Opinioni
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I contratti di distribuzione automobilistica integrata nel D.L. n. 68/2022 (dalla l. n. 108/2022 alla l. n. 6/2023)*
Xxxxxxxxx Xxxxx
SOMMaRIO: 1. Gli accordi verticali nel diritto europeo e interno. – 2. L’ambito di applica- zione della nuova disciplina della distribuzione automobilistica integrata. – 3. (se- gue). Accordi verticali e agenzia. – 4. Il contenuto degli accordi di distribuzione.
– 5. Contratti a termine e a tempo determinato e rispettivi modelli di recesso.
1. Gli accordi verticali nel diritto europeo e interno
Quando alla metà dell’anno scorso il Governo ha sentito l’urgenza di dettare una se- rie di «Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo delle infrastrutture, dei traspor- ti e della mobilità sostenibile, nonché in materia di grandi eventi e per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili» con il d.l. 16 giugno 2022, n. 68 non aveva pensato che la disciplina degli accordi verticali tra i costruttori automobilistici o gli importatori, da una parte, e i singoli distributori, dall’altra, per la commercializza- zione di autoveicoli nuovi avesse a che fare con tale impellenza. Alla stessa maniera, non aveva sentito la necessità di disciplinare la materia insieme alle «Misure urgenti di soste- gno nel settore energetico e di finanza pubblica» dettate con il d.l. 18 novembre 2022, n. 176 (c.d. Decreto «Aiuti quater»).
Del resto, trattandosi di accordi tra operatori del mercato automobilistico e poten- do avere quindi «per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno» (art. 101.1 TFUE) – erano già regolati da una compiuta normativa europea che era specificamente volta, da una parte, a vietarli e con- siderarli in linea di principio nulli (art. 101.2 TFUE), ma anche a fare salvi, dall’altra, tutti
* Il presente scritto è destinato alla raccolta di studi in onore del Xxxx. Xxxxx Xxxxx.
Accademia ‣ Numero uno del 2023
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quelli «che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico», purché lo facciano «riservando agli uti- lizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva» (art. 101.3 TFUE).
In tale prospettiva, gli accordi verticali di distribuzione automobilistica si divideva- no di fatto in due categorie: quelli vietati perché produttivi degli effetti negativi sul mer- cato interno contemplati dall’art. 101.1 TFUE e quelli fatti salvi perché produttivi degli effetti virtuosi contemplati dall’art. 101.3 TFUE.
Tale normativa, com’è noto, è stata messa a punto progressivamente attraverso vari regolamenti che si sono avvicendati nel tempo e di volta in volta sono stati introdotti ai sensi degli artt. 101.3 e 103 TFUE per concedere l’esenzione dal divieto delle intese restrit- tive della concorrenza disposto dall’art. 101.1 a tutte le intese virtuose ai sensi dell’art.
101.3 cit., e da ultimo specificamente attraverso:
- il Reg. (UE) n. 461/2010 relativo all’applicazione dell’articolo 101.3 TFUE «a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico» (d’ora in avanti Reg. MVBER);
- il Reg. (UE) n. 330/2010 relativo all’applicazione dell’articolo 101.3 TFUE «a categorie di accordi verticali e pratiche concordate» (d’ora in avanti Reg. VBER Previgente);
- il Reg. (UE) 2022/720 «relativo all’applicazione dell’articolo 101.3 TFUE «a categorie di accordi verticali e pratiche concordate» (d’ora in avanti Reg. VBER)1.
Anche per questo, desta sorpresa e perplessità l’inatteso e reiterato inserimento appena a pochi mesi di distanza – ma sempre solo ex post in sede di conversione in leg- ge, rispettivamente, dalla l. 5 agosto 2022, n. 108 e dalla l. 13 gennaio 2023, n. 6 – di «di- sposizioni in materia di distribuzione automobilistica» che non solo risultano collegate in maniera piuttosto forzata con le altre questioni che costituiscono il reale oggetto dei due decreti legge, ma altresì introducono variazioni inedite sul tema della disciplina di distribuzione automobilistica che, imponendo imperativamente contenuti prima non prescritti, mirano sostanzialmente a vietare gli accordi difformi, anche se consentiti dall’esenzione per categoria concessa dai regolamenti che si sono menzionati e quindi protetti a livello europeo perché produttivi degli effetti virtuosi sul mercato contemplati dall’art. 101.3 TFUE.
In questo senso basta pensare al chiaro esempio dell’imposizione della durata di cinque anni per i contratti a termine stabilita dall’art. 7-quinquies, 2° comma, d.l. n. 68/2022 e qualificata come inderogabile dal successivo art. 7-quinquies, comma 5-bis.
1 Com’è noto, «MVBER» è l’acronimo dell’espressione in lingua inglese «Motor Vehicle Block Exemption Regulation» in uso tra gli operatori del settore per designare i vari regolamenti di esen- zione per categoria degli accordi verticali nel settore dei veicoli a motore che si sono succeduti nel tempo fino all’ultimo, e cioè il Reg. (UE) n. 461/2010. A sua volta «VBER» è l’acronimo dell’espres- sione in lingua inglese «Vertical Block Exemption Regulation» in uso per designare i vari regolamenti di esenzione per categoria degli accordi verticali che si sono succeduti nel tempo fino all’ultimo, attualmente in vigore, che è il Reg. (UE) 2022/720.
Nel passato, infatti, una disposizione sostanzialmente corrispondente a quella ora dettata dall’art. 7-quinquies, 2° comma, d.l. n. 68/2022 era inclusa nel Regolamento (CE)
n. 1400/2002 (d’ora in avanti Reg. MVBER Previgente2). In particolare, l’esenzione per ca- tegoria disposta dall’art. 2 di quel Regolamento si poteva applicare solo «a condizione che l’accordo verticale concluso dal fornitore di autoveicoli nuovi con un distributore o riparatore autorizzato preveda che … l’accordo venga concluso per una durata di al- meno cinque anni; in tal caso ciascuna delle parti si impegna a concedere all’altra parte un preavviso minimo di sei mesi per notificare la propria intenzione di non rinnovare l’accordo» (art. 3.5).
Poi, però, quella disposizione è stata cancellata dal Reg. MVBER che a partire dal 1° giugno 2010 ha sostituito il Reg. MVBER Xxxxxxxxxx, a seguito del fatto che la durata minima di cinque anni era stata esplicitamente bocciata per i suoi possibili effetti anti- concorrenziali negativi proprio dalla Commissione Europea, la quale nella «Relazione di valutazione della Commissione sull’applicazione del regolamento (CE) n. 1400/2002 con- cernente la distribuzione di autoveicoli e il relativo servizio di assistenza alla clientela», redatta nel 2008 ai sensi dell’articolo 11.2 Reg. MVBER Xxxxxxxxxx, aveva chiarito che «la durata minima di cinque anni per i contratti dei rivenditori stabiliti nell’articolo 3, para- grafo 5, lettera a) non è solidamente giustificata da un punto di vista economico in quanto non tiene conto del fatto che accordi di durata maggiore possono in effetti proprio per questo avere un maggiore effetto di restrizione della concorrenza. Essi possono, in par- ticolare, impedire ai produttori di sostituire i rivenditori che hanno cattive prestazioni con nuovi operatori più efficienti e possono ritardare l’introduzione di nuovi contratti che rispondono alle mutate circostanze del mercato»3.
A tali condizioni, il Regolamento MVBER ed il Regolamento VBER Previgente sin dal 2010, e poi ancora nel 2022 il Regolamento VBER attualmente in vigore, hanno lasciato le parti libere di stipulare accordi di distribuzione di durata anche inferiore a cinque anni, concedendo nei confronti di tali accordi l’esenzione dal divieto di cui all’art. 101.1 TFEU e quindi escludendo che il legislatore nazionale potesse xxxxxxxx0.
Tale circostanza assume rilievo decisivo per escludere che anche solo nell’ordina- mento interno si possa dare seguito al divieto di accordi verticali di durata inferiore a cin- que anni, perché, com’è noto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3.2 Reg. (CE) n. 1/2003
2 Come si legge nel 3° considerando del Reg. MVBER «il settore automobilistico, che compren- de sia le autovetture che i veicoli commerciali, è soggetto a regolamenti specifici di esenzione per categoria sin dal 1985. Il regolamento più recente di questo tipo è il regolamento (CE) n. 1400/2002 della Commissione, del 31 luglio 2002, relativo all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del trat- tato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico», o, meglio, era il Reg. (CE) 1400/2002, perché a partire dal 1° giugno 2010 questo sostituito appunto dal Regola- mento VBER (Reg. (UE) n. 461/2010).
