Cultura giuridica e diritto vivente
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Cultura giuridica e diritto vivente
Rivista on line del Dipartimento di Giurisprudenza Università di Xxxxxx Xxxxx Xx
Note e Commenti
I PRINCIPI UNIDROIT DEI CONTRATTI COMMERCIALI INTERNAZIONALI: UNA SOLUZIONE PER LA CONOSCIBILITA’ DEL DIRITTO SAMMARINESE DEI CONTRATTI
Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
Abstract
[The Unidroit Principles of international commercial contracts: how to enhance the knowledge of the San Marino contract law] Within San Marino's law system most of the contract rules are contained in the ius commune. Though being adequate to the requirements of commercial negotiations, they prove to be far from being easily knowable. This study is concerned with the question in how far the country's normative reception of the Unidroit Principles regarding international trade contracts may be considered an efficient response to the problem without the introduction of new innovations which might not be in tune with the system.
Key Words :
San Marino law system, International commercial contracts, Ius commune, Normative reception, Unidroit Principles.
Vol. 1 (2014)
I Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali: una soluzione per la conoscibilità del diritto sammarinese dei contratti
Xxxxxxx Xxxxxxxxxx*
1. Il problema della conoscibilità del diritto privato sammarinese
È un dato ormai acquisito, che il diritto è un essenziale fattore di sviluppo economico: la globalizzazione dei rapporti sociali ed economici tende a superare i diritti nazionali e determina spinte verso soluzioni transnazionali. Infatti, “di fronte allo sviluppo senza precedenti degli scambi internazionali, nonché, più in generale, alla sempre maggiore mobilità di persone e di cose con il conseguente aumento di rapporti trascendenti l’ambito ristretto di un determinato ordinamento statale anche al di fuori del commercio, non si può non guardare con preoccupazione al perdurare di differenze, a volte anche sensibili, tra i singoli diritti nazionali, e agli inevitabili conflitti e incertezze che ne derivano”1. I rapporti commerciali internazionali esigono la conoscibilità dei modelli e soluzioni uniformi, che sovente si impongono in maniera spontanea: “le camere internazionali di commercio con i loro regolamenti contrattuali tipo, e i procedimenti arbitrali con le loro regole (soggette ufficialmente alla legge territoriale, ma di fatto) anazionali hanno creato una lex mercatoria uniforme, che autorevolmente viene indicata come il diritto del futuro”2. La tendenza in atto è quella di delimitare l’ambito dell’applicazione della normativa uniforme ai rapporti internazionali, lasciando che i rapporti interni continuino ad essere regolati dal diritto nazionale, in quanto i primi presentano peculiarità da giustificare l’applicazione di una normativa diversa: “non si deve dimenticare come uno dei principali interessi degli Stati contemporanei sia quello
* Xxxxxxx Xxxxxxxxxx è ricercatore confermato di Diritto privato presso il Dipartimento di Giurisprudenza
dell’ Università di Urbino.
1 M. J. BONELL, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, in AA.VV., Diritto privato comparato. Istituti e problemi, Bari, 2004, p. 26 s.
2 X. XXXXX, Introduzione al diritto comparato, in Trattato di diritto comparato diretto da X. Xxxxx, Torino, 1997, p. 154 s. Sulla transnazionalità del diritto commerciale e sulla necessità del superamento della “chiusura” degli ordinamenti insisteva X. XXXXXX, Lo studio e l’insegnamento del diritto privato comparato nelle Università italiane, in Rass. dir. civ., 1986, p. 435 ss., ove osservava come “il traguardo cui il diritto comparato deve tendere è quello della sua scomparsa, allorché la metodologia comparatistica e lo spirito della comparazione sia permeato nello studio di ogni singola materia e sia superata la concezione dell’ordinamento giuridico statuale come ordinamento ‘chiuso’ ed autosufficiente, e quindi l’abolizione della separazione rigida tra i diversi ordinamenti giuridici statuali con il ritorno a qualcosa di analogo a quello ius commune che circolava liberamente in Europa fino all’epoca delle codificazioni e del nazionalismo giuridico”.
Cultura giuridica e diritto vivente, Vol. 1 (2014)
di favorire al massimo il proprio commercio con l’estero: da qui la necessità di consentire ai propri operatori economici di svolgere la loro attività a livello internazionale nella più ampia libertà o quanto meno nelle stesse condizioni riservate dagli altri Stati ai propri cittadini, anche se ciò dovesse comportare la parziale rinuncia a principi e valori considerati cogenti nel proprio ambito interno”3.
Il problema è di portata generale, ma acquista una pregnanza ancor più significativa per i c.d. microstati, nei quali i rapporti commerciali sono necessariamente e per la maggior parte connotati dalla internazionalità. È il caso della Repubblica di San Marino, enclave dello Stato italiano, rimasta estranea all’esperienza delle codificazioni4, ma che sempre più si deve confrontare con l’economia globale. Senza alcuna pretesa di fornire una completa analisi – che necessita comunque di approfondimenti e di riflessioni che esulano dall’ambito di questo lavoro – sia sufficiente ricordare che il sistema sammarinese delle fonti, confermato dall’art. 3 bis della legge 8 luglio 1974 n. 59 (la Dichiarazione dei cittadini e dei principi fondamentali dell’ordinamento sammarinese), nel testo aggiunto dall’art. 4 della legge costituzionale 26 febbraio 2002 n. 36, prevede, quali fonti sussidiarie ed integrative rispetto allo ius scriptum (e cioè la legge), la consuetudine [i.e. le laudabiles consuetudines dello Statuto] ed il diritto comune5. Si collocano tra le laudabiles consuetudines i principi elaborati dalla giurisprudenza nella istituzionale attività di applicazione delle norme alla fattispecie concreta, nel tentativo di fornire risposta efficace alle tendenze evolutive che storicamente si sono manifestate e che per definizione continuamente si manifestano. L’integrazione dell’ordinamento effettuata in via giurisprudenziale ha, infatti, consentito di adattare la disciplina normativa alle mutate condizioni sociali ed economiche, garantendo ed attuando i diritti fondamentali, tra i quali, segnatamente, quelli che trovano perentorio riconoscimento nella Dichiarazione dei Diritti. Infatti, “il diritto comune è un’evoluzione continua dai glossatori a noi; in ciascun momento storico esso è diverso da quello che era nei momenti storici anteriori, da quello che sarà nel momento storico successivo e come diritto comune vigente si può applicare soltanto in quel grado di svolgimento che ha raggiunto all’atto dell’applicazione”6. Il diritto comune, dunque, appare non come un corpus normativo statico, che storicamente è stato vigente negli Stati europei, bensì dinamico, adattabile ed adattantesi, attraverso l’interpretazione, all’evoluzione della storia, ed in tale capacità di adeguamento trova le ragioni della sua attuale vigenza. Ciò
3 M.J. BONELL, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, cit., p. 28 s.
4 X. XXXXX, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 149 osserva che “X. Xxxxxx ci offre l’esempio di un’area che si sottrae all’innovazione grazie ad una marginalizzazione che equivale ad un isolamento”. Tale era, infatti, la situazione antecedente l’apertura del processo di internazionalizzazione, che è iniziato negli anni Novanta, e che ha consentito il mantenimento di un assetto istituzionale e di un sistema di fonti originale. 5 Le Rub. XIII e XXXI, Lib. I, Leges Statutae Reipublicae Sancti Marini (che nel testo vigente che risalgono al 1600) recitano: “abbiano poi i predetti Capitani giurisdizione, ed autorità, e facoltà di conoscere, definire e terminare tutte e singole cause civili, criminali, pure e miste e le cause vertenti fra gli uomini, e le persone della predetta Terra e suo contado, giurisdizione e distretto, e qualunque altra persona secondo la forma degli Statuti e delle riformazioni del Comune della predetta Terra, le quali ora sono, od accadrà di fare in avvenire. E se gli Statuti o le riformazioni non decidessero i casi contingenti, si debba procedere, definire e terminare secondo la forma del diritto comune e le lodevoli consuetudini della anzidetta Terra”. L’art. 4 della legge costituzionale 26 febbraio 2002 n. 36, comma 6, stabilisce “la consuetudine e il diritto comune costituiscono fonte integrativa in assenza di disposizioni legislative”. Sulle “fonti positive” dopo la riforma costituzionale del 2002, si veda X. XXXXX, Le fonti scritte nella Repubblica di Xxx Xxxxxx, Xxxxxx, 0000.
6 F.S. XXXXXXXXXXX - X. XXXXXXX, Del mutamento di cittadinanza per effetto di matrimonio e della legge regolatrice della capacità personale secondo il diritto comune vigente nella Repubblica di San Marino, in Giurisprudenza sammarinese, 1965, 1, p. 138.
non significa ascrivere alla giurisprudenza funzione creativa, ma riconoscerle il ruolo fondamentale di dare attuazione ai diritti individuali in un dato momento storico, come era, d’altra parte, imposto dal secondo comma dell’art. 16 della Legge 8 luglio 1974, n. 59, nel testo originario ora sfortunatamente abrogato, il quale, con riferimento al diritto comune ed al diritto consuetudinario, faceva obbligo ai giudici di “osservare i principi della presente dichiarazione nella interpretazione ed applicazione del diritto”.
E’ noto che il diritto consuetudinario è caratterizzato da debolezza intrinseca, perché postula la necessità della ricognizione e della verbalizzazione delle regole, in quanto la consuetudine costituisce norma cogente sino a che permane la communis opinio iuris ac necessitatis. Le laudabiles consuetudines degli Statuti – oggettivamente e sostanzialmente diverse dalla consuetudine di cui all’art. 3 bis della legge costituzionale n. 36 del 2002 – tra le quali si annoverano, ad esempio, le regole che costituiscono la parte del diritto processuale civile conosciuta come ordo iuridiarius7, ovvero quelle che regolano alcuni istituti di diritto sostanziale, tra cui, ad esempio, la c.d. cessione in antiparte8, sono prassi consolidate e condivise - l’usus fori - che hanno rilievo di normativo, la cui vigenza è determinata dalla consapevolezza degli operatori della loro esistenza e della loro vincolatività. Lo ius commune vigente nella Repubblica di San Marino, invece, “non è il diritto romano giustinianeo, ma quel diritto che si venne formando e svolgendo sulla base del diritto romano, del diritto canonico e della consuetudine, negli Stati più civili del continente europeo e in particolar modo in Italia. Esso deve ricercarsi negli scritti dei più autorevoli giureconsulti e nelle decisioni dei più rinomati Tribunali”9. Tale definizione esclude che il diritto comune vigente a San Marino sia una riedizione del diritto romano ammodernato ovvero del diritto comune vigente in Europa prima delle codificazioni, trattandosi, piuttosto, di una esperienza giuridica che, grazie all’interpretazione giurisprudenziale, utilizza il prodotto di quelli, come ben evidenziato da una ormai storica decisione: “in un diritto che (quale il sammarinese) ha per sfondo il diritto comune i procedimenti interpretativi ed analogici debbono avere maggiore sviluppo che non in un diritto il quale non conosce che la legge scritta e cioè l’interprete dovrà cogliere ogni legge per vedere se essa, oltre la sua lettera, non introduce in realtà
7 Per un approfondimento della nozione di ordo iudiciarius quale insieme di regole di garanzia nel processo, cfr. X. XXXXXXXXXX, Due process, Community and Prince in the evolution of the ordo iudiciarius, in Modelli storici della procedura continentale, a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXXX, Roma-Perugia, 1997, nonché, dello stesso autore, The Prince and the Law, 1200-1600: Sovereignty and Rights in the Western Legal Tradition, Berkeley-Los Angeles-London, 1993.
