LA DETERMINAZIONE DEL COMPENSO NEL SUO AMMONTARE FISSO E VARIABILE. PROBLEMI ED ASPETTI NAZIONALI E SPUNTI COMPARATISTICI
Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Giurisprudenza
IL CONTRATTO CALCISTICO PROFESSIONISTICO:
LA DETERMINAZIONE DEL COMPENSO NEL SUO AMMONTARE FISSO E VARIABILE. PROBLEMI ED ASPETTI NAZIONALI E SPUNTI COMPARATISTICI
Tesi di Laurea di: Paolo Em. MARSILIO
Matr.: 742913
Relatore: Chiar.mo Prof. Antonio GAMBARO Correlatore: Prof. a c. Avv. Lucio COLANTUONI
“Lo sport è parte del patrimonio di ogni uomo e di ogni donna
e la sua assenza non potrà mai essere compensata.”
Pierre de Coubertin
PARTE I
LE FONTI DELLA DISCIPLINA DEL CONTRATTO PROFESSIONISTICO
CAPITOLO 1
FONTI NORMATIVE A LIVELLO INTERNAZIONALE, EUROPEO E NAZIONALE.
1. Fonti comunitarie e internazionali 11
2. Norme e principi costituzionali 27
3. Fonti legislative per il professionismo calcistico 30
3.1. Legge 23 marzo 1981, n. 91: norme in materia di rapporti tra società
e sportivi professionisti 31
3.1.1. Il rapporto di lavoro sportivo prima dell’entrata in vigore della
legge. Vicende che hanno portato all’approvazione della normativa 32
3.1.2. Il c.d. “vincolo sportivo” 35
3.1.3. Struttura e contenuto della legge 40
3.1.4. La libertà di esercizio dell’attività sportiva: art. 1 della Legge
n. 91 del 1981 41
3.1.5. Ambito di applicazione soggettivo: art. 2 della legge 91/81 41
3.1.6. Il lavoratore professionista, fra subordinazione e autonomia:
art. 3 della legge 91/81 43
3.1.7. Profili giuslavoristici: art. 4 della legge 91/81 45
3.1.8. Le altre disposizioni della legge sul professionismo sportivo 51
3.1.9. Riflessioni critiche e proposte di riforma 53
4. Il Contratto Collettivo nel settore calcistico 56
4.1. Analisi contenutistica dell’Accordo 59
4.2. Il contratto collettivo degli allenatori 69
CAPITOLO II
FONTI REGOLAMENTARI DEL SISTEMA CALCISTICO A LIVELLO INTERNAZIONALE E NAZIONALE
1. L’ordinamento sportivo internazionale e nazionale 82
1.1. L’ordinamento sportivo internazionale 83
1.2. L’ordinamento sportivo nazionale 87
1.2.1. In particolare: la Federazione italiana Giuoco Calcio 92
2. Fonti regolamentari 94
2.1. Il Regolamento F.I.F.A. sullo status e sui trasferimenti dei calciatori 98
2.2. Le Norme Organizzative Interne della F.I.G.C 101
CAPITOLO III
LA GIUSTIZIA SPORTIVA A LIVELLO INTERNAZIONALE
1. Il sistema di giustizia sportiva internazionale e nazionale 103
1.1. Il Tribunal Arbitral du Sport (o Court of Arbitration for Sport) 103
1.2. Il Dispute Resolution Chamber 108
2. La giustizia sportiva nel panorama nazionale 110
2.1. I vari tipi di giustizia sportiva: a) tecnica, b) disciplinare, c) economica,
d) amministrativa 110
2.2. I rapporti tra giustizia sportiva e ordinaria. Il vincolo di giustizia 112
2.3. La clausola compromissoria e il Collegio Arbitrale 117
2.4. I nuovi organi di giustizia sportiva, alla luce dell’ultima riforma della giustizia sportiva 123
PARTE II
IL CONTRATTO CALCISTICO PROFESSIONISTICO
CAPITOLO IV
DISCIPLINA NAZIONALE E ASPETTI INTERNAZIONALI
1. Il contratto calcistico professionistico: inquadramento giuridico 130
2. Le parti del rapporto. Il tesseramento 132
2.1. I calciatori professionisti e le Società 132
2.2. Gli allenatori e le altre figure professionali ex art. 2 legge 91/81 144
3. La costituzione del rapporto di lavoro sportivo: l’assunzione diretta 148
4. Elementi essenziali del contratto calcistico professionistico 151
4.1. L’accordo 151
4.2. La causa 153
4.3. L’oggetto 154
4.4. La forma 156
5. Profili di invalidità 165
6. Le obbligazioni delle parti 169
6.1. I doveri delle società sportive e i diritti del calciatore professionista. Il trattamento retributivo, sanitario, assicurativo e previdenziale 170
6.2. I doveri del calciatore professionista 185
6.3. Le obbligazioni delle parti nel rapporto fra Società e allenatori
professionisti 189
7. Le conseguenze dell’inadempimento delle parti 195
8. Il contratto calcistico professionistico “internazionale” 206
CAPITOLO V
DURATA E VICENDE DEL CONTRATTO
1. La durata del contratto 231
2. La cessione del contratto calcistico professionistico 233
3. Premessa: sulla cessione del c.d. vincolo di appartenenza 242
3.1. La cessione a titolo definitivo 243
3.2. La cessione del contratto a titolo temporaneo. Cenni al c.d. accordo di compartecipazione 245
4. Il trasferimento internazionale 247
5. Il recesso nel contratto calcistico professionistico 269
5.1. La disciplina del recesso unilaterale nel contratto calcistico
professionistico 269
5.2. Il recesso ante tempus dal contratto di lavoro calcistico a tempo
determinato 271
6. L’esonero dell’allenatore 273
PARTE III
IL COMPENSO NELLA SUA PARTE VARIABILE
CAPITOLO VI
PROFILI INTERNAZIONALI DEI BONUS-RELATED CONTRACTS
1. I bonus-related contracts: analisi della clausola variabile nei contratti
calcistici professionistici 280
2. Casi giurisprudenziali internazionali del Dispute Resolution Chamber
e del TAS/CAS 283
CAPITOLO VII
DISCIPLINA NAZIONALE DEI CONTRATTI CALCISTICI CON CLAUSOLA VARIABILE
1. Il principio di autonomia contrattuale e l’inserimento della clausola variabile
nel contratto calcistico professionistico nella prassi nazionale 300
2. La clausola variabile nel contratto calcistico degli allenatori 305
3. Casi giurisprudenziali nazionali su contratti calcistici con clausola variabile 307
CAPITOLO VIII
PROFILI COMPARATISTICI DEI BONUS-RELATED CONTRACTS
1. Inghilterra 315
1.1. “How footballers wages have changed over the years: in numbers” 321
1.2. “Manchester City bonus enough to change a life” 323
2. Spagna 326
3. Francia 330
APPENDICE
1. Fac-simile di contratti calcistici professionistici con clausola variabile 336
2. Intervista all’Avv. Juan De Dios Crespo Peréz 340
3. Intervista all’Avv. Angelo Capellini 342
4. Intervista al Prof. Michele Colucci 350
5. Confederations Cup 2013: Nigeria settle bonus dispute” 351
CONCLUSIONE BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI
INTRODUZIONE
La trattazione si prefigge di analizzare il contratto calcistico professionistico, come strumento negoziale per lo sviluppo di un rapporto di lavoro intercorrente fra il calciatore professionista e la società calcistica. Verrà data una particolare attenzione ai profili retributivi fissi e variabili, laddove questi ultimi stanno diventando sempre più una realtà con la quale diversificare il corrispettivo da versare all’atleta per le sue prestazioni.
L’interesse per l’ argomento che mi appresto a sviluppare è nato dalla considerazione degli effetti che la grave crisi economico-finanziaria globale ha provocato nel mondo calcistico, di gran lunga basato sulla componente monetaria.
Infatti le società calcistiche, anche le più facoltose, stanno sempre più di frequente proponendo ai calciatori professionisti la sottoscrizione di contratti all’interno dei quali la componente variabile del corrispettivo è subordinata all’avverarsi o meno di condizioni legate ad elementi come il numero di presenze, le reti segnate e gli assist effettuati. La ratio di un accordo negoziale così formulato è, evidentemente, quello di effettuare, in tempi economicamente complessi, un investimento - per così dire - più cautelato, ossia un investimento che, sulla base dei risultati individuali (ma anche di squadra) raggiunti (laddove pattuiti), possa comportare per la società un risparmio economico che invece verrebbe vanificato nel caso di un oneroso ingaggio, tout court, da dover pagare ad un atleta che non abbia rispettato le aspettative, nè concorso al raggiungimento di determinati obiettivi.
Tale argomento verrà trattato anche in chiave comparatistica, attraverso un confronto con i paesi di Inghilterra, Spagna e Francia e si avrà modo di vedere le più significative pronunce giurisprudenziali che hanno avuto ad oggetto il tema della retribuzione fissa e variabile.
Prima di affrontare questo argomento, però, si vedrà la disciplina del rapporto di lavoro calcistico e si effettuerà un’ analisi della disciplina civilistica del contratto calcistico, la quale ha visto una svolta epocale nella legge 23 marzo 1981, n. 91, che ha fornito delle certezze giuridiche e delle tutele ben precise allo sport professionistico. Della stessa norma verranno visti i profili controversi e si farà riferimento ai lavori modificatori che nei mesi correnti stanno vedendo la luce.
Per esigenze di completezza, la trattazione verterà anche sul fenomeno dei trasferimenti e delle cessioni di calciatori (anche in chiave internazionale), che proprio del contratto è un passaggio ulteriore del rapporto fra calciatore e società.
A conclusione della trattazione, sarà possibile apprendere in via diretta alcuni aspetti delle tematiche analizzate, attraverso una serie di interviste a figure illustri del panorama giuridico-calcistico.
PARTE I
LE FONTI DELLA DISCIPLINA DEL CONTRATTO CALCISTICO PROFESSIONISTICO
CAPITOLO I
FONTI NORMATIVE A LIVELLO INTERNAZIONALE, NAZIONALE ED EUROPEO
Premessa.
Il contratto calcistico professionistico è lo strumento attraverso il quale può costituirsi il rapporto di lavoro calcistico che vede, come controparti, la società sportiva e il calciatore professionista. Come ogni rapporto di lavoro, anche quello sportivo trova la propria disciplina nell’ambito di una pluralità di fonti aventi natura, origine e caratteri differenti fra loro1.
Pertanto, nella seguente trattazione, dovremo necessariamente intraprendere un percorso ermeneutico che tenga conto di questa pluralità di fonti, analizzando, in primo luogo le fonti normative e, in un secondo momento, le fonti regolamentari.
Innanzitutto, si esaminerà il ruolo svolto dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea che, attraverso le sue pronunce, direttamente e indirettamente regola la disciplina del lavoro sportivo.
In secondo luogo, si farà riferimento alla Costituzione italiana e alle leggi, al suo interno, che sono riconducibili al rapporto di lavoro sportivo.
Successivamente, un’attenzione maggiore verrà data alla legge 23 marzo 1981, n. 91, in quanto prima (e ultima) legge che, nel nostro ordinamento, è andata a regolamentare questa materia e che, pertanto, riveste la maggiore importanza, in termini innovativi e contenutistici.
1 GERMINARA L., Il rapporto di lavoro del calciatore professionista, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, p. 1
Tale norma, pur giocando un ruolo preminente, non esaurisce, però, lo spettro delle fonti del rapporto di lavoro sportivo. Ad esso, infatti, sono applicabili tutte le norme del codice civile e della legislazione giuslavoristica italiana compatibili con le caratteristiche proprie di questo speciale rapporto di lavoro se non espressamente derogate e, infine, la contrattazione collettiva di categoria2.
Nella seconda parte del capitolo in esame, verranno analizzate, inoltre, le fonti regolamentari emanate a livello internazionale, da parte della Fédératione Internationale de Football Association (da ora, F.I.F.A.), e statale, da parte della Federazione Italiana Giuoco Calcio (da ora, F.I.G.C).
1. Fonti comunitarie e internazionali
Lo sport non ha mai figurato e formalmente e in via diretta, tra le materie di competenza comunitaria. Tuttavia, le disposizioni del Trattato CE, gli atti che negli anni ne sono derivati e le scelte politiche poste poi in essere dalla stessa UE in gran parte dei settori di sua specifica competenza, hanno in seguito certamente finito con l’incidere, spesso e talora addirittura in modo radicale, anche sull’ordinamento sportivo. Ciò è dipeso e continua a dipendere soprattutto dalle profonde trasformazioni che nell’ultimo decennio del secolo scorso hanno repentinamente investito il mondo dello sport3, dal punto di vista atletico, normativo ed economico.
A seguito di tali cambiamenti, si è passati da una concezione ludica e salutistica ad una visione dello sport come vera e propria attività economica e se è vero che questo ha permesso un maggior controllo, anche da parte delle Autorità europee, e dunque una migliore regolamentazione del settore, non è meno vero che si potrebbe (se già non è accaduto) perder la vera essenza del fenomeno sportivo: di fatto, i nuovi interessi collegati allo sport ne inficiano la natura pedagogica e di intrattenimento nonché di integrazione. Proprio gli obiettivi dell’integrazione e della lotta alle esclusioni sociali sotto qualsiasi forma, sono tra i principali obiettivi delle moderne democrazie e si capisce, allora, l’interesse delle stesse a combattere tutti quei fenomeni negativi che prendono sempre più piede, e che sfociano in
2 INCANTALUPO G., Il rapporto di lavoro sportivo, pubblicato sul sito www.sportelegge.gazzetta.it in data 20.4.2011
3 PUCCINI D., Fenomenologia del rapporto tra sport professionistico e diritto della concorrenza, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Pisa 2005, p. 26
comportamenti contrari ai principi di uguaglianza e solidarietà cui si ispirano i moderni Stati di diritto4.
Queste trasformazioni, quindi, hanno inevitabilmente comportato la necessità di un adeguamento della disciplina del lavoro sportivo ai principi comunitari in materia generale di lavoro. A questa situazione hanno fatto seguito le sempre più frequenti pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea5.
Con riferimento al complesso delle suddette attività svolte dall’Unione, è opportuno ricordare come gran parte della normativa comunitaria (regolamenti, direttive self-executing e sentenze della Corte di Giustizia) sia poi direttamente applicabile, e quindi altrettanto efficace, negli ordinamenti giuridici degli Stati membri, conferendo così agli stessi cittadini dei veri e propri diritti soggettivi. E ciò assume particolare tenore in relazione ad alcuni dei più importanti principi di rilevanza comunitaria, quali ad esempio: il divieto di discriminazione tra i cittadini degli Stati membri a causa della loro nazionalità, la libera prestazione dei servizi, la libera circolazione dei lavoratori nei Paesi dell’Unione Europea e il rispetto delle norme sulla concorrenza6.
In particolare, infatti, i dibattiti più rilevanti e le problematiche più spinose sono derivate dall’ostacolo che si frappone fra il principio fondamentale della libera circolazione dei lavoratori, il principio di non discriminazione e l’effettivo esercizio dell’attività sportiva e la Corte di Giustizia dell’Unione europea è stata, pertanto, più volte chiamata a decidere in ordine al rispetto di tali principi da parte dell’ordinamento sportivo, così come da parte delle norme dell’ordinamento dei singoli Stati.
Come sappiamo, il Trattato CE pone la libertà di circolazione delle persone come una delle quattro libertà fondamentali delle persone accanto alla libertà di circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali. Queste quattro libertà sono funzionali alla creazione di un mercato interno definibile come “spazio senza frontiere”.
In questa opera di valutazione della conformità dei principi UE alle norme dell’ordinamento sportivo, la Corte si è sempre fatta carico di tenere conto della c.d.
4 CHIANELLO V., La Comunità Europea e lo sport, Tesi di laurea, Università LUISS Guido Carli, Roma 2008, p. 3
5 DE CRISTOFARO M., op. cit., p. 580.
6 PUCCINI D., op. cit., p. 27
specificità dello sport – intesa come insieme degli aspetti singoli ed essenziali dello sport che lo distinguono da ogni altro settore di attività e di prestazione di servizi7 – indagando, per ogni singola fattispecie sottoposta al suo esame, se eventuali restrizioni ai principi sanciti a livello europeo potessero, in ambito sportivo, essere giustificate dalla legittimità degli obiettivi perseguiti e dall’adeguatezza, in termini di proporzionalità, dei mezzi usati per perseguirli8.
Tuttavia, la Corte ha fermamente escluso che tale specificità dello sport potesse assumere rilievo fino a comportare una legittima deroga ai principi comunitari e, quindi, una compressione di fondamentali diritti dei lavoratori sportivi: la libera circolazione e la non discriminazione.
Infatti, la creazione di un mercato comune, come prefigurato dall’art. 2 del Trattato CE, ha posto l’esigenza di garantire la mobilità delle persone – e di conseguenza dei lavoratori – all’interno del Territorio comunitario.
L’art. 18 del Trattato CE, allora, afferma che “ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri”, a prescindere dall’esercizio di un’attività lavorativa.
Libera circolazione dei lavoratori, quindi. È possibile, peraltro, individuare l’ambito di applicazione ratione personae e l’ambito di applicazione ratione materiae di questa fondamentale libertà.
La disciplina della libera circolazione dei lavoratori – e degli sportivi che esercitano tale attività in forma subordinata – è ricompresa nelle norme di cui agli artt. 39-42 del Trattato CE.9 .
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione ratione personae, l’art. 39 (prima art. 48) dispone che qualsiasi cittadino (europeo) ha il diritto “di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro”. Peraltro, la libera circolazione del lavoratore è garantita sia che si tratti di lavoro autonomo, sia di lavoro subordinato, laddove, la definizione di lavoro subordinato è stata fissata dalla Corte nella sentenza Latrie-Blum10, in cui si legge che “la caratteristica essenziale di un rapporto di lavoro [subordinato] è la circostanza che uno fornisca prestazioni di indiscusso valore economico ad un’altra persona e sotto la direzione
7 ZYLBERSTEIN J., La specificità dello sport nell’Unione Europea, in Riv. Dir. Econ. Sport., p. 59. ISSN 1825-6678, Vol. IV, Fasc. I, 2008
8 SPADAFORA M.T., Diritto del Lavoro Sportivo, Giappichelli Ed., Torino, 2012, p. 63
9 CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p. 200
10 Corte di giustizia, sent. del 3 luglio 1986, causa C-66/85, Raccolta, 1986, 2121.
della stessa, ricevendo come contropartita una retribuzione” e rappresenta, sempre secondo la Corte, un concetto avente “ valenza comunitaria” 11, che non può essere definito in base alle norme nazionali 12.
Per quanto riguarda, invece, l’ambito di applicazione ratione materiae, il cittadino gode, in primo luogo del diritto di uscire dal proprio Paese e, in secondo luogo, di fare ingresso in un altro Stato membro, anche al fine di accettare una proposta lavorativa o di cercare un’occupazione. Ai sensi della direttiva 2004/58/CE, il soggiorno non può superare i 3 mesi, a meno che non ricorrano alcune condizioni ex art. 7 della direttiva stessa:
a) esercitare un’attività di lavoro subordinato o autonomo;
b) esercitare un’attività economica in forma stabile;
c) disporre di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia a prescindere dall’esercizio di un’attività lavorativa o economica;
d) seguire un corso di formazione professionale in qualità di studente.
Altro principio fondamentale su cui si basa l’intera attività dell’Unione è il principio di non discriminazione: nel Trattato CE, esso era sancito dall’art 12, il quale vietava “ogni discriminazione effettuata sulla base della nazionalità”, sancendo, pertanto, l’abolizione di tutte le forme di discriminazione fondate sulla nazionalità, prevedendo la parità di trattamento tra i cittadini degli Stati membri per quel che riguarda l’impiego, la retribuzione, le agevolazioni fiscali e sociali e l’accesso all’istruzione13.
Questa regola di carattere generale viene specificata da tre disposizioni: l’art. 39 (prima art. 48), relativo all’abolizione di qualsiasi discriminazione nell’impiego, nella retribuzione ed in altre condizioni di lavoro; il diritto di rispondere ad offerte di lavoro effettive, di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri; di prendere dimora in uno degli stati membri al fine di svolgervi attività di lavoro; di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego. Ancora, l’art. 43, (prima art. 52) che tutela il diritto del lavoratore autonomo di stabilirsi in un altro stato membro per esercitare un’attività economica e l’art. 49 (prima art. 59) che assicura la libertà nella prestazione dei servizi14.
11 Corte di giustizia, sent. 19 marzo 1964, causa 75/63, Unger in Hoekstra, Raccolta, 1964, 351.
12 CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p. 200
13 Il principio di non discriminazione, pubblicato sul sito internet www.simone.it
14 Il contratto di lavoro sportivo, in [www.fidal-lombardia.it/071130.pdf], p. 185
Con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il principio di non discriminazione viene esteso dalla sola nazionalità ad ogni sua altra manifestazione. Grazie a questa innovazione trovano ora una precisa base giuridica tutte quelle iniziative dell’Unione europea volte alla lotta contro il razzismo e la xenofobia15.
Il principio in esame trova, poi, specifica applicazione anche nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori. Inoltre, esso è stato oggetto di un’intensa attività giurisprudenziale, a fronte della quale è stato sancito dalla Corte di Giustizia il divieto non solo delle discriminazioni palesi, ma anche quelle dissimulate, ossia criteri di differenziazione la cui applicazione comporta, di fatto, una diseguaglianza di trattamento.
Proprio sulla base delle considerazioni viste, si può comprendere l’importanza che la famosa sentenza Bosman ha avuto nel panorama calcistico, in quanto fu la prima ad estendere il divieto di discriminazione e la libertà di circolazione dei lavoratori in ambito sportivo. Vista la sua importanza, si rende doveroso tracciarne i profili più rilevanti.
Jean-Marc Bosman era un calciatore della RC Liège (RCL), militante nella massima serie belga. Nell’aprile del 1990 la società gli offrì una proposta di rinnovo contrattuale per una stagione, da quest’ultimo rifiutata. Come conseguenza, l’atleta fu inserito nella lista trasferimenti16. Contemporaneamente, l’indennità di trasferimento richiesta dall’R.C.L a qualsiasi società che avesse inteso ingaggiare il giocatore, venne fissata, sempre secondo il Regolamento della Federazione belga, a
11.743.000 franchi. Nel luglio dello stesso anno, Jean-Marc Bosman stipulò un contratto con il Dunkerque, club francese di seconda divisione. Tuttavia il RCL, che dubitava della solvibilità del club transalpino, non richiese alla Federazione calcistica belga (URBSFA) di trasmettere alla Federazione francese il certificato di tale trasferimento, “transfer”, documento senza il quale non si sarebbe potuto perfezionare il trasferimento del giocatore.17 Il calciatore, quindi, presentò ricorso innanzi alla Corte di Giustizia per sottoporre le seguenti questioni pregiudiziali:
- se una società potesse pretendere e percepire una somma di denaro allorché un giocatore tesserato per la stessa società, dopo la scadenza del contratto con essa stipulato, venisse ingaggiato da un’altra società calcistica;
15 Il principio di non discriminazione, pubblicato sul sito internet www.simone.itm
16 CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p 204
17 COLANTUONI L, op. cit. p. 178
- se le associazioni o federazioni sportive, nazionali e internazionali, potessero includere nei rispettivi regolamenti norme che limitassero la partecipazione di giocatori stranieri, cittadini di quei paesi aderenti alla Comunità europea, alle competizioni che esse organizzavano18.
La Corte, equiparando i calciatori agli altri lavoratori subordinati, dichiarò che:
a) l’art 48 del Trattato CE osta all’applicazione di norme emanate da associazioni sportive ai sensi delle quali un calciatore professionista cittadino di uno stato membro, alla scadenza di un contratto che lo vincoli ad una società, possa essere ingaggiato da una società di un altro Stato membro previo versamento alla società di provenienza di una qualsivoglia indennità (di trasferimento, formazione o promozione);
b) l’art 48 del trattato CE osta all’applicazione di norme emanate da associazioni sportive, secondo le quali, nelle competizioni dalle stesse organizzate, le società calcistiche possano schierare solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri.
In sostanza, la Corte, applicando l’art 48 del Trattato CE in tema di libera circolazione delle persone, ritenne incompatibile con il diritto comunitario una serie di vincoli, previsti dal diritto statuale interno, al trasferimento ad altra società di un giocatore di calcio professionista e la limitazione del numero dei calciatori professionisti comunitari nelle partite tra società calcistiche19.
Si è trattata di una sentenza che ha avuto un effetto dirompente nel mondo dello sport, per le implicazioni avute a diversi livelli sulla regolamentazione dell’attività sportiva, ponendo le basi per una riforma radicale dell’intero sistema del lavoro sportivo e, non a caso, furono molte le eccezioni sollevate, dalle controparti e dagli ambienti calcistici interessati alla vicenda.
Si registra soprattutto la presa di posizione della UEFA, che, dal canto suo sostenne che “anche se l’art. 48 del Trattato debba applicarsi ai calciatori
18 CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p. 205
19 TORTORA M, IZZO C.G., L. GHIA, Diritto sportivo, Utet, 1998, p. 78
professionisti, sarebbe necessario attenersi a criteri di elasticità in considerazione della specificità di tale attività sportiva”(punto 71).
La Corte respinse questa ed altre argomentazioni, sostenendo che il principio della libera circolazione dei lavoratori, di cui all’art. 48 del Trattato CE, sul quale si fonda il dispositivo della sentenza Bosman, insieme alla libertà di circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, ugualmente garantiti dal Trattato, costituisce un asse portante della stessa nozione di mercato comune e in quanto tale “non tollera attenuazioni o eccezioni”, non ritenendo, pertanto, di poter temperare tale principio alla luce della specificità dello sport. Nella visione della Corte di Giustizia, il giocatore professionista che entra a fare parte dell’ordinamento sportivo, con ciò stesso non può subire una limitazione così grave all’esercizio di un diritto fondamentale attribuitogli direttamente dal Trattato20
Effetto diretto della sentenza, dal punto di vista della realtà pratica, è stato il concretizzarsi di una vera e propria “corsa” delle società professionistiche a rivedere i contratti dei propri giocatori e ad allungarne la durata al fine sostanzialmente di “blindare” i propri calciatori (almeno quelli con un certo “valore di mercato”): ciò in quanto, finché il calciatore è sotto contratto, la società ne ha, in pratica, una sorta di “proprietà”. Se tale giocatore le fosse, infatti, richiesto da un’altra società, quella che ha con il calciatore un rapporto contrattuale in corso può chiedere un’indennità soggettivamente determinata per rilasciare il proprio “nulla osta al trasferimento” ai fini della cessione del relativo contratto. 21
È indubbio che la sentenza aprì la strada ad un’intromissione comunitaria nello sport, tramite il pretesto della valenza economica22 del fenomeno sportivo, creando il rischio concreto che vi fossero ulteriori interventi giudiziari volti a sovvertire le norme sportive. 23 In concreto, la sentenza è andata ad interferire sull’indennità di preparazione e sui limiti alla partecipazione di giocatori stranieri comunitari nelle competizioni sportive24.