3 Relazione di valutazione della Commissione del Regolamento (CE) n. 1400/fl00fl concernente la distribuzione di autoveicoli ed il relativo servizio alla clientela, 12.
4 V. amplius, infra, § 2.
del Consiglio del 16 dicembre 2003 «concernente l’applicazione delle regole di concor- renza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato» (ora artt. 101 e 102 TFUE) – «dall’applicazione della legislazione nazionale in materia di concorrenza non può scaturire il divieto di ac- cordi, decisioni di associazioni di imprese o pratiche concordate … che sono disciplinati da un regolamento per l’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del trattato» (ora art.
101.3 TFUE).
La perfetta coincidenza dell’oggetto regolato dai due testi normativi rende evidente che la normativa introdotta dall’art. 7-quinquies d.l. n. 68/2022 costituisce un caso di «le- gislazione nazionale in materia di concorrenza» rilevante ai fini del divieto posto dall’art.
3.2 cit. Infatti:
- da una parte, la disciplina nazionale di recente introduzione detta disposizioni in materia di «accordi verticali … conclusi tra il costruttore automobilistico o l’importa- tore e i singoli distributori autorizzati per la commercializzazione di veicoli» nuovi5, cioè in materia di contratti di distribuzione integrata (art. 7-quinquies, 1° comma, d.l. n. 68/2022);
- dall’altra, il Regolamento MVBER riguarda gli «accordi verticali e pratiche concorda- te nel settore automobilistico» e ripartisce la relativa disciplina fondamentalmente in due parti, dettando disposizioni differenziate solo per «gli accordi verticali relativi al mercato dei servizi di assistenza post-vendita di autoveicoli» (artt. 4 e 5) e stabilen- do invece che «agli accordi verticali relativi all’acquisto, la vendita o la rivendita di autoveicoli nuovi» deve applicarsi la disciplina comune a tutti gli accordi verticali di distribuzione di beni o servizi (art. 3), ovvero dapprima il Reg. VBER Previgente e ora naturalmente il Reg. VBER6 che lo ha sostituito;
- tutti e tre i regolamenti reiterano la stessa definizione, ormai consolidata, di «accordi verticali», secondo la quale, com’è noto, con tale espressione «si intendono gli accor- di o le pratiche concordate tra due o più imprese, operanti ciascuna, ai fini dell’ac- cordo o della pratica concordata, ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione, e che si riferiscono alle condizioni in base alle quali le parti pos-
5 Sull’accezione da dare al riferimento agli autoveicoli nuovi si rinvia a quanto si dirà più dif- fusamente, infra, nel § 2.
6 Com’è noto, infatti, ai sensi dell’art. 3 Reg. MVBER «a datare dal 1° giugno 2013» «agli accordi verticali relativi all’acquisto, la vendita o la rivendita di autoveicoli nuovi» si applicava «il regola- mento (UE) n. 333/2010», cioè il Reg. VBER Previgente, allora in vigore. In virtù di tale rinvio, però, è da ritenere che a tali accordi vada applicato ora il nuovo Reg. VBER che lo ha sostituito, «in vigore dal 1° giugno 2022», in forza del quale sono esentati dal divieto di cui all’art. 101 TFUE, e quindi consentiti, tutti gli accordi di distribuzione che contengono restrizioni verticali (art. 2 Reg. VBER), purché non coincidano con le restrizioni fondamentali contemplate dall’art. 4 Reg. VBER e con le restrizioni escluse contemplate dall’art. 5 Reg. VBER ed «a condizione che la quota di mercato de- tenuta dal fornitore non superi il 30% del mercato rilevante sul quale vende i beni o servizi oggetto del contratto e la quota di mercato detenuta dall’acquirente non superi il 30% del mercato rilevante sul quale acquista i beni o servizi oggetto del contratto» (art. 3 Reg. VBER).
sono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi» (art. 1.1, lett. a, Reg. VBER, art. 1.1, lett. a, Reg. VBER Previgente ed art. 1.1, lett. a, Reg. MVBER);
- a questi stessi «accordi verticali, anche se ricondotti allo schema del contratto di agenzia o di concessione di vendita o di commissione, conclusi tra il costruttore auto- mobilistico o l’importatore e i singoli distributori autorizzati» fa riferimento anche l’art. 7-quinquies, 1° comma, d.l. n. 68/2022 per individuare l’ambito di applicazione delle nuove disposizioni in materia di distribuzione automobilistica.
Ne consegue che dall’applicazione dell’art. 7-quinquies d.l. n. 68/2022 non può sca- turire il divieto di accordi verticali protetti dal beneficio dell’esenzione stabilito dall’art. 2 VBER, in combinato disposto con l’art. 3 MVBER, con riguardo all’applicazione dell’art.
101.3 TFUE agli accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico.
A tali condizioni, anche se alla stregua dell’art. 7-quinquies, commi 2 e 5-bis, d.l. n. 68/2022 gli accordi di distribuzione di durata inferiore a cinque anni sarebbero contrat- ti contrari a norme imperative interne e, in quanto tali, se non vi fossero i Regolamenti MVBER e VBER, dovrebbero essere considerati nulli ai sensi dell’art. 1418, 1° comma c.c., resta fermo tuttavia che sul piano normativo il legislatore nazionale non può porre il di- vieto di accordi consentiti da regolamenti europei adottati in applicazione dell’art. 101.3 TFUE e che anche sul piano giurisdizionale – come corollario della regola posta dall’art.
3.2 cit. e com’è chiarito anche dalle «Linee direttrici sull’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del trattato» (2004/C 101/08) – da una parte, «le giurisdizioni nazionali non hanno la facoltà di revocare il beneficio di un regolamento di esenzione per categoria» (n. 37) e, dall’altra, «gli accordi che beneficiano dell’esenzione per categoria non possono essere dichiarati nulli dai giudici nazionali nel quadro di controversie private» (n. 2)7.
7 A tale riguardo anche dal punto di vista dell’ordinamento interno la Corte costituzionale ha chiarito ormai da tempo, con indirizzo rimasto tuttora costante, che le disposizioni UE «le quali soddisfano i requisiti dell’immediata applicabilità devono, al medesimo titolo, entrare e permane- re in vigore nel territorio italiano, senza che la sfera della loro efficacia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello Stato. Non importa, al riguardo, se questa legge sia anteriore o successiva. Il regolamento comunitario fissa, comunque, la disciplina della specie. L’effetto connesso con la sua vigenza è perciò quello, non già di caducare, nell’accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controver- sia innanzi al giudice nazionale», perché «la legge interna non interferisce nella sfera occupata da tale atto, la quale è interamente attratta sotto il diritto comunitario» (Corte cost. 8 giugno 1984, n. 170, in DeJure, § 5 della parte in diritto). Ne consegue che, qualunque cosa disponga la legge interna in una materia che rientra tra le competenze del diritto UE, «il regolamento comunitario va, dun- que, sempre applicato, sia che segua, sia che preceda nel tempo le leggi ordinarie con esso incom- patibili: e il giudice nazionale investito della relativa applicazione potrà giovarsi dell’ausilio che gli offre lo strumento della questione pregiudiziale di interpretazione, ai sensi dell’art. 177 del Trattato [ora art. 267 TFUE]. Solo così è soddisfatta la fondamentale esigenza di certezza giuridica, sempre avvertita nella giurisprudenza di questo Collegio, che impone eguaglianza e uniformità di criteri applicativi del regolamento comunitario per tutta l’area della Comunità Europea». In definitiva,
«alla normativa derivante dal Trattato, e del tipo qui considerato, va assicurata diretta ed ininter- rotta efficacia: e basta questo per concordare sul principio secondo cui il regolamento comunitario
2. L’ambito di applicazione
Le nuove «disposizioni in materia di distribuzione automobilistica» sono volte a regolare «la commercializzazione di veicoli non ancora immatricolati, nonché di auto- veicoli che siano stati immatricolati dai distributori autorizzati da non più di sei mesi e che non abbiano percorso più di 6.000 chilometri» (art. 7-quinquies, 1° comma, d.l. n. 68/2022). In tal modo la nuova disciplina riguarda gli accordi per la distribuzione di tutti gli autoveicoli che si considerano nuovi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per gli ac- quisti intracomunitari, cioè gli autoveicoli effettivamente nuovi, ma secondo un’accezio- ne ampia che include non solo i veicoli di prima mano (cioè quelli da immatricolare), ma anche quelli di seconda mano o successiva, se immatricolati da distributori autorizzati da non più di sei mesi e purché non abbiano percorso più di seimila chilometri, e cioè tutti gli autoveicoli che si considerano nuovi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per gli acquisti intracomunitari8.
