Contract
IL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO NEL REGOLAMENTO CE 593/2008 (ROMA I)
Individuazione della legge applicabile in caso di conflitti in materia di obbligazioni civili e commerciali
di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
Il Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (comunemente noto come Regolamento “Roma I”) è entrato in vigore il 17 dicembre 2009 e disciplina la individuazione della normativa applicabile in caso di conflitti di legge in materia di obbligazioni contrattuali civili e commerciali, relativamente a fattispecie negoziali caratterizzate da elementi di estraneità.
Costituiscono elementi di estraneità tutti quei fattori che qualificano una determinata fattispecie come transnazionale, richiamando più ordinamenti giuridici e ponendo un problema di individuazione della legge applicabile alla fattispecie stessa.
Quest’ultimo problema viene risolto dalle c.d. norme di conflitto, la cui funzione precipua è quella di indicare i criteri di collegamento di una determinata fattispecie con l’ordinamento giuridico, ritenuto astrattamente più idoneo a regolarla.
Il suddetto Regolamento, come è noto, vincola gli Stati membri dell’Unione Europea ed è direttamente applicabile all’interno del territorio dell’Unione europea, senza che sia necessario il filtro normativo della legislazione nazionale, dal momento che il regolamento ha effetti diretti non solo verticali ma anche orizzontali.
Più precisamente, tale fonte di “diritto derivato” dell’Unione europea è invocabile non solo nei rapporti verticali cittadino – Stato nazionale ma anche in quelli
orizzontali tra privati nonché in quelli orizzontali tra cittadino e P.A., ogniqualvolta l’organo pubblico agisca jure privatorum.
Fatta questa necessaria premessa, è possibile adesso analizzare nello specifico la disciplina introdotta dal Regolamento Roma I in materia di contratti di lavoro subordinato nei casi in cui non vi sia coincidenza tra luogo di svolgimento del rapporto di lavoro e nazionalità delle parti del rapporto stesso.
Preliminarmente, corre l’obbligo precisare che il Regolamento Roma I di fatto sostituisce l’omologa Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 (80/934/CEE) e nasce proprio con il duplice obiettivo da un lato di ampliare e correggere l’ambito di applicazione della materia contrattuale, adeguandola ai mutamenti della realtà giuridica ed a nuovi istituti di recente genesi, dall’altro di creare una normativa universale applicabile erga omnes senza che la sua applicazione sia circoscritta alle sole situazioni che comportano connessioni con uno degli Stati membri dell’Unione europea.
A tal proposito, significativo è l’art. 2 del Regolamento Roma I, rubricato “Carattere universale”, il quale stabilisce che “La legge designata dal regolamento si applica anche ove non sia quella di uno Stato membro”.
Con riferimento ai contratti individuali di lavoro subordinato, appare doveroso premettere che il Regolamento Roma I non ha introdotto novità di rilievo in materia,
che invece apparivano necessarie alla luce di quanto verrà enunciato, rispetto alla Convenzione di Roma del 1980. Ed infatti, l’art. 8 del Regolamento in esame rubricato “Contratti individuali di lavoro” dispone che: “Un contratto individuale di lavoro è disciplinato dalla legge scelta dalle parti conformemente all’art. 3”.
A sua volta l’art. 3, rubricato “Libertà di scelta”, sancisce come regola generale della materia contrattuale che: “Il contratto è disciplinato dalla legge scelta dalle parti. La scelta è espressa o risulta chiaramente dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze del caso. Le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto o ad una parte di esso”.
Dal combinato disposto degli artt. 8 e 3 del Regolamento Roma I, emerge che in materia di contratti individuali di lavoro, si applica la legge designata dalle parti e ciò in linea con quanto già prescritto dall’art. 6 della Convenzione di Roma del 1980 sulle obbligazioni contrattuali.
Tale soluzione normativa è stata criticata, sotto vari profili, dalla dottrina internazional-privatistica e comunitaria.