La sentenza Bosman, pur avendo avuto il merito di attuare i principi cui si ispirava la politica comunitaria, non aveva, però, tenuto conto degli aspetti peculiari
20COLANTUONI L., op. cit. p. 179, da M. CLARICH, La sentenza Bosman: verso il tramonto degli ordinamenti giuridici sportivi?, in Riv. Dir sport., 1996, p. 402
21 R.BENTANI, op. cit. p. 96
22 Lo sport ha rilevanza per il diritto comunitario, in quanto configurabile come attività economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato CE
23 SANINO M., Il diritto sportivo, CEDAM, III ed., Padova 2011, p. 253
24 M. SANINO, op. cit. p. 254
della realtà del mondo sportivo e del fatto che, in questo settore, l’applicazione integrale delle norme che affermavano i suddetti principi, avrebbe potuto comportare conseguenze negative e situazioni ben diverse da quelle perseguite. Infatti, un indiscriminato afflusso ed impiego di giocatori stranieri nelle squadre di club sarebbe andato a compromettere i settori giovanili (c.d. vivai), poiché per le squadre non vi sarebbe stata più convenienza nel curarne la formazione; senza contare che sarebbero stati così compromessi anni di tradizioni di scuole calcio e, soprattutto, quell’aspetto ricreativo e formativo che lo sport ha sempre avuto per i giovani. Poche società sarebbero state infatti disposte ad investire sui vivai con la prospettiva di perdere, senza alcun indennizzo, i propri atleti che si fossero trasferiti ad altre società; inoltre, l’azzeramento immediato dell’indennizzo, senza la previsione di un periodo transitorio o di un limite di tempo entro il quale mantenerlo, sarebbe stato negativo per i bilanci della società25.
Ne derivò, pertanto che la sentenza, proprio per la sua rilevanza, avrebbe dovuto prevedere un periodo adeguato di assestamento. In senso più generico, occorreva salvaguardare la libera circolazione dei calciatori, ma mediante soluzioni in grado di soddisfare i vari interessi in gioco.
Il legislatore italiano, dal canto suo, è intervenuto con il D.L.20 settembre 1996, n. 485, convertito con la legge 18 novembre 1996, n. 586. 26 . L’effetto di tale intervento legislativo è stato quello di abolire l’istituto giuridico l’indennità di preparazione e promozione regolate dall’art. 6 della legge n. 91/1981.
Quanto agli effetti della sentenza Bosman, va ricordato che trattandosi di sentenza resa in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 177 del Trattato CEE (ora art. 234), non fa altro che dichiarare come debba essere interpretato l’art 48 del Trattato stesso, il quale è direttamente applicabile dai giudici nazionali per forza propria, anche prevalendo su eventuali norme interne contrastanti. La sentenza Bosman ha, quindi, non solo carattere vincolante fra le parti in giudizio, ma anche un’ efficacia erga omnes, atteso che i giudici nazionali sono vincolati ad interpretare il Trattato nel senso indicato dalla Corte europea. 27
Va da sé, poi, che ogni riferimento alla libera circolazione dei lavoratori (in questo caso, sportivi) in ambito comunitario, deve anche necessariamente prendere in
25 M. SANINO, op. cit. p. 266
26 Per un’analisi dei contenuti di questa legge, cfr Sanino, op. cit. p. 271
27 M.ROCCIA, Diritto dello sport, Le Monnier, Firenze, 2008, p. 171
considerazione tutte le regole del Trattato CE poste a tutela della libera concorrenza tra i lavoratori stessi nell’espletamento della loro professione. 28
A fronte di quanto è stato stabilito nella sentenza Bosman, però, la Corte, rispetto alla libertà di circolazione dei lavoratori sportivi, ha individuato nel tempo situazioni in cui, proprio in ragione della specificità dello sport, gli effetti restrittivi a detta libertà, conseguenti all’applicazione di determinate regole, sono ammessi se funzionali e proporzionati al raggiungimento di un obiettivo legittimo, e non eccedano quanto necessario per perseguirlo29.
È il caso del calciatore Olivier Bernard30, che può essere considerato una svolta per il futuro del calcio giovanile europeo.
La vicenda, seppur di recente soluzione, risale al 1997 e riguarda una controversia sorta fra l’Olimpique Lione, il Newcastle United e il calciatore stesso.
La giovane promessa (“espoir”) francese rifiutò un contratto da professionista propostogli dall’Olimpique Lione, squadra in cui era cresciuto calcisticamente e in cui militava, per accettare la proposta contrattuale del Newcastle United, club di Premier League. Il Lione, venuto a conoscenza dell’accordo tra il giocatore transalpino e il club britannico intraprese le vie legali nei confronti di entrambi, al fine di ottenere un risarcimento di 53.357 euro (ovvero l’ammontare della retribuzione che il giocatore avrebbe avuto firmando con il Lione). Bisogna sottolineare come, all’epoca dei fatti, la Carta dei calciatori professionisti francesi prevedesse che il giocatore “espoir” dovesse firmare il primo contratto da professionista con la società che ne aveva curato la crescita, qualora questa gliene avesse offerto uno, coerentemente con le intenzioni del Presidente UEFA Michel Platini, il quale, proprio al fine di arginare il fenomeno dei “furti” ai danni delle società meno potenti, aveva avanzato l’ipotesi di porre l’obbligo di firma del primo contratto da professionista con le società che avessero curato la crescita dei giovani giocatori.
Il caso arrivò fino alla Corte di Giustizia Europea, la quale sostenne come il regime che imponga a un giocatore “promessa” di firmare il primo contratto da professionista con la società che ne ha curato la formazione costituisca una
28 D.PUCCINI, op. cit. pag. 130
29 SPADAFORA M.T., Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli Ed., Torino 2004, p. 65,
30 Corte Giust., 16 marzo 2010, c-235/08, Bernard, in Riv. Dir. Econ.sport., 2010, 1, p.141
“restrizione alla libera circolazione dei lavoratori”. Tuttavia la Corte – ed è questo il dato interessante – si è spinta oltre, sostenendo l’importanza sociale nell’Unione Europea dell’attività sportiva e in particolar modo del gioco del calcio. Secondo i giudici europei, pertanto, deve “essere riconosciuto legittimo l’obiettivo di incoraggiare l’ingaggio e la formazione di giovani giocatori.”
Ciò significa che alle società che ne curano la crescita va comunque riconosciuto un indennizzo, che va giustificato con le spese sostenute dal club nella formazione del giocatore in questione (in questo caso Olivier Bernard) 31.
Con questa importante sentenza, i giudici europei hanno stabilito che l’art. 45 del Trattato CE non osta ad un sistema che, al fine di realizzare l’obiettivo di incoraggiare l’ingaggio e la formazione di giovani giocatori, garantisca alla società che ha curato la formazione un indennizzo nel caso in cui il giocatore, al termine del proprio periodo di formazione, concluda un contratto come giocatore professionista con una società di altro Stato membro, a condizione che tale sistema sia idoneo a garantire la realizzazione di detto obiettivo e non vada al di là di quanto necessario al fine del suo conseguimento32.
Un'altra ipotesi in cui è ammissibile, a parere della Corte, questa “compressione” del principio di libertà di circolazione dei lavoratori è rappresentata dalle regolamentazioni delle federazioni sportive che impongono limiti temporali ai trasferimenti degli atleti, e per le quali le società non possono schierare in campo giocatori di altri Stati membri ingaggiati dopo una certa data. Questo, perché tale limitazione è finalizzata a non alterare le competizioni, favorendo determinate squadre in occasioni di gare decisive e falsando i risultati33. In altre parole, la fissazione di termini può mirare a evitare di falsare la regolarità delle competizioni, se non eccede quanto necessario per conseguire tale scopo. In questo caso, la necessità di garantire sicurezza alle competizioni sportive giustifica una deroga al principio di libera circolazione dei lavoratori34.
31 PRIORI D., “Lo strano caso di Olivier Bernard: dalla Corte di giustizia europea una sentenza a tutela dei vivai”, Il Corriere laziale, martedì 20 aprile 2010. Articolo consultabile sul sito www.ilcorrierelaziale.it
32 Corte Giust., sentenza Bernard, cit., punto 49
33 Corte Giust., 13 aprile 2000, c. 176/96, Lehtonen.
34 COLUCCI M., L’autonomia e la specialità dello sport nell’Unione Europea, in Riv. Dir. Econ. Sport, 1825-6678 Vol. II, Fasc. 2, 2006, p. 24
Analogamente, sono state ritenute non in grado di costituire di per sé una restrizione alla libera prestazione di servizi le regole che disciplinano le modalità di selezione di partecipanti a competizioni internazionali ad alto livello, qualora esse discendano dalla necessità inerente all’organizzazione di siffatta competizione, spettando alle federazioni sportive il compito di selezionare i partecipanti secondo criteri e meccanismi ritenuti a tal fine più idonei, purché non discriminatori35.
Come si è visto, per lungo tempo si è discusso sulla questione della cosiddetta "eccezione dello sport" rispetto alla legislazione europea (UE), cui ci si riferisce spesso – abbiamo detto – con la definizione di “specificità dello sport”.
Il discorso si può concludere ricordando un importante caso giurisprudenziale che riassume – senza, peraltro risolvere del tutto – i termini della questione. Il caso Meca-Medina36 è un passaggio fondamentale perché per la prima volta la Corte ha avuto la possibilità di giudicare nel settore dello sport a seguito di ricorso presentato dalle parti contro una sentenza del Tribunale di Primo Grado anziché in via pregiudiziale su ricorso dei giudici nazionali ex. art. 177 CE.
Il caso ha offerto alla Corte di Giustizia europea un’ottima opportunità per sviluppare ulteriormente e descrivere le specifiche "norme sportive" che non rientrano nel campo d’applicazione del Trattato CE. Così facendo, la Corte avrebbe consentito agli organismi sportivi di capire meglio il tipo di norme e di pratiche che possono applicare senza temere di essere portati davanti ai tribunali per (presunte) violazioni della legislazione UE. Infatti, questo caso particolare presentava un ricorso contro le norme antidoping - area che per molte persone rientra indiscutibilmente ed esclusivamente tra le competenze degli organismi (sportivi) regolatori - sulla base della legislazione UE. In linea di principio le norme antidoping si basano sulla necessità di scoprire e prevenire "la frode". Se ciò non rientra tra i parametri di "interesse sportivo" o di questione "inerente all’organizzazione di una competizione sportiva" risulta difficile immaginare cosa possa soddisfare tali criteri.
Tenendo conto di tutta la Giurisprudenza della Corte, il ricorso contro una disposizione antidoping sulla base delle regole sulla concorrenza, andava chiaramente respinta. Ma decidendo di concentrarsi sugli interessi economici dello sport a tutto
35 Così SPADAFORA M.T., a proposito di Corte Giust., 11 aprile 2000, cause riunite c51/96 e c-191/97,
Deliege.
36 Corte di Giustizia europea, 18 luglio 2006, Meca-Medina & Majcen c. Commission, C-519/04 P ( “Meca-Medina”).
svantaggio dei suoi valori etici – sacrificati a favore di una logica dogmatica – i giudici comunitari sono riusciti a legittimare tale ricorso37.
Inoltre, sfortunatamente, nella sentenza del 18 luglio 2006, la Corte di Giustizia europea non ha chiarito la portata e la natura delle norme “sportive” che non rientrano nel campo d'applicazione della legislazione UE. La Corte, invece, sembra aver compiuto un importante passo indietro, capovolgendo in parte la sentenza precedente del Tribunale di Primo Grado. Così facendo, la Corte ha stabilito un criterio giuridico vago che quasi inevitabilmente comporterà un numero maggiore di ricorsi nei confronti dei regolamenti e delle pratiche nel mondo dello sport basati sulla legislazione UE. Se si osserva il linguaggio preciso utilizzato dalla Corte risulta ormai più difficile identificare le regole sportive che non possono essere contestate sulla base della legislazione UE38.
Come si può notare, il contributo più significativo al processo che ha portato l’Unione Europea a dedicare sempre maggiore attenzione allo sport è stato fornito dall’attività della Corte. Tale processo, iniziato proprio con la sentenza Bosman, è senz’altro culminato con il Trattato di Lisbona del 2007 (entrato in vigore il primo dicembre 2009) che inserisce lo sport tra le competenze di coordinamento e sostegno dell’Unione europea (articolo 165 TFUE, ex articolo 149 TCE).
È significativo, allora, ripercorrere la rilevanza che lo sport ha maturato, nel tempo, a livello comunitario, attraverso una timeline, con la quale è possibile notare come, ad una prima latitanza delle istituzioni comunitarie, negli ultimi anni l’evoluzione dello sport nel panorama comunitario ha subito una decisa accelerata:
1957: il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, non contemplava norme dedicate in maniera esplicita allo sport.
1974: La Corte di Giustizia sancisce l’assoggettabilità dello sport (inteso come attività economica) al diritto comunitario, ai sensi dell’art. 2 del Trattato.
1985: La relazione Adonnino, adottata dal comitato ad hoc su l’“Europa dei cittadini”, a conclusione del vertice di Milano nel 1985, promuove lo sport come strumento per valorizzare e sensibilizzare il cittadino rispetto al senso di appartenenza alla Comunità Europea.
37 ZYLBERSTEIN J., La specificità dello sport nell’Unione Europea, op. cit. p. 65
38 Per un’analisi più dettagliata di questo caso giurisprudenziale, cfr. Infantino G., Meca-Medina: un passo indietro per il modello sportivo europeo e la specificità dello sport, pubblicato all’indirizzo [it.uefa.org].
1987: con l’Atto Unico Europeo del 1987, il ruolo dello sport è evidenziato sia a livello economico che sociale.
1990: viene istituito il Forum Europeo dello sport con funzioni consultive cui fa seguito, nel 1992, la Carta Europea dello Sport, quale primo atto normativo di fonte comunitaria in materia di sport.
1995: Sentenza Bosman
1997: è con il Trattato di Amsterdam del 1997 che si riconosce a livello europeo l’importanza dello sport. In particolare è nella dichiarazione n. 29 sullo sport allegata all’atto finale della conferenza che ha adottato il testo del Trattato, che si sottolinea la rilevanza dello sport come strumento che forgia le identità ravvicina le persone. Sempre nella dichiarazione n. 29 poi, si invitano gli organi della UE a prestare ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti in materia di sport, con particolare attenzione allo sport dilettantistico. Questo passaggio rappresenta il primo documento “ufficiale” in cui viene dato giusto rilievo al termine sport e può essere definita la prima “pietra” del faticoso cammino di valorizzazione del fenomeno sportivo nel contesto comunitario39.
1998: la Commissione predispone una relazione puntuale, intitolata Evolution et perspectives de l’action communautaire dans le sport, in cui sono individuate cinque funzioni essenziali dello sport: educativa, salutare, sociale, culturale e ludica.
1999: viene elaborato dalla Direzione Generale X un documento di consultazione fondamentale per quanto riguarda la configurazione dello sport a livello organizzativo, intitolato “Il modello europeo di sport” e posto a base della Relazione di Helsinki sullo sport, presentata alla riunione del Consiglio Europeo tenutasi ad Helsinki il 10-11 dicembre 1999. L’obiettivo della Relazione è quello di “salvaguardare le strutture sportive esistenti e il ruolo sociale dello sport nell’ambito comunitario”, nonché di chiarire la struttura giuridica dello sport. La Relazione di Helsinki apre la strada ad un nuovo approccio della Commissione nei confronti dello sport, teso ad un riconoscimento (non ancora totale) di quella specificità tanto osannata dai vertici dell’ordinamento sportivo
Sempre nel 1999: “Prima Conferenza Europea sullo Sport”, che elabora l’attuale “modello europeo” di sport. Dai lavori della conferenza emerge la convinzione che lo sport europeo, nonostante le differenze esistenti fra i diversi
39 Colantuoni pag 14 riprende J. TOGNON, L’unione Europea e lo sport, in www.giustiziasportiva.it
paesi, presenta un certo numero di caratteristiche comuni che devono essere salvaguardate da possibili distorsioni commerciali40.
Più recentemente, nella conferenza intergovernativa tenutasi a Nizza il 7-9 dicembre 2000 , attraverso la “Dichiarazione sulla specificità dello sport e la sua funzione sociale in Europa” , per la prima volta viene espressa la volontà di tutelare quelle caratteristiche peculiari e proprie dello sport, di cui si dovrà tener conto nell’attuazione delle future politiche comunitarie, che dovranno avere come obiettivo la salvaguardia della coesione e dei legami di solidarietà che uniscono tutte le pratiche sportive, dell’equità delle competizioni, degli interessi materiali e morali e dell’integrità fisica degli sportivi, specie se minorenni41. Inoltre, sempre nell’ambito di questa Dichiarazione, si afferma il principio secondo il quale all’ordinamento sportivo deve essere riconosciuta autonomia organizzativa per mezzo di adeguate strutture associative tra le quali le federazioni mantengono il loro ruolo centrale42.
È, inoltre, altrettanto necessario ricordare il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa43. Il testo del Trattato inserisce proprio lo sport, al pari dell’industria, della cultura e degli altri valori assoluti del tessuto connettivo comunitario, tra i settori, appunto, rispetto ai quali l’Unione può certamente condurre azioni di sostegno, di coordinamento o di complemento44, dimostrando un rinnovato interesse dell’UE verso il fenomeno sportivo nel suo insieme e la nuova centralità da esso acquisita.
Come è noto, la Costituzione non è stata adottata e, nell’ottobre del 2006, la presidenza Britannica, preoccupata per la situazione dello sport in Europa, convoca una riunione fra i Ministri europei dello Sport delle «grandi» nazioni calcistiche e le autorità calcistiche interessate, per discutere le modalità di attuazione della Dichiarazione di Nizza in ambito calcistico. Nasce, così, il Rapporto Indipendente sulla situazione dello sport in Europa.
40 Colantuoni, op. cit. p. 15
41 CHIANELLO V., op. cit., p. 12
42 Il contratto di lavoro sportivo, in [www.fidal-lombardia.it/071130.pdf], pag. 94 , alla nota n. 49 richiama: “Sullo sport nell’Unione Europea: PESCANTE M. , L’Atto Unico Europeo e lo sport, Relazione al convegno L’atto Unico Europeo e lo sport, Roma, 24 novembre 1989; ANDREU J. La Comunità Europea e lo sport, a cura della Commissione delle comunità europee generali con comunicazione del 19 settembre 1991, in Riv. dir. Sport., 1992, p. 630; BERNINI G., Lo sport ed il diritto comunitario dopo Maastricht: profili generali in Riv. dir. Sport., 1993, p. 653. Più in generale: BARBERA M. Dopo Amsterdam, I nuovi confini del diritto sociale comunitario, Promodis, Brescia, 2000”.
43 Consultabile in G.U.C.E. C 310 del 16 dicembre 2004
44 PUCCINI D., op. cit., p. 34
2007: il 29 marzo il Parlamento Europeo adotta a Bruxelles la Risoluzione 2006/213027 sul futuro del calcio professionistico in Europa. Nella Risoluzione in commento, anche il Parlamento richiama l’importanza sociale ed educativa del calcio in Europa “quale strumento di inclusione sociale e di dialogo multiculturale […] che come tale deve svolgere un ruolo attivo nella lotta contro la discriminazione, l’intolleranza, il razzismo e la violenza poiché molti incidenti di questa matrice avvengono ancora all’interno e attorno agli stadi”45.
2007: l’11 luglio, la Commissione presenta il c.d. Libro Bianco sulla Sport, che, pur non essendo vincolante, rappresenta la prima importante iniziativa in materia su scala europea, il cui obiettivo è fornire orientamenti strategici, in linea con la normativa UE, sul ruolo dello sport in seno all'Unione Europea, in particolare a livello socio-economico. Tuttavia, tale documento ha sollevato fin da subito forti critiche, da parte della dottrina e degli operatori del settore, i quali avevano avuto sempre e comunque, come preoccupazione principale, il riconoscimento effettivo ed esplicito della più completa autonomia possibile dell’ordinamento sportivo46, aspettativa non ancora esaudita in ambito europeo.
2007: il 13 dicembre viene firmato il Trattato di Lisbona, che supera le delusioni e perplessità lasciate dal Libro Bianco. Tale trattato, per ciò che riguarda l’argomento in esame, costituisce il momento apicale del processo di comunitarizzazione del fenomeno sportivo, in quanto ha finalmente introdotto il riconoscimento della specificità dello sport tra i principi che ispireranno l’azione dell’Unione Europea in materia. Punto, questo, che sembrava essersi affievolito nei progetti del Libro Bianco.
L’art 165 del Trattato di Lisbona, al primo comma, infatti afferma che: ”L'Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa”.
Il comma 2 aggiunge che: “ L'azione dell'Unione è intesa a (…) sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l'equità e l'apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l'integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani tra di essi”.
45 CHIANELLO V., op. cit., p. 19
46 CHIANELLO V., op. cit., p. 32
Il comma 3, infine, conclude stabilendo che l'Unione e gli Stati membri dovranno impegnarsi per favorire la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di istruzione e di sport, in particolare con il Consiglio d'Europa”.
Infine, i profili internazionali. Coerentemente con quanto disposto dall’art. 35, comma 2 della Costituzione, secondo cui la Repubblica “ promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”, assumono particolare importanza le norme di diritto internazionale di origine pattizia, le quali derivano da organizzazioni internazionali, autorizzate ad emanare atti vincolanti per gli Stati membri, e da accordi internazionali stipulati tra Stati esteri, particolarmente in materia di emigrazione e di sicurezza sociale. Tali norme entrano nell’ordinamento giuridico per mezzo di leggi ordinarie del Parlamento che ne recepiscono il contenuto, cosicché nella gerarchia delle fonti va ad esse riconosciuto il rango di fonte primaria47.
La più importante organizzazione internazionale, fonte di produzione giuslavoristica, è costituita dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), la quale ha l’intento di elevare le condizioni materiali ed intellettuali dei lavoratori dei paesi aderenti. Il suo fine istituzionale è quello di svolgere un’attività promozionale nei confronti delle legislazioni nazionali, attraverso l’emanazione di convenzioni e di raccomandazioni.
Mentre le raccomandazioni, analogamente a quanto avviene per gli altri trattati internazionali, devono essere ratificate dallo Stato membro, con legge ordinaria, in maniera tale da divenire fonti primarie del diritto, le convenzioni hanno una maggiore efficacia giuridica, poiché costituiscono delle proposte di legge che non vincolano gli Stati aderenti al recepimento del loro contenuto, ma solo a sottoporne il contenuto agli organi interni competenti, tenuti a giustificarsi di fronte all’Organizzazione in caso di inadempienza o di difformità della disciplina adottata rispetto a quanto previsto nella raccomandazione48.
Un’altra organizzazione internazionale che può essere annoverata nell’ambito delle fonti del lavoro sportivo è il Consiglio d’Europa, il cui scopo principale è
47 SPADAFORA M.T., op. cit. p. 54
48 SPADAFORA M.T., op loc. cit.
promuovere la democrazia, i diritti dell'uomo, l'identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa. Nell’ambito del lavoro, il Consiglio d’Europa ha emanato, nel 1961, la Carta Sociale Europea, che è stata ratificata dall’Italia con la legge 3 luglio 1965, n. 969, in cui vengono ribaditi i diritti alla costituzione e alla partecipazione ai sindacati, alla contrattazione collettiva, allo sciopero, e così via.
2. Norme e principi costituzionali
Come è stato rilevato, nella legge fondamentale trovano fonte e piena legittimazione anche norme attinenti alla disciplina del fenomeno sportivo, considerato nei suoi due profili essenziali di attività libera, inerente alla sfera personale dell’individuo, e di attività organizzata secondo propri schemi e modelli specifici49. Tuttavia, nel testo originale della Carta costituzionale del 1948, vi era la totale assenza di un diretto riferimento normativo allo sport. Questo potrebbe portare, ad una prima e superficiale lettura, a concludere per un’ intenzionale disinteresse dei Padri Costituenti al fenomeno. Più precisamente, invece, si può interpretare tale silenzio attraverso una lettura più ampia, che tenga conto del momento storico in cui la Carta fondamentale ha preso vita. Sembra allora agevole ipotizzare che la volontà del legislatore sia stata condizionata, o quanto meno animata, da una sorta di ripudio di qualsiasi possibile continuità con i caratteri dell’ordinamento precedente50. Infatti è noto come gli ordinamenti totalitari, che sorsero in Europa nei primi decenni del XX secolo, fecero della rigorosa preparazione e della selezione atletico-sportiva dei giovani una componente essenziale del loro programma politico, spesso in un’ottica di predominio razziale. Pertanto, analizzando il contenuto compatibile di certi principi programmatici ed estrapolando alcune norme che hanno trovato applicazione in procedimenti di legittimità costituzionale, è possibile disegnare un quadro sintetico di quelli che potrebbero essere considerati i riferimenti normativi, più o meno diretti, attraverso i quali la Carta fondamentale si rivolge all’attività sportiva e nei quali pare non azzardato rinvenire, oltre a quelle etiche e giuridiche di corredo sostanziale, tracce palpabili, seppure non espresse, di una qualche rilevanza costituzionale del
49 PARISI A.G., in CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), Lineamenti di diritto sportivo, Giuffrè Editore, Milano 2008, p.316
50 PARISI A.G., op.cit., p.316
fenomeno51. È, però, doveroso precisare che, per via della mancanza, nelle norme costituzionali, di un preciso riferimento alla materia, è solo attraverso un lavoro ricostruttivo dell’interprete che si riuscirà ad estrapolare una prima qualificazione dell’attività sportiva, così come proposta dalla prassi sociale e formalizzata dall’organizzazione ufficiale.
Fatta questa doverosa premessa, passiamo ora ad un’analisi più specifica della legge fondamentale. Al rapporto di lavoro sportivo professionistico devono ritenersi sicuramente applicabili quelli che vengono definiti i principi fondamentali di ordine generale come il principio di personalità, disciplinato dall’art. 2 Cost., il quale riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità; il principio di uguaglianza formale - secondo il quale tutti sono titolari dei medesimi diritti e doveri, in quanto tutti sono uguali davanti alla legge - e sostanziale, attraverso il quale lo Stato e le sue articolazioni si assumono l’impegno di rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini di cui all’art. 3 Cost.; il principio del diritto al lavoro per ogni cittadino, sancito dall’art. 4 Cost., il quale assegna al lavoro il duplice ruolo di diritto e dovere, intesi rispettivamente come un fine cui lo Stato deve tendere ed un dovere morale cui ciascun individuo dovrebbe adempiere, nel rispetto della libertà della persona52.
Inoltre, il fenomeno sportivo può certamente trovare fondamento anche nell’art. 18 Cost., che fissa il diritto dei cittadini di associarsi liberamente, portando ad affermare che, nell’esercizio di una così ampia facoltà non pare non possa a pieno titolo includersi la possibilità di coordinare in maniera regolata le proprie propensioni ed i propri interessi personali per la pratica più o meno “specializzata” di un’attività sportiva53.
Ancora: ad un rapporto di lavoro come quello calcistico, sarà applicabile quella parte di norme costituzionali che mirano alla tutela del lavoro e che sono annoverate agli artt. 35-47. In particolare, ai fini di questa trattazione, si deve sottolineare l’importanza di alcune essenziali previsioni normative, quali l’art. 35 che, al primo
51 PRELATI R., Fondamenti etici del Diritto sportivo, Università degli Studi di Perugia., Perugia 2008, p. 217
52 Tratto da Impariamo la costituzione, un articolo a settimana, consultabile al sito web [www.impariamolacostituzione.com.wordpress.com/2010/04710/articolo-4], pubblicato il 10.4.2010.