Tale estensione fondamentalmente è volta ad includere nell’ambito di applicazione anche le auto c.dd. a km 0: infatti, per essere considerati nuovi anche dopo la prima im- matricolazione ai fini della nuova disciplina gli autoveicoli devono avere sostanzialmente i requisiti che erano già stati individuati per definire le auto a km 0 anche dalla giurispru- denza, e cioè:
a) devono essere stati immatricolati da distributori autorizzati: in questo senso la giu- risprudenza aveva infatti già chiarito, da una parte, che per lo più «si tratta di vetture provenienti da concessionario e, solitamente, utilizzate per esposizione oppure im- matricolate in prossimità delle scadenze periodiche in cui i concessionari regolano con la casa madre il volume di acquisti al fine di conteggiare la scontistica contrat- tualmente collegata a tali volumi, scontistica che aumenta a favore del concessiona- rio, per le auto acquistate dalla casa madre, man mano che maggiore diventa il volu- me di auto immatricolate»;
è sempre e subito applicato dal giudice italiano, pur in presenza di confliggenti disposizioni della legge interna» (Corte cost. 170/1984, cit., § 6 della parte in diritto).
8 Infatti, ai sensi dell’art. 38 del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito con modificazioni in legge 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto che si applica sugli acquisti intracomunitari di beni effettuati nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese (1° comma), tra tali acquisti sono inclusi anche «gli acquisti a titolo oneroso di mezzi di trasporto nuovi trasportati o spediti da altro Stato membro» (3° comma, lett. e) e che in tale contesto «i mezzi di trasporto non si considerano nuovi alla duplice condizione che abbiano percorso oltre seimila chilometri e la cessione sia effettuata decorso il termine di sei mesi dalla data del provvedimento di prima immatricolazione o di iscrizione in pubblici registri o di altri provvedimenti equipollenti». Argomentando a contrario da tale disposizione e utilizzando lo stesso criterio già proprio del regime dell’imposta sul valore aggiunto relativo agli acquisti intracomunitari, si ricava che il legislatore ha stabilito che anche ai fini dei contratti di distribuzione regolati dall’art. 7-quinquies d.l. n. 68/2022 si considerano nuovi non solo «i veicoli non ancora immatricolati», ma anche gli «autoveicoli che siano stati immatricolati dai distributori autorizzati da non più di sei mesi e che non abbiano percorso più di 6.000 chilometri».
b) devono avere una percorrenza chilometrica limitata: in questo senso la giurispru- denza aveva infatti già chiarito che «l’acquisto di auto definita nel gergo commerciale di settore con km 0, riguarda, secondo una nozione di comune esperienza, una vet- tura già immatricolata le cui qualità essenziali sono che non abbia una significativa percorrenza chilometrica e sia di recente immatricolazione», cioè un’«auto che non abbia subito usura, sia meccanica che nelle parti interne all’abitacolo, determinata dall’uso»;
c) le pregresse immatricolazioni delle auto a km 0 possono essere anche più d’una, se «i vari passaggi di proprietà intermedi sono intercorsi esclusivamente tra rivenditori di auto, che si deve presumere non abbiano usato l’auto data la loro qualità»9.
Le nuove disposizioni in materia di distribuzione automobilistica integrata hanno natura transtipica, perché – come anche quelle della cessione dei crediti10, dei contratti ad effetti reali, dei contratti sinallagmatici, della somministrazione11, della vendita di be- ni di consumo12, ecc. – contemplano una struttura negoziale incompleta che necessita di integrazioni negoziali, che servono a definire, nell’ambito della funzione generica e co- stante cui allude la norma che ne definisce la nozione, quella ulteriore e specifica di cia- scun singolo accordo, di volta in volta variabile. Infatti, l’integrazione nell’attività di di- stribuzione può essere realizzata attraverso una molteplcità di cause particolari, anche combinate tra loro, come sono appunto quelle della somministrazione, del franchising, della concessione di vendita, ma anche della vendita, del mandato, dell’agenzia, ecc. Esse pertanto sono destinate ad essere applicate, per la parte pertinente, a tutti i contratti che condividono tra loro la medesima causa generica, o costante, che è quella di realizzare l’integrazione delle attività che ai diversi livelli di una catena distributiva sono necessarie per la commercializzazione di un dato prodotto. Alla restante parte dell’accordo, sulla base della causa specifica, o variabile, che di volta in volta li caratterizza, si applicano invece le disposizioni compatibili che disciplinano il contratto cui corrispondono le sin- gole prestazioni.
I confini dell’ambito di applicazione sono comunque chiari.
Per comprenderne la portata è opportuno tenere presente che, com’è noto, l’attività di distribuzione si può realizzare fondamentalmente in tre forme organizzative compre- se tra due poli opposti: a) da una parte, vi è il polo della «distribuzione indiretta», che è quella nell’ambito della quale il produttore concentra ogni attenzione e sforzo sulla re- alizzazione del bene da mettere in circolazione, rinunciando al controllo dei vari stadi della commercializzazione, che restano invece appannaggio di imprese indipendenti e
9 Trib. Taranto 19 febbraio 2019, n. 443, in One Legale.
10 XXXXXXXX, Per una teoria della causa del negozio giuridico (con particolare riguardo alla cessio- ne del credito), in Studi in onore di A. Asquini, vol. III, Padova, 1965, 1336 ss.).
11 In proposito x. XXXXX, voce Somministrazione, in Enc. dir., vol. XLII, 1270 ss., spec. 1275 s.
12 Ci permettiamo di rinviare in proposito al nostro X. XXXXX, I beni di consumo e la disciplina delle vendite aggressive, Bari, 2013, 27, 39, 43 s. e 241 ss., nonché già in Id., Commento all’art. 1fl8, in C.M. bIANCA (a cura di), La vendita di beni di consumo, Padova, 2006, 6 ss., spec. 9 ss.
specializzate nel commercio, le quali assumono quindi in proprio tutti i rischi signifi- cativi dell’attività di distribuzione; b) dall’altra, vi è il polo della «distribuzione diretta», che è quella nell’ambito della quale il produttore si organizza in modo tale che la merce passi direttamente all’acquirente finale, rilevando su di sé tutte le funzioni attinenti alla distribuzione commerciale, della quale sostiene tutti i rischi significativi13; c) nel conti- nuum che va da un polo all’altro, ma senza coincidere né con l’uno né con l’altro, si pos- sono rinvenire infine tutte le forme intermedie di «distribuzione integrata», che sono quelle nelle quali la distribuzione è realizzata da operatori distinti dai produttori, che sono commercianti a pieno titolo in quanto assumono significativi rischi distributivi (nel senso che, come nella distribuzione indiretta, a seconda del caso, possono acquistare per rivendere, assumere il rischio dell’invenduto, guadagnare lucrando margini), ma che per contenere tali rischi cedono parte del loro potere decisionale sulle modalità di gestione della propria impresa commerciale stipulando appositi contratti di durata (gli «accordi verticali» appunto) nell’ambito dei quali s’impegnano a coordinare la loro attività con le esigenze di marketing della controparte, che può essere un produttore o un altro opera- tore commerciale (tale è il caso della rivendita autorizzata, della concessione di vendita e del franchising)14.
Gli elementi qualificanti della definizione dettata dal legislatore europeo a più riprese, e da ultimo nei regolamenti MVBER e VBER, richiamata anche dal legislatore nazionale nell’art. 7-quinquies, 1° comma, d.l. n. 68/2022, chiariscono che gli accordi verticali sono solo quelli che servono a regolare i rapporti tra imprese che collaborano nell’ambito della distribuzione integrata. Infatti, tale definizione: a) da una parte, chiari- sce che gli «accordi verticali» sono solo quelli stipulati «tra due o più imprese, operanti ciascuna … ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione», cioè accordi che intercorrono tra due o più parti, le quali ai fini dell’accordo nell’ambito della catena di distribuzione agiscono nella loro qualità di soggetti economici indipendenti, in quanto e nella misura in cui contribuiscono alla realizzazione del programma concorda- to attraverso prestazioni tipiche delle loro specifiche attività d’impresa, distinte e sepa- rate; b) dall’altra, chiarisce anche che si tratta di accordi con i quali le imprese limitano il loro potere decisionale sull’esercizio dell’attività commerciale che svolgono, regolando le «condizioni in base alle quali … possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi».
Tale definizione degli accordi verticali allude quindi chiaramente ai contratti che regolano le forme di distribuzione integrata, perché è solo in tali forme di distribuzione
13 Cfr. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, 11 ss.; ID., voce Contratti di distribuzio- ne, in Enc. giur. Treccani, vol. IX, Roma, 1988, 1 ss., spec. 1 s.