8 La c.d. cessione in antiparte si inserisce nel quadro della successione testamentaria romana, nella quale agli eredi sui et necessarii non era consentito rinunciare alla eredità del pater familias, che passava direttamente all’erede senza alcuna necessità di accettazione, semplicemente per il fatto della morte del pater familias. Si deve ricordare, in proposito, che la “successione legittima contro il testamento o quota di legittima o di riserva”, “è quella parte o quota del patrimonio del testatore la quale deve necessariamente essere riservata ai più stretti congiunti” (X. XXXXXXX, La successione legittima o ab intestato secondo il diritto sammarinese, in Giurisprudenza sammarinese, 1964, 1, p. 109): risulta pertanto l’ammissibilità della assegnazione della legittima tra padre e figlio, con il consenso di entrambi, prima della morte, dandosi luogo alla cessione in antiparte, fermo restando che, in tal caso, il cessionario potrà richiedere il supplemento della legittima nel caso in cui al momento della morte il patrimonio abbia subito aumenti La cessione in antiparte, dunque, è possibile in ragione della natura della legittima (che riguarda porzione di beni, e non di eredità – essendo libera da ogni peso - e che costituisce un diritto acquisito del figlio verso il padre o viceversa): spetterà al cedente confermare la cessione in antiparte nel testamento, e dare le opportune disposizioni in ordine alla eventuale dispensa dalla collazione (che deve essere espressa). In argomento si veda la sentenza Commissario della Legge 9 luglio 2007, nella causa civile n. 337 del 2005, inedita.
9 Sentenza Giudice delle Appellazioni civili X. Xxxxxxxx 00 agosto 1924, in Giurisprudenza sammarinese, 1924, p. 18.
principi nuovi. Sempre per quel richiamo alla coscienza comune che è base dei diritti positivi che hanno a fondamento il diritto comune, sembra che sarebbe un falsare lo spirito di quei diritti e togliere il loro pregio, il decidere oggi una causa così come avrebbe potuto essere decisa nel secolo XVII e sarebbe un non attingere alla coscienza storica sammarinese ed alla sua tradizione di libertà, il pensare che qui i rapporti tra potere sovrano, cittadini e stranieri si siano immobilizzati, sicché la discrezionalità possa esplicarsi in forme che in ogni altro paese sarebbero considerate arbitrarie”10. Questa attività di adeguamento costante è dovuta al carattere costitutivo che assume l’interpretatio negli ordinamenti che hanno a base il diritto comune: “visto il carattere costitutivo e non meramente ricognitivo dell’interpretatio, qual era disciplinata nella compilazione giustinianea, praticata e teorizzata perciò nell’età classica del diritto comune [...], e presente del resto, come è ovvio, nelle leges statutae (§ 92 [Lib. I, tit. 61], da taluno equivocato, non ostante la testuale, perentoria antitesi fra interpretari ed intelligere), può cogliersi appieno l’insegnamento di Xxxxxx Xxxxx Xxxxxx, appena ricordato [...], con l’avvertenza che non ‘di canoni ermeneutici’ si tratta, non ‘di criteri metodici e sistematici’ - tali apparivano ancora all’Astuti - ma di concludenti fatti normativi”11.
La consultazione della dottrina e della giurisprudenza da cui si trae lo ius commune richiede la conoscenza della lingua latina e l’utilizzo di apposite metodologie per individuare la norma giuridica che trae la sua legittimazione della magis communis opinio12. Tale sistema esige, pertanto, la familiarità con una lingua e un linguaggio, nonché con procedimenti ermeneutici sconosciuti al giurista che si è formato nelle Università italiane, che, nella migliore delle ipotesi, guarda al periodo precedente alle codificazioni con l’interesse dello storico. Si determina, di conseguenza, un gap sempre più marcato tra diritto (che risulta dal sistema delle fonti appena riassunto in maniera ovviamente troppo approssimativa) e applicazione dello stesso (ad opera della giurisprudenza e della pratica), che conduce alla circolazione di norme e modelli stranieri (in particolare, italiani), che sono spesso e purtroppo frutto di recezioni acritiche. Nella produzione legislativa, parimenti, si nota sempre più marcata la tendenza verso una mimesi riflessa del diritto italiano nella disciplina degli istituti, che - oltre a tradire una vocazione positivistica fondata sull’idea del codice, ora spinta anche dal costituzionalismo della riforma del 200213 - finisce per “trapiantare” soluzioni inadeguate che mal si armonizzano con il sistema. Tali guasti sono maggiormente evidenti nell’ambito del diritto privato, che è disciplinato dallo ius commune e rispetto al quale lo ius proprium (la legge) si pone come integrativo o derogativo14, ed in particolare del diritto dei contratti,
10 Sentenza Giudice delle Appellazioni Civili C. A. JEMOLO 15 luglio 1953, in Giurisprudenza sammarinese, 1963, 1, p. 34 ss.
11 X. XXXXXXXX, Parere in merito alle questioni di legittimità costituzionale, reso il 29 settembre 1994 al Consiglio Grande e Generale, inedito, p. 17. Cfr., in argomento, ID., Lineamenti dell’interpretazione, Xxx Xxxxxx, 0000.
12 Specifica che, la magis communis opinio, è da intendersi nel senso sulla scuola culta, vale a dire tenendo conto del valore dell’autore, più che al numero degli stessi, pur essendo consentito discostarsene ove concorrano particolari ragioni da esporre nella decisione, e che, sebbene tutti gli autori di diritto comune forniscano insegnamenti utili, “sono da preferirsi quelli dei sec. XVI, XVII e XVIII: nell’epoca, cioè, in cui il diritto comune si trovava nel suo maggior splendore. Inoltre il diritto comune è più da cercare negli scrittori pratici che nei culti o teorici”, X. XXXXXXX, Le fonti del diritto privato sammarinese, Repubblica di San Marino, 1928, p. 3, ora riedito a cura della Banca Agricola Commerciale in Le fonti del diritto privato sammarinese, Xxx Xxxxxx, 0000, p. 12.
13 La portata di tale “costituzionalizzazione” è stata analizzata da X. XXXXXXXX, Per una lettura della Costituzione sammarinese riformata, in Giur. it., 2004, pp. 914 ss.
14 Osserva X. XXXXXXXXXX, Cinque lezioni sul diritto comune delle società, Atti della Scuola Sammarinese di diritto comune vigente, in Miscellanea I.G.S. (Istituto Giuridico Sammarinese), 2, agosto 1991 (San
ormai contaminato nella pratica da sovrapposizioni (sovente inconsapevoli) di modelli estranei, che poi non sopravvivono al vaglio giurisprudenziale, compromettendo l’affidamento delle parti.
Al fine di agevolare la conoscibilità del diritto contrattuale sammarinese, assicurando contemporaneamente la prevedibilità dell’esito delle liti, sono dunque indispensabili interventi consapevoli volti alla recezione di principi uniformi, che, quanto meno, possano applicarsi alle contrattazioni internazionali.
2. I Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali
Il Congresso di Stato sammarinese (Esecutivo) nella seduta del 15 luglio 1996 ha assunto la delibera n. 13, nominando una commissione tecnico-scientifica di esperti, nelle persone dei proff. Xxxxxxxx Xxxxxxxx (Presidente), Xxxxx Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxx Xxxxx, “con l’incarico di effettuare una ricognizione dell’ordinamento sammarinese nella sua effettività e nelle sue linee evolutive nella prospettiva di una più compiuta democrazia per il nuovo secolo”. La Commissione consegnava la relazione conclusiva dei lavori predisposta dal coordinatore, prof. Caprioli, il 17 gennaio 199815. In tale lavoro si auspicava, tra l’altro, la recezione dei Principi Unidroit dei contratti del commercio internazionale, precisando: “una legge ordinaria potrebbe disporre che quando le parti non convengano diversamente, i contratti e i rapporti contrattuali intercorrenti fra imprenditori sammarinesi ed imprenditori stranieri, o tra imprenditori stranieri, siano disciplinati anche dai Principi dei contratti commerciali internazionali elaborati dall’Istituto Internazionale per l’unificazione del diritto privato, vigenti al momento dell’instaurazione della lite. Tutto ciò restando salva l’osservanza delle norme inderogabili; e nulla innovandosi per quanto riguarda la competenza giurisdizionale e territoriale del giudice sammarinese […] una legge siffatta – o congegnata in maniera simile – porrebbe la Repubblica sammarinese in prima fila tra gli Stati che fattivamente oggi si adoperano per l’unificazione del diritto privato”16. Tale proposta è stata avanzata quale soluzione al “problema tecnico della codificazione civile, così materiale come processuale, affrancato dai molteplici residui ideologici che l’aduggiano ed improntato ad una visuale realistica del sistema”17, in accoglimento della proposta del prof. Rodotà18.
Marino), p. 36, con riferimento alla legge sammarinese sulle società commerciali, che l’ordinamento delle società è costituito dalla legge, “ma in un modo del tutto diverso da come le società commerciali sono regolate in Italia dal titolo VI del V libro (artt. 2247 ss.) del codice civile: perché questi articoli del codice civile sono per l’appunto un codice. La legge n. 68 del 1990 della Repubblica di San Marino, invece, nel sistema delle fonti normative dell’ordinamento giuridico sammarinese ha grado e dignità di reformatio statutorum, e questo pone la prospettiva in termini profondamente diversi, indipendentemente dai contenuti specifici delle singole norme. E diversa è anche la ragione che spinge l’interprete della norma codificata italiana a guardare alla storia per capire il meccanismo secondo il quale è stata costruita la norma. L’interprete dell’ordinamento giuridico vigente nella Repubblica di San Marino invece, guarda con un’ottica diversa alla reformatio statutorum in materia di società, perché quella reformatio - a parte i suoi limitati effetti derogativi nei confronti delle reformationes precedenti - senza nulla abrogare del sistema previgente, diventa parte di un unico contesto normativo del quale fa ancora parte, come diritto vigente, il diritto comune”. Tali considerazioni che chiariscono il rapporto tra ius proprium e ius commune sono ovviamente estensibili agli altri istituti del diritto privato.
15 La relazione è stata pubblicata a cura della Segreteria di Stato per gli Affari Interni, con il titolo Rapporto
sull’ordinamento sammarinese nella sua effettività e nelle sue linee evolutive, Xxx Xxxxxx, 0000, 2 voll.