53 PRELATI R., op.cit., p. 218
comma, impone allo Stato di tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e che al comma successivo sancisce l’onere sempre in capo alla Repubblica di curare la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori; l’art. 36, che nei suoi 3 commi afferma il diritto di ciascun lavoratore di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, affida alla legge il compito di determinare la durata massima della giornata lavorativa e riconosce al lavoratore il diritto inderogabile al riposo settimanale e alle ferie; l’art. 37, il quale tutela il diritto al lavoro delle donne e dei minori; l’art. 38 sancisce il diritto alla previdenza e all’ assistenza sociale; infine, saranno applicabili gli articoli 39 e 40, che riconoscono i principi di libertà sindacale e di contrattazione collettiva, nonché il diritto di sciopero54.
Come si è detto e spiegato, nel testo originale della Costituzione non vi era alcun riferimento al fenomeno sportivo. Il legislatore, in tempi moderni, ha tuttavia posto rimedio a questa lacuna. Infatti, lo sport, nelle sue diverse espressioni, si è ormai inserito a tutti i livelli nella vita moderna, assumendo caratteri e dimensioni che l’ordinamento giuridico non ha potuto ignorare55. La legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 24 ottobre 2001 ed entrata in vigore il successivo 9 novembre, ha riformato e riformulato gran parte del titolo V della Costituzione, intitolato "Le Regioni, le Province, i Comuni". Nell’ambito di questa riforma del Titolo V, il nuovo art. 117 risulta uno degli articoli più innovativi: La nuova formulazione di tale articolo riconosce espressamente una potestà legislativa alle regioni in “materia di ordinamento sportivo”.
Benché l’espressione potrebbe ingenerare dubbi in ordine all’esatta portata della previsione, ed indurre a ritenere che sia stata attribuita alle regioni una potestà che possa in qualche modo prescindere e travalicare gli ambiti di autonomia all’ordinamento sportivo56, è da ritenere che la loro competenza sia riferita alla materia sportiva, riguardo alla quale gli enti territoriali, anche in collaborazione con le articolazioni locali del CONI e con gli altri enti pubblici, sono chiamati ad
54 GERMINARA L., op.cit., p. 3
55 PRELATI R., op.cit., p. 215
56 Limiti, peraltro, legittimamente affermati dall’art. 1 della legge 280/2003, in tema di giustizia sportiva, secondo cui la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale
adoperarsi per creare le condizioni, anche strutturali, per la migliore e più efficiente realizzazione dell’interesse pubblico alla diffusione della pratica sportiva57.
Infine, va sottolineato che nel sistema delle fonti del diritto del lavoro assumono rilevanza anche gli usi normativi. L’art. 2078 c.c., infatti, da un lato ammette l’applicazione degli usi in mancanza di leggi e di contratto collettivo, dall’altra stabilisce che “gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge”58. La ratio di una eventualità di questo tipo, che deroga al rigido principio della gerarchia delle fonti, risiede nel principio generale del favor prestatoris proprio del diritto del lavoro, secondo cui ad una stessa materia, deve applicarsi la disposizione più favorevole, anche se di rango inferiore. Ne deriva che le norme di legge prevalgono sugli usi meno favorevoli ai lavoratori; le norme di legge imperative prevalgono sugli usi anche se questi sono più favorevoli; le norme di legge dispositive cedono di fronte agli usi più favorevoli ai lavoratori59.
3. Fonti legislative per il professionismo calcistico
A livello legislativo, il rapporto di lavoro del calciatore professionista trova la sua specifica disciplina nella legge 23 marzo 1981, n. 91, di cui si tratterà ampiamente in questo capitolo. È, però, doveroso ricordare come questo rapporto di lavoro - lo si vedrà a breve - venga ad essere, inoltre, disciplinato in tutte le altre norme dettate per il lavoro subordinato in generale60, laddove non incompatibili o espressamente escluse, dando luogo ad una disciplina di carattere speciale rispetto a quella del lavoro subordinato in genere. L’interprete è chiamato, pertanto, ad un’attenta opera di raccordo della disciplina speciale con quella generale, che tenga conto della specialità del rapporto di lavoro disciplinato, ma che, nello stesso tempo, consenta di inserire in modo adeguato il provvedimento legislativo nel contesto dell’ordinamento statale, considerato anche nella sua dinamica evolutiva61.
57 SPADAFORA M.T., op. cit. p. 59
58 SPADAFORA M.T, op. cit 56-57
59 PERONE G., Lineamenti di diritto del lavoro, Giappichelli Ed., Torino, 2008, p. 227
60 Si veda, a tal proposito, GERMINARA L., op.cit., p. 4, nota n° 7: “L’applicabilità delle norme sul lavoro subordinato è dovuto al riconoscimento, da parte dell’articolo 3 della legge 91/81, della natura subordinata del rapporto di lavoro che lega il calciatore alla società sportiva. Si vedrà altresì che, ai sensi dell’articolo 4 della legge 91/81, non saranno però applicabili al rapporto di lavoro sportivo professionistico, la totalità delle norme valide per qualsiasi rapporto di lavoro subordinato ordinario”. 61 DE CRISTOFARO M., Legge 23 marzo 1981, n. 91. Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, in Nuove leggi civ. comm., 1982, p. 580.
Fatta questa doverosa premessa, che mette in condizione di capire la concomitanza di più disposizioni legislative a disciplinare il rapporto di lavoro calcistico professionistico, si può passare ad analizzare quella che rappresenta la normativa di riferimento per tutte le discipline sportive, che prevedono un settore d’attività professionistico.
3.1. La legge 23 marzo 1981, n. 91: Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti
Per quanto riguarda le fonti di natura legislativa, il riferimento normativo principale è sicuramente la legge 23 marzo del 1981, n. 91. Questo ruolo di preminenza è da imputarsi alla grande importanza che questa normativa ha rivestito (e riveste tuttora) nel panorama del diritto sportivo. Infatti a questa legge spetta il merito di aver, per la prima volta, regolamentato il rapporto di lavoro intercorrente fra società sportive e atleti professionisti62, nonché quello di aver effettuato, sempre per la prima volta, una organica e complessiva valutazione, da parte dell’ordinamento statale, del fenomeno contrattuale nel cui ambito si svolge l’attività sportiva professionistica63. La sua promulgazione rappresenta l’atto conclusivo di un lungo iter parlamentare , che ha risentito fortemente del dibattito dottrinale in ordine alla problematica della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro sportivo64. Infatti, a fronte della pigrizia del legislatore ad affrontare la tematica, l’individuazione delle coordinate giuridiche entro le quali si era mosso, fino a quel momento, lo sport professionistico erano state individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
In questa sede occorre, pertanto, dedicare un ampio spazio a tale legge, analizzando le vicende e i dibattiti che hanno portato alla sua promulgazione, definire l’ambito di applicazione e analizzarne struttura e contenuto.
Come si vedrà, tuttavia, questa legge presenta numerosi problemi e lacune e una trattazione esaustiva non può, quindi, esimersi dal menzionare quelle che sono le proposte di riforma, al fine di correggere i punti critici che hanno determinato
62 COLANTUONI L., Diritto sportivo, Giappichelli Editore, Torino 2009, p. 126
63 SANINO M., op. cit. p. 207
64 LIOTTA G., SANTORO L., Lezioni di diritto sportivo, Giuffrè Editore, Milano 2009, p. 117
incertezze giuridiche nella materia e ne hanno favorito una inesatta applicazione o, addirittura, la disapplicazione della legge stessa.
3.1.1. Il rapporto di lavoro sportivo prima dell’entrata in vigore della legge 91 del 1981. Vicende che hanno portato all’approvazione della normativa65.
La suddetta normativa, come detto, è stata il punto risolutivo di molte problematiche che riguardavano il mondo sportivo (e quindi, calcistico) negli anni precedenti alla sua promulgazione. In questa fase storica, possiamo citare, quale momento rilevante, una sentenza della Cassazione66, la quale ha avuto il merito di dare fondamento giuridico a tutti gli istituti caratteristici del settore sportivo67, prima che avesse luogo “l’irruzione” nell’ordinamento sportivo di nuovi strumenti frutto di un mutato clima sociale e culturale68.
Il primo dei profili toccati dalla sentenza citata è l’assenza di una distinzione dello sport professionistico dal resto dell’attività sportiva. Infatti, dilettantismo e professionismo presentavano - nell’impostazione di allora - solo mere differenze di status giuridico dell’atleta, dal momento che l’attività espletata nei due casi dall’atleta era sostanzialmente percepita come identica.
Altro dato rilevante è rappresentato dal tesseramento degli atleti che, solo attraverso questo elemento, potevano dirsi soggetti riconosciuti nella comunità sportiva nazionale. La concessione di questo tesseramento realizzava il riconoscimento del rapporto tra l’atleta e l’associazione, detto più propriamente affiliazione federale, la cui natura giuridica era assimilabile ad una autorizzazione
65 Per un’analisi dettagliata degli aspetti relativi all’iter formativo della legge e dei suoi risvolti giuridici, si vedano ROTUNDI F., La Legge 23 marzo 1981, n. 91 e il professionismo sportivo: genesi, effettività e prospettive future, in Riv. Dir. Sport., 1990, 316; AMBROSIO G., MARANI TORO A., L’iter parlamentare della Legge 23 marzo 1981, n. 91 sui rapporti tra società e sportivi professionisti, in Riv. Dir. Sport., 1981, 492 e ss.
66 Cass., 2 aprile 1963, n. 811, in Giust. Civ., 1963, p. 1984
67 SANINO M., op. cit., p. 198
68 SANINO M., op. cit., p. 197
amministrativa69. Questo è un tema in cui è tangibile una netta differenza rispetto al sistema vigente, perché, se è vero che anche oggi esiste un tesseramento consentito solo dopo la ratifica dell’accordo intervenuto tra sportivo e società, e che quella ha natura di autorizzazione amministrativa allo svolgimento di un’attività professionistica, è altrettanto vero che tale autorizzazione non esaurisce la complessa trama dei rapporti tra atleti professionisti e società sportive, oggi arricchita da una contrattazione collettiva e da una marcata tipizzazione del rapporto di collaborazione dell’atleta con la società di appartenenza70, tale da porre le parti di tale rapporto ad un livello paritario. Diversamente, invece, all’epoca della sentenza sopraccitata, lo sportivo professionista poteva essere qualificato come tale solo in quanto vincolato ad un’associazione sportiva attraverso un tesseramento da parte di un’associazione, laddove questo elemento del tesseramento era veramente un’imprescindibile condizione perché l’atleta professionista facesse il suo ingresso nella comunità sportiva71. In un sistema come questo, il rapporto fra le due parti era inserito decisamente in una prospettiva non paritaria.
Quanto all’inquadramento sportivo, quindi, lo status di atleta professionista era condizionato al tesseramento da parte di un sodalizio sportivo (a sua volta riconosciuto dal CONI), per effetto del quale veniva a crearsi tra le parti un vincolo del tutto peculiare. Le società sportive non solo consentivano, con il tesseramento, l’ingresso dell’atleta nella comunità sportiva, ma in qualche modo lo legavano a sé, dapprima provvedendo alla sua formazione atletica, e, successivamente, costituendo un vincolo in base al quale spettava alla sola società decidere le sorti del rapporto stipulato con i propri atleti i quali dal canto loro non avevano né libertà contrattuale né diritto di recesso72. Questo del vincolo (che è, peraltro, un altro fondamentale elemento di differenza rispetto agli assetti sanciti dalla legge 23 marzo 1981, n. 91) è un tema su cui torneremo più oltre, data la sua importanza nell’evoluzione dei rapporti intercorrenti fra società e atleti professionisti. Basterà, qui, solo accennare che, in base al vincolo sportivo, le sorti dell’atleta erano affidate esclusivamente alla società titolare del relativo cartellino, la quale poteva decidere, anche senza il consenso del soggetto interessato, la cessione dell’atleta ad altra società, dietro il
69 SANINO M., op. cit., p. 200
70 SANINO M., op. loc. cit.
71 SANINO M., op. loc. cit.
72L’atleta professionista: il regime giuridico anteriore alla L. 91/1981 , di G. Nicolella, consultabile all’indirizzo [http://www.altalex.com/index.php?idnot=42686], pubblicato in data 18.9.2008
versamento di un corrispettivo. Il vincolo a carico dell’atleta era dunque di intensità ben superiore a quella derivante dalle ordinarie obbligazioni contrattuali: intensità che rimanda ad una sorta di “titolo di proprietà” sull’atleta, visto come un bene della società sportiva detentrice del relativo cartellino, con conseguenze incompatibili con la dignità della persona e con il principio di libertà del lavoro73.
La riforma della legge 91 del 1981 venne realizzata in un contesto di totale latitanza del legislatore sulle tematiche affrontate. Vista la novità e la rivoluzionaria portata della normativa, lo stesso legislatore aveva espressamente previsto un termine di cinque anni dall’entrata in vigore della legge per attuare la riforma in modo ordinato ed efficace. Un termine, questo, che il legislatore aveva saggiamente concesso, consapevole della difficoltà e dei rischi connessi al proposito di eliminare e sciogliere nodi profondamente radicati in una prassi illogica e iniqua74, ma pienamente accettata dagli operatori.
È interessante, poi, ripercorrere le vivaci vicende che hanno portato alla promulgazione della legge in esame. L’intervento, infatti, del legislatore si rese urgente a seguito dei primi decisivi interventi della Magistratura ordinaria nel mondo del lavoro sportivo.
Destò clamore, tra gli altri, il provvedimento del Pretore – Dr. Costagliola – di Milano del 7 luglio 1978, il quale, in via d’urgenza, inibì lo svolgimento del cosiddetto «calcio-mercato» per contrasto con la L. 29 aprile 1949, n. 264 sul collocamento75. Il Pretore decise di porre sotto sigillo i locali dell’Hotel Leonardo da Vinci a Bruzzano – sede in cui avvenivano allora le trattative di calcio-mercato – individuando una serie di illeciti penali nell’attività di trasferimento degli atleti.
Il reato contestato era la mediazione di manodopera a scopo di lucro. La convinzione che mosse il magistrato fu che il rapporto fra Società sportiva e Atleta fosse da inquadrare nell’ambito del lavoro subordinato e, conseguentemente, anche alle norme sul collocamento e sul divieto dell’intermediazione privata nella fase di stipula del contratto di lavoro. A seguito delle indagini, il pretore dichiarò definitivamente chiuso il mercato e nulli tutti i contratti stipulati fino a quel
73 L’atleta professionista: il regime giuridico anteriore alla L. 91/1981 di Gabriele Nicolella, in www.altalex.com
74 SANINO M., op. cit., 205
75 M. TORTORA, C. G. IZZO, L. GHIA, op. cit. p. 62
momento, oltre a inviare 73 comunicazioni giudiziarie (gli attuali avvisi di garanzia) a dirigenti di società.
Il risalto mediatico provocato da questo intervento della Magistratura nel mondo del calcio – oltremodo seguito nel nostro paese – spinse il Parlamento pochi giorni dopo - l’11 luglio - ad intervenire con un decreto-legge tampone, affinché le attività di calcio-mercato potessero riprendere, ma con l' impegno di presentare alle Camere, entro un anno, un progetto di legge per regolamentare in modo definitivo i rapporti fra gli atleti professionisti e le società. I contratti di trasferimento già stipulati vennero considerati validi, e con questo perdevano valore gli avvisi di reato di Costagliola76. Proprio da questa improvvisa e impetuosa ingerenza della Magistratura nel mondo del pallone («Hanno cacciato i mercanti dal tempio del calcio», titolò il «Corriere») scaturì la legge n. 91 del 23 marzo 1981 sul professionismo sportivo. Una legge, come è possibile intuire, nata in via emergenziale e ricca, quindi, di difetti che hanno portato nel corso degli anni a numerose proposte di riforma, mai attuate e sulle quali si avrà modo di discutere in seguito.
3.1.2. Il c.d. vincolo sportivo
Il vincolo sportivo è un istituto tipico del diritto sportivo, che è stato abolito dall’art. 16 della legge in esame. Il motivo per cui è opportuno affrontare questo tema risiede nel dover considerare questa abolizione quale passaggio fondamentale nello sviluppo dei trasferimenti dei calciatori professionisti. Infatti, prima della suddetta legge, durante la vigenza del vincolo sportivo, i trasferimenti erano resi difficoltosi (se non addirittura impossibili), dall’intensità del legame intercorrente fra il calciatore e il club. « Un legame indissolubile a tempo indeterminato dell’atleta con la società di appartenenza»77, in ragione del quale il rapporto poteva essere sciolto solo con il consenso (rinunzia) della società, con la procedura della lista di svincolo, mediante l’accordo delle parti e con il riscatto del vincolo su iniziativa dell’atleta78.
76 Tratto da Luglio ' 78: icarabinierientranoalcalciomercato Il pallonenonrotolapiù, consultabileall’indirizzoweb [http://archiviostorico.corriere.it/2003/luglio/04/Luglio_carabinieri_entrano_calciomercato_pallone_co_0_030704096.sht ml], di M. Fabioindata 4.7.2003 in Corriere della Sera, p. 45
77 BIGIAVI W., Diritto Sportivo, UTET, Torino 1998, p. 74
78 COLANTUONI L., op. cit., p. 162
Quindi, in funzione dell’art. 41, lett. b) del Regolamento organico della F.I.G.C., che, appunto, regolava il vincolo, i giocatori professionisti, con il tesseramento sottoscritto per una società, assumevano con la stessa un vincolo a tempo indeterminato, salva la diversa pattuizione scritta79.
Il risvolto pratico è evidente: il giocatore si vedeva negata, per contratto, la possibilità di trasferirsi “ad libitum” da una squadra ad un’altra, poiché, all’atto del tesseramento, rinunciava di fatto alla sua libertà contrattuale, divenendo res della società sportiva, arbitra di disporre delle sue prestazioni e di disporne il trasferimento ad altro club anche senza il suo consenso80, con un conseguente vantaggio economico per la società di origine, la quale aveva investito ingenti somme di denaro per la formazione e la valorizzazione dell’atleta. Alla scadenza del contratto, l'atleta professionista rimaneva vincolato alla associazione sportiva ed aveva la scelta tra la stipula di un nuovo contratto di lavoro con l’associazione per la quale era tesserato, semmai a condizioni sfavorevoli, e il rimanere inattivo, non potendo svolgere in forza del vincolo attività sportiva per altra associazione, restando così limitata di riflesso anche la sua libertà contrattuale81.
Inoltre, questo sistema permetteva alla società “scopritrice” di poter lucrare sul trasferimento o sullo svincolo dell’atleta, con la fissazione di un prezzo che la compensasse delle spese sostenute nonché della rinuncia a tale vincolo82. Pertanto, l’istituto nasce come risposta alle continue esortazioni dei club calcistici alla necessità che tutti gli sforzi protesi all’allevamento e al lancio di giovani calciatori non venissero vanificati dalla libertà dell’atleta di passare presso altre società, magari più munifiche83.
Passando ad analizzare quella che è la qualificazione giuridica del vincolo sportivo, essa si presenta oggi come il frutto di un percorso cognitivo da parte di dottrina e giurisprudenza che ha trovato il punto di maturazione proprio nella legge 91 del 198184, che ne ha disposto l’abolizione, mantenendo l’istituto applicabile al solo calcio dilettantistico.
79 COLANTUONI L., op. loc. cit.
80 SPADAFORA M.T., op. cit., pp. 139-140, ed. 2004
81 Vincolo Sportivo, di R. Bentani, consultabile all’indirizzo web [www.professionisti.it/enciclopedia/voce/2779/Vincolo-sportivo], in data 10.7.2012 82 COLANTUONI L., op. cit., p. 163
83 TORTORELLA F., Il contratto di cessione del calciatore professionista, Tesi di laurea, Università degli studi di Bologna, p. 3
84 TORTORELLA F., op. cit., p. 1
Dottrina e giurisprudenza hanno dato vita a diverse ipotesi sulla natura giuridica del vincolo sportivo. Senza la pretesa di poter dare spazio a tutte le argomentazioni formulate al riguardo, è sufficiente segnalare alcune delle più rilevanti.
Una prima e superata posizione riteneva il vincolo una specie di patto di non concorrenza, di cui all’art. 2125 c.c.85. Secondo altra dottrina, il vincolo altro non era che un divieto di recesso unilaterale da parte del lavoratore86, e da qui, la sua illegittimità per contrasto con l’art. 2118 del c.c. e con l’art. 4 della Costituzione che si fa garante della libertà di scelta dell’attività lavorativa. Questo orientamento, così come il primo, è stato oggetto di critiche, per la profonda diversità tra il recesso unilaterale e la facoltà di stipulare altro contratto di lavoro nello stesso ramo di attività, dal momento che sarebbe solo quest’ultima facoltà ad essere limitata dalla presenza del vincolo sportivo, che è un istituto il quale, comunque, non può vietare all’atleta di risolvere il contratto con la precedente società e di praticare altra attività lavorativa87.
Queste ed altre ipotesi88 trascurano comunque l’esistenza di un’autonomia funzionale del vincolo sportivo e del rapporto di lavoro. Detta autonomia è desumibile dalle peculiari norme dell’ordinamento sportivo, le quali prevedono, in alcuni casi, la risoluzione del contratto di lavoro come sanzione per gravi inadempienze e dispongono che, persino in una simile evenienza, l’atleta non si libera dal vincolo assunto attraverso il tesseramento con la società89.
Come più volte affermato, uno dei tratti distintivi più importanti della legge sul professionismo sportivo è stato quello di abolire il vincolo sportivo, sopprimendo, così, ogni limitazione alla libertà contrattuale dell’atleta professionista. Obiettivo, peraltro, raggiunto in un arco temporale di cinque anni, appositamente previsto dal
85 In tal senso PAGLIARA F., La libertà contrattuale dell’atleta, in Rivista di Diritto Sportivo, 1990, p. 33
86 SMURAGLIA C., Il vincolo tra atleti e società, in Rivista di Diritto Sportivo, 1966, p. 128
87 TORTORA M., op. cit., p. 75
88 Si ricordi che, secondo Cass., 2 aprile 1963, n. 811, in Giust. Civ., 1963, p. 1984, il vincolo andava considerato nell’ambito del patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 c.c.; per altra giurisprudenza, invece, il vincolo costituiva un bene immateriale della società (App. Bologna, 26 aprile 1962, in Giust. It., 1962, 309). Secondo Cass., 28 luglio 1981, n. 4845, in Giust. Civ., 1982, 2412, il vincolo andava considerato come bene giuridico. Infine, secondo Trib. Roma, 12 luglio 1972, in Giur. Merc., 1974, 198, il vincolo va inquadrato alla stessa stregua delle immobilizzazioni immateriali. La dottrina configura il vincolo come patto di non concorrenza (PAGLIARA F., op. cit., p. 12); come divieto di recesso del lavoratore (SMURAGLIA C., op. cit., p. 129); come diritto su un bene immateriale (NICOLÒ R., Struttura giuridica del rapporto tra associazione calcistica e i propri giocatori, in Riv. Giur. Lav., 1952, p. 208).
89 TORTORA M., op. cit., p. 75
legislatore, consapevole della difficoltà che uno stravolgimento come questo avrebbe potuto comportare per le società calcistiche.
Con l’art. 1690 della legge 91 del 1981 si andò quindi ad eliminare una prassi illogica ed iniqua, anche se pienamente accettata da tutto il mondo calcistico. In presenza di un contratto sportivo a termine, ora il trasferimento può essere attuato, secondo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 5, tramite una cessione del contratto in armonia con l’art. 1406 del c.c., purché vi sia il consenso del giocatore e siano osservate le modalità dalle singole federazioni sportive91. Pertanto, nella fase storica successiva alla L. 91/81, durante la vigenza del rapporto contrattuale, il prezzo di cessione del calciatore è soggettivamente determinato dalla propria società e viene pagato come valore della cessione del contratto da una società all’altra.
Da ultimo, è doveroso menzionare quelli che sono stati i risvolti che dovettero affrontare le società calcistiche di fronte ad un tale stravolgimento. Infatti, non vi è dubbio che la nuova disciplina ha determinato, per le società calcistiche, l’assenza del valore economico, che il vincolo di per sé comportava, se è vero che dalla nuova disciplina è conseguita una minore possibilità di continuare ad iscrivere negli atti del bilancio i valori patrimoniali connessi agli abrogati diritti di vincolo92.
Di conseguenza, per sopperire a questa carenza economica, il legislatore ha previsto, nello stesso art. 6 della legge 91/81, l’istituzione di una indennità di preparazione e di promozione dell’atleta professionista, da versare, una volta scaduto il contratto, quale giusto indennizzo per la società che aveva contribuito alla preparazione e alla promozione dell’atleta93. Tale indennità, quindi, aveva una funzione surrogatoria rispetto al prezzo che le società sportive conseguivano attraverso il trasferimento del diritto alle prestazioni sportive dell’atleta94.
L’articolo 6 (come modificato dalla legge n. 586/96, a seguito della sentenza Bosman), pertanto, risulta essere emanato dal legislatore al fine di garantire un’effettiva tutela dei “vivai” delle società sportive. In particolare esso prevede, in
90 Il cui testo recita: “Le limitazioni alla libertà contrattuale dell'atleta professionista, individuate come "vincolo sportivo" nel vigente ordinamento sportivo, saranno gradualmente eliminate entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, secondo modalità e parametri stabiliti dalle federazioni sportive nazionali e approvati dal CONI, in relazione all'età degli atleti, alla durata ed al contenuto patrimoniale del rapporto con le società”.
91 TORTORA M., op. cit., p. 76
92 SANINO M., op. cit., p. 249
93 COLANTUONI L., op. cit., p. 163
94 SANINO M., op. cit., p. 250
favore delle società presso le quali gli atleti abbiano svolto la loro ultima attività dilettantistica o giovanile:
a) un diritto a stipulare con l’atleta il primo contratto da professionista, anche in pendenza del precedente tesseramento come giovane o dilettante, nei tempi e nei modi da stabilirsi dalle singole Federazioni a seconda dell’età degli atleti e delle singole discipline;
b) la corresponsione di un “premio di addestramento e formazione tecnica” in favore dell’ultima società presso la quale l’atleta è stato tesserato, in caso di stipula da parte dello stesso del primo contratto da professionista con una nuova società;
c) l’obbligo, soltanto però a carico delle società che svolgono esclusivamente attività giovanile o dilettantistica, di reinvestimento di tale premio di addestramento e formazione tecnica, per il perseguimento di fini sportivi95.
Peraltro, è interessante notare come il legislatore abbia abdicato al compito di determinare l’entità di tale indennità, che sarà individuata in maniera oggettiva, rinviando ai coefficienti e ai parametri fissati dalle stesse Federazioni in relazione alla natura e alle esigenze del singolo sport96.