14 Infatti, tra i due poli estremi della distribuzione indiretta e diretta «è possibile concepire tutta una sfumata gamma di pattuizioni che permettono, in qualche misura, di coordinare la fase produttiva con quella distributiva, senza per questo annullare l’autonomia dei partners. Viene così ad attuarsi un’integrazione verticale convenzionale: ai contratti che la realizzano riserveremo per l’innanzi il nome di “contratti di distribuzione”» (PARDOLESI, I contratti di distribuzione, cit., 14 s.).
che due o più imprese distinte, che operano a un livello differente della stessa catena di distribuzione, si accordano per regolare le condizioni alle quali acquistare, vendere o rivendere i beni o i servizi che costituiscono l’oggetto di quella distribuzione.
La distribuzione integrata, infatti, da una parte, si distingue dalla distribuzione diretta e si avvicina a quella indiretta perché è svolta da distributori indipendenti dal loro fornitore e tuttavia, dall’altra, si distingue dalla distribuzione indiretta e si avvicina a quella diretta perché i distributori non agiscono in piena autonomia, ma attraverso gli accordi verticali regolati dai Regolamenti MVBER e VBER, e ora anche dall’art. 7-quin- quies d.l. n. 68/2022, cedono al produttore, o comunque al fornitore del prodotto che distribuiscono, parte del loro potere decisionale sull’esercizio dell’attività commerciale che svolgono15.
A tali condizioni, nella nozione di accordi verticali, o di distribuzione integrata, non rientrano i contratti per la distribuzione indiretta, cioè i contratti con i quali un distribu- tore acquista in piena autonomia per rivendere, lucrando margini e assumendo il rischio dell’invenduto e ogni altro rischio significativo di tale commercio. Questi contratti, infat- ti, regolano separatamente ogni passaggio del prodotto, ma non l’attività di distribuzione nel suo complesso, e perciò realizzano di fatto la distribuzione del prodotto, ma senza regolarla con accordi verticali.
Nella nozione di accordi di distribuzione integrata non rientrano neanche i casi che si collocano nel polo opposto della distribuzione diretta, cioè quelli nei quali la commer- cializzazione del prodotto è svolta da un unico soggetto economico (produttore, importa- tore o figura similare) che svolge direttamente in proprio la funzione di fornitore, i quali comprendono anche le ipotesi nelle quali ciò avviene con l’ausilio di intermediari che svolgono attività utili alla distribuzione, ma a condizioni tali da non poter essere con- siderati soggetti economici indipendenti, in quanto non acquistano per rivendere, non assumono il rischio dell’invenduto e guadagnano per lo più sulle provvigioni (come nel
15 In tale contesto i distributori «si obbligano, in altre parole, a rispettare prescrizioni, con- cernenti tanto le componenti della propria attività di rivenditore quanto la misura degli sforzi di vendita, finalizzate a promuovere gli interessi del partner contrattuale; entrano a far parte dell’altrui rete distributiva. Ci troviamo così al cospetto del “distributore integrato”, un commer- ciante … si distingue per ave contrattualmente alienato una frazione del proprio potere decisio- nale rispetto alle modalità di gestione dell’impresa» (PARDOLESI, voce Contratti di distribuzione, cit., 2).
caso dell’agenzia16, della commissione17 e della mediazione)18, ma eventualmente anche lucrando margini (come nel caso del contratto estimatorio). Quando ciò accade, infatti, l’attività di tali soggetti ausiliari è regolata da appositi accordi di cooperazione, i quali tuttavia non possono essere considerati «accordi verticali» ai sensi e per gli effetti di cui ai Regolamenti MVBER e VBER e dell’art. 7-quinquies, d.l. n. 68/2022, perché non sono stipulati «tra due o più imprese, operanti ciascuna … ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione».
In altre parole, la categoria degli accordi verticali non include tutta l’ampia cate- goria dei «contratti in materia di distribuzione», ma solo quella parte più ristretta di ta- le categoria contrattuale che va sotto il nome di «contratti di distribuzione integrata», o «contratti di distribuzione» tout court19, che comunque abbraccia una pluralità di tipi
16 Ed infatti anche per PARDOLESI, I contratti di distribuzione, cit., 13, «il contratto di agenzia non va annoverato tra quelli di distribuzione», perché almeno «in termini puramente economici» l’a- gente opera alla stregua di un organo del produttore (o altro fornitore del prodotto). V., però, anche quanto si dirà più diffusamente, infra, nel § 3.
17 In questo senso anche la giurisprudenza ha chiarito che «nel mandato ad alienare – come nella commissione, quando abbia ad oggetto tale tipo di mandato – è ravvisabile un contratto in cui l’effetto traslativo dei beni, derivante dal consenso manifestato dalle parti (art. 1376 c.c.), non si verifica immediatamente, essendo sospensivamente condizionato al compimento dell’alienazione gestoria del bene da parte del mandatario-commissionario, il quale, pertanto, in base alle regole del mandato senza rappresentanza, ha il potere di trasferire validamente il bene, che forma oggetto di contratto, al terzo, in nome proprio e per conto del committente, senza necessità di disvelare l’esistenza del mandato, né si dar luogo ad alcun negozio di ritrasferimento del bene medesimo» (Cass., 7 dicembre 1994, n. 10522, in DeJure). Ne consegue che la posizione del commissionario ri- spetto ai beni che deve alienare non comporta l’acquisto della proprietà ai fini della rivendita, ma solo un obbligo di custodia nell’interesse del committente qualora gli siano eventualmente conse- gnati in vista della collocazione sul mercato (in questo senso x. Xxxx., 24 maggio 2007, n. 12089, in DeJure, secondo la quale «il mandato (o la commissione) a vendere, con deposito della cosa presso il mandatario (o il commissionario), comporta per quest’ultimo l’obbligo della custodia ai sensi dell’art. 1177 c.c.»).
18 Cfr. PARDOLESI, voce Contratti di distribuzione, cit., 5, secondo il quale l’agenzia, la commis- sione, il contratto estimatorio e la mediazione sono i tipi contrattuali «ortodossi» che insieme ai contratti di distribuzione (dai quali evidentemente si distinguono) concorrono a formare il novero dei contratti in materia di distribuzione.
19 La formula «contratti di distribuzione» può essere utilizzata sia con un significato più am- pio, comprensivo di tutti i contratti mediante rivenditori integrati (come la rivendita autorizzata, la concessione di vendita e il franchising), sia con un significato più ristretto che, risentendo dell’uso della formula in lingua inglese «distributor agreement» o «distributorship agreement», allude al solo contratto di concessione di vendita [BORTOLOTTI, Caratteristiche e funzione dei contratti di distribu- zione, in BORTOLOTTI (a cura di), Contratti di distribuzione, Milano, 2022, 3 ss., spec. 6; v. anche Trib. Busto Arsizio 21 maggio 2021, n. 816, nonché Trib. Perugia 26 agosto 2020, n. 932, entrambe in De Jure]. In ogni caso, se intesi nella loro accezione più ampia «i contratti di distribuzione … presen- tano, nel loro complesso, contorni nitidi e sufficientemente omogenei; mentre sembra destinato al fallimento ogni tentativo di ricavare, al loro interno, figure autonome», tanto che «a voler battere questa via, i contorni si fanno vieppiù impalpabili; e si accresce a dismisura il rischio di trattare in
contrattuali legali (come, per esempio, il franchising) o sociali (come, per esempio, la con- cessione di vendita).
3. (segue) Accordi verticali e agenzia
Il fondamento e le conseguenze del confine tra distribuzione integrata e distribu- zione diretta che si è individuato nel paragrafo precedente sono chiariti dagli «orienta- menti sulle restrizioni verticali» del 10 maggio 2022, i quali prendono in considerazione il caso emblematico nel quale l’ausiliario sia un agente, cioè «una persona fisica o giuridica a cui è stato conferito il potere di negoziare e/o concludere contratti per conto di un’al- tra persona (“il preponente”), in nome proprio o in nome del preponente, per l’acquisto di beni o servizi da parte del preponente, o per la vendita di beni o servizi forniti dal preponente»20.
A tale riguardo, in considerazione del fatto che gli accordi verticali che rientra- no nell’ambito di applicazione del divieto di intese restrittive della concorrenza posto dall’art. 101 TFUE ed ai quali si riferiscono quindi le esenzioni per categoria poste dai Regolamenti MVBER e VBER sono solo quelli «tra due o più imprese», gli orientamenti in parola rilevano che, invece, «in determinate circostanze, il rapporto tra un agente e il suo preponente può essere caratterizzato come un rapporto in cui l’agente non agisce più come un soggetto economico indipendente»: in particolare ciò accade «quando l’agente non sostiene rischi finanziari o commerciali significativi in relazione ai contratti con- clusi o negoziati per conto del preponente»; «in tal caso, il contratto di agenzia si colloca in tutto o in parte al di fuori dell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, del trattato»21.
