvedimento il nuovo art. 21-quinquies prevede che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Tuttavia, se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo.
Un particolare obbligo motivatorio, infine, grava sulla pubblica amministrazione ai sensi del nuovo art. 21-octies, secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Il nuovo art. 21-nonies, infine, con riguardo all’annullamento d’ufficio, dispone che il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. In ogni caso è fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
3. Riflessioni sulla necessità di compromesso tra esigenze di realizzazione del contraddittorio ed esigenze di accelerazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi.
Apparentemente, l’essenza del principio del contraddittorio sembra essere tutta racchiusa in alcuni capi soltanto della legge n. 241/1990, e, precisamente, il Capo I sui principi generali, il Capo II sulla figura del responsabile del procedimento, il Capo III sulla partecipazione al procedimento amministrativo, il Capo V sull’accesso ai documenti amministrativi. Da questa elencazione, quindi, ne risulterebbe escluso il solo Capo IV, relativo agli istituti di semplificazione dell’azione amministrativa. Si tratta, a ben vedere, di una conclusione originata dall’erronea premessa che tra il principio del contraddittorio e gli istituti di semplificazione si possa ipotizzare solo un rapporto di antitesi e di reciproca esclusione.
Certamente, non si pone in dubbio il fatto che tra le due realtà esista un innegabile attrito, ma ciò non significa che non si possa trovare un compromesso tra esigenze di partecipazione ed esigenze di efficienza e di efficacia dell’azione amministrativa. Xxxx, molti Autori358sostengono che la vera attività di semplificazione non consiste in un’operazione tecnica, neutra, ma, al contrario, nell’esercizio di un potere di scelta: semplificare non significa affatto rendere più semplice, ma rendere più semplice a parità di risultato359.
Parallelamente, la complicazione non è affatto un disvalore se possono essere ottenuti risultati maggiori rispetto a quelli ottenibili con procedure semplificate, ma lo diventerebbe certamente a parità di risultati.
358 Cfr., le considerazioni di X. XXXXXX, Semplificazione, garanzie, certezza: modelli di composizione degli interessi, p. 59 e ss.; di G. ARENA, Il potere di semplificazione, p. 103 e ss.; di X. XXXXXX JAMBRENGHI, Il procedimento amministrativo tra semplificazione e garanzie: la semplificazione codificata, p. 107 e ss. in Il procedimento amministrativo in Europa (Atti del Convegno di Milano), a cura di M. A. SANDULLI, cit.
359 X. XXXXXX, Semplificazione, garanzie, certezza: modelli di composizione degli interessi, cit., p. 60.
Proprio queste considerazioni lasciano trasparire la vera dimensione del contraddittorio: non strumento di complicazione occasionale, ma garanzia a lungo termine della parità di risultato anche laddove vengano perseguite istanze di semplificazione360.
Resta ora da dimostrare come il compromesso possa in concreto essere raggiunto.
Infatti, non sempre è possibile semplificare eliminando termini, limiti, modalità effettivamente inutili, in quanto più spesso non esistono istituti veramente tali: in questi casi, allora, non può che farsi affidamento sul principio tanto garantistico quanto fluido della ragionevolezza. Per cui, se l’art. 1 della legge pone il divieto di aggravamento del procedimento, questo è subito temperato dalla ricorrenza di straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria. Così, se pure la legge impone il rispetto del termine entro cui si deve concludere il procedimento, non si può sottacere il potere del responsabile del procedimento, ex art. 6, di adottare le misure necessarie per uno svolgimento tanto sollecito quanto adeguato del procedimento stesso. E che dire poi delle altre attività endoprocedimentali? Se, da una parte, sono criticabili i comportamenti volutamente dilatori ed ostruzionistici (si pensi alla strumentalizzazione delle sospensioni, delle proroghe, delle interruzioni, nonché ai ritardi, ai silenzi, alle reticenze), dall’altra però il compimento di determinate attività non può dirsi inutile. Così, ad esempio, non si può prescindere dalla regolarizzazione dei documenti, anche se il tempo necessario dovrebbe essere scomputato dal tempo complessivo361; l’autocertificazione, tanto utile al privato, non può escludere in capo all’amministrazione il potere/dovere di accertamento e controllo; ancora, non si dovrebbe biasimare l’autorità procedente che legittimamente ritenga di attendere la comunicazione del parere obbligatorio, anche qualora il ritardo non sia giustificato da esigenze istruttorie, per il semplice fatto che, pur non essendo vincolante, il parere è pur sempre qualificato dalla legge come obbligatorio. Quanto al modello dell’attività denunciata previsto dagli artt. 19 e ss., come da ultimo modificati dalle leggi nn. 15 e 80/2005, la nuova disciplina stabilisce che ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell'ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria, è sostituito da una dichiarazione dell'interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste. L'amministrazione competente può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non siano attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. L'attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all'amministrazione competente. Contestualmente all'inizio dell'attività, l'interessato ne dà comunicazione all'amministrazione competente. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, adotta
360 Cfr., in proposito G. ARENA, Il potere di semplificazione, cit., p. 104, dove è chiaramente evidenziato che la semplificazione deve essere concepita come un processo che “duri nel tempo”.
361 Vedi le riflessioni di X. XXXXXXXXX, L’attuazione della L. 241/90 in materia di termini del procedimento, in La legge
n. 241/1990: fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. ARENA, X. XXXXXXXX, X. X. ACUNA, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., pp. 31-38.
motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Nei casi in cui la legge prevede l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, il termine per l'adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti sono sospesi, fino all'acquisizione dei pareri, fino a un massimo di trenta giorni, scaduti i quali l'amministrazione può adottare i propri provvedimenti indipendentemente dall'acquisizione del parere. Della sospensione è data comunicazione all'interessato. Restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attività e per l'adozione da parte dell'amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti.
L’art. 20 sul silenzio assenso, invece, prevede invece che, fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. L'amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati. Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Tali disposizioni non si applicano tuttavia agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti. Trovano invece applicazione gli articoli 2, comma 4, e 10- bis.
4. Implicazioni tra il principio del contraddittorio e l’amministrazione partecipata.
Il dibattito dottrinale sul significato e sulla funzione del principio del contraddittorio, sensibilmente alimentato dall’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 3 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo, dalle sentenze della Corte costituzionale sul giusto procedimento, nonché dall’entrata in vigore della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo, non è a tutt’oggi sopito, nonostante che, delle tre funzioni che tradizionalmente si attribuiscono al contraddittorio (funzione di garanzia, di partecipazione democratica, istruttoria), il legislatore abbia positivamente imposto quella che meglio realizza il compromesso tra istanze partecipative ed istanze di efficienza del sistema amministrativo: la funzione di garanzia362.
362 Cfr., per un’analisi delle tre funzioni M. CARTABIA, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 1991, p. 51 e ss.
Più specificamente, la ragione dell’attuale dibattito si incentra sul modo di concepire la funzione363 stessa, se cioè essa corrisponda ad un modello di difesa e contraddittorio in senso stretto o, invece, ad un modello meramente collaborativo364.
Il contraddittorio, infatti, evoca l’immagine tipicamente processuale del soggetto che, con l’atto tipico dell’opposizione, difende una propria situazione giuridica soggettiva, in una dimensione di confronto paritario ed effettivo.
Al contrario, la collaborazione evoca la tradizionale funzione di controllo sociale sull’operato dei pubblici poteri (ex post, o comunque in un momento successivo all’avvio del procedimento, quando ormai la P.A. ha già formato il proprio convincimento)365
A sostegno della prima tesi militano diversi argomenti: la partecipazione sembra ispirata a canoni tipicamente processuali (legittimazione a partecipare, rapporti tra procedimento e processo, partecipazione attraverso atti denominati “memorie”, istruttoria condotta in modo formale, interpretazione restrittiva dei casi in cui non è necessaria comunicazione d’avvio…); l’art. 13, poi, esclude dall’applicazione della presente legge proprio quei procedimenti che più ragionevolmente avrebbero meritato di essere inclusi se la partecipazione fosse veramente collaborativa.
Ma anche a sostegno dell’altra tesi si oppongono significativi argomenti: la legittimazione dei portatori di interessi diffusi, l’ampiezza del diritto di accesso che oltrepassa la mera difesa, il fatto che le memorie siano tali solo da un punto di vista formale, mentre sostanzialmente si tratta di osservazioni, opposizioni, proposte366.
Ora, al di là dell’esattezza dell’una o dell’altra ipotesi ricostruttiva, dato inconfutabile è che nemmeno il legislatore ha optato per una precisa scelta, con ciò volendo significare che, probabilmente, nemmeno si può distinguere tra attività puramente difensiva e attività collaborativa, essendo la partecipazione in generale caratterizzata dalla ricorrenza di entrambi i moduli: “una strategia difensiva può essere anche quella di offrire elementi di chiarificazione per la pubblica amministrazione, così come la collaborazione può essere esercitata attraverso argomentazioni di contrapposizione”367. Del resto, non bisogna dimenticare il fatto che già all’epoca della discussione del disegno di legge vi erano contrasti interpretativi, tanto che la progettata espressione di “contraddittorio” venne sostituita con quella meno “eversiva” di partecipazione; non solo, contrariamente a quanto aveva previsto la Commissione Xxxxx, venne eliminato anche l’istituto dell’istruttoria pubblica, il quale rappresentava forse uno dei pochi elementi giustificativi dell’interpretazione in chiave collaborativa della partecipazione368.
Un tipico esempio di partecipazione procedimentale chiaramente ispirata a moduli collaborativi è la partecipazione dei cittadini al procedimento di programmazione sanitaria, disciplinata al titolo IV dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, successivamente modificato dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229. La ragione di questa scelta procedurale risiede nelle caratteristiche dell’intervento, riservato in massima parte ad organismi rappresentativi: comitati ed organizzazioni di volontariato, infatti, a differenza dei singoli, potrebbero più facilmente
363 Sulla scoperta della “funzione” e sull’effetto positivo che tale scoperta ha prodotta nel sistema di giustizia amministrativa, vedi X. XXXXX, Procedimento, procedura, partecipazione, in Studi in memoria di Xxxxxxxxxx, p. 779 e ss.
364 Vedi le ipotesi ricostruttive di X. XXXXXXXX, Emersione e risoluzione di problemi nei primi dieci anni di applicazione dell’istituto della partecipazione del privato al procedimento amministrativo, in La legge n. 241/1990: fu vera gloria?Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. ARENA, X. XXXXXXXX, X. X. ACUNA, Edizioni Scientifiche Xxxxxxxx, xxx., x. 000 x xx.
000 Cfr., l’articolo di X. XXXXXXX, La partecipazione al procedimento e le pretese partecipative, in Il procedimento amministrativo tra semplificazione partecipata e pubblica trasparenza, a cura di X. XXXXXXX, Torino, Giappichelli Editore, 1990, p. 84 e ss.
366 Vedi voce partecipazione dei cittadini in enciclopedia del diritto p. 971.
367 Ancora voce partecipazione dei cittadini in enciclopedia del diritto p. 971.
368 Cfr., l’articolo di X. XXXXXXXX, I procedimenti di particolare interesse partecipativo, in La disciplina generale del procedimento amministrativo (Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione), Milano, Xxxxxxx Editore, 1989, p. 225 e ss. I procedimenti che prevedevano l’istruttoria pubblica erano: strumenti urbanistici, piani commerciali, piani paesistici, localizzazioni di centrali energetiche, esecuzione di opere pubbliche.
tradurre il dissenso in termini propositivi, ed instaurare così un valido confronto con l’amministrazione su un tema di estrema sensibilità, anche tenuto conto del fatto che l’art. 13,
l. n.241/1990 esclude dall’ambito di applicazione proprio gli atti di programmazione369.
