Dottorato in Apprendimento e Innovazione nei Contesti Sociali e di Lavoro
Dipartimento di Scienze Politiche e Cognitive
Dottorato in Apprendimento e Innovazione nei Contesti Sociali e di Lavoro
36° Ciclo
Coordinatore: Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxx
La contrattazione collettiva all’epoca
del lavoro agile
Settore scientifico disciplinare: IUS/07
Candidato/a
Xxxxxxx Xxxxxxxxx Sede di attività Fondazione ADAPT
Supervisore
Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
Ente di appartenenza
Università di Modena e Reggio Xxxxxx
Firma digitale del/della candidato/a
Firmato digitalmente da XXXXXXXXX XXXXXXX
C=IT
Anno accademico di conseguimento del titolo di Dottore di ricerca
2023/2024
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
Università degli Studi di Siena
Dottorato in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro
36° Ciclo
Data dell’esame finale
14 dicembre 2023
Commissione giudicatrice
Supplenti
Indice
Capitolo I. Posizione del problema 9
1. Il lavoro da remoto: un primo inquadramento 9
1.1 Lo smart working come modello organizzativo. 12
1.2. Il lavoro agile all’interno della legislazione italiana 14
2. Produttività, conciliazione, autonomia individuale. 16
3. Il ruolo della contrattazione collettiva nella regolazione del lavoro agile 22
3.1. I richiami della Legge n. 81/2017 alla contrattazione collettiva. 24
3.2. Il Protocollo sul lavoro in modalità agile del 7 dicembre 2021 28
3.3. Il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale,
il Decreto-Legge n. 56 del 2021, e le Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche 30
4. Domanda di ricerca, metodologia e piano di lavoro. 32
Capitolo II. Il luogo di lavoro 38
1. L’importanza degli spazi di lavoro nell’organizzazione e nella regolazione
delle “new ways of working” 38
2. Il luogo di lavoro “agile” nel post-emergenza 42
2.1. La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori agili 47
3. Scenari futuri per la geografia del paese: co-working e south working 54
Capitolo III. Il tempo di lavoro 63
1. Il contesto: fordismo, post-fordismo e oggettivazione e soggettivazione
1.1. Il peso del tempo nell’organizzazione del lavoro da remoto 71
2. Lavoro agile e tempo di lavoro: una prospettiva di relazioni industriali 75
2.1. Il F.O.R. Working nel settore chimico-farmaceutico 82
3. Misurazione del tempo di lavoro e diritto alla disconnessione 88
Capitolo IV. Poteri datoriali e lavoro agile 94
INDICE
1. Dal controllo alla fiducia: l’esercizio dei poteri datoriali nello smart working 94
2. Nuove tecnologie e potere di controllo: il ruolo delle parti sociali nella tutela dei dati personali dei lavoratori 102
2.1. Giurisprudenza e prassi amministrativa alla luce della riforma
dell’art. 4, Legge n. 300/1970 108
2.2. Potere di controllo e valutazione della performance nella contrattazione collettiva di lavoro agile 115
Capitolo V. La formazione 121
1. Le competenze necessarie per una nuova organizzazione del lavoro 121
2. La formazione per il lavoro agile nel settore privato: tra Legge, Protocollo
e contrattazione collettiva 124
3. Formazione e innovazione organizzativa nella Pubblica Amministrazione 130
3.1. Dalla direttiva n. 3 del 2017, al Piano organizzativo del lavoro agile (POLA) al Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO) 135
3.2. Formazione e lavoro agile nei rinnovi dei CCNL Funzioni Centrali, Funzioni Locali, Sanità e Istruzione e Ricerca del triennio 2019-
2021 .....................................................................................................140
Capitolo VI. Welfare e lavoro agile 145
1. Lo smart working come strumento di conciliazione vita-lavoro: un primo quadro teorico e normativo 145
1.1. Quali elementi per il lavoro agile conciliativo? Le risposte della contrattazione collettiva 150
1.2. Welfare per i lavoratori agili 156
2. Lavoro agile e lavoratori fragili: la normativa emergenziale, la giurisprudenza, le prospettive future 160
Capitolo VII. Conclusioni 167
Bibliografia 174
INTRODUZIONE
Attraverso il presente lavoro di ricerca si intende indagare a quali condizioni la contrattazione collettiva possa costituire uno strumento idoneo a regolare il lavoro agile, strumento introdotto nell’ordinamento italiano dalla Legge n. 81/2017 ma oggetto di sperimentazioni collettive già dagli anni precedenti.
In particolare, si intende verificare in che modo la contrattazione collettiva – soprattutto di livello aziendale – abbia interpretato le finalità dell’istituto così come esplicitate dalla stessa Legge, ossia l’incremento della competitività aziendale e il miglioramento della conciliazione vita-lavoro dei dipendenti che lo utilizzano; allo stesso tempo, come le parti sociali abbiano gestito gli aspetti maggiormente innovativi di tale modalità di organizzazione del lavoro per renderne la regolazione coerente sia con le suggestioni provenienti dalla letteratura sociologica e manageriale concernente le new ways of working che con la disciplina giuslavoristica in materia di lavoro subordinato.
La scelta di riporre l’interesse sul materiale contrattual-collettivo in materia di lavoro agile deriva sia dalle particolari caratteristiche di tale istituto che dalle condizioni con cui lo stesso è stato regolato dalla legislazione italiana.
Come descritto all’interno del capitolo I della presente ricerca, infatti, il lavoro agile appare classificabile tra quelle nuove modalità organizzative del lavoro, il cui sviluppo è stato facilitato dall’innovazione tecnologica, che sembrano mettere in discussione le tradizionali coordinate del lavoro subordinato, sia in termini di luoghi e tempi di lavoro, che appaiono sempre più diversificati ed individualizzati, ma anche del rapporto tra datore di lavoro e lavoratore stesso, che appare meno fondato su una vera e propria “gerarchia”, bensì è caratterizzato da nuove dinamiche improntate alla collaborazione e alla responsabilizzazione.
Specularmente, all’interno della disciplina legislativa ordinaria in materia di lavoro agile è stato scelto di affidare la regolazione di tale strumento esclusivamente ad accordi individuali, non prevedendo (almeno formalmente) alcuno spazio per l’autonomia collettiva; questa rappresenta una soluzione pressoché inedita all’interno dell’ordinamento italiano, la cui regolazione dei rapporti di lavoro è solitamente caratterizzata da una relazione “tripartita” tra legge, contrattazione collettiva ed autonomia individuale.
Nonostante gli elementi menzionati, dall’anno di emanazione della Legge n. 81/2017 ad oggi la produzione contrattual-collettiva in tema di lavoro agile è stata quantitativamente e qualitativamente significativa, soprattutto per quanto concerne gli accordi stipulati al livello aziendale; tali accordi, seppur con diverso grado di dettaglio, hanno infatti disciplinato compiutamente tutti gli ambiti connessi al
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
lavoro agile, integrando le disposizioni legislative ed individuando specifiche soluzioni alle problematiche connesse alle caratteristiche di tale modalità di lavoro. In conseguenza di tale circostanza, ed anche alla luce della recente emanazione di un accordo interconfederale specificamente volto a promuovere ed indirizzare, a livello contenutistico, la produzione collettiva in materia di lavoro agile (Protocollo sul lavoro in modalità agile, siglato il 7 dicembre 2021 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali congiuntamente alle principali parti sociali italiane), si propone un’analisi della contrattazione che ha disciplinato e regolato tale nuova modalità di organizzazione del lavoro dal 2017 ad oggi.
La presente analisi, seppur caratterizzata da una spiccata attenzione agli spunti provenienti dalla disciplina della sociologia dell’organizzazione, è sviluppata tramite il metodo della ricerca giuslavoristica nella specifica declinazione del diritto delle relazioni industriali, e si rifà in massima parte alle costruzioni teoriche contenute all’interno della letteratura scientifica di settore.
A livello strutturale, essa è composta da un primo capitolo dedicato ad un inquadramento generale dello strumento dello smart working e della sua declinazione normativa all’interno della legislazione italiana, ossia il lavoro agile, nonché del ruolo della contrattazione collettiva nella sua disciplina e regolazione. I successivi cinque capitoli, invece, sono rispettivamente dedicati a indagare come la fonte collettiva di livello nazionale ed aziendale abbia inteso declinare e adattare tradizionali ambiti del lavoro subordinato quali il luogo di lavoro, il tempo di lavoro, le modalità di esercizio dei poteri datoriali, la formazione e il welfare al rapporto di lavoro agile: la scelta di tali tematiche è stata altresì influenzata dall’attenzione alle stesse dedicata all’interno del Protocollo del 7 dicembre 2021. Il settimo capitolo, infine, tenta di trarre delle conclusioni di massima dall’analisi svolta, concernenti il futuro della regolazione del lavoro agile nel contesto nazionale e le prospettive relative ai possibili interventi sul tema da parte degli attori collettivi.
POSIZIONE DEL PROBLEMA
Sommario: 1. Il lavoro da remoto: un primo inquadramento. – 1.1. Lo smart working come modello organizzativo. – 1.2. Il lavoro agile all’interno della legislazione italiana. - 2. Produttività, conciliazione, autonomia individuale. – 3. Il ruolo della contrattazione collettiva nella regolazione del lavoro agile. – 3.1. I richiami della Legge n. 81/2017 alla contrattazione collettiva. – 3.2. Il Protocollo sul lavoro in modalità agile del 7 dicembre 2021. - 3.3. Il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale e le Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche. – 4. Domanda di ricerca e piano di lavoro.
1. Il lavoro da remoto: un primo inquadramento.
Durante gli anni appena trascorsi, il lavoro da remoto è stato oggetto di numerose riflessioni nel dibattito internazionale, a livello politico, sindacale e accademico: un effetto facilmente prevedibile, date le dirompenti potenzialità dell’istituto per quanto riguarda la regolazione e l’organizzazione del lavoro del prossimo futuro, dimostrate in parte dall’esperienza della pandemia da COVID-19 (1).
Tuttavia, è da notare come il dibattito relativo alla possibilità di rompere quel paradigma aristotelico di «unità di luogo-lavoro […], tempo-lavoro […], azione- lavoro […]» (2) che caratterizzava la grande maggioranza dei rapporti di lavoro durante il cosiddetto Novecento industriale, e alle conseguenze di una tale operazione, risalga tuttavia alla fine del secolo scorso, periodo durante il quale lo
(1) Secondo i dati di EUROFOUND, Living, working and COVID-19, COVID-19 series, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2020, p. 3, nel Luglio 2020 circa la metà dei lavoratori europei affermava di avere lavorato almeno in parte da remoto durante il periodo pandemico. Per quanto riguarda l’Italia, invece, il Rapporto Annuale di MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, ISTAT, INPS, INAIL, ANPAL, Il mercato del lavoro 2020. Una lettura integrata, 2021, p. 25, mostra come i lavoratori italiani che, nel periodo tra marzo e aprile 2020, hanno continuato a svolgere le proprie prestazioni lavorative grazie all’utilizzo del lavoro agile siano stati circa 4 milioni. Per quanto riguarda l’applicazione della normativa italiana in materia di lavoro agile nel contesto della pandemia da COVID-19, si veda M. BROLLO, Smart o Emergency Work? Il lavoro agile al tempo della pandemia, in LG, 2020, n. 6, pp. 553-570, oppure M. XXXX, Il lavoro agile emergenziale: un mosaico difficile da ricomporre tra poteri datoriali e diritti dei lavoratori, in RGL, 2021, n. 1, pp. 41-60.
(2) La citazione, richiamata da X. XXXXXXXXXX, Il lavoro agile tra Xxxxx e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, in DRI, 2017, n. 4 p. 928, è tratta a sua volta da X. XXXXXXXXX, Le nuove forme di lavoro, in X. XXXXXXXX, X. XXXXX (a cura di), Diritto del lavoro e relazioni industriali nei Paesi industrializzati ad economia di mercato. Profili comparati. I. Diritto del lavoro, Maggioli, 1991, pp. 107-139. A sua volta, X. XXXXXXX, Il lavoro agile nella l. 22 maggio 2017, n. 81: un inquadramento, in X. XXXXX GRANDI, X. XXXXX (a cura di), Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, CEDAM, 2018, p. 462, definisce tali elementi come “le tradizionali coordinate kantiane del lavoro”.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
sviluppo delle tecnologie informatiche apriva alla possibilità di un’inedita trasformazione dei rapporti di lavoro per come erano stati conosciuti fino a quel momento, nonché delle loro modalità di regolazione ( 3): già nel 1998, infatti, Xxxxxxx X’Xxxxxx individuava la progressiva perdita di rilievo della “grande fabbrica”, intesa come luogo di lavoro unitario «in cui i fattori della produzione sono collegati in un contesto compatto» come uno degli elementi che caratterizzava l’imminente «crisi di identità del diritto del lavoro» (4). Allo stesso modo, anche importante letteratura sociologica degli inizi del Duemila sottolineava come grazie alle nuove tecnologie, il lavoro moderno fosse caratterizzato da una sostanziale «de- spazializzazione», argomentando come ciò avrebbe dato origine alla dissolvenza del «paradigma del luogo del lavoro che contraddistingue la società industriale» (5).
Come è noto, nel contesto europeo il lavoro da remoto trova la sua prima regolazione ad ampio raggio nel 2002, anno in cui le parti sociali attive a livello dell’Unione approvarono l’Accordo Quadro Europeo sul telelavoro (6), destinato ai lavoratori del settore privato (7). Attraverso tale strumento di c.d. soft law (8), furono poste le basi per la regolazione, nei diversi Stati membri (9), appunto del c.d.
(3) A livello dell’Unione Europea si segnala come nel 1997 il Consiglio europeo, all’interno della Bozza dei principi e linee guida sul telelavoro, affermasse che “in tutto il mondo le tecnologie dell’informazione stanno generando una nuova rivoluzione industriale, che si annuncia fin d’ora non meno importante e portatrice di conseguenze di quella dei secoli passati”. Tale consapevolezza appare anche presente all’interno del panorama giuslavoristico nazionale: a questo proposito, deve essere infatti notato come il tema dell’VIII Congresso nazionale dell’Associazione italiana di diritto del lavoro e della sicurezza sociale (Aidlass), svoltosi nel 1985, fosse “Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro”.
(4) M. X’XXXXXX, Diritto del lavoro di fine secolo: una crisi di identità? RGL, 1998, p. 315.
(5) X. XXXX, Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro. Tramonto delle sicurezze e nuovo impegno
civile, Einaudi, 2000, p. 60.
(6) EUROPEAN FRAMEWORK AGREEMENT ON TELEWORK, siglato da UNICE/UEAPME, CEEP e CES il 16 luglio del 2002.
(7) Il telelavoro per i lavoratori del settore pubblico era spesso già stato regolato attraverso fonti differenti all’interno dei diversi Stati membri: per quanto riguarda l’Italia, si veda ad esempio il
d.p.R. n. 70 del 1999, attuazione dell’art. 4, Legge n. 191 del 1998 (c.d. Xxxxx Xxxxxxxxx-ter), nonché l’Accordo quadro sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni siglato il 23 marzo del 2000. Si veda, in questo senso, il paragrafo 5.3.1. della presente ricerca.
(8) Per un’analisi relativa all’efficacia giuridica dell’Accordo quadro Europeo sul telelavoro, vedi F. D’ADDIO, Considerazioni sulla complessa disciplina del telelavoro nel settore privato alla luce dell’entrata in vigore della Legge n. 81/2017 e della possibile sovrapposizione con il lavoro agile, in DRI, 2017, n. 4, pp. 1006-1023.
( 9 ) In Italia, la trasposizione del menzionato Accordo Quadro avvenne attraverso l’Accordo Interconfederale del 9 luglio 2004, siglato da Confindustria, Confartigianato, Confesercenti, Cna, Confapi, Confservizi, Abi, Agci, Ania, Apla, Casartigiani, Cia, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confcooperative, Confcommercio, Confinterim, Legacoop, Unci e Cgil, Cisl, Uil.
“telelavoro”, definibile come quella peculiare forma di lavoro svolto regolarmente al di fuori dei locali dell’impresa tramite l’ausilio della tecnologia informatica (10). Ad oggi, l’Accordo Quadro Europeo sul telelavoro del 2002 rimane l’unica fonte di livello sovranazionale che regola tale fattispecie così come appena definita (11). Gli Stati membri, al contrario, negli ultimi anni hanno aggiornato le proprie fonti legislative o contrattual-collettive in materia di lavoro da remoto, o ne hanno emesse di nuove, al fine adattare la disciplina di tale modalità di lavoro alle forti innovazioni tecnologiche che hanno interessato il continente europeo e non solo nei primi due decenni del millennio (12).
È da notare, tuttavia, come tali nuove regolazioni del lavoro da remoto abbiano mantenuto, nella maggior parte dei casi, l’uso del termine “telelavoro”: ad esempio, per quanto riguarda la Francia, si veda l’Ordonnance n°2017-1387, la quale amplia la definizione del telelavoro anche al lavoro da remoto “occasionale”, similmente a quanto avvenuto all’interno dell’ordinamento belga sempre nel 2017 (13). Anche la recente legislazione spagnola (Ley n. 10/2021), peraltro, definisce “teletrabajo” il lavoro da remoto svolto tramite tecnologia informatica.
In Italia, come è noto, è stata operata una scelta differente. Fin dai primi disegni di Xxxxx (14) volti a promuovere nuove «forme flessibili e semplificate di lavoro da remoto», risalenti ormai al decennio scorso, è stato infatti deciso di utilizzare terminologie diverse (15) quali “smart working” o “lavoro agile”.
(10) Tale definizione, derivante direttamente dal testo dell’accordo, è omologa a quella utilizzata dalla recente reportistica internazionale: si veda, in questo senso, la nota tecnica ILO, Defining and measuring remote work, telework, work at home and home-based work, 2020, p. 6, che si definisce il telelavoro come “una sottocategoria del più vasto concetto di lavoro da remoto”, che ricomprende “lavoratori che usano tecnologie informatiche […] per svolgere il proprio lavoro da remoto”.
(11) Ai sensi del Social Dialogue Work Programme siglato da ETUC, BusinessEurope, SME United, SGI Europe il 28 giugno del 2022, l’accordo del 2002 sarà prossimamente aggiornato, in considerazione dei recenti “sviluppi tecnologici” e degli “insegnamenti” derivanti dalla pandemia da COVID-19. Secondo le parti sociali europee, tale accordo sarà poi implementato nell’ordinamento eurounitario tramite una direttiva, acquisendo efficacia vincolante per tutti gli Stati membri dell’Unione.
(12) Per una panoramica delle nuove legislazioni o proposte in tal senso all’interno di diversi Stati membri dell’Unione emanate dal principio della pandemia da COVID-19 ad oggi, si veda X. XXXXXX LLAVE, X. XXXXXXXXX XXXXXXXXX, X. XXXX DE XXXXXX, E. XXXX, X. XXXXXXX, Telework in the EU: Regulatory frameworks and recent updates, 2022, Eurofound, pp. 11-14.
(13) Loi concernant le travail faisable et maniable del 5 marzo 2017, artt. da 22 a 28.
(14) Proposta di Legge del 29 gennaio 2014, n. 2014, prima firmataria A. Mosca, ma anche Disegno di Legge del 3 febbraio 2016, n. 2299, primo firmatario M. Xxxxxxx, poi confluito all’interno del Disegno di Legge del 3 novembre 2016, n. 2233, primo firmatario X. Xxxxxxx.
(15) In materia, si rimanda a X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, Le parole del lavoro: agile o smart?, in E. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, Verso il futuro del lavoro. Analisi e spunti sul lavoro agile e sul lavoro autonomo, e-Book series n. 50, ADAPT University Press, 2016, pp. 23-25.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
È da notare, tuttavia, come sebbene questi ultimi siano spesso utilizzati come sinonimi nel dibattito pubblico (16), complice anche la pandemia da COVID-19 (17), i due termini presentano alcune significative differenze ( 18 ), le quali saranno delineate all’interno dei paragrafi successivi.
1.1. Lo smart working come modello organizzativo.
Lo “smart working” è descritto dalla letteratura sociologica italiana (19) come una filosofia manageriale che mira a raggiungere una maggiore efficienza ed efficacia nel raggiungimento di obiettivi e risultati, attraverso una combinazione di flessibilità dei tempi e luoghi di lavoro, nonché il miglioramento del livello di autonomia e responsabilizzazione (20) dei lavoratori e del loro rapporto con i propri superiori, fondato non più su logiche di controllo ma di collaborazione e fiducia (21): non una mera “trasposizione” casalinga del lavoro svolto nei locali aziendali, dunque, bensì «un corollario di una diversa concezione degli uffici, della loro
(16) Interpretazione che trova origine in un comunicato del Gruppo Incipit dell’Accademia della Crusca del 1° febbraio 2016, il quale, esprimendosi a favore dell’uso della locuzione “lavoro agile” contenuta nei diversi disegni e proposte di Legge all’esame delle Camere in quel periodo, la ritenne un “perfetto equivalente” di “smart working”.
(17) Per quanto invece concerne l’errato uso del termine “smart working” al fine di denominare il lavoro a distanza prestato durante la pandemia da COVID-19, si veda X. XXXXX, Xxxxx spunti sul lavoro da remoto post-emergenziale, tra Xxxxx (lavoro agile) e contrattazione (smart working), in LPO, 2021, fasc. 3-4, pp. 160-185.
(18) Tra gli autori che hanno ritenuto opportuno tracciare differenze definitorie tra le locuzioni “smart working” e “lavoro agile”, si segnala X. XXXXXXXXXX, Il lavoro agile tra Xxxxx e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, cit., p. 933, il quale sottolinea come il termine “smart working” “piuttosto che richiamare in modo semplicistico il vecchio tema della conciliazione vita e lavoro, si ricolleghi al nascente dibattito sulla “fabbrica intelligente” e alle dinamiche di Industria 4.0”.
(19) Per una panoramica degli studi nazionali in ambito manageriale/organizzativo sul tema dello smart working, vedi M. L. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, Xx Xxxxx working nel panorama italiano: un’analisi della letteratura, in Studi organizzativi, 2021, n. 2, pp. 15-20.
( 20 ) Secondo A. M. XXXXXXXXXX, Fine dell’orario come misura del lavoro? Tecnologie, smartworking, lavoro digitale, in QRS, 2017, n. 3, p. 35, uno degli elementi fondamentali dei nuovi paradigmi organizzativi è l’emersione della figura del c.d. “dipendente responsabilizzato”, il quale è caratterizzato da una forte interiorizzazione degli obiettivi aziendali.
( 21 ) Chartered Institute for Personnel and Development (CIPD), Smart working. The
Impact of Work Organisation and Job Design, Research Insight, 2008, ma anche K. XXXXXXXXXXXX, HR: Getting Smart About Agile Working. Research Report, 2014, CIPD, p. 3. Offrono simili definizioni M. CORSO, Sfide e prospettive della rivoluzione digitale: lo smart working, in DRI, n. 4, 2017, p. 980, e X. XXXXX, X. XXXXX, Is smart working a win-win solution? First evidence from the field, in X. XXXXXXX, X. XXXX, X. XXXXX, X. SENATORI, Well-being at and through Work, 2017, p. 231, le quali le traggono da una literature review internazionale sul tema.
organizzazione, del lavoro» (22). Secondo alcuni commentatori, l’introduzione di pratiche di smart working all’interno delle aziende risponde proprio all’esigenza di adattarsi all’innovazione tecnologica, la quale, al fine di garantire miglioramenti di produttività e ritorno sugli investimenti, necessita di modelli organizzativi che la governino efficacemente ( 23 ). Allo stesso tempo, tale modalità di lavoro risponderebbe alla crescente esigenza di garantire il benessere dei dipendenti, coordinando gli obiettivi organizzativi alle esigenze individuali degli stessi (24).
In questo senso, lo smart working sembra essere senza dubbio classificabile tra quelle “new ways of working” protagoniste da alcuni decenni della letteratura internazionale afferente all’ambito della sociologia dell’organizzazione, accomunate da caratteristiche quali la flessibilità spazio-temporale e l’uso di internet (25), le quali, integrando organicamente la dimensione spaziale, quella culturale e quella organizzativa, secondo alcuni costituiscono una risposta alle tendenze di individualizzazione e democratizzazione della prestazione di lavoro, ispirate dai recenti sviluppi tecnologici (26).
Con “democratizzazione” della prestazione si intende in particolare la possibilità che ogni lavoratore disponga del proprio “mezzo di produzione” – rappresentato nella maggior parte dei casi da uno strumento afferente alla c.d. portable technology
– il che, da una parte, contribuisce ad aumentarne esponenzialmente il grado di
autonomia, e, dall’altra, favorisce lo sfumare delle relazioni gerarchiche all’interno
(22) X. XXXXXX, Le condizioni organizzative e professionali dello smart working dopo l’emergenza: progettare il lavoro ubiquo fatto di ruoli aperti e di professioni a larga banda, in Studi organizzativi, 2020, n. 1, p. 145.
(23) X. XXXXXXXX, Tecnologie digitali e lavoro agile, Cacucci Editore, 2018, p. 41. Da notare anche la prospettiva di X. XXXXXX, Tra lasciti e rovine della pandemia: più o meno smart working?, in RIDL, 2020, n. 2, p. 223, il quale sottolinea altresì la funzione “identitaria” dello smart working, il quale nella fase antecedente alla pandemia del 2020 ha spesso assunto il ruolo di vero e proprio “brand aziendale, veicolando, all'unisono, fidelizzazione, flessibilità organizzativa di seconda generazione […] aumento di produttività ed efficienza, ma anche esaltazione del soggettivo ruolo professionale di chi lavora, ad ogni livello e non solo per le professionalità fortemente cognitive”.
(24) G. CHIARO, G. XXXXX, X. XXXXX, Smart working: dal lavoro flessibile al lavoro agile, in
Sociologia del Lavoro, 2015, n. 138, Vol. 2, p. 72.
(25) Per una panoramica relativa allo storia dello sviluppo delle New Ways of Working, nonché una corposa literature review sul tema, vedi X. XXXXXX, New ways of working (NWW): work space and cultural change in virtualizing organizations, in Culture and Organization, 2019, Vol. 25, pp. 384- 389, ma anche X. XXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXX, The Impact of New Ways of Working on Organizations and Employees: A Systematic Review of Literature, in Administrative Sciences, 2021, n. 11, pp. 8-9, secondo i quali la locuzione “New Ways of Working” costituisce un c.d. “termine ombrello” che ricomprende diverse modalità di lavoro differenti da quelle “tradizionali”, caratterizzate da unità di spazio e di luogo.
(26) X. XXXXXX, X. CECEZ-XXXXXXXXXX, X. XXXX, X. XXXXXX, X. XXXXX, New ways of working (NWW): Workplace transformation in the digital age, in Information and Organization, 2021, n. 31,
p. 3.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
delle organizzazioni produttive, in favore della valorizzazione di rapporti di
collaborazione “alla pari” tra forza lavoro e parte datoriale.
Il concetto di “individualizzazione” fa invece riferimento all’esponenziale moltiplicazione delle modalità con le quali la prestazione di lavoro può essere svolta, anche solo in termini di localizzazione spazio-temporale, e ai suoi rilevanti impatti sulla «coesione sociale» della forza lavoro e sulla formazione di un vero e proprio senso di comunità tra coloro che svolgono la prestazione di lavoro presso la medesima organizzazione produttiva (27).
1.2. Il lavoro agile all’interno della legislazione italiana.
Il termine lavoro agile si riferisce a un istituto della legislazione lavoristica italiana, disciplinato dagli artt. 18-23 della Legge n. 81/2017 e dal Protocollo sul lavoro in modalità agile siglato dal Ministero del Lavoro e dalle parti sociali il 7 dicembre 2021. Esso si concretizza in una «modalità di esecuzione del lavoro subordinato, stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa» la quale viene eseguita «in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa» (art. 18, comma 1, Legge n. 81/2017).
Gli elementi di flessibilità spazio-temporale che connotano il lavoro agile, nonché il suo includere nella propria definizione l’uso, seppur potenziale ( 28 ), degli strumenti informatici per l’esecuzione della prestazione lavorativa, hanno portato alcuni commentatori a considerare il lavoro agile come la declinazione normativa dello smart working (29), il quale, fino al 2017, non conosceva infatti regolazione all’interno della legislazione italiana.
Vale la pena sottolineare, tuttavia, come già prima dell’emanazione della Legge n. 81/2017, la contrattazione collettiva avesse già messo in pratica modelli organizzativi ispirati, implicitamente o esplicitamente, alla filosofia dello smart
(27) X. XXXXXX, op. cit., pp. 401-402.
(28) X. XXXXX, L’accordo individuale e le modalità di esecuzione e di cessazione della prestazione di lavoro agile, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo e del lavoro agile, 2017, p. 184
(29) Ex multis, vedi X. XXXXXXX, La subordinazione agile, DLM, 2017, n. 3, pp. 535. La medesima A., tuttavia, nel saggio Competitività e conciliazione nel lavoro agile, RGL, 2018, n. 1, p. 118, sottolinea come ciò sia vero unicamente qualora il lavoro agile sia organizzato per “fasi, cicli e obiettivi”: nel caso in cui l’attività “agile” sia strutturata in modo da non lasciare sufficiente spazio all’autonomia del lavoratore nella scelta delle azioni utili al compimento della prestazione, essa assume i connotati di un “telelavoro aggiornato all’industria 4.0”.
working (30)(31). Alcuni di essi, risalenti al 2016, si ispirano ai contenuti dei diversi disegni di Xxxxx relativi al lavoro agile depositati al Senato in tale periodo (32) ma si registrano altresì interventi collettivi risalenti a ben prima che fossero sviluppate le prime azioni parlamentari volte alla regolazione di tale modalità di lavoro (33). L’intervento del legislatore relativo al lavoro agile, vista anche la sua snellezza e scarso livello di dettaglio (34), appare dunque secondo alcuni come un intervento di natura «promozionale» (35) volto a «sistematizzare» le esperienze negoziali al fine di superare il problema dell’efficacia limitata dei contratti collettivi ( 36 ) e ad
«assolvere una funzione rafforzativa rispetto all’accesso all’istituto» (37).
(30) Per un’analisi di un significativo campione di tali contratti, vedi E. XXXXXXX, X. XXXXXXXXX,
L.M. XXXXXX, X. XXXXXXXXXX, Xxxxx pratica al lavoro agile dopo la Legge 81/2017. Formule contrattuali – Schemi operativi – Mappatura della contrattazione collettiva, ADAPT University Press, 2017, p. 109 e ss.
(31) In disaccordo con tale affermazione A. DONINI, Nuova flessibilità spazio-temporale: l’idea del lavoro agile, in X. XXXXXXX (a cura di), Web e lavoro, profili evolutivi e di tutela, 2017, p. 86, la quale sottolinea come tali accordi “non mostrano un grande interesse alla trasformazione del lavoro e dei modelli organizzativi, essendo rivolti a obiettivi omologhi rispetto a quelli tipici del telelavoro”.
(32) Elemento segnalato da M. L. XXXXXXX, La questione relativa agli accordi sullo “smart working” sottoscritti prima dello statuto del lavoro agile, in X. XXXXX GRANDI, X. XXXXX (a cura di) Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, CEDAM, 2018, p. 517, la quale sul punto argomenta come “il riscontro della volontà legislativa di intervenire nel settore sia servito alle parti sociali per superare i profili di incertezza e criticità […] legati alla compatibilità della regolamentazione ordinaria con le forme di lavoro agile e la conseguente riluttanza ad aprirsi alla sperimentazione”.
(33) Si veda, per esempio, l’accordo Nestlé, siglato da Fai-Cisl, Flai-Cgil, Uila-Uil il 12 ottobre 2012.
(34) Di avviso diverso, esternato durante i lavori parlamentari per l’approvazione della Legge, fu il giuslavorista e allora senatore Xxxxxx Xxxxxx, il quale in quella sede denunciò tendenza del legislatore “all’iper-regolazione, alla legificazione di ogni aspetto del rapporto, anche dove non ce n’è alcuna utilità”. Vedi, in tal senso, X. XXXXXX, Bene sul lavoro autonomo, ma troppo piombo nelle ali del “lavoro agile”, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
(35) X. XXXXXXX, Oltre il paradigma dell’unità di luogo tempo e azione: la revanche dell’autonomia individuale nella nuova fattispecie di lavoro agile, in GRUPPO GIOVANI GIUSLAVORISTI SAPIENZA (a cura di) Il lavoro agile nella disciplina legale, collettiva ed individuale. Stato dell’arte e proposte interpretative di un gruppo di giovani studiosi, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, Collective Volumes, 2017, n. 6, p. 48, ma anche X. XXXXX, Xxxxx spunti sul lavoro da remoto post-emergenziale, tra Xxxxx (lavoro agile) e contrattazione (smart working), cit., pp. 171.
(36) Come peraltro sottolineato da M. L. PICUNIO, op. cit., p. 517
(37) X. XXXXXXXX, Tecnologie digitali e lavoro agile, cit., p. 58, ma anche X. XXXXXXX, La definizione del lavoro agile nella Legge e nei contratti collettivi: sovrapposizioni e possibili distinzioni, in GRUPPO GIOVANI GIUSLAVORISTI SAPIENZA (a cura di) Il lavoro agile nella disciplina legale, collettiva ed individuale. Stato dell’arte e proposte interpretative di un gruppo di giovani studiosi, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, Collective Volumes, 2017, n. 6, nel momento in cui afferma che il percorso di regolazione del lavoro agile da parte della contrattazione collettiva ha trovato in buona parte riscontro nella traduzione normativa.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
In ultimo, si evidenzia come un ulteriore elemento che depone a favore dell’interpretazione secondo la quale lo strumento giuridico del lavoro agile sia il frutto della volontà del legislatore italiano di favorire l’implementazione dello smart working all’interno dei modelli organizzativi delle aziende del Paese sono le sue finalità, esplicitate all’interno dell’articolo 18, comma 1 della Legge n. 81/2017. Esse, infatti, concretizzandosi nell’ «incremento della competitività» aziendale e nella «conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» dei lavoratori, appaiono del tutto analoghe ai benefici che la letteratura sociologica attribuisce allo smart working. Tuttavia, è necessario specificare come la dottrina giuslavoristica si sia invece spesso interrogata sull’efficacia delle soluzioni normative individuate dalla Legge
n. 81/2017 per quanto riguarda il raggiungimento di tali finalità: tali divergenze, legate primariamente ai numerosi elementi di novità contenuti nell’impianto legislativo, saranno oggetto di analisi all’interno del seguente paragrafo.
2. Produttività, conciliazione, autonomia individuale.
Nonostante il loro, secondo alcuni improprio (38), inserimento all’interno di un intervento legislativo nato per disciplinare il «lavoro autonomo non imprenditoriale», le previsioni in materia di lavoro agile disciplinano una «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato»: in questo, esse differiscono sia dall’attuale regolazione del telelavoro all’interno dell’ordinamento italiano, la quale non pone limiti allo svolgimento della prestazione da remoto anche da parte di lavoratori para-subordinati o autonomi, che ad alcuni disegni di Xxxxx presentati prima della sua approvazione, i quali adottavano una simile impostazione (39).
Tuttavia, secondo autorevole dottrina giuslavoristica, la libertà del lavoratore agile per quanto concerne la scelta dei tempi e del luogo dal quale svolgere la propria prestazione rappresenta una novità nel campo della disciplina della subordinazione, andando ad “affievolire” quello che la giurisprudenza ha da tempo individuato come elemento costitutivo della fattispecie, ossia l’etero-direzione, intesa quale sottoposizione del lavoratore a direttive stringenti da parte del datore di lavoro sui contenuti dell’attività lavorativa (40).
(38) X. XXXXX, Il lavoro a distanza di terza generazione: la nuova disciplina del “lavoro agile”, in
NLCC, 2018, n. 1, pp. 632-633.
(39) Disegno di Legge del 3 febbraio 2016, n. 2229, primo firmatario M. Sacconi. In particolare, si veda l’articolo 1, comma 1, che ne delimita il campo di applicazione a “forme di lavoro autonomo o subordinato rese in modalità agile”.
(40) X. XXXXX, Il lavoro a distanza di terza generazione: la nuova disciplina del “lavoro agile”, cit.
p. 636. Una differente opinione riguardo al rapporto tra lavoro agile e subordinazione giuridica è offerta da M. DEL CONTE, Problemi e prospettive del lavoro agile tra remotizzazione forzata e trasformazione organizzativa, in ADL, 2021, n. 3, p. 565. L’A. infatti sostiene che “il lavoro agile si inscrive perfettamente nell’alveo dello schema della subordinazione” poiché “contrapporre la
La scelta del legislatore del 2017 di rifarsi al tipo legale del lavoro subordinato per disciplinare il lavoro agile è stata individuata da alcuni commentatori come appartenente a quella tendenza, propria delle più recenti riforme del diritto del lavoro, a rimarcare il ruolo centrale del lavoro subordinato all’interno dell’ordinamento giuslavoristico italiano ( 41 ), ma «de-standardizzando» progressivamente la sua disciplina, al fine di rispondere alle «multiformi varianti fattuali del lavorare in modo subordinato, ed alle multiformi esigenze dell’organizzazione di impresa» (42), sempre più fluida e de-strutturata.
Proprio la progressiva «de-standardizzazione» dei modelli produttivi delle imprese fin dall’avvento del c.d. post-fordismo (43), tuttavia, aveva portato alcuni autorevoli autori attivi alla fine del secolo scorso a prevedere una «crisi irreversibile» del lavoro subordinato, il quale, secondo opinione comune, rappresenterebbe la forma giuridica “modello”, appunto, del rapporto di lavoro xxxxxx-fordista ( 44 ): l’
«eterodirezione» che nella concezione tradizionale dovrebbe conformare il rapporto tra le due parti del contratto, sarebbe infatti «sempre meno riconoscibile» nel lavoro subordinato moderno, il quale, pur assumendone l’etichetta formale, risulterebbe
modalità agile alla necessità di dividere, coordinare e controllare il lavoro significa ignorare le dinamiche organizzative dell’impresa moderna e vagheggiare una prospettiva paritaria dei rapporti intra-aziendali che non trova riscontro nemmeno nelle realtà più all’avanguardia nella sperimentazione di nuovi modelli organizzativi”. Il tema del rapporto tra lavoro agile e subordinazione è approfondito all’interno del capitolo IV, par. 1 del presente scritto.