Tuttavia, si può rilevare come tale situazione di rapporti tra calciatore e società, per quanto evolutasi, in senso più favorevole al calciatore, sia comunque viziata da un’anomalia sotto il profilo giuridico. Se, infatti, il pagamento di un prezzo (soggettivamente determinato) per il trasferimento di un calciatore sotto contratto può giustificarsi come corrispettivo per la cessione del contratto, non vi sono ragioni, dal punto di vista giuridico, per le quali, anche dopo l’avvenuta scadenza del contratto, una società interessata ad un calciatore, il cui contratto con la propria precedente società sia scaduto, non possa liberamente proporgli un nuovo contratto, ma sia costretta a pagare comunque un corrispettivo (seppure oggettivamente determinato) alla società con la quale tale calciatore era legato da un rapporto contrattuale97.
95 GERMINARA L., op. cit., p. 59
96 SANINO M., op. cit., p. 250
97 LUBRANO E., La giurisdizione amministrativa in materia sportiva dopo la legge 17 ottobre 2003, n. 280, in AA.VV., La giustizia sportiva. Analisi critica della legge 17 ottobre 2003, n. 280, a cura di Moro P., Forlì-Trento 2004, p. 99
3.1.3 Struttura e contenuto della legge
Si è già accennato all’importanza ed alla centralità della legge in esame e soprattutto si è dato conto dell’innegabile merito della normativa di aver per la prima volta, nell’ordinamento italiano, affrontato la delicata tematica del fenomeno contrattuale come viatico per l’instaurazione del rapporto di lavoro calcistico professionistico.
Si rende opportuno, ora, focalizzarsi su quello che è il contenuto della legge 23 marzo 1981, n. 91, soprattutto nelle parti rilevanti per la presente trattazione.
La legge 23 marzo 1981, n. 91 recante “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” si compone di 4 capi:
a) il primo, denominato: “Sport Professionistico” e contenuto nei primi nove articoli;
b. il secondo, composto dagli articoli da 10 a 14 e dedicato al funzionamento e all’attività “Società Sportive e Federazioni Sportive Nazionali ;
c. il terzo, che si compone del solo articolo 15 e dedicato alle “Disposizioni di carattere tributario”;
d. il quarto, dedicato infine alle “Disposizioni transitorie e finali” e composto dagli articoli dal 16 al 18.
Il primo capo è senz’altro quello in cui sono maggiori gli aspetti utili per comprendere l’importanza della legge rispetto all’argomento della trattazione, che - è bene ricordarlo - si fonda sul fenomeno contrattuale calcistico professionistico. Pertanto di seguito verranno analizzati gli articoli che lo compongono, con una maggiore attenzione a quelli che risultano essere propedeutici per affrontare le successive tematiche che si presenteranno nel corso del lavoro.
3.1.4 La libertà di esercizio dell’attività sportiva: art. 1 della legge n. 91 del 1981
L’art. 1 sottolinea la libertà dell’esercizio dell’attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica. Questa norma ha spinto i più ad evidenziarne il carattere pleonastico, alla luce di quanto emerge dai principi generali dell’ordinamento, anche di rango costituzionale.
In generale, è possibile che l’affermazione funzioni da limite sia per le eventuali intromissioni dell’ordinamento sportivo, destinate a far sorgere ostacoli di diritto o di fatto all’esercizio dell’attività sportiva, sia nei confronti dell’ordinamento generale dello Stato che non può introdurre normative che prevedono impedimenti non consentiti98.
La dottrina comunque si è spinta oltre, individuando una possibile interpretazione da dare alla disposizione, riferita alla sola attività sportiva professionistica (che è l’ambito che a noi interessa): la norma può essere interpretata nel senso di garantire, nei limiti della disciplina legale, la libertà contrattuale dall’imposizione di qualsiasi vincolo che potrebbe, in ipotesi, essere introdotto sia dall’ordinamento sportivo che da quello statale99.
Vista in questo senso, la norma ha un apprezzabile valore, poiché è disposta per accentuare quella libertà contrattuale, che proprio prima dell’introduzione della legge n. 91 era compressa dall’istituto del vincolo sportivo, di cui al precedente paragrafo, e che venne consacrata, proprio nel testo di legge in esame, dall’articolo 5 (durata massima e cessione del contratto), dall’articolo 6 (libertà di stipulare un nuovo contratto alla scadenza di quello precedente) e dall’articolo 16 (abolizione graduale del vincolo).
3.1.5 Ambito di applicazione soggettivo: art. 2 della legge 91/81
Procedendo nella rassegna degli articoli dei quali si rende doverosa l’analisi, l’art. 2 è rubricato Professionismo sportivo ed è stata qui è stata intenzione del legislatore delimitare l’ambito di applicazione soggettivo della norma.
L’articolo si esprime, pertanto, individuando nella categoria degli sportivi professionisti i destinatari della normativa.
La norma prevede che, per essere qualificati come professionisti, occorrano tre requisiti:
98 ROTUNDI F., op. cit., p. 320
99 GERMANO T., Lavoro sportivo, in Digesto discipline privatistiche, sez. comm., VIII ed., p. 462
a) la continuità dell’attività sportiva;
b) l’onerosità di essa;
c) la qualificazione attribuita dalla federazione competente, in base alle direttive del C.O.N.I.100
Occorre, a questo proposito, provare a dare una risposta alla vexata quaestio se le figure professionali, di cui all’elenco (nota) contenuto all’interno dell’art. 2, siano indicate tassativamente o se la disciplina introdotta debba intendersi estensibile ad altre figure di tecnici eventualmente previste o prevedibili dagli ordinamenti federali101.
Secondo la dottrina, l’elencazione è meramente indicativa e da ciò deriva che la disciplina sul lavoro subordinato sportivo debba estendersi anche a figure diverse da quelle esplicitamente elencate nell’art. 2, come ad esempio i massaggiatori o i medici sportivi. In altre parole, la dottrina prevalente ritiene che l’elencazione delle figure professionali contenuta nel suddetto articolo non sia tassativa e considera quindi la disposizione in esame una norma suscettibile di estensione ad altre figure di tecnici eventualmente previste o prevedibili dagli ordinamenti federali102.
Un ragionamento siffatto merita di essere preso certamente in considerazione in via generica, ma in realtà la soluzione della questione non è del tutto così agevole, se si presta attenzione alle considerazioni che in merito ha effettuato la giurisprudenza, tali da condurre alla soluzione opposta.
In primo luogo, viene evidenziato un dato terminologico: la scelta del legislatore di non adoperare nella stesura di questo articolo alcuna espressione generica tale da lasciare intendere all’interprete di trovarsi di fronte ad una “norma aperta”. Al contrario, invece, le scelte terminologiche del legislatore, si sono mosse verso l’individuazione di precise qualifiche professionali, andando ben oltre alla generica qualifica di “atleta”.
In secondo luogo, e soprattutto, la giurisprudenza103 fa notare come ci si trovi di fronte ad una legge speciale in materia di lavoro subordinato, caratteristica, questa,
100 CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p. 151
101 SANINO M., op. cit., p. 212
102 SANINO M., op. cit., p. 213
103 Corte Cass., Sez. Lavoro, sentenza 11 aprile 2008, n. 9551. La Corte, ha ritenuto che, posta la specialità della normativa in esame, comprovata dalla previsione di una disciplina ad hoc per la tutela sanitaria degli sportivi professionisti, è da ritenersi che il legislatore, con la disposizione
che non ne consente una estensione in via di interpretazione analogica: il massaggiatore, o il medico sportivo o il cuoco della squadra, possiede differenti professionalità da quelle indicate nell’art. 2.
Infine, un ulteriore e importante ostacolo ad una interpretazione estensiva dell’elencazione, di cui al suddetto articolo, si riscontra nella disposizione, contenuta nell’art. 4 della l. n. 91, secondo la quale il rapporto di lavoro sportivo si costituisce attraverso un contratto individuale stipulato in conformità ad un contratto tipo che recepisca gli accordi stipulati a livello collettivo104. Infatti, per le categorie di lavoratori non contemplati dall’art. 2, non è richiesto dal legislatore che la loro attività sia regolata da contratti collettivi ex art. 4.
Come si può evincere, quindi, vi sono importanti motivazioni che impongono di preferire l’applicabilità delle regole speciali del rapporto di lavoro subordinato sportivo ai soli atleti professionisti elencati nell’art.2, con la conseguenza che per gli altri sportivi professionisti non contemplati nell’elencazione, di cui al suddetto articolo, dovranno essere applicate le generali norme che regolano il rapporto di lavoro subordinato.
3.1.6. Il lavoratore professionista, fra subordinazione e autonomia: art. 3 della legge 91/81
Con l’art. 3 della legge di cui stiamo analizzando i profili rilevanti, il legislatore ha inquadrato il fenomeno lavorativo nello sport, concentrando l’attenzione sul concetto di «prestazione sportiva» e applicando allo stesso il principio generale secondo il quale ogni attività umana, purché concernente la sfera dei diritti disponibili, può formare oggetto di prestazioni a titolo gratuito ovvero a titolo oneroso. Ciò perché solo la definizione della prestazione sportiva a titolo oneroso rende applicabili allo sport i principi civilistici in materia di lavoro. Coerentemente dunque, il legislatore, dopo aver, nella sostanza, indicato lo Sport professionistico, basato su prestazioni sportive a titolo oneroso, ha proceduto a
dettata all’art. 2 con un linguaggio preciso ed inequivocabile, abbia consapevolmente inteso escludere dal campo di applicazione della legge n. 91/1981 tutta una serie di professionalità, quali, ad esempio, il massaggiatore o il medico sociale. ( In tal senso, LIOTTA G. e SANTORO L., op. cit. )
104 SANINO M., op. cit., p. 214
qualificare il contratto che ha per oggetto la o le prestazioni sportive, individuate le fattispecie in cui lo stesso assume tratti del lavoro autonomo o subordinato105.
Come si evince dalla lettera dell’art. 3, la scelta del legislatore è caduta sulla natura subordinata del rapporto di lavoro sportivo professionistico; tuttavia, prosegue la norma, è possibile che tale prestazione possa costituire oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:
a) l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione o allenamento;
c) la prestazione, che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali, oppure cinque giorni ogni mese, ovvero 30 giorni ogni anno.
Da questo comma, si possono trarre alcune considerazioni.
Innanzitutto, il legislatore ha subordinato l’acquisto della qualifica di sportivo professionista all’esistenza di requisiti, sia soggettivi che oggettivi.
In ordine ai requisiti soggettivi, il legislatore ha assegnato un particolare potere alle federazioni in materia di qualificazione dei lavoratori sportivi professionisti, dal momento che sono considerati tali solo gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico- sportivi e i preparatori atletici, tesserati presso società che svolgono attività sportive professionistiche rappresentate da federazioni nazionali facenti parte del CONI. Invece, per quanto riguarda i requisiti oggettivi, il legislatore ha subordinato la identificazione della prestazione, oggetto del contratto di lavoro sportivo, alla ricorrenza dei caratteri delle onerosità e della continuità, salvo l’eccezione prevista per l’ipotesi di prestazione sportiva, avente natura di lavoro autonomo, svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva, ovvero di più manifestazioni tra loro collegate in un breve lasso di tempo, di cui all’art. 3, comma 2, lett. a)106.
È importante sottolineare come il legislatore, con il comma 1 dell’articolo in esame, abbia voluto introdurre una presunzione di lavoro subordinato solo per l’atleta, lasciando fuori da questa previsione le altre figure professionali previste dall’art. 2 e destinatarie della legge n. 91. Per queste figure professionali, la
105 TORTORA M., op. cit. p. 64
106 LIOTTA G., SANTORO L., op. cit., p. 119
subordinazione non è presunta, ma deve essere valutata caso per caso, attraverso l’applicazione dei criteri forniti dal diritto comune del lavoro 107.
Ne deriva che solo l’attività sportiva resa dall’atleta professionista in maniera continuativa, onerosa e in favore di una società di capitali (dato che appunto la costituzione in tale forma costituisce il requisito soggettivo richiesto al datore di lavoro dello sportivo professionista ai sensi dell’articolo 10) sarà automaticamente considerata di natura subordinata, con conseguente applicazione delle norme della legge 91108.
Il legislatore sceglie, quindi, di non accogliere in questa disposizione gli altri soggetti di cui all’articolo 2, ossia gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici. Di fronte a questa omissione, dottrina e giurisprudenza ritengono che il legislatore, che non ha quindi voluto estendere ad essi la presunzione valida per l’atleta, abbia inteso per questi soggetti che la qualificazione del rapporto in senso subordinato dovesse essere verificata caso per caso con criteri previsti dal diritto comune del lavoro. Dalla verifica concreta dipenderà a sua volta l’applicazione della legge 91, nel caso in cui sia accertata la natura subordinata, o della normativa comune, nel caso sia accertata la natura autonoma del rapporto109.
3.1.7. Profili giuslavoristici della legge: art. 4 della legge 91/81
Prima di analizzare l’art. 4, il quale affronta i delicati profili giuslavoristici della normativa, occorre ricordare e tenere a mente come la disciplina di lavoro subordinato sportivo, così come emerge dalle fonti che vengono analizzate nel presente capitolo, è una disciplina di carattere speciale, rispetto a quella del lavoro subordinato in genere. Si può evincere questo carattere speciale della norma dal comma 8 dell’art. 4, il quale enumera le disposizioni normative che il legislatore ha ritenuto non applicabili al rapporto di lavoro sportivo110.
L’art. 4 della legge in esame, rubricato Disciplina del lavoro subordinato sportivo, è un fondamentale passaggio di questa trattazione, dal momento che
107 In tal senso, MARTINELLI, Lavoro autonomo e subordinato nell’attività dilettantistica, RDS, 1993, 13 ss)
108 GERMINARA L., op. cit., p. 42
109 GERMINARA L., op. cit., p. 43
110 cfr SANINO M., op. cit., p. 243
disciplina alcuni essenziali aspetti della costituzione e validità del rapporto di lavoro sportivo professionistico
Sotto il profilo giuslavoristico, questo articolo è la norma cardine, dal momento che nei suoi 9 commi racchiude la disciplina della forma e del contenuto del contratto di lavoro sportivo subordinato111, oltre che introdurre i principi lavoristici della contrattazione collettiva nel lavoro sportivo.
Sarebbe coerente, a questo punto, analizzare tutti i commi che compongono questo articolo e affrontarne le importanti e cruciali tematiche sollevate, ma non sfuggirà certamente, a chi legge, come i primi due commi dell’art. 4, che sono di primaria importanza, interessino in via diretta il più ampio tema del requisito di forma del contratto calcistico professionistico, di cui si darà maggiore spazio più oltre, data la sua centralità.
Basterà qui riportare testualmente i due commi, al fine di recepirne il contenuto e proseguire nell’analisi dell’articolo.
Recita il comma 1: “ Il rapporto di prestazione a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato, ogni tre anni, dalla federazione sportiva nazionale e dei rappresentanti delle categorie interessate”.
Il comma 2 prosegue: “La società ha l’obbligo di depositare il contratto presso la federazione sportiva nazionale per l’approvazione”.
Il terzo comma deve essere letto unitamente al primo, in cui abbiamo visto come il legislatore ha voluto introdurre i principi lavoristici della contrattazione collettiva nel lavoro sportivo. In particolare, ha disposto la conformità del contratto individuale al contratto collettivo.
Ebbene, il comma 3, ad ulteriore tutela di tale requisito di conformità, prevede una sostituzione automatica delle clausole peggiorative del contratto individuale con quelle del contratto tipo. La previsione richiama la disciplina codicistica prevista dall’art. 2077, comma 2, c.c. per i contratti di lavoro subordinato e svolge, ad evidenza, la funzione di proteggere la parte contrattualmente più debole
(il lavoratore professionista), che potrebbe essere indotta, in ragione di tale debolezza, a sottoscrivere clausole peggiorative112.
Nel silenzio del legislatore, la dottrina ritiene che siano invece ammesse nel contratto individuale previsioni migliorative, rispetto a quelle del contratto tipo, a favore della controparte contrattualmente più debole.
Nel 4° comma, il legislatore ha disposto che nel contratto individuale debba essere prevista una clausola che imponga l’obbligo per lo sportivo di rispettare le istruzioni tecniche e le prescrizioni impartite dalla società per il conseguimento degli scopi agonistici. La previsione, da cui emerge in modo evidente la natura subordinata del rapporto professionista/società, richiama l’obbligo previsto in capo al prestatore di lavoro di sottostare alle direttive datoriali dell’art. 2094 c.c.113.
È importante sottolineare come, secondo la dottrina, a quest’obbligo siano tenuti solo gli atleti, con esclusione, quindi, delle altre categorie di professionisti indicate nell’art. 2 della legge n. 91.
A fronte di quest’obbligo del giocatore, si ritiene che la società sia tenuta, di contro, a consentirgli la partecipazione agli allenamenti e alla preparazione atletica. Si badi a come quest’obbligo sia limitato ai soli allenamenti e non già anche alle gare, cui gli atleti, al contrario, non hanno il diritto di prendere parte.
Con il 5° comma, dell’art. 4, viene prevista la possibilità di introdurre nel contratto calcistico professionistico uno strumento centrale nel sistema di risoluzione delle controversie che possono sorgere fra lo sportivo professionista e la società: la clausola compromissoria.
Come si vedrà in seguito, tale strumento è diretto a deferire ad un collegio arbitrale le eventuali controversie che possono insorgere tra atleti e società. In altre parole, con il 5° comma, il legislatore ha autorizzato l’inserimento, nel contratto individuale di lavoro, di una clausola compromissoria mediante la quale vengono devolute ad arbitri le possibili controversie tra la società e lo sportivo sull’attuazione del contratto stesso.
Come si può notare, l’apposizione di questa clausola è facoltativa, nel senso che le parti possono anche pattuire in senso diverso, devolvendo, quindi, la competenza delle eventuali controversie al giudice ordinario.
112 VIDIRI G., La disciplina del lavoro autonomo e subordinato, in Giust. civ., 1993, II, p. 215
Si è discusso molto, in passato, sulla natura rituale o irrituale dell’arbitrato, di cui al comma 5. Per quanto riguarda il calcio, con l’art. 21.1 dell’Accordo Collettivo tra F.I.G.C, L.N.P. e A.I.C., è stata definitivamente risolta la questione, stabilendo che il Collegio Arbitrale “si pronuncerà in modo irrituale”114.
Il comma 6 sancisce il divieto di stipulazione (o successiva introduzione) nel contratto di lavoro individuale di clausole di non concorrenza (o limitative della libertà contrattuale dello sportivo) per il periodo successivo all’estinzione del contratto medesimo.
La ratio è evidente: non si vuole limitare la mobilità dei professionisti in un’attività quale è quella sportiva, in cui l’elemento concorrenziale (garantito proprio dalla mobilità dei soggetti) è una delle caratteristiche principali115.
Quanto affermato, risulta coerente con quanto detto, circa la citata abolizione del vincolo sportivo, sancita espressamente dall’art. 16 della legge n. 91 e del citato art. 1, che ha stabilito il principio del libero esercizio dell’attività sportiva professionistica e non.
Importante è poi la previsione - al comma 7 dell’articolo 4 - della facoltà per le singole Federazioni di costituire un fondo, ai sensi dell’articolo 2123 c.c., gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi, per la corresponsione di un’indennità di anzianità al termine dell’attività sportiva116.
È opportuno sottolineare che prima dell’entrata in vigore della legge 91, la giurisprudenza si era pronunciata sul tema negando ai calciatori il diritto a ricevere l’indennità di anzianità, in ragione dell’atipicità del rapporto di lavoro sportivo e sulla base della sua “refrattarietà a lasciarsi inquadrare negli schemi tradizionali del rapporto di lavoro autonomo o del lavoro subordinato”117.
Con l’emanazione della legge n. 91 non è stato, per la verità, risolto il problema in maniera definitiva, dal momento che è ancora discusso che cosa il legislatore abbia voluto intendere con questo comma 7, data la sua ambiguità118.
Il comma 8, come anticipato, costituisce una disposizione con la quale il legislatore ha voluto sancire la specialità del rapporto di lavoro subordinato sportivo. Questa particolare natura del rapporto di lavoro sportivo è data dal fatto che il
114 Si veda, sul tema, CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p. 163
115 CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p. 163
116 GERMINARA L., op. cit., p. 53
117 CANTAMESSA L., op. cit., p. 163
118 Per un approfondimento sul tema, cfr CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p. 164
legislatore abbia indicato alcune disposizioni non applicabili al rapporto medesimo: artt. 4, 5, 7, 13, 18, 33, 34 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei
Lavoratori) , artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, contenente norme sui licenziamenti individuali, ed infine, l’intera legge 18 aprile 1962, n. 230 sui contratti di lavoro a termine (ora sostituita dal d.lgs 6 settembre 2001, n. 368).
L’elenco, tuttavia, non è ritenuto tassativo dalla dottrina: esso, pertanto, è integrabile a seguito di un giudizio di inadattabilità in concreto della disciplina comune al lavoro sportivo119.
Per quanto concerne lo Statuto dei lavoratori, l’esclusione dell’articolo 4 è evidentemente motivata dal fatto che l’attività sportiva - e soprattutto quella calcistica - è caratterizzata, nel suo svolgimento, da amplissima diffusione pubblicitaria e, per l’effetto, da una notevole riduzione della riservatezza dei soggetti che la praticano: l’installazione di apparecchi audiovisivi è, dunque, non solo ragionevole, ma anche necessaria e diretta a svolgere, più che una funzione di controllo sui lavoratori, una funzione di spettacolarizzazione della loro attività lavorativa120.
Risulta evidente anche la ratio alla base dell’esclusione di cui all’articolo 5: se è vero che la società ha l’interesse a verificare lo stato psico-fisico dello sportivo professionista, è altrettanto vero che il professionista stesso avrà un vero e proprio diritto alla salute, al fine di mantenere e raggiungere una condizione fisica che possa permettergli di fornire le migliori prestazioni possibili.
Per quanto riguarda l’inapplicabilità degli art 33 e 34 dello Stat. Lav., si rimanda al paragrafo (infra: Cap. II, par. 3) dedicato alla c.d. assunzione diretta, di cui all’art. 4, comma 1 della presente legge.
Invece, per quanto riguarda l’inapplicabilità dell’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori (che prevede il divieto di adibire il lavoratore, anche con il suo consenso, a mansioni inferiori a quelle corrispondenti alla qualifica di assunzione), essa risulta essere motivata dal fatto che pare impossibile applicare all’attività sportiva prestata dagli atleti professionisti i concetti di mansione e/o di qualifica utilizzati per l’attività lavorativa ordinaria. A sostegno di questa previsione, si pensi così ad esempio che, se fosse applicabile la normativa dell’articolo 13, un giocatore assunto con la qualità e
119 CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p. 165; MERCURI L., Sport professionistico (rapporto di lavoro e previdenza sociale), in Noviss. dig. it., VII Torino, 1987, p. 516
120 CANTAMESSA L., Il contratto di lavoro sportivo professionistico, in CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), Lineamenti di diritto sportivo, p. 165
per svolgere le mansioni di terzino, non potrebbe essere schierato, per scelta tecnica dell’allenatore, come attaccante: fatto che sarebbe oltremodo in contrasto con le esigenze tecnico tattiche valevoli in ogni disciplina sportiva121.
Occorre, inoltre, notare come tra le norme elencate non compaiono né l’art. 15 dello Stat. Lav., né l’art. 4 della legge 604/1996 che attengono al licenziamento discriminatorio; è dunque da ritenere che tali norme, e soprattutto la tutela reale che l’art. 3 della legge 108/1990 ha loro apprestato, estendano la loro applicazione anche nei riguardi delle società sportive. Per quanto concerne il recesso ante tempus da un contratto a termine, troverà applicazione la comune disciplina in tema di inadempimento, salva naturalmente la sussistenza di una giusta causa, secondo quanto previsto dall’art. 2119 cod. civ.122.
Dall’analisi della disciplina derogativa del comma 8, è agevole trarre una conclusione: il regime contrattuale che si è inteso creare nel lavoro sportivo, da un lato, consente al professionista sportivo di godere di una maggiore mobilità e di un’accresciuta libertà contrattuale, idonee a migliorare il livello qualitativo delle competizioni e dello spettacolo sportivo123; dall’altro lato, genera un sistema in forza del quale il professionista stesso (a differenza di quanto accade nel lavoro ordinario) risulta più tutelato da un rapporto a tempo determinato che da uno indeterminato, liberamente recedibile anche da parte della società.
Da qui, la tendenza, nel mondo dello sport, a preferire la stipulazione del primo tipo di contratto, anche se, è bene dirlo, possono essere anche altre le motivazioni che spingono le parti a preferire una tale scelta: dal timore del giocatore di non trovare un ambiente che sappia valorizzare le sue doti tecniche, a quello delle società di essersi assicurata le prestazioni di un giocatore (magari sborsando una ingente somma di denaro) per un atleta che poi si riveli essere al di sotto delle aspettative.
Alla luce di quanto detto, fra le altre materie che vengono escluse dall’applicazione della legge 91/81 ai sensi dell’art. 4, non sarà oggetto della legge in esame la retribuzione, la quale, non essendo regolata da norme collettive che ne stabiliscono i limiti, è praticamente libera, potendo l’atleta richiederla nella misura
121 GERMINARA L., op. cit., p. 56
122 SANINO M., op. cit., p. 244
123 CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p. 167, nota 67; VIDIRI G., op. cit., p.
220
che ritiene compensativa delle proprie capacità professionali124, tema questo a noi caro e che si avrà modo di analizzare più oltre con maggiore precisione.
Concludendo l’analisi dei 9 commi del primo capo della legge 91/81, il legislatore ha qui disposto la non applicabilità dell’art. 7 della L.300/70 alle sanzioni disciplinari irrogate dalle Federazioni agli sportivi professionisti. La ratio di questa disposizione è quella di risparmiare all’attività sportiva (che, per sua natura, richiede una speditezza procedurale che garantisca il regolare svolgimento delle competizioni) le “lungaggini” che l’applicazione dell’art. 7 avrebbe altrimenti comportato125.
3.1.8. Le altre disposizioni sulla disciplina del rapporto
È opportuno concludere l’analisi del contenuto della legge 91 del 1981, affrontando le ulteriori disposizioni rilevanti ai fini della presente trattazione, che introducono una serie di tutele per lo sportivo professionista.
In primo luogo, ai fini della presente trattazione (dal momento che si avrà modo di trattare questo tema), è opportuno ricordare l’art. 5, rubricato Cessione del contratto, il quale dispone che il contratto può contenere l’apposizione di un termine risolutivo, non superiore a 5 anni dalla data di inizio del rapporto. Il legislatore ha, inoltre, precisato che al termine del contratto è ammessa la stipulazione di un altro accordo fra gli stessi soggetti. Il secondo comma dell’art. 5 dispone, inoltre, che è ammessa la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società ad un’altra, ma sottopone questa eventualità a due condizioni:
a) purché vi consenta l’altra parte;
b) purché siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali.
In tale articolo, il legislatore ha richiamato la figura della cessione del contratto, disciplinata dall’art. 1406 ss. Del codice civile: “Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da prestazioni corrispettive, se queste non sono ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta”126.