In primo luogo, si è perso di vista l’obiettivo primario dei rapporti di lavoro subordinato che è quello della tutela effettiva del prestatore di lavoro. Infatti, il criterio della legge designata dalle parti appare sicuramente più idoneo per tutti quei rapporti contrattuali di carattere paritetico ma non certo nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato da asimmetria in termini di forza contrattuale.
Più precisamente, il prestatore di lavoro, a differenza del datore di lavoro, oltre ad essere economicamente più debole, appare anche soggetto meno in grado di formulare una scelta completamente libera e consapevole in merito alla legge applicabile all’instaurando rapporto.
In secondo luogo, l’art. 8 del Regolamento Roma I non pone alcun limite all’operatività del criterio generale di cui all’art. 3 della libera scelta delle parti, specie con riferimento alla volontà implicita delle parti, con la conseguenza che anche
in mancanza di una espressa manifesta scelta contrattuale della legge applicabile, sarà possibile indagare la volontà implicita delle parti, senza preliminarmente considerare le esigenze di tutela del lavoratore quale limite alla cieca ed ostinata indagine sulla volontà delle parti.
In terzo luogo, il richiamo incondizionato alla libertà di scelta appare in forte distonia con quanto sancito dal Regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (comunemente noto come Bruxells I).
Infatti, nell’impianto del Regolamento Bruxells I, il rapporto di lavoro subordinato costituisce un microcosmo normativo concepito nel senso di limitare fortemente la libertà di scelta delle parti della lex fori. A tal proposito, basti evidenziare che l’art. 21 del Regolamento Bruxells I fa salva la possibilità per il lavoratore, previa apposita convenzione, di adire un Giudice diverso da quelli previsti nella relativa
sezione.
Entrando nel dettaglio della disciplina di cui all’art. 8, la normativa in oggetto fa comunque salva, in linea con quanto previsto dall’art. 6 della Convenzione di Roma del 1980, l’applicazione di criteri sussidiari alla scelta della volontà delle parti. Ed infatti, l’art. 8 prosegue nei termini che seguono: “Tuttavia la scelta non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente in virtù della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile a norma dei paragrafi 2, 3 e 4 del presente articolo”.
Si tratta della legge del luogo di prestazione abituale del rapporto di lavoro, del luogo della sede di assunzione del lavoratore e del luogo in cui il rapporto di lavoro presenta il collegamento più stretto.
Con la dizione “disposizioni alle quali non è permesso regolare convenzionalmente”, si ci riferisce a due particolari categorie di norme che limitano il ricorso alle norme di conflitto: le norme di applicazione necessaria e l’ordine
pubblico interno. Le norme di applicazione necessaria sono norme nazionali che costituiscono un limite preventivo all’applicazione delle norme di conflitto.
L’ordine pubblico interno è rappresentato dall’insieme dei principi fondamentali di un ordinamento nazionale e rappresentano un limite successivo all’applicazione delle norme di conflitto, impedendo la produzione di effetti concretamente lesivi degli stessi principi.
A parere di chi scrive, è innegabile che rientri in tale categoria anche il principio del favor lavoratoris, ragion per cui ove le parti designino quale legge applicabile ad un rapporto di lavoro subordinato una legge dalla cui applicazioni discendano effetti pregiudizievoli proprio al principio della necessaria ed indefettibile tutela della parte debole del rapporto, questa non potrà concretamente operare.
Tuttavia, dato che il Regolamento Roma I non precisa quali siano queste disposizioni alle quali non è consentito derogare, è chiaro che spetterà alla Corte di Giustizia individuarle ed eventualmente elevarle a principi generali di diritto dell’Unione europea, come tale gerarchicamente subordinati alle fonti di diritto derivato quali il Regolamento Roma
I. Di contro, non potranno trovare applicazione tutte quelle norme di applicazione necessaria e di ordine pubblico di un determinato Stato membro contrarie al principio del favor lavoratoris.