16 Relazione, cit., vol. 1, p. 114 s.
17 Relazione, cit., vol. 1, p. 71.
I Principi dei contratti del commercio internazionale elaborati dall’Unidroit costituiscono la summa del diritto contrattuale generalmente condiviso, e non recezione delle prassi commerciali internazionali, per cui non si tratta della lex mercatoria; sono funzionali all’esigenza degli operatori economici di poter fare affidamento su regole uniformi nelle contrattazioni transnazionali, evitando il rischio di vedere risolte le eventuali controversie che dovessero insorgere da una legge nazionale non prevista al momento della conclusione del contratto, ovvero di dover convenzionalmente stabilire, oltre all’elezione del foro, la legge regolatrice del contratto, che comunque comporterebbe l’individuazione della stessa alla stregua norme di diritto internazionale privato nazionale, e la frustrazione dell’intento delle parti quando queste prevedano l’applicazione necessaria della lex fori19. L’esigenza dell’uniformazione o unificazione della disciplina del contratto non è nuova, è ben nota e perciò non ha bisogno di alcun commento. Dallo ius gentium alla lex mercatoria, alle tendenze verso l’unificazione posteriori alle codificazioni (e, dunque, alla nazionalizzazione del diritto privato), sfociate in convenzioni internazionali multilaterali (ad es. la convenzione di Vienna sulla vendita di cose mobili). Ma l’integrazione europea da un lato, e dall’altro il “dialogo” - come amava definirlo Xxxx Xxxxx, richiamando Xxxxxx Xxxxxxxxx00 - sempre più serrato tra common law e civil law, che si è sviluppato a partire dalle guerre mondiali del secolo scorso, hanno imposto obiettivi ambiziosi ed ulteriori: la creazione di un corpus unitario di principi che, per vocazione, possano trovare applicazione universale o, quanto meno, regionale. Tali obiettivi hanno affascinato soprattutto la dottrina: per la common law il riferimento obbligato è al Restatement of the law statunitense, il cui fine è, appunto, quello di creare un diritto uniforme nei settori del diritto privato assegnati alla competenza statale21; viene poi il progetto del Codice europeo dei contratti, per unificare il diritto delle obbligazioni e dei contratti a livello europeo (c.d. progetto Lando, dal nome del Presidente della Commissione22, e Xxxxxxxx00); infine, vengono i Principi Unidroit, che
18 Si veda Relazione, cit., vol. 2, p. 304 s., ove viene riportato il verbale della seduta della Commissione del 13 giugno 1997: il xxxx. Xxxxxx “evidenzia la necessità, per quel che riguarda la disciplina delle materie privatistiche, di effettuare delle scelte preliminari di fondo avuto riguardo al fatto che il sistema delle fonti del diritto sammarinese annovera tuttora il diritto comune. Proprio in ragione di tale peculiarità esclude l’idea di una codificazione generale del diritto privato e si orienta piuttosto verso una legislazione di tipo generale per singole materie. Ritiene che l’intervento innovativo debba incentrarsi solo su questioni qualitativamente importanti e, a tale scopo, identifica due aspetti meritevoli di approfondimento: l’emersione sempre più forte della persona come centro di imputazione di interessi e di diritti qualificati dalle dinamiche sociali attuali ed il funzionamento e regolamentazione del mercato in vista dell’inserimento della Repubblica di San Marino in un contesto di tipo internazionale. […] Per quel che concerne invece il secondo aspetto, sottolinea la necessità di adottare una legge di principi idonea ad assicurare la continuità con l’esperienza sammarinese del diritto comune. Ritiene importante, in sede di elaborazione di tali principi, tenere in debita considerazione gli orientamenti provenienti sia dal Consiglio d’Europa, ed utilizzare, come punto di partenza, lo schema di principi generali dei contratti commerciali internazionali predisposto dall’Unidroit, debitamente integrato con disposizioni in materia di responsabilità civile”.
19 Cfr., in argomento, tra i tanti, M.J. XXXXXX, Un ‘codice’ internazionale del diritto dei contratti. I Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali (1994), Milano, 1996; A. DI MAJO, I ‘Principles’ dei contratti commerciali internazionali tra civil e common law, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 620 ss.
20 Cfr., ad es., X. XXXXX, Interessi e problemi della comparazione con la common law, in Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981, p. 50 ss.
21 I Principi Unidroit sono assimilati al Restatement da E.A. XXXXXXXXXX, An international Restatement: the Unidroit Principles of international commercial contracts, in 26 University of Baltimore Law Review (Summer 1997), pp. 1-7.
22 Si veda X. XXXXX, European Contract Law, in Il diritto privato europeo: problemi e prospettive, a cura di X. Xxxxxx, Milano, 1993, p. 119 ss.
hanno ambizione universale. Tali Principi sono oltremodo interessanti perché esprimono un tentativo di “unificazione dottrinale”, e dunque non autoritativa (strumento di soft law), costituendo “una sorta di ‘codice’ o restatement del diritto dei contratti a vocazione universale, inteso a rispecchiare tutti i principali sistemi giuridici del mondo e a soddisfare le esigenze dei rapporti commerciali Est-Ovest non meno che Nord-Sud”24.
Il Preambolo indica chiaramente che i Principi enunciano regole generali in materia di contratti commerciali internazionali, escludendo l’interferenza diretta con il diritto interno, pur consentendo ai giudici di utilizzarli per l’interpretazione e l’integrazione del diritto nazionale. L’opzione per l’individuazione di principi regolatori in luogo di definizioni e precetti è fondamentale per assicurare la compatibilità degli stessi con il diritto nazionale, e, soprattutto, ne esprime la funzione, che è quella di fornire regole generalmente applicabili, al di là della variabilità delle situazioni particolari. Nella prassi dei contratti internazionali prevale, infatti, l’esigenza di sicurezza dei traffici e la necessità di “individuare quella ‘cultura del contratto’ che accomuna operatori appartenenti a diversi contesti sociali”25 e tradizioni giuridiche, consentendo di distinguere il piano dei principi e dei concetti giuridici da quello delle regole operazionali. I Principi, pubblicati per la prima volta nel 1994, “sono stati scelti da numerosi legislatori nazionali come modello e fonte di ispirazione per progetti di riforma del proprio diritto nazionale dei contratti; in più vengono sempre più spesso applicati da Tribunali arbitrali e Corti statali di tutto il mondo nella risoluzione di controversie soprattutto – ma non solo – internazionali, e ciò sia come regole di diritto applicabili nel merito delle controversie sia come mezzo per la corretta interpretazione del diritto nazionale applicabile in via principale”26.
La portata dei Principi Unidroit è rilevante, anche perché costituiscono il punto di congiungimento tra le due tradizioni della western legal tradition: common law e civil law 27, e tale aspetto risulta evidente in alcuni articoli, che recepiscono inevitabili compromessi, e nel fatto che da essi traspare il superamento della concezione del contratto come “affare privato”, imperante durante il periodo dell’utilitarismo benthamiano (in cui, per inciso, si forma il diritto inglese dei contratti, e che tanta influenza avrà sul diritto continentale), “nel quale gli interventi esterni (del giudice o del legislatore) devono considerarsi fatti di eccezione da limitare nella loro portata”28 (c.d. sacertà del contratto)29, per approdare ad
23 X. XXXXXXXX, Per la redazione di un ‘codice europeo dei contratti’, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, p. 1073 ss.; ID., Sul progetto di un ‘codice europeo dei contratti’, in Xxx. xxx. xxx., 0000, x. 000 xx.
00 M.J. BONELL, Comparazione giuridica e unificazione del diritto, cit., p. 21.
25 X. XXXXXX, L’equilibrio delle posizioni contrattuali nei Principi Unidroit, in Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia privata, a cura di X. XXXXXXX, Napoli, 2002, p. 115
26 X. XXXXXX, La nuova edizione dei principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, in Dottrina e attualità giuridiche nel diritto civile, commerciale, penale e pubblico, a cura di X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXXX e X. XXXXXXXXX, Torino, 2013, p. 73. I Principi sono ora alla terza edizione, pubblicata nel 2010, preceduta dalla seconda edizione del 2004, su cui si veda X. XXXXXX, The Unidroit Principles 2010 – An international Restatement of contract law, in Dir. comm. int., 2011, p. 881 ss.
27 X. XXXXXX, L’equilibrio delle posizioni contrattuali nei Principi Unidroit, cit., p. 106 s. precisa: “oggetto dei Principi Unidroit è quello di fissare un insieme di regole tratte dalla prassi del commercio internazionale, indipendenti quindi dai sistemi giuridici nazionali anche se non avulse dalle loro tradizioni ed esperienze e destinate ad essere applicate a livello universale. Con quest’opera non si è inteso, dunque, rielaborare le prassi contrattuali correnti per trovare formulazioni standard più adeguate e precise, che evitino dubbi interpretativi e lacune, ma si è tentato, piuttosto, di ricavare da tali prassi un contesto di regole coerenti, espressione non tanto di usi quanto di principi propri del commercio internazionale”.
28 X. XXXX, Lineamenti di diritto contrattuale, in AA.VV., Diritto privato comparato. Istituti e problemi, Bari, 2004, p. 168.
una concezione nella quale il contratto, pur espressione della autonomia privata, “è esposto a tutti gli interventi esterni consentiti dall’ordinamento, può essere ‘fatto’ dalle corti, può essere variamente inciso dal legislatore”30: è quella che Xxxxx Xxxxxxx in un ciclo estremamente importante di lezioni tenute alla Law School dell’Ohio State University già negli anni Settanta ebbe a definire efficacemente come “morte del contratto”31.
Si fa notare, in maniera assolutamente puntuale32, che i Principi Unidroit considerano il contratto “come la veste giuridica di una operazione economica”: tale impostazione svilisce i concetti, e la forma, che è “tendenzialmente libera, per non impacciare la conclusione delle operazioni economiche; quando prevista, la forma è intesa come tecnica di tutela delle parti contraenti perché comprendano il significato vincolante dell’operazione e i contenuti delle obbligazioni assunte”; favorisce la visione del contratto “come schema per la ripartizione dei rischi, dei vantaggi e degli svantaggi”; “lo squilibrio economico tra le prestazioni cede allo squilibrio giuridico”, con ampi poteri del giudice di introdurre correttivi; i comportamenti delle parti sono controllati alla stregua dei criteri della correttezza e della ragionevolezza; “l’operazione economica viene salvata quanto più è possibile, nel senso che prevalgono gli strumenti di riequilibrio e di adattamento piuttosto che non quelli che sono rivolti allo scioglimento del vincolo”; “le parti non sono considerate come operatori neutri, ma si attribuisce rilievo al loro status”.
3. I Principi Unidroit ed il diritto contrattuale sammarinese
Il diritto contrattuale sammarinese è oggetto di disciplina di diritto comune, salvo alcuni contratti tipici (ad esempio, la locazione finanziaria), che sono stati fatti oggetto di regolamentazione legislativa. Le radici romanistiche sono tuttora ben salde, ma la giurisprudenza ha proceduto ad un’opera di costante adattamento di quei principi per
29 P.S. XXXXXX, An introduction to the Law of Contract, Oxford, 1995, p. 12, spiega: “the sanctity of contractual obligation is merely an expression of the principle that once a contract is freely and voluntarily entered into, it should be enforced by the Courts if it is broken. No doubt this very sanctity was an outcome of freedom of contract, for the reason why contracts were held sacred was the fact that parties entered into them of their choice and volition and settled the terms by mutual agreement”.
30 G. ALPA, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 168. G.H. XXXXXXX, The Law of Contract, London, 1995, p. 1-3, afferma: “a contract is an agreement giving rise to obligations which are enforced or recognised by law. The factor which distinguished contractual from other legal obligations is that they are based on the agreement of the contracting parties. This proposition remains generally true, in spite of the fact that it is subject to a number of important qualifications. First […] law is often concerned with the objective appearance, rather than with the actual fact, of agreement. ‘If, whatever a man’s real intention may be, he so conducts himself that a reasonable man would believe that he was assenting to the terms proposed by the other party, and that other party upon that belief enters into a contract with him, the man thus conducting himself would be equally bound as if he had entered to agree to the other party’s terms’ (Xxxxx x. Xxxxxx, 1871). This objective principle based on the needs of commercial convenience. […] Secondly […] contracting parties are normally expected to observe certain standards of behaviour. […] Thirdly, the idea that contractual obligations are based on agreement must be qualified in relation to the scope of the principle of freedom of contract. […] The law only interfered on fairly specific grounds, […] this attitude became particularly important when the Courts recognised the validity of standards form contracts, […] important inroads on the principle of freedom of contract have been made by legislation passed some real or supposed imbalance of bargaining power”.