(41) Tra le stesse, importanza fondamentale assume il d.lgs. n. 81/2015, attuativo della L n. 183/2014 (c.d. Jobs Act). Esso, denominato “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”, specifica al proprio art. 1, comma 1, che “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.
(42) X. XXXXX, op. cit., p. 184. Esprime il medesimo concetto X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Xxxxxx etero- organizzato, coordinato, agile e telelavoro: un puzzle non facile da comporre nell’impresa in via di trasformazione, in DRI, 2017, n. 3, p. 783.
(43) Il termine “post-fordismo” è stato coniato dalla cosiddetta “École de la Régulation”, scuola di pensiero francese di cui facevano parte economisti come Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx, Xxxxx Xxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxx, e fa riferimento al declino del modello produttivo teorizzato da X.X. Xxxxxx nell’opera “The Principles of Scientific Management” e applicato per la prima volta negli anni 30’, all’interno delle fabbriche dell’industriale Xxxxx Xxxx. Per una descrizione del fordismo e dei fattori che portarono alla sua crisi, si rimanda a A. XXXXXXXXX, Dal fordismo al post-fordismo: il lavoro e i lavori, in QRS, 2001, n. 1, pp. 1-13.
(44) Vedi, ex multis, X. XXXXXXX, La città del lavoro, Feltrinelli, 1997, pp. 227-228, il quale individua come fattore determinante il “venir meno della possibilità di ricorrere alla finzione economica e giuridica del lavoro astratto quale unità di conto che consentiva sia la compravendita della merce lavoro, sia l’organizzazione parcellare del lavoro subordinato” la quale “fa emergere la persona concreta del lavoratore come soggetto del rapporto di lavoro”. Il passaggio citato nel testo è commentato criticamente da X. XXXXXX, Questioni in diritto su lavoro digitale, tempo e libertà, RGL, 2018, n. 1, pp. 44-48: l’autore, in particolare, critica duramente la “sovrapposizione concettuale” tra lavoro astratto in senso marxista, lavoro xxxxxx-fordista e lavoro subordinato.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
essere «sempre meno esecutivo e più autorganizzato», nonché «focalizzato sugli obiettivi» (45).
La conciliazione tra l’esigenza di creare una modalità di esecuzione della prestazione adatta a soddisfare le esigenze delle imprese, necessitanti di modelli organizzativi snelli e flessibili al fine di garantire la reattività dei flussi della produzione alla sempre più volubile domanda del mercato (46), e la menzionata volontà politica di valorizzare il lavoro subordinato all’interno della legislazione lavoristica nazionale, è stata affidata dal legislatore del 2017 ad un peculiare strumento, ossia all’accordo individuale da stipularsi tra datore di lavoro e lavoratore agile, requisito fondamentale al fine dell’attivazione di tale modalità di lavoro e sua potenziale unica fonte di regolamentazione.
Tra i contenuti fondamentali dell’accordo di lavoro agile, la Legge individua la disciplina delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa svolta in parte all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo all’esercizio del potere direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro, nonché gli strumenti che il lavoratore potrà utilizzare per il suo svolgimento. Inoltre, esso dovrebbe individuare i tempi di riposo del lavoratore e prevedere le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro (47).
L’affidamento all’accordo individuale del ruolo di sostanziale fonte primaria del lavoro agile (48) rappresenta un significativo elemento di novità nel panorama giuridico italiano (49), semplificando la «tradizionale triangolazione tra Legge, autonomia collettiva e autonomia individuale» in un mero «rapporto binario tra previsione legale e accordo individuale» (50).
Le ragioni individuate dietro la scelta da parte del legislatore del 2017 sono state molteplici (51). In questa sede, si ritiene particolarmente rilevante un’interpretazione
(45) R. DEL PUNTA, Un diritto per il lavoro 4.0, in A. XXXXXXXX, X. GRAMOLATI, G. MARI (a cura di), Il lavoro 4.0: La Quarta Rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative, Firenze University Press, 2018, p. 228.
(46) A. XXXXXXXXX, Una transizione epocale per il mondo del lavoro, Rassegna CNOS, 1999, n. 1, p. 15.
(47) Artt. 19-21, L. n. 81/2017.
(48) X. XXXXXXXX, L’accordo individuale e i diritti del lavoratore agile, in X. XXXXXXXX, X. PERULLI (a cura di) Il jobs act del lavoro autonomo e del lavoro agile, Giappichelli, 2018, p. 197.
(49) X. XXXX, Rimedi, tutele e fattispecie: riflessioni a partire dai lavori della Gig economy, in LD, 2017, Fasc. 3-4, p. 393.
(50) X. XXXXXXX, Lavoro agile e autonomia collettiva, in X. XXXXXXXX (a cura di) La nuova frontiera del lavoro: autonomo-agile-occasionale, 2018, ADAPT University Press, p. 385.
(51) Ad esempio, secondo X. XXXXXXX, Lavoro agile e autonomia collettiva, cit., p. 381, tale scelta appare coerente con gli atteggiamenti di politica del diritto tenuti nel contesto delle riforme operate dal Jobs Act, i quali promuovono “un rapporto Xxxxx/contrattazione collettiva che lascia alla seconda spazi qualitativamente meno pregnanti, e di forte competizione tra i diversi livelli”.
risalente al periodo immediatamente successivo all’emanazione della Legge, ma che trova conferme anche in opere più recenti, secondo la quale attraverso la valorizzazione dell’autonomia individuale il legislatore ha inteso «emancipare» le parti contrattuali dalle «rigidità di una definizione eteronoma della sistemazione dei loro interessi», riconoscendo dunque loro la superiore capacità, rispetto ad attori esterni, di regolare il rapporto di lavoro che direttamente li coinvolge e adattarne la disciplina alla sua realtà fattuale (52).
Secondo questa prospettiva, dunque, si ritiene parzialmente accantonato uno dei principi caratterizzanti la legislazione giuslavoristica italiana, ossia quello per cui il lavoratore subordinato sia da considerarsi come il «contraente debole» del rapporto, e sia quindi bisognoso di previsioni «di protezione» in grado di controbilanciare il superiore potere contrattuale della parte datoriale ( 53 ), mentre si esalta la sua capacità di negoziare in autonomia le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa a lui più congeniali. Seguendo tale linea di pensiero, dunque, l’impianto della Legge n. 81/2017 sembrerebbe rappresentare un esempio di quelle
«manifestazioni dell’autonomia individuale che si sviluppano entro schemi preordinati dal legislatore», che garantiscono un maggior grado di libertà dei soggetti del rapporto di lavoro subordinato (54), «consentendo di creare più flessibili […] e avanzati modelli di gestione del rapporto di lavoro, al fine di accrescere le possibilità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» (55).
È necessario sottolineare, tuttavia, come non tutta la dottrina che si è occupata di lavoro agile concordi con la ricostruzione appena presentata e il suo individuare l’autonomia individuale come una soluzione che comporti ex se il raggiungimento
Medesima interpretazione è condivisa da S. BOLOGNA, F. IUDICIONE, Il lavoro agile e il telelavoro nello scenario europeo e comparato: dinamiche emergenti, effetti sulla qualità del lavoro e strumenti di regolazione, QRS, 2017, n. 3, p. 123, secondo i quali “la Legge si inserisce nella temperie culturale volta alla progressiva emarginazione dei corpi intermedi”.
(52) X. XXXXXXXX, Il lavoro agile: continua il processo di ridefinizione del Diritto del lavoro, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo e del lavoro agile, 2017, p. 171. L’A. peraltro sostiene come la disciplina del lavoro agile interpreti in questo senso “istanze levatesi da tempo (p. 172), legate “ad una sorta di “insofferenza” nei confronti del carattere iperprotettivo dell’intervento giuslavorista” (p. 173). La tensione verso la gestione individuale dei rapporti di lavoro è sottolineata anche da X. XXXXXX, Tre fasi, due modelli e una crisi generalizzata, Stato e Mercato, 2012, n. 1, p. 82, il quale descrive il crescente fenomeno di “fuga” dalla contrattazione collettiva da parte di quei lavoratori che, possedendo competenze fortemente richieste dal mercato, e di conseguenza un elevato potere negoziale, scelgono di disciplinare il proprio rapporto di lavoro unicamente attraverso lo strumento della contrattazione individuale.
(53) X. XXXXXXX, Lo smart working nell’ordinamento italiano, DLM, 2018, n. 1, p. 297.
(54) A. PERULLI, La “soggettivazione regolativa” nel diritto del lavoro, WP C.S.D.L.E. "Xxxxxxx X'Xxxxxx", 2018, n. 365, p. 7.
(55) A. PERULLI, La “soggettivazione regolativa” nel diritto del lavoro, cit., p. 9
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
delle finalità di conciliazione vita-lavoro indicata nell’articolo 18, comma 1 della Legge n. 81/2017. C’è chi ha evidenziato, infatti, che se la ratio conciliativa del lavoro agile è strettamente connessa con la definizione consensuale delle sue condizioni (56), esiste tuttavia un concreto rischio che le esigenze di conciliazione del lavoratore che le negozia individualmente siano soverchiate dalla disparità di potere contrattuale della controparte (57).
Il lavoratore, dunque, potrebbe essere nella pratica sottoposto a modelli di accordo individuale “standardizzati”, definiti unilateralmente dal datore di lavoro e sottopostigli con limitatissimi margini di modifica (58), oppure addirittura privi o insufficientemente dotati di quegli elementi fondamentali per garantire un’efficace conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, scongiurando, al contrario, la loro sovrapposizione (59): non è da sottovalutarsi, in questo senso, l’assenza, all’interno dell’impianto legislativo, di sanzioni volte a colpire la mancata regolazione di aspetti nodali del lavoro agile all’interno dell’accordo individuale (60).
In questo senso, i rischi connessi alla gestione delle esigenze di conciliazione dei singoli lavoratori tramite il mero esercizio dell’autonomia individuale potrebbero avere effetti negativi anche per quanto concerne il raggiungimento dell’altro fondamentale obiettivo connesso all’istituto del lavoro agile, ossia l’incremento di competitività per le imprese che lo adottano. Nonostante la Legge n. 81/2017 non
(56) X. X. XXXXX, Il lavoro agile e gli equivoci della conciliazione virtuale, WP C.S.D.L.E. "Xxxxxxx X'Xxxxxx", 2020, n. 419, p. 46.
(57) Ivi, p. 30, ma si veda anche A. DONINI, Nuova flessibilità spazio-temporale: l’idea del lavoro agile, cit., p. 90, la quale, riferendosi al disegno di Xxxxx ancora in corso di pubblicazione, sottolinea come il lavoratore agile sia “più che mai solo” nella scelta di partecipare a tale modalità di esecuzione della prestazione, anche in considerazione del fatto che il disegno di Xxxxx “non contiene alcuna misura che agevoli l’accesso a tale articolazione su richiesta del prestatore” come, per esempio, quelle previste in materia di part-time.
(58) Ivi, p. 35. Allo stesso modo, X. XXXXXXXX, Il lavoro agile nel collegamento negoziale, RGL, 2018, n. 1 p. 106, afferma come la mancanza di una mediazione collettiva degli interessi rischi di fare “scadere l’accordo individuale di lavoro agile al ruolo di un contratto per adesione".
(59) X. XXXXXXX, op. cit., p. 58, il quale fa riferimento al diritto alla disconnessione, necessario al fine di “tutelare il lavoratore da un’onnipresenza della nuova dimensione virtuale e tecnologica del lavoro all’interno della propria vita”. Sul diritto alla disconnessione come mezzo per garantire la conciliazione vita-lavoro dei lavoratori agili, vedi anche E. XXXXXXX, Il diritto alla disconnessione nella Legge n. 81/2017 e nell’esperienza comparata, in DRI, 2017, n. 4, pp. 1024-1039, e X. FENOGLIO, Il diritto alla disconnessione del lavoratore agile, in X. XXXXX GRANDI, X. XXXXX (a cura di) Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, CEDAM, p. 552.
(60) Aspetto messo in evidenza da E. XXXXXXX, L’accordo sul lavoro agile: forma e contenuto, in
X. XXXXX GRANDI, X. XXXXX (a cura di) Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, CEDAM, 2018, p. 512, ma anche da A. ALLAMPRESE, Del diritto alla disconnessione, in VTDL, 2022, n. 1, p. 159, con riferimento al diritto alla disconnessione.
imponga «una necessaria compresenza delle due finalità» ( 61 ) nella gestione concreta del singolo rapporto di lavoro agile, alcune interpretazioni individuano infatti una relazione di complementarità de facto tra le due, ritenendo il benessere del lavoratore un fattore di potenziale stimolo della produttività aziendale (62).
Da questa breve ricognizione è possibile comprendere come la dottrina giuslavoristica che si è occupata di lavoro agile non abbia una prospettiva unanime per quanto concerne il tema dell’intima connessione tra valorizzazione dell’autonomia individuale e il raggiungimento delle finalità dell’istituto individuate dalla Legge n. 81/2017. Non sono opinioni isolate, infatti, quelle secondo le quali, nonostante l’assenza di rinvii alla contrattazione collettiva all’interno del testo legislativo, proprio tale fonte costituisca lo strumento più idoneo al fine di gestire al meglio la conciliazione vita-lavoro del lavoratore agile, e quindi valorizzare al meglio gli effetti positivi sul livello di competitività dell’azienda nella quale lo stesso è inserito.
Per quanto concerne la conciliazione vita-lavoro, infatti, taluni sottolineano come la stessa potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel contesto del lavoro agile, muovendosi «in un equilibrio dinamico fra l’autonomia individuale, che porrebbe problemi di debolezza contrattuale e, all’altro estremo, la rigidità, che potrebbe risultare eccessiva, di certe misure legislative» (63).
Allo stesso tempo, c’è chi afferma come la contrattazione collettiva, e in particolare a quella stipulata al livello aziendale, debba essere affidata «l’intera disciplina del lavoro agile», considerato come «la riorganizzazione del lavoro per obiettivi, per incrementare la produttività e favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, può infatti risultare praticabile […] sulla base di strategie ed azioni condivise al livello gestionale il più vicino possibile alla specifica realtà imprenditoriale» (64).
(61) X. XXXXXXXXXX, Il lavoro agile: finalità, politiche di welfare e politiche retributive, in GRUPPO GIOVANI GIUSLAVORISTI SAPIENZA (a cura di) Il lavoro agile nella disciplina legale, collettiva ed individuale. Stato dell’arte e proposte interpretative di un gruppo di giovani studiosi, WP
C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, Collective Volumes, 2017, n. 6, p. 24, ma anche X. XXXXXXX,
op. cit., p. 55.
(62) In tal senso, vedi C. XXXXXXXXX, In che modo oggi il lavoro è smart? Sulla definizione di lavoro agile, Il lavoro nella giurisprudenza, 2018, n. 3, p. 230. L’A. infatti sostiene come “le risorse umane sono un elemento strategico per l’impresa e per il successo di essa, per cui è necessario che i lavoratori siano sereni affinché il business abbia successo. Diversamente, invece, il conflitto tra vita professionale e vita privata genera effetti negativi, quali lo stress, l’assenteismo e la predisposizione alle malattie, in tal modo minacciando il benessere dell’impresa e di coloro che vi lavorano.”
(63) A. TINTI, op. cit., p. 13.
(64) In questo senso X. XXX, X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina del lavoro agile, in DPL, 2016, n. 11, p. 710. I medesimi ragionamenti sono condivisi da L. XXXXXXXX, Smart working: la nuova disciplina del lavoro agile, in MGL, 2017, n. 6, pp. 381-391, nonché da A. XXXXXXXX, Il tempo di lavoro nella new automation age: un quadro in trasformazione, in RIDL, 2018, n. 4, p. 640, secondo
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
In ultimo, è da segnalare l’opinione di chi, al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi di competitività e conciliazione individuati dalla Legge n. 81/2017, si dice invece a favore di un intervento della contrattazione collettiva a livello settoriale, al fine di definire un «quadro regolativo minimo comune» per quanto concerne la disciplina del lavoro agile (65).
Considerati gli elementi appena descritti, a questo punto della trattazione risulta dunque necessario chiarire alcuni dei punti relativi al ruolo della contrattazione collettiva nella regolazione del lavoro agile sollevati dalla dottrina giuslavoristica durante gli anni di vigenza della Legge n. 81/2017, al fine di potere comprenderne al meglio le potenzialità e le limitazioni.
3. Il ruolo della contrattazione collettiva nella regolazione del lavoro agile.
Come già menzionato nei precedenti paragrafi, la Legge n. 81/2017 non prevede alcun rinvio esplicito alla contrattazione collettiva per quanto concerne la regolazione del lavoro agile: è necessario a questo punto specificare come tale circostanza, tuttavia, non implichi un “divieto” per l’autonomia collettiva di occuparsi del tema, considerata la libertà della sua azione sancita da parte dell’articolo 39, comma 1 della Costituzione (66).
L’appena menzionata chiarificazione, sebbene necessaria per un’accurata ricostruzione tecnico-giuridica dell’istituto, appare peraltro “superata” dal dato reale. Dal 2017 ad oggi, il lavoro agile è stato infatti ampiamente oggetto di regolazione da parte della contrattazione collettiva nazionale, aziendale, e, seppur in minor misura, territoriale (67): con riguardo alla contrattazione di secondo livello, si segnala come, nel periodo intercorrente dall’emanazione della Legge n. 81/2017 al 31 dicembre 2022, l’Osservatorio Smart working di ADAPT abbia reperito ben 433 accordi che, con un più o meno ampio livello di dettaglio, si sono occupati di tale modalità di lavoro (68).
la quale lo strumento collettivo risulta “fondamentale per uno sviluppo del lavoro ordinato e più aderente alla realtà da regolare”.
(65) X. XXXXXXXX, Tecnologie digitali e lavoro agile, cit., p. 122.
(66) Ivi, p. 119. In tal senso, vedi anche X. XXXXX, op. cit., p. 183 e M. BROLLO, Smart o Emergency Work? Il lavoro agile al tempo della pandemia, cit., p. 558, la quale, individuando la libertà sindacale come unico elemento che autorizza la negoziazione collettiva in materia di lavoro agile, afferma come quest’ultima operi in condizioni di “semi-clandestinità”.
(67) L’unico esempio reperito fino a questo momento è l’Accordo interconfederale regionale sul lavoro agile per le imprese artigiane e le PMI del Veneto, siglato da Casartigiani del Veneto, CNA del Veneto, Confartigianato imprese Veneto, CGIL regionale Veneto, CISL regionale Veneto, UIL regionale Veneto il 20 dicembre 2019.
(68) Il presente lavoro di tesi nasce nell’ambito delle attività dell’Osservatorio smart working di ADAPT, consultabile all’ indirizzo web xxxxx://xxxxxx.xxxxxxxxx.xx/xxxxxx/xxxx.xxx?xxx000, ed
Il moltiplicarsi di tali esperienze, combinate con le particolari caratteristiche del testo legislativo che, ad oggi, regola il lavoro agile, ha portato la dottrina giuslavoristica ad interrogarsi sul ruolo della fonte collettiva per quanto concerne il rapporto con la Legge e con l’accordo individuale, in particolare per quanto concerne la risoluzione di antinomie tra le diverse fonti regolanti l’istituto (69).
Secondo alcune interpretazioni, infatti, l’assenza di rinvii da parte della Legge n. 81/2017 alla contrattazione collettiva presuppone che l’accordo individuale debba necessariamente prevalere sulla stessa (70). L’orientamento prevalente, tuttavia, appare quello che argomenta come l’autonomia individuale delle parti intervenga unicamente “in sostituzione” della contrattazione collettiva, la quale, se presente, non sarà derogabile in pejus dall’accordo stipulato tra le singole parti del rapporto di lavoro agile (71). Autorevole dottrina, tuttavia, ha ritenuto altresì fondamentale puntualizzare come un eventuale contratto collettivo che si occupi di lavoro agile non possa «bypassare il consenso espresso dal lavoratore nel patto individuale, il quale costituisce elemento fondamentale per la regolazione dell’istituto: ciò non toglie, in ogni caso, che l’accordo individuale possa rinviare all’accordo collettivo le concrete modalità di esecuzione della prestazione lavorativa» (72).
Secondo la sopraccitata impostazione, dunque, la peculiare conformazione della legislazione ordinaria in materia di lavoro agile «non riesce a scardinare il sistema lavoristico delle fonti» ( 73 ). Coerente a tale interpretazione appare inoltre la rilevazione secondo la quale la contrattazione collettiva, seppure libera di intervenire prevedendo disposizioni più favorevoli al lavoratore rispetto a quelle previste dal dettato legislativo, non sia al contrario legittimata a derogarne in pejus le previsioni (74), se non attraverso lo strumento del c.d. accordo di prossimità (75).
attualmente coordinato da chi scrive – coinvolta in prima persona nel reperimento di contrattazione aziendale concernente la tematica del lavoro agile.
(69) È da notare come il rapporto tra la fonte collettiva e la L. n. 812017 fosse stato già oggetto di analisi da parte degli autori che hanno preso in considerazione gli accordi collettivi precedenti all’emanazione della Legge. Tuttavia, considerando che la maggior parte di tali accordi non risulta essere più in vigore, in questa sede si è scelto di considerare prevalentemente gli autori che hanno deciso di concentrarsi su differenti aspetti della tematica.
(70 ) F. CHIETERA, Il lavoro agile, in X. XXXXXXXX (a cura di) La nuova frontiera del lavoro: autonomo-agile-occasionale, 2018, ADAPT University Press, p. 349.
(71) Si veda, ex multis, M. L. PICUNIO, op. cit., p. 529. Sull’inderogabilità in pejus delle previsioni dei contratti collettivi in materia di lavoro agile, seppur limitatamente a quanto concerne il trattamento economico e normativo, vedi anche X. XXXXXXXX, op. cit., p. 204.
(72) X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. cit., p. 787.
(73) X. XXXXXXX, Lavoro agile ed autonomia collettiva, cit., p. 397.
(74) X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. cit., p. 787.
(75) Così X. XXXXXXXX, Tecnologie digitali e lavoro agile, cit., p. 120-121. L’A. tuttavia sottolinea l’inderogabilità delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di orario di lavoro e al principio di non discriminazione, in quanto di origine comunitaria.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
3.1. I richiami della Legge n. 81/2017 alla contrattazione collettiva.
Una volta chiarite le differenti questioni relative al rapporto tra le fonti che intervengono de facto nella regolazione del lavoro agile, è necessario considerare come, nonostante l’assenza di veri e propri rinvii alla contrattazione collettiva per quanto riguarda la regolazione di tale fattispecie, la Legge n. 81/2017 tuttavia faccia riferimento alla stessa in diverse previsioni contenute al suo interno.
Il richiamo più evidente è senza dubbio quello contenuto all’articolo 20, comma 1, il quale infatti prevede che «il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all'articolo 51 del d.lgs. 81/2015, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda».
La dottrina giuslavoristica si è interrogata sul significato di tale riferimento ai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e/o dalle loro RSA/RSU, e, in particolare, sullo scopo che il legislatore voleva raggiungere tramite la sua introduzione all’interno della normativa. Secondo alcuni, il principale obiettivo della menzionata previsione si sostanzia nel garantire l’assenza di discriminazioni sul piano economico e normativo dei lavoratori agili nei confronti di coloro che svolgono prestazioni simili ma interamente in presenza (76); sembra adottare una simile prospettiva, inoltre, chi sostiene che l’art. 20 comma 1 della Legge n. 81/2017 sia volto a rimarcare il legame sussistente tra il lavoro agile e il lavoro subordinato, la remunerazione del quale è infatti notoriamente gestita da parte della contrattazione collettiva, derogabile unicamente in melius da parte della contrattazione individuale (77).
( 76 ) Funzione in particolare indagata da X. XXXXXXX, Il lavoro c.d. agile come fattore discriminatorio vietato, in X. XXXXX GRANDI, X. XXXXX (a cura di) Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, CEDAM, 2018, pp. 563-579. In tal senso, si segnala la prospettiva di X. XXX, Tecnologia e tutela del lavoro: smart working e crowd working, in DRI, 2017,
n. 4, p. 991, secondo il quale per raggiungere tale scopo, invece di utilizzare la locuzione “medesime mansioni”, “sarebbe stato più opportuno fare riferimento alla nozione di «lavoratore comparabile», presente nelle principali normative antidiscriminatorie al livello nazionale (quello cioè inquadrato nello stesso livello in base ai criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva)”.
(77) X. X. XXXXXXXX, Il trattamento del lavoratore agile, in X. XXXXXXXX (a cura di) La nuova frontiera del lavoro: autonomo-agile-occasionale, 2018, ADAPT University Press, p. 431. È necessario tuttavia sottolineare come, secondo l’A., “la comparazione tra i trattamenti economici e normativi spettanti alle due tipologie di lavoratori dovrà essere circoscritta al trattamento retributivo base di pertinenza del lavoratore subordinato […] mentre non potrà evidentemente riguardare quelle voci retributive […] ancorate all’esistenza di una sede fissa di lavoro e di un orario rigidamente predeterminato dalla controparte” (p. 444).
È necessario, tuttavia, evidenziare la presenza di un orientamento dottrinale che attribuisce maggiore importanza alla menzionata previsione, tale da incidere parzialmente sul rapporto tra autonomia individuale e collettiva all’interno dell’impianto legislativo. In base ad esso, infatti, il tenore letterale dell’articolo 20 addirittura impedirebbe l’implementazione del lavoro agile ai datori di lavoro che applicassero, all’interno della propria azienda, contratti collettivi diversi da quelli selezionati dall’articolo 51, d.lgs. n. 81/2015 ( 78 ). È chiaro che, se questa interpretazione dovesse trovare accoglimento, la stessa intralcerebbe fortemente l’assioma per cui la regolazione di tale modalità di lavoro è demandata unicamente all’autonomia individuale, presupponendo infatti la presenza di una fonte collettiva specificamente individuata ai fini della sua implementazione.
La Legge n. 81/2017 fa inoltre riferimento alla contrattazione collettiva all’interno del primo comma dell’articolo 18, nel momento in cui statuisce che «La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla Legge e dalla contrattazione collettiva». Tale previsione, sebbene apparentemente priva di rilevanti difficoltà interpretative, deve essere considerata in relazione all’articolo 17, comma 5, contenuto all’interno del d.lgs. n. 66/2003, il quale prevede che numerose previsioni in materia di orario di lavoro, compresi i limiti della sua durata massima giornaliera e settimanale (disciplinati rispettivamente dagli articoli 7 (79) e 4 del medesimo decreto), non siano applicabili «ai lavoratori la cui durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi» tra i quali la Legge esplicitamente ricomprende chi svolge le proprie prestazioni lavorative «nell’ambito di rapporti di lavoro a domicilio o telelavoro». Il parziale contrasto tra le disposizioni appena menzionate ha dato origine a diverse interpretazioni relativamente alla prevalenza di una o dell’altra fonte ( 80 ): per quanto rileva in questa sede, tuttavia, si sottolinea la
(78) X. XXXXXXXX, op. cit., p. 202, ma anche X. XXXXXXX, Lavoro agile ed autonomia collettiva, cit.,
p. 390. Tale possibilità è altresì indagata da X. XXXXXXX, op. cit., p. 577, il quale tuttavia si dimostra maggiormente favorevole alla tesi per cui “la comparazione tra il trattamento riconosciuto al lavoratore c.d. agile e il trattamento riconosciuto ai lavoratori standard comparabili alla luce delle mansioni assegnate, debba essere svolto in astratto, nel caso in cui il datore di lavoro non applichi in azienda gli accordi collettivi ex art. 51, comparando al trattamento riconosciuto al lavoratore c.d. agile il trattamento che sarebbe riconosciuto ai medesimi lavoratori standard comparabili, ove gli stessi beneficiassero dei trattamenti di cui ai contratti collettivi ex art. 51”.
(79) Il d.lgs. n. 66/2003 non individua esplicitamente la durata massima dell’orario giornaliero, la quale, tuttavia, si può evincere a contrario dal tenore dell’art. 7 del menzionato decreto, che sancisce come ogni lavoratore debba disporre di un minimo di 11 ore di riposo giornaliero.
(80) Riassunte da X. XXXXXXX, La definizione del lavoro agile nella Legge e nei contratti collettivi: sovrapposizioni e possibili distinzioni, cit., p. 14. Per un approfondimento sul rapporto tra la
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circostanza per cui la flessibilità temporale connaturata alla prestazione di lavoro agile, differentemente da quanto previsto per il telelavoro, sia, nel disegno del legislatore, influenzata da «limiti esterni» individuati dalla Legge e, in misura ancora più pregnante, dalla fonte collettiva (81).
In ultimo, si segnala l’interpretazione che sostiene come all’interno della Legge n. 81/2017 sia presente un ulteriore rinvio, seppur implicito (82), alla contrattazione collettiva. Lo stesso è da individuarsi nell’articolo 18, comma 4, il quale sancisce come «Gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l'attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile». Presupposto della menzionata intuizione è l’attribuzione a tale disposizione di uno scopo non tanto orientato a garantire l’assenza di discriminazioni retributive tra lavoratori agili e non, bensì, al contrario, a sancire come il lavoro agile sia «una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che consente di raggiungere quegli incrementi di produttività ed efficienza a cui la Legge collega determinate agevolazioni (fiscali e contributive)» (83). Una volta condivisa tale interpretazione, appare infatti immediato notare come le agevolazioni citate dalla norma siano principalmente subordinate all’implementazione di contratti collettivi di secondo livello (84), entrando dunque a far parte, in base al dato testuale della norma, di quegli aspetti dello svolgimento della prestazione di lavoro che «non possono non trovare spazio» all’interno della fonte collettiva (85).
Il ruolo fondamentale ricoperto dalla contrattazione collettiva ai fini della realizzazione delle espresse finalità del lavoro agile è peraltro rilevabile anche consultando provvedimenti estranei rispetto alla Legge n. 81/2017. È da notare, infatti, come il decreto interministeriale del 12 settembre 2017, volto ad attuare
disciplina legislativa in materia di orario di lavoro e la L. n. 81/2017, si veda anche il capitolo III, par. 2 del presente scritto.
(81) Così X. XXXXXXX, Lavoro agile ed autonomia collettiva, cit., p. 388, il quale collega l’assenza di una vera e propria “durata massima” dell’orario giornaliero all’interno della fonte legislativa ad un più importante ruolo giocato in tal senso da parte della contrattazione collettiva.
(82) Ivi, p. 391.
(83) Così X. XXXXXXXX, Produttività, efficienza e lavoro agile, in X. XXXXXXXX (a cura di) La nuova frontiera del lavoro: autonomo-agile-occasionale, 2018, ADAPT University Press, p. 399. Secondo l’A., se si accogliesse la diversa lettura menzionata nel testo, “sorgerebbe il ragionevole dubbio che la disposizione abbia un contenuto tautologico, considerato che il lavoro agile è lavoro subordinato […] con la conseguenza che ad esso trova già applicazione la relativa disciplina, compresa quella incentivante”.
(84) Come osservato da X. XXX, op.cit., p. 989, e X. XXXXXXX, Lavoro agile ed autonomia collettiva, cit., p. 392. Quest’ultimo cita a tal fine il decreto interministeriale del 25 marzo 2016 in tema di premi di risultato, il quale attua le previsioni dell’articolo 1, commi 182-191, del d.lgs. n. 208/2015.
(85) X. XXXXX, Il lavoro a distanza di terza generazione: la nuova disciplina del “lavoro agile”, cit., p. 649.
l’art. 25 del d.lgs. n. 80/2015, inserisse il lavoro agile tra le misure di conciliazione vita-lavoro che, se recepite all’interno di appositi contratti collettivi aziendali, avrebbero dato accesso alle risorse del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi nel triennio 2016-2018.
Al termine della breve ricognizione dei richiami allo strumento collettivo contenuti all’interno della Legge n. 81/2017 e non, si ritiene che gli stessi, insieme alle soluzioni interpretative relative al rapporto tra la fonte legislativa, quella contrattual-collettiva e l’autonomia individuale menzionate in apertura di paragrafo impongano di porre specifica attenzione alla regolazione collettiva del lavoro agile, contenuta sia all’interno delle fonti di primo che di secondo livello.
Come già specificato in precedenza, infatti, quando presenti, le fonti collettive appaiono da un lato inderogabili in pejus da parte della contrattazione individuale, mantenendo dall’altro un ruolo “integrativo” e/o “suppletivo” rispetto agli aspetti trattati in modo minimale all’interno della disciplina legislativa ( 86 ): con la conseguenza, dunque, di influenzare sensibilmente i modelli organizzativi di lavoro agile all’interno di specifici contesti aziendali o interi settori merceologici.
D’altra parte, nonostante la più volte richiamata assenza di rinvii alla contrattazione collettiva all’interno della legislazione, è stato altresì menzionato come le parti sociali non abbiano esitato ad utilizzare tale strumento al fine della regolazione del lavoro agile, proseguendo la tendenza iniziata con gli accordi aziendali stipulati precedentemente al 2017. La ragione di tale operazione è stata condivisibilmente individuata anche in una questione di opportunità: i modelli organizzativi che includono la possibilità di lavorare “agilmente” sono tendenzialmente diffusi all’interno di grandi aziende (87), e di conseguenza la gestione di un grande numero di lavoratori attraverso la stipulazione di singoli accordi individuali appare scarsamente realizzabile (88). Inoltre, come sottolineato in precedenza, non è da sottovalutare quell’elemento che subordina alla stipulazione di accordi collettivi di lavoro agile l’accesso a specifiche agevolazioni fiscali e contributive.
Allo stesso tempo, tuttavia, la copiosa produzione collettiva relativa al lavoro agile può altresì essere interpretata come un segnale di reazione da parte dei soggetti
(86) Come, ad esempio, la disciplina della salute e sicurezza sul lavoro dei lavoratori agili; per un approfondimento in tal senso, si veda in particolare il capitolo II, par. 2.1 della presente ricerca.
( 87 ) Per quanto riguarda i dati precedenti alla pandemia da COVID-19, si veda SCHOOL OF MANAGEMENT DEL POLITECNICO DI MILANO, Smart working davvero: la flessibilità non basta, Osservatorio Smart working, 2019, i cui dati mostrano come il lavoro agile fosse diffuso all’interno del 58% delle grandi imprese all’interno del campione analizzato, ma solo il 12% delle PMI. Per quanto concerne l’incidenza della dimensione aziendale sulla diffusione del lavoro agile emergenziale, si veda invece X. XXXXXX, X. XXXXXX, Il lavoro da remoto in Italia durante la pandemia: i lavoratori del settore privato, Banca d’Italia, Note COVID-19, 2021, p. 5.
(88) Così X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. cit., pp. 786-787.
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xxxxxxxxxx, volto a ribadire la propria centralità anche nella regolazione dei rapporti di lavoro apparentemente lontani dalla classica concezione della subordinazione di tipo fordista (89).
3.2. Il Protocollo sul lavoro in modalità agile del 7 dicembre 2021.
L’interpretazione citata in conclusione del precedente paragrafo appare avvalorata dalla recente emanazione del Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile, siglato il 7 dicembre del 2021 dal Ministero del Lavoro e dalle principali associazioni di rappresentanza datoriale e sindacale del panorama nazionale. Tale Protocollo è il frutto del lavoro del Gruppo di studio “Lavoro agile” istituito presso il Ministero del Lavoro e composto da giuslavoristi, sociologi ed economisti italiani esperti del tema (90), nonché del loro confronto e collaborazione con le parti sociali. Il documento, che secondo alcuni commentatori assume la natura di accordo interconfederale (91), appare volto a delineare una disciplina per il lavoro agile che regolamenti lo strumento nel periodo successivo alla pandemia da COVID-19, superando dunque le forti modifiche apportate all’impianto della Legge n. 81/2017 da parte della legislazione emergenziale, e facendo allo stesso tempo tesoro di quanto emerso durante la sperimentazione di tale modalità di lavoro da parte di un ampio numero di lavoratori italiani (92).
(89) Da rilevare, in questo senso, l’interpretazione a secondo cui, vista la particolare conformazione della L. n. 81/2017, “lo spazio negoziale recuperato dalle organizzazioni sindacali nella perimetrazione dei diversi aspetti dello svolgimento del lavoro agile non può mai darsi per scontato”. Così X. XXXXXXXX, La conformazione dello spazio e del tempo nelle relazioni di lavoro: itinerari dell’autonomia collettiva, Giornate di Studio AIDLASS, Campobasso, 25-26 maggio 2023, p. 32.
(90) Il testo del Protocollo è altresì accompagnato da un documento, denominato “Relazione finale del Gruppo di studio “Lavoro Agile” all’interno del quale i membri del Gruppo forniscono spiegazioni in merito al fondamento teorico delle scelte operate.
(91) X. XXXXXX, Un protocollo poco innovativo ma non inutile, in LDE, 2021, n. 4, p. 1. Secondo X. XXXXXXX, Il lavoro agile oltre l’emergenza nel sistema delle fonti multilivello, in LG, 2022, n. 5, p. 470, ciò implica che “per le imprese che non sono iscritte ad alcuna associazione di categoria ovvero che non hanno assunto il vincolo associativo all’applicazione dei contratti collettivi dalla stessa sottoscritti il Protocollo del 7 dicembre 2021 non trova applicazione”, e che di conseguenza non sussista un “automatismo applicativo” all’interno degli accordi individuali: l’estensione dell’efficacia del Protocollo, in questo caso, può avvenire soltanto attraverso una clausola di rinvio.