La norma nel suo complesso salvaguarda entrambe le parti del rapporto di lavoro. Dal lato dello sportivo professionista, la disposizione concorre infatti alla
124 SANINO M., op. cit., p. ??
125 CANTAMESSA L., RICCIO G.M., SCIANCALEPORE G. (a cura di), op. cit., p. 168
126 COLANTUONI L., op. cit., p. 174
soppressione del vincolo sportivo, dato che alla scadenza del contratto viene riconosciuta all’atleta la libertà negoziale di stipulare un nuovo contratto di lavoro. Dal lato della società, la previsione di un termine per i contratti soddisfa le esigenze di programmazione dei sodalizi sportivi, perché consente ad esse di preventivare l’affidamento sulle prestazioni del giocatore127.
Altra disposizione di rilievo è l’art 6, rubricato Premio di addestramento e formazione tecnica. Questa disposizione, come si è avuto modo di vedere ampiamente nel paragrafo 2.1.2 della presente trattazione (cui si rimanda), introduce un indennizzo che ha lo scopo di sopperire alla prospettata assenza di quello che era il valore economico rappresentato dal vincolo sportivo per le società, abolito proprio con la stessa legge 91/81.
Proseguendo, altre disposizioni in cui il legislatore dell’ 81 ha inteso tutelare la figura dello sportivo professionista, sono gli articoli 7, 8 e 9 . Essi assicurano la tutela dell’atleta sotto i profili di carattere sanitario, assicurativo e previdenziale.
A conclusione dell’analisi della legge 23 marzo 1981, n. 91, brevi cenni si possono riportare in merito alle disposizioni rimanenti.
Nel capo II della legge, rubricato Società sportive e federazioni sportive nazionali, è di rilievo l’art 10 (Costituzione e affiliazione), il quale pone i requisiti soggettivi che le società devono rispettare per poter assumere la qualifica di controparte nella stipulazione del contratto calcistico professionistico. Di particolare importanza è, infatti, il comma 1, il quale afferma che “possono stipulare contratti con atleti professionisti solo società costituite nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata”. Di tale argomento, ad ogni modo, si tratterà più ampiamente nel prosieguo della trattazione.
Il capo III, nel suo unico articolo 15, disciplina i profili tributari della retribuzione percepita a fronte delle prestazioni sportive oggetto del contratto di lavoro sportivo, argomento che esula dal tema della trattazione.
Infine, il capo IV, rubricato Disposizioni transitorie e finali, costituisce una saggia scelta del legislatore, il quale ha previsto la difficoltà che uno stravolgimento come quello posto in essere dalla legge 91 avrebbe comportato per le società sportive e, in generale, per tutti i professionisti dello sport. Infatti, queste ultime disposizioni finali sono state funzionali ad un graduale rispetto della legge stessa.
Spicca, per importanza, il già citato art. 16, che ha disposto l’abolizione del vincolo sportivo. Con tale articolo, è bene ricordarlo, si è passati da un sistema di vincolo ad un sistema di abolizione del vincolo e di previsione di un rapporto contrattuale a tempo determinato, come già si è avuto modo di vedere nel paragrafo 2.1.2, cui si rimanda.
3.1.9. Riflessioni critiche e proposte di riforma
La legge sul professionismo sportivo, sin dal momento della sua promulgazione, ha sollevato critiche e perplessità. Al di là dei meriti che abbiamo già riconosciuto alla legge n. 91 del 1981, tra i quali quello di aver disciplinato per la prima volta le delicate tematiche appena viste, il legislatore è certamente colpevole di imprecisione e superficialità.
Innanzitutto, parte della dottrina ha criticato il legislatore dell’81 per aver redatto una legge predisposta essenzialmente per il panorama calcistico, piuttosto che per lo sport professionistico in generale, arrivando a sostenere addirittura che è apparso poco dignitoso che il legislatore si sia occupato soltanto del calcio e non dello sport in genere128. La stessa dottrina è dell’avviso che, a parte alcuni sport che presentano già o che potranno in futuro presentare problemi analoghi a quelli del calcio, ma che sono esclusi dall’ambito della legge perché sono o si definiscono dilettantistici (ad esempio, pallavolo, rugby e baseball), vi sono sport professionistici, come il tennis o il pugilato, in relazione ai quali, non si pone alcuno dei problemi che la legge è intesa a risolvere. Addirittura essi ritengono che, in discipline diverse dal calcio, la legge potrebbe andare anche a moltiplicare i problemi in esse già presenti: non è chiara, ad esempio, se il proprietario di un cavallo da corsa debba costituire obbligatoriamente una s.p.a. o una s.r.l. per stipulare un contratto con un fantino, poiché l’articolo 10 comma 1 della legge in questione afferma che possono stipulare contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite nella medesime forme giuridiche129.
Altra parte della dottrina ritiene che si sarebbe di fronte a una legge mal fatta per le soluzioni tecnico-giuridiche adottate e per le conseguenti problematiche
128 LENER A., Una legge per lo sport?, in Foro it., 1981, pp. 297 e ss.
applicative e interpretative che da essa sarebbero derivate130. Rimarrebbero infatti dubbi circa i limiti soggettivi di applicabilità della legge, la quale risulta essere circoscritta ai soli professionisti con l’esclusione quindi di gran parte degli atleti che soltanto formalmente vengono fatti rientrare nel dilettantismo sportivo131.
Infine, sulla base della constatazione che nello sport la logica del profitto ha avuto il sopravvento su quella ludica, anche nei campionati dilettantistici, la critica più recente ha appuntato al legislatore di non aver adeguatamente rivisitato nel corso degli anni la legge alla luce dell’evolversi delle varie discipline sportive verso forme di business e spettacolo che all’inizio degli anni ‘80 non erano immaginabili132.
Tuttavia, come abbiamo avuto modo di sottolineare, la legge 91 del 1981 ha suscitato nel corso degli anni anche molti consensi. Pur nelle sue imprecisioni e difetti, essa ha rappresentato, all’interno del mondo calcistico, un fondamentale punto di svolta, poiché, per prima, ha segnato il passaggio del rapporto di lavoro sportivo professionistico dall’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale alla sistemazione normativa133.
Il pregio più grande della legge risulta essere stato quello di aver suggellato, a livello normativo, la natura intrinsecamente lavorativa della prestazione sportiva professionistica, inidonea di per sé a trovare un’adeguata tutela nell’ordinamento sportivo, ma bisognosa tuttavia di una specifica identificazione, ad opera della legislazione statale, in linea con quella apprestata per la generalità dei lavoratori134, tanto da spingere una dottrina a parlare di “emersione dell’ordinamento sportivo”.
L’ordinamento stesso infatti, in seguito alla regolamentazione legislativa, subisce una spinta dal basso verso l’alto, consentendo l’emersione a livello statale di parte della sua struttura organizzativa, la quale non può più considerarsi relegata nell’ambito del diritto interno, ma appare ormai operante, ex autoritate legis, nei
130 Cfr. BIANCHI D’URSO F., VIDIRI G., La nuova disciplina del lavoro sportivo, in Riv. Dir. Sport.,1982, p. 5; DE CRISTOFARO M., Legge 23 marzo 1981 n. 91, in Le Nuove leggi civ. comm., 1982, I, p. 575; GRASSELLI S., L’attività sportiva professionistica: disciplina giuridica delle prestazioni degli atleti e degli sportivi professionisti, in Dir. Lav., 1982, I, p. 33; MARANI TORO A E I, Problematiche della legge 91/81, in Riv. Dir. Sport., 1983, p. 16
131 GERMINARA L., op. cit., p. 62
132 MUSUMARRA L., CROCETTI BERNARDI E. (a cura di), Il rapporto di lavoro dello sportivo, Experta Edizioni, Forlì 2007, p. 20
133 FRATTAROLO V., Il rapporto di lavoro sportivo, Giuffrè, Milano 2004, p. 1
134 GERMINARA L., op. cit., p. 63
confronti dei subditi legis e non soltanto nei confronti dei soggetti dell’ordinamento sportivo135.
Al di là del tempo trascorso dalla data della sua emanazione (oggi ha compiuto 33 anni), elemento che non è comunque sinonimo di inadeguatezza e necessità di rinnovamento, la legge in esame è definita “vecchia” poiché rebus sic stantibus non è più idonea a regolamentare gli interessi che è chiamata a tutelare. Questa inadeguatezza rappresenta ad oggi un danno per il movimento sportivo; questa legge, infatti è colpevole di aver depauperato interi movimenti sportivi, portando, spesso, al fenomeno della esterovestizione (ad es. nel ciclismo) e costituendo un danno economico anche per il paese. Da qui, l’esigenza di una riforma che si prefigga di rimuovere non tanto le norme inadeguate (sarebbero troppe), ma quelle che sono anche al tempo stesso dannose per il movimento sportivo, senza però (è, questo, un dato fondamentale) andare a danneggiare altri movimenti.
Si tratta di un lavoro fondamentale, ma al tempo stesso impervio per via dei delicati equilibri che sono in gioco. Infatti, è bene dirlo, al di là della pigrizia e disaffezione del legislatore che certamente costituiscono un’indubbia causa di questo mancato rinnovamento, un altro motivo che ha giocato un ruolo in questa latitanza, sono i c.d. veti incrociati, posti in essere dai movimenti sportivi (alcuni movimenti sportivi vogliono che siano tutelati determinati interessi, altri movimenti auspicano la salvaguardia di altri), i quali hanno voluto tutelare i propri interessi, dal momento che su questa legge si sono cristallizzati equilibri e spostare questi equilibri per qualcuno provocherebbe un danno notevole.
Il movimento sportivo, in generale, (e quello calcistico, in particolare) ha sollevato delle barricate, poiché, essendosi assestato con grandi difficoltà dopo il duro colpo inflitto dalla sentenza Bosman, ha evidentemente voluto evitare il rischio di un altro colpo in un mondo delicato, importante ed economicamente rilevante come quello sportivo: i veti incrociati hanno affossato le possibili riforme che potevano essere poste in essere lasciando il calcio, ma lo sport in generale, in un panorama di immobilismo e incertezza legislativa.
In questo quadro di delicati equilibri e interessi spesso contrastanti, si colloca la proposta di revisione della Commissione Matera, nata dall’idea di riformare la legge
135 LANDOLFI S., La legge n. 91/1981 e l’emersione dell’ordinamento sportivo, in Riv. Dir. Sport., 1982,
p. 40
91/81 “dal basso”; scopo è, infatti, quello di presentare al Legislatore una proposta totalmente condivisa dai vari movimenti sportivi, al fine di ridurre il rischio, concretizzatosi nel 1981, di promulgare una legge che non tenga conto di tutti gli interessi in gioco e redatta da un legislatore tutto sommato frettoloso e disaffezionato, che aveva operato in via emergenziale, dando vita ad una normativa che fu, più che altro, lo sfogo di una situazione che dal punto di vista giuslavoristico era totalmente sfuggita di mano all’ordinamento statale.
4. Il Contratto Collettivo nel settore calcistico
Nel contesto internazionale, le Federazioni Calcistiche che meglio di tutte si sono dotate di regolamentazioni giuridiche complesse per disciplinare i rapporti professionali tra club e calciatori sono, senza dubbio, quella italiana e quella francese. In entrambe, lo scenario è altresì animato dalla contrattazione collettiva di categoria, che ha visto l’affermazione di soggetti portatori di interessi collettivi alla stregua di quanto accade in tutti gli altri comparti produttivi, incaricati dagli iscritti di negoziare le minime condizioni “lavorative” che ciascun club è tenuto a riconoscere ad ogni calciatore professionista, ed inevitabilmente anche di tradurre in obbligazioni giuridicamente vincolanti bisogni e necessità avvertiti dalla categoria in un dato momento storico.
Quanto detto ci porta a considerare un’altra fondamentale componente delle fonti che disciplinano il contratto calcistico professionistico, ovvero la contrattazione collettiva. Tale accordo nasce al fine di dare attuazione all’art. 4 della succitata legge
n. 91 del 1981, nella parte in cui devolve proprio alla contrattazione collettiva il compito di predisporre il contratto-tipo (di cui diremo successivamente), per la disciplina del rapporto di lavoro degli sportivi professionisti.
Più precisamente, secondo tale articolo, il contratto calcistico professionistico mediante il quale viene costituito il rapporto di lavoro calcistico deve essere redatto secondo le clausole del contratto-tipo che viene predisposto in conformità agli accordi collettivi stipulati, a cadenza triennale, tra le singole Federazioni sportive e i
«rappresentanti delle categoria interessate».
L’Accordo Collettivo nazionale di lavoro (di seguito “AC”), è bene ricordarlo, è quel rapporto stipulato, a livello nazionale, con cui le organizzazioni
rappresentative dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro predeterminano la disciplina dei rapporti individuali di lavoro e gli aspetti dei loro rapporti reciproci136.
Più precisamente, le “categorie interessate” stipulanti i due Contratti Collettivi che avranno modo di essere analizzati sono:
per quanto riguarda la figura professionale del calciatore, la Federazione Italiana Giuoco Calcio (di seguito “F.I.G.C”), la Lega Italiana dei professionisti di Serie A, (sindacato rappresentativo delle società di calcio di Serie A) e l’Associazione Italiana Calciatori (A.I.C., sindacato dei calciatori);
per quanto riguarda la figura dell’allenatore sono la F.I.G.C., la Lega Italiana dei professionisti del Calcio Professionistico e l’Associazione Italiana Allenatori di Calcio (A.I.A.C).
Lo scopo di tali Contrattazioni è quello di regolare i rapporti di carattere economico e normativo fra i calciatori/allenatori professionisti partecipanti ai campionati di Serie A, B e Lega Pro e le società sportive, al fine di garantire un livello minimo di tutela e di protezione allo sportivo professionista, giungendo fino a definire i rispettivi diritti e doveri e le conseguenti sanzioni in caso di violazione dei propri obblighi contrattuali, sia che essi siano di matrice sportiva ovvero di natura extrasportiva.
Per quanto riguarda il contratto-tipo, che dovrà essere stipulato conformandosi all’AC, esso costituisce il vero e proprio modello cui le parti devono attenersi nella stipulazione del contratto individuale. Della conformità del contratto individuale al contratto tipo e dell’invalidità laddove questa conformità venga a mancare, si parlerà più oltre. È qui solo il caso di accennare al rapporto fra l’accordo collettivo ed il contratto-tipo.
Contratto tipo e contratto collettivo sono atti formalmente diversi, per volontà del legislatore, ma avrebbero potuto costituire un unico atto, essendone identici la natura giuridica, l’efficacia e i soggetti contraenti. In realtà, con la previsione di un contratto-tipo il legislatore ha inteso facilitare le parti stipulanti il contratto, fornendo loro un modello cui uniformarsi, e ciò anche a garanzia del totale e corretto recepimento delle disposizioni contenute nell’accordo collettivo137.
Il contratto collettivo nel mondo del calcio si pone come un momento di raccordo tra l’ordinamento sportivo (legislazione del rapporto di lavoro sportivo) e la
136 SPERDUTI M., Il nuovo accordo collettivo per la serie A di calcio, in Rivista di diritto ed economia dello sport, Vol. VII, Fasc. 3, 2011, p. 52
137 SPADAFORA M.T., op. cit., p. 158, ed. 2004
normativa che regola il rapporto di lavoro subordinato stesso. Il contratto-tipo, come già detto, figura quale modello di riferimento a cui le parti devono attenersi nella stipula dei contratti individuali di lavoro e costituisce, di conseguenza, la parte normativa dell’accordo collettivo, divenendo un tutt’uno con quest’ultimo. Si evidenzia, infatti, l’esistenza di una clausola all’interno dei singoli contratti-tipo, la quale rimanda espressamente all’AC che regola i rapporti tra le parti138. Tale clausola di rinvio deve essere obbligatoriamente firmata dalle parti che sottoscrivono il contratto, pena la nullità139.
Altro fondamentale aspetto del tema è, inoltre, come il livello minimo di tutela sancito dall’Accordo Collettivo sia suscettibile di essere derogato dalle volontà individuali soltanto in senso migliorativo per il calciatore; trova, così, piena applicazione anche nel lavoro sportivo il principio contenuto nell’art. 2077 c.c. per i contratti collettivi corporativi, ma dalla dottrina e giurisprudenza riferiti anche a quelli postcorporativi, secondo il quale, ferma restando la possibilità di derogare al contratto collettivo in senso più favorevole al lavoratore, è vietata qualsiasi deroga in peius alla disciplina del rapporto in questo contenuta140.
Altresì importante è analizzare l’ambito di efficacia dell’accordo collettivo del settore calcistico nei confronti dei soggetti non iscritti alle organizzazioni stipulanti. Infatti, mentre i contratti collettivi di diritto comune sono automaticamente vincolanti soltanto per gli iscritti al sindacato stipulante, l’accordo collettivo nel settore sportivo è dotato di efficacia erga omnes, nel senso che trova piena ed automatica applicazione a tutti gli appartenenti alla categoria interessata. A tale
138 Art. 3 - Le parti, con la sottoscrizione del presente contratto di prestazione sportiva, recepiscono e si impegnano a rispettare integralmente le pattuizioni contenute nell’Accordo Collettivo vigente (suo testo e suoi Allegati), fra cui, non esaustivamente, le seguenti previsioni: art. 2.2. (limiti al patto di opzione); artt. 3.1.- 3.5. (obblighi di deposito del Contratto e delle Altre Scritture); artt. 3.4. e 3.6. (necessità dell’approvazione del Contratto e delle Altre Scritture; effetti e indennizzo in mancanza); art. 5.1. (onnicomprensività della retribuzione); artt. 8.1. e 8.2. (divieto di svolgimento di altra attività sportiva e attività diversa, se incompatibile); art. 9.2. (“la società e i calciatori sono tenuti alla stretta osservanza delle disposizioni di legge, del CONI e della F.I.G.C. in materia di tutela della salute e di lotta al doping. Il calciatore deve sottoporsi ai prelievi e controlli medici, anche periodici e/o preventivi, ivi compresi i prelievi e i controlli sangue/urine, predisposti dalle società, dal CONI e dalla FIGC per l’implementazione dei controlli antidoping e per la migliore tutela della sua salute”); artt. 11.1.- 11.7. (inadempimenti, clausole penali, ammonizione, multa, riduzione della retribuzione, esclusione da allenamenti e preparazione, risoluzione); artt. 13.7.- 13.9. (effetti della risoluzione sulle cessioni temporanee e sulle compartecipazioni); artt. 15.1.- 15.7. (inidoneità, inabilità, durate, effetti e cause); art. 16.4. (rinunzia del calciatore assicurato ad ogni azione risarcitoria per infortunio nei confronti della Società); artt. 16.6.- 16-7. (oneri di comunicazione e denunzia); art. 16.8. (obbligo di sottoposizione a visita fiscale). Le parti si impegnano altresì all’osservanza dei futuri Accordi Collettivi.
139 SPERDUTI M., op. cit., p. 55
140 SPADAFORA M.T., op. cit., p. 159, ed. 2004
conclusione si perverrebbe tenendo conto del generico richiamo fatto dall’ art. 4 l. n. 91/81 alle categorie interessate per individuare l’ambito soggettivo di efficacia dell’accordo, nonché del previsto deposito del contratto presso le federazioni competenti, al fine di consentire la verifica della conformità dello stesso al contratto tipo, senza alcun elemento che possa portare ad escludere taluni soggetti dall’adempimento di tale obbligo141.
Parte della dottrina ha, peraltro, sottolineato come questa efficacia erga omnes propria del settore calcistico non contrasti con quanto disposto dall’art. 39 Cost., laddove esso condiziona l’efficacia dei contratti collettivi nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria al verificarsi di determinate condizioni, dal momento che il fondamento dell’efficacia generale degli accordi in questione è stata riscontrata nel vincolo di appartenenza di ogni società sportiva, tramite l’affiliazione, e di ogni sportivo, tramite il tesseramento, alla federazione del settore in cui si svolge l’attività142. Pertanto, con tale volontaria adesione alla federazione, le società e gli sportivi accettano la normativa federale, compresa quella che prevede la conformità dei contratti individuali a quelli del tipo previsti dagli accordi collettivi143.
4.1. Analisi contenutistica del Contratto Collettivo
Passando ad analizzare il Contratto Collettivo relativo alla figura professionale del calciatore con maggiore specificità, occorre ripercorrere brevemente le vicende che hanno portato alla stipula dell’Accordo. È bene, quindi, sottolineare preliminarmente che l’AC vigente è stato sottoscritto il 7 agosto 2012. Il contenuto di questo accordo è andato sostanzialmente a ricalcare i termini che erano stati difficilmente raggiunti nel settembre 2011, quando fu scritta la parola «fine» su una interminabile vicenda che ha visto coinvolte la FIGC quale mediatrice, la LNPA rappresentante le società del massimo campionato calcistico italiano ed il sindacato di rappresentanza dei calciatori (AIC).
Molti ricorderanno, infatti, le estenuanti trattative, la serie infinita di incontri tra le parti interessate, lo sciopero prima annunciato, poi sospeso ed infine realmente
141 SPADAFORA M.T., op. cit., p. 159, ed. 2004
142 SPADAFORA M.T., op. cit., p. 160, ed. 2004
143 DE CRISTOFARO M., op. cit., p. 588; SPADAFORA M.T., op. cit., p. 160
effettuato da parte dei calciatori144, che comportò lo slittamento della prima giornata del campionato italiano di calcio di Serie A.
Il lunghissimo iter che ha portato alla sottoscrizione del testo dell’Accordo Collettivo del 5 settembre 2011, è stato alquanto sofferto e complicato, forte delle varie vicissitudini dovute a sempre nuove richieste delle parti in causa, a mancati accordi, ad accordi presi e poi «disattesi», ad argomenti rimessi in discussione e, nel mezzo, la continua opera di mediazione posta in essere da parte dell’allora Presidente Federale Giancarlo Abete145. È interessante, a questo punto, evidenziare quelle che sono state le principali richieste avanzate dalle parti contrapposte: AIC da una parte e LNPA dall’altra.
Le principali richieste avanzate dalla LNPA sono:
1. L’esclusivo svolgimento dell’attività calcistica, con divieto per i calciatori di esercitare ogni altra attività lavorativa o imprenditoriale diversa dal calcio – art
11. Tali attività extracalcistiche potranno essere svolte solo su espressa autorizzazione della Società. Questa richiesta è stata contemperata dalle trattative e, nell’AC, è stata inserita la previsione secondo la quale la Società non potrà negare tali attività se non sono incompatibili oggettivamente e soggettivamente con l’esercizio dell’attività agonistica sportiva. Questo eventuale rifiuto dovrà essere motivato e comunicato al calciatore entro 45 giorni dal ricevimento della richiesta.
2. Retribuzione e flessibilità. La LNPA ha effettuato esplicita richiesta di inserimento nel contratto-tipo di una parte della retribuzione flessibile (c.d. flessibilità) e, soprattutto, che tale condizione sia illimitata ovvero senza indicazione di limiti minimi e massimi. Inoltre, che tale variabilità sia basata sui risultati ottenuti dalla società anche sotto l’aspetto economico e patrimoniale per mezzo del calciatore. Per di più, è stata proposta anche la riduzione automatica dei compensi nella misura del 30% in caso di retrocessione in Serie B o di «...altri eventi di gravità tale da compromettere la continuità aziendale della Società...». Nell’Accordo
144 Per la seconda volta nella storia del calcio i calciatori di Serie A hanno deciso, in segno di protesta verso la condotta tenuta dai rappresentanti della LNPA, di non scendere in campo; il primo sciopero era stato effettuato nel 1996 sulla base della sentenza Bosman e per il Fondo di garanzia.
Collettivo, queste indicazioni non sono state accolte ed al contrario, è stato stabilito che la retribuzione deve esser divisa, come prima, tra una parte fissa ed una variabile. Quest’ultima potrà essere legata solo a risultati sportivi, individuali del calciatore o collettivi della squadra e anche a obiettivi non sportivi individuali del calciatore nei seguenti termini:
1) per una parte fissa fino ad Euro 400.000, 00 lordi, la parte variabile potrà arrivare fino ad eguale importo (esempio: Euro 400.000,00 lordi di parte fissa = Euro 400.000,00 lordi di parte variabile);
2) per una parte fissa oltre Euro 400.000,00 lordi, la parte variabile potrà essere libera;
3) nel caso di stipula di primo contratto da professionista la parte variabile potrà essere libera.
È stata scongiurata, invece, l’ipotesi di riduzione automatica dei compensi nella misura del 30% in caso di retrocessione in Serie B o di «altri eventi di gravità tale da compromettere la continuità aziendale della Società» e la variabilità connessa a risultati economici della società146.
3. Multe, Sanzioni e Codici di Autodisciplina – art. 15 AC. La LNPA ha richiesto anche l’applicazione diretta delle sanzioni (tra cui la sospensione in autotutela dalla retribuzione) senza il ricorso al Collegio Arbitrale, trattenendo gli importi direttamente dagli stipendi. Inoltre, altro aspetto dibattuto, riguardava l’innalzamento del tetto massimo della multa fino del 30% del compenso annuo lordo. Per di più, la LNPA chiedeva di togliere ogni limite alla riduzione compensi e far inserire il Codice di Condotta ed il c.d. Codice Etico (una sorta di regolamento interno «quadro» uguale per tutti, molto severo e cogente). Per ultimo, la proposta avanzata di codificare il principio del risarcimento del maggior danno patito dalla società (anche oltre i limiti della retribuzione). Nel testo del nuovo Accordo Collettivo, invece, solo la multa (e non la riduzione dei compensi) è stata prevista e
potrà essere applicata direttamente dalla società, a condizione che l’importo della sanzione non sia superiore al 5% di un dodicesimo della retribuzione fissa annua lorda; è fatta salva la successiva possibilità del calciatore di impugnare il provvedimento davanti al Collegio Arbitrale. In secondo luogo, previo ricorso al Collegio Arbitrale da parte della Società, la multa superiore al 5% non potrà superare il 25% di un dodicesimo della retribuzione fissa annua lorda (prima era il 30%) e nell’ipotesi di cumulo di più infrazioni commesse nello stesso mese, non potrà comunque eccedere il 50% (prima era il 60%) del dodicesimo della retribuzione fissa annua lorda. È stata evitata, ad ogni modo, l’introduzione delle seguenti innovazioni richieste dalla Lega: (i) l’applicazione diretta delle riduzioni dei compensi; (ii) l’inserimento della facoltà per le squadre di poter richiedere il maggior danno; (iii) il regolamento interno tipo, il Codice di Condotta e del c.d. Codice Etico da applicarsi obbligatoriamente anche a livello sanzionatorio da parte di tutte le Società147.
Per quanto riguarda le richieste dell’AIC, invece, contrapposta ad una LNPA desiderosa di creare un calcio « più moderno », sono state avanzate sole due richieste. In particolare:
1. Incremento dei minimi federali. È stato richiesto l’adeguamento dei minimi salariali annui per i contratti di autorità e congruo adeguamento dei minimi salariali annui per gli altri calciatori professionisti. Nel nuovo Accordo Collettivo è stato previsto, di conseguenza, che per il periodo che decorrente dalla stagione sportiva ha inizio nell’anno in cui il calciatore compie anagraficamente il 24° anno di età e per tutte le stagioni sportive successive il minimo federale è aumentato dagli attuali Euro 29.000,00 ad Euro 40.000,00 lordi annui. È stato previsto anche un minimo ridotto per i calciatori più giovani che, a decorrere dalla data di compimento del 16° anno di età anagrafica e fino al termine della stagione sportiva che ha inizio nell’anno in cui compiono anagraficamente il 19° anno di età, avranno un importo pari ad Euro 20.000,00 lordi annui; ciò al fine di incentivare le Società ad un maggior numero di contratti nei settori giovanili148.