In tal modo gli «orientamenti sulle restrizioni verticali» chiariscono che gli accordi verticali cui si riferisce l’esenzione per categoria posta dai Regolamenti MVBER e VBER, richiamati dall’art. 7-quinquies, 1° comma, d.l. n. 68/2022 per definire l’ambito di appli- cazione della nuova disciplina in materia di distribuzione di autoveicoli nuovi, sono solo quelli che intercorrono tra due o più soggetti economici indipendenti e sono tali proprio solo se e nella misura in cui quei soggetti svolgono attività d’impresa distinte e separate, anche se complementari.
Ai fini di tale misura gli orientamenti precisano che esistono «tre tipi di rischi fi- nanziari o commerciali che sono rilevanti per la classificazione di un accordo come con- tratto di agenzia che non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, del trattato»: a) i «rischi specifici del contratto», cioè i rischi «che sono direttamente collegati ai contratti stipulati e/o negoziati dall’agente per conto del preponente, come ad
maniera diseguale situazioni e che oggettivamente tendono a coprirsi» (X. XXXXXXXXX, voce Contratti di distribuzione, cit., 5).
20 Guidelines on vertical restraints – C (2022) 3006 final del 10 maggio 2022, n. 29.
21 Guidelines on vertical restraints, cit., n. 30.
esempio il finanziamento delle scorte»; b) i «rischi legati agli investimenti specifici del mercato», cioè agli «investimenti specificamente necessari per il tipo di attività per la quale l’agente è stato nominato dal preponente, ossia necessari per consentire all’agente di concludere e/o negoziare uno specifico tipo di contratto»: «tali investimenti sono soli- tamente irrecuperabili, il che significa che, una volta lasciato quel particolare settore di attività, l’investimento non può essere utilizzato per altre attività o venduto se non con una perdita significativa»; c) i «rischi legati ad altre attività intraprese sullo stesso mer- cato del prodotto, nella misura in cui il preponente richiede, come parte del rapporto di agenzia, che l’agente intraprenda tali attività non come agente per conto del preponente, ma a proprio rischio»22.
La rilevanza di questi rischi finanziari o commerciali consiste in ciò, che un contrat- to di agenzia non rientra nel novero degli accordi verticali contemplati dall’articolo 101.1 TFUE, e quindi dai Regolamenti MVBER e VBER, «se l’agente non si assume nessuno dei tipi di rischio elencati o se si assume tali rischi solo in misura irrilevante» (fermo restan- do che però «i rischi legati all’attività di fornitura di servizi di agenzia in generale, come il rischio che il reddito dell’agente dipenda dal suo successo come agente o gli investimenti generali, ad esempio in locali o personale, che potrebbero essere utilizzati per qualsiasi tipo di attività, non sono rilevanti ai fini della valutazione»)23. Viceversa, vi rientra «in tut- to o in parte»24 se e nella misura in cui l’agente si assume in grado rilevante taluno di quei tipi di rischio (ciò significa che quando vi rientra solo in parte la disciplina degli accordi verticali non si applica anche alla parte che «resta al di fuori dell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, del trattato»25 e quindi dei Regolamenti MVBER e VBER).
Tale spiegazione illumina e condiziona anche l’interpretazione dell’integrazione aggiunta dalla l. n. 6/2023 di conversione del d.l. n. 176/2022 al testo originario dell’art. 7-quinquies, primo comma, d.l. n. 68/2022, con la quale si è precisato che «le disposizioni di cui al presente articolo si applicano agli accordi verticali» per la commercializzazione di veicoli nuovi «anche se ricondotti allo schema del contratto di agenzia o di concessione di vendita o di commissione».
Infatti, quanto spiegato dagli «orientamenti sulle restrizioni verticali» con riguardo al rapporto tra gli accordi verticali di distribuzione ed il caso del contratto di agenzia – figura emblematica di contratto d’intermediazione – fa comprendere che il riferimento all’eventualità che gli accordi verticali possano essere «ricondotti allo schema del con- tratto di agenzia … o di commissione» non esclude che in realtà gli incarichi di inter- mediazione (agenzia, mandato a vendere, commissione, mediazione, ecc.) in linea di principio restano al di fuori dall’ambito di applicazione della nuova disciplina, perché questa concerne esclusivamente gli accordi verticali per la distribuzione integrata, cioè
22 Guidelines on vertical restraints, cit., n. 31.
23 Guidelines on vertical restraints, cit., n. 32.
24 Guidelines on vertical restraints, cit., n. 30.
25 Cfr. Guidelines on vertical restraints, cit., n. 30.
gli accordi di cooperazione tra imprese che operano ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione per la pattuizione di restrizioni del potere decisionale delle imprese che vi partecipano26, mentre quelli sono accordi che nella loro versione di base (o – per così dire – pura) vanno piuttosto ricondotti all’area della distribuzione diretta: infatti, dal punto di vista causale nessuna di quelle figure negoziali implica che l’intermediario assuma uno o più dei «tre tipi di rischi finanziari o commerciali che sono rilevanti per la classificazione di un accordo» come accordo verticale27 e quindi che agi- sca come soggetto economico indipendente28.
D’altra parte, gli «orientamenti sulle restrizioni verticali» chiariscono però anche che non può escludersi che un agente possa assumere uno o più di tali rischi (ma più in generale si può ritenere che ciò valga, almeno in linea di principio, per qualsiasi ausiliario che svolga una funzione di intermediazione). Quando ciò accade, il contratto di agenzia e ogni altro accordo di intermediazione o la parte di questi contratti che addossino quei rischi all’agente o all’intermediario devono essere considerati alla stregua non di meri accordi per la distribuzione diretta di un prodotto, ma di veri e propri accordi di distri- buzione integrata, cioè accordi verticali tra soggetti economici indipendenti assoggettati alle disposizioni dei Regolamenti MVBER e VBER, nonché anche alle «nuove disposizioni in materia di distribuzione automobilistica» dettate dall’art. 7-quinquies d.l. n. 68/202229. Una conferma della correttezza di tale interpretazione si può rinvenire nella circo- stanza che secondo le nuove disposizioni in materia di distribuzione automobilistica – come si dirà meglio più avanti – «al costruttore o all’importatore che recede dall’accordo è fatto obbligo di corrispondere al distributore autorizzato un equo indennizzo, parame- trato» tra l’altro «al valore … degli investimenti che questo ha in buona fede effettuato ai fini dell’esecuzione dell’accordo e che non siano stati ammortizzati alla data di cessazio-
26 In questo senso cfr. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, cit., 135 s., che riferisce di una per- cezione sociale dell’agente ai tempi dell’introduzione del Codice civile del ‘42 come «un ausilia- rio a mezza via fra subordinazione e autonomia» e di «un assestamento di ordine dogmatico, reso possibile – e indolore – da particolari caratteri dello “statuto” del piccolo imprenditore», categoria che com’è noto include «i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia» (art. 2083 c.c.).
27 Anche per la giurisprudenza, infatti, «la distinzione sul piano giuridico tra concessione di vendita in esclusiva e agenzia, consiste essenzialmente nella circostanza che il concessionario ac- quista le merci dal produttore in nome proprio e le rivende a terzi, in nome proprio e a proprio rischio, mentre l’agente agisce per conto (e anche in nome) del produttore, promuovendo la conclu- sione di contratti di vendita tra il preponente e il terzo, onde l’attività di promozione della conclu- sione di affari costituisce caratteristica precipua del contratto di agenzia» (App. Bologna 3 maggio 1993, in One Legale).
28 Cfr. Guidelines on vertical restraints, cit., n. 32.
29 Perché ciò accada è sufficiente che l’agente (o più in generale l’intermediario) sostenga uno o più dei seguenti rischi elencati Guidelines on vertical restraints, cit., n. 33. A tale proposito le stesse linee guida precisano, da una parte, che ciascuno dei rischi di questo elenco è rilevante anche da solo ai fini della qualificazione del contratto come accordo verticale, ma, dall’altra, anche che l’e- lenco non è esaustivo.
ne dell’accordo» (art- 7-quinquies, 4° comma, lett. a, d.l. n. 68/2022)30. Per il suo contenuto, infatti, tale disposizione si può applicare ai contratti di agenzia (ed alle figure affini) solo nella misura in cui l’agente effettui alcuno degli investimenti specificamente necessari per il tipo di attività per la quale è stato nominato dal preponente (ossia taluno degli in- vestimenti necessari per consentire all’agente di concludere e/o negoziare uno specifico tipo di contratto funzionale alla distribuzione del prodotto), il che costituisce proprio uno dei criteri discriminanti per individuare se si tratta di un contratto di agenzia che ri- entra nell’ambito di applicazione dell’art. 101.1 TFUE e, conseguentemente, di un accordo verticale soggetto ai Regolamenti MVBER e VBER ed all’art. 7-quinquies d.l. n. 68/202231.