Quanto ai criteri sussidiari alternativi alla scelta delle parti, l’art. 8, par. 2 del Regolamento Roma I prevede che: “Nella misura in cui la legge applicabile al contratto individuale di lavoro non sia stata scelta dalle parti, il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro. Il paese in cui il lavoro è abitualmente svolto non è ritenuto cambiato quando il lavoratore svolge il suo lavoro in un altro paese in modo temporaneo”.
La disposizione in oggetto, codifica il criterio sussidiario del luogo di prestazione abituale dell’attività lavorativa.
La suddetta norma di conflitto, la cui ratio sembrerebbe quella di garantire la tutela effettiva del lavoratore, sceglie a tal fine il metodo della localizzazione spaziale. Sebbene tale criterio abbia il merito di favorire l’applicazione della legge in cui il rapporto di lavoro si sia effettivamente svolto, presenta il limite di presumere il luogo di prestazione abituale dell’attività lavorativa quale centro di effettiva tutela
del lavoratore.
Nella realtà, la norma di conflitto avrebbe dovuto essere strutturata secondo il metodo delle considerazioni materiali, vale a dire secondo un criterio che andasse a ricercare direttamente la disciplina in concreto più garantista per il lavoratore.
Al contrario, il metodo della localizzazione spaziale non considera in alcun modo il fondato rischio che la legge del luogo di prestazione abituale possa violare il favor lavoratoris ed essere quindi svantaggiosa per il lavoratore rispetto, ad esempio, alla legge del Paese di distacco.
A tal proposito, appare insufficiente quanto stabilito dal Considerando n. 34 del Regolamento Roma I, il quale recita testualmente che: “La norma sul contratto individuale di lavoro non dovrebbe pregiudicare l'applicazione delle norme di applicazione necessaria del paese di distacco, prevista dalla direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi”.
Tale normativa, oltre a risultare generica, com’è noto non ha effetti obbligatori, fungendo da mero parametro ermeneutico del Regolamento stesso.
Tuttavia, sarebbe auspicabile che la Corte di Giustizia, quando sarà chiamata a pronunciarsi su questioni che comportino l’applicazione dell’art. 8 del Regolamento Roma I, interpretino la norma conformemente e coerentemente con quanto stabilito da altre fonti di diritto dell’Unione europea, quali la Direttiva 96/71/CE in materia di distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. Tale normativa, infatti, tutela maggiormente il lavoratore sotto questo
profilo ed appare quindi più equilibrata nel contemperare tale esigenza con la necessità di applicare la legge del luogo di prestazione abituale.
Inoltre, sempre nell’ottica di una maggiore valorizzazione del luogo di prestazione abituale, specie ove questo coincida con lo Stato di cittadinanza del prestatore di lavoro, la Corte di Giustizia ha dichiarato che non deve essere considerato il trasferimento in luogo diverso dallo Stato di origine della prestazione lavorativa, laddove tale trasferimento abbia carattere di temporaneità.
In tale ottica funzionale appare una interpretazione della temporaneità sulla base di parametri soggettivi quale l’intenzione del lavoratore piuttosto che su quello oggettivo del tempo trascorso.
Proseguendo nell’analisi degli altri criteri sussidiari, l’art. 8, par. 3 del Regolamento Roma I individua, quale ulteriore criterio sussidiario a quello della prestazione abituale, il luogo della sede di assunzione e recita testualmente come segue: “Qualora la legge applicabile non possa essere determinata a norma del paragrafo 2, il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore”.
Tale criterio, oltre ai rilievi critici già formulati in merito alla non considerazione di esigenze materiali di tutela della parte debole del rapporto di lavoro, presta il fianco all’ulteriore critica del rischio di individuare, quale legge applicabile, quella di uno Stato in cui il rapporto di lavoro non si sia mai svolto.