Ancora su un piano di partecipazione collaborativa, notevole è stato lo sviluppo del c.d. diritto internazionale dell’ambiente, soprattutto al fine di sensibilizzare il pubblico alle tematiche ambientali e responsabilizzare e rendere più trasparente l’azione amministrativa370.
Già con la conferenza di Rio de Janeiro, tenutasi nel giugno del 1992, è emersa la necessità di assicurare ai cittadini interessati la possibilità di accedere alle informazioni e partecipare ai procedimenti decisionali.
Tappa decisiva anche la direttiva 85/337/CEE del 27/06/1985, in materia di valutazione di impatto ambientale: essa prevedeva che gli Stati fornissero al pubblico tutte le informazioni raccolte nella fase istruttoria, comprese le domande di autorizzazione, ed inoltre di fissare modalità e termini ragionevoli, al fine di rendere effettiva la partecipazione tramite l’esposizione di pareri prima dell’avvio del progetto. E infatti, già la l. n. 349/1986, istitutiva del ministero dell’ambiente, prevedeva che, durante le procedure di V.I.A., il progetto fosse comunicato e gli interessati posti nelle condizioni di presentare istanze, osservazioni, pareri, tenuti in considerazione in sede di decisione e di motivazione.
Con l’entrata in vigore della l. n. 241/1990 si sono posti problemi interpretativi circa la titolarità del diritto d’accesso: se, cioè, l’accesso all’informazione ambientale rappresentasse una specificazione del più generale diritto di accesso ai documenti amministrativi, e quindi azionabile sono dai titolari di situazioni giuridicamente rilevanti, o se invece si trattasse di un diritto indifferenziato, spettante a chiunque ne facesse richiesta. In quest’ultimo senso conclusero poi soluzioni di diritto positivo, sia a livello comunitario (direttiva 90/313/CEE del 7 luglio 1990), sia nazionale (d.lgs. n. 39/1997).
Merita infine considerazione la Convenzione di Aarhus, aperta alla sottoscrizione il 25 giugno 1998, che prevede la necessità che la partecipazione del pubblico sia assicurata all’inizio della procedura, quando tutte le opzioni e le soluzioni sono ancora possibili e quando il pubblico può esercitare una vera e propria influenza ; che la partecipazione sia assicurata almeno in forma scritta, anche se sono possibili audizioni ed inchieste pubbliche.
Sotto un profilo più chiaramente ispirato al diritto di difesa e al principio del contraddittorio in senso stretto è la problematica relativa all’ambito soggettivo di applicazione della normativa in questione371. Ora, secondo la dottrina maggioritaria, destinatari della legge sono tanto i cittadini italiani (a cui sono parificati i cittadini comunitari) tanto gli stranieri.
Se i procedimenti amministrativi comuni (es. rilascio di autorizzazione all’esercizio di attività commerciale) sono regolati da disposizioni comuni, particolari problemi si pongono per i procedimenti tipici: richiesta di visto, rilascio, rinnovo, revoca del permesso di soggiorno, espulsione, rimpatrio.
In linea generale anche in tali procedimenti gli stranieri godono di garanzie partecipative “minime”, sia prima dell’adozione del provvedimento, tramite il deposito di documenti, sia
369Vedi le considerazioni di X. XXXXXXXX, La partecipazione nel servizio sanitario nazionale, in Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, Prospettive ed esperienze, a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXX, Xxxxxxx Editore, cit., pp. 91-105, soprattutto per quel che riguarda i modelli di partecipazione a livello statale e regionale: il primo comportando maggiormente la partecipazione di organismi rappresentativi, il secondo prevedendo anche l’intervento dei singoli.
370 Per una analisi approfondita cfr., X. Xxxxxxxxx, in L’ambiente e i nuovi istituti della partecipazione, in Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, Prospettive ed esperienze, a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXX, cit., passim.
371 Sulle varie ricostruzioni interpretative, cfr., X.XXXX, Straniero e partecipazione al procedimento amministrativo, in Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, Prospettive ed esperienze, a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXX, Xxxxxxx Editore, cit., passim.
dopo, tramite l’istanza di riesame, ma su alcuni punti dottrina e giurisprudenza divergono fortemente.
In primo luogo, relativamente alla comunicazione d’avvio del procedimento, la giurisprudenza ritiene che non sia dovuta, motivando ora sull’assunto che ricorrano esigenze di celerità, ora sulla convinzione che lo straniero non possa apportare alcuna novità istruttoria, essendo comunque l’atto amministrativo “doveroso”. In secondo luogo, per quanto concerne la mancata traduzione del decreto d’espulsione, la giurisprudenza è assai oscillante, tra la tesi della nullità del decreto stesso o della sua mera irregolarità. Infine, ancora oscillazioni riguardo la possibilità di un contraddittorio a fronte della segnalazione di inammissibilità di permanenza dello straniero nel c.d. spazio unificato Schengen: vista la gravità della decisione si dovrebbe protendere per la positiva, ma il contenuto vincolato del provvedimento sembra escludere la necessità di un qualsiasi intervento.
Ancora in tema di partecipazione in contraddittorio, si è verificato un forte contrasto tra norme interne e norme comunitarie372 sulla materia delle pubbliche gare d’appalto.
Ancora prima dell’adozione delle nuove direttive sugli appalti pubblici nn. 17e 18 del 2004, la direttive 92/50/CEE (appalti pubblici di servizi), la direttiva 93/37/CEE (appalti pubblici di lavori), la direttiva 93/36/CEE (appalti pubblici di forniture) ed infine la direttiva 93/38/CEE (appalti relativi a settori un tempo definiti “esclusi”: acqua, energia, trasporti, telecomunicazioni) stabilivano che la stazione appaltante non potesse escludere un’offerta anormalmente bassa rispetto alla prestazione oggetto del futuro contratto d’appalto senza prima aver instaurato il contraddittorio con l’offerente, richiedendo precisazioni per iscritto che devono essere debitamente analizzate.
La normativa italiana, invece, corrispondeva a quella comunitaria solo per la parte relativa agli appalti pubblici nei settori c.d. esclusi (d.lgs. 17 marzo 1995, n. 158); per il resto, le norme nazionali consentivano l’esclusione delle offerte anomale sulla base delle sole giustificazioni preventive, e senza necessità o addirittura possibilità di instaurazione di un contraddittorio successivo373.
A questo punto, all’interno della dottrina e della giurisprudenza si aprirono spaccature: vi era chi protendeva per l’applicazione della normativa di settore, con la conseguente legittimità dell’esclusione del contraddittorio successivo; e chi, invece, si batteva per l’applicazione dei principi generali posti dalla l. 241/1990 in tema di partecipazione374.
Il conflitto si risolse con la sentenza pronunciata il 27 novembre 2001 dalla Corte di Giustizia sui procedimenti riuniti C-285/99 e C-286/99, Impresa Bombardini S.p.a. c. Anas e Impresa Ing. Mantovani c. Anas: le giustificazioni preventive previste dalla nostra normativa, legittime sotto il profilo meramente acceleratorio e semplificatorio, non potevano però essere sufficienti a fondare il giudizio di anomalia, che invece richiedeva un chiarimento con gli offerenti prima della adozione della decisione finale.
Resta da chiarire il rapporto tra le giustificazioni preventive e il contraddittorio successivo. Si tratta essenzialmente di un rapporto di complementarietà, e non di opposizione.
372 Cfr., X. XXXXXX, Il giudizio di anomalia delle offerte: partecipazione e contraddittorio nelle pubbliche gare d’appalto, in Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, Prospettive ed esperienze, a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXX, Xxxxxxx Editore, cit., pp. 153-163.
373 Ipotesi parzialmente diversa è quella prevista dall’art. 27, comma 6, della l. 23 dicembre 1999, n. 488, il quale consente la rinnovazione del contratto, richiedendo unicamente la riduzione del corrispettivo (presunzione legale di convenienza), senza prescrivere esplicitamente alcune verifica della congruità del prezzo dell’appalto. Il TAR Catania, con sentenza 14 dicembre 2000, n. 2397, ha stabilito che, alla luce dei principi di diritto comunitario, la verifica dell’anomalia del prezzo ribassato del 3%, dev’essere fatta in contraddittorio con l’impresa interessata, essendo illegittima qualsiasi valutazione unilaterale della P.A.
374 Vedi TAR Catanzaro, sentenza 16 dicembre 2000, n. 1616: “In caso di anomalia dell’offerta in una gara publica, il termine assegnato all’impresa per giustificare i prezzi offerti ha natura perentoria, avendo come finalità sia quella di garantire il contraddittorio in condizioni di parità tra tutti i concorrenti, sia quella di garantire il pubblico interesse, assicurando la definizion della gara in tempi rapidi e, comunque, certi”.
Attraverso le giustificazioni, infatti, si perseguono scopi meritevoli: individuare prima facie le offerte più congrue, rilevare l’oggettiva affidabilità e serietà delle proposte, restringere il campo di successiva verifica in contraddittorio a un numero ridotto di offerte o particolari aspetti di esse. Probabilmente è vero che la presentazione di giustificazioni preventive può risultare in determinati casi complessa e troppo onerosa, ma, in fin dei conti, ciò va a tutto vantaggio di un contraddittorio effettivo, corretto, leale.
In primo luogo si tenga presente l’effetto di dissuasione esercitato su concorrenti non ben intenzionati; in secondo luogo si consideri che nel successivo contraddittorio le giustificazioni possono essere integrate e precisate, ma mai sarà data possibilità di sanare una scorretta formazione dell’offerta, appunto per i principi di par condicio dei concorrenti, lealtà e buona fede nelle trattative. Infine, nulla vieta, in linea di principio, la possibilità, in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, di aprire il contraddittorio anche agli altri concorrenti, che potrebbero fornire informazioni sull’altrui offerta, garantendo la completezza dell’istruttoria.
Meritano infine considerazione i procedimenti in cui l’amministrazione, in accoglimento delle osservazioni e delle proposte presentate dai privati, proceda a concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e, in ogni caso, nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati, al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento, ovvero, nei soli casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo (art. 11, l. n. 241/1990). Nonostante la legge parli di accordi, facendo presumere la massima e paritaria realizzazione del contraddittorio, la partecipazione del privato è ancora ben lontana dal configurare una sorta di “contrattazione privata”375: se la presentazione di memorie da parte del privato costituisce il presupposto previsto dalla legge per procedere alla formazione dell’accordo, il potere di addivenire all’accordo stesso risiede in capo all’autorità procedente, la quale, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, può anche recedere unilateralmente dall’accordo. Inoltre, è a discrezione del responsabile del procedimento la formazione di un calendario di incontri, a cui, si badi bene, non è detto che partecipino tutti gli interessati in contraddittorio: “…invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controintressati” (tra questi ultimi sono forse compresi anche i cointeressati?). .
Ad opposte conclusioni si deve invece arrivare per quanto riguarda la possibilità di realizzare la partecipazione dei privati all’interno dei procedimenti di controllo di gestione e di valutazione strategica, non tanto per ragioni di estremo tecnicismo, quanto per motivi legati all’ambito oggettivo di applicazione della legge: si tratterebbe infatti di attività della P.A. che ricadrebbero sotto la previsione dell’art. 13, l. n.241/1990, ossia le attività amministrative generali, di programmazione e pianificazione376.