31 X. XXXXXXX, La morte del contratto, trad. it. a cura di X. XXXXXX, Milano, 1987.
32 X. XXXX, Nuove frontiere del diritto contrattuale, Roma, 1998, p. 29 s.
soddisfare le esigenze dei tempi moderni: infatti, nell’ordinamento sammarinese “sono le decisioni giudiziarie più che l’attività della dottrina ad esercitare una funzione di guida e di orientamento e a detenere l’auctoritas interpretativa”33. Partendo dalla sintesi sopra riportata in ordine al cambiamento della prospettiva sulla natura e funzione del contratto che si rinviene nei Principi Unidroit, si esamineranno in maniera estremamente sintetica i singoli aspetti evidenziati come elementi di novità rispetto alla idea tradizionale del contratto, confrontandoli con la disciplina sammarinese34.
Quanto all’aspetto delle definizioni, è utile richiamare la circostanza che i Principi Unidroit rifuggono dal definire il contratto, e adottano un approccio, per così dire, fattuale: è contratto qualunque accordo tra le parti produttivo di obbligazioni, ove l’accento è sull’operazione economica sottostante, più che sull’accordo ovvero sulla promessa. L’art. 3.2 posto nel capitolo dedicato alla “validità” stabilisce, infatti, che “un contratto è concluso, modificato o sciolto con il semplice accordo delle parti, senza bisogno di ulteriori requisiti”, ed il commento specifica, in particolare, che non è richiesta la presenza della consideration ovvero della causa. Troppo lontane sono le definizioni nazionali per trovare un punto di sintesi comune. Ad esempio, per l’art. 1321
c.c. italiano, il contratto è l’accordo diretto a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale, ma l’art. 1325 c.c. precisa che oltre all’accordo è necessaria la causa, che sola consente il vaglio sulla meritevolezza degli interessi che il contratto è destinato a realizzare (art. 1322, comma 2). La causa, non definita dal legislatore, viene indicata dalla dottrina dapprima come funzione economico sociale del contratto e, dunque, caratterizzante il tipo35, e poi nella funzione economico individuale, vale a dire nell’assetto concreto di interessi perseguiti dalle parti e obiettivati nel contratto36: non solo la illiceità, ma anche l’irrilevanza o la mancanza della causa rendono nullo il contratto. Nel diritto francese, la causa del contratto viene sostanzialmente fatta coincidere dall’art. 1108 c. nap. con la causa dell’obbligazione, e dottrina e giurisprudenza la individuano della corrispettività, nella quale si ritrova, appunto, l’idea greco - romana della sinallagmaticità quale vestimentum pactorum37.
Per la common law il contract è la promessa o lo scambio di promesse alle quali
l’ordinamento riconosce la vincolatività (enforseability)38: il contract è, dunque, il prodotto
33 Decisione del Consiglio dei XII 11 settembre 1979, consulente X. Xxxxxxxx, in Giurisprudenza sammarinese, 1970-80, p. 129. E’ opportuno ricordare che il Commissario della Legge è giudice di prima istanza, il Giudice delle Appellazioni è giudice dell’impugnazione; vige tuttora il principio della c.d. “doppia conforme”, a cui sino al 2003 provvedeva il Consiglio dei XII, avvalendosi di un consulente giurista esperto, e dal 2003 interviene il Giudice per la terza istanza. In tutti i gradi il giudice è monocratico.
34 Un lavoro di confronto non commentato tra i Principi Unidroit e la giurisprudenza sammarinese si trova in X. XXXXXXXX, Guida alla lettura dei Principi, in Principi Unitroit dei contratti commerciali internazionali, Xxx Xxxxxx, 0000, p. 109 ss.
35 E’ la teoria di X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ., Torino, 1960, p. 171, cui obietta X. XXXXX, Il contratto, Milano, 1954, p. 203: “la teoria della causa del contratto come funzione economico sociale è il prodotto più squisito di un certo metodo (insensibile alla storia ed al diritto comparato) di nebulose astrazioni e di equivoche generalizzazioni, croce e delizia di una parte notevole dei nostri scienziati del diritto, quelli che, nella storia del civil law, si chiamavano i savants”.
36 Cfr. C.M. XXXXXX, Il diritto civile, III - Il contratto, Milano, 1984, p. 425 ss.
37 Si veda, in argomento, X. XXXX, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 197 ss., ove indica che “la giurisprudenza francese confonde la causa con la contropartita che serve per assicurare equilibrio al contratto”.
38 Osserva X. XXXX, Lineamenti di diritto contrattuale, cit., p. 183: “nella sua accezione più lata e più comune, il contratto è costituito da uno scambio di promesse che creano diritti e obblighi per le parti. La funzione immediata della law of contract è, dunque, quella di attuare le promesse e le legittime aspettative delle parti
dell’accordo. La vincolatività è data nei contratti obbligatori a prestazioni corrispettive dallo scambio, il bargain, e negli unilateral contract dall’avere già eseguito una parte la prestazione (come avviene, d’altra parte, nei contratti innominati romani). Si tratta della consideration, la cui presenza è essenziale per la rilevanza giuridica del contract. In Xxxxxx v. Misa del 1875 la Court of Exchequer ha così definito la consideration: “a valuable consideration in the sense of the law may consist either in some right, interest, profit, or benefit, accruing to one party, or some forbearance, detriment, loss, or responsibility given, suffered or undertaken by other”39. Essa, pertanto, consiste in un diritto, interesse, vantaggio o beneficio ricevuto da una parte ovvero in una tolleranza, sacrificio o in una perdita subita o sopportata dall’altra. La consideration ha come componenti il vantaggio che si deve dare in cambio al promittente, e l’affidamento del promissario, la cui delusione deve portarlo in una posizione deteriore rispetto a quella che avrebbe avuto se la promessa non fosse mai stata fatta. Ricompensa per il sacrificio reso e tutela dell’affidamento, si sostanziano nella consideration, che è quindi fondamento della vincolatività della promessa ed allo stesso tempo è vincolo della libertà contrattuale: se non c’è beneficio non c’è vincolo, sebbene il promittente abbia inteso vincolarsi40.
La consideration negli Stati Uniti viene invece fatta coincidere con il bargain, essendo venuto meno il riferimento al beneficio del promittente o al sacrificio del promissario41. Sebbene siano funzionalmente simili, si deve dunque concludere in estrema sintesi, che mentre nella civil law la realtà contrattuale si esaurisce nella impegnatività regolamentare del consenso, nella common law a tale realtà si affianca la rapportualità dello scambio42. Si
generate da promesse o da altre forme di condotta (expectation interest). Ma […] la sua funzione è anche quella di tutelare l’interesse della parte che, facendo affidamento sul contratto non concluso, invalido, o altrimenti inefficace, sia incorsa in spese (reliance interest), o si sia altrimenti impoverita arrecando un beneficio all’altra, che ha conseguito un correlativo arricchimento senza causa (restitution interest)”. Il Restatement (Second) of contracts al § 1 così definisce il contract: “a promise or a set of promises for the breach of which the law gives a remedy, or the performance of which the law in some way recognizes as a duty”. 39 Xxxxxx v. Misa (1875) L.R. 10 Ex. 153, 162.
40 P.S. XXXXXX, An introduction to the Law of Contract, Oxford, 1995, p. 91 chiarisce; “the doctrine of consideration is generally seen by lawyers as a set of rules which limits the freedom of individuals to make binding legal promises, only those promise which are supported by a legal consideration are legally binding; other promises are not binding, even if the promisor wants to bind himself by his promise”.
41 E.A. XXXXXXXXXX, Contracts, III ed., New York, 1999, p. 45, così sintetizza l’evoluzione: “among the limitations on enforcement of promises, the most fundamental is the requirement of consideration. […] By the end of the nineteenth century, at least in the United States, the traditional requirement that the consideration be either a benefit to the promisor or a detriment to the promisee had begun to be replaced by a requirement that the consideration be ‘bargained for’. At first it was said that the benefit or detriment had to be bargained for. But when the first Restatement of Contracts was promulgated in 1933, it defined consideration with no mention of benefit or detriment, exclusively in terms of bargain. The Restatement Second does the same and adds a definition. Something is said to be bargained for ‘if it is sought by the promisor in exchange for his promise and is given by the promisee in exchange for that promise’”. Ritengono la consideration collegata con restitution, e, dunque, con l’ingiusto arricchimento, limite alla libertà contrattuale in quanto opera anche contro la volontà delle parti, XXXXXXX-XXXXXXX, Contracts, Boston- Toronto, 1977, p. 7: “consideration […] set up the requirement of reciprocity for the enforceability of contractual promises”.
42 Così si esprime X. XXXXXXXXX, Il contratto nel diritto inglese, Padova, 1990, p. 5. A p. 40 precisa: “il punto saliente dell’intera dinamica della formazione del contract è costituito dalla reciprocità delle contropartite dedotte in rapporto, perché ciascun contraente sarà contrattualmente vincolato alla sua promessa solo se ed in quanto la controparte avrà eseguita o si sarà impegnata ad eseguire la sua prestazione. Orbene, tutta la teoria della consideration riposa sul valore funzionale che essa ha nella costituzione del contract come elemento necessario per garantirne la natura di rapporto di scambio. […] non è una astratta utilità sociale del rapporto posto in essere che ne giustifica la giuridicità, ma è il concreto interesse a che sia tutelato il
ricorda che per il diritto romano “al consenso, che rappresenta così – nella concezione giustinianea – l’elemento soggettivo di ogni contratto, si contrappone come elemento oggettivo la causa. […] per causa di un negozio giuridico s’intende la fondamentale intenzione delle parti: in tema di contratti e secondo l’opinione che riteniamo più corretta, si può chiamar causa quel contegno o quell’impegno della controparte in base al quale ciascuna delle parti addiviene al contratto”43. Xxx detto per inciso che la nozione di causa è completamente diversa da quella derivata dalla Pandettistica: la causa romana, come la consideration nel contract, assolve alla funzione di discriminare i contratti dai patti, e, quindi, di distinguere le promesse giuridicamente rilevanti dalle altre. Preso atto della assoluta diversità dell’impostazione, i Principi Unidroit escludono che per l’esistenza del contratto sia necessario l’ulteriore requisito della causa o della consideration, esonerando il giudice (o l’arbitro) dalla valutazione in ordine all’esistenza della stessa, operazione resa possibile dall’ambito di applicazione dei Principi, atteso che trattasi di contratti dotati di una loro tipicità fattuale e naturalmente sinallagmatici, e per i quali, contemporaneamente, si pone la necessità di ridurre l’incertezza della decisione della controversia in ordine alla rilevanza giuridica dell’operazione economica.
La giurisprudenza sammarinese sembra esaltare la consensualità, e, rifuggendo da soluzioni astratte, si allinea all’idea che la vincolatività del contratto deriva dall’operazione economica sottostante, da cui sorgono obblighi reciproci. In due decisioni sul contratto di vendita si riporta: “secondo il diritto comune il solo consenso sulla cosa e sul prezzo basta a rendere perfetta la vendita (nel senso che essa produce una obbligazione personale di dare), ma (a diversità del diritto italiano e francese) non basta a trasmettere la proprietà per la quale occorre la tradizione”44; “secondo il diritto comune vigente in materia a San Marino […] la compravendita si perfeziona con il semplice consenso. Basta cioè che le parti si siano accordate per la vendita di un bene per un certo prezzo, perché il contratto sia perfetto, non ne sia più possibile alle parti recedere”45. Si evidenzia che tali decisioni, nell’individuare il momento della conclusione del contratto, pongono l’accento esclusivo sull’accordo in relazione all’oggetto, dando per presupposta ed implicita l’esistenza della causa nella tipicità della vendita, e nella tipizzata sinallagmaticità delle prestazioni. Le esigenze di evitare incertezze in ordine alla soluzione della controversia che dovesse investire il contratto sono palesate dall’art. 1.2 dei Principi Unidroit, il quale dispone, al fine di evitare che il sistema nazionale delle prove (che, come noto, è costituito da norme di applicazione necessaria) ostacoli l’attuazione del piano economico divisato dalle parti, che “nessuna disposizione di questi Principi richiede che un contratto, dichiarazione o qualunque altro atto sia fatto o provato in una forma particolare. Esso può essere provato con qualsiasi mezzo, inclusi i testimoni”. Qui, dunque, la libertà delle forme (pur conosciuta in tutti gli ordinamenti europei) diviene, contemporaneamente, libertà dalle forme, ed esprime il felice superamento della dicotomia tra diritto sostanziale e diritto processuale (inteso quale apparato normativo ancillare per l’attuazione del diritto sostanziale) che caratterizza gli attuali ordinamenti a diritto codificato i quali hanno recepito la teoria generale della Pandettistica, e che, invece, è da sempre estranea agli ordinamenti di common law, abituati a considerare che remedies precede rights, come, d’altra parte, il diritto romano, ove la posizione è
sacrificio cui ciascuna parte si sottopone in vista della consideration dell’altra e, quindi, nella fiduciosa prospettiva di compiere un atto di scambio (bargain)”.