147 SPERDUTI M., op. cit., p. 57
2. Innalzamento dei massimali della polizza complementare – Art. 16 AC L’AIC ha chiesto, inoltre, di provvedere ad un adeguamento delle condizioni minime di polizza per i casi di invalidità permanente da infortunio, invalidità specifica totale (c.d. «fine carriera»), invalidità permanente da malattia e caso morte. Nel nuovo Accordo Collettivo i massimali di polizza ai fini dell’adempimento di quanto sancito dall’Accordo Collettivo sono aumentati dagli attuali Euro 203.000 ad Euro 350.000 (copertura singola obbligatoria per ogni calciatore tesserato che dovrà inderogabilmente essere adempiuta dalle Società entro il 31 ottobre 2011)149.
Passando, ora, all’analisi contenutistica vera e propria dell’AC, è importante ricordare come la struttura del vecchio contratto150 sia stata a grandi linee confermata dalla contrattazione del 2011 e, a sua volta, da quella vigente (2012), rendendosi necessaria sostanzialmente solo una modifica di alcuni passaggi, a seconda delle richieste nella trattativa delle parti contrapposte. Dal punto di vista del contenuto, si è detto che tale accordo regola i rapporti di carattere economico e normativo fra i calciatori professionisti e le società sportive e, più propriamente, gli aspetti riguardanti:
il contratto individuale tra calciatore e società;
i doveri in capo alla società e l’eventuale inadempimento a tali doveri da parte della società medesima ;
diritti e doveri dei calciatori e inadempimento a tali doveri da parte degli atleti;
tutela sanitaria e spese sanitarie nell’ambito dell’attività calcistica;
norme finali concernenti importanti aspetti come l’indennità di fine carriera e il fondo di solidarietà o la previsione di una clausola compromissoria per la risoluzione di eventuali controversie.
149 SPERDUTI M., op. loc. cit.
150 Il riferimento è, ora al Contratto Collettivo del luglio 2005, che aveva mantenuto la sua efficacia in regime di prorogatio fino al 30 giugno 2010, scadenza che era stata prevista dall’art. 23 del vecchio Accordo il quale escludeva la possibilità di un rinnovo automatico e di una proroga tacita dello stesso Accordo Collettivo.
Come si può vedere, l’art. 4 della legge n. 91 del 1981, con il suo richiamo all’AC, introduce i principi lavoristici tipici della contrattazione collettiva nel lavoro sportivo. In particolare, gli articoli dell’AC che meritano di essere sottolineati ai fini della presente trattazione sono i seguenti:
l’art. 1 - Oggetto – al comma 1, il quale delimita l’ambito di applicazione che più volte si è visto essere esteso ai calciatori professionisti e quelli partecipanti alla c.d. Lega pro, oltre che, ovviamente, alle società calcistiche. Il comma 2, invece, fa un preciso elenco degli “allegati” all’Accordo, definendoli parte integrante dello stesso. Essi sono: il modulo del Contratto Tipo; il modulo delle Altre Scritture; il Regolamento del Collegio Arbitrale; le tabelle dei minimi federali previsti per la categoria.
l’art. 2 disciplina elementi come la forma del contratto attraverso il quale si costituisce il rapporto tra il Calciatore e la Società e la sua durata.151
Il comma 2 vieta espressamente i patti limitativi della libertà professionale del calciatore, così come il patto di opzione e di prelazione a favore della società;
l’art. 3, invece, disciplina un fondamentale passaggio, rappresentato dal deposito, da parte della società, del Contratto (che analizzeremo ampiamente nel prosieguo della trattazione) una volta che esso venga sottoscritto e funzionale alla relativa approvazione da parte della F.I.G.C.; l’art. indica, poi, anche le modalità e le tempistiche da seguire per il deposito, prevedendo la possibilità che questo debba essere realizzato da parte del calciatore, laddove
151 Il testo dell’articolo in esame recita: “Il rapporto tra il Calciatore professionista e la Società si costituisce con la stipulazione di un contratto in quadruplice copia che, a pena di nullità, deve essere redatto in forma scritta, mediante compilazione del relativo modulo di Contratto Tipo generato dal sistema informatico, messo a disposizione dalla Lega Pro tramite il sito www.lega-pro-com, in formato *.pdf e recante un numero progressivo, la data e l’ora di generazione non modificabili, sottoscritto dal legale rappresentante della Società e dal Calciatore professionista”.
la società non vi abbia provveduto. Infine, in caso di integrazioni del contratto o di Altre scritture, è disposta l’applicabilità delle stesse regole152.
gli artt. 4 e 5 sono di fondamentale importanza ai fini della presente trattazione, essendo diretti a disciplinare i profili retributivi del rapporto di lavoro calcistico e le modalità di corresponsione della retribuzione. Per quanto riguarda l’art. 4, rispetto alla vecchia formulazione, si compone di soli 7 commi. Con il primo comma153, è stata conferma, ad ogni modo – ed è questo un punto cruciale – la possibilità che la retribuzione del calciatore possa essere pattuita in forma fissa ovvero composta da una parte fissa ed una parte variabile, legata, come vedremo ampiamente, ai risultati sportivi individuali del calciatore stesso o collettivi di squadra e anche a obiettivi non sportivi individuali del calciatore. In particolare, sempre il primo comma stabilisce, come già si è visto, che la parte variabile, dove venga pattuita:
152 Il testo di questo articolo recita: “3.1 La Società deve depositare entro dieci giorni dalla sottoscrizione, nei periodi previsti dall’Ordinamento federale, il Contratto presso la LNP-A, che effettuerà le verifiche di sua competenza e ne curerà la trasmissione immediata alla F.I.G.C. per la relativa approvazione ai sensi dell’art 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91 e successive modificazioni.
3.2 Qualora la Società non depositi il contratto entro 10 giorni dalla sottoscrizione, può provvedervi direttamente il calciatore entro il termine di sessanta, dandone comunicazione contestuale alla società. 3.3 Il tempestivo deposito del Contratto condizione, ricorrendo gli altri presupposti legali e regolamentari, per la sua approvazione da parte della F.I.G.C. 3.4 La F.I.G.C. invierà prontamente le sue decisioni alla LNP-A, perché quest’ultima dia immediata comunicazione alla Società e al Calciatore dell’avvenuta o mancata approvazione. In mancanza di approvazione espressa della
F.I.G.C. entro il trentesimo giorno successivo al deposito del Contratto, ovvero nel minor termine eventualmente previsto dalle norme annualmente emanate dalla F.I.G.C. per la predetta approvazione, quest’ultima si intenderà tacitamente manifestata. 3.5 Le pattuizioni del contratto possono essere modificate o integrate con Altre Scritture, cui si applicano le stesse regole previste per il Contratto (quelle di cui sub 2.1 e 2.2), nonché le previsioni di cui sub 3.1 e 3.4. Il modulo delle Altre Scritture contiene una clausola che specifica che esse sono parte integrante e inscindibile del Contratto 3.6 Il Calciatore ha diritto di ottenere dalla società un equo indennizzo, nel caso che il Contratto non ottenga l’approvazione della F.I.G.C. per fatto non imputabile al calciatore o al suo agente. La società ha diritto di rivalsa nei confronti del diverso soggetto giuridico eventualmente responsabile. La misura dell’indennizzo è determinata dal CA, su istanza del calciatore, tenuto conto anche della eventuale stipulazione economico con altra Società partecipante al Campionato Nazionale Dilettanti, della durata e dell’ammontare dello stesso. L’indennizzo può essere determinato anche d’intesa fra le parti, in forma scritta a pena di nullità, ma esclusivamente dopo la mancata approvazione del Contratto.
153 Art. 4 comma 1 Accordo Collettivo: La retribuzione del calciatore può essere fissa o composta di una parte fissa e una variabile. In quest’ultimo caso la parte variabile può essere legata a risultati sportivi, individuali del calciatore o collettivi della squadra e anche a obiettivi non sportivi individuali del calciatore, come meglio riterranno di individuarli le parti di comune accordo (…)
i) non potrà eccedere, per ogni stagione sportiva di durata del contratto, separatamente considerata, il 100% di quella fissa annua, qualora quest’ultima sia concordata fino all’importo di € 400.000,00 lordi;
ii) non avrà limitazione alcuna, per ogni stagione sportiva di durata del contratto, separatamente considerata, qualora la parte fissa annua sia concordata fino all’importo di € 400.000,00 lordi;
iii) non avrà limitazione alcuna, nel caso di stipula del primo contratto da professionista.
Il comma 2 dispone, invece, che la retribuzione debba essere espressa (solo) al lordo, andando in senso contrario rispetto alla vecchia formulazione, che poneva in capo alle parti la facoltà di specificare, oltre all’importo lordo, anche il corrispondente netto. Tale comma aggiunge, inoltre, che nel contratto pluriennale, la retribuzione sia indicata per ciascuna stagione sportiva 154.
Il comma 3 precisa, letteralmente, che la quota lorda spettante quale partecipazione alle eventuali iniziative promo-pubblicitarie della Società può essere o meno conglobata nella parte fissa della retribuzione. La relativa pattuizione deve essere indicata nel Contratto e/o nelle Altre Scritture.
Il successivo comma 4, al contrario dei precedenti, non introduce alcuna rilevante novità giacché conferma la possibilità per calciatori e Società di stipulare apposite intese aventi ad oggetto i cosiddetti Premi collettivi (ossia premi legati al conseguimento di risultati sportivi di squadra). Si specifica, però, che tali intese devono essere depositate presso la Lega da parte della Società (prima non veniva individuato in alcun modo il soggetto tenuto a tale deposito) entro 20 giorni (e non più 10) dalla chiusura del periodo trasferimenti di gennaio155.
154 Art. 4 comma 2 Accordo Collettivo: La retribuzione deve essere espressa al lordo. Nel Contratto pluriennale la retribuzione dovrà essere indicata per ciascuna stagione sportiva
155 Si riporta il testo integrale dei suddetti commi 3 e 4: “3. La quota lorda spettante quale partecipazione alle eventuali iniziative promo-pubblicitarie della Società può essere o meno conglobata nella parte fissa della retribuzione. La relativa pattuizione deve essere indicata nel Contratto e/o nelle Altre Scritture. 4. Società e Calciatori possono altresì stipulare apposite intese aventi ad oggetto i cosiddetti Premi Collettivi, cioè premi legati al conseguimento di risultati sportivi di squadra, analogamente a quanto previsto all’articolo 4.1 che precede. La pattuizione deve essere stipulata tra un rappresentante della Società munito dei necessari poteri e i Calciatori tesserati, ovvero, da almeno tre di loro muniti di procura rilasciata dagli altri in forma scritta, che conferisca ai
Neanche i successivi commi 5, 6 e 7 introducono alcuna novità atteso che ripropongono quanto già previsto in precedenza156.
Con riferimento alla retribuzione, l’art. 5 riconosce al calciatore il diritto di emolumenti, indennità od assegno a titolo di corrispettivo per trasferte, gare notturne ed eventuali ritiri. Tuttavia la norma prevede anche due importanti novità:
a) la retribuzione nella sua parte fissa deve essere corrisposta entro il giorno 20 del mese solare successivo in ratei mensilità;
b) i pagamenti possono avvenire tramite assegno circolare, dovendo essere effettuati esclusivamente tramite bonifico presso l’Istituto Bancario indicato dal Calciatore all’atto della sottoscrizione del contratto.
In merito a questo secondo aspetto deve essere sottolineato che è importante che il pagamento avvenga tramite bonifico in quanto la società, al fine di evitare penalizzazioni successive, dovrà dimostrare l’effettivo pagamento della retribuzione, nei termini normativi indicati, ai calciatori157.
Gli articoli 6 e 7 sono rubricati “Formazione culturale dei calciatori e Preparazione precampionato ed allenamenti, la partecipazione alle gare e alle trasferte”. Tali disposizioni non hanno essenzialmente apportato stravolgimenti rispetto al contenuto del precedente Accordo Collettivo. L’art.
rappresentanti il potere di negoziare e pattuire i risultati che generano l’erogazione del premio collettivo, il suo ammontare complessivo ed i criteri di assegnazione delle quote tra i singoli aventi diritto, ovvero la volontà dei Calciatori aventi diritto di procedere alla suddivisione delle quote con criteri concordati direttamente tra loro. La Società è estranea a eventuali controversie relative all’effettiva e corretta applicazione dei criteri di formazione e di assegnazione delle quote di Premio Collettivo. Le intese oggetto del presente articolo vanno depositate, unitamente all’eventuale procura, presso la LNP-A a cura della Società entro 20 (venti) giorni dalla chiusura del periodo dei trasferimenti di gennaio. La LNP-A trasmetterà copia delle stesse alla Federazione. Sono consentiti, per ciascuna competizione agonistica, più Premi Collettivi per obiettivi specifici. I Premi Collettivi nell’ambito della stessa competizione non sono cumulabili). Si veda, inoltre, SPERDUTI M., op. cit., p. 61.
156 Il testo dei suddetti commi prevede: ”5. In caso di accordi aventi ad oggetto la licenza dei diritti di immagine per prestazioni di carattere promo-pubblicitario o di testimonial tra Società e Calciatori si terrà conto delle previsioni della Convenzione sulla Pubblicità. 6. La retribuzione può essere convenuta in misura diversa a seconda del Campionato e/o della competizione internazionale cui la Società partecipa o parteciperà e non può in ogni caso essere inferiore al minimo di cui infra sub 4.7.
7. Il trattamento economico minimo del rapporto è determinato nelle tabelle allegate al presente Accordo, che potranno essere modificate d’intesa tra le parti contraenti.
157 SPERDUTI M., op. cit., p. 62
6 obbliga la Società a promuovere e sostenere iniziative o istituzioni per il miglioramento ed incremento che siano in armonia con le aspirazioni dei calciatori. L’art. 7, il quale è stato oggetto di una acceso dibattito fra le parti, dispone, letteralmente, che «...la Società fornisce al Calciatore attrezzature idonee alla preparazione e mette a sua disposizione un ambiente consono alla sua dignità professionale. In ogni caso il Calciatore ha diritto di partecipare agli allenamenti e alla preparazione precampionato con la prima squadra (…) Salvo i casi di malattia od infortunio accertati, il Calciatore deve partecipare a tutti gli allenamenti nelle ore e nei luoghi fissati dalla Società, nonché a tutte le gare ufficiali o amichevoli che la Società stessa intenda disputare tanto in Italia quanto all’estero...».
Alcuni articoli, peraltro, non sono stati oggetto di modifica rispetto alla precedente formulazione dell’Accordo Collettivo: Tutela Sanitaria (art. 9), Istruzioni tecniche, obblighi e regole di comportamento (art.10), Azioni a tutela del Calciatore (art. 12) e Disciplina della morosità (art. 13).
L’art. 11 è, invece, dedicato agli Inadempimenti e clausole penali. Esso dispone che al calciatore che si sia venuto meno ai suoi obblighi contrattuali, così come Regolamenti Federali, norme statuali o federali e cosi via, la società potrà applicare delle sanzioni, elencate tassativamente: (i) ammonizione scritta; (ii) multa; (iii) riduzione della retribuzione; (iv) esclusione temporanea dagli allenamenti o dalla preparazione precampionato con la prima squadra; (v) risoluzione del contratto. Segue, nei commi successivi al primo, una specifica definizione delle varie sanzioni applicabili in caso di inadempimento.
Infine, importante ai fini delle tematiche qui trattate, è l’art. 21, rubricato Clausola compromissoria. Procedimento arbitrale. Tale articolo specifica quanto disposto dal citato art. 4 della legge 23 marzo 1981 n. 91, laddove dispone che ogni contratto individuale stipulato da un calciatore, «…deve contenere una clausola compromissoria in funzione della quale la soluzione di tutte le controversie aventi ad oggetto l’interpretazione, l’esecuzione o la risoluzione di detto contratto ovvero riconducibili alle vicende del rapporto
di lavoro da esso nascente…» è devoluta alla competenza del Collegio Arbitrale, che si pronuncerà in modo irrituale.
4.2 Il Contratto Collettivo degli allenatori
La trattazione de qua è un elaborato che si prefigge di analizzare il contratto calcistico professionistico e lo si sta facendo dando uno spazio maggiore alla più affascinante (sportivamente parlando) figura del calciatore. Ma un elaborato che intende essere il più completo possibile non può esimersi dal tracciare anche alcuni profili della non meno interessante figura dell’allenatore.
Come si è visto, il Contratto Collettivo stipulato dall’A.I.C., la Lega Nazionale Professionisti di Serie A e la F.I.G.C. è una delle fonti che disciplinano il contratto calcistico professionistico in cui le parti siano la Società, da una parte e il calciatore, dall’altra.
Naturalmente, nel caso in cui una delle parti stipulanti sia un allenatore, l’Accordo Collettivo cui il contratto tipo dovrà uniformarsi, dovrà essere quello della relativa categoria interessata, così come stabilito dall’art. 4 della legge 91/81, comma 1.
Tuttavia, l’Accordo Collettivo che, dalla sua entrata in vigore l’1 luglio del 1990, disciplinava il rapporto fra le Società e gli allenatori di Serie A, nel 2009 non è stato più oggetto di rinnovo. Questo significa che le parti dovranno, in autonomia, stabilire i punti che, durante la vigenza del citato AC, erano già state stabilite a livello collettivo.
Ad ogni modo, fatta questa doverosa premessa, a parere di chi scrive, sembra interessante riprendere in mano le disposizioni del vecchio Accordo, soprattutto se si pensa che le parti, al di là della libertà di poter determinare in autonomia le suddette tutele, si andranno necessariamente a servirsi del vecchio accordo come modello, non discostandosi, in concreto, da quanto, per lungo tempo, ha rappresentato la norma.
Già da una prima lettura del testo in esame, emerge come la struttura ricalchi quella dell’Accordo dei calciatori.
L’art. 1 del Contratto Collettivo de quo chiarisce la funzione del documento, ossia regolare il trattamento economico e normativo dei rapporti tra società iscritte ai campionati nazionali di Serie A, B e C, ed i Tecnici Professionisti inquadrati nelle quattro categorie indicate alle lettere A, B, C e D dell'art. 13 del Regolamento del Settore Tecnico, (da ora, “allenatori professionisti”).
L’art. 2, invece, rappresenta una norma di fondamentale importanza, dal momento che disciplina la costituzione del rapporto, nonché i requisiti di forma che il contratto individuale deve necessariamente avere.
Si legge, pertanto, che:
“Il rapporto tra l'allenatore professionista e la società si costituisce con la stipulazione di un contratto…”
Tale contratto, poi, “…a pena di nullità, deve risultare da atto scritto firmato dall'allenatore professionista e dal legale rappresentante della Società…”
e dovrà essere “…redatto sull'apposito modulo federale conforme al contratto tipo, che viene allegato al presente accordo del quale fa parte integrante a tutti gli effetti”.
Quanto alla durata che il contratto individuale può avere, lo stesso articolo 2 aggiunge che esso non potrà essere stipulato per un periodo superiore a cinque anni.
Al lettore che si ricordi quanto pattuito nell’AC del calciatori, molti degli elementi di questo articolo 2 saranno familiari:
in primo luogo e in conformità con l’attuale regime vigente di assunzioni, la costituzione del rapporto di lavoro è rimandata ad un diretto rapporto fra le parti, coerentemente con quanto disposto dall’art. 4 della l. 91/81, che sancisce il sistema dell’assunzione diretta. Come si vedrà meglio oltre, la disposizione contenuta nella legge sul professionismo ha perso - oggi, con liberalizzazione del sistema delle assunzioni - la carica innovativa che ebbe al tempo della sua promulgazione (quando il sistema delle assunzioni allora vigente era regolato dal controllo pubblico). Quindi non stupisce l’assenza dell’inciso “mediante assunzione diretta”, nel testo dell’Accordo in esame;
in conformità a quanto stabilito dal legislatore sempre nell’art. 4 della legge
n. 91/81, anche nell’AC in esame è richiesta la forma scritta ad substantiam
(”a pena di nullità”) per la validità del contratto di lavoro;
il contratto individuale dovrà essere stipulato in conformità al contratto-tipo fornito dalla Lega, così come stabilito dal menzionato art. 4 della legge sul professionismo sportivo, nonché dall’art. 93 delle N.O.I.F. che dispone che i contratti che regolano i rapporti economici e normativi tra le società ed i
calciatori “professionisti” o gli allenatori, devono essere conformi a quelli “tipo” previsti dagli accordi collettivi con le Associazioni di categoria e redatti su appositi moduli forniti dalla Lega di competenza.
L’art. 3 disciplina, invece, l’istituto del deposito del contratto. Tale argomento, in relazione al più ampio tema dei requisiti di forma del contratto calcistico professionistico, verrà trattato più oltre158; basterà qui anticipare che la Società ha l’obbligo, entro cinque giorni dalla data della stipulazione, di depositare il contratto in quadruplice copia presso la Federazione. Questo è un passaggio fondamentale, che è funzionale all’approvazione ai sensi dell'art. 4 della Legge 23 marzo 1981, n. 91, e ha l’ulteriore scopo – non meno importante – di consentire alla Federazione stessa il controllo sulle esposizioni finanziarie della Società, ai sensi dell’art. 12 della legge n. 91/81.
Come si è visto per il calciatore professionista, anche per la figura dell’allenatore, qualora la Società non vi provveda, il deposito può essere effettuato dall'allenatore stesso entro sessanta giorni dalla data della stipula.
L’art. 3, infine, stabilisce l’onere, in capo alla Federazione, di comunicare tempestivamente alla Società e alla Lega, l’avvenuta o mancata approvazione; è prevista, poi, un’ipotesi di silenzio-assenso, per cui il contratto si intenderà approvato, nel caso di mancata comunicazione da parte della Federazione entro un termine di 60 giorni.
L’art. 4, poi, rappresenta una disposizione che disciplina alcuni aspetti del contenuto del contratto individuale pluriennale. Nell’apposito modulo federale, depositato presso la Lega competente, dovranno, infatti, risultare:
- il numero degli anni per i quali è stato stipulato;
- l'importo pattuito per il compenso annuo lordo;
- eventuali premi lordi per ciascuna stagione sportiva.
Come per i calciatori, anche la figura degli allenatori presuppone il tesseramento come requisito per poter instaurare un valido rapporto di lavoro. L’art. 5, coerentemente con la disciplina federale di cui all’art. 38 delle N.O.I.F159, prescrive,
158 Cfr. Infra Capitolo III, par. 4.4
159 Art. 38 N.O.I.F. Il tesseramento dei tecnici. 1. I tecnici iscritti negli albi o elenchi o ruoli tenuti dal Settore Tecnico debbono chiedere il tesseramento per la società per la quale intendono prestare la propria attività. 2. Le Leghe professionistiche provvedono agli adempimenti relativi al visto di esecutività degli eventuali contratti economici. 3. Il tesseramento ha validità per la sola stagione sportiva per cui è richiesto, o per una frazione di essa nel caso degli operatori sanitari ausiliari,
poi, il dovere per la Società che abbia stipulato un contratto pluriennale con un allenatore professionista di presentare, anno per anno, e comunque entro il trentesimo giorno successivo all'inizio della stagione sportiva, la richiesta di tesseramento sottoscritta dall'allenatore stesso, salvo non sia intervenuta risoluzione consensuale del contratto.
Lo stesso articolo, poi, prosegue disponendo che, una volta che sia intervenuta l'approvazione federale del contratto pluriennale, la società, nel caso in cui ometta di richiedere il tesseramento dell’allenatore, sarà, comunque, tenuta al rispetto di tutte le condizioni economiche pattuite nel contratto depositato e obbligata, altresì, al pagamento a favore dell'allenatore di tutti gli emolumenti e premi secondo le modalità e gli importi risultanti dal documento ratificato.
L’art. 6 disciplina l’istituto dell’esonero dell’allenatore, sul quale non è opportuno, in questo momento, dilungarsi, visto che si avrà modo, nel prosieguo della trattazione, di analizzare questo scenario, nell’ambito delle vicende che possono verificarsi in ordine al rapporto di lavoro calcistico.
Basterà qui tracciare gli elementi più significativi. In merito a questa frequente eventualità, occorre sottolineare come la Società abbia piena facoltà di esonerare il proprio allenatore dalla prestazione oggetto del contratto, a fronte di risultati tecnici insoddisfacenti o differenti vedute a livello gestionale. In pratica, con tale atto, l’allenatore viene esonerato dall’adempimento delle proprie obbligazioni, il che significa che egli viene esautorato dalla conduzione tecnica della squadra affidatagli
indipendentemente dalla durata degli accordi contrattuali. 4. Nel corso della stessa stagione sportiva i tecnici, salvo il disposto di cui all’art. 30, comma 2 del Regolamento del Settore tecnico, nonché quanto disciplinato negli accordi collettivi fra l’Associazione di categoria e le Leghe Professionistiche o nei protocolli d’intesa conclusi fra tale Associazione e la Lega Nazionale dilettanti e ratificati dalla FIGC, non possono tesserarsi o svolgere alcuna attività per più di una società. Tale preclusione non opera per i preparatori atletici, medici sociali e operatori sanitari ausiliari che, nella stessa stagione sportiva, abbiano risolto per qualsiasi ragione il loro contratto con una società e vogliano tesserarsi con altra società per svolgere rispettivamente l’attività di preparatore atletico, medico sociale e operatore sanitario ausiliario. Inoltre i tecnici, già tesserati prima dell’inizio dei Campionati di Serie A e B con incarico diverso da quello di allenatore responsabile della I squadra presso Società della L.N.P., possono essere autorizzati dal Settore Tecnico, previa risoluzione consensuale del contratto economico in essere, ad effettuare un secondo tesseramento nella stessa stagione sportiva solo nell’ambito di Società appartenenti alla medesima L.N.P. con l’incarico di responsabile della I squadra. 5. I tecnici possono assumere impegni preliminari di tesseramento a favore di una società per la stagione sportiva successiva soltanto se abbiano risolto ogni rapporto con la società per la quale è in corso un tesseramento oppure se è giunto a conclusione il Campionato da questa disputato. In ogni caso si applicano le disposizioni dell'accordo Collettivo o del Contratto-tipo. 6. Per quanto non previsto nelle presenti norme si applicano le disposizioni delle norme sull'ordinamento del Settore Tecnico
senza, per ciò, concretizzarsi un provvedimento illegittimo, poiché egli continuerà a percepire la retribuzione.
L’art. 8, poi, sancisce l’espresso richiamo dell’Accordo alle norme specificate dalle Carte Federali della F.I.G.C., ed in particolare al Regolamento del Settore Tecnico. Rispetto a ciò, l’art. 13 aggiunge, poi, che: “Le norme statutarie e regolamentari della F.I.G.C. si intendono richiamate per quanto non previsto dal presente Accordo e dal Contratto tipo che ne fa parte integrante”.
Con l’art. 9 sono vietate e nulle le pattuizioni non risultanti dal Contratto depositato in Lega di Serie A e comportano l’applicazione di sanzioni federali a carico dei contravventori.