Non è infrequente, infatti, il caso in cui un lavoratore venga assunto da grosse multinazionali la cui sede sia diversa dai luoghi in cui il rapporto di lavoro concretamente si vada a svolgere.
In tali casi, appare del tutto condivisibile quanto è stato sancito da una datata, ma oggi più che mai attuale, pronuncia della Corte di Giustizia CE, del 13 luglio 1993, causa 125/92, caso Xxxxx, nella quale la stessa Corte affermò che il criterio della prestazione abituale deve essere interpretato estensivamente proprio al fine
di limitare quanto più possibile l’applicazione del criterio della sede di assunzione.
In assoluta continuità con quanto previsto dalla Convenzione di Roma del 1980, si pone l’art. 8, par. 4, del Regolamento Roma I, il quale dispone che: “Se dall’insieme delle circostanze risulta che il contratto presenta un collegamento più stretto con un paese diverso da quello indicato nei paragrafi 2 e 3, si applica la legge di tale diverso paese”.
Tale norma si pone in rapporto di concorso alternativo facoltativo con i criteri di collegamento previsti dai par. 2 e 3 ed è sicuramente mossa da esigenza di tutela effettiva del lavoratore.
Tuttavia, è singolare come la norma in questione non richiami il paragrafo 1, quasi a voler affermare una sorta di presunzione juris et de jure della legge scelta dalle parti come quella più idonea ad individuare il collegamento più stretto del rapporto con lo Stato designato.
Questo rappresenta sicuramente un ostacolo ad una concreta operatività del collegamento più stretto quale reale criterio di individuazione della legge applicabile ai rapporti di lavoro individuali.
In secondo luogo, una certa dottrina, ha sottolineato come la norma sacrifichi oltre misura esigenze di certezza e di prevedibilità della legge applicabile in nome di un criterio arbitrario ed ampiamente discrezionale.
Nella vigenza della Convenzione di Roma del 1980, la Corte di Giustizia ha avuto modo di precisare che nei contratti di lavoro subordinato la valutazione del collegamento più stretto va fatta alla luce di tutte le circostanze del caso specifico.
Un esempio di applicazione di tale criterio può essere quello della valutazione comparata di tutti i criteri individuati dall’art. 8, all’esito della quale verificare quale risulti lo Stato membro più volte richiamato.
A parere di chi scrive, ulteriori parametri di individuazione della legge con cui il rapporto di lavoro presenti il collegamento più stretto potrebbero essere quelli della contrattazione collettiva, sulla
cui applicazione la normativa in oggetto tace.
Infatti, benché la rubrica dell’art. 8 faccia riferimento ai contratti individuali di lavoro, non v’è chi non veda che la contrattazione collettiva sia un fenomeno sociale, prima ancora che giuridico, presente in quasi tutti gli Stati membri dell’Unione europea e la cui applicazione ben può essere incentivata ogniqualvolta sia funzionale a garantire il favor lavoratoris.
A sommesso parere di chi scrive, ben venga il sacrificio della certezza dei rapporti giuridici laddove ciò avvenga in favore di una maggiore tutela del lavoratore.
Spetterà, ancora una volta, alla Corte di Giustizia individuare i criteri di collegamento più stretto del rapporto di lavoro alla legge di un determinato Stato, partendo dal presupposto ineludibile che la strada maestra da seguire è quella della tutela della parte debole del rapporto di lavoro.
De jure condendo, si potrebbe anche prospettare il problema dell’applicazione analogica dell’art. 8 del Regolamento Roma I ai rapporti di lavoro parasubordinati, quali ad esempio i contratti agenzia, che presentano, in alcuni aspetti, profili di subordinazione che andrebbero adeguatamente tutelati ma dei quali, quanto meno a livello internazionale e nell’ambito dell’Unione europea, non se n’è mai discusso in maniera sistematica. Ma questo è un altro problema.