(92) Dal lato sindacale, è stato sottolineato come la necessità di includere il lavoro agile tra le materie oggetto di negoziazione sia derivata da una crescente richiesta di supporto da parte dei lavoratori durante il corso della pandemia, e che l’attivismo della triplice in tal senso abbia trovato il proprio punto d’inizio con l’emanazione di Linee Guida al livello confederale e non, dirette ai propri operatori, per quanto concerne la contrattazione sul lavoro agile nel momento immediatamente successivo al primo lockdown del 2020. Così A. XXXXXX, X. XXXX, X. X. XXXXXXXX, The variable geometry of bargaining: implementing unions’ strategies on remote work in Italy, in Studi
All’interno delle premesse, i sottoscrittori del Protocollo affermano di volere perseguire tale finalità fornendo «linee di indirizzo che possano rappresentare un efficace quadro di riferimento per la futura contrattazione collettiva nazionale e aziendale e/o territoriale», valorizzandone il ruolo di «fonte privilegiata di regolamentazione dello svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile». Per acquisire efficacia, dunque, le disposizioni del Protocollo necessitano di essere attuate dalla contrattazione collettiva applicabile nei diversi contesti produttivi (93). La forte volontà di promuovere una regolazione collettiva del lavoro agile appare evidente, ed è segnalata anche all’interno del vero e proprio testo del Protocollo. Significativa, in tal senso, risulta ad esempio la clausola attraverso la quale le Parti sanciscono la necessità di un incentivo pubblico da destinare alle aziende che regolamentino il lavoro agile con un accordo collettivo di secondo livello (art. 15). In questo senso, è da notare come gli stessi contenuti delle disposizioni del Protocollo siano stati a loro volta fortemente influenzati da quanto disposto dalla contrattazione collettiva in materia di lavoro agile stipulata negli anni precedenti il 2021. Il materiale contrattuale, infatti, è stata una delle principali fonti oggetto di consultazione e analisi da parte del Gruppo di studio ministeriale: la ragione di una simile operazione si ritrova nelle parole dello stesso Presidente del Gruppo, il giuslavorista Xxxxxxxxxx Xxxx, secondo il quale «i contratti mostrano una propensione a prevedere elementi di criticità̀ non ancora rilevati dalla Legge ed hanno dimostrato una buona capacità di bilanciare gli interessi in gioco» (94).
Allo stesso tempo, tuttavia, è necessario menzionare come l’emanazione del Protocollo non abbia apportato significative modifiche al rapporto tra le fonti di regolazione del lavoro agile così come delineato dalla Legge n. 81/2017, e descritto nel precedente paragrafo (95). In primo luogo, infatti, le Parti firmatarie ribadiscono come l’accesso al lavoro agile resti subordinato alla sottoscrizione dell’accordo individuale previsto dall’articolo 19 della Legge n. 81/2017, i cui contenuti dovranno adeguarsi a quanto previsto dalla contrattazione collettiva di riferimento e dalla disciplina legislativa applicabile: in aggiunta a ciò, esso dovrà essere stipulato in coerenza con le linee di indirizzo contenute all’interno del Protocollo, che aggiungono alcuni contenuti necessari rispetto a quanto previsto dalla disciplina
Organizzativi, 2022, n. 1, p. 131. Gli AA. fanno riferimento in particolare alle Linee Guida emanate dalla CGIL (settembre 2020), dalla FIM-CISL (maggio 2020) e dalla UIL (luglio 2020).
(93) Così X. XXXXXXX, op. cit., p. 471.
(94) P. ALBI, Introduzione: il Protocollo nazionale sul lavoro agile tra dialogo sociale e superamento della stagione pandemica, in LDE, 2022, n. 1, p. 5
(95) Così X. XXXXXXX, Il protocollo sul lavoro agile nel settore privato e “gli altri”, in LDE, 2022, n. 1, p. 2-3, il quale individua il rafforzamento dell’autonomia individuale come uno degli elementi caratterizzanti il Protocollo del 7 dicembre 2021. Rilevante anche l’osservazione di X. XXXXXXX, op. cit., p. 469, che sottolinea come, in ogni caso, il Protocollo non avrebbe potuto apportare alcuna modifica all’impianto legislativo, non avendo la natura di fonte legale.
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legislativa (art. 2) (96). Si nota, inoltre, come il Protocollo rinvii solo raramente alla regolazione di determinati aspetti della disciplina del lavoro agile attraverso la contrattazione collettiva, come ad esempio le modalità applicative del d.lgs. n. 81/2008 in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 6, comma 4).
Sulla base degli elementi appena descritti, alcuni commentatori hanno affermato come il Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile rappresenti «una tappa importante nel nostro sistema delle relazioni industriali» considerando come questa sia «la prima volta che in un accordo interconfederale viene dedicato un articolo apposito a sancire la piena sovranità dell’autonomia negoziale individuale su un aspetto del rapporto di lavoro» e definendo il richiamo alla contrattazione collettiva come meramente «rituale» (97). Altri, invece, ritengono come il riconoscimento del fondamentale ruolo della contrattazione collettiva nella regolazione del lavoro agile contribuisca ad affermare la collocazione dell’accordo individuale in un contesto new normal, ossia «more solito, subordinata alla fonte collettiva, salvo per ambiti e professionalità nei quali la contrattazione o non c’è o non ha presa giuridica» (98). Ciò che appare certo, tuttavia, è che l’emanazione del Protocollo conferma l’esistenza di un travagliato e complesso rapporto tra autonomia individuale e collettiva nella regolazione del lavoro agile, pressoché inedita all’interno dell’ordinamento giuslavoristico italiano.
3.3. Il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, il Decreto-Legge n. 56 del 2021, e le Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche.
In seguito alla descrizione dei contenuti del Protocollo relativo al lavoro agile nel settore privato, appare infine necessario menzionare anche gli sviluppi relativi alla regolazione dell’istituto nel settore del pubblico impiego (99).
(96) Tra i quali rientrano le disposizioni in materia di strumenti di lavoro, l’attività formativa eventualmente necessaria per lo svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile, nonché le forme e le modalità di esercizio dei diritti sindacali.
(97) X. XXXXXX, Un protocollo poco innovativo ma non inutile, cit., p. 7. Simili osservazioni sono espresse da X. X. XXXXXXX, A. XXXXXX, Il lavoro agile: criticità emergenti e proposte per una riforma, LLI, 2021, Vol. 7, n. 2, p. 55, le quali tuttavia valutano negativamente tale scelta, affermando come l’accordo individuale di lavoro agile sia “strumento inadeguato” allo scopo di creare un’organizzazione del lavoro “sì agile, ma rispettosa della dignità di chi lavora”.
(98) X. XXXXXXX, Il protocollo sul lavoro agile nel settore privato e “gli altri”, cit., p. 3.
(99) È da premettere, in questo senso, come la L. n. 81/2017 sia applicabile anche ai lavoratori della Pubblica Amministrazione, ai sensi delle previsioni contenute all’art. 18, comma 3, seppure soltanto per i lavoratori attivi presso le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, secondo le direttive ministeriali emanate anche ai sensi dell'art. 14, L. n. 124/2015, e “fatta salva l'applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti”. Per
Il processo di innovazione del lavoro agile all’interno della Pubblica Amministrazione ha origine precedente all’emanazione del Protocollo del 7 dicembre 2021: risale infatti al marzo 2021 la pubblicazione del “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”, siglato dal Ministero della Pubblica Amministrazione e dai Segretari Generali di CGIL, CISL e UIL, il quale delinea alcune delle linee di indirizzo per l’utilizzo dei fondi NextGeneration EU da parte del Governo italiano, al fine di attuare le riforme previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Oggetto di particolare attenzione del documento sono proprio le riforme connesse alle “nuove relazioni di lavoro” all’interno della Pubblica Amministrazione, le quali, nell’intenzione dei sottoscrittori, dovrebbero essere oggetto di una «nuova stagione di relazioni sindacali che punti sul confronto con le organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori»: in connessione a tale indicazione, il patto contiene linee guida per i rinnovi della contrattazione collettiva nazionale della Pubblica Amministrazione, relativi al triennio 2019-2021.
Tra le disposizioni relative agli elementi retributivi, all’importanza della formazione e della riqualificazione professionale del personale, e all’adeguamento di sistemi di partecipazione organizzativa, le parti individuano come fondamentale contenuto della contrattazione nazionale anche la regolazione del lavoro agile nel contesto post-emergenziale; in particolare viene sancito come, durante la successiva stagione di rinnovi, debbano essere negoziati collettivamente alcuni elementi fondamentali connessi alla «tutela dei diritti sindacali, delle relazioni sindacali e del rapporto di lavoro», quali il diritto alla disconnessione, le fasce di contattabilità, il diritto alla formazione specifica, il diritto alla protezione dei dati personali, il regime dei permessi e delle assenze e «ogni altro istituto del rapporto di lavoro e previsione contrattuale» (p. 6).
Nel periodo immediatamente successivo alla pubblicazione del Patto, il ruolo centrale della contrattazione collettiva nella regolazione del lavoro agile nella Pubblica Amministrazione è stato altresì sottolineato da parte del legislatore: il decreto-Legge n. 56/2021, modificando l’art. 263, comma 1, del decreto-Legge n. 34/2020 (convertito con modificazioni dalla Legge n. 77/2020) ha infatti disposto una proroga della disciplina relativa al lavoro agile “semplificato” nella PA «fino alla definizione della disciplina del lavoro agile da parte dei contratti collettivi, ove previsti». In questo contesto, deve essere notato come tale disposizione rappresenti il primo ed unico rinvio legislativo esplicito alla contrattazione collettiva per quanto riguarda la regolazione del lavoro agile all’interno dell’ordinamento italiano, il che differenzia notevolmente la disciplina dell’istituto rispetto a quanto previsto nel settore privato.
una breve trattazione del lavoro agile nella Pubblica Amministrazione, seppure focalizzata sul tema della formazione, si veda il capitolo V della presente ricerca.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
Infine, l’uniformità di regolazione del lavoro agile all’interno della tornata contrattuale del 2022 è stata altresì garantita da un ulteriore documento di provenienza governativa, ossia le Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche, emesse dal Ministero della Pubblica Amministrazione il 30 novembre 2021 ed approvate il 16 dicembre 2021 dalla Conferenza Stato- Regioni. La primaria funzione di tali Linee Guida, infatti, era quella di «fornire indicazioni per la definizione della disciplina», «nelle more della regolamentazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al triennio 2019-21» ( 100 ) relativamente ad un vasto numero di materie connesse alla regolazione del lavoro agile, come ad esempio le modalità di accesso, il ruolo dell’accordo individuale, l’articolazione oraria della prestazione, il diritto alla disconnessione, tutela della privacy, formazione, uso della strumentazione tecnologica: tali indicazioni sono state poi ampiamente riportate all’interno dei più recenti rinnovi della contrattazione nazionale del pubblico impiego, avvenuti tra il 2022 e il 2023.
Specularmente a quanto avvenuto per il settore privato, anche all’interno della Pubblica Amministrazione il lavoro agile è stato dunque oggetto dell’azione congiunta di Governo e delle parti sociali al fine di ribadire l’importanza del ruolo della contrattazione collettiva per quanto concerne la sua regolazione, pur nell’assenza di modifiche al testo legislativo che in entrambi i casi regola l’istituto.
4. Domanda di ricerca, metodologia e piano di lavoro.
Le considerazioni appena espresse, dunque, sembrano giustificare un’indagine del ruolo della contrattazione collettiva e delle relazioni industriali nella definizione dei modelli organizzativi di lavoro agile nel settore pubblico e privato in seguito all’emanazione della Legge n. 81/2017.
In particolare, appare utile indagare sulle modalità con cui le parti sociali hanno ritenuto di gestire la transizione da un modello di lavoro subordinato ancora ispirato alle logiche del Novecento industriale a una subordinazione “de-standardizzata” e nel contesto della quale il requisito dell’etero-direzione risulta, secondo molti, quantomeno affievolito.
A tal fine, non si può prescindere dall’analisi dei testi dei contratti collettivi, unica fonte che può consentire di verificare a quali condizioni possano ritenersi condivisibili le affermazioni di quella dottrina giuslavoristica che individua, appunto, nella contrattazione collettiva, lo strumento più idoneo al fine di regolare il lavoro agile in conformità alle finalità di conciliazione vita-lavoro e di incremento della competitività previste dalla Legge n. 81/2017, equilibrando la valorizzazione dell’autonomia individuale per quanto concerne la conformazione spazio-
(100) Le menzionate Linee Guida saranno oggetto di specifico approfondimento all’interno del
capitolo V. della presente ricerca.
temporale di tale prestazione di lavoro e i vincoli che l’ordinamento giuslavoristico
tuttora pone in tal senso a tutela del lavoratore subordinato (101).
Allo scopo di meglio indirizzare l’indagine che ci si propone di svolgere, la ricerca presenta un’analisi trasversale delle tematiche connesse al lavoro agile che appaiono da una parte maggiormente connesse alla dimensione “organizzativa” dell’istituto, in quanto più significativamente impattati dalla sua implementazione all’interno dei singoli contesti produttivi, e dall’altra aventi la potenzialità di mettere in discussione schemi e paradigmi del diritto del lavoro ritenuti pressoché inscalfibili fino a pochi anni fa. Le tematiche oggetto di indagine sono il luogo di lavoro, il tempo di lavoro, l’esercizio dei poteri datoriali, la formazione, il welfare. Tale prospettiva è infatti ritenuta funzionale al fine di valorizzare al meglio la letteratura consultata, attinente in massima parte all’ambito scientifico del diritto del lavoro e delle relazioni industriali, ma anche, seppur limitatamente, della sociologia dell’organizzazione; allo stesso tempo, è stato ritenuto come un simile approccio potesse evidenziare fruttuosamente non soltanto il rapporto tra legislazione e fonte collettiva, ma anche tra i diversi livelli della contrattazione (nazionale, territoriale, aziendale).
Infine, la scelta delle tematiche da approfondire in questo scritto è stata altresì guidata dallo studio del Protocollo sul lavoro in modalità agile siglato dal Ministero del Lavoro e dalle principali parti sociali italiane il 7 dicembre 2021. Si è cercato di comprendere, infatti, quali elementi attinenti alla menzionata modalità di lavoro avessero maggiormente colto l’attenzione delle parti firmatarie, e quindi su cui fosse più ragionevole aspettarsi un più avanzato sviluppo della contrattazione collettiva di primo e secondo livello.
L’uso delle fonti collettive per gli scopi indicati avverrà attraverso un’analisi diacronica ed intersettoriale di contratti collettivi nazionali di lavoro, contratti territoriali e accordi aziendali regolanti tale istituto, raccolti e consultati durante il lavoro quotidiano in internship presso la Fondazione ADAPT portato avanti a cavallo tra settembre 2020 e settembre 2023.
L’analisi della regolazione collettiva del lavoro agile nel settore pubblico sarà prevalentemente concentrata sull’analisi della contrattazione collettiva di livello nazionale e sul contenuto delle Linee Guida ministeriali emesse nel corso del periodo considerato, la cui stesura ha visto la partecipazione delle parti sindacali. Per quanto concerne il settore privato, invece, la prospettiva settoriale è stata ritenuta la più adatta al fine di indagare le declinazioni dei modelli contrattual- collettivi di lavoro agile attualmente presenti all’interno dei contesti produttivi
(101) Si veda, in questo senso, il par. 2 del presente capitolo.
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italiani: tra i diversi obiettivi di questo scritto, infatti, è inclusa la verifica del livello di coordinamento sussistente tra le clausole dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro e le concrete modalità con cui la regolazione dello strumento è declinata all’interno degli accordi aziendali del settore corrispondente. Si ipotizza, infatti, che il diverso grado di dettaglio con cui il tema del lavoro agile è trattato all’interno dei CCNL regolanti i diversi settori merceologici dell’economia italiana, infatti, abbia un significativo effetto sulle clausole contenute all’interno della contrattazione di secondo livello stipulata nelle aziende del medesimo settore, influenzandone la declinazione dei singoli modelli organizzativi.
Si specifica, invece, che l’analisi della contrattazione collettiva di livello territoriale, afferente a specifici ambiti geografici all’interno del territorio italiano, occuperà uno spazio molto ridotto all’interno della presente analisi. Questo, sia in ragione dell’esiguo numero di contratti territoriali che è stato possibile reperire durante l’attività di raccolta documentale finalizzata alla stesura di questo scritto, che per la dichiarata volontà di indagare il lavoro agile come modello organizzativo, dotato di caratteristiche potenzialmente adattabili ai singoli contesti produttivi all’interno del paese. La contrattazione collettiva territoriale, dunque, sarà unicamente utilizzata al fine di indagare il tema del luogo di lavoro “agile” (capitolo II) in relazione al quale sono presenti alcune best practices.
Inoltre, per ogni settore considerato saranno analizzate non soltanto le previsioni della vigente contrattazione nazionale in materia di lavoro agile, ma altresì, in prospettiva diacronica, i rinnovi contrattuali che dal 2017 in poi hanno regolato tale istituto, e la loro più o meno significativa influenza sulla contrattazione collettiva aziendale afferente al medesimo periodo.
Infine, si sottolinea inoltre come all’interno del campione oggetto di analisi saranno compresi unicamente i contratti collettivi stipulati dalle federazioni sindacali aderenti alle tre confederazioni ritenute comparativamente più rappresentative in base agli indici elaborati dalla giurisprudenza maggioritaria e dalla prassi amministrativa (ossia CGIL, CISL e UIL), aventi l’ambizione di introdurre il lavoro agile come misura strutturale di organizzazione del lavoro all’interno dei settori e delle aziende considerate: non è stata invece inclusa all’interno dell’analisi la trattazione del lavoro agile come misura di contrasto al contagio da COVID-19 all’interno dei protocolli aziendali stipulati durante la fase di emergenza sanitaria (102).
Volgendo ora ad una descrizione più dettagliata dei seguenti capitoli che compongono la presente ricerca, si sottolinea come gli stessi siano strutturati
(102) Per un’analisi dei protocolli anti-contagio stipulati durante la fase di emergenza sanitaria, sia a livello nazionale che settoriale, si rimanda a ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2020). VII Rapporto ADAPT, ADAPT University Press, 2021, pp. 195 – 234.
secondo uno schema quanto più possibile omogeneo. Ogni capitolo, infatti, consta di un’introduzione utile a fornire un inquadramento generale della tematica oggetto di esame, grazie a una sintetica ricognizione della principale letteratura sociologica e giuslavoristica in materia, seguita, nei paragrafi successivi, da una lettura della medesima tematica secondo la metodologia del diritto delle relazioni industriali, ossia da un’indagine della sua regolazione da parte della contrattazione collettiva, in questa sede intesa come principale strumento di raccordo tra teoria dell’organizzazione del lavoro e quadro normativo di riferimento.
Per alcuni degli ambiti oggetto di analisi, è stato scelto di individuare uno specifico settore merceologico all’interno del quale lo stesso viene regolato con un più significativo grado di originalità e/o di dettaglio, al fine di evidenziare al meglio la sussistenza o meno di un coordinamento tra i diversi livelli contrattuali; in altri capitoli, invece, l’indagine delle tematiche pertinenti è stata effettuata attraverso l’analisi di contrattazione collettiva appartenente a più settori, in modo tale da evidenziare eventuali somiglianze o differenze nell’approccio alla stessa.
In relazione alle caratteristiche da ultimo evidenziate, si segnala infine come i capitoli presentino una lunghezza e una struttura differente in dipendenza delle modalità con le quali il tema che ne costituisce oggetto è regolato dalla contrattazione collettiva in materia di lavoro agile, oppure dalla presenza di diverse fonti che offrono potenzialità aggiuntive al fine dell’esplorazione del tema stesso.
Il capitolo II della presente analisi sarà concentrato sul tema del luogo di lavoro. In primo luogo, grazie all’ausilio della letteratura di settore sul punto, saranno indagate le conseguenze della flessibilità spaziale connaturata al modello dello smart working dal punto di vista organizzativo, come ad esempio quelle relative alla conformazione degli spazi aziendali all’interno dei quali tali lavoratori svolgono occasionalmente la propria prestazione; la prospettiva giuslavoristica e di diritto delle relazioni industriali, invece, avrà ad oggetto l’incidenza della de- spazializzazione del lavoro sul concetto di subordinazione e sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori agili.
In ultimo, si proporrà una panoramica relativa ai potenziali impatti della flessibilità spaziale della prestazione agile sulla geografia del paese, indagando, seppur con un limitato livello di approfondimento, fenomeni quali il south working e la diffusione di spazi di co-working.
Il capitolo III, invece, sarà concentrato sul tempo di lavoro. In seguito a una breve introduzione relativa all’evoluzione storica di tale concetto, strettamente legata alle trasformazioni dei modelli produttivi intercorse dallo sviluppo dell’industrializzazione in poi, la tematica dell’articolazione temporale del lavoro agile sarà indagata grazie alla ricognizione dei modelli organizzativi presenti
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all’interno delle fonti collettive, e al loro rapporto con le disposizioni contenute all’interno della Legge n. 81/2017 e del d.lgs. n. 66/2003 comprese quelle in materia di diritto alla disconnessione. In chiusura del capitolo, sarà infine proposto un approfondimento sulla contrattazione collettiva del settore chimico-farmaceutico, connotata (quantomeno in potenza) da spiccati elementi innovativi per quanto riguarda la dimensione temporale del lavoro agile.
Il capitolo IV avrà ad oggetto le modalità di esercizio dei poteri datoriali nel contesto del modello organizzativo “smart working”. In primo luogo, infatti, sarà proposta una riflessione relativa all’impatto della valorizzazione del rapporto di fiducia e della responsabilizzazione dei singoli lavoratori tra le parti coinvolte nel rapporto di lavoro agile sul concetto di subordinazione giuridica, e in particolare sulle modalità di esercizio del potere direttivo da parte del datore di lavoro. Come ulteriore declinazione di tale tematica, si fornirà un approfondimento sul controllo esercitabile sui lavoratori agili sia tramite metodi di misurazione e valutazione della performance che tramite le tecnologie digitali di nuova generazione, nonché sull’impatto di queste ultime sulla tutela dei dati personali dei lavoratori: tale approfondimento si sostanzierà in un’analisi delle principali disposizioni legislative, casistiche giurisprudenziali e prassi amministrative in materia, ma anche delle relative disposizioni all’interno del Protocollo sul lavoro in modalità agile del
7 dicembre 2021 e della contrattazione collettiva del settore delle telecomunicazioni, la quale si dimostra particolarmente attenta alla tematica.
Il capitolo V, invece, sarà concentrato sul tema della formazione dei lavoratori agili. In seguito a una sintetica valutazione dell’impatto della diffusione di tale modello organizzativo sulla domanda di professionalità e competenze hard e soft all’interno del mercato del lavoro contemporaneo, si approfondirà la tematica delle iniziative di formazione dirette ai lavoratori agili del settore privato disegnate dalle parti sociali attive nei diversi settori produttivi italiani, in particolare tramite lo strumento del Fondo Nuove Competenze, del Protocollo del 7 dicembre 2021 e della contrattazione aziendale specificamente diretta all’integrazione delle disposizioni della Legge n. 81/2017.
Il principale tema oggetto di analisi all’interno del capitolo sarà tuttavia costituito dalle iniziative di formazione dirette ai lavoratori del pubblico impiego, funzionali alla realizzazione di quell’innovazione organizzativa della Pubblica Amministrazione che ricopre un’importanza centrale all’interno delle riforme previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e di cui la diffusione strutturale del lavoro agile costituisce elemento fondamentale. L’indagine in oggetto avverrà sia attraverso l’analisi di fonti collettive, quali i rinnovi del CCNL del comparto Funzioni Centrali, Funzioni Locali, Sanità e Istruzione e Ricerca del
triennio 2019-2021, che di natura amministrativa, quali, ad esempio, i Piani integrati di attività e organizzazione (PIAO).
Infine, il capitolo VI della presente ricerca sarà volto a indagare il rapporto tra welfare e lavoro agile, in particolare verificando a quali condizioni tale strumento possa essere considerato come misura per favorire la work-life balance, nonché l’inclusione nel mondo del lavoro di categorie tradizionalmente ostacolate nell’ingresso allo stesso, quali ad esempio le donne, specie se con carichi familiari, o i lavoratori disabili e/o c.d. “fragili”.
La scelta di includere questo tema all’interno della presente ricerca è dovuta in primo luogo alla rinnovata attenzione dedicata allo stesso da parte della normativa emergenziale relativa al lavoro agile emanata per fare fronte alla pandemia da COVID-19, di cui sarà proposta un’analisi delle principali disposizioni così come interpretate dalla giurisprudenza formatasi sul punto, e secondariamente in ragione dalle istanze in tal senso provenienti dal livello sovranazionale (Direttiva Europea
n. 1158/2019), le quali saranno indagate in connessione con la loro trasposizione al livello nazionale.
In ultimo, sarà proposta una panoramica intersettoriale relativa alle determinazioni maggiormente innovative contenute all’interno della contrattazione collettiva italiana di lavoro agile in tema welfare e conciliazione vita-lavoro, così come influenzata dalle disposizioni del Protocollo ministeriale del 7 dicembre 2021.
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IL LUOGO DI LAVORO
Sommario: 1. L’importanza degli spazi di lavoro nell’organizzazione e nella regolazione delle “new ways of working”. - 2. Il luogo di lavoro “agile” nel post-emergenza. - 2.1. La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. - 3. Scenari futuri per la geografia del paese: co-working e south working.
1. L’importanza degli spazi di lavoro nell’organizzazione e nella regolazione delle “new ways of working”
La connessione tra processi organizzativi e configurazione del luogo all’interno del quale si svolge la prestazione di lavoro è un concetto che ha negli anni interessato ampia letteratura manageriale, e che acquisisce oggi nuova importanza grazie alla crescente diffusione di modalità flessibili di organizzazione del lavoro. Sottolineando le differenze tra i modelli organizzativi che hanno caratterizzato il secolo scorso, e le new ways of working che hanno trovato spazio negli ultimi decenni, è infatti possibile anche fare riferimento alla conformazione degli ambienti di lavoro, e, in particolare, degli uffici, in cui la maggior parte della popolazione svolgeva e svolge la propria attività lavorativa.
Durante gli anni ’70, infatti, la maggior parte degli uffici assumeva le sembianze di una vera e propria “fabbrica” (103), essendo caratterizzati da grandi spazi all’interno dei quali trovavano spazio file e file di identiche postazioni di lavoro destinati ai dipendenti, e da spazi privati più ampi e maggiormente confortevoli per i capiufficio: in ragione di questi elementi, è stato argomentato come la stessa configurazione spaziale dell’ufficio riflettesse la rigidità delle procedure e il controllo gerarchico che caratterizzava il rapporto tra dirigenti, responsabili e lavoratori (104).
Allo stesso tempo, è proprio in quel periodo che, grazie ai primi sviluppi della tecnologia informatica, emergono le prime sperimentazioni aziendali relative a un nuovo modo di concepire l’ambiente di lavoro. È possibile citare, in questo senso, il progetto portato avanti dall’azienda informatica IBM, all’interno della quale fu sviluppato un progetto di riorganizzazione degli spazi di lavoro trasferendo un gruppo di ingegneri in un nuovo ufficio open space privo di postazioni di lavoro “fisse”, il quale permetteva ai dipendenti di spostarsi liberamente in ogni momento della giornata, scegliendo il luogo dal quale svolgere la propria prestazione
(103) X. XXXXXX, Uffici virtuali e uffici reali, Working Paper Fondazione Irso, 2018, p. 1.
(104) J. XXX XXXX, The origins of new ways of working: office concepts in the 1970s, Facilities, 2011, Vol. 29, n. 9/10, pp. 362-364.
lavorativa. L’obiettivo del progetto aziendale era quello di migliorare gli scambi, il confronto e la comunicazione tra i lavoratori (105).
L’esperienza appena citata, simbolo delle istanze dell’epoca volte a creare un maggiore grado di collaborazione ed egualitarismo all’interno dei contesti professionali (106), dimostra come la riconfigurazione degli spazi di lavoro sia da sempre stata considerata come uno dei metodi più idonei per favorire da una parte l’innovazione organizzativa (107), e, dall’altra, la trasformazione dell’ambiente di lavoro, inteso in senso ampio come «il complesso delle condizioni esterne, non solo materiali ma anche sociali, culturali nelle quali si svolge il lavoro, che è anzitutto […] uno spazio umano, e quindi, relazionale» (108).
Tale affermazione risulta applicabile anche agli attuali contesti di lavoro. È da notare, infatti, come diversi autori che si sono confrontati con le cosiddette new ways of working abbiano argomentato come la loro corretta implementazione all’interno delle organizzazioni produttive debbano tenere in considerazione tre elementi fondamentali, identificati con la dimensione tecnologica, relativa alle modalità di uso degli strumenti informatici (“Bytes”), la dimensione personale, concernente la relazione tra dirigenza e dipendenti e il modo in cui il lavoratore si approccia allo svolgimento della propria prestazione lavorativa (“Behaviours”) ma anche la dimensione fisica, che ricomprende tutti gli aspetti connessi, appunto, all’ambiente di lavoro (“Bricks”) (109).
Relativamente a quest’ultimo fattore, è necessario considerare come la flessibilità connessa alle new ways of working implica che il tempo trascorso all’interno dei locali aziendali da parte dei lavoratori che ne usufruiscono sia, in media, di gran lunga inferiore a quello di coloro che lavorano con modalità “tradizionali”. Risulta infatti particolarmente applicabile ai cosiddetti lavoratori smart quell’intuizione secondo la quale la maggior parte della popolazione attiva non svolge oggi la propria prestazione unicamente all’interno di uno spazio fisico di lavoro, il quale risulta ormai, anzi, “rarefatto” ( 110 ), bensì anche in uno spazio virtuale e di
(105) Ivi, pp. 358-359
(106) Ivi, p. 363.
(107) Il “valore dello spazio quale concetto utile a definire il luogo dove si svolge l’organizzazione del lavoro” è stato recentemente riaffermato da X. XXXXXXXX, op. cit., p. 7.
( 108 ) X. XXXXXX, Gli spazi di lavoro nelle città tra innovazioni tecnologiche e “regressioni”
interpretative, in A. XXXXXXX (a cura di), Il lavoro e i suoi luoghi, Vita e Pensiero, 2018, p. 34
(109) A. XX XXX, X. XXXXX, R. W. XXXXX, Assessing the new way of working: bricks, bytes and behaviour, Pacis, 2014, Paper 7, p. 1. Per una panoramica complessiva relativa al cosiddetto “modello delle 3B” si veda X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, The Smarter Working Manifesto: When, Where and How Do You Work Best? 2014, Sunmakers, Oxford.
(110) Di “rarefazione” del luogo di lavoro di lavoro tradizionale parla A. XXXXXXXX, Diritti sindacali e nuove modalità di lavoro a distanza: problemi e prospettive, in M. XXXXXX, X. DEL XXXXX, X.
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dimensioni potenzialmente illimitate, la cosiddetta “infosfera” (111), nel quale sono collocati buona parte degli ormai “smaterializzati” processi produttivi: c’è chi ha suggestivamente sottolineato come, oggi, «il significato più immediato dell’espressione “spazi di lavoro” si riferisce molto probabilmente al modo in cui sono raggruppate tra loro le finestre sul desktop del computer» (112).
In un simile contesto, la qualità del tempo trascorso all’interno dei locali aziendali acquisisce un’importanza fondamentale, così come, in parallelo, il precedentemente menzionato elemento dei Bricks: questo, soprattutto, in considerazione della circostanza per cui numerosa letteratura relativa all’ambito del workplace design affermi come la conformazione dei locali aziendali abbia significativi effetti sui comportamenti e le attitudini dei lavoratori, tra cui rientrano il loro livello di creatività, le modalità di interazioni con i colleghi, il senso di appartenenza aziendale (113). Allo stesso tempo, però, tale consapevolezza non appare essere particolarmente diffusa: una ricerca condotta su un campione di più di 100 aziende italiane che aveva recentemente introdotto modelli organizzativi di smart working dimostra come la struttura della maggior parte degli spazi di lavoro fosse inadeguata affinché l’azienda e i lavoratori beneficiassero dell’intero potenziale di tale modalità di esecuzione del lavoro (114). L’intuizione secondo la quale il lavoro “negli uffici” e il lavoro “a casa” possa e debba diventare «un sistema unico, un seamless flow» - sul modello di quelle grandi aziende e studi professionali che già da tempo, principalmente per ragioni di riduzione dei costi, hanno abbandonato il concetto di “scrivania fissa” sostituendola con open space forniti di postazioni neutre e “mobili” ed apposite sale riunioni (115) - sembra dunque ad oggi essere rimasta, almeno nel contesto nazionale, largamente inattuata.
Chiaramente, la progressiva virtualizzazione e flessibilizzazione dei luoghi di lavoro, dovuta all’innovazione tecnologica, ha dei significativi effetti anche dal punto di vista giuslavoristico. C’è chi ha sottolineato, infatti, come «il diritto del
XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX (a cura di) Lavoro agile e smart working nella società post- pandemica: profili giuslavoristici e di relazioni industriali, 2022, ADAPT University Press, p. 212.
(111) Definizione tratta da L. FLORIDI, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il
mondo, Xxxxxxxxx Xxxxxxx Editore, 2017
( 112 ) X. XXXXXX, Gli spazi di lavoro nelle città tra innovazioni tecnologiche e “regressioni”
interpretative, cit., 38.
(113) X. XXXXXXX, X. XXXXXX, It's more than a desk: Working smarter through leveraged office design, California Management Review, 2007, vol. 49, p. 82.
(114) E. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Smart work: supporting employees’ flexibility through ICT, HR practices and office layout, Evidence-Based HRM: a Global Forum for Empirical Scholarship, 2016 Vol. 4, No. 3, p. 13.
(115) X. XXXXXX, Le condizioni organizzative e professionali dello smart working dopo l’emergenza:
progettare il lavoro ubiquo fatto di ruoli aperti e di professioni a larga banda, cit., p. 150.
lavoro, nel corso della sua ormai lunga evoluzione, si è connotato per la sua appartenenza a un luogo e, in questo senso, ha definito le coordinate del rapporto di lavoro» (116): si fa riferimento alla circostanza per cui la normativa relativa alla sicurezza sul lavoro, la disciplina relativa ai licenziamenti, nonché le disposizioni dello Statuto dei lavoratori in materia di relazioni sindacali aziendali siano tutte strettamente connesse al concetto di “luogo di lavoro” (117).
Per quanto concerne il tema di questo scritto, risulta particolarmente importante sottolineare come, nell’ordinamento italiano, il potere di scelta e conformazione del luogo dal quale il lavoratore svolge la prestazione rappresenti una delle declinazioni del potere direttivo attribuite al datore di lavoro nel contesto della fattispecie del lavoro subordinato (118). Un implicito riferimento al luogo di lavoro si ritrova, secondo alcune ricostruzioni, proprio all’interno dell’art. 2094 del Codice Civile, nella parte in cui individua il prestatore di lavoro subordinato in colui che si obbliga a “collaborare nell’impresa” ( 119 ), ossia, a subire «l’incorporazione in una organizzazione produttiva sulla quale […] non ha alcuna possibilità di controllo» (120).
Come sottolineato da molti, tuttavia, tali normative sono state coniate durante un’epoca in cui l’essenza del lavoro subordinato era ravvisata nella permanenza e nella messa a disposizione delle energie del lavoratore all’interno di un luogo “estraneo” allo stesso (121), ossia quella «grande fabbrica» che Xxxxxxx X’Xxxxxx identifica come uno dei tre «pilastri» del diritto del lavoro del Novecento (122).
(116) P. ALBI, Il lavoro agile tra emergenza e transizione, MGL, 2020, n. 4, p. 778.
(117) P. ALBI, Il lavoro agile tra emergenza e transizione, cit., p. 778-779.
( 118 ) X. XXXXXX, Gli spazi di lavoro nelle città tra innovazioni tecnologiche e “regressioni” interpretative, cit., p. 844, ma anche X. XXXXXXX, I tempi e i luoghi del lavoro. L’uniformità non si addice al post-fordismo, WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT, 2019, n. 404, p. 2.
(119) M. D’ONGHIA, Lavoro agile e luogo del lavoro: cosa ci ha insegnato la pandemia?, LDE, 2022, n. 1, p. 3
(120) A. XXXXXXX, Per una geografia giuridica del lavoro, in A. XXXXXXX (a cura di), Il lavoro e i suoi luoghi, Vita e Pensiero, 2018, p. 11. L’A. avvalora la sua argomentazione prendendo come esempio l’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, il quale, prima della modifica avvenuta con il DL n. 87/2018 (c.d. “Decreto Dignità”), individuava l’organizzazione, da parte del committente, dei tempi e dei luoghi di lavoro in cui il collaboratore coordinato e continuativo svolgeva la propria prestazione, come fattore che imponeva l’applicazione della disciplina della subordinazione al rapporto di lavoro in oggetto.
(121) X. XXXXXXX, op. cit. p.2.
(122) M. X’XXXXXX, Diritto del lavoro di fine secolo: una crisi di identità?, cit., pp. 314-315.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
È evidente come, in un contesto in cui il lavoro è al contrario definito come
«ubiquo» (123), sempre meno «luogo» e sempre più «processo» (124), la puntuale individuazione, da parte del datore di lavoro, dello spazio all’interno del quale il lavoratore deve svolgere la propria prestazione possa invece gradualmente perdere la sua importanza per quanto riguarda la sua qualificazione come “lavoro subordinato”. Già le pronunce giurisprudenziali relative ai più risalenti esempi, all’interno dell’ordinamento italiano, di lavoro svolto in luoghi differenti rispetto ai locali aziendali (come il lavoro a domicilio, disciplinato dalla Legge n. 877/1973), indicano infatti come la subordinazione possa essere comunque ravvisata qualora, pur venendo meno l’integrazione del lavoratore “decentrato” nell’organizzazione dell’impresa, emerga tuttavia con nettezza il suo inserimento nel “ciclo produttivo” della stessa; è stato argomentato come tale fattispecie, definita come
«subordinazione attenuata» (125), sia altresì analogicamente applicabile a modalità di esecuzione della prestazione maggiormente diffuse nel contesto odierno, come ad esempio il lavoro agile (126).