00 X. XXXXXXX XXXX, Istituzioni di diritto romano, XIV ed., Napoli, 1979, p. 297.
44 Sentenza Commissario della Legge 11 gennaio 1926, in Giurisprudenza sammarinese, 1926, p. 11.
45 Sentenza Commissario della Legge 2 febbraio 1978, in Giurisprudenza sammarinese, 1970-80, p. 411.
efficacemente riassunta nel notissimo brocardo “ubi remedium ibi ius”. È di immediata evidenza che la libertà di forma rimane mera enunciazione di principio se la legge nazionale pone limitazioni alla prova testimoniale, atteso che le parti, in caso di controversia, non avranno la possibilità di fornire la prova del contratto o di alcuni fatti rilevanti nell’esecuzione dello stesso, per cui tali regole possono costituire ostacolo fattuale alla libertà contrattuale, e determinare un incentivo a comportamenti contrari alla buona fede, con effetti negativi sulla funzionalità delle contrattazioni.
La dottrina ha avuto modo di evidenziare che l’esperienza sammarinese è in qualche modo più vicina a quella degli ordinamenti di common law rispetto agli ordinamenti della famiglia romano-germanica post-codificazione: in entrambi i casi, l’approccio fattuale che deriva dalla circostanza che remedies precede rights, connota oggi la grande flessibilità dei due sistemi: “gli splendori dell’azione quale diritto, più assai che la scolastica dei chiovendiani, rendono ancora difficile ai giuristi continentali percepire il nesso di funzionalità che risolve ‘le obbligazioni contrattuali’ nei ‘pertinenti remedies’, facendo convergere prerogative dei privati e potestà pubbliche, ed incardinando con ciò il diritto civile nell’ordinamento”46. La libertà delle forme è ben attuata nell’ordinamento sammarinese. La prova testimoniale non subisce limitazioni, e nemmeno risulta espressamente e tassativamente stabilita “l’inammissibilità della prova per testimoni contro la scrittura”47. Il principio giustinianeo, per cui “contra scriptum, testimonium non scriptum non profertur” (C. 4, 20, 1) ammette, infatti, delle eccezioni “nel concorso di particolari e concludenti circostanze che possano giustificarla, in speciali fattispecie”48. Peraltro, “la prova testimoniale cessa di essere ammissibile quando si voglia mettere in essere la dimostrazione di un contratto per cui occorre l’atto scritto a pena di nullità”49; in ogni caso, non è ammissibile “la prova testimoniale espressamente esclusa da clausola contrattuale”50: pertanto, la prova testimoniale è sempre ammissibile; non lo è quando è indotta per provare un contratto che richiede la forma scritta ad substantiam, ovvero
46 X. XXXXXXXX, Il diritto comune nelle esperienze di San Marino, in Le fonti del diritto privato sammarinese, Xxx Xxxxxx, 0000, p. 52.
47 T.C. XXXXXXXX, Sommario di procedura giudiziaria sammarinese, II ed., San Marino, 1967, p. 71. Mi permetto anche di rinviare al mio Ricognizione delle regole sulla procedura civile sammarinese, Parte I – I principi ed il processo di cognizione di primo grado ordinario, Xxx Xxxxxx, 0000, p. 249 ss.
48 Sentenza Giudice delle Appellazioni X. Xxxxxx 9 aprile 1970, in Giurisprudenza sammarinese, 1970-80, p. 143.
49 T.C. XXXXXXXX, Sommario di procedura giudiziaria sammarinese, cit., p. 71. Con riferimento alla forma del contratto di compravendita di immobili, la sentenza Commissario della Legge 8 marzo 1933, in Giurisprudenza sammarinese, 1933-34, p. 20, precisa: “quando l’accordo verbale, di vendere e di comperare determinati beni è perfetto, la compilazione dell’istrumento costituisce un atto accessorio che ha il solo scopo di fornire la prova sicura e continuativa di quanto è stato compiuto”. Peraltro, la stessa giurisprudenza ammette una eccezione al principio quando le parti hanno convenzionalmente stabilito una determinata forma per il contratto, nel qual caso essa diviene richiesta ad substantiam, e non meramente ad probationem: “l’ordinamento sammarinese, anche in questo direttamente e correttamente seguace dello ius commune, non impone forma scritta ai contratti, accetta l’impostazione già romana e teorizzata da Azone secondo la quale la scrittura è de substantia solo se e quando le parti così abbiano deciso” (sentenza Giudice delle Appellazioni X. Xxxxxxxxx 3 aprile 1986, in Giurisprudenza sammarinese, 1981-90, p. 611), principio che si trova già affermato nei termini seguenti: “l’opinione dominante in diritto comune interpreta la legge I, tit. XXIII (de empt. et vend.), Libro III delle Istituzioni e la legge 17, tit. XXI (de fid. Inst.), Libro IV del Codice nel senso che la scrittura è condizione sine qua non solo quando le parti hanno espressamente stabilito ut sine scriptura non valeat quod conventum est: e che in ogni altro caso, compreso quello di dubbio, la scrittura si intende richiesta solo ad probationem” (sentenza Commissario della Legge 11 gennaio 1926, in Giurisprudenza sammarinese, 1926, p. 11 s. (massima).
50 Sentenza Giudice delle Appellazioni X. Xxxxxx 9 aprile 1970, in Giurisprudenza sammarinese, 1970-80, p. 143.
quando le parti l’abbiano espressamente esclusa mediante apposita clausola contrattuale,
e tale è, leggendo il commento ai Principi, l’unica eccezione alla regola.
I Principi Unidroit prevedono meccanismi di controllo del comportamento delle parti, introducendo regole volte ad assicurare l’eticità degli scambi commerciali. Due sono i principi fondamentali che costituiscono l’ossatura portante dei Principi Unidroit ed assurgono a valori universali: la libertà di contrarre e la buona fede. La libertà contrattuale (art. 1.1), implica che “le parti sono libere di concludere un contratto e di determinarne il contenuto”, mentre “ciascuna parte deve agire in conformità alla buona fede nel commercio internazionale. Le parti non possono escludere o limitare quest’obbligo” (art. 1.7). La buona fede diviene la regola guida del comportamento delle parti dalle trattative all’esecuzione, ed opera come unico vero limite alla libertà contrattuale51. Si attribuisce rilevanza, di conseguenza, anche al comportamento tenuto durante le trattative: “ciascuna parte è libera di condurre le trattative e non è responsabile per il mancato raggiungimento di un accordo. Tuttavia, la parte che ha condotto o interrotto le trattative in mala fede è responsabile per le perdite cagionate all’altra parte” (art. 2.1.15). È anche questa una felice sintesi tra common law e civil law: dal dovere delle parti di comportarsi secondo buona fede (clausola generale indicata ad es. nell’art. 1337 c.c. italiano, o il rinvio ai gute Sitten del § 138 BGB ovvero al principio della Treu und Glaube del § 242 BGB), e di cui costituisce una ipotesi esplicita di violazione quella del comportamento tenuto dalla parte che, sapendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne dà comunicazione all’altra (c.d. dolosa reticenza di cui all’art. 1338 c.c. italiano), che fa della buona fede il canone fondamentale di salvaguardia dei legittimi affidamenti sollecitati sin dalle trattative, alla misrepresentation, che si applica sia alla dolosa reticenza, sia al venir meno di un duty to disclose, che incombe sulla parte che ha creato una reliance dell’altra52. Si deve ricordare come nella common law “courts have traditionally accorded parties the freedom to negotiate without risk of precontractual liability. If the negotiations succeed and result in ultimate agreement, a party that has behaved improperly can be deprived of the bargain on the ground of misrepresentation, duress, undue influence, or unconscionability. But if the negotiations fail because of similar behavior, courts have been reluctant to impose precontractual liability. Although a duty of fair dealing is now generally imposed on the parties to an existing contract, that duty is not formulated as to extend to negotiations before the contract is made”53. Il dovere delle parti di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto è, invece, previsto dal Restatement (Second) of Contracts, che alla sect. 205 stabilisce: “[e]very contract imposes upon each party a duty of good faith and fair dealing in its performance and its enforcement”, e la buona fede è definita nel
51 Osserva X. XXXX, Nuove frontiere del diritto contrattuale, cit., p. 34, in ordine alla previsione di regole volte a controllare e prevenire la mala fede dei contraenti: “è pur vero che i contratti del commercio internazionale sono di solito conclusi tra soggetti provvisti di competenza professionale e interessati a mantenere un corretto comportamento al fine di non essere emarginati dal mercato, ma è altrettanto vero che la funzione dei principi è anche di natura persuasiva, e quindi moralizzatoria delle contrattazioni”.
52 Cfr. XXXXX, Dalla santità del contratto alle ragionevoli aspettative, trad. it. a cura di X. XXXXXX, in Contr. impr., 1986, p. 663 ss.
53 E.A. XXXXXXXXXX, Contracts, cit., p. 194 s. Lo stesso autore, a p. 204 e s. rileva tuttavia: “the Unidroit Principles impose liability for negotiation in bad faith, but the same result could be reached in the illustrations given under one of the grounds recognized by American courts. It is perhaps not surprising that American courts have rarely been asked to hold that a general obligation of fair dealing arises out of the negotiations themselves when they have reached a point where one of the parties has relied on a successful outcome”.
commento (a) alla sect. 205, come “faithfulness to an agreed common purpose and
consistency with the justified expectations of the other party”.