La nuova disciplina quindi si può applicare anche ai contratti di agenzia e di com- missione (e, in generale, a tutti i contratti di intermediazione), ma solo allorché e nella misura in cui si tratti di contratti che regolano forme di distribuzione integrata: cioè solo allorché e per la parte in cui l’intermediario, assumendo «rischi finanziari o commercia- li significativi in relazione ai contratti conclusi o negoziati per conto del preponente»32, risulti essere un soggetto che nella sostanza svolge una propria attività commerciale se- parata, in relazione alla quale però limita il proprio potere decisionale stipulando veri e propri accordi verticali con il produttore, l’importatore, o altra figura similare che agisce ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione, accettando in tal modo di coordinarsi con le sue esigenze di marketing.
In questo stesso senso anche gli «orientamenti sulle restrizioni verticali» chiari- scono esplicitamente che «la questione del rischio» dalla quale dipende la qualificazione dell’accordo come un accordo verticale che – nella misura in cui includa restrizioni ver- ticali – rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 101.1 TFUE, dei Regolamenti MVBER e VBER (e quindi, per le ragioni che si sono dette, anche delle nuove disposizioni in materia di distribuzione automobilistica) «deve essere valutata caso per caso e tenendo conto del- la realtà economica della situazione, piuttosto che della forma giuridica dell’accordo»33.
La commistione negli accordi di distribuzione integrata tra elementi riconducibili agli incarichi di mera cooperazione nella vendita da parte del fornitore e altri riconduci- bili a vere e proprie forme di rivendita da parte del distributore non è infrequente34. Tut-
00 Xx xxxx xxxxxxxxxxxx x. quanto si dirà più diffusamente, infra, § 7.
31 Guidelines on vertical restraints, cit., nn. 31 e 32.
32 Guidelines on vertical restraints, cit., n. 30.
33 Guidelines on vertical restraints, cit., n. 34.
34 Con riguardo alla contaminazione tra somministrazione e commissione x. Xxxx., 21 luglio 1994, n. 6819, in One Legale, nonché Cass., 14 luglio 1986, n. 4540, secondo la quale «va qualificato come contratto di commissione … quello con cui un soggetto non si limiti a promuovere ovvero an- che a concludere la vendita di autovetture in nome e per conto della casa costruttrice, bensì dopo aver acquistato dette vetture, provveda, con autonoma organizzazione, alla loro rivendita a terzi in nome proprio, ma per conto della casa costruttrice». Con riguardo alla contaminazione tra com- pravendita e mandato nel contesto di un contratto misto di vendita con esclusiva contenente clau- sole che fanno del concessionario «quasi un ausiliario del venditore» quale elemento che induce a
«stabilire che, per quanto attiene al “rapporto di collaborazione” e al “collegamento degli interessi
tavia, poiché normalmente i contratti di agenzia e di commissione (e, in generale, tutti quelli di intermediazione) non comportano l’assunzione di alcuno dei rischi significativi propri della distribuzione integrata, tale circostanza non può considerarsi implicata nel- la qualificazione dell’accordo come un contratto di agenzia o di commissione (o in gene- rale d’intermediazione) per la distribuzione di autoveicoli, ma, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2697 c.c., deve essere provata dal distributore che voglia far valere taluno dei diritti attribuiti dall’art. 7-quinquies d.l. n. 68/2022 e, in caso contrario, la richiesta va rigettata.
4. Il contenuto degli accordi di distribuzione
In via preliminare, con riguardo a tutti gli accordi per la distribuzione automobi- listica integrata la nuova disciplina stabilisce che essi «regolano le modalità di vendita, i limiti del mandato, le rispettive assunzioni di responsabilità e la ripartizione dei costi connessi alla vendita» (art. 7-quinquies, 2° comma, d.l. n. 68/2022).
A tale proposito:
i) per quanto concerne le «modalità di vendita» si può pensare, per esempio, alla previ- sione degli obblighi di predisporre e mantenere aree riservate ai veicoli con marchio del costruttore, dell’importatore o comunque del fornitore del prodotto da distribu- ire; di non esporre veicoli di altri marchi in aree riservate ai veicoli con marchio del fornitore del prodotto da distribuire; di non esporre veicoli di altri marchi insieme ai veicoli del fornitore; ecc.;
ii) quanto ai «limiti del mandato» l’espressione deve intendersi riferita in senso generi- co alla portata dell’incarico finalizzato alla distribuzione, e non significa quindi che i contratti di distribuzione devono necessariamente consistere in un mandato al di- stributore, o comunque includere il conferimento di un mandato inteso nel senso tecnico di un contratto che obblighi il distributore a compiere uno o più atti giuridici per conto del fornitore del prodotto da distribuire ai sensi degli artt. 1703 ss. c.c.35;
delle parti”, si applicano le regole del mandato» x. XXXXXXXXX, I contratti di distribuzione, cit., 235 ss.;
ID., voce Contratti di distribuzione, cit., 6 s. e la giurisprudenza ivi menzionata.
35 Per la tendenza a configurare gli accordi di distribuzione integrata, sin dal prototipo della vendita con esclusiva e già prima dell’entrata in vigore del Codice civile del ’42, «alla stregua di un contratto misto, partecipe di elementi della vendita e del mandato» v. criticamente PARDOLESI, I con- tratti di distribuzione, cit., 235 ss., spec. 241 s., il quale osserva che «la tesi si fonda su un’assonanza, piuttosto che una solida base dogmatica», perché «una lettura del fenomeno in chiave gestoria, per il fatto stesso di ruotare intorno all’interesse del mandante, finisce col mortificare quello del concessionario», mentre «per il concessionario, l’attività di rivendita non è tanto distribuzione di prodotti altrui, quanto oggetto della sua impresa; piuttosto che supplire alle funzioni di terzi, egli mette mano, se pure in un contesto eterodosso, a quelle che gli competono istituzionalmente in qualità di intermediario».
iii) per quanto concerne le «rispettive assunzioni di responsabilità» si può pensare, per esempio, alle clausole di esonero dalla responsabilità, alle manleve, alle fideiussioni, alle assicurazioni, ecc.;
iv) infine, per quanto attiene alla «ripartizione dei costi connessi alla vendita» si può pensare, per esempio, ai costi per i locali, per le attrezzature, per la formazione del personale, per la pubblicità, ecc.
5. Contratti a termine e a tempo determinato e rispettivi modelli di re- cesso
L’art. 7-quiquies d.l. n. 68/2022 nella versione modificata dalla l. n. 6/2023 stabilisce che «gli accordi tra il costruttore o l’importatore e il distributore autorizzato sono a tem- po indeterminato o, se a termine, hanno durata minima di cinque anni» e che «per gli ac- cordi a tempo indeterminato, il termine di preavviso scritto fra le parti per il recesso è di ventiquattro mesi» (2° comma). Ciò perché, da una parte, anche i contratti di distribuzio- ne automobilistica integrata, come tutti i contratti di durata, possono essere a tempo de- terminato (con la peculiarità che però questi contratti dovrebbero durare almeno cinque anni), oppure essere a tempo indeterminato. Dall’altra, anche per questi contratti vale il principio secondo il quale (cfr. artt. 1569 e 1677 c.c.), se la durata non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dando preavviso entro un termine congruo avuto riguardo alla natura del contratto (con la peculiarità che però in questo caso il preavviso deve essere fatto in forma scritta e l’ampiezza del termine non può essere derogata da una diversa pattuizione, né quindi dagli usi negoziali, perché «le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 sono inderogabili» – comma 5-bis).
Invece, per ciò che attiene alla cessazione del rapporto «per gli accordi a tempo de- terminato, ciascuna parte comunica in forma scritta, almeno sei mesi prima della sca- denza, l’intenzione di non procedere alla rinnovazione dell’accordo, a pena di inefficacia della medesima comunicazione», altrimenti «al costruttore o all’importatore che recede dall’accordo è fatto obbligo di corrispondere al distributore autorizzato un equo inden- nizzo, parametrato congiuntamente al valore: a) degli investimenti che questo ha in buo- na fede effettuato ai fini dell’esecuzione dell’accordo e che non siano stati ammortizzati alla data di cessazione dell’accordo; b) dell’avviamento per le attivita’ svolte nell’esecu- zione degli accordi, commisurato al fatturato del distributore autorizzato negli ultimi cinque anni di vigenza dell’accordo.