5. Il contraddittorio nell’amministrazione decisoria contenziosa: ricorso gerarchico, ricorso gerarchico improprio, ricorso in opposizione.
Nel nostro ordinamento giuridico esistono diversi tipi di ricorso amministrativo: ricorso in opposizione, ricorso gerarchico proprio ed improprio, ricorso straordinario, ma quest’ultimo non viene preso in considerazione in questa sede, date le sue peculiarità. Si tratta, infatti, di un rimedio di carattere generale ma eccezionale, nel senso che è proponibile verso provvedimenti che, per la loro natura definitiva, possono essere in alternativa assoggettati al solo ricorso giurisdizionale. Da questa caratteristica inoltre, derivano importanti conseguenze in ordine
375 Vedi l’interessante ipotesi ricostruttiva della “negoziazione” del provvedimento come terza tipologia di partecipazione in X. XXXXXXXX, Emersione e risoluzione di problemi nei primi dieci anni di applicazione dell’istituto della partecipazione del privato al procedimento amministrativo, in La legge n. 241/1990: fu vera gloria?Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. ARENA, X. XXXXXXXX, X. X. ACUNA, Edizioni Scientifiche Italiane, cit., p. 218.
376 Cfr., le conclusioni esposte da X. XXXXXXXX, in Funzione di controllo e processo decisionale della pubblica amministrazione, in Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, Prospettive ed esperienze, a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXX, cit., pp. 71- 88.
all’instaurazione del contraddittorio (diversamente dagli altri ricorsi, il contraddittorio deve essere instaurato a cura dello stesso ricorrente ad almeno uno dei controinteressati e all’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato) e all’impugnazione della decisione (il decreto che decide il ricorso può essere impugnato davanti al TAR solo per errores in procedendo, e non anche per motivi di legittimità sostanziale: unica eccezione è il caso in cui il ricorrente principale non abbia notificato il gravame al controinteressato, precludendogli così la possibilità di fruire delle maggiori garanzie offerte dalla sede giurisdizionale in via di trasposizione).
In quanto compatibile, la normativa posta dal d.P.R. n. 1199, del 1971, disciplinante il ricorso gerarchico, è applicabile anche al ricorso in opposizione. Vi sono, in effetti, delle differenze strutturali377: il ricorso in opposizione si propone nei soli casi previsti dalla legge e davanti allo stesso organo che ha emanato l’atto impugnato, mentre il ricorso gerarchico è un rimedio generale, proponibile nei confronti dell’autorità gerarchicamente superiore (gerarchico-proprio) o dell’autorità sovraordinata in funzione di controllo (gerarchico- improprio). Ma, tutto considerato, si tratta di rimedi molto affini, data la mancanza di terzietà dell’autorità decidente (assoluta nell’opposizione, attenuata ma innegabile nel ricorso gerarchico proprio, forse inesistente nel solo ricorso gerarchico improprio)378.
L’art. 4 del d.P.R. n. 1199/1971, dispone che, qualora non vi abbia già provveduto il ricorrente, spetta all’autorità decidente comunicare il ricorso agli altri soggetti direttamente interessati ed individuabili sulla base dell’atto impugnato. Sebbene tali soggetti siano i soli controinteressati necessari, si ritiene che possano comunque intervenire i controinteressati interventori volontari, interessati alla conservazione del provvedimento (intervento ad opponendum a sostegno dell’amministrazione), e i cointeressati che vantano un interesse omogeneo ma dipendente da quello del ricorrente (intervento ad adiuvandum, a sostegno del ricorrente)379.
Per quanto riguarda, invece, l’instaurazione del contraddittorio con l’autorità emanante, se il problema nemmeno si pone per il ricorso in opposizione, nel caso del ricorso gerarchico proprio non è espressamente prevista questa necessità, peraltro affermata dalla giurisprudenza380: infatti, l’interesse istituzionale dell’amministrazione, dovrebbe ritenersi adeguatamente garantito per il fatto stesso che a decidere è un organo gerarchicamente sovraordinato; nel caso del ricorso gerarchico improprio, invece, la partecipazione è inevitabile, vista la qualità di controinteressati.
Per quanto concerne l’attività istruttoria, questa è dominata dal principio inquisitorio ma, per garantire la completezza del contraddittorio, è prevista la possibilità di accedere agli atti del procedimento (la formazione di un fascicolo generale è però rimessa alla diligenza delle parti), in modo da conoscere le difese e le prese di posizione delle parti. Tuttavia, non si può dire che la garanzia del contraddittorio sia piena: la previsione di un termine tassativo per la decisione, esclude che la decisione stessa possa essere rinviata fino all’esaurimento dello scambio di memorie, anche perché le difese delle parti non hanno per destinatari le altre parti, ma la sola autorità decidente. Relativamente all’esercizio dei poteri istruttori poi, l’autorità gode di ampia discrezionalità, potendo disporre di ogni mezzo opportuno, eccetto i mezzi istruttori che incidano su diritti costituzionalmente garantiti (perquisizioni, ispezioni…), o incompatibili con i principi generali del procedimento amministrativo (interrogatorio formale, giuramento).
Ancora a sostegno del contraddittorio, infine, è prevista l’applicabilità dell’istituto dei motivi aggiunti, anche se il termine di novanta giorni stabilito per la decisione appare
377 Cfr., VIRGA, Atti e ricorsi, cit., pp. 205-220.
378 Vedi l’articolo di P. XXXXXX- XXXXXXX, Opposizione (diritto amministrativo), in Enciclopedia del diritto, cit., p. 523- 524.
379 Cfr., X. XXXXXXX, Trattato di diritto amministrativo, 2000, Tomo IV, p. 3155.
380 Consiglio di Stato, sez. VI, 27 aprile 1971, n. 351, in Consiglio di Stato, 1971, I, 883.
incongruo; in ogni caso, poi, i motivi di cui non si ha avuto conoscenza, dovrebbero essere dedotti nella successiva sede giurisdizionale381.
Un ultimo istituto a garanzia del contraddittorio è il ricorso incidentale, cioè il ricorso che il controinteressato può, nel termine di venti giorni, proporre avverso il ricorso principale; anche in tal caso, comunque, il ricorrente principale ha diritto di svolgere le proprie difese e replicare entro i successivi venti giorni382.
Terminata l’analisi strutturale e funzionale sui ricorsi amministrativi, non resta che esaminarne la natura e le specifiche problematiche che riguardano da vicino il principio del contraddittorio.
L’amministrazione decisoria contenziosa evoca da sempre l’immagine ambigua e contraddittoria, non facilmente collocabile nel quadro della tripartizione dei poteri dello Stato, di un potere formalmente amministrativo ma sostanzialmente giurisdizionale.
Il fatto è che, nel lodabile tentativo di spiegare come l’amministrazione possa far giustizia, la dottrina si è resa responsabile di ricostruzioni assolutamente unilaterali, che non tengono affatto in considerazione i rapporti intercorrenti tra l’attività giustiziale e l’attività di amministrazione attiva.
Secondo una prima prospettiva, le due attività sarebbero radicalmente distinte, al punto da essere alternative, quasi si desse la possibilità in concreto di perseguire l’interesse pubblico senza introdurre necessariamente l’interesse, ugualmente pubblico, alla giustizia. Si deve invece rilevare in contrario come, nell’attuale sistema di giustizia amministrativa, tutto considerato rispettoso del dettato costituzionale, una tale visione del fenomeno sia del tutto priva di fondamento: l’amministrazione, in un moderno Stato di diritto, qualsiasi sia l’attività svolta, non può prescindere da canoni di giustizia sostanziale: semmai, trattandosi di attività amministrativa in funzione giustiziale, l’amministrazione è tenuta ad “introdurre momenti di particolare garanzia a salvaguardia di tale interesse alla giustizia”383.
All’opposto si situa l’altrettanto criticabile interpretazione che confonde l’attività giustiziale nell’amministrazione attiva, come se perseguire l’interesse pubblico comportasse, al di fuori di qualsivoglia garanzia per il privato, l’automatica realizzazione dell’ideale di giustizia.
Il fatto è che la realtà è molto più complessa, e i rapporti mai a senso unico. Così, se l’attività di amministrazione attiva, come del resto qualsiasi attività di esercizio del pubblico potere, implica necessariamente una qualche componente giustiziale, perlomeno nel significato minimo e atecnico del termine, al contrario, l’attività giustiziale non implica affatto l’esercizio di un potere sostanzialmente amministrativo: i ricorsi amministrativi, infatti, configurando un’attività di esame e decisione di una controversia, sono “espressione di una funzione tipicamente giustiziale”384.
La riprova di queste affermazioni può essere rinvenuta semplicemente constatando la differenza di significato che assume il principio del contraddittorio nell’ambito di un ricorso amministrativo e nell’ambito di un procedimento disciplinare o sanzionatorio, in conseguenza della diversa funzione, pur trattandosi di procedimenti strutturalmente simili (procedimenti contenziosi).
Nel caso del ricorso amministrativo, l’unica funzione esercitata è quella decisoria, per cui il contraddittorio non è solo ammesso, ma è garantito: e, similmente a quanto accade nell’esercizio dell’attività giurisdizionale, al potere delle parti di introdurre fatti nel procedimento e di circoscrivere l’oggetto del procedimento in base ai fatti introdotti,
381 Concorda in tal senso P. XXXXXX- XXXXXXX, Opposizione (diritto amministrativo), in Enciclopedia del diritto, cit., p. 4, anche se non manca di riportare il contrario orientamento sul punto.
382 X. XXXXXXXXXX, Ricorsi amministrativi, in Enciclopedia del diritto, cit., pp. 697-698.
383 Cfr., la voce Decisione amministrativa, in Enciclopedia giuridica Treccani, cit., p. 524.
384 Sul punto è interessante notare come diversi autori qualifichino come decisione amministrativa in senso stretto i soli provvedimenti che definiscono i ricorsi amministrativi, appunto perché viene in rilievo un’attività sostanzialmente decisoria. Per tutti, XXXXXXXX, Diritto amministrativo, II, Milano, 1970, p. 1067; e X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, pp. 19-26.
corrisponde l’esclusione, in capo all’autorità, di introdurre d’ufficio fatti non sottoposti previamente al contraddittorio con le parti.
Al contrario, nel caso di procedimenti disciplinari o sanzionatori, la funzione decisoria non è l’unica funzione esercitata, trattandosi, infatti, di controversia che accede ad una attività di amministrazione attiva: il contraddittorio è solo ammesso, e i fatti vengono introdotti nel procedimento, anche a prescindere dalle deduzioni dei privati interessati, attraverso l’individuazione che risulta dall’atto di contestazione degli addebiti o della violazione amministrativa.
Ulteriori considerazioni possono effettuarsi circa il rapporto intercorrente tra l’obbligo di motivazione e il principio del contraddittorio: fermo restando la ricorrenza di questo modulo in entrambi i tipi di procedimento, notevoli sono però le differenze sostanziali.
Nel caso del ricorso amministrativo, trattandosi di esercizio di poteri giustiziali, il momento del giudizio prevale sul momento della scelta, anzi, tra le tante astratte soluzioni della controversia, una e una soltanto sarà la decisione. Tra l’altro, ogni attività dell’autorità decidente, compresa la decisione, è vincolata ai motivi di ricorso, per cui la motivazione investe necessariamente ogni profilo sollevato tramite ricorso principale o incidentale, a maggiore garanzia del contraddittorio.
Nel caso del procedimento amministrativo, invece, la funzione esercitata non è di giudizio, ma di scelta: dato un determinato quadro di interessi, molteplici possono essere le ricostruzioni e le scelte in termini di opportunità, talora anche trascurate: per cui, solo in modo approssimativo si può sostenere che la motivazione ripercorra l’iter logico seguito dall’autorità nell’adozione della decisione385.