Con riferimento alla buona fede durante l’esecuzione del contratto si è dunque osservato: “nel diritto inglese si configura piuttosto con rigorosa, quasi formalistica coerenza, ‘educando’ in primis gli stessi interessati a contare soprattutto su se stessi, coscienti dei rischi e delle responsabilità relative, senza moniti esterni, salvo quelli dell’ambiente in cui operano. Tale approccio ovviamente caratterizzerà le modalità e l’incidenza operativa della regola di buona fede nel sistema. Regola, invece, nella sua potenziale universalità e suggestione etica, molto più congeniale alla tradizione civilian ove acquisterà pieno valore normativo nella durevole consacrazione codicistica. Elevata a clausola generale, nella sua più completa attuazione guiderà l’intera vita del contratto, ispirandone coerentemente il criterio di interpretazione. Il che comporta di per sé non relegare il giudice a un ruolo secondario, ma renderlo, se occorre, il garante effettivo della ‘buona condotta’ delle parti, valutata al di là del rispetto formale delle regole del giuoco”54. È stato efficacemente sintetizzato: “il regime della responsabilità debitoria vigente nell’Anglo-American law system, conoscerà forse nuovi temperamenti e più incisive attenuazioni, ma difficilmente questi potranno spingersi oltre il segno al di là del quale risulterebbero incompatibili con lo spirito stesso di un sistema propenso a concepire l’obbligazione contrattuale ‘come garanzia di un certo risultato’ piuttosto che ‘come dovere di tenere una certa condotta’”55. L’autonomia privata è ampiamente assicurata nel diritto sammarinese: “per il contratto di assicurazione, come per ogni altro contratto, trova applicazione la massima che le parti sono libere di stabilire quanto credono nel loro interesse purché non vadano ad urtare in tassative disposizioni di legge, col buon costume, coll’ordine pubblico”56. Trova generale applicazione il principio di buona fede, anche durante le trattative: “il far intravedere all’altro contraente un vantaggio o guadagno nella conclusione del contratto, per deciderlo ad effettuarlo, costituisce dolo buono che la legge permette: ‘contrahentibus permissum est se invicem circumveniri’. Il dolo malo – contrassegnato da insidie, da coverte vie (‘calliditas, fallacia, machinatio’ giusta la classica definizione di Labeone) – è causa di annullamento del negozio giuridico quando trattasi di ‘dolus dans causam contractui’ e cioè quando i raggiri sono stati tali che senza di essi non si sarebbe prestato il consenso al contratto”57; “per il solo fatto di iniziare e svolgere trattative tendenti ad un accordo contrattuale, tra le sfere di autonomia delle parti viene a stabilirsi un contatto intenso e specifico che fa sorgere l’obbligo tra coloro che trattano di comportarsi lealmente nei reciproci rapporti, obbligo che è una specificazione di quello generico del neminem laedere, derivante dalla interferenza che le trattative determinano per ciascuna delle parti nella sfera di autonomia dell’altra”58. Per quanto concerne, invece, l’esecuzione, è stato affermato: “nel rispetto del dovere di buona fede incombente alle parti nell’esecuzione del contratto, la sospensione della prestazione dovuta non contrasta con i principi di buona fede e correttezza se l’inadempimento della controparte riguarda un’obbligazione essenziale per l’equilibrio del rapporto, e di gravità tale da menomare la fiducia sul corretto adempimento del contratto. Ne discende che è necessario valutare se il rifiuto della prestazione dovuta
54 X. XX XXXX, Buona fede e common law, attrazione non fatale nella storia del contratto, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 264.
55 X. XXXXX, Impossibilità sopravvenuta, eccessiva onerosità della prestazione e ‘frustration of contract’ (in margine ad un
‘caso di Suez’), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1973, II, p. 1263.
56 Sentenza Commissario della Legge 12 giugno 1926, in Giurisprudenza sammarinese, 1926, p. 18.
57 Sentenza Commissario della Legge 20 agosto 1931, in Giurisprudenza sammarinese, 1931-32, p. 32.
58 Sentenza Commissario della Legge 1 agosto 1985, in Giurisprudenza sammarinese, 1981-90, p. 1066.
costituisca strumento per la tutela del proprio diritto oppure mezzo per mascherare il proprio inadempimento. In proposito si deve rammentare che nei contratti di scambio l’eccezione di inadempimento o il diritto di ritenzione, mira a conservare l’equilibrio sostanziale e funzionale tra le contrapposte obbligazioni. Pertanto, la parte che oppone l’eccezione, può essere considerata in buona fede soltanto se il suo rifiuto di eseguire il contratto si traduce in un comportamento che risulti oggettivamente ragionevole e logico per realizzare siffatte finalità. Di conseguenza chi si avvale di tale eccezione è in buona fede solo se la stessa, oltre a non contrastare con i principi generali della lealtà e della correttezza, trovi concreata giustificazione nel raffronto fra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate”59.
Tornando ai Principi Unidroit, forse a sorpresa, atteso l’ambito di applicazione, nel quale le parti dovrebbero essere per definizione “eguali”, e cioè in condizione di parità, si pongono una serie di disposizioni in materia di interpretazione ed altre che intendono impedire l’iniquità (originaria e sopravvenuta) del contratto; il contratto diviene uno schema per la ripartizione preventiva dei rischi, dei vantaggi e degli svantaggi. L’approccio al tema del rischio contrattuale è fondamentale in quest’ultimo contesto. Come noto, l’aspetto centrale del rischio contrattuale è costituito dalla incertezza che riguarda gli affari, per cui può essere costituito “dai timori e previsioni del tutto personali, oppure dalla sopravvenienza di accadimenti oggettivi e futuri, oppure dalla presenza di circostanze ignote alle parti e preesistenti all’affare, o manifestatasi successivamente, o prese in considerazione solo successivamente”60. Essenziale è la valutazione del soggetto economico su quale il rischio deve ricadere, atteso che non sempre l’individuazione del rischio mediante criteri economici coincide infatti con l’attribuzione secondo i criteri giuridici. Il tema del rischio contrattuale è stato indagato nel tentativo di fornire un quadro generale61. La questione non si riduce “ad un rinvio ai principi generali che regolano la sopravvenuta impossibilità della prestazione, ma sorge dalla estinzione della obbligazione senza però identificarsi con essa; in secondo luogo, il rischio concerne i rapporti fra l’una e l’altra parte del rapporto contrattuale, cioè il commodum obligationis e non già la sfera interna di ciascuna di esse”62. La questione della efficiente allocazione del rischio contrattuale è centrale nell’Analisi economica del diritto (EAL), elaborata dalla dottrina statunitense a partire dagli anni Sessanta, ed i cui esponenti più importanti sono Xxxxxx e Xxxxxxxxx00. Xxxxxx Xxxxxxxxx00 è il primo giurista italiano che ha analizzato il tema del rischio contrattuale alla luce dell’analisi economica del diritto, ed ha operato un raffronto tra costi e danni coinvolti nella adozione di criteri di imputazione della responsabilità, per concludere a favore di un sistema di responsabilità contrattuale oggettiva nell’ambito della attività negoziale di impresa, e cioè indicando il fattore per la liberazione dall’obbligazione in una causa esterna all’impresa e di carattere catastrofico che incide sulle prestazioni dovute da imprenditori: ne deriva che la responsabilità oggettiva consente di distribuire in modo ottimale le risorse
59 Decisione Consiglio dei XII, consulente X. Xxxxxxxxxx, 12 marzo 2004, delibera n. 2, prat. n. 1096, inedita.
60 X. XXXX, voce Contratto nei sistemi di common law, in Digesto IV – Disc. priv., ed. cd rom, p. 29.
61 X. XXXXX, Del rischio e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, p. 39 e 221 ss.; X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, I - Prolegomeni: funzione economico sociale dei rapporti d’obbligazione, Milano, 1953, p. 154 ss.
62 X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, I - Prolegomeni: funzione economico sociale dei rapporti d’obbligazione, cit., p. 161.
63 Si veda X. XXXXXXXXX, voce Analisi economica del diritto, in Dig. disc. priv., vol. I, 1987, p. 309 ss.
64 X. XXXXXXXXX, Sul significato economico dei criteri di responsabilità contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, p.
512. Si veda anche X. XXXXXXX, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1998, p. 338.
produttive, favorendo al tempo stesso il progresso tecnico e riducendo i costi giudiziali. Il controllo sulla compatibilità tra circostanze ed equilibrio economico del contratto si serve attraverso il giudizio di buona fede, di parametri di valutazione diversi da quelli comunemente adottati, in quanto si avvale “degli indici di giudizio suggeriti dalla considerazione dei modelli di comportamento economico di un operatore medio”.
La common law tradizionale considera il contratto come una scommessa sul futuro65, anzi, “uno scambio espresso in maniera imperfetta e proiettato in un futuro incerto”, e una delle sue essenziali funzioni è quella di “distribuire il rischio dell’inadempimento della promessa”66: “the classical model was not merely about exchanges, but about future exchanges; it was the stress on future exchanges that brought with it the association between contract and binding arrangements. A man is bound by a contract because he is bound to some future performance. Contract was thus an instrument of planning for private parties, an instrument by which future risks could be allocated and an instrument by which penalties and rewards were the natural result of calculation or miscalculation over such future risks. To a substantial degree the classical model was also a failure can be attributed to a number of factors […] There has been a shift in the paradigm of contractual relationship from the single, discrete transaction, to relationships of a continuing character. In such continuing relationships, the tendency is for the risks of future change to be adjusted by some kind of quasi- administrative process, rather than by standing by the letter of some original contract. The result […] in practice, contractual relations tend increasingly to be concerned with executed or part-executed transactions […] a breach of contract is […] treated as something more akin to an accident than to wilful refusal to accept a bargained for risk”67. L’assunzione di un’obbligazione non importa pertanto l’assunzione dell’impegno di eseguire la prestazione fino al limite dell’impossibilità, quanto, invece, pone l’obbligato nell’alternativa di adempiere o di risarcire il danno in caso di inadempimento (anche volontario) cioè “a promisor takes the risk of having to pay damages for non- performance of his promise”68: “la disciplina del danno è strettamente connessa con la disciplina della promessa, dell’inadempimento e del rischio: la tendenza attuale, in clima di rinascita della freedom of contract, è quella di soddisfare le aspettative delle parti piuttosto che il risarcire il danno emergente; […] il danno deve essere inteso come misura del risarcimento e, quindi, ha funzioni meramente satisfattive (damages are compensatory). Non sono riconosciuti i punitive damages che tendono, invece, a punire il danneggiante: il danno da considerare è la perdita subita dall’attore (loss), non il lucro del convenuto. Il danno risarcibile (loss) comprende qualunque tipo di diminuzione patrimoniale arrecata dall’inadempimento alla persona o ai beni del creditore, inclusa la perdita di guadagno per attività economiche non condotte a buon fine; solo eccezionalmente sono riconosciuti i damages for non-pecunary loss […] altrimenti viene riconosciuto il nominal damage (ad esempio, la parte ha reperito gli stessi beni sul mercato allo stesso prezzo)”69. Ebbene, l’art. 7.1.7 dei Principi Unidroit sulla forza maggiore stabilisce che “la parte
65 X.X.XXXXXX, An introduction to the Law of Contract, Oxford, 1995, p. 12. Cfr., in argomento, X. XXXX,
Contratto e common law, Padova, 1987, passim.
66 XXXXXX, L’esecuzione del contratto secondo buona fede, trad. it. a cura di Xx XXXXX-XXXXXXXXX, in Riv. crit. dir. priv., 1984, p. 16.
67 P.S. XXXXXX, The rise and fall of freedom of contract, Oxford, 1979, p. 717. Cfr. in argomento anche X. XXXXXX, Note critiche in tema di proprietà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, p 1110; X. XXXX- X. XXXXXXX, Il contratto nel common law inglese, Padova, 1997, p. 13.
00 X.X. XXXXXX, Xxx Xxxxxx Xxx, Xxxxxx, 0000, p. 299-301.
69 X. XXXX-XXXXXXX, Il contratto nel common law inglese, Padova, 1997, p. 153.
inadempiente è esonerata dalla responsabilità se prova che l’inadempimento era dovuto ad un impedimento derivante da circostanze estranee alla sua sfera di controllo e che non era ragionevolmente tenuta a prevedere tale inadempimento al momento della conclusione del contratto o ad evitare o superare l’impedimento stesso o le sue conseguenze”: si aderisce alla regola della responsabilità oggettiva del debitore, che, nell’ambito contrattuale, è considerata, appunto, la più efficiente70, per cui l’attenzione si sposta sul calcolo dei danni. Il meccanismo della responsabilità contrattuale non è divisato allo scopo precipuo di assicurare l’esecuzione di quanto promesso: il risarcimento serve a spronare il debitore a stare ai patti, a meno che ciò non comporti un uso inefficiente delle risorse71.