Ciò nonostante, l’elemento della flessibilità spaziale connaturata al lavoro agile, così come regolato dalla legislazione attualmente vigente e dal Protocollo del 7 dicembre 2021, presenta alcune peculiarità che differenziano significativamente tale modalità di esecuzione della prestazione dal lavoro subordinato “tradizionale”, anche per quanto concerne i poteri e i doveri del datore di lavoro; le stesse necessitano dunque di una trattazione più specifica, la quale sarà sviluppata all’interno del seguente paragrafo.
2. Il luogo di lavoro “agile” nel post-emergenza.
L’articolo 18, comma 1, della Legge n. 81/2017 prevede che la prestazione di lavoro agile possa essere svolta «in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno» «senza una postazione fissa» e «precisi vincoli di luogo».
(123) La definizione è tratta da X. XXXXXX, Le condizioni organizzative e professionali dello smart working dopo l’emergenza: progettare il lavoro ubiquo fatto di ruoli aperti e di professioni a larga banda, cit., p. 143.
(124) I. PAIS, Distanza e reti, in A. XXXXXXX (a cura di), Il lavoro e i suoi luoghi, Vita e Pensiero, 2018, pp. 154-155.
(125) Tra le ultime sentenze in tema di subordinazione attenuata, applicabili in massima parte al rapporto di lavoro dei dirigenti, si vedano, a titolo esemplificativo, Xxxx. 13 febbraio 2020, n. 3640, Cass., 29 ottobre 2020, n. 23927, Cass. 19 agosto 2021, n. 23143. Critico nei confronti di tale orientamento è X. XXXXXXXX, Sull’inidoneità del tempo nella qualificazione dei rapporti di lavoro, in LLI, 2022, n. 1, p. 32, il quale definisce la fattispecie della subordinazione attenuata come “priva di ogni base testuale e sistematica”.
(126) X. XXXXX, Il lavoro a distanza di terza generazione: la nuova disciplina del “lavoro agile”, cit.,
p. 637. Per un ulteriore approfondimento sulla declinazione del concetto di subordinazione nel contesto del lavoro agile, si veda il capitolo IV, par. 1 del presente scritto.
Tutti e tre gli elementi contenuti all’interno della definizione riportata contribuiscono a costruire l’immagine di una prestazione di lavoro effettivamente svolgibile ovunque, grazie allo sviluppo della c.d. portable technology e delle reti wireless; la flessibilità spaziale della prestazione di lavoro agile appare inoltre segnalata sia dalla mancata inclusione del luogo di lavoro tra i contenuti fondamentali dell’accordo individuale di lavoro agile ( 127 ) che dall’assenza, all’interno della legislazione, di un quantitativo prestabilito di ore che devono essere necessariamente essere trascorse all’interno o all’esterno dei locali aziendali, scelta rimessa alla determinazione delle parti del rapporto (128).
All’interno della definizione di lavoro agile qui segnalata, appare meritevole di una riflessione specifica la locuzione «senza una postazione fissa». Parte della dottrina giuslavoristica ha infatti argomentato come la stessa sia stata introdotta dal legislatore del 2017, riportando alcune formulazioni contenute all’interno della contrattazione collettiva precedente, con l’intento di differenziare la fattispecie del lavoro agile da quella, più risalente, del telelavoro, e conseguentemente tentare di eludere le disposizioni concernenti la tutela della salute e della sicurezza del lavoratore “a distanza” previste dal d.lgs. n. 81/2008 (129). Tuttavia, è allo stesso tempo necessario considerare come né all’interno dell’Accordo Quadro Europeo del 2002 né all’interno della sua trasposizione italiana avvenuta attraverso l’Accordo Interconfederale del 2004 siano presenti riferimenti alla necessità che la prestazione da remoto sia svolta da una postazione fissa: la “fissità” del luogo dal quale svolgere il telelavoro appare essere principalmente essere una conseguenza del livello di sviluppo tecnologico dell’epoca (130) durante la quale i dispositivi informatici portatili avevano ancora un limitato grado di diffusione.
(127) Elencati dagli artt. 19 e 21, L. n. 81/2017 nonché dall’art. 2, comma 2, del Protocollo sul lavoro
in modalità agile del 7 dicembre 2021.
(128) M. D’ONGHIA, Lavoro agile e luogo del lavoro: cosa ci ha insegnato la pandemia?, cit., p. 4. È da notare, al contrario, come il 16 marzo del 2022 la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati abbia approvato un testo unificato di modifica alla L. n. 81/2017, il quale prevede che uno dei contenuti fondamentali dell’accordo individuale di lavoro agile debba essere costituito dal “monte ore […] da dedicare a ciascuna attività in modalità agile, in quanto compatibile” il quale dovrà corrispondere almeno al 30% della prestazione lavorativa (art. 3).
(129) Si fa riferimento, in particolare, all’art. 3, comma. 10 del d.lgs. n. 81/2008, il quale, pur essendo applicabile a “tutti i lavoratori subordinati che svolgono una prestazione continuativa di lavoro a distanza mediante collegamento informatico o telematico”, richiama esplicitamente soltanto la fattispecie del telelavoro. In tema, si veda più nel dettaglio il paragrafo 2.1.
(130) X. XXXXXXXXXX, Il lavoro agile tra Xxxxx e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, cit., pp. 936-940, ma anche A. XXXXXXXXX, La responsabilità del datore di lavoro per il buon funzionamento degli strumenti assegnati al lavoratore agile, in X. XXXXX GRANDI, X. XXXXX (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, CEDAM, 2018, p. 598. Sebbene con riferimento alla normativa
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
Come è noto, il lavoro da remoto è di recente tornato ad essere svolto da una “postazione fissa” durante il corso della pandemia da COVID-19, e in particolare nel periodo del c.d. lockdown, durante il quale milioni di lavoratori in Italia si sono trovati a dovere svolgere la propria prestazione unicamente dal proprio domicilio o residenza. Come è stato argomentato da numerosi commentatori, questo è uno dei principali fattori che, durante la fase emergenziale, ha portato a un vero e proprio
«snaturamento» della fattispecie del lavoro agile (131) la quale fa della variabilità del luogo esterno ai locali aziendali dal quale svolgere la prestazione uno dei propri elementi fondamentali (132).
Tuttavia, è da notare come già nel periodo precedente la fase pandemica, la contrattazione collettiva interpretasse la disposizione relativa all’assenza di vincoli legislativi relativi al luogo esterno ai locali aziendali in cui svolgere la prestazione piuttosto liberamente, talvolta garantendo al lavoratore ampia flessibilità in materia, altre invece restringendo notevolmente il ventaglio di luoghi previsti a tal fine.
In tale contesto, il tema del luogo di lavoro era trattato principalmente dalla contrattazione collettiva aziendale, mentre le disposizioni dei contratti collettivi nazionali relative di lavoro agile tendevano a concentrarsi su differenti aspetti della materia. Si veda, ad esempio, il CCNL per i lavoratori dell’industria elettrica rinnovato il 9 ottobre del 2019 da Filctem-CGIL, Flaei-CISL, Uiltec-UIL, il quale, all’interno dell’articolo che regolava per la prima volta il lavoro agile all’interno del settore, si occupava semplicemente di individuarne la definizione e le finalità, nonché di promuoverne la regolazione all’interno della contrattazione collettiva aziendale (art. 19). Sebbene la disposizione menzionata abbia subito un notevole ampliamento in seguito al più recente rinnovo del CCNL avvenuto il 18 luglio 2022, le uniche disposizioni regolanti il tema del luogo di lavoro per i lavoratori agili dell’industria elettrica hanno come oggetto la necessità di alternare lo svolgimento della prestazione lavorativa all’interno e all’esterno dei locali aziendali, al fine di
sul lavoro a domicilio (l. n. 877 del 1973), il punto era stato altresì sottolineato in X. XXXXX, Lavoro a distanza e subordinazione, ESI, 1993, p. 153; l’A., infatti, segnalava come il riferimento fatto dalla Legge menzionata allo svolgimento del lavoro a domicilio in un “locale” (art. 1), se interpretato restrittivamente, avrebbe escluso il telelavoro “nomade” (ossia svolto con l’ausilio di uno strumento informatico portatile) dalla fattispecie giuridica di lavoro a distanza, creando in questo modo “una distinzione discriminatoria speciosa tra figure del tutto identiche, fondata sulla sola base delle dimensioni dello strumento di lavoro”.
(131) P. ALBI, Il lavoro agile tra emergenza e transizione, cit., p. 772. Sul punto vedi anche X. XXXXXX, Tra lasciti e rovine della pandemia: più o meno smart working?, cit., p. 225, secondo il quale il lavoro agile emergenziale è un “ibrido legislativo” che presenta caratteristiche del lavoro agile ordinario ma anche del telelavoro a distanza da postazione fissa.
(132) Vedi, sul punto, P. ALBI, Il lavoro agile tra emergenza e transizione, cit., p. 784, X. XXXXX, Xxxxx spunti sul lavoro da remoto post-emergenziale, tra Xxxxx (lavoro agile) e contrattazione (smart working), cit., p. 11, M. BROLLO, Smart o Emergency Work? Il lavoro agile al tempo della pandemia, cit., p. 564.
«favorire e alimentare costantemente l’integrazione con il contesto aziendale e i contatti con i colleghi, evitando il rischio di isolamento» (art. 19, comma 5) (133). Consultando gli accordi di secondo livello pre-pandemia stipulati all’interno del medesimo settore, si nota come gli stessi individuino soluzioni differenti per quanto concerne il tema del luogo di lavoro. Si considerino, per esempio, gli accordi sottoscritti dalle aziende Tirreno Power ed EP Produzione durante il corso del 2019 (134). Se il primo accordo sancisce unicamente che il lavoro agile possa essere svolto
«dalla propria residenza o da altro luogo» (Principi generali, punto 2) il secondo limita la possibilità di svolgimento della prestazione da remoto al domicilio o alla residenza del dipendente, oppure ad altra abitazione dotata dei medesimi requisiti di sicurezza e riservatezza, previa comunicazione al Responsabile; lo stesso ribadisce inoltre come il luogo della prestazione debba «consentire lo svolgimento dell’attività lavorativa da remoto» nonché «fornire sufficienti garanzie in termini di conformità alle norme di sicurezza sul lavoro e di riservatezza dei dati e delle informazioni aziendali» (art. 5).
La necessità di salvaguardare la salute e la sicurezza del dipendente agile e la riservatezza dei dati aziendali è un elemento che si ritrova frequentemente nelle disposizioni della contrattazione collettiva aziendale, e che ha spesso giustificato scelte più restrittive in materia rispetto alla totale libertà in materia di scelta del luogo di lavoro prevista dall’articolo 18, comma 1, della Legge n. 81/2017 all’interno di numerosi settori merceologici. Esistono infatti accordi che, ai fini menzionati, prevedono che il lavoratore comunichi all’azienda in via preventiva il luogo dal quale egli intenda svolgere la prestazione di lavoro agile (135), oppure che lo stesso sia indicato all’interno dell’accordo individuale (136); talvolta, ciò avviene soltanto se tale luogo è diverso dalla sua residenza o dal domicilio (137). Medesimo obiettivo hanno gli accordi che escludono la possibilità che la prestazione di lavoro agile sia svolta in luoghi pubblici o aperti al pubblico (138).
(133) Il rischio di isolamento del lavoratore da remoto è altresì trattato all’interno della disciplina prevenzionistica nel momento in cui sancisce che il datore di lavoro debba assicurare l’adozione di misure dirette a prevenire tale fenomeno (art. 3, comma 10, d.lgs. n. 81/2008)
(134) Si fa riferimento, in particolare, agli accordi siglati da Filctem-CGIL, Flaei-CISL, Uiltec-UIL rispettivamente il 27 giugno e il 29 settembre 2019.
(135) A titolo esemplificativo, è possibile menzionare l’accordo Duracell del 16 aprile 2019 (siglato da Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL), l’accordo Tenaris-Dalmine del 9 gennaio 2019 (siglato da Fiom-CGIL, Fim-CISL, Uilm-UIL)
(136) Si veda l’accordo Lottomatica del 5 luglio 2017 (siglato da Fiom-CGIL, Uilm-UIL, FISMIC).
(137) A titolo esemplificativo, è possibile menzionare l’accordo Alpitour del 10 gennaio 2019 (siglato da Filcams-CGIL, Fisascat-CISL), oppure l’accordo 2i ReteGas del 27 gennaio 2022 (siglato da Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL).
(138) Si vedano, a titolo esemplificativo, l’accordo Xxxxxxx siglato il 6 febbraio del 2019 da Filcams- CGIL, Fisascat-CISL, Uiltucs-UIL, l’accordo Thyssenkrupp Elevators, siglato il 12 novembre del 2019 da Filcams-CGIL e Fisascat-CISL, e l’accordo Indra, siglato il 5 luglio del 2018 dalle RSA.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
Le disposizioni contenute all’interno della contrattazione collettiva precedente alla diffusione dello “smart working domiciliare” durante il 2020 hanno dunque integrato in modo significativo le disposizioni della Legge n. 81/2017 relative al luogo di lavoro, le quali lasciavano, e tuttora lasciano, aperti numerosi interrogativi, soprattutto per quanto riguarda le modalità di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore agile (139).
In ragione di ciò, al fine di gestire la riacquistata flessibilità spaziale connessa all’attenuarsi della pandemia da COVID-19, le diverse soluzioni adottate dalla contrattazione collettiva aziendale per quanto concerne il luogo dal quale è possibile svolgere la prestazione agile sono state incorporate nel testo del Protocollo ministeriale del 7 dicembre 2021. In questo senso, è da notare come la Relazione di accompagnamento al testo faccia riferimento alla possibilità di “supportare” il ruolo della contrattazione collettiva nella predeterminazione del luogo in cui svolgere la prestazione da remoto, attraverso l’inserimento, all’interno della Legge n. 81/2017, di un’esplicita delega alla stessa in tal senso (140).
Nonostante l’evidente favor del Gruppo di Studio ministeriale verso una soluzione maggiormente “restrittiva” per quanto riguarda il luogo di lavoro dei lavoratori agili, l’articolo 4 comma 1 del Protocollo tuttavia ribadisce la libertà da parte del lavoratore relativamente all’individuazione del luogo ove svolgere la prestazione in modalità agile, ponendo come unica condizione che lo stesso abbia «caratteristiche tali da consentire la regolare esecuzione della prestazione, in condizioni di sicurezza e riservatezza, anche con specifico riferimento al trattamento dei dati e delle informazioni aziendali nonché alle esigenze di connessione con i sistemi aziendali». La soluzione adottata dal Protocollo al fine di conciliare concretamente l’autonomia del lavoratore e le menzionate esigenze di tutela, dunque, appare essere quella di indirizzare le parti del rapporto individuale di lavoro agile e le parti sociali verso l’individuazione dei luoghi esterni ai locali aziendali dai quali non è consentito svolgere la prestazione, rispettivamente all’interno dell’accordo individuale (art. 2, comma 2, lett. c)) della contrattazione collettiva di riferimento (art. 4, comma 2). Gli accordi stipulati nel periodo successivo al Protocollo, tuttavia, sembrano ad oggi recepire solo in parte le indicazioni nello stesso contenute. Considerando nuovamente il settore elettrico, è possibile menzionare l’accordo Tirreno Power,
(139) Il tema della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori agili sarà trattato con un maggiore livello di approfondimento nel par. 2.1 del presente capitolo.
(140) AA.VV., Relazione finale del Gruppo di studio “Lavoro Agile” istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2021, p. 12. In particolare, viene promosso un vero e proprio “vincolo di predeterminazione del luogo di lavoro”, il quale delegherebbe alla contrattazione collettiva “l’onere di individuare la modalità, il grado di predeterminazione e i tipi di luogo dai quali è possibile svolgere la prestazione da remoto.”
stipulato il 19 maggio del 2022 ( 141), che inserisce ribadisce pedissequamente quanto previsto dall’accordo del 2019 nei propri principi generali, oppure gli accordi Enel (21 marzo 2022) (142) e GSE (12 maggio 2022) (143), nei quali si prevede che il luogo di adempimento della prestazione agile sia rimesso all’unilaterale scelta del dipendente, il quale potrà scegliere di svolgere l’attività lavorativa presso qualunque luogo che garantisca la necessaria connettività alla rete aziendale e risponda a criteri di sicurezza e riservatezza (144). Simili, in termini di contenuti, agli accordi Enel e GSE sono le previsioni incluse all’interno dell’accordo EP Produzione, siglato il 6 giugno 2022 da Filctem-CGIL, Flaei-CISL e Uiltec-UIL, il quale, dunque, adotta una soluzione meno “restrittiva” rispetto al precedente accordo siglato nel 2019: tuttavia, l’accordo 2022 prevede altresì la possibilità che siano individuati vincoli di distanza dal luogo di lavoro nel caso in cui esigenze tecniche possano richiedere il pronto rientro del lavoratore nella propria sede di lavoro (art. 4).
Si nota, infatti, che in nessuno degli accordi menzionati sia presente un elenco di luoghi specificamente individuati dai quali è esclusa la possibilità per il lavoratore agile di svolgere la propria prestazione: al contrario, le parti sottoscrittrici sembrano il più delle volte avere “delegato” ai lavoratori il compito di valutare se il luogo dal quale hanno intenzione di svolgere lavoro agile sia conforme o meno ai criteri menzionati.
2.1. La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori agili.
La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori agili, tema già accennato nei precedenti paragrafi, è uno dei temi maggiormente dibattuti dalla dottrina giuslavoristica sin dal periodo immediatamente successivo all’emanazione della Legge n. 81/2017.
In particolare, gli interrogativi posti dagli studiosi che si sono occupati della materia si identificano principalmente nell’idoneità dell’attuale disciplina prevenzionistica (d.lgs. n. 81/2008), xxxxxx su un modello produttivo tipico dell’impresa fordista, nella quale il datore di lavoro costituiva il vero e proprio “dominus” dell’organizzazione imprenditoriale ( 145 ), e aveva pertanto il totale controllo
(141) Siglato da Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL.
(142) Siglato da Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL.
(143) Siglato dalle segreterie nazionali di Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL.
(144) Si vedano, rispettivamente, gli artt. 4 e 2 degli accordi menzionati.
(145) A. XXXXXX, Obblighi di sicurezza: tutela contro gli infortuni e le malattie professionali nel lavoro agile, in GRUPPO GIOVANI GIUSLAVORISTI SAPIENZA (a cura di), Il lavoro agile nella disciplina legale, collettiva ed individuale. Stato dell’arte e proposte interpretative di un gruppo di giovani studiosi, Working Paper CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx” – Collective Volumes, 2017, n. 6, pp. 109-110.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
dell’ambiente presso il quale i propri dipendenti svolgevano la propria prestazione lavorativa, a tutelare lavoratori che invece portano avanti la propria attività professionale da una molteplicità di luoghi diversi, peraltro spesso non originariamente concepiti a tal fine come ad esempio il loro domicilio o residenza. È da notare come il d.lgs. n. 81/2008 in verità contenga una disposizione applicabile ai lavoratori da remoto, e in particolare ai lavoratori subordinati che «effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico» (art. 3, comma 10). Per ragioni cronologiche, tuttavia, tale articolo menziona esplicitamente soltanto la sua applicabilità ai “telelavoratori”.
Tali circostanze, insieme al mancato richiamo, da parte della Legge n. 81/2017, al Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ha portato alcuni ad affermare come gli obblighi prevenzionistici del datore di lavoro nei confronti del lavoratore agile possano essere esauriti unicamente attraverso la consegna di un’informativa (146) elencante i «rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro» (art. 22, comma 1, Legge n. 81/2017) (147).
In questa prospettiva, dunque, apparrebbe delinearsi la volontà, da parte del legislatore, di responsabilizzare fortemente il lavoratore agile per quanto riguarda la tutela della propria salute e sicurezza, in termini dell’individuazione di fonti e situazioni di rischio (148). Tale responsabilizzazione, si afferma in dottrina, avviene peraltro anche in modo più incisivo rispetto a quanto previsto all’interno dell’articolo 20 del d.lgs. n. 81/2008 (149), dato che la stessa ha altresì ad oggetto la scelta del luogo esterno ai locali aziendali dal quale svolgere la prestazione lavorativa (150). Non è un caso, infatti, come segnalato in chiusura del precedente paragrafo, che spesso la contrattazione collettiva aziendale di lavoro agile sancisca come l’individuazione di luoghi idonei per quanto concerne lo svolgimento della prestazione lavorativa in sicurezza (151), e/o l’attuazione, all’interno degli stessi,
(146) Obbligo che, durante il periodo emergenziale, poteva peraltro essere assolto tramite la consegna
di un modello di informativa standard predisposto dall’INAIL (art. 90, comma 4, DL n. 34 del 2020).
(147) X. XXXXXXXX, X. XXXXX, Lavoro autonomo, lavoro parasubordinato, lavoro agile: le novità introdotte dal Jobs Act e dal disegno di Xxxxx 2233/2016, Key Editore, 2016, p. 91.
(148) Esprime tale concetto X. XXXXXXXXXX, Nuovi modelli della organizzazione del lavoro e nuovi rischi, in DSL, 2022, n. 1, p. 151.
(149) Articolo che trova un suo “corrispettivo” all’interno del secondo comma dell’articolo 22 Xxxxx
n. 81/2017, il quale statuisce che “il lavoratore è tenuto a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali”. Sul rapporto di tale disposizione con gli obblighi in materia di cooperazione previsti dal TU, si veda X. XXXXXXX, Nuove tecnologie e salute dei lavoratori, in RGL, 2021, n. 2, p. 186.
(150) X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. cit., p. 785.
(151) Si vedano, a tal proposito, gli esempi di contrattazione aziendale inseriti all’interno del par. 2 del presente capitolo. Caso particolare è costituito inoltre dall’accordo di lavoro agile del Gruppo
delle misure di sicurezza contenute all’interno dell’informativa fornita dal datore di
lavoro (152) costituiscano, appunto “responsabilità” del lavoratore agile (153).
Approfondendo l’analisi della legislazione prevenzionistica attualmente vigente, tuttavia, si nota come la stessa sembri in verità escludere soluzioni che differenzino in modo sostanziale gli obblighi del datore di lavoro per quanto concerne la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori “tradizionali” e dei lavoratori agili.
Innanzitutto, è necessario citare l’articolo 2087 del Codice civile, il quale sancisce l’obbligo contrattuale del datore di lavoro di «tutelare l’integrità fisica e la libertà morale del prestatore di lavoro». L’articolo citato ha secondo molti natura “suppletiva”, “di chiusura” della legislazione prevenzionistica italiana, applicabile a prescindere dalle modalità di esecuzione della prestazione: tali caratteristiche, peraltro, lo renderebbero idoneo ad «attualizzare la normativa al caso concreto in considerazione delle specificità delle lavorazioni o di determinati ambienti di lavoro», assumendo notevole importanza per la tutela dei lavoratori agili (154).
Secondariamente, è da considerare come l’interpretazione che vede l’informativa come unico adempimento in materia di salute e sicurezza per il datore di lavoro parrebbe scontrarsi con i principi del diritto dell’Unione europea che impongono di incrementare le tutele per i lavoratori coinvolti in modalità di lavoro flessibile (155), ma più in generale con gli standard minimi di tutela prevenzionistica assicurati dalla disciplina euro-unitaria, i quali sono chiaramente inderogabili da parte di un atto di diritto interno come la Legge n. 81/2017 (156).
Menarini, siglato da Filctem-CGIL, Femca-CISL e Uiltec-UIL il 18 maggio 2022, all’interno del quale viene specificato come il dipendente in smart working sia addirittura “responsabile della salute e della sicurezza proprie e delle altre persone che si trovino, anche solo occasionalmente, in prossimità del suo spazio lavorativo” (art. 5.5)
(152) Si veda, per esempio, l’accordo O.I. Italy, siglato da Filctem-CGIL il 7 giugno 2022 (art. 2).
(153) In tema, tuttavia, alcuna dottrina ha specificato come l’onere di cooperazione in capo al lavoratore agile relativamente alla tutela della sua salute e sicurezza, anche in termini di scelta dei luoghi di lavoro a tal fine, non possa essere inteso come “nel senso di addossare al lavoratore la responsabilità della verifica d’idoneità e dei suoi esiti”. Così X. XXXXXXX, Lavoro senza luogo fisso, de-materializzazione degli spazi, salute e sicurezza, in LLI, 2023, n. 1, p. 42.
(154) Così, in particolare, X. XXXXXXXXX, L’obbligazione di sicurezza al tempo di Industry 4.0, DSL, 2018, n. 1, pp. 58-59. L’A., tuttavia, sostiene altresì che «in caso di prestazione di lavoro agile, mancando quel controllo e quella costante vigilanza che il datore di lavoro è tenuto ad osservare nella prestazione canonicamente intesa, l’obbligazione che ne scaturisce non può più essere inquadrata in un’obbligazione di risultato o di scopo, come nel caso di lavoro standard, quanto piuttosto in una di mezzi».
(155) A. DELOGU, op. cit., p. 117.
(156) Aspetto sottolineato, tra gli altri, da X. XXXXXXXXXX, Il lavoro agile tra Xxxxx e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, cit., p. 927.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
In ultimo, si segnala come il precedentemente menzionato articolo 3, comma 10, d.lgs. n. 81/2008, in realtà sia considerato applicabile anche ai lavoratori agili anche da quello che è oggi l’orientamento dottrinale maggioritario all’interno del panorama giuslavoristico italiano (157). La formulazione di tale disposizione, la quale subordina la sua applicabilità all’elemento della “continuatività” della prestazione a distanza, infatti, la rende secondo molti non soltanto applicabile ai telelavoratori, bensì anche a quei «modelli organizzativi del lavoro che implicano una pianificazione del tempo di lavoro (in giorni per settimana, mese o anno) reso al di fuori dei locali aziendali» (158); elemento, quest’ultimo, proprio della maggior parte delle sperimentazioni di lavoro agile così come declinate da parte della contrattazione collettiva fino ad oggi.
Anche a livello contrattual-collettivo, l’impostazione che vedeva la consegna dell’informativa come unico adempimento relativo alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori agili risulta oggi definitivamente superata; tuttavia, è da notare come, all’interno negli accordi aziendali, non si faccia tendenzialmente riferimento alle disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 specificamente previste per i lavoratori a distanza, bensì all’intero testo normativo (159). Medesimo approccio è adottato dal Protocollo sul lavoro in modalità agile (art. 6, comma 1), il quale rinvia alla contrattazione collettiva nazionale e di secondo livello le modalità applicative del d.lgs. n. 81/2008 in materia di lavoro agile (art. 6, comma 4).
A tale proposito deve essere segnalato come tale ultima disposizione rappresenti un’evoluzione dell’atteggiamento delle parti sociali relativamente alla disciplina della tematica al livello interconfederale. All’interno dell’Accordo interconfederale “Attuazione del patto per la fabbrica”, siglato il 12 dicembre 2018 da Confindustria,
(157) Sull’applicabilità dell’articolo 3, comma 10 del d.lgs. n. 81/2008 ai lavoratori agili, vedi, ex multis, X. XXXXXXXX, La sicurezza e la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali nel lavoro agile, in X. XXXXX GRANDI, X. XXXXX (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, 2018, p. 651, X. XXXXX, La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori agili, in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova frontiera del lavoro: autonomo – agile – occasionale. Aggiornamento al decreto-Legge 12 luglio 2018, n. 87 c.d. decreto dignità, ADAPT University Press, 2018, p. 486, e L.M. XXXXXX, La disciplina di salute e sicurezza applicabile al lavoro agile, DRI, 2017, n. 4, pp. 1048-1049. L’ultimo A. citato menziona come tale interpretazione sia peraltro supportata dal testo della circolare INAIL n. 48 del 2017 e dalla Nota breve n. 156 del Servizio studi del Senato (marzo 2017).
(158) X. XXXXXXXXXX, Il lavoro agile tra Xxxxx e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, cit., pp. 944-945.
(159) Si segnala come tale tendenza sia rilevabile principalmente all’interno degli accordi aziendali di lavoro agile più recenti. Si vedano, ad esempio, l’accordo Volksbank del 6 luglio 2021 (FABI, Fisac-CGIL, First-CISL, Uilca-UIL, UNISIN), l’accordo Ericsson del 29 aprile 2021 (Slc-CGIL, Fistel-CISL, Uilcom-UIL, UGL Telecomunicazioni), e l’accordo Unifarco del 12 marzo 2021 (Femca-CISL, Uiltec-UIL).
CGIL, CISL e UIL, si sancisce infatti che «per i lavoratori impegnati in attività di lavoro in luoghi differenti da quelli soggetti alla disponibilità giuridica del datore di lavoro […] si applicano esclusivamente le disposizioni del D. lgs 81/2008 relative agli obblighi informativi, formativi, di addestramento (artt. 36 e 37), di dotazione dei necessari dispositivi di protezione individuale e di garanzia della sicurezza delle attrezzature eventualmente messe a disposizione dal datore di lavoro (art. 18 comma 1, lett. d), della sorveglianza sanitaria» (art. 8). Se all’interno dell’accordo menzionato erano le parti confederali a individuare direttamente gli articoli del d.lgs. n. 81/2008 applicabili ai lavoratori da remoto, il Protocollo sceglie invece di delegare alla contrattazione nazionale e di secondo livello la decisione in merito alle modalità più confacenti per adattare le previsioni del TU alle concrete modalità di svolgimento del lavoro agile (160).
Sia i contenuti dell’Accordo interconfederale del 2018 che del Protocollo del 2021 comunque sembrano dimostrare la consapevolezza delle parti sociali riguardo alla necessità di un “adattamento” delle disposizioni dell’impianto prevenzionistico nazionale ad una modalità di lavoro che, per le sue intrinseche caratteristiche, rende difficoltosa la concreta applicabilità dei suoi elementi fondamentali ( 161 ). Un esempio evidente è quello relativo alla “valutazione dei rischi” (162) connaturati all’ambiente di lavoro, impossibile in un contesto nel quale si ha la potenziale inconoscibilità, da parte del datore di lavoro, del luogo dal quale il lavoratore svolge la prestazione al di fuori dei locali aziendali (163).
In questo senso, è da notare come una totale flessibilità relativamente al luogo in cui svolgere la prestazione da remoto renda difficilmente realizzabili anche alcuni degli adempimenti e prerogative datoriali elencati dall’articolo 3, comma 10 del
(160) Tale scelta può essere forse dovuta alla scarsa (se non sostanzialmente nulla) attuazione delle previsioni menzionate dall’Accordo interconfederale del 2018 all’interno degli accordi aziendali di lavoro agile del settore industriale. Si veda, in questo senso, ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2020). VII Rapporto ADAPT, cit., pp. 315-396.
(161) Così D. CHAPELLU, Lavoro agile e sicurezza: tra tutela della salute del lavoratore e una nuova ripartizione della responsabilità datoriale in VTDL, 2023, n. 1, p. 268, il quale sottolinea come un simile adattamento del d.lgs. n. 81/2008 costituisca l’unico modo per evitare “il rischio che si realizzi un inammissibile trasferimento sul lavoratore agile dell’obbligo di prevenzione e protezione di sé stesso e un totale azzeramento del debito di sicurezza gravante sul datore di lavoro”.
(162) Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. q, del d.lgs. n. 81/2008, la valutazione dei rischi si configura come la «valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presente nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza».
(163) Elemento, questo, messo in evidenza da X. XXXXX, op. cit., p. 475, la quale afferma come tale circostanza si configuri come “un’imprescindibile assenza di tutela”.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
d.lgs. n. 81/2008 (164). Si consideri, per esempio, la valutazione degli specifici rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori videoterminalisti (165) la quale deve avere particolare riguardo alle «condizioni ergonomiche e di igiene dell’ambiente di lavoro» (166) oppure il diritto d’accesso del datore di lavoro, delle rappresentanze sindacali dei lavoratori e delle autorità competenti al luogo in cui viene svolto il lavoro da remoto, al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza (167).
In un tale contesto di incertezza, esasperata dall’assenza di pronunciamenti giurisprudenziali che forniscano indicazioni ermeneutiche rilevanti in materia, parte della dottrina giuslavoristica ha dunque proposto un “temperamento” del principio della flessibilità spaziale connaturato al lavoro agile, al fine di garantire l’adempimento degli obblighi relativi alla salute e alla sicurezza del lavoratore agile da parte del datore di lavoro; e questo mediante l’individuazione, da parte dei soggetti coinvolti nel rapporto di lavoro, di un numero predeterminato di luoghi dai quali sia possibile svolgere la prestazione lavorativa da remoto (168). Per evitare un’estremizzazione del contrasto con la ratio fondamentale della Legge n. 81/2017, tuttavia, è stato argomentato come l’individuazione dei suddetti luoghi non dovrebbe essere unilateralmente determinata dal datore di lavoro, bensì essere frutto di un accordo con il prestatore di lavoro: in questo senso, la contrattazione collettiva appare lo strumento più adatto al fine di operare un corretto bilanciamento tra le
(164) Elemento peraltro menzionato all’interno di AA.VV., Relazione finale del Gruppo di studio
“Lavoro Agile” istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2021, p. 11.
(165) Le disposizioni relative ai lavoratori che utilizzano attrezzature munite di videoterminali (Titolo VII, d.lgs. n. 81/2008) sono integralmente applicabili ai lavoratori a distanza ai sensi dell’art. 3, comma 10, d.lgs. n. 81/2008.
(166) Art. 174, d.lgs. n. 81/2008.
(167) Dall’altra parte, E. ALES, Il benessere del lavoratore: nuovo paradigma di regolazione del rapporto, in DLM, 2021, n. 1, p. 55, sottolinea come altri aspetti legati alla salute e alla sicurezza sul lavoro dei lavoratori agili, come ad esempio la misurazione del tempo di lavoro (definita come rientrante nell’ambito del c.d. “benessere organizzativo”) rientrino indubitabilmente nella sfera di controllo del datore di lavoro. Il rapporto tra misurazione del tempo di lavoro e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori è approfondito nel capitolo III, par. 1.1. della presente ricerca.
(168) Vedi, in questo senso, E. XXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X.X. XXXXXX, X. XXXXXXXXXX, Guida pratica al lavoro agile, ADAPT University Press, 2020, p. 63, ma anche L.M. PELUSI, op. cit., p. 1054, il quale tuttavia sottolinea come tale soluzione allo stesso tempo «sacrifichi parte di quella flessibilità che dovrebbe animare l’organizzazione lavorativa in esame». Tale aspetto è preso in considerazione anche da X. XXXXXXXX, op. cit., p. 654, la quale tuttavia afferma che il bilanciamento tra salute e sicurezza del lavoratore agile e flessibilità della prestazione debba necessariamente essere risolto a favore del primo elemento.
esigenze di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore e la coerenza ai principi di flessibilità che animano la legislazione in materia di lavoro agile (169). Ciò nonostante, è già stato menzionato come in verità la contrattazione collettiva adotti spesso soluzioni differenti per quanto concerne l’individuazione del luogo di lavoro esterno ai locali aziendali dal quale è possibile svolgere la prestazione di lavoro agile, delegando al lavoratore la scelta di un luogo “idoneo” in tal senso oppure, seppur meno spesso, indicando soltanto i luoghi dai quali l’esecuzione della prestazione lavorativa non è consentita (170).
Maggiormente coerenti alla direzione indicata dalla dottrina giuslavoristica sono invece le disposizioni previste da parte di una corrente minoritaria della contrattazione collettiva di lavoro agile, soprattutto afferente al settore creditizio. Si veda, ad esempio, l’impostazione del CCNL per i quadri direttivi e il personale delle aree professionali dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali, rinnovato da ABI, FABI, First-CISL, Fisac-CGIL, Uilca-UIL e UNISIN il 19 dicembre del 2019, il quale prevede disposizioni piuttosto stringenti in materia di luogo di lavoro, sancendo come «l’attività lavorativa in modalità agile possa essere prestata presso 1) altra sede/hub aziendale (171) che devono essere adeguatamente attrezzate e idonee a tutelare la dignità, la salute e la sicurezza di lavoratrici e lavoratori 2) residenza privata/domicilio della lavoratrice/lavoratore 3) altro luogo stabilito dalle parti collettive, o indicato dalla lavoratrice/lavoratore e preventivamente autorizzato dall’azienda» (art. 11). Le parti firmatarie del rinnovo menzionato, tuttavia, hanno accordato alla contrattazione aziendale del credito la possibilità di derogare a tale disposizione, e tale deroga ha consentito ad alcuni accordi di prevedere che il luogo di lavoro esterno ai locali aziendali possa essere scelto liberamente dal lavoratore tra ambienti idonei allo svolgimento della prestazione (172), individuando talvolta alcuni limiti a tal fine, come ad esempio i luoghi pubblici o aperti al pubblico (173). Buona parte degli accordi del settore del
( 169 ) Così X. XXXXXXX, op. cit., p. 39, la quale tuttavia sottolinea anche il ruolo dell’accordo individuale come “strumento di conoscibilità, da parte del datore, dei luoghi di svolgimento della prestazione”.
(170) Si veda, in questo senso, il par. 2. del presente capitolo.