Ora, chiariti i rapporti tra l’attività giustiziale e l’attività di amministrazione attiva, rimane da considerare il significato che attualmente riveste l’amministrazione decisoria contenziosa.
L’indagine non può non partire dalla constatazione generale che lo strumento dei ricorsi amministrativi vive una stagione di crisi, determinata in gran parte dall’entrata in vigore della Costituzione nel 1948. “Il nuovo quadro della giustizia amministrativa sembra, infatti, aver relegato il ricorso amministrativo ad un ruolo secondario: sia la proclamazione del diritto di difesa, in sede giurisdizionale, anche degli interessi legittimi, sia l’esplicita enunciazione della giurisdizione del Consiglio di Stato e degli altri organi di giustizia amministrativa nei confronti della Pubblica amministrazione, riducono lo spazio che residua alla tutela amministrativa”386.
Con il d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 si è tentato, in realtà, una rivitalizzazione dell’istituto del ricorso amministrativo, adeguandolo ai principi che governano il ricorso giurisdizionale, ma i motivi di crisi sono nonostante tutto stringenti. Si consideri, in primo luogo, la l. 6 dicembre 1971, n. 1034 che, trasformando il ricorso gerarchico da rimedio obbligatorio a rimedio facoltativo ai fini dell’accesso alla tutela del giudice amministrativo, ha dato al privato387 la concreta possibilità di scegliere la natura del soggetto decidente e il tipo di procedimento in cui instaurare il contraddittorio.
Ma, il maggior interrogativo, è stato posto dalla l. n. 241/1990, che ha introdotto nel nostro ordinamento la garanzia del principio del contraddittorio nel procedimento amministrativo.
385 Cfr., ancora la voce Decisione amministrativa, in Enciclopedia giuridica Treccani, cit., p. 530.
386 Vedi in particolare sul punto le considerazioni di X. XXXXXXX, Trattato di diritto amministrativo, 2000, Tomo IV, p. 3144.
387 Ancora sul punto X. XXXXXXX, Trattato di diritto amministrativo, cit., p. 3150, dove si ripercorrono le interpretazioni dottrinali sulla natura del ricorso amministrativo: alcuni autori ritenevano che l’obbligatorietà del rimedio giovasse sia al privato (ottenere giustizia dall’amministrazione era relativamente più facile e meno rischioso economicamente) sia all’amministrazione (questa poteva rimediare direttamente ai propri errori); altri autori ritenevano invece che giovasse solo alla P.A. (in base alle censure dedotte dal ricorrente poteva valutare l’opportunità di andare in giudizio successivamente).
Già un illustre Autore388, ancora prima dell’entrata in vigore di una legge generale sul procedimento amministrativo, aveva ricostruito i rapporti tra il contraddittorio nel procedimento amministrativo e i ricorsi amministrativi e giurisdizionali, rilevando come sia possibile ipotizzare una sorta di pur debole collegamento giuridico tra i diversi momenti, sostanziale, contenzioso, giurisdizionale.
A prima vista, la tendenza giurisprudenziale che in quel tempo negava ogni giuridico raccordo tra i diversi momenti, era rivolta ad alleviare al privato gli inconvenienti che sorgevano dalla insufficienza o dalla carenza dei mezzi di contraddittorio amministrativo, che sostanzialmente si risolvevano nella presentazione di osservazioni ed opposizioni basate su una limitata conoscenza degli atti istruttori. A ben vedere però, le manchevolezze cui si intendeva rimediare, non nascevano “dal sistema del diritto amministrativo positivo, ma sebbene dalla maniera con la quale esso era stato interpretato ed applicato proprio dalla giurisprudenza, con l’ausilio della dottrina”389.
Xxxxxxxxxx nota, è, infatti, la vicenda interpretativa che coinvolse l’art. 3 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo390, che al primo comma delineava un modello di procedimento ispirato al principio del contraddittorio (… “le autorità amministrative…provvederanno”… “ammesse le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate”), e al secondo comma richiamava, nei confronti dei provvedimenti così assunti, un ricorso gerarchico (“contro tali decreti… è ammesso il ricorso in via gerarchica in conformità delle leggi amministrative”). Nonostante le evidenti premesse per una generalizzazione del principio del contraddittorio e una possibilità di cumulo tra strumenti di tutela procedimentale e strumenti di tutela impugnatoria, non si approdò mai ad una concezione unitaria.
È inutile ripercorrere ora il cammino storico che determinò una simile interpretazione391, tutto considerato anche necessitata dalle contingenze, ma è certamente a questa impostazione che si deve la contrapposizione tra “provvedimento” e “decisione”, non già nel senso semplicistico della distinzione tra il provvedere (amministrazione attiva) e il decidere (attività giustiziale), ma nel senso profondo della distinzione fra “il procedimento segreto, ritenuto l’espressione e la condizione della piena signoria dell’amministrazione rispetto al potere esercitato, e il procedimento contenzioso, caratterizzato dalla garanzia di diritti procedimentali dei cittadini secondo canoni non molto dissimili dai modelli giurisdizionali”392.
A ben vedere, lo strumento del ricorso amministrativo deve il suo significato e la sua unitarietà come fenomeno giuridico (esistono diverse tipologie di ricorsi: in opposizione, gerarchico proprio ed improprio, straordinario) proprio a questo contesto di frattura tra momento sostanziale e momento processuale, ma si tratta di una identità pagata a caro prezzo: se il privato non può vantare diritti procedimentali, l’amministrazione può rendere meno gravosi gli obblighi sull’acquisizione dei fatti, sulla valutazione degli interessi, sulla motivazione della decisione, e meno penetrante il controllo preventivo del privato sul suo operato. Xxxx, una volta emanato il provvedimento amministrativo, nulla garantisce che ne venga adottato uno più opportuno in luogo di quello da annullare, né che questo eventuale annullamento comporti l’assoluta reintegrazione del ricorrente nella situazione di fatto e di diritto preesistente: è ampiamente dimostrato, infatti, che la partecipazione al “farsi del potere”,
388 X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971, p. 205 e ss.
389 X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, cit., pp. 206-207.
390 Si tratta della legge 20 marzo 1865, n. 2248, ALL. E.
391 Per una ricostruzione storica esauriente vedi per tutti X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, cit., pp. 33- 68; A. PUBUSA, Procedimento amministrativo e interessi sociali, cit., pp. 11-66; X. XXXXXXXXXX, Ricorsi amministrativi, cit., pp. 684-688.
392 Vedi la voce Ricorsi amministrativi, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol. XXVII, passim.
previene l’insorgere delle controversie e concilia nel miglior modo possibile i contrapposti interessi393.
Consapevole di questo, parte della dottrina ha cercato un collegamento che giustificasse una più accentuata realizzazione del contraddittorio nella fase sostanziale, in vista della sua prosecuzione nella fase contenziosa o giurisdizionale. E, effettivamente, il tentativo può dirsi riuscito, se solo si considera che quanto più la fase procedimentale è aperta al contraddittorio, tanto più si amplia “il numero dei possibili capi di impugnativa, con una trasformazione, eventuale e possibile, delle rimostranze attinenti al merito prodotte durante il procedimento in altrettanti motivi di illegittimità dell’atto, ove l’amministrazione non ne abbia avuta la giusta considerazione”394. Se, infatti, il procedimento amministrativo fosse segreto o mancasse dell’istruttoria, né l’amministrazione né il giudice in sede di ricorso potrebbero conoscere eventuali discordanze tra la realtà e la rappresentazione che se ne dà nel provvedimento amministrativo, la cui motivazione, quindi, sarebbe più di ostacolo che di aiuto ad una corretta ricostruzione dell’assetto di interessi. La stessa cosa, in definitiva, accade se manca o non è integro il contraddittorio: i vizi di merito che attengono all’opportunità e alla convenienza dell’azione amministrativa, non potrebbero essere convertiti nei corrispondenti vizi di legittimità per eccesso di potere.
Ora, se tutte queste conclusioni possono essere condivise, si immagini l’effetto sconvolgente che ha potuto sortire l’entrata in vigore della l. n. 241/1990 sul sistema tradizionale dei ricorsi amministrativi: non mere argomentazioni dottrinali, ma norme di diritto positivo hanno provocato la perdita dell’ “esclusiva” della garanzia del contraddittorio (il contraddittorio si assicura già nel procedimento amministrativo, ed anzi in quella sede risulta potenzialmente più efficace, perché precede, e non segue la formazione della volontà della P.A.), con tutto ciò che questo comporta, e cioè l’attuale difficoltà di riconoscere ai ricorsi amministrativi un ruolo “concorrenziale” nell’attuale logica dei rimedi avverso gli atti della Pubblica amministrazione.
393 Cfr., l’articolo di X. XXXXX, Procedimento, procedura, partecipazione, in Studi in memoria di Xxxxxxxxxx, Padova, Cedam, 1975, passim.
394 X. XXXXXX, Il contraddittorio amministrativo, cit., p. 218 e ss.
Capitolo Terzo
Profili Processuali
1. L’oggetto del giudizio e il principio del contraddittorio.
1.1. Il processo amministrativo come processo di parti.
Iniziare un discorso sul principio del contraddittorio nel processo amministrativo significa affrontare anzitutto il problema della natura e della struttura del giudizio stesso, non senza ripercorrere le tappe fondamentali della storia della giustizia amministrativa italiana.
La legge del 1889, nell’istituire la giurisdizione di legittimità come giurisdizione di diritto pubblico o meglio di diritto obiettivo395, condizionava indirettamente anche i caratteri della giurisdizione di merito e di quella esclusiva, a quel tempo decisamente residuali rispetto al dominante modello di giudizio sulla legittimità dell’atto, al punto che il processo amministrativo a stento è riuscito a liberarsi dell’etichettatura di “processo all’atto”.
A questo proposito si ricordano importanti corollari: l’interesse individuale rilevava esclusivamente come fatto di legittimazione processuale in vista dell’instaurazione di un giudizio mirante a ristabilire la legittimità violata del sistema e, solo indirettamente, a soddisfare la pretesa fatta valere dal privato; dall’inesistenza dell’istituto della contumacia nel processo amministrativo si argomentava addirittura l’inesistenza della figura della controparte in senso sostanziale, ponendo il ricorrente solo di fronte all’atto amministrativo; del contraddittorio e dell’istruttoria processuale si parlava, infine, in termini di pura eventualità396.
Di questa impostazione si è reso responsabile anche il Consiglio di Stato, quello stesso giudice che negli anni si rivelò in grado di tenere atteggiamenti pretori fino al punto di creare ex novo istituti processuali laddove militassero esigenze di opportunità397. In particolare il Consiglio di Stato, probabilmente anche influenzato dal suo ruolo istituzionale di organo consultivo398, organizzò il proprio sindacato assumendo a modello il giudizio civile davanti alla Suprema Corte di Cassazione, un giudizio quindi di sola legittimità, ignorando che così facendo avrebbe rispettato un principio formale di contraddittorio, non certamente sostanziale.
Infatti, al di là del rispetto delle regole procedurali e dei meccanismi formali, contraddittorio significa reale possibilità di far valere in giudizio le proprie pretese di diritto soggettivo e di interesse legittimo anche e soprattutto nei confronti della P.A., senza alcuna esclusione o limitazione in ordine a particolari mezzi di impugnazione o categorie di atti399.