La regola della responsabilità del debitore nel sistema sammarinese è in linea con quella esposta, con i rimedi contrattuali previsti, come pure quella della liberazione solo per caso fortuito e forza maggiore, e le caratteristiche della impossibilità sopravvenuta: “in via di massima si ha l'inadempimento di una obbligazione sia quando la prestazione, che ne forma l'oggetto non venga eseguita affatto, sia quando venga eseguita parzialmente o inesattamente [...]. Nell'un caso e nell'altro l'inadempiente è tenuto al risarcimento dei danni o in base al dolo (se l'inadempimento sia stato dal debitore voluto coscientemente) o in base alla colpa (mancanza di diligenza)”72; “nella colpa contrattuale sono risarcibili solo i danni che sono conseguenza diretta ed immediata dell’inadempimento dell’obbligazione, previsti o prevedibili al tempo del contratto. I danni esclusivamente morali sono risarcibili solo in caso di reato o di colpa extracontrattuale”73; “perché l’inadempiente che allega il fortuito possa liberarsi è in obbligo di provarlo (‘allegans casum fortuitum illum probare tenetur’) con tutti i suoi estremi e cioè: a) che si è verificato un avvenimento indipendente dal fatto del debitore; b) che questo avvenimento è riuscito per il debitore imprevedibile ed inevitabile (‘vis qui resisti non potest’); c) che ha ridotto il debitore nella impossibilità obbiettiva (poiché una impossibilità meramente relativa o subiettiva, una semplice per quanto grave difficoltà di prestare, personale al debitore, non varrebbe né a liberarlo né ad esonerarlo da responsabilità in virtù del fondamentale principio che vuole ad ogni costo adempiuta l’obbligazione e soddisfatto l’interesse del creditore) di adempiere o almeno di adempiere esattamente l’obbligazione; d) che le conseguenze del fortuito, le quali riescono dannose per il creditore, non sono state accresciute dal fatto positivo o negativo del debitore”74; “l’impossibilità di eseguire l’obbligazione presa in considerazione dal diritto è quella assoluta (obbiettiva) non quella che deriva da motivi personali del debitore o da semplici difficoltà”75; “l’obbligazione costituisce un vinculum juris al quale le parti non possono sottrarsi. Il dovere di adempiere esattamente l’obbligazione contratta e, in difetto, di risarcire i danni che siano una conseguenza
70 O.W. XXXXXX, The Path of the Law, in Harv. Law Rev., 1897, p. 462, precisa: “the duty to keep a contract […] means a prediction that you must pay damages if you do not keep it - and nothing else”.
71 Cfr. XXXXXX & XXXXXXXXXX, Impossibility and Related Doctrins in Contract Law: an Economic Analysis, Xxx Xxxx, 0000; X. XXXXXXXXX, Commercial Impracticability in Contract Law: an Economic Analysis, in 11 (1991) Int. Rev. L. & Xxxx., p. 68; XXXXXXXXXX, Le istituzioni economiche del capitalismo. Imprese, mercati, rapporti contrattuali, Milano, 1987, p. 93. Osserva E.A. XXXXXXXXXX, Contracts, cit., p. 756: “our system of contract remedies is not directed at compulsion of promisors to prevent breach; it is aimed, instead, at relief to promisees to redress breach. […] along with the celebrated freedom to make contracts goes a considerable freedom to break them as well”.
72 Sentenza Commissario della Legge 13 giugno 1966, in Giurisprudenza sammarinese, 1964-69, p. 319.
73 Sentenza Commissario della Legge 21 maggio 1965, in Giurisprudenza sammarinese, 1964-69, p. 275.
74 Sentenza Commissario della Legge 25 ottobre 1945, in Giurisprudenza sammarinese, 1963, 1, p. 170.
75 Sentenza Commissario della Legge 30 agosto 1963, in Giurisprudenza sammarinese, 1965, 3, p. 304.
dell’inadempimento, è un generale principio di diritto. L’inadempimento fa presumere il ricorso della colpa, ma si tratta di presunzione semplice, che può sempre essere distrutta dalla prova del fatto non imputabile”76; “l’impossibilità sopravvenuta, per causa non imputabile al debitore, estingue o riduce l’obbligazione, se è definitiva o dura fino a quando viene meno la ragione del vincolo e, nei contratti con prestazioni corrispettive, determina una corrispondente estinzione o riduzione dell’obbligazione reciproca salvo, in caso di impossibilità parziale, il recesso della parte che non abbia interesse ad un adempimento parziale”77.
I Principi Unidroit esigono la salvezza dell’operazione economica quanto più è possibile, nel senso che prevalgono gli strumenti di riequilibrio e di adattamento rispetto a quelli che determinano lo scioglimento del vincolo. Ed è proprio nella parte relativa alla disciplina dell’hardship che emerge con forza la “morte del contratto” come affare privato, con la conseguente ingerenza esterna volta ad assicurare l’equilibrio delle posizioni contrattuali. Infatti, come noto, prendere in considerazione l’equilibrio delle posizioni contrattuali significa incidere sull’autonomia privata, introducendo deroghe alla regola pacta sunt servanda.
È noto che l’equilibrio economico può venire in considerazione sia nel momento genetico che in quello funzionale. Sotto il profilo genetico, la risposta degli ordinamenti di civil law è la rescissione per lesione. Negli ordinamenti di common law i rimedi più datati sono quelli della undue influence (c.d. prevalenza abusiva)78, in coerenza con il dogma della sacertà del contratto, mentre negli USA si preferisce fare riferimento alla assenza di una scelta consapevole della parte, che emerge da una allocazione dei rischi obiettivamente irragionevole quale risulta attraverso l’analisi del contenuto del contratto79. Il riferimento è alla dottrina della unconscionability, enunciata dal Uniform Commercial Code80, in relazione alla c.d. gross disparity, quale emerge dal contenuto del contratto, qualora siano presenti statuizioni irragionevolmente favorevoli ad una delle parti, che siano tali da escludere la presenza di una scelta consapevole dell’altra parte 81.
I Principi Unidroit disciplinano lo squilibrio genetico all’art. 3.10, attribuendo alla parte il diritto di rendere void (annullare) “il contratto o una sua singola clausola se, al momento della sua conclusione, il contratto o la clausola attribuivano ingiustificatamente all’altra parte un vantaggio eccessivo”, riconoscendo, comunque, ad entrambe le parti (quella danneggiata e quella avvantaggiata) il potere di richiedere al giudice l’adattamento del contratto “in modo da renderlo conforme ai criteri ordinari di
76 Sentenza Commissario della Legge 15 settembre 1986, in Giurisprudenza sammarinese, 1981-90, p. 1135.
77 Sentenza Commissario della Legge 5 marzo 1986, in Giurisprudenza sammarinese, 1981-90, p. 1100.
78 X. XXXXXXXXX, Il contratto nel diritto inglese, cit., p. 268 s. chiarisce che la undue influence è stata “elaborata esclusivamente dall’equity in ordine al principio etico secondo cui una persona non può approfittare, a danno di un’altra, del rapporto di fiducia o di confidenza esistente tra loro o, per altro verso, dello stato di necessità o di bisogno economico o di debolezza psicologica in cui taluno si trovi. […] il dictum […] secondo cui la rilevanza invalidante riconosciuta all’undue influence non sarebbe che ‘a result of inequality bargainig power’ rispecchia bene la realtà giuridica anglosassone in tema di contratto laddove quell’inequality la si intenda riferita non già al rapporto tra prestazione e controprestazione, ma al confronto tra le capacità o potenzialità contrattuali delle parti, siano esse economiche che psicologiche”.
79 XXXXXXX-XXXXXXX, Contracts, cit., p. 440 insistono sulla fairness of bargain and inequality, e cioè sulla giustizia dello scambio.
80 UCC 2-302, subsection (1): “if the Court as a matter of law finds the contract or any clause of the contract to have been unconscionable at the time it was made the court may refuse to enforce the contract, or it may enforce the remainder of the contract without the unconscionable clause, or it may so limit the applications of any unconscionable clause ad to avoid any unconscionable result”.
00 Xxx. X.X. XXXXXXXXXX, Contracts, cit., p. 310 ss.
correttezza del commercio”. È stato rilevato che: “la previsione del principio di un intervento esterno alle parti nella definizione del loro regolamento di autonomia attesta il rilievo che ha nella prassi commerciale internazionale il mantenimento in vita del rapporto contrattuale. Il compito attribuito al giudice appare senza dubbio impegnativo, dovendosi egli fare interprete delle diverse esigenze di parti sovente economicamente, socialmente e culturalmente assai lontane tra di loro. Si è certamente tenuto presente il ruolo rilevante che ha in questa situazione il ricorso all’arbitrato internazionale, che per le sue caratteristiche meglio può realizzare un intervento correttivo condotto al fine di rendere il contratto […] conforme ai reasonable commercial standards of fair dealing”82
Sotto il profilo funzionale, invece il problema si verifica quando, a fronte di eventi improvvisi e costituenti vis maior (un improvviso aumento dei prezzi, un inaspettato ostacolo nell’esecuzione della prestazione) il contratto non contiene clausole (c.d. hardship clauses) negoziate appositamente dalle parti allo scopo di risolvere i conseguenti problemi di adattamento o di redistribuzione del rischio contrattuale, la cui funzione specifica è quella di comporre in qualche modo il conflitto di interessi determinato dal prodursi di eventi in contrasto con i presupposti dell’iniziativa economico-contrattuale. In difetto della regolamentazione contrattuale, gli ordinamenti di civil law fanno applicazione della c.d. clausola rebus sic stantibus come limite al principio pacta sunt servanda83: il richiamo è alla disciplina della risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione o per eccessiva onerosità sopravvenuta, a cui la dottrina aggiunge la presupposizione e dell’alea implicita.
Nella common law - come noto - la responsabilità contrattuale era regolata dal principio della absolute liability enunciato nel caso Paradine v. Jane84, in base al quale nell’ipotesi in cui un obbligo sia assunto volontariamente a mezzo di un contratto, l’obbligato rimane vincolato (e quindi è tenuto al risarcimento dei danni) anche se l’adempimento è divenuto impossibile per causa a lui non imputabile. Nel caso Xxxxxx v. Calwell85 i giudici inglesi fissarono il principio in base al quale nei contratti in cui l’adempimento dipende dalla esistenza dello specifico bene dedotto in obbligazione o della persona che deve rendere la prestazione, si può riconoscere una condizione implicita, per cui l’impossibilità della prestazione derivante dal perimento della cosa o della persona costituisce esimente. Successivamente la doctrine of impossibility venne estesa dall’ipotesi di distruzione materiale dell’oggetto della prestazione a quella più generale del venir meno dello stato di cose assunto da entrambe le parti quali fondamento del contratto (frustration of purpose): ricorre la frustration quando la legge riconosce che, senza colpa di alcuna delle parti, un obbligo contrattuale non può essere adempiuto in quanto le circostanze nelle quali l’adempimento è richiesto lo renderebbero qualcosa di radicalmente diverso rispetto a quanto era stato pattuito nel contratto86. La regola della frustration prevede pertanto una rigida alternativa fra mantenimento in vita del contratto nei suoi termini originari e risoluzione del rapporto, mancando la possibilità di adattamento del regolamento negoziale ad opera del giudice: ancora una volta la sanctity
82 X. XXXXXX, L’equilibrio delle posizioni contrattuali nei Principi Unidroit, cit., p. 111.
83 Cfr. il classico lavoro di G. OSTI, Revisione critica della teoria della impossibilità della prestazione, in Xxx. xxx. xxx., 0000, x. 00.