Gli artt. 10, 14, 18, 19 e 21 determinano i fondamentali obblighi contrattuali dell’allenatore. Anche questo fondamentale argomento, verrà analizzato in separata sede, quando, per l’appunto, si vedranno le obbligazioni delle parti. Stesso, dicasi, a proposito delle obbligazioni che sorgono in capo alla Società, le quali vengono disciplinate nell’art. 17
Gli artt. 11 e 12 rappresentano due disposizioni con cui le parti si impegnano a collaborare per individuare eventuali problematiche di applicazione e interpretazione delle disposizioni dell’Accordo, nonché profili organizzativi e di regolamentazione. Quanto all’art. 11, esso dispone che: “Le parti contraenti si impegnano a costituire, entro due mesi dalla data odierna, una Commissione paritetica, con la partecipazione di quattro membri in rappresentanza degli Organi Federali che organizzano l'attività professionistica e di quattro membri in rappresentanza dell'A.I.A.C. per risolvere i problemi di applicazione e di interpretazione derivanti dal presente Accordo Collettivo. Le risoluzioni della Commissione faranno stato fino alla stipulazione del successivo Accordo Collettivo”.
L’art. 12, invece, dispone che Le parti contraenti si impegnano a tenere consultazioni periodiche, con appositi incontri, per valutare congiuntamente i problemi di organizzazione e regolamentazione dell'attività sportiva e dei rapporti tra allenatori e società.
Gli artt. 7, 15 e 16, invece, dettano la disciplina sul trattamento economico del rapporto e la retribuzione, in generale. Anche in questo caso, si analizzerà questa tematica, nell’ambito delle obbligazioni delle parti, cui si rimanda. Un profilo interessante circa la retribuzione, che può essere anticipato è che, sebbene non disposto espressamente nell’Accordo de quo, nulla vieta alle parti di inserire, anche in questo caso, così come avviene ordinariamente per i calciatori, oltre al compenso
fisso, anche una parte variabile: i c.d. bonus, legati ai risultati sportivi che, magari, la squadra ha raggiunto sotto la guida tecnica dell’allenatore.
L’art. 20, poi, disciplina l’ipotesi del demansionamento, disponendo che: “iI trasferimento di mansioni, per la conduzione di altra squadra della stessa società rispetto a quella contrattuale o per lo svolgimento di altri compiti, come quello di osservatore tecnico o altrimenti, potrà avvenire solo dietro consenso scritto dell'allenatore160.
L’art. 21, invece, è la disposizione dedicata alle eventuali sanzioni che si vedrà applicare l’allenatore, nel caso in cui dovesse trasgredire agli obblighi cui è tenuto161.
L’art. 23 è dedicato all’eventualità di squalifiche inferte all’allenatore da parte della Federazione162.
Proseguendo, infine, si incontrano alcuni importanti articoli163 che attengono alle obbligazioni delle parti e che si avranno modo di analizzate nel prosieguo della
160L’art. 20 prosegue, aggiungendo un elemento rispetto a quanto già detto circa l’ipotesi di esonero, disponendo che “Nel caso in cui quest'ultimo (ossia, l’allenatore) sia esonerato dalla società senza che sia concordato lo svolgimento di altra attività, l'allenatore potrà variare residenza o domicilio, dandone comunicazione scritta alla società, alla Lega ed all'A.I.A.C., ai fini della reperibilità”.
161 Per un’analisi dettagliata del contenuto di tale articolo, si rimanda al Cap. III, par. 6.3
162Art. 23: “In caso di squalifica dell'allenatore da parte degli Enti Federali la società potrà proporre la riduzione dai compensi al competente Collegio Arbitrale, nei modi e nei tempi previsti dal punto b) del precedente articolo, per il periodo corrispondente alla durata della squalifica e per una misura non superiore al 40% dei relativi importi”
163 Art. 24: “Le spese di assistenza sanitaria, degli interventi chirurgici, dei medicinali e quelle eventuali di degenza in Istituti ospedalieri od in Case di cura sono a carico della società per quanto non sia già coperto dalla Assicurazione obbligatoria sociale contro la malattia. Nell'ipotesi in cui l'allenatore non intenda usufruire dell'assistenza sanitaria proposta dalla società, quest'ultima sarà tenuta a concorrere alte spese relative, ivi compresi interventi chirurgici, medicinali e spese di degenza in Istituti ospedalieri o Case di cura, sostenute dall’allenatore in misura non superiore al costo normalmente necessario per assicurare all'allenatore medesimo un'assistenza specialistica e di idonea qualificazione; Art. 25: “In caso di malattia, accertati dal medico sociale, spettano all'allenatore, durante il periodo della sua inabilità, i compensi stabiliti dal contratto fino alla scadenza di esso, mentre la società beneficerà delle eventuali indennità assicurative per il periodo della inabilità temporanea. Durante la malattia l'allenatore fruisce dell'assistenza sanitaria specialistica farmaceutica ed ospedaliera regionale per la quale la società deve assicurarlo per legge. Art. 26: ”Qualora l'inabilità per malattia si protragga oltre i sei mesi ed il contratto nel frattempo non sia scaduto, è data facoltà alla società di risolvere il contratto stesso, dandone comunicazione all'allenatore ed all'Organo Federale competente, oppure di corrispondere all'allenatore stesso i compensi contrattuali ridotti della metà fino alla scadenza del contratto. Se la malattia o la me- nomazione delle condizioni fisiche dell'allenatore risultino dipendenti da condotta sregolata o comunque da cause attribuibili a sua colpa, la società può applicare nei confronti dello stesso tesserato il provvedimento della riduzione dei compensi e, nei casi più gravi, della risoluzione del contratto, secondo le modalità di cui all'art. 24”. Art. 27: ”La società è tenuta ad assicurare l'allenatore contro gli infortuni con massimali integrativi rispetto alla assicurazione base secondo le modalità, i termini ed i limiti minimi stabiliti annualmente dagli Organi preposti all'attività agonistica,
trattazione, fino ad arrivare all’ultimo articolo che sembra qui opportuno evidenziare, ossia l’art. 30, che, in ottemperanza a quanto stabilito dall’art. 4, comma 5 della legge 23 marzo 1981 n. 91, introduce una disposizione fondamentale per quanto riguarda la risoluzione delle controversie. Tale articolo, infatti afferma che: “ la risoluzione di tutte le controversie concernenti l'attuazione del contratto o comunque il rapporto tra società ed allenatore, sarà deferita ad un Collegio Arbitrale164.
È, però, doveroso ricordare come, a fronte del mancato rinnovo dell’Accordo collettivo di cui sono state ricordate le norme, le disposizioni ivi contenute non rappresentino una disciplina tassativa e inderogabile cui le parti devono uniformare il contratto individuale. Pertanto, nell’attesa che le “categorie interessate” trovino l’agognato accordo, è ben possibile che le parti, in forza dell’autonomia privata, pattuiscano termini differenti da quelli appena menzionati, sebbene, nella prassi,
in accordo con l'Associazione di categoria. La Lega competente, in caso di inadempimento della società, ha facoltà di sostituirsi alla stessa per la stipulazione o il perfezionamento della polizza. Beneficiario della polizza, anche per i massimali superiori a quelli concordati con l'Associazione di categoria, si intende in ogni caso l'allenatore od i suoi aventi diritto e sarà nullo qualsiasi patto contrario anche se sottoscritto dall'allenatore stesso, salvo che la società abbia stipulato un'altra polizza a proprio beneficio. L'allenatore, quale beneficiario della polizza assicurativa, rinuncia ad ogni effetto per sé e per i suoi aventi diritto ad ogni azione nei confronti della società, o di chi per essa, per il risarcimento dei danni subiti. La polizza di assicurazione deve essere stipulata entro la data di convocazione dell'allenatore per l'inizio dell'attività di ogni anno sportivo. L'allenatore non coperto da assicu-razione non può svolgere alcuna attività sportiva. La società inadempiente è soggetta a provvedimenti disciplinari. In caso di infortunio avvenuto al di fuori dell'ambito dell'attività svolta per la società di appartenenza, l'allenatore ha l'obbligo di darne tempestiva comunicazione scritta alla società, al fine di consentire a quest'ultima di poter ottemperare nei termini di legge agli adempimenti formali con le Compagnie di assicurazione, previsti dal successivo comma. L'onere della denuncia e di ogni altro successivo adempimento necessario per far conseguire all'allenatore l'indennizzo spettantegli, nelle forme previste dalle condizioni di polizza, compete alla società. La società è responsabile, ad ogni effetto, di tutte le eventuali omissioni al riguardo. Art. 28 La società ha l'obbligo di effettuare all'ENPALS e all'lNPS i versamenti contributivi per legge previsti (per l'assicurazione contro l'invalidità, la vecchiaia e superstiti e quella contro le malattie) anche per la parte a carico dell'allenatore i cui relativi importi saranno trattenuti in rivalsa dai compensi e dagli emolumenti versati allo stesso. Art. 29 L'allenatore ha diritto ad un periodo di riposo di quattro settimane l'anno; inoltre, salvo particolari impegni agonistici, la società gli fisserà 24 ore consecutive di riposo settimanale. La scelta dell'epoca del periodo di ferie è fatta dalla società, compatibilmente con le esigenze dell'attività sportiva. II riposo annuale ha normalmente carattere continuativo. Qualora l'allenatore venga richiamato in sede durante il periodo di ferie, la società è tenuta a rimborsargli le spese di viaggio sia per il rientro in sede, sia per il ritorno alla località dove trascorreva le ferie. L'allenatore ha diritto di usufruire, in altro periodo dell'anno, dei giorni di ferie non goduti a causa del richiamo in sede.
164 L’art. 30 prosegue, aggiungendo che, tale Collegio Arbitrale dovrà essere “…composto da tre membri, di cui due designati, di volta in volta rispettivamente dalla società e dall'allenatore, tra le persone indicate negli elenchi depositati presso la F.l G.C. dalle competenti Leghe e dall'A.I.A.C. secondo le disposizioni delle Carte Federali. II Presidente sarà designato con la procedura di cui al Regolamento per il funzionamento del Collegio Arbitrale, fra le persone inserite in altro elenco depositato presso la F.I.G.C., preventivamente concordato dalle parti firmatarie del presente Accordo”.
queste disposizioni vengano, alla fine, quasi integralmente riproposte nei contratti individuali.
In proposito, può essere interessante riproporre il fac-simile dell’accordo che l’AIAC ha predisposto quale modello che una società ed un allenatore possono, eventualmente, adoperare per stabilire i termini dell’accordo. In questo modello occorre fare attenzione agli elementi della disciplina, propria del vecchio accordo appena analizzato, al fine di fornire una maggiore tutela agli allenatori, i quali, in un contratto stipulato ex novo con il datore di lavoro, potrebbero, altrimenti, trovarsi in una situazione di maggiore debolezza.
Il documento, chiamato Accordo di lavoro subordinato a tempo determinato tra Allenatore Professionista e Società di Serie A, prevede una prima parte, funzionale all’individuazione delle parti stipulanti.
Per quanto riguarda la Società, il documento richiede l’indicazione della denominazione sociale, della matricola F.I.G.C, della sede legale e della P.IVA, nonché dell’Amministratore Delegato, quale rappresentante pro tempore. Quanto all’allenatore, invece, sono richiesti dati come le generalità, la matricola F.I.G.C., il codice fiscale, la residenza e l’indirizzo.
Una volta specificate le parti stipulanti l’accordo, viene premesso che:
a) Il rapporto di lavoro professionistico tra le parti, oggetto del presente contratto, è regolato e disciplinato dalle seguenti fonti:
1) Legge n. 91 del 23 marzo 1981;
2) Regolamento del Settore Tecnico della F.I.G.C. nella sua versione vigente e, di volta in volta, applicabile nel corso del presente rapporto contrattuale;
3) Il presente regolamento contrattuale individuale.
b) Il presente contratto è redatto in tre esemplari uno dei quali sarà depositato a cura della Società presso la FIGC per il tramite della Lega Nazionale Professionisti Serie A (di seguito anche solo LNPA), entro 10 (dieci) giorni dalla sottoscrizione, nei periodi previsti dall’ordinamento federale.
Fatte queste premesse, vengono sanciti, finalmente, i termini contrattuali veri e propri.
1) DURATA: Il rapporto di lavoro sportivo instaurato tra le parti ha durata dal
al ed è, pertanto, suddiviso in n. stagioni sportive. L’Allenatore ha diritto di ottenere dalla Società un equo indennizzo qualora il Contratto non ottenga l’approvazione della F.I.G.C. per fatto non imputabile all’Allenatore.
La misura dell’indennizzo è determinata dal CA (Collegio Arbitrale), su istanza dell’Allenatore, tenuto conto anche dell’eventuale stipula da parte dell’Allenatore di altro contratto con società professionistica ovvero di accordo economico con società partecipante al Campionato Nazionale Dilettanti, della durata e dell’ammontare dello stesso.
2) OBBLIGHI E MANSIONI DELL’ALLENATORE:
L’Allenatore è assunto con la qualifica di allenatore della squadra della Società .
Egli, pertanto, nell’ambito della mansione affidatagli si impegna, per l’intera durata contrattuale, a fornire con il massimo impegno e grado di diligenza la propria attività lavorativa in favore della Società e, comunque, sempre nel rispetto di tutte le norme e i Regolamenti della FIGC e dei principi di lealtà, correttezza e probità. L'Allenatore, in relazione alla funzione affidatagli, si impegna, altresì, a tutelare e valorizzare il potenziale tecnico e atletico degli atleti e ad assicurare l'assistenza nelle gare della o delle squadre a lui affidate.
L’Allenatore dovrà organizzare l’attività della squadra a lui affidata –nonché la propria e quella dei propri collaboratori- in modo da garantire l’ottimale conduzione della preparazione e dell’attività agonistica della squadra medesima, nel rispetto della qualità e intensità dell’impegno richiesto per ottenere le migliori prestazioni possibili nell’ambito delle competizioni cui la Società prende parte.
Egli inoltre collabora con la Società nel promuovere fra i calciatori la conoscenza delle necessarie norme regolamentari e tecniche, nel sorvegliare la condotta morale e sportiva dei calciatori, nel favorire e sviluppar e lo spirito di gruppo e l'affiatamento umano degli atleti.
II mutamento di mansioni potrà avvenire solo dietro consenso scritto dell'Allenatore. Nel caso in cui quest'ultimo sia esonerato dalla Società, potrà variare la residenza o il domicilio dichiarati nel Contratto o successivamente, dandone comunicazione scritta alla Società, alla
Lega ed all'A.I.A.C., ai fini della reperibilità.
Per tutta la durata contrattuale, all’Allenatore è vietato svolgere altre attività agonistiche sportive e lavorative, salvo preventiva autorizzazione della Società.
3) PAGAMENTO DELLA RETRIBUZIONE E CONTRIBUTI PREVIDENZIALI.
La Società si impegna a corrispondere all’Allenatore la seguente retribuzione fissa lorda:
A) Stagione Sportiva : €
B) Stagione Sportiva : €
C) Stagione Sportiva : €
Nonché, la seguente retribuzione variabile:
La retribuzione è convenuta al lordo e comprende ogni emolumento, indennità o assegno cui, per qualsiasi titolo l’Allenatore avesse diritto in forza di legge, consuetudine generale o particolare ovvero norma contrattuale preesistente, in conseguenza della o in relazione all’attività svolta in forza del presente contratto. È fatta salva espressamente la corresponsione dell’indennità di fine carriera regolata come segue: la Società verserà al Fondo di accantonamento dell’indennità di Fine Carriera, costituito presso la FIGC, un contributo a suo carico del % sulla retribuzione fissa lorda annua dell’Allenatore e un contributo del % a carico di quest’ultimo, che verrà, per l’effetto, trattenuto in busta paga dal datore di lavoro, nel limite del
massimale previsto per gli allenatori dagli enti previdenziali competenti. La Società, inoltre, verserà al Fondo di Solidarietà costituito ad hoc un contributo a carico dell’allenatore pari alla percentuale dello % della retribuzione fissa annua lorda, fatto salvo il rispetto delle disposizioni in materia fiscale e previdenziale.
La Retribuzione, nella sua parte fissa, deve essere corrisposta entro il giorno 20 del mese solare successivo in ratei mensili posticipati di eguale importo e non può essere unilateralmente ridotta o sospesa.
La Retribuzione, nella sua parte variabile, deve essere corrisposta con la scadenza della mensilità di giugno della stagione sportiva in cui si verifica la condizione ad essa sottesa, con le modalità previste nel presente contratto. Il pagamento di quanto dovuto all’Allenatore deve essere effettuato esclusivamente tramite bonifico presso il conto corrente bancario indicato dall’Allenatore all’atto della sottoscrizione del Contratto o mediante successiva comunicazione scritta alla Società.
In caso di morosità di oltre un mese nel pagamento dei compensi, l'Allenatore ha diritto alla rivalutazione monetaria in base all’indice dei prezzi calcolato dall’Istat per la scala mobile per i lavoratori dell’industria e agli interessi legali, da calcolarsi sull’importo netto a decorrere dal primo giorno successivo a quello in cui il pagamento avrebbe dovuto essere effettuato.
4) ASSISTENZA SANITARIA. Le spese di assistenza sanitaria, degli interventi chirurgici, dei medicinali, nonché quelle di degenza in istituti ospedalieri o case di cura, quando conseguenti all’esercizio dell’attività oggetto del presente contratto saranno a carico della Società, salvo il diritto del datore di lavoro di stipulare coperture assicurative o di esercitare azioni di regresso o rivalsa nei confronti di eventuali terzi responsabili.
5) MALATTIE E INFORTUNI. In caso di malattia, accertata dal medico sociale, spetta all'Allenatore, durante il periodo della sua inabilità, la Retribuzione stabilita dal Contratto fino alla sua scadenza, salvo quanto previsto all’art 26, mentre la Società beneficerà delle eventuali indennità assicurative per il periodo della inabilità temporanea. Durante la malattia
l'Allenatore fruisce dell'assistenza sanitaria specialistica farmaceutica ed ospedaliera regionale per la quale la Società deve assicurarlo per legge.
Qualora l'inabilità per malattia si protragga oltre i 6 (sei) mesi, ed il Contratto nel frattempo non sia scaduto, è data facoltà alla Società di richiedere al CA la risoluzione del Contratto ovvero la riduzione alla metà della retribuzione maturanda dalla data della richiesta fino alla cessazione dell'inabilità e comunque non oltre il termine di scadenza del Contratto.
6) ASSICURAZIONE. La Società si obbliga ad assicurare l'Allenatore contro gli infortuni con massimali integrativi rispetto alla assicurazione base secondo le modalità, i termini ed i limiti minimi stabiliti annualmente dagli organi preposti all'attività agonistica, in accordo con l'associazione di categoria.
Beneficiario della polizza, anche per i massimali superiori a quelli concordati con l'associazione di categoria, si intende in ogni caso l'Allenatore od i suoi aventi diritto e sarà nullo qualsiasi patto contrario anche se sottoscritto dall'Allenatore stesso, salvo che la Società abbia stipulato altra polizza a proprio beneficio.
L'Allenatore, quale beneficiario della polizza assicurativa, rinuncia ad ogni effetto, per sé e per i suoi aventi diritto, ad ogni azione nei confronti della Società o di chi per essa per il risarcimento dei danni subiti. La polizza di assicurazione deve essere stipulata entro la data di convocazione dell'Allenatore per l'inizio dell'attività di ogni anno sportivo.
7) ESONERO DELL’ALLENATORE. E' facoltà della società esonerare l'Allenatore dal rendere la prestazione oggetto del Contratto.
All’Allenatore spettano tutti gli Emolumenti nonché, limitatamente alla stagione sportiva in cui è avvenuto l’esonero e in misura proporzionale rispetto alle giornate di campionato in cui il rapporto ha avuto esecuzione, i Premi pattuiti, salvo diverso accordo tra le parti. Nel caso in cui l'Allenatore sia esonerato dalla Società prima che abbia inizio il Campionato Nazionale cui partecipa la prima squadra, egli avrà il diritto di recedere unilateralmente dal Contratto sino al termine del Campionato stesso, fermo restando l'obbligo della società di corrispondergli gli Emolumenti pattuiti fino alla data di efficacia del recesso. In tal caso, in deroga all’art. 38 Regolamento del Settore
Tecnico e all’art. 38 NOIF, l’Allenatore avrà altresì la facoltà di tesserarsi e svolgere attività per altra Società.
Tale diritto viene esercitato mediante comunicazione da inviarsi a mezzo di lettera raccomandata A.R. alla società con copia per conoscenza al Settore Tecnico ed alla Lega. Il recesso dal Contratto e la conseguente caducazione del tesseramento, ove intercorso, avranno efficacia dalla data di ricezione della comunicazione da parte della Lega.
Nel caso l'esonero venga comunicato all'Allenatore dopo l'inizio del Campionato Nazionale cui partecipa la prima squadra, l’Allenatore avrà il diritto di recedere unilateralmente dal Contratto sino al termine della stagione in corso, fermo il divieto di cui all'art. 38 del Regolamento del Settore Tecnico e all’art. 38 NOIF.
8) RIPOSO SETTIMANALE, FERIE E CONGEDO MATRIMONIALE. L'Allenatore ha diritto ad un periodo di riposo di quattro settimane l'anno e a 24 ore consecutive di riposo settimanale, salvo particolari impegni agonistici. La scelta dell'epoca del periodo di ferie è fatta dalla Società, compatibilmente con le esigenze dell'attività sportiva. II riposo annuale ha normalmente carattere continuativo. Qualora l'Allenatore venga richiamato in sede durante il periodo di ferie, la Società è tenuta a rimborsargli le spese di viaggio sia per il rientro in sede, sia per il ritorno alla località dove trascorreva le ferie. L'Allenatore ha diritto di usufruire, in altro periodo dell'anno, dei giorni di ferie non goduti a causa del richiamo in sede.
9) POTERE DISCIPLINARE. L’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, fino alla stipulazione di nuovo accordo collettivo tra LNPA e AIAC, seguirà le regole giuslavoristiche generali di cui agli artt. 2106 c.c. e 7 della l. n. 300/1970.
10) MISCELLANEE. Le parti, in virtù della loro comune appartenenza all’ordinamento settoriale sportivo e dei vincoli conseguentemente assunti con l’affiliazione e il tesseramento, compreso espressamente il vincolo di cui all’art. 30 dello Statuto FIGC, si obbligano a osservare le norme statutarie ed endoassociative.
Le norme statutarie e regolamentari della FIGC, pertanto, si intendono richiamate e applicabili al presente rapporto.
Le parti manifestano, sin da ora espressamente la volontà di assoggettare il presente contratto di lavoro alle eventuali pattuizioni future discendenti dalla sottoscrizione dell’accordo collettivo categoriale tra la LNPA, l’AIAC e la FIGC.
Ogni eventuale controversia dovesse insorgere sull’esecuzione dei patti qui sottoscritti sarà devoluta alla competenza esclusiva dei giudici del Foro di
ai sensi degli artt. 409 e segg. c.p.c.
Il presente contratto è stato oggetto tra le Parti di singola contrattazione, negoziazione e reciproche concessioni.
Infine, il documento si conclude con la data e le firme rispettivamente dell’allenatore e della Società.
CAPITOLO II
FONTI REGOLAMENTARI A LIVELLO INTERNAZIONALE, EUROPEO E NAZIONALE
1. L’ordinamento sportivo internazionale e nazionale
Prima di affrontare l’importante tematica delle fonti regolamentari, occorre familiarizzare con la struttura dell’ordinamento sportivo internazionale e nazionale. Questa si compone di numerose istituzioni che rendono possibile il corretto svolgimento dell’attività sportiva.
Innanzitutto, occorre considerare che quello sportivo è un vero e proprio ordinamento giuridico, in quanto sono configurabili al suo interno i tre elementi essenziali senza i quali non si può avere l’ordinamento giuridico medesimo: la plurisoggettività, la normazione, l’organizzazione.
La plurisoggettività è data dall’esistenza di un congruo numero di soggetti, persone fisiche ovvero persone giuridiche, i quali volontariamente obbediscono ad un
determinato corpus normativo, al quale attribuiscono un valore giuridico vincolante per tutti i soggetti dell’ordinamento.
Tale corpo di norme costituisce la normazione in senso proprio: si parla di “corpo” di norme, in quanto le stesse devono formare, mediante reciproche interconnessioni, una struttura ordinata sistematicamente, cioè un insieme organizzato in modo gerarchico, culminante in alcune norme fondamentali, o principi, e che si sviluppa conseguentemente in norme subordinate, alle quali si è subordinato un articolato sistema di giustizia sportiva.
L’organizzazione, invece, costituisce un insieme di elementi che formano un sistema di persone e servizi destinato a svolgere tutte le funzioni necessarie per la vitalità e lo sviluppo dell’ordinamento. L’organizzazione deve essere: permanente e duratura ed esercitata sui soggetti che compongono l’ordinamento165.
Occorre ora vedere i due livelli gerarchici che compongono l’ordinamento sportivo: quello internazionale e quello nazionale.
1.1 L’ordinamento giuridico internazionale
Nell’ambito dell’ordinamento sportivo, il CIO166 (Comitato Internazionale Olimpico) ricopre un ruolo di vertice negli assetti istituzionali. Esso rappresenta un’organizzazione non governativa, senza scopo di lucro che persegue fondamentalmente il fine di organizzare i giochi olimpici, sovrintendendo al loro svolgimento, nonché di incoraggiare l’organizzazione di altre competizioni, anche al di fuori dei giochi olimpici, vigilando sull’osservanza dei principi dell’olimpismo e delle regole sportive fondamentali espressi nelle Règles Olympiques, da esso formulati167.
Il comitato recluta i suoi membri per cooptazione tra i cittadini di tutti gli stati che possiedono un Comitato Nazionale Olimpico, C.N.O., da esso riconosciuto, senza specifico riferimento a settori sportivi determinati. Tale riconoscimento
165 Lo sport come ordinamento giuridico autonomo, p. 40
166 Il CIO fu fondato nel 1894 al Congresso di Parigi per volere di Pierre De Coubertin e con il fine di istituire le Olimpiadi dell’età moderna, la cui prima edizione fu disputata ad Atene nel 1896.
167 SANINO M., Il diritto sportivo, op. cit. p. 71
rappresenta il vincolo formale a seguito del quale i C.N.O. sono abilitati a selezionare e a iscrivere i propri atleti per la partecipazione ai Giochi Olimpici168.
I C.N.O., inoltre, così come i loro Regolamenti e Statuti sono costantemente sottoposti a controllo da parte del C.I.O., che valuta anche l’osservanza, da parte degli enti sportivi nazionali, delle disposizioni contenute nella Carta Olimpica.
In questo senso emerge il rapporto gerarchico che lega C.I.O. e C.N.O., che insieme costituiscono una struttura piramidale con poteri accentrati al vertice. Pertanto i C.N.O. hanno il delicato compito di preservare l’integrità dei valori e dello sviluppo del Movimento Olimpico, sotto l’attenta supervisione del C.I.O.