A dispetto del dettato costituzionale, invece, “il giudizio avanti il Consiglio di Stato si limitava ad essere una fase contenziosa assistita da garanzie di imparzialità, che si inseriva peraltro su una serie di valutazioni ed accertamenti che si richiedevano comunque soltanto alla pubblica amministrazione. E così si veniva a perpetuare, anche in sede giudiziale, quella situazione di non estraneità del Consiglio di Stato all’apparato amministrativo che già era evidente dal punto di vista strutturale400”.
395 Cfr., i rilievi storici prospettati da X. XXXXXXXXXX, Il contraddittorio nel processo amministrativo, Edizioni Scientifiche Italiane, p. 13.
396 Ancora sul punto X. XXXXXXXXXX, Il contraddittorio nel processo amministrativo, cit., p. 14.
397 Vedi le riflessioni di C. E. XXXXX, La prova nel processo amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 1994, pp. 12-13, a proposito dell’istituto dell’appello in materia di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato e dell’istituto dell’attuazione dell’ordinanza cautelare.
398 Cfr., sul problema della compresenza del ruolo consultivo e giurisdizionale X. XXXXXXX, Il giusto processo amministrativo, in Rassegna del Consiglio di Stato, 5-6/2000, p. 1071.
399 Vedi a proposito il vigente art. 113 della Costituzione Italiana: “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti”. Xxxx, la Costituzione stessa rimette alla legge il potere di determinare “quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa” appunto perché sotto il profilo della garanzia della tutela entrambe le giurisdizioni corrispondono ad un modello comune.
400 C. E. XXXXX, La prova nel processo amministrativo, Milano, Xxxxxxx Editore, 1994, p. 16.
Era insomma la costituzionalità stessa del sistema ad esigere un’istruttoria completa e un sindacato sul fatto esercitato da parte di un soggetto estraneo alla pubblica amministrazione, visto che la terzietà dell’attività istruttoria in sede processuale rappresenta un requisito indispensabile in ogni tipo di giudizio e soprattutto in quello amministrativo, anche in ragione della superiorità del potere pubblico rispetto alle posizioni dei privati già nella precedente fase provvedimentale401.
Xxxx, proprio nel tentativo di rimediare a questa presunta disparità di posizione giuridica tra la parte privata e la parte pubblica si deve rinvenire la causa dell’effetto particolarmente “conformativo” che il comportamento del giudice ha sortito sul processo amministrativo, in particolare di legittimità. Al punto che in dottrina è prevalsa a lungo l’opinione che il giudice amministrativo fosse “signore della prova”, e non solo nel nostro ordinamento: “l’esperienza dei processi civili moderni ha visto, nei paesi più diversi per regime politico, e nelle forme più diverse (legali, consuetudinarie, formali, informali ecc.) sempre più espandersi, allo scopo della ricerca di una verità (se verità si può chiamare) meno manipolata dalla parti i quella che può emergere dal processo ad istruttoria di tipo dispositivo, i poteri del giudice, sulla via di quella che si potrebbe definire, con orribile parola, la “inquisitorializzazione” dell’istruttoria di processi pur rimasti fermamente ancorati al principio dell’iniziativa di parte” 402.
Con ciò, ovviamente, non si vuole negare l’indubbia funzione strutturale del processo amministrativo, combattuto tra la soddisfazione delle pretese dei privati e la tutela del superiore interesse pubblico, ma si vuole solo sottolineare il fatto che il giudizio amministrativo è e rimane un processo di parti, e questo implica in primo luogo che il giudice possa intervenire solo nella misura in cui sia necessario rimediare ad una situazione di disuguaglianza sostanziale, senza per questo travalicare il limite dell’imparzialità e della terzietà (il giudice non ha poteri per influire sulla determinazione dell’oggetto del giudizio, riservata al ricorrente principale o incidentale) che la sua carica gli impone: concedere al giudice amministrativo eventuali poteri inquisitori significherebbe infatti provocare una situazione di disuguaglianza processuale.
Ulteriore importante principio che riguarda la posizione del giudice nei confronti delle parti è l’assunzione di responsabilità della decisione (legge n. 117/1988). La Corte di Giustizia delle Comunità Europee con sentenza del 14 giugno 2006 ha dichiarato incompatibile tale legge con i principi generali di responsabilità dei pubblici poteri per violazione del diritto comunitario. Così, ad esempio, in occasione dell’omissione del rinvio pregiudiziale ex art. 234 TCE quando il giudice nazionale rappresenta un giudice di ultima istanza (sentenza 30 settembre 2003)403.
Restano quindi ancora perfettamente valide le considerazioni di BENVENUTI sul significato del principio del contraddittorio404: “Ciò, non vuol dire, come ritiene la dottrina che considera il contraddittorio come mezzo per l’assicurazione della verità al processo, che il contraddittorio sia di per sé il mezzo di questa funzione. Infatti esso rappresenta sempre soltanto il concretarsi nel processo dell’astratta possibilità che hanno le parti di farsi udire dal giudice mediante l’introduzione dei fatti che esse ritengano rilevanti. Ma di esso ci si serve per farne il punto d’appoggio o più espressamente il punto di applicazione del metodo per l’assicurazione della verità”. Emerge netta, quindi, la necessità che il giudice non abusi di
401 Vedi ancora C. E. XXXXX, voce Istruzione nel processo amministrativo, in Enciclopedia giuridica Treccani, p. 8: “Cosicché, per il processo amministrativo potrebbe, addirittura, sostenersi che la previsione della massima tutela del diritto di difesa è ancor più rafforzata, ammesso che sia possibile, rispetto agli altri tipi di giudizio: e non è un caso, in quest’ottica, che soltanto per il processo amministrativo la Costituzione imponga il doppio grado di giurisdizione, e cioè il doppio controllo di merito, e quindi anche sul fatto, da parte di due diversi giudici (all’art. 125)”.
402 Vedi le importanti considerazioni di X. XXXXX, Il giudice amministrativo “signore della prova”, in Il Foro Italiano, vol. LXXXX, V-2, p. 1 e ss.
000 X. XXXXXXX, Xx processo amministrativo, op. cit., p. 89.
404 Vedi X. XXXXXXXXX, L’istruzione nel processo amministrativo, Padova, Cedam, 1953, p. 202.
questo suo potere nella ricerca della verità nel giudizio di legittimità e, a maggior ragione, nella giurisdizione esclusiva. Xxxx, soprattutto ora che le recenti riforme hanno decisamente ampliato il novero dei mezzi di prova esperibili405 da parte del giudice amministrativo, si potrebbero porre problemi di costituzionalità in rapporto al giudizio civile sotto il profilo dell’uguaglianza e della ragionevolezza del trattamento processuale. Così, se sarebbe oltremodo ingiusto parificare indiscriminatamente processo civile e processo amministrativo406, altrettanto irragionevole sarebbe giustificare un ruolo del giudice amministrativo fonte di “una gravissima disarmonia istituzionale” e “la deresponsabilizzazione che ne discenderebbe sull’amministrazione”407: situazione tutt’altro che praticabile in un ordinamento giuridico che non concepisce la legittimazione politica e popolare del giudice e che con la recente legge sul procedimento amministrativo mostra anzi la volontà di “responsabilizzare” le autorità amministrative più di quanto non si è fatto finora; per non parlare poi della sua auspicabilità in un moderno stato liberale di diritto408.
L’unica soluzione, allora, per garantire da una parte l’uguaglianza sostanziale delle parti e il completo accesso al fatto da parte del giudice409, dall’altra la vigenza del processo amministrativo come processo di parti, consiste non tanto nell’ampliare la fase dell’istruzione del processo, ma piuttosto nel far precedere il processo da una fase procedimentale amministrativa improntata al principio del contraddittorio410: non quindi il giudice che prevale sulla pubblica amministrazione, ma la pubblica amministrazione che si rapporta in modo diverso al privato411. A conferma ideale di questa impostazione del problema sta il tentativo del superamento della tradizionale distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, non solo perché il nuovo sistema probatorio e cognitorio è previsto per le materie e non per i casi in cui quelle materie si registra una tale distinzione, ma soprattutto perché è l’effettività comunitaria ad esigere il rispetto del principio del “giusto processo” in ogni tipo di giurisdizione: “occorre dunque ripensare la tutela del contraddittorio nella giurisdizione esclusiva quale ineludibile tassello di un processo che sposta il suo asse portante dalla impugnazione di un atto all’accertamento autonomo di un fatto o se si vuole, di un comportamento dei pubblici poteri412.
405 Vedi in particolare il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (nelle materie di giurisdizione esclusiva il giudice può disporre dei mezzi di prova previsti dal c.p.c., nonché della consulenza tecnica d’ufficio, eccetto il giuramento e l’interrogatorio formale) e la recente legge n. 205/2000.
406 Cfr., X. XXXXXXXXX, Evoluzione del processo amministrativo, in Jus, 1982, p. 49-50: l’Autore mette in guardia dai rischi di una parificazione al processo civile che snaturi gli elementi tipici che qualificano il giudizio amministrativo come “unicum”.
407 Cfr., per ampie considerazioni critiche X. XXXXXXX, Il giudice amministrativo e la prova: una provocazione a tesi su processo e politica, in Diritto processuale amministrativo, 1/1999, p. 24 e ss.
408 Vedi in particolar modo la legge n. 241/1990 e il diverso atteggiarsi dei rapporti procedimentali, ispirati ai principi del contraddittorio, della pubblicità, della trasparenza, della responsabilizzazione, in alcuni casi perfino della “contrattazione” del provvedimento amministrativo.
409 Cfr., a questo proposito le considerazioni di L. P. COMOGLIO, Direzione del processo e responsabilità del giudice, in Rivista di diritto processuale, vol. XXXII, 1977, p. 14 e ss. L’Autore, pur rifiutando gli eccessi dirigistici ed individualistici, ritiene che non si possa parlare del processo in termini di “responsabilità esclusive”, ma solo di responsabilità “principali” e “complementari”.
410 Così in modo significativo X. XXXXXXX, Dalla procedura amministrativa al processo giurisdizionale, in Diritto e Istituzioni (Ricerche dirette da X. XXXXX), cit., p. 200 e ss.
411 Cfr., le profonde riflessioni valide ad anni di distanza di X. XXXXXXXXX, La riforma del processo amministrativo, Roma, 1987, p. 255 e ss.
412 Cfr., la significativa impostazione di X. XXXXXXX, Il giusto processo amministrativo, in Rassegna del Consiglio di Stato, 5-6/2000, p. 1073.
1.2. I poteri di allegazione e di istruzione probatoria delle parti e del giudice. Il
PRINCIPIO DI ACQUISIZIONE.
L’istruzione del processo amministrativo si caratterizza principalmente per la natura dispositiva del metodo di formazione dell’oggetto del giudizio, seppure non si esclude una certa operatività del c.d. principio acquisitivo413.
Sono infatti le parti e non il giudice ad introdurre nel processo i fatti giuridicamente rilevanti rispetto all’oggetto del giudizio ed idonei ad orientare la decisione finale, siano essi fatti principali o fatti secondari414, fermo restando che il giudice può sempre intervenire per acquisire la prova di quei fatti semplicemente allegati e non provati, sovvenendo così all’inerzia delle parti o ad una situazione di difficoltà.
La prevalenza dell’uno o dell’altro principio (dispositivo od acquisitivo) dipende in concreto dal difficile equilibrio raggiunto dalle parti del processo nell’esercizio dei poteri di allegazione e di istruzione: alla maggiore o minore responsabilità riconosciuta alle parti corrisponderà in modo inversamente proporzionale la maggiore o minore responsabilità del potere di intervento del giudice.