(171) Secondo X. XXXXXXXXXX, Il lavoro agile tra Xxxxx e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, cit., p. 944, nota 86, sono da ritenersi al di fuori della fattispecie di lavoro agile quei modelli organizzativi che individuano il luogo di lavoro alternativo alla sede aziendale in cui è ordinariamente svolta la prestazione in sedi differenti o “hub aziendali”, in quanto viene meno il requisito dell’alternanza tra lo svolgimento della prestazione all’interno e all’esterno dei locali aziendali previsto dall’art. 18, comma 1, della L. n. 81/2017.
(172) Si veda, a titolo esemplificativo, l’accordo Banca Reale del 23 dicembre 2021 siglato da Fisac- CGIL (lett. F).
(173) Si vedano, in tal senso, l’accordo Volksbank del 6 luglio 2021 (FABI, Fisac-CGIL, First-CISL, Uilca-UIL, UNISIN) (art. 6), e l’accordo Nexi, stipulato il 22 dicembre 2021 da FABI, Fisac-CGIL, First-CISL, Uilca-UIL, UNISIN (art. 7).
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
credito, tuttavia, individuano requisiti più stringenti in materia, coerentemente con le disposizioni della contrattazione nazionale (174).
3. Scenari futuri per la geografia del paese: co-working e south working.
Dall’analisi delle determinazioni della contrattazione nazionale e aziendale, dunque, emerge come i lavoratori agili spesso dispongano di un’ampia autonomia per quanto concerne gli spazi dai quali svolgere la prestazione lavorativa; le parti sottoscrittrici tendono a evitare di affrontare e gestire in prima persona gli effetti della potenziale de-spazializzazione delle attività lavorative, esprimendo solo raramente un esplicito favor per quanto concerne lo svolgimento del lavoro agile in determinati ambienti rispetto ad altri.
In questo contesto, spicca l’eccezione dell’“Accordo interconfederale regionale sul lavoro agile per le imprese artigiane e le PMI del Veneto”, siglato dalle articolazioni regionali di Confartigianato, CNA, Casartigiani, CGIL, CISL e UIL il 20 dicembre del 2019 presso la sede di EBAV (Ente Bilaterale Artigianato Veneto). Tale accordo, stipulato in seguito a un progetto di ricerca finanziato dalla Regione, sancisce infatti non soltanto come all’interno dell’accordo individuale debbano essere individuati un elenco di luoghi ammessi e/o vietati, o, in alternativa, criteri di idoneità per l’individuazione del luogo esterno all’azienda in cui svolgere la prestazione agile (art. 6) ma sembra addirittura volere contribuire a modellare gli effetti della progressiva remotizzazione del lavoro sulla geografia del lavoro della Regione. Al fine di supportare questa argomentazione, è possibile ad esempio citare l’articolo 13 dell’accordo, il quale tratta il tema del c.d. co-working, inteso come
«nuovo modo di lavorare che prevede la condivisione dell’ambiente di lavoro tra più persone, anche appartenenti a organizzazioni diverse» esprimendosi a favore di una sua diffusione all’interno del territorio della Regione, e paventando addirittura la previsione di potenziali forme di sostegno per l’iscrizione/accesso agli spazi di co-working da parte dei lavoratori agili impiegati presso le imprese artigiane e le piccole e medie imprese del territorio.
Al fine di comprendere al meglio il significato di tale previsione e i suoi potenziali impatti sulla geografia sia del territorio interessato dall’accordo, che dell’intero
(174) Si veda, ad esempio, l’accordo Banca Ifis stipulato il 18 marzo 2022 da FABI, Fisac-CGIL, First-CISL, Uilca-UIL, all’interno del quale si prevede come, nel caso in cui il lavoratore intenda svolgere la prestazione agile in un luogo diverso dal proprio domicilio, dovrà informare preventivamente il proprio Responsabile diretto e l’HRBP (art.4), oppure l’accordo Fruendo stipulato il 7 marzo 2022 da FABI, Fisac-CGIL, First-CISL, Uilca-UIL, UNISIN, il quale individua i potenziali luoghi di svolgimento della prestazione lavorativa agile nella residenza o domicilio del lavoratore, in altri luoghi previsti dal CCNL o da luoghi comunicati dal dipendente e autorizzati dall’azienda (art. 2).
paese, è necessario rifarsi alla letteratura che si è occupata del fenomeno del co- working, sviluppatosi negli Stati Uniti all’inizio degli anni Duemila (175).
Sebbene sia complesso individuarne una definizione unitaria, diversi autori concordano che gli spazi di co-working si configurano come luoghi collettivi, generalmente predisposti a pianta aperta tramite uffici open space, condivisi da lavoratori autonomi e/o dipendenti di aziende differenti, i quali affittano una postazione di lavoro adibita al loro interno per il periodo necessario allo svolgimento della prestazione lavorativa (176). È necessario sottolineare come essi si differenzino dagli “hub aziendali” menzionati in chiusura del precedente paragrafo, in quanto gestiti tendenzialmente da soggetti terzi rispetto ai lavoratori che ne usufruiscono e ai loro datori di lavoro.
Date le loro peculiari caratteristiche, anche gli spazi di co-working sono stati oggetto di analisi da quella letteratura che si è occupata di indagare gli effetti della conformazione fisica dei luoghi di lavoro sulle modalità di svolgimento delle attività professionali: essendo frequentati da lavoratori subordinati, parasubordinati e/o autonomi, accomunati dallo svolgimento della propria prestazione lavorativa in forma “ibrida”, tali spazi appaiono particolarmente interessanti ai fini della presente ricerca. Numerosi studi che si sono concentrati sul fenomeno sottolineano infatti come gli spazi di co-working, essendo solitamente dotati di elementi che favoriscono la socializzazione (spazi break, sale riunioni), ed essendo tendenzialmente fruiti da soggetti con caratteristiche simili (giovane età, appartenenza al settore del lavoro della conoscenza) tendano a creare un senso di “comunità” (177) tra questi ultimi (178), il quale si può peraltro tradurre in opportunità
(175) Secondo X. XXXXX, Curating the “Third Place”? Coworking and the mediation of creativity, Geoforum, 2017, p. 5, il termine “co-working” è stato coniato da Xxxxxxx xx Xxxxx nel 2005, in occasione dell’apertura ufficiale del primo spazio di co-working a San Xxxxxxxxx.
(176) A. LEFORESTIER, The Co-Working space concept, CINE Term project, 2009, pp. 3-4, ma anche
G. R. XXXXXX, D. J. BRASS, Employee reactions to an open-plan office: a naturally occuring quasi- experiment, Administrative Science Quarterly, Vol. 24 No. 2, 1979, p. 267.
(177) Secondo X. XXXXXXX, Coworking: Assessing the role of proximity in knowledge exchange, Knowledge Management Research & Practice, 2015, n. 13, pp. 261–271, “the concept of community refers to the possible relational implications of the co-location of workers within the same space and emphasises the role of coworking as a work context able to provide sociality to coworkers”.
(178) Per quanto concerne l’importanza del concetto di “comunità” nel co-working, si veda X.X. XXXXXX-XXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXX, Coworking: A transdisciplinary overview, SSRN Electronic Journal, 2015, p. 10, oppure I. XXXXXXXXX, Different Inter- Organizational Collaboration Approaches in Coworking Spaces in Barcelona, SSRN Electronic Journal, 2014, p. 7. Secondo X. XXXXXXX, The rise of coworking spaces: A literature review, Ephemera, Theory and Politics in Organization, vol. 15(1), 2015, p. 196, gli elementi citati rendono il coworking un fenomeno “socio-politico”, che assume le sembianze di un vero e proprio “movimento” o “filosofia”.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
di networking, condivisione di idee, nonché nascita di spontanee collaborazioni su specifici progetti (179).
Non è un caso, infatti, che l’accordo territoriale precedentemente citato individui il coworking come mezzo di promozione di nuove «comunità urbane», utile, tra gli altri aspetti, al fine di favorire la socialità tra i lavoratori da remoto (art. 13). La contemporanea presenza di più lavoratori nel medesimo spazio fisico, infatti, sembrerebbe poter aiutare a ridurre quel senso di isolamento dal tessuto sociale e relazionale che può colpire chi lavora anche parzialmente da remoto, data l’eliminazione o comunque la riduzione delle interazioni sociali con i propri colleghi (180). È da sottolineare, inoltre, come secondo alcuna letteratura questo elemento, insieme al maggiore “controllo” che i frequentatori degli spazi di co- working hanno sugli spazi e sui tempi della loro prestazione e sul maggiore “significato” che attribuiscono alla stessa, possa contribuire a influire positivamente sulla loro produttività (181).
Dall’altra parte, tuttavia, altri studi sul tema sottolineano gli effetti negativi che la conformazione di spazi di lavoro “a pianta larga” può avere su coloro che li occupano, specialmente in termini di motivazione, soddisfazione, benessere soggettivo e produttività: contrariamente a quanto sostenuto dal filone di analisi precedente, in questo caso si sottolinea come il co-working comporti un peggioramento della comunicazione e una riduzione delle interazioni sociali, incidendo altresì negativamente su fattori quali la tutela della privacy e il livello di concentrazione durante la prestazione lavorativa, nonché sulla qualità acustica e visiva dell’ambiente (182).
( 179 ) X. XXXXXX, Coworking Spaces Offer a Post-Pandemic Office Alternative, MIT Xxxxx Management Review, 2021, Vol. 63, Fasc. 2, p. 2. Per la letteratura nazionale si veda X. XXXXXXX, Il lavoro agile tra opportunità e nuovi rischi per il lavoratore, DLM, 2018, n. 1, p. 28, secondo la quale competenze quali creatività, interdisciplinarietà di pensiero, capacità di interazione, lavoro in team (definite come social learning) si sviluppano prevalentemente all’interno di spazi condivisi.
( 180 ) I. M. XXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, Emerging work patterns and different territorial contexts: trends for the coworking sector in pandemic recovery, in Professionalità Studi, 2020, n. 4,
p. 135. Si veda in questo senso, anche AA.VV., Relazione finale del Gruppo di studio ministeriale “Lavoro Agile”, p. 12, la quale individua la “domiciliarizzazione” del lavoro agile come potenziale fonte di “isolamento sociale e di esclusione dal tessuto relazionale che […] caratterizza il lavoro in presenza”, con ricadute in termini di possibilità di carriera, salute, discriminazioni, ecc. che impattano soprattutto la componente femminile della forza lavoro.
(181) X. XXXXXXXXX, P. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, Why people thrive in coworking spaces, in Harvard Business Review, 2015, n. 93, p. 28.
(182) In tema, vedi ad esempio E. XXXXXXXXX, X. XXXXXX, The impact of the “open” workspace on human collaboration, Philosophical Transactions of the Royal Society, 2018, Vol. 373 p. 2, ma anche X. XXXXXX, Attitudes towards problems in the physical working environment: case contact centre, Journal of Corporate Real Estate, Vol. 14 No. 2, 2012, pp. 95-102.
Come anticipato in precedenza, tuttavia, non è sufficiente concentrarsi unicamente sugli effetti degli spazi di co-working sulle modalità di svolgimento della prestazione da remoto da parte dei singoli lavoratori: appare opportuno, infatti, altresì occuparsi delle potenziali conseguenze dello sviluppo e diffusione di tali ambienti di lavoro sulla distribuzione dei lavoratori all’interno del paese. Le parti sottoscrittrici dell’Accordo Interconfederale regionale del Veneto si mostrano consapevoli di tale aspetto, indicando come il co-working possa «contribuire ad una ridefinizione dei luoghi e della geografia del lavoro più sostenibile per le persone e i territori» (art. 13).
È tuttavia da notare, in tal proposito, come il co-working sia un fenomeno tradizionalmente diffuso in maggior parte all’interno delle grandi città; è proprio all’interno dei grandi centri urbani, infatti, che si concentrano le più alte percentuali di lavoratori con mansioni compatibili con il lavoro da remoto (c.d. “telelavorabili”
(183) ), poiché caratterizzate da un alto fabbisogno di competenze nonché dall’uso “intensivo” della tecnologia informatica (184). Di conseguenza, i primi effetti della diffusione del lavoro da remoto e del fenomeno del co-working sui territori sono rilevabili proprio in tali contesti.
Alcune ricerche, condotte attraverso l’analisi dei dati relativi al prezzo di locazione degli immobili di alcune metropoli americane, mostrano infatti come, in seguito allo scoppio della pandemia da COVID-19, molti lavoratori con mansioni remotizzabili non abbiano soltanto limitato il proprio tasso di mobilità all’interno del tessuto cittadino, bensì abbiano spesso scelto di abbandonare del tutto le zone della città in cui risiedevano, a favore di quartieri più lontani dal centro, con effetti evidenti per quanto riguarda la frequentazione di esercizi commerciali quali hotel, ristoranti, caffetterie e xxxxxxxx, localizzati nei quartieri con una maggiore percentuale di lavoratori occupati nei settori maggiormente telelavorabili (185). Allo stesso tempo, secondo alcuni sondaggi svolti sempre negli Stati Uniti (186), uno degli elementi maggiormente presi in considerazione dai lavoratori nella scelta degli spazi di co-working è la prossimità a luoghi di interesse, come asili nido,
(183) Nel corso degli ultimi anni, è stato più volte tentato di creare un indice per misurare il livello di “telelavorabilità” delle mansioni lavorative. A livello internazionale, si segnala X. XXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXXX-XXXXXX, X. XXXXXXX, Teleworkability and the COVID-19 crisis: a new digital divide?, 2020, JRC Working Papers Series on Labour, Education and Technology, n.
5. Per la letteratura nazionale, invece, si veda ad esempio X. XXXXXXXX, X. BASSO, AND X. XXXXXXXXXXX, Italian workers at risk during the Covid-19 epidemic, in Questioni di Economia e Finanza, 2020, n. 569.
(184) Dato rilevato all’interno del contesto statunitense da X. XXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXX, The Geography of Remote Work, NBER Working Paper Series, 2022, n. 29181, p. 2.
(185) X. XXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXX, op. cit., pp. 8-9.
(186) C. XXXXXXXX, Working Alone Together Coworking as Emergent Collaborative Activity, in
Journal of Business and Technical Communication, 2012, n. 26, p. 424.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
quartieri interessati da una sviluppata “vita notturna”, o, soprattutto, le loro stesse abitazioni. Tale ultimo dato è particolarmente interessante, poiché dimostra l’esistenza di un’importante domanda per spazi dedicati al lavoro da remoto alternativi alle abitazioni private, ma dislocati anche in zone urbane residenziali o periferiche.
Spostando l’attenzione sul contesto italiano, si nota come gli elementi appena menzionati sembrano avere portato il Comune di Milano a promuovere la cosiddetta filosofia del near working (lavorare vicino casa) ( 187 ), garantendo ai propri dipendenti la possibilità di lavorare in spazi comunali dislocati in vari punti della città o in ambienti di co-working convenzionati. La città di Milano è peraltro uno dei centri urbani che, in Italia, risulta essere più “attraente” per quanto concerne la nascita e lo sviluppo di spazi di co-working: uno dei principali fattori che hanno favorito un simile fenomeno è stato individuato nella tradizionale cooperazione tra autorità pubbliche, istituzioni educative e culturali e attori privati per quanto riguarda l’implementazione di progetti attinenti all’urbanistica della città (188).
Il near working sembra rientrare indubbiamente tra i progetti citati, proponendo un modello di città “policentrica”, basata sulla “prossimità” tra l’abitazione e il luogo di lavoro dei cittadini, sul modello della c.d. “città a 15 minuti” (189): gli spazi comunali dai quali è possibile lavorare da remoto, infatti, sono stati individuati grazie ad un’indagine relativa agli indirizzi di residenza dei dipendenti del Comune, la quale ha rivelato le zone della città in cui risiedevano il maggior numero di persone che avrebbero potuto beneficiare di tale iniziativa.
Tuttavia, è da considerare come le potenzialità della diffusione degli spazi di co- working non si riverberino unicamente sul tessuto urbano delle grandi città, ma, soprattutto nel contesto italiano, possano costituire un importante fattore di sviluppo per quanto riguarda le aree interne e meno industrializzate del paese (190). La
(187) Si veda, in materia, xxxxx://xxx.xxxxxx.xxxxxx.xx/-/xxxxxx.-xxxxxx-xxxxxxxxxx-xxxxx-xxxxx-x- modi-di-lavorare-per-una-citta-a-15-minuti
(188) I. XXXXXXXX, X. XXXXXX, X. DI VITA, Co-working Spaces in Milan: Location Patterns and Urban Effects, Journal of Urban Technology, 2017, Vol. 24, n. 3, p. 53.
( 189) Modello urbanistico teorizzato dall’urbanista Xxxxxx Xxxxxx nel 2016, il quale dovrebbe permettere ai cittadini di raggiungere tutti i servizi essenziali con uno spostamento della durata massima di un quarto d’ora. Vedi, in questo senso, X. XXXXXX, Droit de cité: De la "ville-monde" à la "ville du quart d'heure", L’Observatoire, 2020.
(190) Anche all’interno di AA.VV., Relazione finale del Gruppo di studio “Lavoro Agile” istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, p. 13, si sottolinea una possibilità per evitare la “domiciliarizzazione” del lavoro agile, nonché per favorire la c.d. transizione green, sia quella di prevedere uno sviluppo del fenomeno “calato nel contesto territoriale delle c.d. aree interne o fragili (quartieri delle grandi città e nei piccoli comuni): sedi raggiungibili a piedi o in bicicletta, sicure, ben attrezzate, connesse e con possibilità di ricomposizione sociale […] individuate coinvolgendo imprese, sindacati e comunità territoriali” (p. 13).
pandemia da COVID-19, e il parallelo aumento della percentuale di lavoratori che svolgono la prestazione da remoto ha fatto emergere alcune significative tendenze in merito alla distribuzione dei luoghi di lavoro nel territorio nazionale ( 191 ), impattando significativamente sullo «schema che lega la demografia ai siti produttivi», protagonista del modo di intendere il lavoro del 900 (192).
Da una parte, infatti, si registra la volontà delle aziende di ridimensionare i loro uffici all’interno delle aree urbane, trasferendo i dipendenti in sedi (hub) dislocate in altre zone del paese e adottando modelli organizzativi di full remote working. Secondo una recente ricerca condotta da Randstad e Fondazione per la Sussidiarietà, buona parte delle 31 aziende intervistate ha evidenziato la propria disponibilità a sviluppare progetti di questo tipo, da gestirsi come loro vere e proprie “filiali”, a condizione che le stesse siano collocati nelle vicinanze di infrastrutture di trasporto locali e che la visibilità aziendale sia comunque garantita (193).
Dall’altra parte, invece, si assiste a una tendenza, soprattutto da parte dei lavoratori con un’elevata familiarità con il lavoro da remoto, come ad esempio i c.d. freelance e i digital nomads, a lasciare i centri urbani al fine di sperimentare una qualità di vita più elevata, ripopolando borghi e aree meno urbanizzate del paese, stimolandone l’economia territoriale e creando veri e propri fenomeni di massa (194) come quello che in Italia è stato definito "south working” (195).
Appare significativo notare come, al fine di attrarre tali lavoratori all’interno delle aree menzionate, si moltiplicano iniziative, attuate sia da parte di privati che da amministrazioni comunali, caratterizzate dalla creazione di agevolazioni relative ai canoni di locazione, convenzioni con strutture ricettive, nonché spazi di co-working
(191) Le tendenze che seguono nel testo sono state individuate da I. M. XXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 135-136.
(192) X. XXXXXXX, Il lavoro senza mobilità: smart working e geografia sociale nel post-pandemia, in LD, 2022, n. 2, p. 432.
(193) RANDSTAD, FONDAZIONE PER LA SUSSIDIARIETÀ, South working per lo sviluppo responsabile e sostenibile del paese, 2022, p. 13. Tra le ragioni evidenziate dalle aziende per quanto concerne l’attivazione di simili soluzioni, si annoverano la possibilità di ampliare di contribuire allo sviluppo del paese (61%), il miglioramento del recruitment di alcune figure professionali difficili da reperire nel mercato (48%), la riduzione dei costi (35,5%).
( 194 ) Secondo un’indagine compiuta a novembre 2020 dall’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ) su 150 grandi imprese del centro nord, i lavoratori che dall’inizio della pandemia lavorano in smart working dal Sud sono circa 45 000. In tema, vedi SVIMEZ, Da Nord verso Sud: le opportunità del South working, 2020.
(195) Tale locuzione, crasi tra i termini “south” (sud) e “smart working”, è stato coniato da Xxxxx Xxxxxxxxx, ricercatrice dell’Università di Messina, la quale ha fondato un omonimo progetto “volto a diffondere la possibilità̀ di di lavoro agile da dove si desidera, e in particolare dalle regioni del Sud”, attraverso la sensibilizzazione degli stakeholder più rilevanti. Maggiori informazioni sul progetto sono reperibili presso il sito ufficiale dell’iniziativa, ossia xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx/
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
a loro dedicati (196), che assumono – secondo alcune interpretazioni – il ruolo di veri e propri «presidi di comunità» (197). Con riguardo a quest’ultimo elemento, alcuna letteratura ha sottolineato come i lavoratori della conoscenza che svolgono la propria prestazione negli spazi di co-working situati in aree periferiche/interne in Italia sono maggiormente soddisfatti di quelli che frequentano simili spazi situati in città, perché mostrano livelli di produttività e di benessere più elevati; le medesime ricerche mostrano inoltre come, allo stesso tempo, gli spazi di co-working nelle aree periferiche sembrino avere un impatto più significativo sull’economia locale rispetto a quelli all’interno delle aree urbane (198).
Insieme alle menzionate iniziative adottate a livello locale, è poi da segnalare la nascita di speculari azioni legislative volte a «favorire il lavoro agile all’interno dei piccoli comuni». Si fa riferimento, in particolare, al DDL n. 2316/2021 (primo firmatario Sen. Astorre), i cui contenuti principali si sostanziano nel riconoscimento di incentivi fiscali e contributivi ai datori di lavoro che promuovono lo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità di lavoro agile nei piccoli comuni per un periodo di tempo continuativo, ma all’interno del quale sono altresì presenti incentivi per favorire l’acquisto e il recupero di immobili abbandonati, l’insediamento di nuovi residenti, e per favorire lo sviluppo tecnologico utile alla diffusione del lavoro da remoto (come, ad esempio, la rete a banda ultra larga) all’interno delle piccole comunità locali (199).
Infine, adottando il principale punto di vista adottato in questo scritto, ossia quello relativo al diritto delle relazioni industriali, appare chiaro come una massiccia “dematerializzazione” e “decentramento” del lavoro conseguente ai fenomeni appena descritti possa avere un impatto significativo sulle dinamiche di rappresentanza datoriale e sindacale.
Per quanto concerne l’attività sindacale in senso stretto, si rileva come lo svolgimento delle tradizionali operazioni ad essa connesse sarebbe destinato a subire una forte rimodulazione, essendo le stesse fondate sull’incontro e sulla
( 196 ) Per una rassegna delle iniziative menzionate, si veda RANDSTAD, FONDAZIONE PER LA
SUSSIDIARIETÀ, South working per lo sviluppo responsabile e sostenibile del paese, cit., pp. 3-10.
(197) Così X. XXXXX, Tempo per lo spazio: riflessioni sui «luoghi» di lavoro, in LLI, 2023, n. 1, p. 13.
(198) X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXX, The rise of coworking spaces in peripheral and rural areas in Italy, Interpretazioni, 2021, n. 97 (supplemento), p. 36
(199) Per l’analisi di altre iniziative, locali e nazionali, finalizzate alla promozione del lavoro agile ai fini della riqualificazione delle aree interne del paese, si veda M. XX XXXXX, Il lavoro agile nelle (e per le) Aree interne, in M. XXXXXX, X. DEL XXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX (a cura di) Lavoro agile e smart working nella società post-pandemica: profili giuslavoristici e di relazioni industriali, 2022, ADAPT University Press, pp. 22-38.
vicinanza tra membri dell’organizzazione sindacale e lavoratori rappresentati (200), nonché dalla “fisicità” del lavoro presso i locali dell’impresa (201); l’esistenza di un luogo di lavoro “fisico”, infatti, appare fondamentale al fine di rafforzare la percezione dell’importanza del sindacato, anche facilitata dagli scambi diretti e la condivisione di esperienze con i colleghi (202).
Se l’informazione e l’esercizio dei diritti sindacali da parte dei lavoratori “virtuali”
(203) risulta gestibile con una certa facilità tramite l’attivazione di appositi strumenti quali bacheche elettroniche, mailing list o spazi virtuali all’interno dei quali svolgere le assemblee (204), maggiormente rilevanti invece appaiono le ricadute sul radicamento territoriale dell’associazione sindacale e sul processo di affiliazione in senso stretto, nonché su attività quali vertenze e scioperi (205).
Effetti altrettanto dirompenti potrebbero realizzarsi sui processi di negoziazione collettiva all’interno dei settori con un maggiore tasso di “telelavorabilità”: è stato infatti argomentato come, ad una significativa de-spazializzazione del lavoro, potrebbe conseguire la perdita di rilevanza di un intero livello di contrattazione, ossia il livello territoriale, solitamente parametrato sulle caratteristiche e sulle esigenze delle attività produttive localizzate in una determinata zona del Paese. È da considerare, tuttavia, come la medesima dinamica potrebbe invece rivitalizzare tale dimensione nel caso in cui i territori fossero concepiti come un «luogo di lavoro esteso», composti da «infrastrutture materiali e immateriali che abilitano ad un lavoro diffuso senza stabilità spaziale» (206).
Nonostante la portata dei potenziali effetti della remotizzazione del lavoro sulle dinamiche di rappresentanza e contrattazione appena elencate, non si registrano
( 200 ) M. D’ONGHIA, Remotizzazione del lavoro, relazioni sindacali e tutela della salute dei lavoratori, in X. XXXXXXX (a cura di), Tutela della salute pubblica e rapporti di lavoro, ESI, 2021, p. 251.
(201) A. XXXXXXXX, op. cit., p. 215.
(202) Così X. XXXXXXXX, X. PIASNA, Sowing the seeds of unionisation? Exploring remote work and work-based online communities in Europe during the Covid-19 pandemic, in (a cura di) N. CONTOURIS, V. XX XXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXX, The Future of Remote Work, ETUI, pp. 105- 106.
(203) È da segnalare come il tema dell’esercizio dei diritti sindacali dei lavoratori da remoto sia trattato dal Protocollo ministeriale del 7 dicembre 2021, il quale gli dedica un’apposita disposizione (art. 8) e lo include tra i contenuti necessari dell’accordo individuale di lavoro agile (art. 2, c. 2, lett. i)). Tuttavia, A. XXXXXXXX, op. cit., p. 218, mette in evidenza come all’interno delle disposizioni dello Statuto dei Lavoratori in materia di diritti sindacali sia spesso fatto riferimento al “luogo di lavoro” o all’ “unità produttiva”, concetti difficilmente declinabili in un contesto di lavoro a distanza.
(204) Tale soluzione è già adottata da diversi accordi aziendali di lavoro agile stipulati tra il 2017 e il 2020. Vedi, in questo senso, ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2020). VII Rapporto ADAPT, ADAPT University Press, 2021, pp. 315-396.
(205) Si consenta il rinvio a X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, Le sfide dei sindacati all’epoca dello smart working, Sviluppo&Organizzazione, 2021, ottobre-novembre, p. 63.
(206) Ibidem.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
iniziative sviluppate da parte delle associazioni di rappresentanza volte ad affrontare le trasformazioni della geografia del lavoro in corso all’interno del paese, fatta in parte eccezione per l’Accordo Interconfederale Regionale citato in apertura del presente paragrafo. Anche all’interno di tale accordo, tuttavia, la riflessione sulle conseguenze della de-spazializzazione del lavoro e sull’uso degli spazi di co- working come strumento per ricreare, almeno in parte, le “comunità” di lavoratori collegate a uno spazio fisico di lavoro (207), appare ancora in stato embrionale, seppure maggiormente sviluppata rispetto ai rari accordi aziendali che esplicitano meramente la possibilità per i lavoratori agili di svolgere la prestazione all’interno di tali spazi (208).
(207) Ibidem. Gli AA. Suggeriscono come, sia al fine di favorire momenti di socialità tra lavoratori da remoto che il mantenimento del contatto con l’associazione di rappresentanza di appartenenza potrebbe essere utile mettere a disposizione, all’interno dei locali delle sezioni territoriali del sindacato o degli enti bilaterali, spazi di co-working all’interno dei quali i lavoratori agili possano svolgere la propria prestazione fianco a fianco a lavoratori del medesimo settore. La creazione di spazi di co-working come strategia sindacale in grado di contrastare i fenomeni di frammentazione ed isolamento dei lavoratori digitali è menzionata anche da D. DI NUNZIO, L’azione sindacale nell’organizzazione flessibile e digitale del lavoro, in ESR, 2018, n. 36(2), pp. 84-85.
(208) Si vedano, a titolo esemplificativo, l’accordo Airliquide del 14 aprile 2022 e l’accordo Sicor
del 6 maggio 2022, entrambi firmati da Filctem-CGIL, Femca-CISL e Uiltec-UIL.
IL TEMPO DI LAVORO
Sommario: 1. Il contesto: fordismo, post-fordismo, oggettivazione e soggettivazione del tempo- lavoro. - 1.1. Il peso del tempo nell’organizzazione del lavoro da remoto. - 2. Lavoro agile e tempo di lavoro: una prospettiva di relazioni industriali. - 2.1. Il F.O.R. Working nel settore chimico-farmaceutico. – 3. Misurazione del tempo di lavoro e diritto alla disconnessione. – 4. Prime conclusioni sulla tematica.
1. Il contesto: fordismo, post-fordismo e oggettivazione e soggettivazione del tempo lavoro.
La dimensione temporale ricopre, da sempre, un ruolo centrale nell’organizzazione del lavoro. Non è un caso, infatti, che la letteratura che si è premurata di descrivere le trasformazioni dei modelli produttivi nel corso degli ultimi secoli abbia spesso rivolto la propria attenzione all’evoluzione del concetto di tempo-lavoro, la quale risulta rifletterne in modo particolarmente evidente le differenti fasi.
Per quanto riguarda la concezione del tempo nella società preindustriale e le sue progressive trasformazioni tra il 18esimo e il 19esimo secolo, appare particolarmente rilevante un celebre studio compiuto dal sociologo britannico Xxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx nel 1967, il quale ha posto le fondamenta per numerose successive opere scientifiche focalizzate sul tema.
All’interno dello studio viene descritto come prima dell’avvento dell’industrializzazione la durata della giornata lavorativa fosse caratterizzata da una forte irregolarità, dipendendo in massima parte dalla natura e dall’entità dei “compiti” che dovevano essere portati a termine (209). Il tempo, in questo contesto,
(209) X. X. XXXXXXXX, Time, Work-Discipline, and Industrial Capitalism, Past & Present, 1967, n. 1, p. 60. L’autore descrive questa concezione del tempo come “task-oriented” e afferma che questa risultava applicarsi non solo al lavoro agricolo, fortemente legato alle variabili connesse al susseguirsi delle stagioni o al tempo meteorologico, ma anche al lavoro manifatturiero: all’interno della bottega, l’artigiano modulava la durata della sua attività lavorativa in parte sulla base della domanda dei suoi clienti, e in parte in relazione alla contingente “fase” in cui si trovava il processo di creazione di uno specifico artefatto (p. 71). Dall’altra parte, il sociologo britannico sottolinea altresì come nonostante i modelli produttivi della società preindustriale non necessitassero di una puntuale suddivisione temporale del lavoro, all’interno della stessa fossero già presenti arcaiche forme di misurazione del tempo della prestazione, in particolar modo nel contesto di quei rapporti di lavoro caratterizzati dalla presenza di un soggetto che forniva la propria prestazione “alle dipendenze altrui”. In questa prospettiva, la misurazione del tempo di lavoro rifletteva la relazione intercorrente tra le due parti del rapporto, in modo funzionale a creare un confine tra il tempo “del lavoratore” e quello che metteva a disposizione della sua controparte (p. 61).
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
acquisiva dunque una natura ciclica, e non lineare (210) il che favoriva un’ampia sovrapposizione tra il tempo di lavoro e il tempo “di vita” dei lavoratori.
Al contrario, la diffusione di nuove tecnologie, prima fra tutte l’orologio meccanico ( 211 ) e di modelli di produzione industriale fondati sulla segmentazione e sincronizzazione dei processi (212) favorì la concezione del tempo-lavoro come un’entità esterna rispetto al lavoratore che svolge la prestazione, «misurabile e scomponibile in modo regolare» (213) nonché de-contestualizzato da ogni altro tipo di evento che accade durante il suo trascorrere (214).
Tale processo viene spesso descritto come «oggettivazione» del tempo (215), al quale è complementare la sua «mercificazione» all’interno del contratto di lavoro. Differentemente da quanto avveniva in epoca preindustriale, si diffonde infatti l’idea per cui ad essere vendute sul mercato del lavoro non fossero le competenze del lavoratore stesso, ma il suo tempo: la naturale conseguenza fu lo sviluppo di modelli retributivi fondati sulla corresponsione di un certo controvalore economico per ogni unità temporale (la c.d. “ora-lavoro”) in cui il lavoratore svolgeva la propria prestazione (216).
I limiti temporali posti al rapporto di lavoro subordinato post-industrializzazione, dunque, assumevano la duplice funzione di caratterizzare la relazione tra lavoro e salario, nonché di identificare inequivocabilmente la parte del giorno, della settimana o dell'anno del lavoratore che era sotto il controllo e la disponibilità del datore di lavoro (217). Questo si tradusse, con tutta evidenza, nell’introduzione della
(210) E. GÉNIN, Proposal for a Theoretical Framework for the Analysis of Time Porosity, in IJCLLIR, 2016, 32, n. 3, p. 282.
(211) Si veda, ex multis, X. XXXXXXX, Technics and Civilisation, Xxxxxxxx, Brace & World, 1934,
p. 14. L’A. afferma che ‘‘the clock, not the steam engine [was] the key machine of the industrial age’’.
(212) X. XXXXXXX, Commodification, construction and compression: a review of time metaphors in organizational analysis, in International Journal of Management Review, 2001, n. 23, p. 134.
(213) X. XXXXXXXXX, Xxxxx working e destrutturazione temporale: opzioni di studio, in Sociologia Italiana, 2017, n. 10, p. 96.
(214) E. GÉNIN, op. cit., p. 282. L’autore puntualizza il concetto specificando che con l’oggettivazione
del tempo-lavoro “a given hour became identical to any other hour irrespective of its content”
(215) Il processo di oggettivazione del tempo-lavoro è descritto da X. XXXXXX, Tesi sullo statuto giuridico del tempo nel rapporto di lavoro subordinato, in X. XXXXXXXXX, X. XXXXXX (a cura di), Le dimensioni giuridiche dei tempi del lavoro, Xxxxxxx, 2009, p. 17, come «l’attribuzione di una forma alla sostanza ‘lavoro’ che lo renda delimitato, determinato, come scambio di oggetto contrattuale».
(216) X. XXXXXXX, op. cit., p. 134.
(217) X. XXXXXX, X. XXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXX, Working Time, Industrial Relations and the Employment Relationship, in Time & Society, 2001, Vol. 14, n, 1, p. 91. Per una prospettiva maggiormente legata alla sociologia politica, si veda X. XXXXXXXXXX, Gender equity and discourses of workplace flexibility, in Time & Society, 2002, Vol. 11 n. 2-3, p. 339, in cui si afferma che proprio
disciplina relativa all’“orario” all’interno della regolazione contrattuale del rapporto di lavoro (218), la quale ha progressivamente acquisito un ruolo tale da essere da taluni descritta come l’ «architrave» della fattispecie giuslavoristica (219): non è un caso, infatti, che molte delle lotte dei primi movimenti operai abbiano avuto come principale obiettivo proprio la regolazione e la limitazione dell’orario di lavoro (220), il quale è stato infatti oggetto di alcuni tra i primi interventi di Legge della storia per quanto concerne la disciplina eteronoma del rapporto di lavoro (221).
All’inizio del ventesimo secolo, nell’Occidente capitalistico si diffonde il «modello di produzione e consumo» (222) che più di ogni altro ha dato forma concreta al concetto di oggettivazione e mercificazione del lavoro, ossia il cosiddetto xxxxxx- fordismo (223). Tale modello produttivo, infatti, era basato sulla razionalizzazione, parcellizzazione e standardizzazione della stragrande maggioranza delle attività di lavoro, fondamentale per il fruttuoso funzionamento di quei «sistemi di macchine, basati su “tecnologie di concatenamento”, per le quali il sincronismo tra le diverse fasi della lavorazione e la regolarità dei flussi devono essere massime» (224).
La razionalizzazione xxxxxx-fordista, chiaramente, presupponeva altresì che le attività produttive fossero organizzate in modo tale da limitare fortemente l’apporto soggettivo della forza lavoro ( 225 ), fino al punto di rendere il lavoro umano
i confini temporali tra tempo di lavoro e di non-lavoro fornivano la cornice per il compromesso sociale da raggiungere tra il lavoro organizzato e il capitale.
(218) X. XXXXXXXXXX, AA.VV., Il tempo di lavoro. Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro,
Genova, 4-5 aprile 1986, Xxxxxxx, Milano, 1987, pp. 198-200.
(219) A. XXXXXXXX, L’orario di lavoro tra Xxxxx e autonomia privata, ESI, 2012, p. 1.
(220) Per una descrizione dell’evoluzione degli obiettivi del movimento operaio nelle sue lotte per la riduzione dell’orario di lavoro, si veda, ex multis, A. M. PONZELLINI, Tempo e lavoro. Una lotta per la libertà e altre storie, in Sociologia del lavoro, 2021, n. 161, pp. 249-251.