Il sistema sportivo internazionale si articola, poi, in una serie di “sotto- sistemi”, detti Federazioni, per la disciplina e l’organizzazione delle singole discipline sportive (calcio, basket, pallavolo, tennis, automobilismo ecc.). Si parla, pertanto, in maniera tecnicamente corretta, di “pluralità degli ordinamenti sportivi”, con riferimento agli ordinamenti delle singole federazioni, in quanto, in realtà, seppure i vari ordinamenti federali (uno per ogni sport) si riferiscano tutti all’unico ordinamento sportivo mondiale facente capo al C.I.O., ogni ordinamento sportivo di qualunque singolo sport costituisce una struttura autonoma, qualificabile come “Ordinamento” in quanto dotata dei tre citati requisiti individuati dalla dottrina (plurisoggettività, organizzazione e normazione) per essere riconosciuto come tale.
Le differenti Federazioni Sportive Internazionali sono organizzazioni non governative di tipo composto, in quanto raggruppano in sé altri enti in una struttura federale. Esse rappresentano, in genere, associazioni private dotate di personalità giuridica nell’ambito dello Stato in cui è situata la loro sede169.
Lo scopo delle Federazioni Sportive internazionali è quello di incentivare la diffusione e la pratica dello sport del quale sono promotori, organizzare competizioni, nonché predisporre norme organizzative e regole tecnico-sportive dello sport di specie a cui debbono necessariamente attenersi, pur nell’autonoma realizzazione di propri statuti e regolamenti, tutte le federazioni nazionali, pena il disconoscimento da parte dell’ordinamento sportivo internazionale170.
168 COLANTUONI L., op. cit. p. 22-23
169 COLANTUONI L., op. cit. p. 25
170 Estratto dall’elaborato consultabile all’indirizzo: http://www.rdes.it/agcm_indagine.pdf, punto 296
La F.I.F.A. (Fédération Internationale de Football Association) rappresenta il vertice dell’ordinamento giuridico internazionale del calcio. Tale federazione internazionale ha lo scopo di promuovere, sostenere e incentivare lo sport del calcio. È un’associazione di diritto privato con personalità giuridica, ai sensi dell’art. 60 del Codice Civile Svizzero e ha la sede legale a Zurigo.
Le funzioni della FIFA sono molteplici:
Organizzare le competizioni internazionali nel settore calcistico;
Emanare regolamenti e norme ed assicurare la loro applicazione;
Controllare ogni tipo di Federazione Sportiva Calcistica e controllare l’eventuale violazione di norme;
Prevenire ogni metodo o pratica che potrebbe inficiare l’integrità delle competizioni sportive o evitare eventuali abusi da parte delle Federazioni nazionali;
Indirizzare ogni sua azione al principio di non discriminazione e di lotta al razzismo.
Nei singoli sistemi delle varie discipline sportive, poi, si collocano (a livello intermedio tra federazione internazionale e federazioni nazionali) le Confederazioni continentali che hanno il compito di organizzare le competizioni continentali delle varie discipline sportive. Per il calcio, in Europa, l’organismo de quo è l’U.E.F.A. che è l'organo amministrativo, organizzativo e di controllo del calcio europeo, avente sede a Nyon, in Svizzera. L'UEFA organizza, peraltro, nove competizioni ufficiali per nazionali e sei per club171.
Alla base dell’ordinamento sportivo internazionale, nell’ambito dei vari continenti, si collocano i Comitati Olimpici Continentali (in Europa il C.O.E.,
171Le competizioni per le nazionali sono: Campionato europeo di calcio; Campionato europeo di calcio Under-21; Campionato europeo di calcio Under-19; Campionato europeo di calcio Under-17; Campionato europeo di calcio femminile; Campionato europeo di calcio femminile Under-19; Campionato europeo di calcio femminile Under-17; Campionato europeo di calcio a 5; Campionato europeo di calcio a 5 Under-21. Le competizioni per i club sono: UEFA Champions League; UEFA Europa League; Supercoppa UEFA; UEFA Youth League;UEFA Futsal Cup; UEFA Women's Champions League.
Comitato Olimpico Europeo), che hanno il compito di organizzare le competizioni sportive a livello continentale.
Nello specifico, lo scopo del C.O.E. è quello di provvedere alla promozione e diffusione dei principi olimpici nel vecchio continente, ad azioni di solidarietà olimpica nei confronti dei comitati nazionali meno sviluppati e di più recente costituzione, ai rapporti con le altre organizzazioni sportive e con quelle non sportive politiche ed istituzionali, agli accordi bilaterali con le altre associazioni olimpiche continentali, alla preparazione delle future edizioni dei Giochi olimpici ed alla commercializzazione dei prodotti ad essi legati172.
C.I.O.
Federazioni internazionali
e Confederazioni Continentali
Comitati Olimpici Continentali
Sulla base di quanto detto, è possibile inquadrare in un grafico l’assetto piramidale dell’ordinamento giuridico internazionale.
1.2 L’ordinamento sportivo nazionale
Come detto, l’ordinamento sportivo si compone di un livello internazionale e uno nazionale.
A livello nazionale vi sono numerose organizzazioni collettive che permettono la strutturazione e lo svolgimento dell’attività sportiva e, anche in questo caso, si può parlare di una struttura gerarchica.
1) CONI
All’apice di questa struttura piramidale si trova il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) istituito con la legge 16 febbraio 1942, n. 426, la quale lo ha riconosciuto come Ente dotato di personalità giuridica, preposto alla promozione, all’organizzazione, alla vigilanza e allo sviluppo dello sport italiano.
A seguito di un lungo periodo di stabilità, il CONI ha recentemente subito una sensibile riorganizzazione ad opera del legislatore:
D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242 (c.d. decreto Melandri),
D.L. 9 luglio 2002, n. 138 convertito dalla legge 8 agosto 2002, n. 178 sul “riassetto del CONI”;
D.Lgs n.15 dell’8 gennaio 2004 (c.d. decreto Pescante);
con l’emanazione dello Statuto CONI del 2004;
infine, con il Nuovo Statuto CONI, deliberato con la seduta 26 febbraio 2008 e approvato con D.M. 7 aprile 2008.
Ripercorrendo brevemente questo iter di modifica degli assetti e delle competenze del CONI operato dal legislatore, con il decreto D.lgs 242/1999 (decreto Melandri), il legislatore, per la prima volta, ha riconosciuto l’appartenenza del CONI all’ordinamento sportivo internazionale ai cui principi (emanati dal C.I.O.) è obbligato a uniformarsi e ha specificato le diverse funzioni che lo stesso ente è chiamato ad assolvere nella sua duplice veste di ente dell’ordinamento sportivo e dell’ordinamento statuale173. L’art. 1 del decreto n. 242/1999 attribuisce al CONI “personalità giuridica di diritto pubblico”, specificando che la sede del medesimo è in
173 SPADAFORA M.T., op. cit. p. 25
Roma. Il decreto Melandri, avendo inoltre radicalmente modificato la disciplina dell’organizzazione sportiva italiana allora vigente, rappresenta un passaggio fondamentale nell’evoluzione legislativa del CONI.
Il D.L. 9 luglio 2002, n. 138 convertito dalla legge 8 agosto 2002, n. 178 ha essenzialmente trasferito alla CONI Servizi S.p.a., società per azioni costituita per legge e le cui azioni appartengono interamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze, le attività strumentali del CONI, stabilendo che i rapporti, anche finanziari, tra CONI e CONI Servizi S.p,a., siano regolati da un contratto di servizio annuale. Cos statuendo, il legislatore ha di fatto svuotato l’ente pubblico CONI di competenze operative e gestionali, relegandolo ad una funzione puramente di indirizzo e promozione dello sport174.
L’ art. 2 del decreto legislativo n. 242/1999, così come modificato dall’art. 1 del decreto n. 15 del 2004 (c.d. decreto Pescante) ha sancito che il CONI, poiché rappresenta l’organo apicale dell’ordinamento sportivo nazionale, ha il compito di organizzare e potenziare lo sport italiano, nonché di curare l’adozione di misure di prevenzione e repressione del fenomeno doping.
Lo statuto CONI 2004 fissa importanti informazioni sull’inquadramento e le sue funzioni. L’art. 1, al secondo comma definisce il CONI un’ autorità di disciplina, regolazione e gestione delle attività sportive, intese come elemento essenziale della formazione fisica e morale dell'individuo e parte integrante dell'educazione e della cultura nazionale.
Molto utili, per capire le funzioni del CONI sono gli art 2 e 3 dello Statuto CONI del 2004. In queste due disposizioni il legislatore pone, quali obiettivi del Comitato la cura e il coordinamento dell’organizzazione delle attività sportive sul territorio nazionale, nonché l’emanazione dei principi fondamentali per la disciplina delle attività sportive e per garantire il regolare e corretto svolgimento delle gare e delle competizioni. Inoltre, detta principi contro l’esclusione, le diseguaglianze, il razzismo e la xenofobia e la violenza. Ai sensi dell’art. de quo sarà ancora prerogativa del CONI dettare principi ed emanare regolamenti in tema di tesseramento degli atleti. Infine il CONI garantisce giusti procedimenti per la soluzione delle controversie nell’ordinamento sportivo (art. 2). Il successivo articolo 3 si segnala essenzialmente per indicare il CONI come organismo promotore della
174 SPADAFORA M.T., op. cit. p. 27
massima diffusione della pratica sportiva e organismo cui spetta la cura della preparazione degli atleti in vista, soprattutto, dei giochi olimpici.
Quanto al successivo Statuto del 2008, esso è stato da poco modificato da ulteriore intervento. Tale riforma si caratterizza per il delineamento del nuovo sistema di giustizia sportiva, entrato in vigore l’1 luglio 2014, in seguito alle nuove esigenze emerse nell’ambito dell’ordinamento sportivo. Questo tema verrà, comunque, trattato nel prosieguo della trattazione.
2) Le Federazioni Sportive Nazionali
Se il CONI rappresenta l’organo di vertice, predisposto a dettare le linee di indirizzo, controllo e coordinamento dello sport in Italia, le Federazioni Sportive Nazionali (FSN) sono le uniche organizzazioni riconosciute ed autorizzate a rappresentare in Italia le differenti discipline sportive.
Le Federazioni sportive sono state, a lungo, fonte di incertezza, quanto alla ricostruzione della loro natura giuridica, sia per la dottrina, sia per la giurisprudenza.
Ed infatti le Federazioni, nate effettivamente come associazioni di diritto privato, vengono qualificate dall’art. 2 del D.p.r. n. 157/1986 come “organi del CONI” e, come tali, partecipano della natura pubblica dell’ente. A tali conclusioni, è pervenuta anche la giurisprudenza civile (Cass. civ., sez. un., sent. n. 2725/1979), che ha confermato la natura pubblicistica delle Federazioni in quanto aventi veste di organi di un ente pubblico.
D’altra parte, la giurisprudenza amministrativa ha talvolta sostenuto la natura pubblica delle Federazioni sportive (cfr. Cons. St., sez. VI, 18 gennaio 1996 n. 108); in altri casi, ha più specificamente affermato la propria giurisdizione sulle controversie, presupponendo la duplice natura delle Federazioni (TAR Marche, sent. 30 gennaio 1998 n. 87, in Foro Amm. 1998, p. 2523).
Tale ambiguità delle Federazioni sportive ha avuto termine con il decreto legislativo n. 242/1999. La nuova disciplina, nel confermare la personalità giuridica pubblica del CONI (art. 1) ha espressamente sancito che la personalità giuridica delle Federazioni è di diritto privato.
A fronte del chiaro riconoscimento della natura privatistica delle Federazioni, il comma 1 dell’art. 15 prevede:
a) in primo luogo, che l’attività delle Federazioni sportive si svolga “in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI”;
b) in secondo luogo, che l’attività delle Federazioni può avere, in relazione a specifici suoi aspetti, “valenza pubblicistica” (ed anche per questo la legge prevede che essa si svolga in armonia con gli indirizzi di CONI e CIO).
La previsione di una “valenza pubblicistica” di specifici aspetti dell’attività delle Federazioni non sembra comportare conseguenze in ordine alla configurazione giuridica delle medesime. La natura privatistica è chiaramente affermata, né, in generale, singoli aspetti della attività istituzionale possono porre in discussione la natura, pubblica o privata, della persona giuridica. È del tutto evidente, infatti, che un soggetto privato può svolgere funzioni pubbliche175.
Le FSN devono necessariamente essere riconosciute dal CONI. Tale riconoscimento presuppone lo svolgimento sul territorio italiano di un’attività sportiva, nonché l’affiliazione ad una federazione internazionale riconosciuta dal CIO.
Per quanto riguarda le funzioni delle FSN, ciascuna federazione provvede, per ogni singolo sport, a dettarne le regole e a gestire il potere in caso di loro violazione, concorrendo con il CONI all’organizzazione e al potenziamento dello sport nazionale e all’approntamento delle delegazioni di atleti per le Olimpiadi e le altre manifestazioni sportive. Inoltre, su delega del CONI, le federazioni provvedono al riconoscimento delle società che intendono organizzare attività di sport, conferendo alle stesse la qualità di società sportive all’interno dell’ordinamento sportivo176.
Nel contempo, le Federazioni Sportive Nazionali sono affiliate, da parte della FIFA, alle citate Confederazioni continentali. Ad esempio, nel contesto del calcio italiano, la F.I.G.C., di cui si dirà a breve, aderisce all’ UEFA.
175 MUSUMARRA L., LUBRANO E. (a cura di), Dispensa di Diritto dello Sport, Università LUISS Guido Carli, Roma 2012, p. 89.
176 SPADAFORA M.T., op. cit. p. 31
3) Le Leghe
Nell’ambito dell’organizzazione dell’ordinamento sportivo nazionale, un cenno occorre fare alle Leghe, che hanno assunto una notevole rilevanza soprattutto, nel gioco del calcio. Si tratta di organismi associativi, di natura privatistica, di cui fanno parte società sportive, già affiliate alle rispettive federazioni, aventi lo scopo, tra gli altri, di rappresentare le società ad esse affiliate nella stipulazione degli accordi di lavoro e nella predisposizione dei contratti tipo, sulla cui base stipulare i contratti individuali degli atleti professionisti.
Oltre a questo fondamentale compito, lo scopo delle Leghe è quello di predisporre le manifestazioni, le date e gli orari delle partite di Campionato e delle eventuali competizioni autonome, nonché la fissazione di criteri per l’iscrizione ai propri Tornei, per l’adempimento di obblighi relativi all’agibilità e alla capienza degli impianti e per l’assolvimento di oneri imposti da ciascuna Federazione, nonché nella determinazione degli accordi economici177.
Per quanto riguarda il panorama calcistico, le Leghe previste dallo Statuto Federale sono: la Lega Nazionale Professionisti di Serie A, la Lega Nazionale Professionisti di Serie B, la Lega Pro e Lega Nazionale Dilettanti.
Lo Statuto della F.I.G.C. affida l’articolazione organizzativa all’autonomia delle singole Leghe che dovranno, però, attenersi allo Statuto stesso e agli indirizzi del CONI e della Federazione, nonché ai principi di democrazia interna, così come disposto dall’art. 9, comma 2 dello Statuto medesimo.
4) Società ed Associazioni sportive professionistiche e dilettantistiche
Alla base della “piramide” , che rappresenta la struttura dell’ordinamento sportivo nazionale, si trovano le Società e le Associazioni sportive professionistiche e dilettantistiche. Dal momento che la presente trattazione è incentrata sul panorama
177 COLANTUONI L., op. cit. p. 70
calcistico professionistico, si avrà modo di analizzare solo le prime, quali parte stipulante del contratto calcistico178.
1.2.1 In particolare: la Federazione Italia Giuoco Calcio (F.I.G.C.)
A seguito della sua evoluzione, il fenomeno calcistico ha gradualmente acquisito un insieme di regole interne ed un apparato organizzativo autonomo sempre più complesso ed articolato fino a giungere alla definitiva realizzazione di un vero e proprio ordinamento giuridico di tipo settoriale.
In questo processo di evoluzione, la F.I.G.C., quale organo in posizione apicale, portatore dei valori del calcio, nonché garante del corretto funzionamento del mondo del pallone in Italia, ha svolto (e continua necessariamente a svolgere) un ruolo determinante.
Nell’ambito delle varie FSN, la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) è, pertanto, l'organo di coordinamento e controllo del calcio in Italia. Per espressa affermazione del suo Statuto, la F.I.G.C. è un’ associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) avente lo scopo di promuovere e disciplinare l’attività del giuoco del calcio e gli aspetti ad essa connessi (art. 1, comma 1).
Lo stesso Statuto afferma, all’art. 1, comma 4, che la F.I.G.C. è l’unica federazione sportiva italiana riconosciuta dal CONI, dalla UEFA e dalla FIFA, per ogni aspetto riguardante il giuoco del calcio in campo nazionale e internazionale, sancendo, quindi quel riconoscimento che le FSN devono necessariamente ottenere dal CONI per poter operare sul territorio italiano.
Per quanto riguarda le funzioni che la F.I.G.C. deve svolgere, nell’ambito della sua mission, è ancora una volta lo Statuto a fornire una precisa e articolata elencazione.
Nell’ambito dell’art. 3, rubricato Funzioni e obiettivi della FIGC, si segnala la funzione di cura delle relazioni calcistiche internazionali; la supervisione della disciplina sportiva e della gestione tecnico-organizzativa ed economica delle squadre nazionali; la funzione risolutiva delle controversie e giustizia sportiva; la cura e promozione dei vivai; la tutela medico-sportiva degli atleti; le norme riguardanti
178 Vedi infra: Capitolo II, par. 2.1
l’affiliazione alla F.IG.C. stessa delle società e il tesseramento; la determinazione dei requisiti e dei criteri di promozione, di retrocessione e di iscrizione ai campionati. Inoltre, come riporta l’art. 13, altra funzione è quella di stabilire le regole del gioco del calcio, in armonia con le norme dettate dalla FIFA.
CONI
Federazioni Sportive
Leghe
Società e Associazioni sportive professionistiche e dilettantistiche
Anche per quanto riguarda l’ordinamento sportivo nazionale, è possibile servirsi di un grafico per vedere meglio la struttura piramidale determinata dal rapporto gerarchico delle istituzioni che lo compongono, premettendo che il “gradino più basso”, anche se non contemplato nell’immagine, è composto da tutta una serie di altri soggetti come dirigenti, tecnici sportivi, direttori di gara, nonché, ovviamente, gli atleti stessi.
2. Fonti regolamentari
Fatta questa doverosa introduzione sulla “nomenclatura” delle istituzioni del mondo sportivo e calcistico, si può passare all’analisi di un’altra fondamentale categoria di fonti, che è rappresentata dalla normativa di natura regolamentare. Come già anticipato, questa si sviluppa in due diverse regolamentazioni poste su differenti livelli: il Regolamento F.I.F.A su status e trasferimenti di calciatori, di origine sovranazionale e le Norme Organizzative Interne della F.I.G.C, dette più semplicemente N.O.I.F., di origine nazionale.
Per affrontare in maniera più agevole l’analisi dei due regolamenti (soprattutto il Regolamento F.I.F.A su status e trasferimenti di calciatori), è necessario svolgere un breve excursus sull’evoluzione della figura del calciatore professionista. È importante, infatti, ricordare che negli ultimi venti anni, questa figura professionale ha subito una evoluzione culturale, sociale, oltre che economica e normativa, della quale non si può tacere, se si vuole comprendere al meglio il panorama normativo del mondo calcistico moderno. L’aspetto che più di tutti ha contribuito all’evoluzione del “pianeta-calcio” ed alla sua crescita esponenziale è sicuramente costituito dallo svilupparsi dell’interesse prima popolare e poi economico a tale mondo: l’intervento di forti interessi economici, incentivati dalle potenzialità immense del “business- calcio” – i cui introiti non sono più rimasti legati agli incassi delle partite (il c.d. “botteghino”), ma sono stati decuplicati dall’avvento della Televisione (pay-tv e pay- per-view) e dallo sfruttamento delle potenzialità comunicative di tale mondo (contratti di sponsorizzazione commerciale e tecnica, pubblicità non più esclusivamente “cartellonistica” ma anche “virtuale”, sviluppo del massimo sfruttamento del marchio, del marketing sportivo e del merchandising ecc.) – ha modificato radicalmente la struttura di tale mondo179.
Questa evoluzione della figura del calciatore professionista può sinteticamente distinguersi in quattro differenti periodi storici, ovvero:
1) periodo antecedente alla legge 23 marzo 1981, n. 91;
2) periodo dal 1981 (legge n. 91/1981) al 1995 (sentenza Bosman);
179 MUSUMARRA L., LUBRANO E. op. cit. p. 101
3) periodo dal 1996 (sentenza Bosman) al 2001 (normativa U.E.);
4) periodo successivo alla introduzione della normativa U.E.
1) Come si è visto, fino all’emanazione della legge n. 91/1981, con cui è stato abolito il già menzionato “vincolo sportivo”, il calciatore era, in un certo senso, incatenato alla “società di appartenenza”, attraverso un vincolo a tempo indeterminato: in altre parole, il calciatore stipulava un contratto che comportava un vincolo “a vita” con la società di appartenenza, la quale diventava in tal modo proprietaria del suo “cartellino” ed era libera di decidere del destino sportivo del calciatore stesso, senza che egli avesse “voce in capitolo”.
Pertanto, in questa prima fase, il giocatore non ha alcuna forza contrattuale nei rapporti con la propria società, dal momento che egli è completamente assoggettato alla volontà della società stessa, la quale può liberamente decidere se cederlo ed a quale prezzo, mentre il calciatore non può in alcun modo interferire nella trattativa tra la propria società ed un’eventuale altra società interessata al suo acquisto.
Nel 1968, però, nasce l’Associazione Italiana Calciatori (A.I.C.), ovvero il sindacato di categoria; questo fattore rappresenta un momento fondamentale per l’evoluzione della figura professionale del calciatore, dal momento che l’AIC giocherà un ruolo fondamentale, in questo senso, negli anni a venire.
2) Come si è avuto modo di vedere ampiamente, la prima e fondamentale, svolta nell’evoluzione della posizione giuridica del calciatore professionista è rappresentata dalla legge n. 91/1981, della quale si sono analizzati i meriti (abolizione del vincolo sportivo; l’aver, per prima, inquadrato il rapporto società-sportivo professionista come rapporto di lavoro subordinato e l’aver previsto una normativa per la tutela dei “vivai”) e i demeriti, non essendo necessario, pertanto, dilungarsi ulteriormente.
3) Il terzo periodo storico che ha segnato l’evoluzione della figura del calciatore, è quello segnato dai principi della sentenza Bosman, di cui si è parlato. È, qui, solo il caso di ricordare che questa sentenza, emanata da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha rappresentato il vero e proprio spartiacque dell’evoluzione della posizione del calciatore e dei suoi rapporti con le società sportive: tale decisione ha, infatti, radicalmente modificato la disciplina dei trasferimenti dei
calciatori professionisti180, innescando uno stravolgimento negli assetti normativi fino a quel momento vigenti.
4) La quarta fase storica è quella che interessa maggiormente rispetto al punto della trattazione cui si è giunti, poiché proietta il lettore direttamente a quello che è il Regolamento FIFA sullo status ed i trasferimenti dei calciatori, di cui si dirà a breve e che rappresenta, come detto, una delle due fonti regolamentari che disciplinano il contratto calcistico professionistico.
Occorre, però, fare un passo indietro. Dopo la sentenza Bosman, che ha determinato la modifica delle norme sul trasferimento dei calciatori professionisti, sollecitata, altresì, dalla pressione dell’Associazione Internazionale Calciatori (FIF Pro.), che voleva ottenere una totale “liberalizzazione” della posizione giuridica dei giocatori, il
5 marzo 2001 venne approvato dall’Unione europea il cosiddetto Accordo di Bruxelles, vincolante per tutti gli Stati membri. Tale accordo rappresentava una “soluzione transattiva” alle contrapposte esigenze delle Società e le Federazioni, da una parte e i Sindacati-calciatori dall’altra. Infatti, l’obiettivo dei calciatori era quello di potersi liberare in qualsiasi momento della stagione dal vincolo contrattuale (anche se non ancora scaduto) con la società di appartenenza e approdare nella società che fosse in grado di offrirgli un contratto migliore, senza che la sua vecchia società potesse chiedere alcuna indennità come corrispettivo per questo trasferimento neanche durante la vigenza del contratto. L’effetto distorto di questa prospettiva è lampante: il calciatore verrebbe a ricoprire un ruolo talmente forte nel rapporto contrattuale con la società di appartenenza, da lasciare questa totalmente incapace di trattenere il proprio tesserato, anche a fronte di un valido contratto non ancora scaduto. Inoltre, le società non dovrebbero pagare più alcun prezzo per il trasferimento dei calciatori, potendosi assicurare (o riuscendo a mantenere) le prestazioni sportive dell’atleta sulla base del solo contratto più “ricco” di quello ipoteticamente offertogli da altre società, portando, così, i calciatori a guadagnare cifre esorbitanti.
Dall’altra parte si pongono gli interessi congiunti delle società (che vogliono garantirsi invece la possibilità di “vincolare” il proprio tesserato almeno durante la vigenza del contratto) e delle Federazioni (che vogliono evitare modificazioni
regolamentari che potrebbero esporre il sistema-calcio, già economicamente esasperato, al rischio di “scoppiare”, ovvero di non riuscire più a coprire i costi soprattutto degli ingaggi dei calciatori)181.
L’Accordo venne ratificato il 7 luglio 2001 dal Comitato esecutivo della FIFA, con la contestuale emanazione del citato Regolamento FIFA sullo status ed i trasferimenti dei calciatori, entrato in vigore il 1° settembre 2001, e del quale, ora, si tratterà.
Di seguito, è riportata una tabella182, mediante la quale è possibile capire l’evoluzione della determinazione del prezzo per il trasferimento dei calciatori, nell’arco delle quattro fasi storiche appena analizzate.
181 LUBRANO E., MUSUMARRA L., op. cit., p. 111
Prezzo soggettivamente determinato | Prezzo oggettivamente determinato (parametro) | Prezzo = 0 (parametro zero) | |
Periodo ante legge n. 91/81: sistema del vincolo sportivo | Sempre | Mai | Mai |
Periodo post legge n. 91/81: sistema contrattuale impuro (1981-1995) | Soltanto durante la vigenza del contratto tra calciatore e società | Soltanto alla scadenza del contratto tra calciatore e società | Soltanto dopo due anni dalla scadenza del contratto tra calciatore e società |
Periodo post sentenza Bosman: sistema contrattuale puro (1996-2001) | Soltanto durante la vigenza del contratto tra calciatore e società | Mai | Soltanto alla scadenza del contratto tra calciatore e società |
Periodo post normativa U.E.: sistema contrattuale puro (2001-…) | Soltanto durante la vigenza del contratto tra calciatore e società | Mai | Soltanto alla scadenza del contratto tra calciatore e società |
2.1. Il Regolamento F.I.F.A su Status e Trasferimenti di Calciatori183
Come si è avuto modo di vedere, l’emanazione della sentenza Bosman ha posto il mondo dello sport professionistico di fronte all’obbligo di dover azzerare i parametri che fino ad allora avevano regolato il sistema dei trasferimenti dei calciatori. Tale processo di revisione interessò gli organi internazionali
183 Il nuovo Regolamento è disponibile integralmente in versione italiana sul sito internet della Rivista di Diritto ed Economia dello Sport: http://www.rdes.it/RDES_1_08_FIFA_CALCIATORI_08.pdf