Se si esaminano attentamente le caratteristiche dei tre tipi fondamentali di giudizio vigenti nel nostro ordinamento giuridico (civile, amministrativo, penale) si nota però che la qualificazione del metodo istruttorio non dipende dal tipo di giudizio, ma al contrario dalla sua struttura, e cioè da quella voluta in astratto dal legislatore per ragioni di opportunità o di “politicità” e in concreto atteggiata dalla prassi dei tribunali con l’ausilio della dottrina415.
Infatti, anche se il processo amministrativo e quello civile sono accomunati dall’appartenenza al tipo “processo accusatorio di parti”, si stagliano evidenti le differenze: mentre il processo civile risulta fortemente improntato al principio per cui il giudice decide secundum alligata et probata partium, nel processo amministrativo si può eventualmente verificare una scissione tra la responsabilità dell’allegazione e la responsabilità dell’istruzione.
Una tale diversità potrebbe risultare apparentemente inspiegabile laddove si consideri che in entrambe le ipotesi le parti godono della piena disponibilità in ordine alla determinazione dell’oggetto del giudizio. Ma questo come dicevo solo in apparenza, visto che è la “struttura” del giudizio ad imporre in concreto la vigenza dell’uno o dell’altro metodo probatorio.
Mentre infatti il giudizio civile costituisce un “processo da citazione”, quello amministrativo un “processo da ricorso”, con tutte le indubbie conseguenze che questo comporta in ordine alla ripartizione delle responsabilità tra le diverse parti del processo, compreso il giudice416.
Non è un caso, del resto, che tradizionalmente la dottrina ritenga che l’atto di citazione in giudizio contenga una vocatio in iudicium, mentre il ricorso amministrativo giurisdizionale una vocatio iudicis: solo nel primo caso il rapporto processuale si instaura direttamente tra le parti contendenti e in un secondo momento la fattispecie si completa con l’intervento del giudice, in ragione del fatto che già sul piano del diritto sostanziale le parti godono di una posizione giuridica di uguaglianza417; nel secondo caso, invece, il rapporto processuale risulta dal
413 Cfr., X. XXXXXXXXX, voce Istruzione del processo amministrativo, in Enciclopedia del diritto, p. 204.
414 Secondo un contrario e minoritario orientamento dottrinario potrebbe riconoscersi anche al giudice il potere di allegazione in ordine ai soli fatti secondari, dimenticando forse il problema della garanzia costituzionale dell’imparzialità e della terzietà rispetto agli interessi delle parti; questo orientamento viene riportato con ampie riflessioni critiche da C.E. GALLO, L’istruttoria processuale, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di X. XXXXXXX, Tomo IV, Milano, Xxxxxxx Editore, 2000, p. 3340.
415 Cfr., sul punto C.E. GALLO, L’istruttoria processuale, in Trattato di diritto amministrativo, cit., pp. 3338-3339.
416 Vedi ancora C.E. GALLO, L’istruttoria processuale, in Trattato di diritto amministrativo, cit., pp. 3341.
417 Vedi sulla differenza della portata del principio del contraddittorio nel processo civile e in quello amministrativo le ampie riflessioni critiche di X. XXXXXXXXXX, Il contraddittorio nel processo amministrativo, cit., p. 20 e ss.
collegamento tra la parte ricorrente ed il giudice “mentre l’altra parte rimane, per così dire, eventuale e non necessaria”418, anche perché il giudice interviene per rimediare ad un presunto illegittimo esercizio del potere da parte di un soggetto pubblico titolare di una posizione giuridica di superiorità già sul piano del diritto sostanziale rispetto al privato: “il particolare modo di atteggiarsi del rapporto giuridico amministrativo, non può non influire sulla disciplina del contraddittorio nel processo, ove l’uguaglianza tra le parti deve essere ristabilita per soddisfare esigenze di ordine costituzionale”419.
Insomma, il giudice amministrativo è chiamato a sovvenire alle possibili deficienze del contraddittorio causate evidentemente dalla disuguaglianza giuridica delle parti420, esercitando legittimamente e, potremmo dire, doverosamente, quei poteri di acquisizione utili a riequilibrare le possibilità processuali delle parti, anche perché è in base all’istruttoria che si decide effettivamente il contenuto della decisione finale421.
Così, se compete in prima battuta al ricorrente “l’onere di allegazione con riguardo ad una data realtà extraprocessuale che assume idonea a fondare la situazione giuridica fatta valere”422, nonché la specificazione delle questioni che si vogliono sollevare e l’individuazione delle censure che si intendono muovere al provvedimento impugnato, non è motivo di inammissibilità del ricorso il mancato deposito del provvedimento impugnato a norma dell’art.
21 della legge T.A.R., il quale costituisce invece preciso obbligo giuridico a carico dell’amministrazione resistente. A maggior ragione tutta la validità dell’impostazione emerge in quei casi in cui il ricorrente si trovi nella pratica impossibilità di allegare atti strumentali del procedimento, nei confronti dei quali in passato l’amministrazione era solita addurre il c.d. segreto d’ufficio ai sensi dell’art. 15 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, disposizione oggi sostituita dall’art. 28 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale prevede che l’impiegato preposto ad un ufficio rilasci copia ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati dall’ordinamento.
La giurisprudenza è inoltre concorde nel ritenere che l’onere di allegazione non possa essere valutato in astratto, ma sulla base del grado di conoscenza che il ricorrente ha della realtà di fatto su cui si fonda la domanda, peraltro potenzialmente limitata a tutt’oggi, nonostante lo specifico rimedio giurisdizionale (art. 255, l. 241/1990) a tutela dell’effettività del diritto di accesso: si spiega così la creazione pretoria dell’istituto dei motivi aggiunti, utili a modificare la materia del contendere qualora il ricorrente, dopo la proposizione del ricorso e per effetto dell’esibizione dei documenti da parte dell’amministrazione, abbia interesse a rilevare nuovi vizi o prospettare nuove censure423.
Venendo ora a considerare l’aspetto dinamico della fase di allegazione e di istruzione probatoria, si devono in concreto esaminare i poteri delle parti e del giudice in vista della definizione del giudizio.
Nel giudizio generale di legittimità l’applicazione del sistema dispositivo con metodo acquisitivo ha determinato la particolare configurazione dell’onere della prova in termini di c.d.
418 Cfr., X. XXXXXXXXX, voce Istruzione del processo amministrativo, cit., p. 205.
419 X. XXXXXXXXXX, Il contraddittorio nel processo amministrativo, cit., p. 21.
420 Per una critica alla disuguaglianza tra il privato e la P.a. quale giustificazione dei poteri acquisitivi del giudice amministrativo, soprattutto a dieci anni dall’entrata in vigore della legge 241/1990, X. XXXXX, Poteri istruttori e mezzi di prova nel processo amministrativo, in Il nuovo processo amministrativo, collana diretta da X. XXXXXXXXXX e F. CINTIOLI, Milano, Xxxxxxx, 2003, p. 45 e ss.
421 Cfr., anche X. XXXXXXXXXXX, Spunti in tema di contraddittorio, in Studi in memoria di X. Xxxxx, I, Padova, 1982, pp. 211-212; secondo l’Autore il contraddittorio, nel rappresentare lo strumento per assicurare l’uguaglianza tra le parti, ha una sua valenza di ordine costituzionale: alla luce del combinato disposto dell’art. 3 e del secondo comma dell’art. 24 della Costituzione, il contraddittorio deve essere visto in termini di garanzia reale (di effettività), anziché meramente formale (di astratta possibilità).
422 Vedi sul punto X. XXXXXXXXXX, Il contraddittorio nel processo amministrativo, cit., p. 28.
423 Ancora a questo proposito X. XXXXXXXXXX, Il contraddittorio nel processo amministrativo, cit., p. 30.
“principio di prova”424, essendo cioè sufficiente a mettere in moto la macchina giurisdizionale una rappresentazione dei fatti quanto più possibile coerente e credibile: quanto poi all’acquisizione delle prove circa l’esistenza o l’inesistenza dei fatti dedotti, queste possono essere anche il risultato di un’attività istruttoria diretta dal giudice nella ricerca della verità. La ratio della riduzione dell’onere della prova è da rinvenire principalmente nella necessità di riequilibrare in sede processuale quella posizione di svantaggio in cui si trova il privato dinanzi alla P.A. procedente, sia per quanto riguarda il farsi del potere durante l’iter procedimentale, sia per quanto concerne la presunta legittimità dell’atto amministrativo adottato.
Tale ricostruzione non sembra possa essere trasposta in modo assoluto nella giurisdizione amministrativa esclusiva, trattandosi evidentemente di una materia (i diritti soggettivi) che postula notevoli problemi di costituzionalità nel raffronto con la giurisdizione civile. Pur non dimenticando che anche di fronte ai diritti soggettivi la P.A. vanta una posizione di preminenza (si consideri la formazione di un contratto di lavoro di pubblico impiego, la disciplina di un rapporto di concessione), tuttavia la circostanza che in questo tipo di giudizio siano ammessi tutti i mezzi di prova vigenti in quello civile, implica il venir meno di un intervento preponderante del giudice amministrativo, appunto per non creare eventuali disparità di trattamento questa volta a danno dell’amministrazione. Una diretta conferma in tal senso proviene dalla stessa giurisprudenza, la quale già oggi esige un principio pieno di prova per quelle eccezioni che riguardino non il provvedimento impugnato, ma il comportamento delle parti425: così esemplarmente nel caso delle eccezioni di tardività del ricorso o di inammissibilità per avvenuta acquiescenza.
Per quel che concerne infine le questioni strettamente procedurali, nel giudizio amministrativo non esistono termini di decadenza o preclusioni endoprocedimentali, per cui è perfettamente ipotizzabile che l’attività istruttoria delle parti non si limiti all’atto introduttivo del giudizio o al deposito del controricorso, ma continui per l’ulteriore corso del processo fino al termine generale di decadenza rappresentato dalla conclusione dell’udienza di discussione della causa davanti al collegio:di qui l’ampia possibilità di depositare nuove memorie e documenti, di sviluppare nuove argomentazioni, di richiedere nuove prove426.
Altro argomento estremamente importante riguarda invece l’attività istruttoria della parte resistente.
Ora, a scanso di equivoci, per parte resistente non si intende la figura del controinteressato427, il quale gode di poteri processuali decisamente più ridotti rispetto a quelli esercitabili dal ricorrente e dal resistente in senso stretto, solitamente la P.A., ma in alcune ipotesi anche un soggetto privato428.
Nell’ipotesi classica, la pubblica amministrazione parte resistente è tenuta in base all’art. 21, comma 4, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, a depositare nel momento della costituzione in giudizio non solo il provvedimento impugnato, ma anche “gli atti e i documenti in base ai quali l’atto è stato emanato”, seppure comunemente si ritenga che alla mancata produzione non siano ricollegabili particolari effetti sfavorevoli, né in ordine all’atto di costituzione, né
424 Cfr., sul punto C.E. GALLO, L’istruttoria processuale, in Trattato di diritto amministrativo, cit., pp. 3338-3339; e BENVENUTI, L’istruzione nel processo amministrativo, Padova, Cedam, 1953, p. 291; e in giurisprudenza Consiglio di Stato, sez. IV, 28 agosto 1997, n. 931, in Consiglio di Stato, 1997, I, p. 1037; Consiglio di Stato, sez. V, 10 febbraio 1998, n. 151 e 28 gennaio 1998, n. 111, ivi, 1998, I, p. 231 e 65.