(221) X. XXXXXXXX, L’orario di lavoro tra presente e futuro, in LLI, 2022, n. 1, p. 115. L’A. sottolinea come “la limitazione dell’orario giunge con anticipo considerevole rispetto al momento in cui si è regolata l’alternativa fra assunzione a tempo indeterminato o a termine, o si è richiesta una giustificazione per legittimare il licenziamento”
(222) La definizione è di A. XXXXXXXXX, Dal fordismo al post-fordismo: il lavoro e i lavori, cit.
(223) Xxxx prende il nome dal suo padre fondatore, l’industriale Xxxxx Xxxx, il quale, ispirandosi alla teoria manageriale dell’ingegnere Xxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, negli anni Trenta del Novecento costruisce un’organizzazione aziendale di tipo “scientifico”, al fine di massimizzare la produttività dei suoi stabilimenti.
(224) X. XXXXXXX, Lavoro, trasformazioni sociali e scelte di vita, in RGL, 2020, n. 1, p. 7
(225) Sul tema, si veda, ex multis, E. XXXXXXX, Xxxxxx e conoscenza: fatica e speranza del nostro tempo, in A. CASELLATO (a cura di), Xxxxxx e conoscenza. Dieci anni dopo. Attualità della lectio doctoralis di Xxxxx Xxxxxxx a Ca’ Foscari. Atti del convegno. Venezia, 6 dicembre 2012, Firenze University Press, 2013. Da considerare anche la prospettiva di X. XXXXXXX, C’è lavoro sul web?, in LLI, 2015, n. 1, p. 10, secondo la quale, nella realtà produttiva xxxxxx-fordista, la “spersonalizzazione” della prestazione di lavoro era volta a “sancire la protezione inderogabile
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
potenzialmente sostituibile con quello delle macchine collocate all’interno dello stabilimento (226). Questo elemento si riflette anche nella concezione del tempo di lavoro: è stato sostenuto che, nel passaggio tra lavoro pre-industriale, industriale e xxxxxx-fordista, «i ritmi dell'orologio sostituiscono i ritmi fluttuanti; il ritmo della macchina sostituisce il ritmo del sé; il lavoro è al servizio della tecnologia» (227). Come è noto, nella seconda metà del secolo scorso si assiste a un declino del paradigma xxxxxx-fordista, il quale appare in massima parte legato al venire meno dei requisiti di contesto che ne garantivano la sostenibilità economica (228). Di conseguenza, l’impresa post-fordista (229) provvede a spogliarsi progressivamente di quelle caratteristiche che la rendevano eccessivamente rigida e strutturata, favorendo modelli organizzativi che le permettessero di reagire con prontezza alle variazioni di un mercato ormai difficilmente prevedibile ( 230 ): i «flussi della produzione» post-fordista divengono dunque «snelli» e «reattivi», nonché
«modulati mediante calendari che oscillano a seconda delle necessità» (231).
dell’individuo e della sua sfera privata contro l’indebita (ancorché necessaria) implicazione nel rapporto di lavoro, contro un’idea di subordinazione come vincolo di assoggettamento personale”.
(226) Secondo X. XXXXXXX, Tecnica, tecnologia e ideologia della tecnica nel diritto del lavoro, PD, 1986, n. 1, p. 89, ciò che differenzia in modo più significativo il lavoro artigiano dal lavoro fordista è che il primo era basato sul dominio dell’uomo sulla tecnica, intesa sia come oggetto che come metodo del lavoro, mentre il secondo presuppone invece la “disgiungibilità” della prestazione lavorativa dalla persona fisica del lavoratore che concretamente la svolge.
(227) X. XXXXXXX, op. cit., p. 135
(228) X. XXXXXXX, op. cit., p. 9, individua tali requisiti nella “piena elasticità del mercato rispetto all’offerta di volumi (illimitati) di prodotti industriali”. L’A. riporta anche un passo dell’Autobiografia di Xxxxx Xxxx, nella quale l’industriale spiegava come “la possibilità di dilatare costantemente i volumi produttivi era stato il «segreto» della sua capacità di abbassare simmetricamente i costi per unità di prodotto […] e dunque per assicurarsi quote aggiuntive di mercato tra quegli strati sociali dotati di un minor potere d’acquisto, secondo una dinamica a spirale che si autoalimentava”. Secondo X. XXXXXXXXX, Una transizione epocale per il mondo del lavoro, cit., p. 2, nel contesto post-fordista, invece, la produzione di massa di prodotti “standard”, svolta in stabilimenti di enormi dimensioni e attraverso procedure fisse e rigide, non appariva più idonea né a gestire la sempre maggiore concorrenza con i competitor, né a soddisfare con prontezza la mutevole domanda dei consumatori, la quale risultava sempre più variabile sia a livello quantitativo che a livello qualitativo, focalizzandosi con maggiore frequenza sulla ricerca di prodotti “individualizzati” e “personalizzati”.
(229) Il termine “post-fordismo” è stato coniato dalla cosiddetta “École de la Régulation”, scuola di pensiero francese di cui facevano parte economisti come Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx, Xxxxx Xxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxx.
(230) A. XXXXXXXXX, Una transizione epocale per il mondo del lavoro, cit., p. 3, ma anche X. XXXXXXX, The Corrosion of Character. The personal Consequences of work in the new capitalism, 1998, X. X. Xxxxxx & Company New York London, pp. 43-45, il quale descrive tale fenomeno come “flexible specialization”.
(231) A. XXXXXXXXX, Una transizione epocale per il mondo del lavoro, cit., p. 14.
Quest’ultima caratteristica ha dato origine, secondo ampia letteratura che si è occupata del tema, a una forte flessibilizzazione della prestazione di lavoro, la quale ha avuto notevoli riflessi sia sulla nascita di nuove tipologie contrattuali più o meno lontane dal lavoro subordinato “standard” a tempo indeterminato, che sui ritmi di lavoro e sugli schemi temporali adottati dai lavoratori negli stessi coinvolti (232). Contrariamente a quanto avvenuto all’inizio del secolo, le trasformazioni del tempo di lavoro lasciano dunque progressivamente il campo della durata (233), al fine di entrare in quello della differente “collocazione” delle ore di lavoro nel corso della giornata o della settimana lavorativa, attraverso l’uso di strumenti quali turni, lavoro straordinario, orari di lavoro flessibili e/o multiperiodali (234).
Chiaramente, tali rilevanti trasformazioni organizzative, così come il loro impatto sulla natura e sulle condizioni dei rapporti di lavoro, hanno catturato l’attenzione di numerosi commentatori, appartenenti non solo all’area della sociologia dell’organizzazione ma anche a quella giuslavoristica.
Il giurista francese Xxxxx Xxxxxx (235), ad esempio, si riferisce al concetto di “tempo di lavoro” nelle nuove forme di organizzazione del lavoro come «eterogeneo» e, soprattutto, «individuale», in ragione del suo essere fondato sull’ «autodisciplina di categoria, di impresa o di stabilimento […] fino al limite dell’individuo stesso» (236). Questo trend, a parere di Xxxxxx, crea tre problemi fondamentali: innanzitutto, all’abbandono del paradigma fordista per cui il tempo era uno “standard generale” con cui misurare il lavoro, consegue la necessità di individuare altri strumenti a tal fine; secondariamente, la flessibilizzazione nell’organizzazione del lavoro porta ad una progressiva frammentazione del tempo, la quale, dal punto di vista del
(232) X. XXXXXX, Working time in the new social and economic context, in Transfer: European Review of Labour and Research, 2001, Vol. 7, n. 2, pp. 200-201. Si veda, inoltre, A. L. XXXXXXXXX, Non- standard employment relations: part-time, temporary and contract work, in Annual Review of Sociology, 2000, n. 26, p. 342, la quale fa notare come proprio nella seconda metà degli anni ‘70 si inizino a diffondere i primi esempi di quelli che la letteratura anglosassone definisce “non-standard work arrangements” come i rapporti di lavoro part-time, a tempo determinato, tramite agenzia.
(233) Con rilevanti eccezioni nel corso degli anni 90’ in Europa, quali ad esempio l’introduzione della Legge Xxxxx in Francia nel 1998, la quale ha ridotto la settimana lavorativa dei lavoratori del paese a 35 ore, e l’attivismo delle parti sociali tedesche in alcuni specifici settori industriali. Tali avvenimenti sono ricostruiti da A. XXXXXXXXX, La risacca: il tempo di lavoro in Europa nell’epoca della globalizzazione, Economia e Lavoro, 2010, n. 2, pp. 99-112.
(234) A. M. PONZELLINI, Tempo e lavoro. Una lotta per la libertà e altre storie, cit., pp. 252-253.
(235) Il giurista francese è stato, nel 1998, coordinatore di un gruppo di esperti incaricato dalla Direzione Generale Occupazione e Affari Sociali della Commissione europea di stendere un rapporto circa il futuro del diritto del lavoro nel terzo millennio. Il Rapporto prende l’indicativo nome di “Transformation of labour and future of labour law in Europe”, ma ad esso ci si riferisce, comunemente, proprio come “Rapporto Supiot”.
(236) A. XXXXXX, Alla ricerca della concordanza dei tempi (le disavventure europee del “tempo di lavoro”), in LD, 1997, n. 1, pp. 20-24.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
lavoratore, può procurare un incremento della libertà così come del livello di subordinazione ( 237 ); in ultimo, esso rende inefficace ogni legislazione che considera il tempo come un elemento “dovuto” nel sistema delle relazioni di lavoro (238).
È da notare come simili rilevazioni siano altresì condivise da parte di alcuna letteratura giuslavoristica italiana. Secondo il giurista barese Xxxxxxxx Xxxxxx, nella modernità del lavoro il «tempo-produttivo» (239) del lavoratore non coincide più con «il tempo scandito dall’orologio» come invece avveniva in passato (240): le caratteristiche del processo produttivo post-fordista, basato sulla necessità di assecondare «le oscillazioni qualitative e quantitative della domanda» necessitano di un tempo-lavoro «a struttura variabile», non misurabile a priori, bensì soltanto a posteriori (241). Tale circostanza causa la «de-oggettivazione» (242) dell’oggetto del contratto di lavoro, la cui indeterminatezza ne rende difficilmente individuabile il valore di scambio (243).
(237) Opinione condivisa da E. GÉNIN, op. cit., p. 285, secondo il quale la produttività del sistema post-fordista non deriva tanto dall’eliminazione dei “tempi morti” quanto dal trarre vantaggio dalla flessibilità e dalla disponibilità continua dei lavoratori, nonché da X. XXXXXX, X. XXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXX, op. cit., p. 92, secondo i quali l’uso di schemi temporali flessibili rappresenta un mezzo per il datore di lavoro per estendere i momenti del giorno, della settimana e dell’anno in cui può chiedere al proprio staff di svolgere la prestazione.
( 238 ) A. SUPIOT, The transformation of work and the future of labour law in Europe: A multidisciplinary perspective, in ILR, 1999, Vol. 138, n.1, p. 38.
( 239 ) Xxxxx, il tempo “assoggettato al potere del creditore per l’organizzazione del processo produttivo” derivante dall’obbligazione contrattuale. Così X. XXXXXX, Il tempo di lavoro nel contratto di lavoro subordinato: critica sulla de-oggettivazione del tempo-lavoro, Xxxxxxx, 2008, p. 215.
(240) Ivi, p. 56. Lo stesso A. descrive come, durante il periodo del primo sviluppo industriale, all’interno delle città fosse stata favorita l’edificazione di grandi torri municipali dotate di orologi, i quali scandivano gli orari di entrata ed uscita degli operai all’interno delle fabbriche.
(241) Ivi, pp. 243-244. Simili concetti erano stati espressi in precedenza anche da R. DE XXXX XXXXXX, Il tempo nel rapporto di lavoro, in DLRI, 1986, il quale sottolineava in particolare come tali istanze imprenditoriali trovassero significativi punti di convergenza con “una precisa e crescente domanda dei lavoratori di partecipare a una gestione del tempo di lavoro” (p. 435) finalizzata ad “una gestione più elastica e personalizzata degli orari in un’ottica di riappropriazione e governo di una delle variabili essenziali della qualità della vita dell’individuo” (p. 436).
(242) Xxxxx, il “processo di de-sincronizzazione del tempo di lavoro produttivo dal tempo di lavoro
effettivo, il cui governo è attribuito al potere unilaterale di organizzazione”. Xxx, p. 257.
( 243 ) All’interno delle proprie opere, Xxxxxx critica spesso l’evoluzione del tempo di lavoro nell’epoca post-fordista, opponendo argomentazioni simili a quelle di Supiot: egli denuncia, infatti, come l’indeterminatezza del tempo di lavoro “produttivo” implichi non solo “l’assoggettamento del lavoro come oggetto, ma anche del lavoro come soggetto”, cancellando “il confine tra tempo della subordinazione e tempo della libertà”, e “mettendo a produrre tutta la persona”. Così X. XXXXXX, Questioni in diritto su lavoro digitale, tempo e libertà, in RGL, 2018, n. 1, p. 51.
La soluzione individuata da Xxxxxx al fine adattare il concetto di tempo di lavoro ai modelli produttivi della modernità, evitando di ricadere nelle disfunzioni evidenziate, è quella di evitare di concepire il tempo di lavoro unicamente come elemento “oggettivo”, ossia come unità di misura per quanto riguarda lo scambio lavoro-retribuzione, ma invece come una esperienza di tipo “soggettivo” ossia come una frazione del tempo nella vita del lavoratore, e ripensare, di conseguenza, i termini con cui lo stesso dovrebbe essere negoziato a livello collettivo (244). Il giurista francese sembra rifarsi, in questo passaggio, a quegli studi attinenti all’ambito della sociologia dell’organizzazione che accolgono una concezione del tempo «inseparabile dalla dimensione esperienziale dei soggetti», la quale porta gli stessi ad «assumere le loro esperienze come unità d’analisi imprescindibili per lo studio del tempo dell’organizzazione» (245).
L’idea di valorizzare la dimensione “soggettiva” del tempo di lavoro a fronte di quella “oggettiva” sembra riapparire negli anni più recenti, alla luce delle nuove ed ulteriori trasformazioni della realtà produttiva.
Come descritto da ampissima letteratura scientifica, negli ultimi decenni si assiste infatti ad un progressivo declino del lavoro “di fabbrica” a favore della diffusione del lavoro c.d. “immateriale” ( 246 ), inteso come prestazione che «si sviluppa nell'orizzonte produttivo dei servizi […] caratterizzata da nuovi contenuti relazionali e comunicativi» ( 247 ). I nuovi modelli organizzativi, si afferma,
«implicano maggiori conoscenze, partecipazione e autonomia da parte del lavoratore», chiamando in causa «le sue competenze non solo tecniche ma anche personali e sociali» (248). A questa «riscoperta della dimensione qualitativa del lavoro» (249) consegue «una mobilitazione e un’implicazione attiva dell'insieme
( 244 ) A. SUPIOT, The transformation of work and the future of labour law in Europe: A multidisciplinary perspective, cit., p. 38.
(245) X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 99. L’autore fa riferimento, in particolare, agli studi condotti dal sociologo americano D. F. XXX negli anni Cinquanta, quali ad esempio il celebre Banana Time: Job Satisfaction and Informal Interaction, in Human Organizations, 1959, n. 18, in cui egli analizza le interazioni sociali all'interno di un piccolo gruppo di operai all’interno di una fabbrica, durante un periodo di due mesi di osservazione partecipante.
(246) Xxxxxxxx derivante dalla filosofia marxista, il quale è stato oggetto di differenti elaborazioni da parte di sociologi e filosofi contemporanei. Si vedano, ad esempio, le opere di A. XXXX, L'immateriale: conoscenza, valore e capitale, Bollati Boringhieri, 2003, M. LAZZARATO, Lavoro immateriale. Forme di vita e produzione di soggettività, Ombre Corte, 1997, A. XXXXX, Capitalisme cognitif et fin de l’économie politique, Multitudes, 1997, n. 4.
(247) X. XXXXXXXX, X., XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, Le ragioni per una nuova rivista sul lavoro che cambia, Professionalità Studi, n. 1, 2017, p. 1.
(248) Ibidem.
(249) Ibidem. Parlava dell’emersione di “fattori di valutazione qualitativa della prestazione” che attenuavano il rilievo del tempo nella misurazione economico-giuridica della prestazione già R. DE
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
delle conoscenze e dei tempi di vita dei dipendenti» (250) in cui i confini tra lavoro e non lavoro appaiono ancora più sfumati e «porosi» (251).
Elemento determinante per quanto riguarda la progressiva “dematerializzazione” del lavoro è senza dubbio rappresentato dall’enorme sviluppo dell’information technology e dalla graduale diffusione dell’uso di internet; fattori che, come è noto, consentono a una sempre più vasta porzione di lavoratori di fornire la propria prestazione anywhere ma soprattutto, per quanto concerne la presente ricerca, anytime. Secondo un report congiunto di Eurofound e ILO sul tema, i lavoratori che utilizzano tecnologie digitali per fornire la propria prestazione godono in effetti di un maggiore grado di autonomia nella collocazione dei propri orari di lavoro; allo stesso tempo, tuttavia, viene rilevato come gli stessi siano tendenzialmente sottoposti a tempi di lavoro più estesi di coloro che invece non ne fanno uso (252). Da questi dati, alcuna letteratura giuslavoristica deduce come, nel contesto del lavoro svolto attraverso la tecnologia digitale, il tradizionale criterio “quantitativo” di misura della prestazione, identificato con il fattore temporale, risulti “svalutato” a causa «dell’intensificazione dei ritmi imposti dalla connessione continua e dalla dilatazione dell’impegno richiesto al lavoratore della rete» ( 253 ); si evidenzia,
XXXX XXXXXX, op. cit., p. 470, riferendosi alla c.d. “intensità” del lavoro, nonché all’influenza dei processi di formazione e apprendimento nei settori ad alta specializzazione.
( 250) F. XXXXXX, Fuga dal tempo misurato: il contratto di lavoro tra subordinazione e lavoro immateriale, RIDL, 2010, n. 2, p. 431. Simile concetto è espresso da X. XXXXXXX, Note sul lavoro subordinato 4.0, in DRI, 2018, n. 4, p. 1070, la quale evidenzia come il lavoratore subordinato moderno sia spesso chiamato ad “autodeterminare la propria attività” o comunque “contribuire alla sua progettazione”; azioni, queste, che “incidono su diversi corollari” della prestazione stessa, quali ad esempio l’orario di lavoro, rispetto a cui, secondo l’A. “potranno rivelarsi utili per l’adempimento anche tempi diversi da quelli specificamente dedicati all’esecuzione della prestazione”.
(251) E. GÉNIN, op. cit., p. 285, definisce il concetto di porosità temporale come un “fenomeno di interferenza tra temporalità professionale e personale”. Al fine di evidenziare la progressiva commistione dei tempi di lavoro e di non lavoro all’interno delle relazioni di lavoro, in letteratura si fa anche spesso riferimento al concetto di “work-life blending”, ossia “quel fenomeno di assottigliamento e progressivo annullamento della demarcazione tra tempo di lavoro e tempo della vita privata che […] rappresenta un rischio inedito e la vera sfida del lavoro del futuro” Così X. XXXXXXXXX, Il work-life blending nell’era della on demand economy, in RGL, 2019, n. 1, pp. 52-53.
(252) X. XXXXXXXXX, X. XXXXXX LLAVE, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX,
Working anytime, anywhere: the effects on the world of work, 2017, Eurofound, ILO, pp. 21-25.
(253) X. XXXXXXX, Quali regole per il lavoratore-utente del web? Scambio economico e tutele, in X. XXXXXXX (a cura di) Web e lavoro, profili evolutivi e di tutela, 2017, p. 161. Secondo l’autrice, infatti, nell’epoca del “capitalismo […] caratterizzato da tecnologie digitali […] si registra un assorbimento della vita nel lavoro, frutto della costrizione costante del prestatore all’interno di un mercato globale e interconnesso in cui l’elevata offerta di prestazioni e l’annullamento dei costi di transizione permesso dalla rete comportano una continua minaccia di espulsione”. In una simile prospettiva si colloca M. FORLIVESI, Alla ricerca di tutele collettive per i lavoratori digitali: organizzazione, rappresentanza, contrattazione, in LLI, 2018, vol. 4, n. 1, pp. 38-39
infatti, come «l’apporto di utilità organizzativa della prestazione di lavoro tenda a
configurarsi più come «qualità» del tempo di lavoro che come “quantità” » (254).
1.1. Il peso del tempo nell’organizzazione del lavoro da remoto.
La ricostruzione “storica” dell’evoluzione del concetto di “tempo” nel contesto dell’organizzazione del lavoro e delle sue conseguenze sulla configurazione giuridica del rapporto di lavoro risulta fondamentale al fine di inquadrare il principale tema oggetto di analisi del presente capitolo, ossia la dimensione temporale del lavoro agile. Tale modalità di esecuzione della prestazione, infatti, appare facilmente ascrivibile ai fenomeni relativi all’evoluzione dei modelli organizzativi connessi all’innovazione tecnologica, e alla de-materializzazione della prestazione di lavoro descritti negli ultimi capoversi del precedente paragrafo. È da notare, in questo senso, come durante i primi anni in cui lo svolgimento della prestazione da remoto ha iniziato a diffondersi come potenziale modalità di organizzazione del lavoro, l’attenzione dei commentatori sia stata prevalentemente concentrata sulla dimensione spaziale del fenomeno, vale a dire, sulle conseguenze dell’esecuzione della prestazione in luoghi diversi dalla tradizionale sede di lavoro (255). Era opinione comune, infatti, che la caratteristica principale delle modalità di svolgimento della prestazione attraverso strumenti appartenenti al campo dell’information technology, quali, ad esempio, il telelavoro, fosse quella della “de- localizzazione” delle attività lavorative, sulla quale, dunque, dovevano essere concentrate le principali linee di analisi (256).
Le conseguenze sul tempo-produttivo dei lavoratori da remoto sono state invece esplorate in maggior misura in tempi più recenti, in corrispondenza della progressiva diffusione di modelli organizzativi, quali, ad esempio, lo smart working, la cui aspirazione sembra essere quella di “de-strutturare” non solo l’unità di luogo di lavoro, ma anche e soprattutto il tempo di lavoro, attraverso «la
(254) X. XXXXXX, Questioni in diritto su lavoro digitale, tempo e libertà, cit., p. 54. Il medesimo A., in Produttività, lavoro e disciplina giuridica, in RGL, 2009, n. 2, p. 213, afferma come proprio l’utilità organizzativa del lavoratore corrisponda al “valore del lavoro”, il quale a sua volta “prescinde dal paradigma quantitativo del valore-tempo calcolato con la nozione di orario di lavoro effettivo”.
(255) Tema approfonditamente indagato all’interno del capitolo II della presente ricerca.
(256) Si veda, in questo senso, la ricostruzione di G. CHIARO, G. XXXXX, X. XXXXX, op. cit., p. 71. Per la dottrina giuslavoristica, si veda M. BROLLO, Le dimensioni spazio-temporali dei lavori - Il rapporto individuale di lavoro, Giornate di Studio AIDLASS, Campobasso, 25-26 maggio 2023, pp. 26-27, la quale sottolinea come tale prospettiva sia stata adottata anche all’interno dei contratti collettivi aziendali dell’epoca, i quali sancivano come l’orario di lavoro dei telelavoratori fosse da considerarsi identico rispetto a quello dei lavoratori in presenza (c.d. “telelavoro taylorizzato”).
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
dissoluzione di vincoli e confini temporali predeterminati» (257), circostanza che, secondo alcuni, ne costituisce peraltro «una delle potenzialità di maggior rilievo» (258).
Ad oggi, dunque, sono reperibili numerosi approfondimenti in materia, opera sia della letteratura sociologica che giuslavoristica, i quali sono tendenzialmente volti a presentare “luci ed ombre” della nuova dimensione temporale del lavoro smart. Da una parte, come evidenziato all’interno del primo capitolo della presente ricerca, si sostiene come l’autoregolamentazione del tempo di lavoro, permettendo un generale aumento del livello di responsabilità e autonomia dei dipendenti, possa favorire sia la competitività aziendale che la loro conciliazione-vita lavoro.
Allo stesso tempo, non manca invece chi ha evidenziato i potenziali rischi di una simile modalità di organizzazione temporale. In coerenza con quanto segnalato nel precedente paragrafo per quanto concerne i lavoratori che fanno ampio uso di tecnologie digitali, alcune ricerche hanno rilevato come gli smart worker siano spesso soggetti a fenomeni di ampliamento del proprio tempo di lavoro e speculare erosione del proprio diritto al riposo ( 259 ). Tale circostanza appare significativamente rilevante soprattutto da una prospettiva legata alla tutela della salute e alla sicurezza sul lavoro: spesso, infatti, si argomenta come la tendenza allo sfumare di netti confini tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro presenti significativi rischi in termini di interferenze tra il lavoro e la vita familiare (260),
(257) X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 92.
(258) X. XXXX, X. XXXXXXXX, Alla ricerca di un bilanciamento tra autonomia organizzativa del lavoratore e poteri datoriali nel lavoro agile, in Labor, 2021, n. 1, p. 37
(259) Si veda, ad esempio, la ricerca condotta dalla Fondazione Xxxxxxx Xxxxxxxxx, in collaborazione con la sede milanese della Fiom-CGIL e l’Università degli Studi di Milano Statale attraverso la diffusione di questionari diretti ai lavoratori agili del settore ICT nella provincia di Milano – la quale ha rivelato che il 78,17% dei rispondenti, quando svolge la prestazione da remoto, lavora un numero di ore giornaliere superiore a quando lavora all’interno dei locali aziendali. Per un approfondimento sulla ricerca menzionata, si veda X. XXXXX, Le condizioni di lavoro nelle imprese ICT e lo smart working, LLI, 2021, Vol. 7, n. 2, pp. 64-67.
(260) X. XXXXXX, S., BERTOLINI, X. XXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXX, DigitalAgile: The Office in a Mobile Device. Threats and Opportunities for Workers and Companies”, in E. XXXX, X. XXXXX, X. XXXXXX,
O. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, Working in Digital and Smart Organizations. Legal, Economic and Organizational Perspectives on the Digitalization of Labour Relations, 2018, Palgrave Macmillan/Springer, pp. 210-213.
iper-connettività, isolamento e burnout (261), nonché stress lavoro-correlato e più specificamente «tecno-stress» (262).
Da un punto di vista prettamente giuridico-economico, la discussione accademica è invece principalmente concentrata sui riflessi della flessibilità temporale che dovrebbe, da un punto di vista organizzativo, essere connaturata al lavoro agile, sul rapporto di lavoro subordinato tradizionalmente inteso: ci si domanda, infatti, se il tempo possa essere ancora oggi considerato il principale mezzo di determinazione dell’oggetto del contratto di lavoro, nonché la preminente unità di misura per quanto concerne il valore di scambio della prestazione (263), oppure se debbano essere individuate “diverse metriche” a tal fine (264) legate ad esempio al raggiungimento degli “obiettivi” o “risultati” connaturati alla prestazione lavorativa (265), richiamati
(261) X. XXXXXXX, op. cit., p. 24, Tale circostanza è ampiamente trattata anche dalla letteratura internazionale: si veda, ad esempio, X. XXXXX, The Janus face of the ‘New Ways of Work’. Rise, risks and regulation of nomadic work, ETUI Working Paper, 2013, n. 7, pp. 10-20, ma anche X. XXXXXXX, Building new places of the creative economy. The rise of the coworking spaces, 2nd Geography of Innovation International Conference, 2014, p. 5, che si concentra sul rischio di iperconnessione per i c.d. knowledge workers.
(262) Per una prima definizione del termine, si veda X. XXXX, The human cost of the computer revolution, 1984, Xxxxxxx Xxxxxx Publishing Company, in cui lo psicologo statunitense definisce il tecno-stress come il negativo impatto psicologico della tecnologia sulle persone. Per un inquadramento del fenomeno maggiormente calibrato sul contesto delle relazioni di lavoro, si veda, ex multis, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. CIFRE, The dark side of technologies: Technostress among users of information and communication technologies, in International Journal of Psychology, 2013, Vol. 48, n. 3, pp. 422–436.
( 263 ) Di questa opinione X. X. XXXXXXX, Sul principio di proporzionalità quantitativa della retribuzione al “lavoro prestato” ex art. 36 Cost., in LLI, 2022, n. 1, pp. 94-98. L’A. argomenta che, stipulando un contratto di lavoro subordinato, il lavoratore vincola inevitabilmente una certa quantità del proprio tempo a favore di altri; da ciò deriva che, in ossequio all’art. 36 Cost, il quale a sua volta “vincola l’autonomia privata a rispettare un equilibrio oggettivo di tipo quantitativo fra le due prestazioni principali” (p. 94) “il solo criterio oggettivo che individua la prestazione quantitativamente dovuta e simultaneamente permette di misurare quantitativamente la compressione della libertà personale dell’individuo è proprio e solo il tempo” (p. 97). In questa prospettiva, ciò risulta vero anche per quei lavoratori subordinati “sottratti in larga parte alla disciplina limitativa (e quindi alla misurazione) dell’orario”, individuati dall’art. 17, comma 5, d.lgs.
n. 66/2003: questo poiché tale norma non può derogare “la regola generale che vuole che la retribuzione sia misurata in proporzione al tempo di lavoro” dato che il fondamento di quella regola deriva “dalla lettura congiunta di un imperativo costituzionale e dalle caratteristiche imprescindibili della prestazione che connota il contratto di lavoro subordinato” (p. 98).
(264) In questo senso, vedi M. DEL CONTE, op. cit., p. 558. Secondo X. XXXXXXXXX, Lavoro agile e orario di lavoro, in DRI, 2022, n. 2, p. 394, “la necessità di rivedere la struttura della retribuzione […] discende dall’analisi degli elementi caratterizzanti il lavoro agile” e in particolare dalla circostanza per cui “il tempo non è più l’unità di misura del lavoro”.
(265) In una prospettiva storica, è bene sottolineare come già durante i primi anni di diffusione del lavoro da remoto tramite tecnologie digitali la dottrina giuslavoristica già individuasse il c.d.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
dalla stessa Xxxxx che regola il lavoro agile all’interno dell’ordinamento italiano, o all’ancora poco esplorato fattore denominato “professionalità” dei lavoratori (266). Per quanto concerne il tema attualmente oggetto di esame, tuttavia, è primariamente importante rilevare come anche la de-strutturazione temporale connaturata allo smart working possa essere agevolmente classificata all’interno della dicotomia oggettivazione-soggettivazione del tempo di lavoro, protagonista, come descritto nel precedente paragrafo, degli studi sull’evoluzione storica dei modelli produttivi nel corso del Novecento e non solo.
Come evidenziato all’interno di un corposo saggio del sociologo contemporaneo Xxxxxx Xxxxxxxxx, se il tempo di lavoro è inquadrato nella tradizionale concezione “oggettiva”, lo smart working non appare mirare alla totale eliminazione dei confini temporali della prestazione, bensì rappresenta semplicemente «l’opportunità di perseguire una scomposizione del tempo di razionalità superiore» modificando e adattando la struttura del tempo dell’organizzazione al «tempo esterno» della società e alle nuove esigenze dei mercati (267). Se si adotta invece una prospettiva di tipo soggettivista, lo smart working appare, al contrario, come un «generatore di nuove strutture temporali e nuove dialettiche tra tempi diversi» espressione non di una razionalità neutra e superiore, bensì derivanti dagli «equilibri nei rapporti di potere che innervano l’organizzazione» (268).
È da notare, in questo senso, come sia che si adotti la prospettiva oggettivista, che quella soggettivista, l’uso delle fonti collettive appare particolarmente adeguata al fine di indagare il concetto di tempo-lavoro nel contesto del lavoro agile. La contrattazione collettiva, infatti, è da molti considerato il mezzo maggiormente idoneo al fine di adattare l’organizzazione e le condizioni di lavoro nei diversi settori produttivi alle contingenti esigenze della società e dei mercati, attivandosi,
“telelavoro” come prestazione il cui oggetto appare maggiormente riconducibile alla valutazione dei risultati che del tempo-lavoro: così R. DE XXXX XXXXXX, op. cit., p. 458. La medesima argomentazione è poi ripresa da X. XXXXX, Il tempo di lavoro. Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Genova, 4-5 aprile 1986, Xxxxxxx, 1987, p. 158.
(266) La teoria che vede la professionalità come oggetto del rapporto di lavoro ha in realtà radici piuttosto risalenti, essendo richiamata negli scritti di X. XXXXXX, X. XXXXXXX, B, VENEZIANI, Tre commenti alla Critique du droit du travail di Xxxxxx, DLRI, 1995, n. 67, p. 476, nonché di M. NAPOLI, Contratto e rapporti di lavoro, oggi, in AA.VV., Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1995, tomo II, p. 1122. Più recentemente, si veda X. XXXXXXXXXX, Mercati, Regole, Valori, Giornate di Studio AIDLASS, Udine, 13-14 giugno 2019, p. 48, il quale si chiede se all’interno del moderno mercato del lavoro l’oggetto di scambio sia costituito dal tempo- lavoro o dalla professionalità del lavoratore.
(267) X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 104.
(268) X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 105. Per un approfondimento sul tema dei rapporti di potere nel
contesto delle prestazioni lavorative “agili”, si veda il capitolo IV del presente scritto.
in alcuni casi, ben prima dell’intervento legislativo (269). A maggior ragione, se si concepisce il tempo di lavoro come il risultato dei rapporti di potere all’interno dell’organizzazione produttiva, appare non soltanto funzionale, bensì doverosa la consultazione e l’analisi dello strumento che, secondo la più autorevole letteratura in materia di relazioni industriali, riflette la relazione di potere che intercorre tra le organizzazioni (o istituzioni (270) ) nella stessa coinvolte, le quali, attraverso la negoziazione collettiva, creano quelle regole che a loro volta disciplinano il processo di contrattazione individuale tra le parti del rapporto di lavoro (271).
In ragione delle argomentazioni proposte, nei paragrafi che seguono si propone un’indagine della dimensione temporale del lavoro agile in una prospettiva di relazioni industriali, finalizzata a indagare il modo in cui la contrattazione collettiva ne abbia declinato gli aspetti organizzativi e soddisfatto i requisiti giuridici contenuti all’interno della Legge che attualmente regola tale strumento, ossia la n. 81/2017. A tal fine, si farà riferimento in special modo alla regolazione dell’orario di lavoro, nella consapevolezza della relazione intercorrente tra tale concetto e quello di “tempo di lavoro”, così come emersa ed elaborata da autorevole dottrina giuslavoristica già durante il Convegno Aidlass del 1986 (272).
2. Lavoro agile e tempo di lavoro: una prospettiva di relazioni industriali.
Le determinazioni in materia di tempo di lavoro nella Legge n. 81/2017 sono principalmente contenute all’interno dell’articolo 18 comma 1, il quale sancisce che il lavoro agile è «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro».
(269) Come peraltro avvenuto nel caso della contrattazione aziendale in materia di smart working. Si veda, in questo senso, il capitolo I, paragrafo 1.1. del presente scritto.
( 270 ) Xxxxxxx che definisce imprese e sindacati nella teoria economica denominata, appunto “istituzionalismo”, che vede i suoi principali esponenti in Xxxxx Xxxxxxx e Xxxx Xxxxx Commons. Secondo tale teoria, sebbene un tempo la creazione delle “working rules” dell’attività economica fosse compito dei governi nazionali, nel ventesimo secolo questi ultimi sembrano unicamente avere il compito di trovare un equilibrio tra le imprese e i sindacati, ovvero le istituzioni che ne creano il nucleo fondamentale. Si veda, in tal senso, X. X. XXXXXXX, The Economics of Collective Action, The Macmillan Company, 1951, p. 130.
(271) A. FLANDERS, Collective Bargaining: a theoretical analysis, British Journal of Industrial Relations, 1968, vol. VI, pp. 5-6. All’interno dello scritto menzionato, Xxxxxxxx oppone una critica all’impostazione “classica” dei coniugi Xxxx adottata all’interno del volume “Industrial Democracy”, la quale, considerando la contrattazione collettiva come un mero equivalente della contrattazione individuale, a parere dell’A. omette di analizzare la funzione politica dell’istituto.
(272) AA.VV., Il tempo di lavoro. Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Genova, 4-5 aprile 1986, Giuffrè, Milano, 1987.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
È importante rilevare, in primo luogo, come l’elemento relativo all’assenza di precisi vincoli di orario per quanto concerne la prestazione agile sia stato interpretato differentemente da parte della dottrina giuslavoristica. Appartiene a un orientamento minoritario chi individua la flessibilità temporale come un «carattere essenziale» della prestazione di lavoro agile ( 273 ): la maggior parte dei commentatori, infatti, segnala come l’interpretazione letterale della disposizione segnalata porti a pensare che l’assenza di vincoli temporali costituisca un elemento meramente potenziale di tale modalità di esecuzione del lavoro, così come, specularmente, la sua organizzazione «per fasi, cicli e obiettivi» (274).
Una delle conseguenze di tale ultima interpretazione è la teorizzazione dell’esistenza di due distinte varianti del lavoro agile: una variante “a tempo”, in cui la prestazione di lavoro agile rimane ancorata all’orario di lavoro normale contrattualmente definito, e la cui flessibilità si riscontra principalmente nella sua collocazione nell’arco della giornata lavorativa, e una variante “a obiettivi”, in cui l’obbligo di fare subordinato del lavoratore agile può essere modellato da egli stesso in funzione del raggiungimento del risultato prefissato, anche in termini di durata della prestazione (275).
Assumendo tale paradigma come funzionale per l’analisi della contrattazione collettiva di lavoro agile, è possibile evidenziare come la stragrande maggioranza delle fonti collettive oggetto della presente ricerca si rifaccia, con tutta evidenza, al primo dei due modelli descritti ( 276 ): e questo, nonostante la totale assenza, all’interno della Legge attualmente regolante il lavoro agile, di richiami all’orario normale della prestazione di lavoro, così come definito dall’articolo 3 del d.lgs. n. 66/2003 e solitamente modulato dalla contrattazione collettiva di livello nazionale. Tale affermazione può essere ritenuta vera innanzitutto per quegli accordi aziendali precedenti e/o contemporanei all’emanazione della Legge n. 81/2017, i quali, seppur talvolta prevedendo importanti forme di flessibilità oraria a favore degli
(273) X. XXXXX, op. cit., p. 184.