In definitiva, l’art. 7-quinquies d.l. n. 68/2022: i) da una parte, contempla due catego- rie di accordi distribuzione automobilistica integrata: cioè quelli a termine (che devono durare almeno cinque anni) e quelli a tempo indeterminato (che non hanno una durata predefinita); ii) dall’altra, per ciascuna di queste categorie di accordi, contempla altret- tante figure di recesso: quello di pentimento prima della scadenza del termine, quando ne è stabilito uno (4° e 5° comma), e quello determinativo, quando non ne è stabilito alcu- no (2° comma).
i) Quanto al primo aspetto, nonostante l’apparente incongruenza di una soluzione che impone una durata di cinque anni per i soli contratti a tempo determinato, e non an- che per quelli a tempo indeterminato, non si può opporre al chiaro tenore letterale del- la disposizione la tesi alternativa secondo la quale lo spirito della legge potrebbe essere invece quello di disporre che anche gli accordi verticali a tempo indeterminato debbano avere una durata minima di cinque anni. Infatti, posto che l’imposizione di quella durata minima è contraria ai Regolamenti MVBER e VBER e non può quindi reggere neanche per i contratti a termine [nei confronti dei quali deve essere infatti disapplicata in ragione del divieto posto dall’art. 3.2 Reg. (CE) n. 1/200336], xxxxxxxxx quella soluzione può essere imposta nel caso dei contratti a tempo indeterminato a dispetto del fatto che quel vincolo di durata piuttosto risulta già escluso dallo stesso tenore letterale della disposizione. Non si può infatti fare sistema con una disposizione illegittima che non può produrre effetti e, se anche si potesse, l’imposizione della durata di cinque anni sarebbe comunque ille- gittima anche con riguardo ai contratti a tempo indeterminato e dovrebbe essere quindi comunque disapplicata.
ii) Quanto al secondo aspetto, mentre nella prima versione dell’art. 7-quinquies, 4° comma, d.l. n. 68/2023 era esplicita la limitazione dell’obbligo d’indennizzo di cui al 4° e 5° comma al solo caso del recesso «prima della scadenza contrattuale» (e quindi l’appli- cabilità di quelle disposizioni alla sola ipotesi dei contratti a termine), tale limitazione non è più menzionata nella versione definitiva della disposizione come modificata dalla
l. n. 6/2023. Tuttavia, a favore della conferma dell’applicabilità di quelle disposizioni solo al caso di recesso anticipato dai contratti a termine militano almeno tre argomenti, tutti convergenti tra loro.
Il primo argomento si ricava dalla considerazione del sistema delle nuove dispo- sizioni in materia di distribuzione automobilistica, e in particolare dall’organizzazione stessa della disciplina dettata in materia di recesso. Infatti, dalla collocazione separata e altresì distanziata delle disposizioni che il d.l. n. 68/2022 dedica a tale materia si rica- va che queste sono evidentemente destinate a regolare due ipotesi differenti, posto che in caso contrario sarebbe stato più ragionevole ed efficiente regolarle contestualmente: a tali condizioni, altro è il recesso dai contratti a tempo indeterminato, che deve esse- re esercitato alle condizioni definite nel 2° comma (cioè per iscritto e con un preavviso di almeno ventiquattro mesi, ma senza pagare nulla); altro è il recesso che deve essere esercitato alle condizioni definite nel 4° e 5° comma (cioè senza dover rispettare alcun vincolo formale o cronologico, ma a fronte del pagamento di un equo indennizzo), il quale pertanto deve intendersi riferito a ipotesi diverse da quelle già regolate dal 2° comma, e cioè ai soli contratti a termine.
Il secondo e decisivo argomento si ricava dal sistema generale delle norme che regola- no i contratti di durata, nell’ambito del quale di regola i contratti a tempo indeterminato – a differenza di quelli a termine – possono essere sciolti liberamente e gratuitamente median-
36 V., supra, § 1.
te l’esercizio di quel recesso che è detto determinativo, perché altro non è che lo strumento tramite il quale s’individua il momento finale del rapporto di durata che è rimasto indeter- minato, al contrario di quanto evidentemente accade nei contratti a tempo determinato37. Tale recesso assolve così alla necessaria e fisiologica funzione di definire, insieme agli altri parametri di quantificazione (cfr. l’art. 1560 c.c.), l’entità complessiva delle prestazioni pe- riodiche o continuative a carico del fornitore, rendendo determinabile l’oggetto del contrat- to, altrimenti indeterminato. A tali condizioni, il riconoscimento generalizzato del diritto di esercitare il recesso determinativo, oltre ad esprimere l’avversione dell’ordinamento per gli impegni perpetui di carattere patrimoniale, evita anche che i contratti di durata a tempo indeterminato abbiano un oggetto non solo indeterminato (a differenza che nel caso dei contratti a termine), ma anche indeterminabile, il che, com’è noto, costituisce causa di nul-
37 A tale riguardo si parla, com’è noto, di obbligazioni di durata, intese come quelle «la cui ese- cuzione non si risolve uno actu ma è destinata a protrarsi nel tempo, perché, solo così protraendosi, soddisfa agli interessi delle parti» [TALICE, voce Termine (diritto privato), in Enc. dir., vol. XLIV, Mila- no, 1992, 187 ss., spec. 199]: esse includono, da una parte, quelle nelle quali «la prestazione dovuta non potrebbe essere pensata se non caratterizzata da una certa durata (anche minima), soddisfa- cendo, questa, ad un interesse “durevole” dei soggetti»; nonché, dall’altra, quelle nelle quali la pre- stazione viene «eseguita periodicamente, ma ciò in funzione di un particolare interesse dell’una parte ad ottenere soddisfazione a bisogni, quali periodicamente si manifestano e anche in ragione di entità variabili (v. riferimento al fabbisogno della parte cosiddetta somministrata). È questa la categoria delle obbligazioni ad esecuzione “periodica” (esemplare può ritenersi la somministra- zione periodica di cose, art. 1559)». Le obbligazioni di durata non includono a anche quelle nelle quali «la durata dell’adempimento è “subita” ma non “voluta” dalle parti», perché può parlarsi di obbligazioni di durata in senso proprio solo quando «la durata non è un elemento accidentale ma è l’effetto della stessa natura della prestazione dedotta in obbligazione, la cui dimensione quantitati- va è in ragione dell’unità temporale» [TALICE, voce Termine (diritto privato), cit., 200]. Per descrivere lo stesso fenomeno si parla anche, com’è noto, di «contratti ad esecuzione continuata o periodica», che «sono quei contratti la cui esecuzione si protrae nel tempo, con prestazioni continuative o ri- petute, per soddisfare un bisogno del creditore che si estende anch’esso nel tempo: contratti di lavoro, somministrazione, locazione, comodato, deposito, assicurazione, edizione, licenza di brevetto, conto corrente, agenzia e altri» (TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, 18a ed., Milano, 2009, 258; il corsivo è nel testo). «Tale tempo, dunque, che può tranquillamente qualificarsi quale termine, può avere riguardo tanto all’inizio di esecuzione (dies a quo) come alla cessazione (dies ad quem). I pro- blemi maggiori sono posti da questo secondo tipo di termine, giacché esso dovrà necessariamente essere presente, non potendo pensarsi che un’obbligazione possa durare all’infinito. Di qui l’esatta affermazione che, in tali obbligazioni, la clausola recante il dies ad quem non è altro che specifica- zione di un elemento “naturale” del rapporto» (TALICE, op. loc. ult. cit.). Cfr. anche XXXXX, Il contratto, cit., 512, il quale precisa, da una parte, che «un contratto può essere a esecuzione continuata per una prestazione, e periodica per la controprestazione (ad es., la locazione)», ma in tal caso «il trattamento è comunque quello che la legge prevede in modo indifferenziato per i contratti «a esecuzione con- tinuata o periodica»; dall’altra, anche che il fatto di essere a esecuzione continuata o periodica «è la qualifica dominante: se una prestazione è a esecuzione istantanea, mentre la controprestazione è a esecuzione continuata o periodica (ad es., deposito di un bene, contro corrispettivo da pagarsi in unica soluzione), si applica il regime dei contratti di durata» (i corsivi sono nel testo).
lità del contratto (artt. 1346 e 1418 c.c.)38. Se ne ricava che nell’ambito dei contratti di durata il principio che esclude la possibilità pentirsi e svincolarsi unilateralmente da un contratto dopo averlo stipulato – sancito in generale, com’è noto, dall’art. 1372, 1° comma, c.c. a nor- ma del quale «il contratto ha forza di legge tra le parti» e «non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge»39 – riguarda solo il recesso dai contratti a tempo determinato, dovendosi invece scartare l’idea che la portata di quella regola arrivi a precludere anche il recesso determinativo dai contratti a tempo indeterminato, dal mo- mento che in questo caso l’esercizio del diritto di recesso non manifesta un pentimento del contraente rispetto agli impegni assunti, ma l’esercizio di una facoltà che – anche al di là dell’avversione dell’ordinamento verso i vincoli patrimoniali perpetui – è necessaria per salvaguardare la validità del contratto e che per questo è riconosciuta esplicitamente con riguardo a tutte le prestazioni periodiche o continuative di cose e di servizi dagli artt. 1569 e 1677 c.c. e da altre disposizioni dalle quali si ricava il principio generale, a tenore del quale se la durata del rapporto non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando un congruo preavviso40.