425 Consiglio di Stato, sez. V, 11 maggio 1998, n. 551, in Consiglio di Stato, 1998, I, p. 859; Tar Piemonte, sez. II, 29 giugno 0000, x. 000, xx Xxx, 0000, I, p. 3571; Tar Puglia, 12 novembre 1996, n. 654, ivi, 1996, I, p. 298; Tar
Campania, 9 gennaio 1997, n. 15, ivi, 1997, I, p. 1102.
426 Cfr., a questo proposito C.E. GALLO, L’istruttoria processuale, in Trattato di diritto amministrativo, cit., p. 3346.
427 Vedi X. XXXXX, Giustizia amministrativa, IV, ed., Bologna, 1994, p. 230, dove si distingue tra parte resistente pubblica e parte resistente privata, identificando quest’ultima con il controinteressato, cioè con il soggetto interessato come l’amministrazione al mantenimento dell’atto, contro quindi la pretesa vantata dal ricorrente.
428 Vedi per la particolare configurazione del privato come parte resistente E. FOLLIERI, Il privato parte resistente nel processo amministrativo nelle materie di cui agli artt. 33 e 34 del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, in Diritto processuale amministrativo, 3/1999, p. 634 e ss.
sotto il profilo propriamente istruttorio429. Quello che comunque è interessante rilevare è che la posizione della P.A. non è la posizione di una semplice parte in causa, ma è la posizione di un soggetto gravato di una funzione pubblica anche nel processo: dal lato passivo essendo soggetta agli incombenti istruttori ordinati dal giudice, dal lato attivo quando in posizione di imparzialità rispetto agli interessi in causa viene incaricata dal giudice nella veste di sua ausiliaria di svolgere adempimenti istruttori430.
La stessa funzione pubblica potrebbe toccare, in ipotesi eccezionali, anche ad un soggetto privato.
Il D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406 e la legge quadro in materia di lavori pubblici dell’11 febbraio 1994, n. 109 impongono “ai concessionari di lavori pubblici… ai concessionari di esercizio di infrastrutture destinate al pubblico servizio, alle aziende speciali e ai consorzi di cui agli artt. 23 e 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142… alle società di cui all’art. 22 della medesima legge … alle società con capitale pubblico, in misura anche non prevalente… nonché ai concessionari di servizi pubblici e ai soggetti di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158” (art. 2, l. n. 109/94) di adottare, per l’affidamento dei lavori, le stesse procedure seguite dai soggetti pubblici.
Nel caso sorgesse una controversia tra tali soggetti e i concorrenti non vincitori, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite431 ha stabilito che la giurisdizione spetti al giudice amministrativo, data la natura sostanzialmente pubblicistica della funzione esercitata. Proprio per questo motivo, il privato concessionario viene raffigurato come una sorta di “organo indiretto” della pubblica amministrazione432, e come tale resiste nel giudizio amministrativo: “il concessionario può adempiere al dovere, all’atto della costituzione in giudizio, di depositare il provvedimento impugnato e tutti gli atti del procedimento, avendo egli adottato, appunto, tali atti; il giudice può ordinare al concessionario il deposito degli atti nonché chiedere schiarimenti”433.
Diversa, invece, l’ipotesi in cui una controversia sorgesse tra l’amministrazione ed il privato nelle materie di cui agli artt. 33 e 34 del D.Lgs 31 marzo 1998, n. 80, i quali prevedono che siano devolute alla giurisdizione esclusiva rispettivamente tutte le controversie in materia di pubblici servizi e le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia.
In questi casi il privato diviene parte resistente rispetto alla P.A. in senso proprio e non in qualità di organo indiretto dello Stato, per cui vanno ripensati ed adeguati gli istituti processuali soprattutto in materia probatoria: che senso avrebbe, infatti, onerare un privato dell’obbligo del deposito del provvedimento e degli atti e dei documenti del procedimento? Che senso avrebbe, poi, aspettarsi una “collaborazione” ai fini dell’acquisizione dei mezzi di prova (schiarimenti, verificazioni) da parte del privato se la sua condotta nelle migliori delle ipotesi sarà improntata al valore della lealtà, ma non certo al principio costituzionalmente garantito dell’imparzialità? (art. 97 Cost.)434.
Questo stato dei fatti ovviamente non si traduce in una diminuzione di tutela: l’art. 35 dello stesso decreto, nel rinviare al Regolamento per la procedura davanti al Consiglio di Stato435, dispone infatti che il giudice amministrativo possa esperire tutti i mezzi di prova di può disporre il giudice ordinario (per l’esecuzione delle perizie, ad esempio, è previsto che la sezione possa incaricare uno o più funzionari tecnici della Stato, fermo restando che possono
429 Cfr., sul punto C.E. GALLO, L’istruttoria processuale, in Trattato di diritto amministrativo, cit., p. 3347.
430 Ancora a questo proposito C.E. GALLO, L’istruttoria processuale, in Trattato di diritto amministrativo, cit., p. 3348.
431 Cassazione SS.UU., 19 dicembre 1990, n. 1221, in Giurisprudenza costituzionale, 1991, 2441.
432 Vedi per una critica a questa impostazione X. XXXXXXXX, Il privato parte resistente, cit., p. 642.
433 Così X. XXXXXXXX, Il privato parte resistente, cit., p. 644.
434 Cfr., le ampie considerazioni generali di X. XXXXXXXX, Il privato parte resistente, cit., p. 654.
435 Si tratta del X.X. 00 agosto, 1907, n. 642; in particolare è il Titolo II del regolamento a dettare la disciplina sull’istruzione dall’art. 26 all’art. 35.
ammettersi consulenze tecniche d’ufficio, con nomina, dunque, di esperti che non necessariamente fanno parte di pubbliche amministrazioni).
1.3 Modificazioni al THEMA DECIDENDUM apportate dal ricorrente, dal controinteressato e dall’ufficio.
La tradizionale connotazione del processo amministrativo come processo ad oggetto rigido, presa nella sua assolutezza, è decisamente da sottoporre a critica: correttamente intesa, invece, la presunta rigidità dell’oggetto sta a significare che il thema decidendum è immediatamente individuato attraverso la tempestiva proposizione del ricorso, fermo restando la possibilità di integrare e addirittura modificare la materia del contendere secondo le forme e nei limiti previsti dalla legge436. Tra le altre cose, il rispetto del termine decadenziale di sessanta giorni non rinviene la sua ragion d’essere nell’esigenza di determinare una volta e per tutte e all’inizio del giudizio il quid disputandum, ma al contrario la rinviene nell’esigenza di garantire per tutti i soggetti dell’ordinamento la certezza del diritto e il legittimo affidamento sulle determinazioni della pubblica amministrazione. Certo, non si può negare che il rispetto del termine decadenziale abbia anche una sua valenza processuale, in quanto immediatamente si enuclea l’ambito oggettivo su cui si deve instaurare il contraddittorio, ma quello che si deve tener presente è che il principio del contraddittorio si atteggia nel diritto amministrativo in modo decisamente più articolato, stante la complessità dei rapporti tra l’amministrazione e i soggetti dell’ordinamento e tra i soggetti stessi a seconda che siano avvantaggiati o svantaggiati dall’esercizio del potere pubblico.
Molteplici, pertanto, sono le occasioni di una modificazione al thema decidendum: e non è affatto detto, tra l’altro, che intervengano in un intervallo di tempo delimitato, ben essendo possibile che la modificazione sia la conseguenza della partecipazione al giudizio di un soggetto spontaneamente intervenuto o anche da evocare obbligatoriamente per l’integrazione del contraddittorio.
In primo luogo rileva l’atto integrativo437 del ricorso notificato entro il medesimo termine di decadenza, ciò in conseguenza del fatto che il termine di sessanta giorni può essere utilizzato integralmente dal ricorrente, visto che la proposizione del primo ricorso non consuma il potere di xxxxxx000.
In secondo luogo rileva l’intervento litisconsortile del cointeressato che sempre nel termine di decadenza vuole far valere le proprie ragioni nel processo già instaurato dal ricorrente, anche deducendo motivi diversi439.
In terzo luogo rileva, ai sensi dell’art. 37 del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato e dell’art. 22 della legge T.A.R., la possibilità per il controinteressato di proporre ricorso incidentale deducendo nuove censure nei confronti del medesimo provvedimento impugnato dal ricorrente o nei confronti di un atto diverso, prima non oggetto del giudizio, purché connesso con quello già impugnato440.
436 Cfr., per ampie riflessioni critiche C.E. GALLO, La modificazione della domanda nel processo amministrativo, Torino, 1985, p. 22.
437 Cfr., sulle teorie della struttura unitaria e di quella plurima del ricorso D.M. TRAINA, Lo svolgimento del processo, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di X. XXXXXXX, tomo IV, Milano, Xxxxxxx, 2000, p. 3318.
438 Consiglio di Stato, sez. V, 18 maggio 1979, n. 267, in Consiglio di Stato, 1979, I, 766; sez. VI, 31 ottobre 1978, n.
1120, ivi, 1979, I, 1518; T.A.R. Piemonte, 15 luglio 0000, x. 000, xx X.X.X., 0000, X, 0000. per una giurisprudenza più recente, T.A.R. Toscana, sez. III, 15 giugno 0000, x. 000, xx X.X.X., 0000, X, 0000; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 6 febbraio 1996, n. 62, ivi, 1996, I, 1496.
439 La giurisprudenza del Consiglio di stato ammette che l’intervento tempestivo del cointeressato possa convertirsi in ricorso: Consiglio di stato, sez. V, 29 settembre 1970, n. 713, in Consiglio di Stato, 1970, I, 1448.
440 Sul punto vedi GALLO, La modificazione della domanda nel processo amministrativo, cit., p. 25.
In quarto luogo rileva l’istituto dei c.d. motivi aggiunti, di creazione pretoria441, fenomeno di gran lunga frequente nella prassi, anche tenuto conto del fatto che il ricorrente principale o incidentale può ignorare l’esistenza totale o parziale di altri atti e documenti, soprattutto nel caso di sviluppi successivi dell’azione amministrativa. A garanzia della completezza del contraddittorio e della parità delle armi, l’ordinamento consente al ricorrente di dedurre nuovi motivi (appunto aggiungendoli a quelli già proposti) in relazione alla tardiva conoscenza incolpevole che abbia di un’altra parte del provvedimento già impugnato o anche di altro provvedimento diverso ma connesso con quello. Se in un primo momento si è ritenuto che la tardiva conoscenza dovesse essere originata dall’istruttoria processuale442, in seguito la giurisprudenza ha ammesso la possibilità di una conoscenza esterna al processo: in entrambe le ipotesi, comunque, il termine di decadenza è sempre di sessanta giorni, ma decorrente dalla data in cui si è avuta reale conoscenza dei nuovi atti e documenti. La notificazione deve essere effettuata a tutte le parti necessarie del giudizio, anche non costituite443.
Per quanto concerne più in particolare la portata del contraddittorio in rapporto al fenomeno dei motivi aggiunti, occorre rilevare che la situazione di disparità iniziale rispetto alla pubblica amministrazione (già naturalmente a conoscenza degli atti) riguarda sia il ricorrente principale che quello incidentale444. Infatti, la considerazione per cui il controinteressato avvantaggiato dal provvedimento amministrativo si giova indirettamente delle difese dell’amministrazione, non è del tutto fondata o quanto meno non corrisponde pienamente alla realtà almeno in due casi: l’ipotesi in cui l’amministrazione non si difende attivamente; l’ipotesi in cui il controinteressato, seppur sostanzialmente avvantaggiato dall’atto, è comunque interessato a far valere particolari motivi di vizio, i quali eventualmente potrebbero cagionargli un pregiudizio nei successivi sviluppi dell’azione amministrativa.