(274) Si veda, in questo senso, X. XXXXXXX, Xxxxxxxxx e agilità: quale tutela per lo smart worker?, in DSL, 2017, n. 1, p. 2, ma anche X. XXXXXXX, Lavoro agile e misurazione della durata dell’orario per finalità di tutela della salute, in RGL, 2020, n. 3, p. 437. Da segnalare, inoltre, l’opinione di chi ritiene che l’assenza di precisi vincoli di orario caratterizzi solo una parte della prestazione di lavoro agile, cioè quella svolta in modalità al di fuori dei locali aziendali, mentre, per quanto riguarda il segmento della prestazione di lavoro svolta nei locali indicati dal datore di lavoro, non si registrano modifiche rispetto a qualunque prestazione di lavoro in modalità ordinaria: vedi, in questo senso, X. XXXXXX, L’orario di lavoro agile «senza precisi vincoli», in LDE, 2022, n. 1, p. 6.
(275) X. X. XXXXXXX, X. XXXXXX, op. cit., p. 22. Vedi, in questo senso, anche X. XXXXXXX, La
misurazione dell’orario di lavoro e le sue sfide, in LLI, 2022, n. 1, pp. 12.
(276) Alle medesime conclusioni perviene A. FENOGLIO, Tempo e subordinazione: riflessioni attorno al lavoro agile, in LLI, 2022, n. 1, p. 190.
smart worker (277), ed «affermando la necessità di una maggiore focalizzazione sui risultati» non sono riusciti del tutto a «svincolarsi dalla predeterminazione oraria della prestazione» (278).
Tuttavia, nonostante l’indubbio sviluppo del modello organizzativo del lavoro agile negli anni a seguire, anche le disposizioni in materia di tempo di lavoro all’interno dei più recenti rinnovi della contrattazione nazionale non sembrano consentire in alcun modo alla contrattazione di secondo livello e/o agli accordi individuali di modulare la durata della prestazione dei lavoratori agili in modalità differenti rispetto a quanto previsto per gli altri lavoratori del settore.
In questo senso, è possibile ad esempio citare il CCNL dell’Industria alimentare, siglato da Federalimentare, Flai-CGIL, Fai-CISL, Uila-UIL, all’interno del cui ultimo rinnovo, risalente al 31 luglio 2020, si sancisce che la prestazione di lavoro agile debba svolgersi entro i limiti massimi di durata dell’orario giornaliero e settimanale previsti dallo stesso CCNL, di massima in correlazione con l’orario normale applicabile alla struttura di appartenenza; è prevista tuttavia la possibilità, da parte della contrattazione aziendale o individuale, di variarne la collocazione temporale (art. 21ter).
Simili disposizioni sono contenute anche nella contrattazione applicabile a settori in cui il lavoro agile è maggiormente diffuso, vista la maggiore “remotizzabilità” delle mansioni svolte dai lavoratori attivi al loro interno ( 279 ). Si vedano, ad esempio, le Linee Guida nel settore assicurativo e di assicurazione/assistenza, siglate da ANIA, First-CISL, Fisac-CGIL, FNA, SNFIA, Uilca-UIL il 24 febbraio 2021, secondo le quali il lavoratore agile deve svolgere la prestazione nelle fasce lavorative stabilite dagli accordi aziendali, comunque modulate in coerenza con il limite dell’orario di lavoro giornaliero e/o settimanale previsto dal CCNL e dalla contrattazione di secondo livello (art. 4). Anche il CCNL per i quadri direttivi e il personale delle aree professionali dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali, da ultimo rinnovato da ABI, FABI, First-CISL, Fisac-CGIL, Uilca e UNISIN il 19 dicembre del 2019, sancisce che «la prestazione lavorativa in
(277) Si veda, a titolo esemplificativo, l’accordo Siemens siglato il 6 giugno del 2017 da Fiom-CGIL, Fim-CISL, Uilm-UIL, il quale prevede che il lavoratore agile possa “effettuare la propria prestazione lavorativa così come contrattualmente previsto, nell’arco della giornata lavorativa feriale anche in maniera discontinua”.
(278) E. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXX, Il “lavoro agile” nella contrattazione collettiva oggi, Working Paper ADAPT, 2016, n. 2, p. 84. Sul punto si veda anche A. XXXXXXXX, Il tempo di lavoro nella new automation age: un quadro in trasformazione, cit., p. 637. Secondo l’A., infatti, “le sperimentazioni avviate per iniziativa delle parti sociali generalmente non affiancano all’allentamento dei vincoli spaziali un equivalente ammorbidimento dei vincoli temporali della prestazione”.
(279) Per un’analisi settoriale in questo senso, si vedano ad esempio i dati contenuti in MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, ISTAT, INPS, INAIL, ANPAL, op. cit., p. 50.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
modalità agile si effettua entro i limiti di durata dell’orario giornaliero e settimanale previsti dal CCNL […] di massima in correlazione temporale con l’orario normale applicabile alla struttura di appartenenza» (art. 11).
Si distacca invece dalle usuali previsioni della contrattazione collettiva nazionale in materia di lavoro agile il CCNL del personale del comparto Funzioni Centrali, il cui più recente rinnovo è stato siglato il 5 gennaio 2022 (280); all’interno del suo titolo V, denominato «Lavoro a distanza» sono infatti previste due distinte forme di lavoro agile, che si differenziano primariamente per quanto concerne la gestione del tempo di lavoro. La prima, denominata appunto «Lavoro agile», prevede che la prestazione possa svolgersi “senza precisi vincoli di orario” (art. 36); allo stesso tempo, tuttavia, è previsto che il lavoratore debba svolgere la prestazione all’interno di specifiche “fasce di contattabilità”, la cui durata non può superare “l’orario medio di lavoro” (art. 39). La seconda modalità di esecuzione delle prestazioni, denominata invece “lavoro da remoto”, prevede specifici “vincoli di tempo” e la vigenza di tutti gli obblighi e diritti legali e contrattuali legati all’orario di lavoro: per quanto riguarda questi ultimi, si citano i riposi, le pause, il trattamento economico (art. 41). Nonostante la differente denominazione, comunque, si può notare come entrambe le modalità di svolgimento della prestazione agile non prevedano la possibilità per i lavoratori di determinare autonomamente la durata della propria prestazione di lavoro, descrivendo entrambe, dunque, modelli di lavoro agile “a tempo”.281
Come prevedibile, la contrattazione collettiva aziendale di lavoro agile si è in larga parte conformata sul modello temporale proposto dalla contrattazione nazionale, regolando, nella larga maggioranza dei casi, forme di lavoro agile la cui durata della prestazione è vincolata, seppur dotate di diversi gradi di flessibilità relativamente alla sua collocazione temporale ( 282 ). Considerando alcuni tra i settori appena menzionati, è possibile ad esempio menzionare, da un lato, l’accordo Agecontrol, siglato nel novembre 2021, il quale afferma che «la prestazione lavorativa deve
( 280 ) Le parti firmatarie del rinnovo menzionato sono ARAN, Fp-CISL, Fp-CGIL, UIL PA, CONFSAL UNSA, FLP, USB PI, CONFINTESA FP. Per una descrizione dei contenuti del CCNL del personale del comparto Funzioni Centrali, si veda X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Per il rafforzamento della capacità amministrativa delle p.a.: nuovi contratti, nuova organizzazione, in RGL, 2022, n. 2, pp. 12-16.
(281) Il modello qui descritto è stato successivamente riprodotto all’interno dei più recenti rinnovi dei CCNL del Comparto Funzioni Locali, Sanità e Istruzione e Ricerca, anch’essi rinnovati tra il 2022 e il 2023: per un approfondimento in merito, si veda il capitolo V, par. 3 del presente scritto.
(282) In questo senso, si veda l’analisi contenuta all’interno del volume La contrattazione collettiva in Italia (2022), IX rapporto ADAPT, ADAPT University Press, 2023, pp. 167-169, svolta su 96 accordi aziendali di lavoro agile stipulati nel corso del 2022, secondo la quale il 54% degli stessi prevedeva che la collocazione dell’orario di lavoro dei lavoratori agili fosse la medesima rispetto ai lavoratori impiegati presso la sede aziendale, mentre il restante 46% prevedeva per gli stessi la possibilità di articolare la durata della prestazione all'interno di ampie fasce orarie.
essere svolta, ancorché senza precisi vincoli di orario, di massima in correlazione temporale con l’orario di lavoro applicato in sede, fermo restando l’orario di lavoro contrattuale» (283). Dall’altra parte, un’importante accordo del settore assicurativo (Generali, 27 luglio 2021) prevede una specifica fascia oraria all’interno della quale il lavoratore agile può distribuire la propria prestazione lavorativa, la quale può essere resa «anche in modo non continuativo» ma tuttavia sempre «nei limiti della durata dell’orario di lavoro derivante dalla contrattazione collettiva».
Come segnalato dalla dottrina giuslavoristica, l’adozione del modello di lavoro agile “a tempo” da parte della contrattazione collettiva aziendale è altresì segnalata dalla frequente presenza di disposizioni relative al lavoro straordinario, le quali, pur escludendone la possibilità di svolgimento nella larga maggioranza dei casi (284), presuppongono l’esistenza di un orario normale a cui la prestazione si riferisce (285).
Le considerazioni finora espresse, dunque, rendono agevole allontanare l’ipotesi secondo cui il lavoro agile così come delineato dalla contrattazione collettiva italiana possa rientrare nel campo di applicazione dell’art. 17, comma 5, d.lgs. n. 66/2003, il quale esclude l’applicabilità di alcune previsioni dello stesso decreto (come ad esempio quelle relative alla durata normale e massima dell’orario di lavoro, ma anche al riposo giornaliero e alle pause) a «ai lavoratori la cui durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi».
È da notare, peraltro, come sia l’organizzazione di un lavoro agile “a tempo” che di un eventuale lavoro agile “per obiettivi” trovi in ogni caso un ulteriore limite all’interno della seconda parte dell’articolo 18 della Legge n. 81/2017, il quale sancisce che la prestazione di lavoro agile debba essere eseguita «entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla
(283) Per approfondimenti sui contenuti dell’accordo, si veda X. XXXXXX, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/67 – Accordo per l’applicazione del lavoro agile in Agecontrol, Bollettino ADAPT 22 novembre 2021, n. 41.
(284) Si veda, in questo senso, la ricerca contenuta nel volume La contrattazione collettiva in Italia (2020), VII rapporto ADAPT, ADAPT University Press, 2021, pp. 315-396, la quale contiene una panoramica relativa a circa 200 accordi aziendali di lavoro agile stipulati tra il 2017 e il 2020. In materia, devono altresì essere segnalate le previsioni contenute all’interno del Protocollo del 7 dicembre 2021, le quali prevedono che “Salvo esplicita previsione dei contratti collettivi nazionali, territoriali e/o aziendali, durante le giornate in cui la prestazione lavorativa viene svolta in modalità agile non possono essere di norma previste e autorizzate prestazioni di lavoro straordinario”.
(285) X. XXXXXXX, Lavoro agile e misurazione della durata dell’orario per finalità di tutela della salute, cit., p. 437. Da mettere in evidenza anche la prospettiva di X. XXXXXXXXX, Lavoro agile e orario di lavoro, cit., pp. 392-393, secondo la quale anche la presenza di modelli retributivi parametrati sul tempo di lavoro rappresenta un indice di un modello di lavoro agile vincolato all’orario di lavoro. A parere dell’A., in tali casi, la richiesta del lavoratore agile di ricevere la remunerazione per il lavoro straordinario sarebbe legittimata.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
Legge e dalla contrattazione collettiva». Anche nel caso di una prestazione di lavoro agile la cui durata fosse liberamente determinabile da parte del lavoratore, e quindi rientrante nel campo di applicazione dell’articolo 17, comma 5 del d.lgs. n. 66/2003, sarebbe infatti possibile argomentare la prevalenza della disposizione oggetto di analisi, in quanto norma “speciale” (286). Se si ritenesse al contrario che l’articolo 17, comma 5 del d.lgs. n. 66/2003 dovesse comunque prevalere su quanto previsto dalla Legge del 2017, dovrebbe comunque essere tenuto in considerazione che, ai sensi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, le deroghe alla disciplina in materia di orario di lavoro potrebbero eventualmente essere applicate soltanto nel caso in cui al lavoratore fosse riconosciuta la possibilità di determinare il quantum della propria prestazione lavorativa nella sua interezza (287), e non soltanto per quanto concerne la porzione svolta al di fuori dei locali aziendali (288): soluzione, questa, la cui adozione appare quantomeno implausibile, vista l’attuale riluttanza della contrattazione collettiva nell’estendere anche solo le forme di flessibilità nella collocazione temporale previste per la frazione della prestazione agile svolta al di fuori dei locali aziendali a quella svolta “in presenza” (289).
In ogni modo, la disposizione di cui all’articolo 18, comma 1, Legge n. 81/2017 rileva in questa sede poiché appare dimostrare il forte ancoraggio dell’impianto legislativo del lavoro agile alla tradizionale concezione che vede il tempo come mezzo di delimitazione dei poteri datoriali all’interno del rapporto di lavoro (290): come eloquentemente argomentato dalla dottrina giuslavoristica, al fine di
(286) Così X. XXXXXXX, Competitività e conciliazione nel lavoro agile, cit., p. 120, ma anche X. XXXXXXX, Xxxxxxxxx e agilità: quale tutela per lo smart worker?, cit., p. 16, il quale definisce la disposizione contenuta all’articolo 18, comma 1, L. n. 81/2017 come una “contro-deroga” a quanto previsto dall’articolo 17, comma 5, del d.lgs. 66/2003.
(287) Si fa riferimento, in particolare, a X. xxxxx. 7 settembre 2006, C-484/04, Commissione v. Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, punto 20, a X. xxxxx., 14 ottobre 2010, C‑428/09, Union syndicale Solidaires Isère v. Premier ministre e altri, punto 41, ma anche, più di recente a X. xxxxx. 26 luglio 2017, C‑175/16, Xxxxxxx Xxxxx e a.v. SOS-Lapsikylä ry, punto 32.
(288) Sul punto, si veda X. XXXXXXX, Lavoro agile e misurazione della durata dell’orario per finalità di tutela della salute, cit., p. 440, nonché X. XXXXXXX, La misurazione dell’orario di lavoro e le sue sfide, cit., pp. 11-13.
(289) Si veda, a titolo esemplificativo, l’accordo Generali citato in precedenza, il quale prevede la distribuzione della prestazione lavorativa in “fasce orarie” unicamente per i lavoratori “in smart working”, con ciò intendendo le frazioni temporali della prestazione svolta da remoto, non pronunciandosi invece sull’estensione di tale modalità di distribuzione dell’orario anche per la prestazione svolta “in presenza”.
(290) In tema, si veda X. XXXXX, I limiti all’obbligo di diligenza del prestatore di lavoro, RGL, 2018,
n. 2, pp. 162-165, con la quale l’A. commenta Cass. 4 ottobre 2017, n. 23178. Attraverso la sentenza menzionata, la Suprema Corte statuisce che “il dovere di diligenza del prestatore di lavoro trova il proprio centro e il proprio essenziale limite nella prestazione contrattualmente dovuta”, e dunque, al lavoratore non può “essere richiesto un grado di diligenza tale da eccedere i limiti ordinari e connaturati alla prestazione dovuta, delineati dall’orario di lavoro”.
verificare il rispetto della norma menzionata, la frazione temporale spesa dai lavoratori nell’esecuzione della prestazione al di fuori dei locali aziendali dovrà infatti essere necessariamente soggetta a un più o meno stringente processo di “misurazione” (291).
La medesima osservazione è peraltro contenuta all’interno della Relazione finale del Gruppo di studio “Lavoro Agile” istituito presso il Ministero del Lavoro ai fini della stesura, in collaborazione con le parti sociali, del Protocollo sul lavoro in modalità agile del 7 dicembre 2021. Sulla base dell’interpretazione del dettato legislativo, nonché dello studio della contrattazione aziendale in materia di lavoro agile stipulata tra il 2017 e il 2021, è stato infatti argomentato come la disciplina dell’orario di lavoro relativa a tale modalità di esecuzione della prestazione sia già dotata di un altissimo livello di flessibilità, visto il mancato richiamo al concetto di “orario normale di lavoro”, e sia quindi necessario prevedere appositi mezzi al fine della sua effettiva determinazione: secondo il parere dei giuslavoristi appartenenti al Gruppo, «rimuovere anche questi limiti esporrebbe il tempo del lavoro agile a un’eccessiva flessibilità […] non tanto in riferimento alla collocazione temporale della prestazione nell’arco della giornata o della settimana di lavoro, quanto rispetto a una variabilità della durata» (pag. 9) (292).
Nondimeno, all’interno del testo del Protocollo, la necessità di misurare il tempo di lavoro dei lavoratori agili non appare richiamata in modo esplicito: l’articolo dedicato alla tematica, infatti, sancisce unicamente come «la giornata lavorativa svolta in modalità agile si caratterizzi per l’assenza di un preciso orario di lavoro e per l’autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati» (art. 3, comma 1), prevedendo la possibilità che la prestazione «sia articolata in fasce orarie» (art. 3, comma 2).
In linea generale, dunque, il Protocollo sembra promuovere una forte flessibilità temporale nel contesto della prestazione di lavoro agile, sia in termini di durata, non contenendo alcun riferimento alla necessità del rispetto dei limiti rappresentati dall’orario normale contrattuale, che di collocazione temporale, data la menzione
(291) X. XXXXXX, L’orario di lavoro agile «senza precisi vincoli», cit., p. 7. Da considerare, in questo senso, l’interpretazione di X. XXXXX, op. cit., p. 189, secondo il quale tale articolo impone unicamente al datore di lavoro di assicurare “che il tempo in cui il lavoratore rimanga a disposizione […] non ecceda i predetti limiti di durata massima, e non già a verificare che, per l’intero tempo, il lavoratore sia effettivamente al lavoro”.
(292) La Relazione, a questo proposito, segnala come, considerando che l’unico limite temporale alla prestazione agile sia quello della durata massima dell’orario di lavoro, la stessa potrebbe astrattamente estendersi giornalmente fino a 12 ore e 40 minuti (come effetto del vincolo minimo di 11 ore di riposo consecutivo e dell’obbligo di almeno 10 minuti di pausa ogni 6 ore previsti all’interno del d.lgs. 66/2003). Medesime valutazioni sono compiute da X. X. XXXXXXX, A. XXXXXX, op. cit., p. 26, le quali tuttavia individuano la durata potenziale della prestazione lavorativa agile in 12 ore e 50 minuti.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
della potenziale modulazione dell’orario di lavoro in “fasce orarie”. Dall’altra parte, esso non esclude la previsione, all’interno della contrattazione collettiva, di articolazioni temporali più rigide come quelle menzionate nel corso del presente paragrafo, non vietando che l’orario dei lavoratori agili sia articolato corrispondentemente a quello dei lavoratori “in presenza”. In tal senso, vale la pena notare come quest’ultima soluzione sia stata spesso adottata dalla contrattazione collettiva di livello aziendale successiva alla pubblicazione del Protocollo: una ricerca condotta su 96 accordi di lavoro agile stipulati nel corso del 2022 ha rivelato come questo sia vero per ben il 54% di essi (293).
2.1. Il F.O.R. Working nel settore chimico-farmaceutico.
I precedenti paragrafi sono stati dedicati a dimostrare come la contrattazione collettiva di lavoro agile abbia fino ad oggi configurato in massima parte modelli organizzativi fondati su un più o meno ampio grado di autonomia del lavoratore agile soltanto per quanto concerne la collocazione temporale della prestazione, lasciando largamente incompiute le suggestioni provenienti dalla letteratura afferente alla sociologia dell’organizzazione, e, in parte, della stessa fonte legislativa, che individuano, nel lavoro da remoto, il potenziale per un radicale mutamento di paradigma verso modelli di lavoro “per obiettivi” e/o fondati su un tempo di lavoro non più oggettivo ma “soggettivo”.
La scelta dei contratti collettivi nazionali e aziendali menzionati, dei quali sono state indagate le disposizioni in materia di tempo di lavoro, era volta a mostrare come tale tendenza travalicasse la prospettiva legata alla natura delle attività potenzialmente svolgibili dai lavoratori agili, accomunando settori, come ad esempio quello dell’industria alimentare e quello delle imprese assicurative, caratterizzati da marcate differenze in termini di “telelavorabilità”. Tuttavia, l’analisi delle fonti collettive attraverso una prospettiva settoriale ha contribuito ad evidenziare la presenza di un ambito merceologico all’interno del quale la contrattazione collettiva, seppur non distaccandosi completamente dal paradigma del lavoro agile “a tempo”, presenta in ogni caso modalità di regolazione della dimensione temporale dell’istituto parzialmente differenti da quanto descritto in precedenza. Si fa riferimento, in particolare, alla contrattazione collettiva di lavoro agile del settore chimico-farmaceutico, che seppure non pioniera, cronologicamente parlando, della regolazione collettiva del lavoro agile (294) ha subito in tempi recenti uno sviluppo tale da meritare un approfondimento a sé stante.
(293) ADAPT (2023), La contrattazione collettiva in Italia (2022). IX Rapporto ADAPT, ADAPT University Press, pp. 167-169.
(294) Tra gli accordi collettivi aziendali che hanno regolato lo smart working prima dell’introduzione
della L. n. 81/2017, raccolti dall’Osservatorio smart working di ADAPT, non sono presenti accordi
Il lavoro agile all’interno del settore chimico-farmaceutico è stato contrattato per la prima volta a livello nazionale nel 2018, attraverso il rinnovo del CCNL per gli addetti all’industria chimica, chimico-farmaceutica, delle fibre chimiche e dei settori abrasivi, lubrificanti e GPL, siglato da Federchimica, Farmindustria, Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL (19 luglio 2018). È da notare come tale modalità di esecuzione della prestazione di lavoro sia inserita tra le «nuove configurazioni organizzative» utili a favorire «la produttività, l’occupabilità, la convivenza generazionale e la continuità lavorativa» che potranno essere incentivate da parte della contrattazione aziendale: tra esse, peraltro, rientrano altresì «la definizione di lavoratore polivalente e polifunzionale […] la valorizzazione dell’esperienza professionale maturata dal lavoratore […] la definizione di progetti formativi funzionali all’innovazione organizzativa e all’occupabilità» (art. 47D). Il lavoro agile all’interno del settore chimico- farmaceutico, dunque, è stato concepito fin dalle origini come un fattore di innovazione organizzativa fortemente collegato alla formazione e professionalizzazione dei lavoratori.
Innovazione, questa, che tuttavia non ha avuto forti ricadute sulla dimensione temporale del lavoro agile all’interno della contrattazione aziendale di settore stipulata tra il 2018 e il 2020 e raccolta dall’Osservatorio smart working di ADAPT, le cui disposizioni in materia di tempo di lavoro, infatti, appaiono per la maggior parte in linea con quelle evidenziate all’interno del precedente paragrafo. Si veda, a titolo esemplificativo, l’integrativo Xxxxxxxxxxx, siglato il 28 febbraio del 2019, il quale prevede che, nel fruire del modello smart working, i lavoratori debbano
«effettuare di norma la prestazione lavorativa secondo l’orario di lavoro vigente in azienda»; ancora più esplicitamente, l’accordo BMS, sottoscritto il 18 giugno del 2019, dispone come «l’orario di lavoro settimanale anche in presenza di giornate lavorative svolte in modalità di smart working rimane quello stabilito a livello aziendale» e, inoltre, che la prestazione lavorativa svolta in modalità smart working
«non comporta la variazione dell’orario di lavoro individuale e della relativa collocazione temporale». A interpretazioni apparentemente differenti si presta l’integrativo Xxxxxxx&Xxxxxxx, siglato il 18 aprile 2019, il quale menziona la facoltà del dipendente di gestire «discrezionalmente» la distribuzione oraria dell’attività lavorativa prestata da remoto, ma dall’altra parte evidenzia come il dipendente debba rispettare la disciplina in materia di orario di lavoro prevista dal d.lgs. n. 66/2003.
appartenenti al settore chimico-farmaceutico. Per un elenco completo degli accordi menzionati, si rimanda a ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2020). VII Rapporto ADAPT, ADAPT University Press, 2021, pp. 320-322.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
Deve essere peraltro segnalato come la transizione verso il lavoro agile “per obiettivi” nel settore chimico-farmaceutico non sembra essere stata realizzata compiutamente nemmeno attraverso gli strumenti che, più di altri, avrebbero le potenzialità di modificare le tradizionali modalità di organizzazione del lavoro definite dalla Legge e dalla contrattazione nazionale, ossia gli accordi di prossimità ex art. 8, decreto-Legge n. 138/2011. In questo senso, è possibile appunto prendere ad esempio l’accordo siglato dall’azienda chimica Fater e Filctem-CGIL, Femca- CISL, Uiltec-UIL, Fialc-CISAL e UGL Chimici il 3 luglio del 2020, il quale si pone l’obiettivo di «modificare la disciplina contrattuale vigente dell’orario di lavoro e le condizioni normative dei contratti di lavoro, applicando […] la disciplina normativa del lavoro agile di cui alla Legge n. 81/2017». Le modifiche menzionate si riflettono, all’interno del testo dell’accordo, sia sulla discrezionalità del lavoratore agile per quanto concerne la collocazione oraria della prestazione lavorativa, che sulla durata giornaliera/settimanale della stessa: quest’ultima, infatti, può essere modulata differentemente sia a livello individuale, tramite accordi tra il collaboratore e il proprio responsabile, che a livello aziendale, in seguito a confronti tra la Società e le rappresentanze sindacali. Non è da sottovalutare, inoltre, come nell’accordo si specifichi come l’orario di lavoro non costituisca l’unico parametro attraverso il quale verificare la diligenza del lavoratore nell’adempimento della prestazione, bensì come tale verifica avvenga in gran parte attraverso la valutazione del raggiungimento di specifici obiettivi. Tali disposizioni, dunque, sembrano delineare un modello organizzativo all’interno del quale il tempo di lavoro perde alcune delle sue tradizionali funzioni.
Allo stesso tempo, considerando l’intera struttura dell’accordo, si nota come, nonostante la durata della prestazione possa variare giornalmente o settimanalmente in base ai carichi di lavoro previsti, le parti affermino comunque l’importanza di garantire «il rispetto del monte ore previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro» tramite appositi recuperi gestiti nel corso dell’anno solare di riferimento. Di conseguenza, è possibile evincere come anche in modelli organizzativi di lavoro agile esplicitamente improntati verso il lavoro per obiettivi, si riscontri un persistente legame con processi di misurazione del tempo di lavoro, il quale mantiene comunque il proprio ruolo di principale strumento per quanto concerne il calcolo del valore economico della prestazione.
Una significativa innovazione per quanto riguarda il lavoro agile nel settore chimico-farmaceutico è avvenuta durante il 9 luglio 2020, data in cui è stato siglato l’accordo programmatico F.O.R. Working (Flessibilità Obiettivi Risultati). Le parti stipulanti l’accordo (Federchimica, Farmindustria e le segreterie nazionali di Filctem-CGIL, Femca-CISL e Uiltec-UIL), individuano le sperimentazioni di smart working svolte negli anni precedenti e l’esperienza della pandemia da COVID-19
come gli elementi che le hanno spinte a valutare e rendere disponibile per le imprese e i lavoratori una «modalità aggiuntiva ed evoluta di smart working», ossia il cosiddetto F.O.R. Working, per il quale «dovranno essere adattate le regole previste per il rapporto e l’organizzazione del lavoro tradizionali». Come suggerisce l’acronimo da cui prende il nome, le caratteristiche principali di tale nuova modalità di lavoro sono individuate nella «flessibilità e nella gestione dei tempi e dei luoghi, nonché nella definizione e nel raggiungimento di obiettivi condivisi […]». La puntuale definizione degli elementi che costituiscono il F.O.R. Working rappresenta uno dei contenuti fondamentali di una serie di Linee Guida che, nel disegno delle parti, dovrebbero essere il risultato di un percorso congiunto di approfondimento sulla materia, e inoltre agevolare valutazioni condivise in merito alla sua regolazione all’interno del rinnovo del CCNL di settore del 2022. Altri contenuti rilevanti delle menzionate Linee Guida sono l’individuazione di un percorso adeguato di formazione delle competenze digitali di manager e dipendenti e delle modalità per garantire un’effettiva partecipazione alla vita aziendale anche ai lavoratori da remoto.
Dagli elementi appena descritti appare evidente come le parti sottoscrittrici dell’accordo del 9 luglio 2020 abbiano inteso creare un framework, seppure dotato di un significativo livello di astrattezza, per la regolazione di un modello di organizzazione del lavoro da remoto fortemente improntato su caratteristiche di flessibilità temporale, orientamento verso un’organizzazione per obiettivi, promozione della formazione e professionalizzazione dei dipendenti del settore.
La realizzazione delle Linee Guida avrebbe dovuto essere terminata nel dicembre del 2020, mentre, ad oggi, non si ha notizia delle stesse. Il rinnovo del 13 giugno 2022 del CCNL per l’industria chimico-farmaceutica contiene una parte dedicata a
«Linee Guida per la trasformazione digitale», all’interno delle quali il F.O.R. Working non viene menzionato. Non solo: le uniche disposizioni in materia di lavoro da remoto ne disciplinano principalmente gli aspetti relativi alle condizioni per prevenire rischi connessi alla salute e alla sicurezza, toccando il tema dell’orario di lavoro soltanto in via marginale (295).
Forse anche per questo motivo, l’emissione dell’Accordo Programmatico del 9 luglio 2020 non appare avere avuto un forte impatto sui contenuti della contrattazione collettiva aziendale del settore chimico-farmaceutico sottoscritta nel periodo successivo: non solo la maggior parte di tali accordi evita di fare esplicito
(295) Il CCNL, infatti, sancisce unicamente la necessità di “promuovere modalità flessibili della prestazione, in riferimento ai luoghi e/o agli orari, in coerenza con le scelte e le esigenze produttive e dell’organizzazione del lavoro, tenendo conto delle esigenze dei lavoratori”. Per una panoramica dei contenuti del rinnovo 2022 del CCNL per l’industria chimico-farmaceutica, vedi X. XXXXXXXX, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/110 – Il rinnovo del CCNL Chimico- Farmaceutico, tra conferme e innovazione, Bollettino speciale ADAPT 17 giugno 2022, n. 1.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
riferimento alla nomenclatura “F.O.R. Working”, utilizzando le più canoniche terminologie “lavoro agile” o “smart working” (296) ma inoltre delinea un modello di organizzazione del lavoro in cui le caratteristiche descritte nell’accordo programmatico non risultano altrettanto valorizzate.
Si può menzionare, a titolo esemplificativo, l’accordo Chiesi Farmaceutici, siglato il 30 luglio 2021 da Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL, il quale, pur contenendo una disciplina quasi pionieristica per quanto concerne le misure dedicate alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori agili, non risulta altrettanto innovativo per quanto concerne la sua dimensione temporale: le parti sottoscrittrici statuiscono, infatti, come «l’orario di lavoro settimanale non subisca variazioni per effetto della fruizione della prestazione lavorativa in smart working», e come eventuali differenti modulazioni della durata della prestazione, dovute a interruzioni temporanee dell’attività lavorativa, debbano essere necessariamente recuperate durante la medesima giornata o settimana di lavoro. Xxxxxx disposizioni sono da ritrovarsi all’interno dell’accordo Bayer del 19 febbraio 2021 (siglato da Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL), che, nel definire un «nuovo modo di lavorare» che consente ai lavoratori di svolgere la prestazione alternativamente presso la sede aziendale o da remoto (297), individua una specifica durata dell’orario normale settimanale (40 ore), pur sancendo la necessità che il dipendente organizzi autonomamente il proprio lavoro «tenendo conto di attività e obiettivi legati al proprio ruolo, dell’organizzazione del team di appartenenza e degli eventuali team progettuali di cui fa parte». Ancora più esplicite le disposizioni dell’accordo Airliquide del 14 aprile 2022 (siglato da Filctem-CGIL, Femca-CISL, Uiltec-UIL), all’interno del quale si ribadisce come il lavoratore agile sia «tenuto a osservare il proprio orario di lavoro giornaliero». Nomina invece la modalità di lavoro F.O.R. Working l’accordo Unifarco del 12 marzo 2021 (siglato da Femca-CISL, Uiltec- UIL), le disposizioni del quale garantiscono un buon livello di flessibilità nella collocazione della prestazione dei lavoratori agili, pur nel rispetto dei «limiti di durata massima dell’orario di lavoro […] e dei tempi di pausa e di riposo previsti dalla Legge e dalla contrattazione collettiva». La tradizionale parametrazione del valore della prestazione sul tempo di lavoro appare tuttavia indicata dalla disposizione relativa all’autorizzazione e alla retribuzione delle “ore” eccedenti il “normale orario di lavoro”.
(296) Per un approfondimento sulla terminologia qui menzionata, si veda il capitolo I, par. 1 della presente ricerca.
( 297 ) Denominata “WOW!”. Per una descrizione completa dell’accordo, si rimanda a S. BERGAMASCHI, Per una storia della contrattazione collettiva in Italia/21 – Accordo Wow!: una sperimentazione di Bayer S.p.a. per l’anno 2021, Bollettino ADAPT 29 marzo 2021, n. 12
Tra gli accordi aziendali raccolti dall’Osservatorio smart working di ADAPT, quello che appare maggiormente influenzato dall’accordo programmatico di F.O.R. Working, riflettendone i contenuti con più coerenza, è l’accordo siglato dall’azienda chimica Sasol Italy il 21 gennaio del 2021. Innanzitutto, è da considerare come le parti condividano che la natura del F.O.R. Working sia quella di una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa caratterizzata dalla «piena libertà di gestione dei tempi di lavoro da parte del lavoratore», nonché dalla «focalizzazione dell’attività sugli obiettivi assegnati allo specifico ruolo nell’ambito dell’organizzazione aziendale». La concretizzazione del modello organizzativo descritto nelle frasi appena riportate è contenuta all’interno degli articoli 5 e 12 dell’accordo stesso, nel quale si sancisce come le obbligazioni connesse alla prestazione possano svilupparsi diversamente sia in termini di collocazione della prestazione lavorativa nell’arco della giornata, che di durata giornaliera della stessa, la quale potrà e dovrà essere organizzata sulla base degli obiettivi connessi alla prestazione del lavoratore.
I principali elementi di interesse connessi all’accordo Sasol Italy sono appunto quelli legati alla declinazione del più volte richiamato “lavoro per obiettivi”: coerentemente con le suggestioni di autorevoli sociologi dell’organizzazione (298) e giuslavoristi (299), viene dedicata particolare attenzione all’importanza di una loro definizione congiunta e condivisa con il lavoratore dagli stessi interessato, nonché, in alcuni casi, anche con la rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda (300). All’interno dell’accordo, infatti, si afferma come la determinazione degli obiettivi
(298) Sul punto si veda l’ampia letteratura in materia di management by objectives (MBO), tra la quale si segnala W. XXXXXX, X. XXXXXXXX, Management by Objectives: the team approach, California Management Review, 1975, vol. 17, n. 3. Gli AA. suggeriscono un approccio organizzativo fondato su una prima discussione degli obiettivi individuali tra responsabile e lavoratore ed un successivo confronto a livello di team in cui si passa alla loro definizione e revisione.
(299) Si vedano, sul punto, X.X. XXXXXXX, X. XXXXXX, op. cit., p. 34. L’importanza della specifica determinazione degli obiettivi, e quindi dei c.d. “carichi di lavoro” nel contesto del lavoro agile è altresì condivisa da E. XXXXXXX, Il diritto alla disconnessione nella Legge n. 81/2017 e nell’esperienza comparata, cit., p. 1033, e, più di recente, da X. XXXXXXX, Nuove tecnologie e salute dei lavoratori, cit., p. 183. Se il primo degli AA. menzionati individua tale tematica primariamente come presupposto per un’efficace fruizione del diritto alla disconnessione da parte dei lavoratori, il secondo menziona anche le sue potenzialità per garantire la parità di trattamento con i lavoratori che svolgono la prestazione interamente dai locali aziendali, necessità sancita dall’art. 20, comma 1, L. n. 81/2017.
(300) Su questo punto, si veda lo studio condotto da A. XXXXXX, X. XXXX, X. X. XXXXXXXX, op. cit., 147-148. I sindacalisti confederali intervistati dagli AA., pur condividendo l’opportunità di negoziare il carico di lavoro e gli obiettivi dei lavoratori agili, hanno segnalato come spesso il sindacato manchi di adeguate conoscenze in termini di concreta organizzazione del lavoro nei singoli contesti produttivi, nonché in alcuni casi del potere contrattuale necessario, per intervenire significativamente su questa materia.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
del lavoratore in F.O.R. Working debba necessariamente essere condivisa con il superiore gerarchico e costituire oggetto di informazione con la RSU (art. 12), così come la loro eventuale rimodulazione in un momento successivo all’assegnazione (art. 14).
L’organizzazione del lavoro da remoto all’interno dell’accordo Sasol Italy appare dunque fortemente improntata, almeno nelle intenzioni, verso una valorizzazione del lavoro per fasi, cicli e obiettivi, data la possibilità di modulare la durata della giornata lavorativa in base alla necessità di raggiungere gli obiettivi prefissati. Ciò nonostante, anche all’interno di un modello organizzativo così configurato, si nota come le parti sottoscrittrici inseriscano riferimenti che denotano la necessità di una misurazione temporale della prestazione di lavoro, confermando quanto rilevato in relazione all’accordo Fater: nel caso specifico, infatti, si evidenzia come la durata della prestazione in F.O.R. Working debba comunque rispettare i limiti «della prestazione complessivamente prevista dall’art. 8 del CCNL Chimico vigente» (art. 5), i quali sono individuati non solo nella durata massima della prestazione lavorativa, ma altresì nella loro durata “normale”.