38 Infatti, «nei contratti di durata l’operazione contrattuale si sviluppa nel tempo: recedere significa valutare, dopo avere fruito dell’operazione per un certo periodo, che quel periodo di fruizio- ne è sufficiente, e che fruire dell’operazione per un periodo ulteriore non sarebbe coerente con il proprio interesse» (XXXXX, Il contratto, cit., 515 s.; il corsivo è nel testo). Per questo secondo un in- segnamento classico «una prima funzione del potere di recesso, oramai largamente riconosciuta dagli interpreti, è quella di costituire uno strumento di integrazione nei contratti di durata privi del termine finale, nel senso che il contraente, comunicando il recesso, stabilisce il termine prima non concordato. Il fondamento di questa qualificazione viene, da un lato, dalla constatazione che l’entità della prestazione è proporzionale, nei contratti di durata, alla lunghezza del rapporto e, d’altro canto, dalla necessità di rispettare il requisito di determinatezza, od almeno determinabi- lità, dell’oggetto contrattuale» [X. XXXXXXXXX e XXXXXXXX, voce Recesso (diritto privato), in Enc. dir., vol. XXXIX, Milano, 1988, 27 ss., spec. 28]. In questo stesso senso v. anche SIRENA, Recesso e revoca, in Il diritto, XIII, Milano, 2007, 71 ss., spec. 72; ID., Effetti e vincolo, cit., spec. 125 s.; XXXXXXX, Il recesso e la revoca, cit., 1984 s.; XXXXX, Diritto privato, 5a ed., Milano, 2016, 435.
39 Ciò significa che normalmente le parti non sono legittimate a recedere unilateralmente dal contratto e che, se lo fanno senza che l’accordo o la legge attribuiscano specificamente alla parte che lo esercita il potere di farlo, il recesso non produce effetti [SIRENA, Effetti e vincolo, in Tratt. con- tratti Roppo, III, XXXXXXXX (a cura di), Effetti, 2a ed., Milano, 2023, 1 ss., spec. 121]. Tale potere, infatti, è ormai pacificamente qualificato come il diritto potestativo di sciogliere un contratto mediante la semplice dichiarazione della volontà unilaterale di produrre questo effetto: infatti, secondo la tesi ormai prevalente il potere di recedere ha natura di diritto potestativo [X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, 9a ed., Napoli, 1966, rist. 2012, 72 s.; XXXXX, Il contratto, cit., 510; FRIGIDA, Il recesso e la revoca, in FAVA (a cura di), Il contratto, Milano, 2012, 1973 ss., spec. 1977 s.] e la manifestazione della volontà di recedere ha valore di atto negoziale (X.X. XXXXXX, Il contratto, cit., 694; XXXXX, Il contratto, cit., 509; FRIGIDA, Il recesso e la revoca, cit., 1978). Da ciò consegue che se il diritto potestativo non sussiste, la manifestazione della volontà di sciogliere il contratto non può produrre l’effetto voluto.
40 Particolarmente eloquente in questo senso è Trib. Rimini 5 gennaio 2015, n. 6907, in De Ju- re, ove si legge che «dalla disciplina dei singoli contratti, emerge essenzialmente che per ciascun
È per questo che non risulta contemplato alcun recesso dal contratto di sommini- strazione nel caso che la durata del contratto sia già stabilita, mentre «se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un ter- mine congruo avuto riguardo alla natura della somministrazione» (così è stabilito infat- ti dall’art. 1569 c.c. con riguardo specifico alle prestazioni periodiche o continuative di cose, ma per effetto dell’art. 1677 c.c. la disposizione va applicata anche alle prestazioni periodiche o continuative di servizi). Ed è per questo che nella disciplina di altri contratti di durata – come anche nel caso qui in esame della nuova disciplina della distribuzione automobilistica integrata – quando eccezionalmente è contemplato il recesso anche dai contratti a tempo determinato41, il regime resta comunque distinto rispetto a quello del recesso dai contratti a tempo indeterminato42, perché in tale ultima ipotesi si tratta di un recesso determinativo libero (a parte l’obbligo del congruo preavviso), mentre nella prima ipotesi si tratta di un recesso di pentimento oneroso.
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Lo scritto illustra le nuove disposizioni in materia di accordi verticali di distribuzione automobilistica, e in particolare ne evidenzia il carattere transtipico (l’ambito di ap- plicazione si estende infatti fino a ricomprendere non solo, a certe condizioni, anche l’agenzia, la concessione di vendita e la commissione, ma tutti i contratti di durata ri- conducibili allo schema degli accordi per la distribuzione integrata di autoveicoli nuovi o a km. 0), individua gli aspetti del rapporto che devono essere regolati dalle parti con- traenti e dà conto di quelli direttamente definiti imperativamente dalla legge (più spe-
rapporto di durata a tempo indeterminato è prevista la possibilità per le parti di operare quello che può definirsi un recesso liberatorio o ad nutum, ossia dipendente dalla libera scelta della parte alla quale è attribuito, parte alla quale viene pertanto riconosciuta la possibilità di sciogliersi da un vin- colo negoziale a tempo indeterminato (art. 1569 c.c. per restare in tema di somministrazione, tipo contrattuale al quale è riconducibile il rapporto per cui è causa; ma anche 1725 e 1727 c.c. in tema di mandato, 1750, 2° comma c.c. in tema di agenzia, 1810 c.c. in tema di comodato, 1845, 3° comma
c.c. in tema di apertura di credito e così via). Da tali evidenze sistematiche discende la conseguenza che il recesso liberatorio risponde ad un principio di ordine pubblico a salvaguardia sia della liber- tà ed autonomia negoziale (gravemente compromessa laddove un soggetto potesse obbligarsi nei confronti di un altro a tempo indeterminato e senza possibilità di recesso liberatorio, ossia, essen- zialmente, vita natural durante), che della circolazione dei beni e dello sviluppo della concorrenza nell’ambito del mercato».
41 Si consideri per esempio la «revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo deter- minato e per un determinato affare … fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell’affare» regolata dall’art. 1725, 1° comma, c.c., o la rinunzia a tale incarico da parte del mandata- rio regolata dall’art. 1727, 1° comma, c.c.
42 Si consideri per esempio la revoca dal mandato conferito a tempo indeterminato regolata dall’art. 1725, 2° comma, c.c., o la rinunzia a tale incarico da parte del mandatario regolata dall’art. 1727, 1° comma, c.c.
cificamente, chiarisce la distinzione tra il recesso determinativo gratuito concesso a tutte le parti contraenti e quello di pentimento oneroso concesso solo al fornitore degli autoveicoli da distribuire e riferisce del contrasto tra l’imposizione a livello nazionale di una durata minima di cinque anni per i contratti a termine e la più ampia libertà ga- rantita a livello europeo dall’art. 101 TFUE e dai Regolamenti UE sugli accordi verticali, quali il Reg. (UE) 720/2022 e il Reg. (UE) n. 461/2010).
The paper illustrates the new provisions on vertical motor vehicle distribution agreements, highlighting their character by virtue of which the scope of their application is extended to include, under certain conditions, all contracts of duration that can be categorized as agreements for the integrated distribution of new or zero-km motor vehicles; identifies tho- se aspects of the relationship that must be regulated by the contracting parties; explains those that are directly and imperatively defined by the law (more specifically, it clarifies the distinction between the free right of termination from a continuing performance contract for a indefinite period of time, granted to all contracting parties, and the possibility of early termination of a fixed term contract for a fair compensation granted only to the supplier of the motor vehicles to be distributed is clarified, and the contrast between the national im- position of a minimum term of five years for fixed-term contracts and the broader freedom guaranteed at European level by Art. 101 TFEU and the EU regulations on vertical agree- ments, i.e. Reg. (EU) 7fl0/fl0flfl and Reg. (EU) No. 461/fl010).