Da tutto questo discorso sulle diverse occasioni di modificazione della domanda iniziale, emerge però un dato costante: nel giudizio amministrativo si possono impugnare anche provvedimenti diversi da quello originariamente impugnato, purché con questo connessi. Xxxx, proprio l’elemento della connessione distingue il processo amministrativo da quello civile, nel quale si ammette la possibilità di proporre dinanzi allo stesso giudice più cause anche non altrimenti connesse: “Quella differenza … una volta tanto fornirebbe al giudizio amministrativo la palma di processo più razionale e organizzato, stante la corrispondenza tra fase iniziale e modificazioni in xxxxx xx xxxxx”000.
In tal senso, la connessione rende superflua anche la distinzione che solitamente si opera da parte della dottrina processualcivilistica tra mutatio ed emendatio libelli446: nel giudizio amministrativo, sia di legittimità che di accertamento, il ricorrente principale e incidentale possono articolare la domanda originaria in relazione alle proprie esigenze e alle sopravvenienze in corso di causa, con l’unico limite invalicabile costituito dal nucleo fondamentale della controversia, appunto a tutela della controparte che deve “potersi difendere in modo adeguato conoscendo sin dall’inizio almeno orientativamente il possibile ambito della controversia”447.
Il discorso sulla connessione delle più cause nel giudizio amministrativo è peraltro complicato dal fatto che in alcuni casi il nesso di connessione non è così evidente: si pensi ad esempio ai rapporti procedimentali molto complessi e alla conseguente difficoltà per il
441 Si tratta della storica decisione del Consiglio di stato, sez. IV, 18 agosto 1905, n. 369, in Giustizia amministrativa, 1905, I, 553.
442 Cfr., Consiglio di Stato, sez. IV, 13 giugno 1972, n. 523, in Consiglio di Stato, 1972, I, 918.
443 Vedi D.M. TRAINA, Lo svolgimento del processo, in Trattato di diritto amministrativo, cit., p. 3320.
444 Vedi le importanti considerazioni di GALLO, La modificazione della domanda nel processo amministrativo, cit., p. 58.
445 Così GALLO, La modificazione della domanda nel processo amministrativo, cit., p. 62.
446 Cfr., sul punto PAJARDI, Della trattazione della causa, in Commentario al codice di procedura civile, diretto da XXXXXXX, II, Torino, 1980, 558; e SATTA, Domanda giudiziale (dir. proc. civ.), in Enciclopedia del diritto, vol. XIII, 1964, 824.
447 GALLO, La modificazione della domanda nel processo amministrativo, cit., p. 93.
ricorrente di ricostruire i nessi, difficoltà che necessariamente poi si ripercuote sulla parità del contraddittorio al momento di difendere una propria situazione soggettiva.
Tuttavia vi sono casi ben più gravi, casi in cui l’effettività del contraddittorio è minata proprio dall’esistenza del nesso di connessione. Così emblematicamente nell’ipotesi in cui la connessione si realizzi all’interno del processo in conseguenza dell’adozione da parte dell’amministrazione, in pendenza del ricorso, di un diverso provvedimento connesso con quello impugnato, che può comunque impugnarsi con motivi aggiunti per il principio di concentrazione processuale (art.1, legge n. 205/2000)448.
Diversi sono i profili interessanti a questo proposito.
In primo luogo viene in rilievo la posizione del ricorrente principale, il cui interesse potrebbe in concreto non essere soddisfatto dall’adozione del provvedimento, nonostante che l’amministrazione confidi nell’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.
In secondo luogo vengono in rilievo la correttezza e la lealtà del contraddittorio, per cui si dovrebbe ragionevolmente escludere la necessità di impugnare il provvedimento successivo meramente confermativo nel dispositivo e nella motivazione del provvedimento impugnato, adottato dall’amministrazione al solo fine di prolungare i tempi processuali e complicare l’altrui xxxxxx000.
In terzo luogo rileva la posizione deteriore in cui viene a trovarsi il controinteressato, il quale in corso di causa dovrà adeguare la linea difensiva al nuovo provvedimento attraverso la proposizione di un nuovo ricorso incidentale, o dovrà addirittura adeguarsi alla nuova realtà dell’estinzione del processo per cessazione della materia del contendere e iniziare magari un nuovo processo nella misura in cui il nuovo atto lo pregiudichi450.
Ulteriori modificazioni al thema decidendum possono essere occasionate dall’esercizio dei poteri d’ufficio riconosciuti al giudice sia in senso riduttivo che ampliativo: la prima ipotesi ricorre nel caso in cui il giudice accolga il ricorso per un determinato motivo dichiarando assorbite le altre censure; la seconda ipotesi ricorre invece nel caso in cui il giudice, al di fuori di una domanda di parte, annulli l’atto amministrativo o lo sospenda per incostituzionalità o per illegittimità derivante dal contrasto con una norma comunitaria451.
Fenomeno processuale che invece provoca effetti modificativi esattamente inversi a quelli appena delineati, è la rinuncia a uno o più motivi di ricorso: in questo caso, infatti, il thema decidendum anziché ampliarsi si riduce. Ancora diversa invece l’ipotesi della rinuncia al ricorso, la quale, comportando la rinuncia a tutti i motivi di ricorso, provoca addirittura l’estinzione del giudizio.
Un ultimo profilo da analizzare riguarda le norme procedurali.
Regola di carattere generale è il rispetto di elementari quanto basilari452 principi che regolano la difesa e il contraddittorio in giudizio: da qui la necessità della notificazione dell’atto che in qualsiasi modo muta, sia pure nei termini consentiti dalla legge, l’oggetto originario della domanda. E quindi notificazione dei motivi aggiunti, del ricorso incidentale, dell’atto di intervento453. Xxxx, a conferma dell’importanza della conoscenza delle modificazioni, non può non ricordarsi quell’orientamento giurisprudenziale poi abbandonato che pretendeva la notificazione dei motivi aggiunti presso il domicilio reale della controparte, anziché presso il domicilio eletto.454
000 X. XXXXXXX, Xx processo amministrativo, op. cit., p. 81 e 238 e ss.
449 il rilievo è di CAIANIELLO, Gli effetti dei provvedimenti sopravvenuti nel processo amministrativo in corso, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di stato, III, Roma, 1981, 1841.
450 Cfr., le considerazioni di GALLO, La modificazione della domanda nel processo amministrativo, cit., p. 69.
451 Vedi sul punto D.M. TRAINA, Lo svolgimento del processo, in Trattato di diritto amministrativo, cit., pp. 3322-3323.
452 T.A.R. Puglia, Bari, 3 ottobre 2001, n. 4140, in ITALEDI CD- ROM.
453 T.A.R. Lazio, 11 aprile 1983, n. 114, in Consiglio di Stato, 1983, I, 1374.
454 Cfr., Adunanza plenaria, 5 aprile 1984, n. 8, in Diritto processuale amministrativo, 1984, 531 e ss.
La notificazione, tra le altre cose, è l’unico strumento sul quale si può far serio affidamento per realizzare un rapporto processuale nel contraddittorio delle parti: mentre nel giudizio civile è infatti ipotizzabile un continuo contatto tra le parti, nel giudizio amministrativo la fissazione dell’udienza di discussione è rimessa alla determinazione della parte più interessata nell’arco di ben due anni. È ragionevole, quindi, prevedere dei meccanismi che consentano alle parti di comunicare e scambiare difese prima dell’imminenza dell’udienza, non solo perché non è previsto un termine ulteriore, ma anche perché questo è l’unico rimedio per evitare una preparazione frettolosa da esporre oralmente455.
1.4. Il contraddittorio nella fase di istruzione preparatoria.
In passato né la dottrina456 né la giurisprudenza457 sentirono la necessità pratica di individuare una precisa fase istruttoria nell’ambito del processo amministrativo, forse per la limitatezza degli incombenti istruttori dovuta al carattere estremamente documentale del giudizio, forse per la concentrazione delle attività di istruzione, trattazione e decisione della causa in capo al collegio.
La mancata individuazione di una ben determinata fase processuale non si traduce però nella pratica inesistenza di un’attività di natura istruttoria, anche perché non può essere concepito un processo, e cioè un procedimento tra parti in posizione di parità davanti ad un giudice terzo ed imparziale, in cui legittimamente si possa escludere l’esigenza di un’attività volta all’accertamento dei fatti458.
Una conferma in tal senso proviene dalla stessa Corte Costituzionale, la quale precisa che la facoltà per il giudice amministrativo di definire immediatamente nel merito la controversia è subordinata alla verifica della “sussistenza delle condizioni ordinarie per l’emissione di una sentenza che definisca il giudizio, come l’integrità del contraddittorio, la completezza delle prove necessarie per la pronuncia che deve essere emessa, e gli adempimenti processuali previsti per la tutela del diritto di difesa” 459.
Certamente ci sono dei casi in cui è lo stesso ordinamento giuridico a ricollegare determinati effetti giuridici di certezza a fatti accaduti anche al di fuori del processo; o casi in cui il momento delle contestazioni è posticipato ad altra fase processuale; addirittura le parti possono essere d’accordo in ordine alla ricostruzione del fatto, dissentendo solo circa la sua qualificazione giuridica. Ma quello che rimane ineliminabile in ogni tipo di giudizio, compreso quello amministrativo, è la necessità di accertare un fatto preliminarmente all’assunzione di una decisione460. A rigore, perfino nel caso in cui le parti, concordemente, decidano di rappresentare una determinata realtà di fatto al giudice, se questi mai dubitasse della veridicità della ricostruzione, ben potrebbe esercitare poteri istruttori attribuiti; così, analogamente, potrebbe esercitarli per rimediare ad un errore più o meno intenzionale anche solo di una delle parti.
455 Cfr., GALLO, La modificazione della domanda nel processo amministrativo, cit., p. 108.
456 Cfr., a questo proposito le importanti riflessioni critiche di C. E. GALLO, L’istruttoria processuale, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di X. XXXXXXX, Xxxx XX, Milano Xxxxxxx Editore, 2000, p. 3333 e ss.; di X. XXXXXXXXXX, Il contraddittorio nel processo amministrativo, cit., p. 31 e ss.
457 Vedi per una disamina delle prassi seguite dalle sezioni giurisdizionali XXXXX, L’ammissione delle prove nel processo davanti al Consiglio di Stato, poteri collegiali e poteri presidenziali, in Scritti in memoria di X. Xxxxxxx, III, Milano, 1967, 743; cfr., a questo proposito la vicenda del tutto marginale riportata da X. XXXXXXXXXX, Il contraddittorio nel processo amministrativo, cit., p. 31, nota 5, di cui fu protagonista il Presidente De Marco (Intervento al X Convegno di Studi di scienza dell’amministrazione, in Problemi del processo amministrativo, II, Milano, 124 ss.), il primo ad instaurare con una certa stabilità la prassi della c.d. udienza istruttoria nel processo avanti il Consiglio di Stato.
458 Vedi X. XXXXXXXXX, L’istruzione nel processo amministrativo, Padova, Cedam, 1953, p. 10, secondo il quale l’accertamento dei fatti costituisce momento ineliminabile in ogni tipo di giudizio.
459 Corte Costituzionale, sentenza n. 427/99, in Foro Italiano, 2000, 746.
460 Così C. E. GALLO, L’istruttoria processuale, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di X. XXXXXXX, Tomo IV, Milano Xxxxxxx Editore, 2000, p. 3335.