3. Misurazione del tempo di lavoro e diritto alla disconnessione.
Nonostante quanto rilevato in chiusura del paragrafo 2.2. del presente capitolo, il concetto di misurazione dell’orario dei lavoratori agili sembra tuttavia trovare un certo spazio all’interno del testo del Protocollo del 7 dicembre 2021.
Si fa riferimento, in particolare, alla disposizione che individua la necessità, da parte della contrattazione collettiva, di delineare le “fasce di disconnessione” durante le quali il lavoratore non eroga la prestazione (art. 3, comma 2) il che, specularmente, identifica la specifica frazione temporale all’interno della quale può essere richiesto il suo svolgimento.
In ogni caso, il diritto alla disconnessione gioca un ruolo fondamentale per quanto concerne la dimensione temporale del lavoro agile da ben prima della pubblicazione del Protocollo. Tale affermazione può essere giustificata tenendo in considerazione la principale disposizione in materia di diritto ( 301 ) alla disconnessione ( 302 ) contenuta all’interno della Legge n. 81/2017, secondo la quale, all’interno dell’accordo individuale che regola la prestazione di lavoro agile, devono essere individuate, insieme ai «tempi di riposo del lavoratore» le «misure tecniche e
(301) Sebbene nel testo si faccia riferimento più volte al “diritto” alla disconnessione, si segnala come nella legislazione del 2017 la disconnessione non sia stata qualificata esplicitamente come “diritto”. Vedi, in tal senso, X. XXXXX, Esiste il diritto alla disconnessione? Qualche spunto di riflessione alla ricerca di un equilibrio tra tecnologia, lavoro e vita privata, DRI, 2020, n. 3, pp. 686-688.
(302) Per un approfondimento sulla storia e sulla nozione del diritto alla disconnessione, vedi, ex multis, E. XXXXXXX, Il diritto alla disconnessione nella Legge n. 81/2017 e nell’esperienza comparata, cit., pp. 1024-1039.
organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro» (art 19, comma 1).
Come è evidente, la formulazione dell’articolo mette in evidenza una connessione sistematica tra i due elementi menzionati, tanto da portare alcuna dottrina giuslavoristica a definire il diritto alla disconnessione come un «adattamento tecnologico del diritto al riposo» (303). Non solo: secondo alcune ricostruzioni tale diritto costituisce altresì un mezzo fondamentale al fine di conciliare la potenziale assenza di vincoli temporali connaturata al lavoro agile con il necessario rispetto dei limiti di durata massima della prestazione, da una parte, e dall’altra con il concetto di “orario di lavoro” definito da legislazione e giurisprudenza europee (304).
Riguardo quest’ultimo elemento, vale la pena ricordare come la principale direttiva europea in termini di organizzazione dell’orario di lavoro (Direttiva 2003/88/CE, che codifica la Direttiva 93/104/CE in seguito alle modifiche apportatevi dalla Direttiva 34/2000/CE) sia ispirata a una logica “duale/binaria” (305), classificando come “periodo di riposo” tutte le frazioni temporali che non rientrano nella definizione di “orario di lavoro” (art. 2), senza prevedere alcuna categoria intermedia. Le ragioni di una simile impostazione sono state ripetutamente attribuite, da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a finalità di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore (306): come si è avuto modo di rilevare in precedenza, l’eccessiva commistione tra tempi di lavoro e di non lavoro può aumentare il rischio dell’insorgenza di diverse patologie, sia legate alla sfera fisica che a quella psicosociale (307).
L’individuazione di tale finalità ha guidato la giurisprudenza europea nell’interpretazione di diversi aspetti relativi alla direttiva 2003/88/CE, fino a prevedere, per quanto concerne il tema indagato in questa sede, la necessità che gli Stati membri impongano ai datori di lavoro l’obbligo di «predisporre un sistema
(303) X. XXXXXXXX, Tecnologie digitali e lavoro agile, cit., p. 7.
(304) A. FENOGLIO, Una veste digitale per il diritto al riposo: il diritto alla disconnessione, in LDE, 2021, n. 4, pp. 7-10.
(305) X. XXXXX, La «scomposizione» della nozione di orario di lavoro nella recente giurisprudenza della corte di giustizia, in RGL, 2021, n. 3, p. 324
(306) Vedi, ex multis, C. Giustizia, 25 novembre 2010, C‑429/09, Fuß, punto 43, ma anche C. Giustizia, 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Xxxxxxxx, punto 76. Si segnala, inoltre, come le determinazioni della Corte di Giustizia in materia di orario di lavoro siano orientate dal principio contenuto all’interno dell’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, il quale recita che “ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite”. Così X. XXXXXXX, Lavoro agile e misurazione della durata dell’orario per finalità di tutela della salute, cit., p. 429.
(307) Si veda, in questo senso, il par. 1.1. del presente capitolo.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata
dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore» al fine di assicurare
«l’effetto utile» della disciplina contenuta all’interno della direttiva (308).
Appare evidente come, date le sue peculiari caratteristiche, la misurazione dell’orario di lavoro della prestazione agile nelle modalità previste dalla CGUE risulti maggiormente complessa rispetto alle prestazioni di lavoro “tradizionali”, in special modo se essa è concepita come fondata su “fasi, cicli, e obiettivi”, e la sua durata si configura dunque come liberamente modulabile da parte del lavoratore (309).
Per questa ragione, il diritto alla disconnessione gioca un ruolo significativo per quanto riguarda la garanzia del rispetto della disciplina europea in materia di orario di lavoro, e, di riflesso, per la tutela della salute del lavoratore agile (310).
In questo senso, è da notare come il collegamento tra garanzia della disconnessione e rispetto delle fonti europee in materia di orario di lavoro sia esplicitamente evidenziato anche all’interno delle nuove iniziative adottate dalle istituzioni e dalle parti sociali a livello europeo. Si fa riferimento, in particolare, all’Accordo Quadro Europeo sulla Digitalizzazione siglato il 22 giugno 2020 da ETUC, BusinessEurope, CEEP e SME United (311), nonché, in particolare alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 21 gennaio 2021 (2019/2181(INL)) (312), la quale, nel
(308) Vedi C. Giustizia, 14 maggio 2019, C-55-18, Federación de Servicios de Comisiones Obreras, punto 60. La sentenza menzionata è stata commentata da X. XXXXXXX, Orario di lavoro giornaliero: per la Corte di Giustizia sussiste l’obbligo di misurazione e rilevazione, in DLM, 2019, n. 3, p. 607,
X. XXXXXXX, Lavoro agile e misurazione della durata dell’orario per finalità di tutela della salute, cit., pp. 428-442, ma anche da F. XXXXXX, Orario di lavoro e obbligo di registrazione con sistema
«oggettivo, affidabile e accessibile», in RIDL, 2019, n. 4, pp. 697-703.
(309) Secondo A. FENOGLIO, Tempo e subordinazione: riflessioni attorno al lavoro agile, cit., p. 191, la quale riprende le conclusioni dell’avvocato generale X. Xxxxxxxxxxx presentate il 31 gennaio 2019 nell’ambito della causa C-55/18, Federación de Servicios de Comisiones Obreras, punto 87, tali difficoltà possono tuttavia essere agevolmente superate “grazie ad alcuni spunti interpretativi offerti dalla giurisprudenza dell’Unione, che già ha avuto occasione di rimarcare come «la tecnologia attuale consent[a]i più svariati sistemi di rilevazione dell’orario di lavoro (registri cartacei, applicazioni informatiche, badge elettronici), sistemi che potrebbero anche essere differenziati a seconda delle caratteristiche e delle esigenze delle singole imprese».
(310) X. XXXXXXX, Competitività e conciliazione nel lavoro agile, cit., p. 123. Si veda come, secondo l’autrice, dalle finalità di rilevanza sociale connesse alla tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore, discenda la “non rinunciabilità” del diritto alla disconnessione, il quale si configura come un “dovere/diritto” del datore di lavoro e del lavoratore agile.
(311) L’accordo, in particolare, recita che “With full respect for working time legislation and working time provisions in collective agreements and contractual arrangements, for any additional out of hours contacting of workers by employers, the worker is not obliged to be contactable” (p. 10).
(312) Per una panoramica dei contenuti della Risoluzione e del ruolo della disconnessione come
“garante” della disciplina europea in materia di orario di lavoro, vedi X. XXXXX, Individuale e
chiedere l’attivazione della Commissione Europea nella stesura di una nuova Direttiva in materia di diritto alla disconnessione, afferma che quest’ultima dovrebbe, tra le altre misure, «precisare, integrare e rispettare pienamente» i requisiti posti dalla Direttiva 2003/88 (punto 15). È da notare, inoltre, come tra le disposizioni previste dalla proposta di Xxxxxxxxx allegata alla Risoluzione, ve ne sia una che impone agli Stati membri di garantire che «i datori di lavoro istituiscano un sistema oggettivo, affidabile e accessibile, che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore nel rispetto del diritto dei lavoratori alla vita privata e alla tutela dei dati personali» (art 3, par. 2).
Rivolgendo nuovamente l’attenzione al contesto italiano, è possibile rilevare come le disposizioni contenute all’interno del Protocollo del 7 dicembre 2021 sembrino avere recepito le indicazioni provenienti dal livello sovranazionale: la necessità di individuare apposite “fasce” di disconnessione all’interno della giornata lavorativa appare infatti consacrare il ruolo del diritto alla disconnessione quale mezzo per rendere inequivocabile l’individuazione dei periodi durante i quali il lavoratore agile può disattivare gli strumenti tecnologici utilizzati per svolgere la prestazione lavorativa, i quali coincideranno necessariamente con i suoi tempi di riposo (313). In questo senso, essendo il Protocollo sia volto a individuare specifiche “linee di indirizzo” per quanto concerne la contrattazione collettiva di lavoro agile, è possibile dedurre che, nel disegno dei sottoscrittori, le fasce di disconnessione debbano essere individuate proprio dalla fonte collettiva: risulterebbero, in questo caso, accolte le osservazioni di quei commentatori che, già nel periodo immediatamente successivo all’emanazione della Legge n. 81/2017, avevano messo in dubbio l’efficacia dell’accordo individuale come unico mezzo di garanzia del diritto alla disconnessione dei lavoratori agili (314). Deve essere segnalato, nondimeno, come il ruolo della contrattazione collettiva nella tutela del diritto alla disconnessione fosse già stato sottolineato da un successivo intervento legislativo
collettivo nel diritto alla disconnessione: spunti comparatistici, in DRI, 2022, n. 2, pp. 407-411. Il medesimo aspetto è altresì sottolineato da X. XXXXXXXXX, Lavoro agile e orario di lavoro, cit., p. 386
(313) A. XXXXXXXX, Il tempo di lavoro nella new automation age: un quadro in trasformazione, cit., pp. 646 – 647. In questo senso è da notare come, nel caso in cui la prestazione agile non rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 17, comma 5, d.lgs. 66/2003, in quanto sottoposta alla predeterminazione dell’orario di lavoro, la durata della fascia di disconnessione giornaliera non potrà essere inferiore a 11 ore consecutive, così come previsto dall’art 7 del medesimo decreto.
(314) Si veda, ex multis, X. XXXXXXXXXX, Il lavoro agile tra Xxxxx e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, cit., p. 956, secondo il quale la regolazione del diritto alla disconnessione unicamente mediante accordo individuale “non pare un presidio sufficiente rispetto a forme di controllo a distanza anche invasive”. L’A. auspica, infatti, una definizione collettiva del “giusto equilibrio tra reperibilità del prestatore di lavoro e diritto alla disconnessione”. Per una panoramica internazionale degli approcci “individuali” o “collettivi” delle legislazioni internazionali in materia di diritto alla disconnessione, vedi X. XXXXX, Individuale e collettivo nel diritto alla disconnessione: spunti comparatistici, cit., pp. 403-407.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
(Legge n. 61/2021) (315), emanato durante una “ondata” particolarmente critica della pandemia da COVID-19 e quindi volto a fronteggiare un nuovo aumento del numero dei lavoratori interessati dallo “smart working emergenziale” (316).
Nel periodo precedente l’emissione del Protocollo e dell’intervento legislativo segnalato, la contrattazione collettiva aveva tuttavia in molti casi già assunto il ruolo di “garante” della disconnessione dei lavoratori agili, con differenti ruoli assegnati alla contrattazione nazionale e a quella aziendale.
Nello specifico, la contrattazione di primo livello si è nella maggior parte dei casi limitata al mero riconoscimento di tale diritto, rinviando, implicitamente o esplicitamente, alla contrattazione aziendale per quanto riguarda le specifiche modalità tecniche e organizzative con le quali attuarlo nei diversi contesti produttivi di riferimento. A tal fine, è possibile citare il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale per gli addetti all’industria dell’energia e del petrolio, siglato da Confindustria Energia, Filctem-CGIL, Femca-CISL e Uiltec-UIL il 18 settembre del 2019, il quale sanciva come «tra le misure organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro, viene previsto che durante le giornate in smart working non sono previste né autorizzate ore di lavoro straordinario né prestazioni di lavoro festivo o notturno» (art. 5bis). È da notare, peraltro, come il collegamento tra il diniego della possibilità di svolgere lavoro straordinario e l’esercizio del diritto alla disconnessione mostrasse come quest’ultimo fosse utilizzato al fine di assicurare che la prestazione di lavoro agile fosse necessariamente contenuta nei limiti relativi all’orario normale di lavoro previsto dalla stessa contrattazione di settore (317).
Le disposizioni in materia di disconnessione contenute all’interno della contrattazione aziendale di lavoro agile, invece, hanno subito un notevole sviluppo dall’emanazione della Legge n. 81/2017 in poi: se i primi accordi si limitavano a ribadire quanto previsto dalle norme legislative o dalla contrattazione di settore,
( 315 ) Ai sensi dell’articolo 2, comma 1-ter, L. 61/2021, il riconoscimento del diritto alla disconnessione del lavoratore agile deve avvenire “nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti”.
(316) Secondo A. FENOGLIO, Tempo e subordinazione: riflessioni attorno al lavoro agile, cit., p. 197, la principale finalità di tale disposizione è quella di riconoscere il diritto in questione a prescindere dall’avvenuta regolamentazione mediante l’accordo individuale. Per un commento onnicomprensivo sulla disposizione menzionata dal punto di vista giuslavoristico, si veda M. D’XXXXXX, Evoluzione dei sistemi organizzativi nell’impresa e tutela dei diritti dei lavoratori nel quadro della regolamentazione europea: dal diritto alla “disconnessione”, al lavoro “per obiettivi”, MGL, 2022, n. 1, pp. 38-40.
(317) All’interno del rinnovo più recente del CCNL Energia e Petrolio, siglato il 21 luglio del 2022, le disposizioni in materia di diritto alla disconnessione sono radicalmente semplificate e apparentemente scollegate dal tema dell’orario di lavoro. Si sancisce unicamente, infatti, che “in tali ambiti negoziali andrà garantito il diritto alla disconnessione secondo le formulazioni di Xxxxx a tutti i lavoratori volontariamente coinvolti” (art. 5bis).
quelli più recenti invece disegnano modelli organizzativi più articolati al fine di garantire il diritto alla disconnessione dei lavoratori. Prendendo come riferimento aziende applicanti il CCNL Energia e Petrolio, si possono per esempio comparare l’accordo ENI del 20 settembre 2019 e l’accordo Snam del 25 marzo 2021, entrambi siglati dalle Segreterie nazionali di Filctem-CGIL, Femca-CISL e Uiltec-UIL. Il primo degli accordi menzionati, stipulato nel periodo immediatamente successivo al menzionato rinnovo del CCNL di settore, si limita a sancire che «in merito ai tempi di riposo e alle misure tecniche ed organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro, il dipendente in smart working dovrà rispettare l’orario di lavoro previsto dagli accordi sindacali in essere presso la propria sede di lavoro». In questo caso, si può notare come il mero rispetto, da parte del lavoratore agile, del proprio orario normale di lavoro sia ritenuta una misura organizzativa sufficiente per garantirne la disconnessione durante la rimanente parte della giornata: risultano evidenti, in questo senso, sia la stretta connessione con le disposizioni del CCNL Energia e Petrolio, il quale come segnalato lega il concetto di disconnessione all’impossibilità di svolgere la prestazione agile oltre l’orario normale di lavoro, che la volontà delle parti di fare coincidere il periodo di disconnessione con i tempi di riposo del lavoratore. All’interno dell’accordo Snam, invece, le parti creano un modello di disconnessione maggiormente complesso, indirizzato, innanzitutto, a «delineare la disciplina delle modalità di disconnessione più che a meccanismi imposti e rigidi a comportamenti e modalità operative improntate al senso di responsabilità del singolo lavoratore, dei colleghi e dei manager». A tal fine, convivono all’interno dell’accordo pratiche organizzative soft, quali la diffusione di buone pratiche di comportamento tra la popolazione aziendale, e la “disincentivazione” della pianificazione di meeting nel periodo iniziale e finale delle fasce orarie in cui i lavoratori agili possono distribuire la propria prestazione, ma anche l’individuazione di specifici periodi in cui al lavoratore non è richiesto lo svolgimento della prestazione lavorativa, e quindi non è tenuto a ricevere o visualizzare eventuali comunicazioni aziendali.
Le modalità di regolazione del diritto alla disconnessione all’interno delle fonti segnalate confermano quanto più volte segnalato dalla dottrina giuslavoristica, ossia la rilevanza fondamentale dello strumento al fine di garantire la separazione tra tempi di lavoro e tempi di riposo del lavoratore agile. Tuttavia, come anticipato in apertura, l’analisi dei contratti menzionati consente di trarre una conclusione ulteriore: rappresentando il diritto alla disconnessione un mezzo per assicurare lo svolgimento della prestazione all’interno dei limiti temporali previsti dalla contrattazione di settore, esso contribuisce alla creazione di modelli organizzativi che implicano la misurazione del tempo di lavoro dei lavoratori agili.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
POTERI DATORIALI E LAVORO AGILE
Sommario: 1. Dal controllo alla fiducia: l’esercizio dei poteri datoriali nello smart working. – 2. Nuove tecnologie e potere di controllo: il ruolo delle parti sociali nella tutela dei dati personali dei lavoratori. – 2.1. Giurisprudenza e prassi amministrativa alla luce della riforma dell’art. 4, Legge 300/1970. – 2.2. Potere di controllo e valutazione della performance nella contrattazione collettiva di lavoro agile.
1. Dal controllo alla fiducia: l’esercizio dei poteri datoriali nello smart working.
Le intrinseche caratteristiche dello smart working descritte nei capitoli precedenti, come ad esempio l’individualizzazione della prestazione sulla base delle esigenze del singolo lavoratore, realizzata anche tramite la valorizzazione dell’elemento della flessibilità spaziale e temporale, hanno imposto agli studiosi della materia una riflessione su come tale modello possa fruttuosamente innestarsi all’interno di organizzazioni produttive complesse e strutturate, caratterizzate da dinamiche più o meno consolidate di gestione e controllo della forza lavoro, unilateralmente determinate da parte dell’imprenditore o da chi è delegato ad esercitarne l’autorità (318).
È da notare, infatti, come secondo la letteratura sociologica uno degli elementi caratterizzanti le prestazioni smart sia costituito dall’assenza di quei «dispositivi informali di input, monitoraggio, valutazione, correzione» ( 319 ) che invece caratterizzano le prestazioni svolte all’interno di ambienti di lavoro “fisici” e che sono parte fondamentale dei compiti delle figure dirigenziali o di chi comunque ricopre ruoli di responsabilità all’interno del contesto aziendale di riferimento. Inevitabilmente, dunque, lo stile di gestione delle risorse umane all’interno degli ambienti smart subisce, o almeno, secondo gli esperti della materia, dovrebbe subire, significative modifiche rispetto a modelli organizzativi più “tradizionali”. Innanzitutto, come già sottolineato all’interno della presente ricerca (320), è opinione unanime quella per cui lo smart working non possa essere efficacemente
(318) In questo senso, appare utile rifarsi alla teoria dell’economista R. H. XXXXX, The Nature of the Firm, in Economica, 1937, Vol. 4, n. 16, p. 391, secondo il quale è possibile parlare di impresa (firm) nel momento in cui esiste un imprenditore che dirige e coordina i fattori della produzione, tra cui i lavoratori. Tale teoria è anche citata da M. NOVELLA, Poteri del datore di lavoro nell’impresa digitale: fenomenologia e limiti, in LD, 2021, n. 3-4, p. 460, il quale ne individua il punto focale nell’affermazione secondo cui “l’impresa sussiste e si espande sinché i processi produttivi sono gestibili e controllabili efficientemente attraverso l’uso dell’autorità riconosciuta all’imprenditore”.
(319) X. XXXXX, X. XXXXXXX, Xxxxx working: una trasformazione da accompagnare, in LDE, 2021, n. 1, p. 16
(320 Si veda il capitolo I, par. 1.1. della presente ricerca.
implementato qualora non sussista un solido rapporto di fiducia tra management e forza lavoro: ciò, ad esempio, si traduce nella necessità, da parte dei responsabili dei team virtuali o ibridi, di essere in grado di delegare per quanto possibile l’organizzazione delle attività lavorative agli stessi dipendenti che le svolgono, consentendo loro di articolarle nei modi e nei tempi che ritengono più agevoli.
Allo stesso tempo, tuttavia, il responsabile deve essere in grado di pianificare e programmare le prestazioni che devono essere svolte almeno in parte da remoto, stabilendo una chiara divisione dei compiti tra i membri del team virtuale o ibrido ( 321 ), ma anche individuando obiettivi specifici, raggiungibili, realistici, temporalmente definiti e soprattutto misurabili; elementi, questi, ritenuti fondamentali per un’efficace realizzazione del c.d. management by objectives (322). La sussistenza dell’elemento della fiducia tra il lavoratore e i propri dirigenti dovrebbe inoltre concretizzarsi nell’assenza o sostanziale riduzione della presenza di sistemi di controllo “tradizionali”, basati, per esempio sul monitoraggio sistematico delle attività dei dipendenti attraverso attrezzature tecnologiche. Al contrario, una smart leadership dovrebbe essere caratterizzata anche dalla capacità di puntare sulla responsabilizzazione dei dipendenti, coordinandone efficacemente le prestazioni e assumendo un ruolo di “supporto” nei loro confronti (323), ma allo stesso tempo consentendo loro di lavorare sugli obiettivi richiesti in autonomia (324), così valorizzandone «l’espressione individuale» ( 325 ). Ciò, chiaramente, presuppone che le figure con compiti dirigenziali o di responsabilità riescano a creare un sistema di feedback trasparente tra i membri del proprio team “ibrido”, il quale consenta a tutte le parti coinvolte di trarne vantaggio (326).
(321) S. G. XXXXX, X. X. XXXX, X. X. XXXXXXXXX, Leadership and virtual team performance: A metanalytic investigation, in European Journal of Work and Organizational Psychology, 2021, pp. 10-11.
(322) Si fa riferimento, in questo caso, alla teoria dei c.d. “SMART objectives”, sviluppata per la prima volta da X. XXXXXXX all’interno del volume The Practice of Management, Routledge 2007, (ma 1954). L’A. è considerato il “padre” della teoria del Management by objectives (MBO).
(323) S. G. XXXXX, X. X. XXXX, X. X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 2, definiscono tale elemento come fondamentale per la realizzazione di una c.d. “Relationship-based leadership”, particolarmente efficace per la gestione dei team di lavoro di tipo “ibrido”.
(324) X. XXXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, Defining Leadership in Smart working Contexts: A Concept Synthesis, in Frontiers in Psychology, 2020, n. 11, p. 4
(325) D. DI NUNZIO, op. cit., p. 83. Da notare comunque la prospettiva dell’A., secondo il quale il processo di individualizzazione, pur fornendo al lavoratore notevoli opportunità in termini di valorizzazione della propria persona, può tuttavia facilmente tradursi in una c.d. “individualizzazione negativa” caratterizzata da eccessiva responsabilizzazione, isolamento e assenza di supporto.
( 326 ) L’importanza delle abilità comunicative è sottolineata da X. XXXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 6.
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
Le teorie manageriali appena descritte sono riemerse, nel contesto italiano, all’interno degli studi di alcuni giuslavoristi che hanno affrontato la tematica dell’esercizio dei poteri datoriali nel contesto delle prestazioni di lavoro caratterizzate dall’uso pervasivo delle tecnologie digitali: in particolare, una delle principali domande al centro di tali riflessioni è quella se tali prestazioni debbano essere o meno inevitabilmente connotate, da un punto di vista giuridico, da limitazioni nette alle possibilità di esercizio dei poteri datoriali, e, di conseguenza, da una parziale “attenuazione” dei elementi tradizionali della subordinazione (327) rispetto ai rapporti di lavoro dipendente “standard”.
Numerosi studiosi, infatti, si sono soffermati sulle caratteristiche della “nuova” organizzazione del lavoro all’interno della c.d., “fabbrica intelligente” (328) che esalterebbe «l’auto-organizzazione e la collaborazione tra le maestranze» (329), nonché «il contributo [del lavoratore] alla progettazione del lavoro» (330), esercitato tramite ampia autonomia decisionale e responsabilizzazione per i risultati ottenuti (331), affermando come le stesse portino spesso il lavoratore subordinato ad essere
«obbligato anche a comportamenti non etero-determinati benché […] comunque qualificabili come etero-organizzati» (332).
Di conseguenza, in questo genere di ricostruzioni l’attenuazione del potere di etero- direzione da parte del datore di lavoro viene spesso interpretata come una diretta
(327) Si vedano, ex multis, M. NOVELLA, op. cit., pp. 151-153, ma anche X. XXXXX, Il datore di lavoro agile. Il potere direttivo nello smart working, 2023, ESI, p. 22. Il termine “subordinazione attenuata” qui richiamato si riferisce ad uno specifico orientamento giurisprudenziale diffusosi all’inizio degli anni 2000 volto a “sopperire all’evanescenza dell’etero-direzione” con riguardo alle “prestazioni di lavoro caratterizzate da un contenuto intellettuale particolarmente elevato ovvero, all’opposto, da un contenuto semplice, elementare e ripetitivo”, le quali non richiedono “direttive puntuali, specifiche e costanti, ma generali e programmatiche”. Così X. XXXXXXXXX, La nozione di subordinazione alla prova delle nuove tecnologie, in DRI, 2014, n. 4, p. 981 (puntuali riferimenti giurisprudenziali alla nota 32). All’interno del presente testo, si vedano riferimenti alla nozione di “subordinazione attenuata” all’interno del capitolo I, par. 1, nonché, per quanto concerne le sue connessioni con la flessibilità spaziale della prestazione agile, del capitolo II, par. 1.
(328) L’espressione “produzione intelligente” è di X. XXXXX, Produzione intelligente. Un viaggio nelle nuove fabbriche, 2014, Einaudi.
(329) X. XXXXXX, La subordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015: alla ricerca dell’«autorità del punto
di vista giuridico», WP C.S.D.L.E. "Xxxxxxx X'Xxxxxx", 2015, n. 267, p. 13.
(330) X. XXXXXXX, Note sul lavoro subordinato 4.0, cit., p. 1070. Si nota, peraltro, che secondo l’A.
tale contributo da parte del lavoratore determina la misura dell’adempimento della prestazione.
(331) X. XXXXXXXX, Tecnologie digitali e lavoro agile, cit., p. 41, la quale riprende uno scenario descritto con maggiore dettaglio da X. XXXXXXXX, Lavoro e relazioni industriali in Industry 4.0, in DRI, 2016, n. 1, pp. 178-209. È da sottolineare, tuttavia, come l’A. specifichi come “non sembra ancora possibile […] avere piena evidenza della capacità di queste modalità di organizzazione del lavoro di mettere effettivamente al centro la persona”.
(332) X. XXXXXX, La subordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015: alla ricerca dell’«autorità del punto
di vista giuridico», cit., p. 16.
conseguenza dell’innovazione tecnologica, secondo l’argomentazione per cui
«l'imposizione di specifiche e predeterminate modalità esecutive» non appare compatibile con un processo produttivo che per sua definizione «necessita di apporti conoscitivi, creativi ed ideativi» (333): a ciò, dunque, conseguirebbe una progressiva “autonomizzazione” del lavoro subordinato, intesa come «la propensione soggettiva dei lavoratori […] a una maggiore autonomia, all’intellettualizzazione dell’attività, al controllo dei propri tempi di vita e di lavoro» (334).
I giuslavoristi che sostengono la posizione secondo cui l’etero-direzione non costituisce più un imprescindibile elemento costitutivo della subordinazione spesso valorizzano, ai fini qualificatori, una declinazione della subordinazione in termini maggiormente legati all’etero-organizzazione del processo produttivo rispetto alle concrete modalità esecutive della prestazione, rifacendosi alla celebre “teoria della doppia alienità” espressa dalla Corte Costituzionale nella celebre sentenza n. 30/1996 ( 335 ), secondo la quale la subordinazione «in senso stretto» è in via principale caratterizzata dal «concorso di due condizioni che negli altri casi non si trovano mai congiunte: l'alienità (nel senso di destinazione esclusiva ad altri) del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata, e l'alienità dell'organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce». Con riferimento alle prestazioni di lavoro contraddistinte dall’uso della tecnologia digitale, si nota come alcuni studiosi, tramite l’adesione a tale interpretazione, abbiano agilmente ricondotto sia il lavoro su piattaforma (336) che il lavoro a distanza (337) all’alveo del lavoro subordinato.
(333) M. XXXXXXX, La subordinazione è morta! Lunga vita alla subordinazione!, in LLI, 2020, Vol. 6,
n. 2, p. 179. Parzialmente contra, X. PERULLI, Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile: come cambiano i concetti di subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, in X. XXXXX GRANDI, X. XXXXX (a cura di), Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, 2018, CEDAM, p. 55, secondo il quale, pur considerando come “il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo del datore […] diviene, con l’evolversi dei sistemi di organizzazione non gerarchici […] sempre meno significativo della subordinazione” afferma che “le tutele incardinate sul tipo di cui all’art. 2094 del Codice Civile, […] non sono escluse da eventuali margini, più o meno ampi, di autonomia, di iniziativa e di discrezionalità di cui goda, di fatto, il prestatore”.
(334) Così M. BROLLO, Le dimensioni spazio-temporali dei lavori - Il rapporto individuale di lavoro, cit., p. 16.
(335) Secondo la teoria menzionata, la subordinazione “in senso stretto” è caratterizzata dal “concorso di due condizioni che negli altri casi non si trovano mai congiunte: l'alienità (nel senso di destinazione esclusiva ad altri) del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata, e l'alienità dell'organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce”.
(336) G. DE XXXXXX, Lavoro digitale e subordinazione. Prime riflessioni, in RGL, 2019, n. 1, p. 14.
(337) X. XXXXXXXXX, La nozione di subordinazione alla prova delle nuove tecnologie, cit., p. 996. Da notare tuttavia come l’A. sostenga che possa costituire equivalente funzionale dell’etero-direzione non il mero elemento dell’etero-organizzazione, bensì le sue possibili combinazioni con la
La contrattazione collettiva all’epoca del lavoro agile
Per quanto concerne il lavoro a distanza, in verità, già risalente dottrina giuslavoristica argomentava che fosse complesso individuare elementi connotativi della fattispecie, legati all’esercizio dei poteri datoriali, utili a differenziarlo funzionalmente dalle prestazioni di lavoro subordinato c.d. “tradizionali”.
Con riguardo al potere direttivo, infatti, si sosteneva come l’etero-direzione, intesa come «obbligo continuativo di obbedienza, giuridicamente sempre presente, anche se in concreto “mancante” o “attenuato”» ( 338 ) costituisse, anche nel caso del telelavoro (339), «lo strumento tecnico attraverso il quale il datore di lavoro si avvale delle energie lavorative del prestatore» (340). Allo stesso modo, si argomentava che, nonostante il potere di controllo nei confronti dei lavoratori a distanza fosse intrinsecamente legato, differentemente da quanto avveniva per i lavoratori “tradizionali”, all’accertamento ex post del raggiungimento dei risultati previsti (341), la verifica dell’esattezza dello svolgimento della prestazione, e quindi della diligenza nel suo adempimento, fosse elemento comune a tutti i rapporti di lavoro di cui erano parte soggetti inseriti in un’organizzazione produttiva, non costituendo dunque elemento distintivo delle prestazioni a distanza (342).
È evidente come le riflessioni sul rapporto tra lavoro a distanza e subordinazione siano ancora di forte attualità, specialmente alla luce della configurazione della recente declinazione normativa dello smart working da parte della legislazione italiana, ossia il lavoro agile.
Come è noto, il lavoro agile costituisce «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato», seppur strutturata in potenza «per fasi, cicli e obiettivi» e
«senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro»; oltre a queste caratteristiche, deve essere segnalato come la Legge n. 81/2017 sancisca che l’accordo individuale di lavoro agile debba necessariamente stabilire le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo all’esercizio del potere direttivo (art. 19, comma 1) e del potere di controllo datoriale (art. 21, comma 1) nonché le condotte, connesse all'esecuzione della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali, che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari (art. 21, comma 2).
“disponibilità nel tempo del lavoratore”, “etero-gestito dal datore di lavoro e coordinato alle variabili esigenze organizzative e all’attività svolta dagli altri collaboratori” (p. 995).
(338) X. XXXXX, Lavoro a distanza e subordinazione, cit., p. 126.
(339) Nel contesto del contributo più volte richiamato in nota, con il termine “telelavoro” si definisce genericamente il lavoro svolto dall’esterno dei locali aziendali attraverso strumenti informatici, e non la fattispecie delineata dall’Accordo interconfederale del 9 giugno 2004.
(340) Ivi., p. 127.
(341) Ivi., pp. 129-130.
( 342 ) Ivi, pp. 133-134. Per approfondimenti sul tema del potere di controllo nei confronti dei lavoratori a distanza, si veda il par. 2 del presente capitolo.
Tali caratteristiche hanno portato diversi autori a sostenere che il lavoro agile si allontani dall’alveo della subordinazione c.d. “standard”, superandone alcuni elementi di “fissità” e «facendosi interprete di […] istanze di flessibilità, adattabilità e individualizzazione della disciplina sorte al cospetto della nuova dimensione del lavoro e dell’organizzazione produttiva» (343).
Rispetto alla potenziale strutturazione della prestazione agile per “fasi, cicli e obiettivi” (344) e la teorica assenza di vincoli spazio-temporali al suo svolgimento (345), l’elemento che ha dato adito a più ampie riflessioni relativamente all’influenza del lavoro agile sulla disciplina della subordinazione è la peculiare configurazione dell’esercizio dei poteri datoriali all’interno della Legge n. 81/2017.
Autorevole dottrina giuslavoristica ha infatti affermato come, nel contesto del lavoro agile, la nozione di subordinazione risulti sensibilmente “modificata” in conseguenza della limitazione dell’esercizio unilaterale del potere direttivo da parte del datore di lavoro (346), il quale infatti appare assumere una natura «consensuale» grazie alla definizione delle sue modalità all’interno dell’accordo individuale (347). Questo è stato ritenuto indice, da parte di alcuni studiosi, della nascita di una peculiare nozione di «subordinazione condivisa» connotata da una «inedita corresponsabilizzazione» del singolo lavoratore nei confronti dell’esercizio dei
(343) X. XXXXXXXX, op. cit., p. 173. Similmente, si veda X. XXXXXXX, Il lavoro agile nella l. 22 maggio 2017, n. 81: un inquadramento, cit., p. 469, il quale descrive il lavoro agile come “un modello di lavoro subordinato “Leggero” che, eliminando alcuni elementi di rigidità della fattispecie, consente di plasmare le modalità esecutive della prestazione in relazione alle esigenze dell’organizzazione aziendale in cui il lavoro si inserisce”.
(344) Ritenuta compatibile con la subordinazione da X. XXXXX, op. cit., p. 179.
(345) In questo senso, si veda, ex multis, X. XXXXXXX, Il lavoro nell’economia digitale: l’arduo cammino della regolazione, in PERULLI A. (a cura di), Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, 2018, CEDAM, p. 190, secondo la quale “le modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa” siano “sempre meno significative ai fini della qualificazione giuridica e come fattore discretivo tra l’area dell’autonomia e quella della subordinazione”. Similmente, A. XXXXX, Le metamorfosi del tempo di lavoro, in DRI, 2022, n. 2, p. 469, sostiene che “né il fatto che nel non rilevino lo spazio e il tempo della prestazione contraddicono l’etero-direzione, ché anche prima del lavoro agile, lo spazio e il tempo, l’orario e il luogo di lavoro, la giurisprudenza non li ha mai considerati come elementi essenziali del contratto di lavoro, ma sempre come indici sussidiari”.
(346) COSÌ X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. cit., p. 783.
(347) La distinzione tra “subordinazione agile” e “subordinazione tradizionale” è stata in taluni casi ritenuta così spiccata da conseguire nella sottoposizione del lavoratore agile a un “duplice regime”, a seconda della circostanza per cui lo stesso svolge la prestazione di lavoro all’interno o all’esterno dei locali aziendali. Così X. XXXXXXX, La subordinazione rivisitata alla luce dell’ultima legislazione: dalla “subordinazione” alle “subordinazioni”?, in ADL, 2018, n. 4-5, p. 977. Allo stesso modo,
M. BROLLO, Le dimensioni spazio-temporali dei lavori - Il rapporto individuale di lavoro, cit., p. 32, la quale sottolinea la coesistenza, nell’ambito del rapporto di lavoro agile, tra i poteri datoriali “diversamente regolati” e gli “assetti ordinari”.