84 Paradine x. Xxxx, 00 Eng.Rep. 897 (K.B. 1647). Osserva X. XXXXXXX, La morte del contratto, cit., p. 41: “nessun sistema giuridico ha mai messo in pratica una teoria di responsabilità contrattuale oggettiva. Il nostro sistema, durante il secolo scorso, può considerarsi l’unico che abbia proclamato una tale teoria”.
85 Xxxxxx x. Xxxxxxx, 122 Eng. Rep. 309 (K.B. 1863).
86 Cfr. E.A. XXXXXXXXXX, Contracts, cit., p. 637 ss.
of contract impone che le corti non possono fare il contratto87. Negli Stati Uniti, in principio i giudici americani aderirono al concetto di impossibilità in senso stretto e letterale: se quanto pattuito è possibile e lecito deve essere fatto, per cui le difficoltà nell’esecuzione della prestazione non rappresentano una esimente. Nel caso Mineral Park Land Co. v. Howard88 la Corte Suprema della California fissò il principio per cui una prestazione è impossibile quando non sia praticabile, ed è impraticabile quando, in conseguenza di un evento imprevedibile, può essere eseguita solo a prezzo di un costo eccessivo o irragionevole, ed è stata progressivamente introdotta la possibilità dell’adattamento giudiziale del contratto89. Se, invece, l’adempimento del contratto diviene più oneroso per una delle parti, tale parte rimane ugualmente obbligata ad adempiere le sue obbligazioni, salvo quanto stabilito sull’hardship, che trova applicazione in difetto di apposita previsione contrattuale.
L’art. 6.2.2 dei Principi Unidroit stabilisce che “ricorre l’ipotesi di hardship quando si verificano eventi che alterano sostanzialmente l’equilibrio del contratto, o per l’accrescimento dei costi della prestazione di una delle parti, o per la diminuzione del valore della controprestazione e, a) gli eventi si verificano, o divengono noti alla parte svantaggiata, successivamente alla conclusione del contratto; b) gli eventi non potevano essere ragionevolmente presi in considerazione dalla parte svantaggiata al momento della conclusione del contratto; c) gli eventi sono estranei alla sfera di controllo della parte svantaggiata; e d) il rischio di tali eventi non era stato assunto dalla parte svantaggiata”. In tali ipotesi la parte svantaggiata “ha diritto di chiedere la rinegoziazione del contratto. La richiesta deve essere effettuata senza ingiustificato ritardo e deve indicare i motivi sui quali è basata. La richiesta di rinegoziazione non dà, di per sé, alla parte svantaggiata il diritto di sospendere l’esecuzione. In caso di mancato accordo tra le parti entro un termine ragionevole, ciascuna delle parti può rivolgersi al giudice. Il giudice, se accerta il ricorrere di una ipotesi di hardship, può, ove il caso, a) risolvere il contratto in tempi e modi di volta in volta da stabilire, oppure b) di modificare il contratto al fine di ripristinarne l’originario equilibrio” (art. 6.2.3). L’intervento riequilibratore del giudice obbedisce all’esigenza propria dei contratti del commercio internazionale del mantenimento in vita del rapporto contrattuale (il favor contractus).
Nel sistema sammarinese la rescissione per lesione enorme rimedia alla necessità di riequilibrare le posizioni che non lo sono geneticamente, ed attribuisce al Giudice su richiesta della parte che subisce la rescissione il potere di ricondurre il contratto ad equità: “esiste lesione ‘enorme’ nella vendita quando la somma contrattata è inferiore alla metà del giusto prezzo. Esiste lesione ‘enormissima’ quando (secondo l’opinione dominante) non si consegua nemmeno il terzo del giusto prezzo. In ambedue i casi l’azione può esercitarsi (sempre secondo l’opinione dominante) nel trentennio. Nel primo caso si può agire solo contro l’originario compratore il quale ha diritto a mantenere il contratto supplendo alla deficienza di prezzo; nel secondo caso si può agire anche contro il terzo possessore e non esiste il diritto di mantenere fermo il contratto versando il supplemento”90. A ciò si deve aggiungere che “il giudice ha il potere di
87 Cfr. X. XXXXXXXXX, Il contratto nel diritto inglese, cit., p. 392 ss.
00 Xxxxxxx Xxxx Xxxx Co. x. Xxxxxx, 172 Cal. 289 (1916).
89 Si veda, sulla doctrine of impracticability, E.A. XXXXXXXXXX, Contracts, cit., p. 642 ss.
90 Sentenza Commissario della Legge 21 marzo 1930, in Giurisprudenza sammarinese, 1930, p. 9.
accertare l’iniquità delle clausole contrattuali”91, disapplicandole ovvero interpretandole nel senso favorevole al contraente debole.
Invece, con riferimento al disequilibrio economico sopravvenuto, la soluzione sammarinese è pienamente coincidente con i Principi: “l’applicazione della clausola rebus sic stantibus, in collegamento con i contratti di durata, non si risolve soltanto nella risoluzione, ma anche, ove sia possibile per la natura del contratto, nella sua reductio ad aequitatem”92; “non è esistente nell’ordinamento sammarinese una azione generale di risoluzione, ma il riconoscimento della clausola rebus sic stantibus introduce anche le relative, ma specifiche, azioni, di risoluzione ovvero di revisione (si pensi all’actio redhibitoria e alla actio aestimatoria o quanti minoris). […] Il contratto oggetto della presente controversia non prevede affatto una esecuzione istantanea delle prestazioni oggetto di obbligazione, e può pertanto essere qualificato senz’altro come rientrante nella categoria di quelli qui habent tractum successivum et dependiam de futuro. […] Prestazioni corrispettive […] ad esecuzione continuativa o quanto meno periodica […] e senz’altro non istantanea, o comunque ad esecuzione differita. Ne consegue che il contratto deve ritenersi soggetto alla clausola rebus sic stantibus, cosicché un mutamento sostanziale, fuori dalla volontà previsionale delle parti, della situazione esistente al momento della sottoscrizione può avere rilievo nella prospettiva di una reductio ad aequitatem delle obbligazioni reciproche, ovvero di una risoluzione”93. È noto, infatti, che la clausola rebus sic stantibus introduce il principio che il vincolo giuridico nascente dal contratto trova un limite nella sussistenza di circostanze che, pur non determinando la assoluta impossibilità della prestazione, risultano incompatibili con un adempimento coerente con gli scopi perseguiti dalla iniziativa contrattuale94.
4. Conclusioni
Dalla rapida rassegna compiuta risulta come il sistema contrattuale sammarinese sia particolarmente flessibile ed adeguato alle esigenze del commercio internazionale: l’unico problema è quello della sua ormai difficile conoscibilità e, soprattutto, dal fatto che è difficile far comprendere agli operatori economici come un sistema non fondato su leggi ovvero sulla case law possa assicurare prevedibilità in ordine all’esito della controversia. È questo un profilo che anche di questi tempi, dove sempre più l’accento viene posto ad ogni livello sulla trasparenza e sulla necessità di attrarre nuovi investimenti, non è mai posto in rilevo, eppure è ben più determinante della normativa pubblicistica. I traffici commerciali esigono regole certe e conoscibili: i Principi Unidroit – anche perché di “principi” appunto si tratta, e non di regole precettive, che lasciano amplissimo spazio alla autonomia privata – potrebbero soddisfare questa ormai imprescindibile necessità.
91 Sentenza Giudice delle Appellazioni X. Xxxxxxxxx 6 novembre 1986, in Giurisprudenza sammarinese, 1981- 90, p. 622.
92 Sentenza Giudice Appellazioni X. Xxxxxxxxx 31 dicembre 1980, in Giurisprudenza sammarinese, 1970-80,
p. 226.
93 Sentenza Commissario della Legge 29 luglio 2010, nelle cause civili riunite nn. 2 e 5 del 2007, p. 42 s., inedita.
94 Si veda il classico G. OSTI, La così detta clausola ‘rebus sic stantibus’ nel suo sviluppo storico, in Riv. dir. civ., 1912, I, p. 1 ss. Il medesimo Autore, alla voce Clausola rebus sic stantibus, in Novissimo Digesto italiano, vol. III, Torino, 1959, p. 353, sottolinea che la clausola individua il “problema della ripercussione, sul vincolo derivante da una promessa, dall’impreveduto mutamento della situazione di fatto che il promittente poté rappresentarsi quando assunse l’impegno”.
D’altra parte, è stato ben rilevato che “i processi di armonizzazione e di unificazione della disciplina del contratto non si realizzano in ragione delle asserite radici comuni […] quanto piuttosto attraverso propositi pratici ed economici che accomunano i giuristi nel tentativo di agevolare gli scambi di beni, di servizi, di capitali. È in altre parole, il sostrato economico il tessuto connettivo di questi processi; è la concezione del contratto come ‘veste giuridica’ dell’operazione economica quella che accomuna i testi predisposti per il raggiungimento di una lingua comune […] Non quindi la prevalenza di un modello sull’altro, di una concezione sull’altra è il percorso da compiere, quanto piuttosto la concertazione di strumenti terminologici, concettuali e normativi univoci. Si debbono perciò abbandonare le velleità particolaristiche, proprie di quanti sono desiderosi di mantenere in vita il passato e il presente, per pensare a progettare il futuro; ciò, anche se questa rinuncia implica sacrifici e difficoltà di adattamento, fantasia e semplificazione. In fin dei conti, le aspirazioni alla conservazione dell’esistente […] urtano contro la naturale convergenza dei sistemi, e appaiono, nella sostanza, antistoriche”95.
La disamina che è stata compiuta dimostra come la recezione dei Principi Unidroit mediante apposita legge non sarebbe innovativa, ma anzi gioverebbe alla conoscibilità del diritto sammarinese, seppure limitatamente ai contratti commerciali internazionali: “accogliendo nel proprio ordinamento i Principi Unidroit, pur nelle sole ipotesi previste dalla legge, la Repubblica non verrebbe sottoposta al trapianto di materiale normativo estraneo, arbitrariamente imposto dal Consiglio Grande e Generale per i fini più vari”96. Va ribadito che la recezione dei Principi Unidroit non è volta a risolvere problemi posti dal diritto nazionale, che, come si è ritenuto di aver dimostrato, è perfettamente adeguato, quanto, piuttosto, a rendere conoscibile (e dunque prevedibile) la disciplina del contratto nelle transazioni commerciali, che per un microstato sono per lo più internazionali97.
95 X. XXXX, Tendenze attuali del diritto dei contratti, in Miscellanea I.G.S. (Istituto Giuridico Sammarinese), 2000, 6, p. 35.
96 X. XXXXXXXX, Guida alla lettura dei Principi, in Principi Unitroit dei contratti commerciali internazionali, cit., p. 147
s. Il Consiglio Grande e Generale è il parlamento della Repubblica di San Marino.
97 Osserva X. XXXXXXXXXXX, Relazione di sintesi, in Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia privata, cit.,
p. 175, sulle problematiche collegate ai Principi Unidroit, che “da un lato si tratta di uno sforzo dottrinale rivolto agli operatori commerciali, internazionali e quindi alla sicurezza dei traffici come funzione; dall’altro anche in questo settore sono presenti forme di tutela quali l’adeguamento dei giudice, la rinegoziazione, la modificazione. Strumenti, questi, che tendono al riequilibrio delle posizioni, e consentono di porsi nella corretta prospettiva, per la quale gli usi del commercio internazionale cedono di fronte ai principi. Sotto questo profilo, è necessario, altresì, ribadire, in primo luogo, che alcuni principi elaborati nel riferito contesto, si rivolgono esclusivamente agli operatori commerciali internazionali; e secondariamente, che costituisce una trasposizione concettuale e culturale pericolosa, richiamare (come propongono alcuni) la lex mercatoria per risolvere problemi puramente interni”.
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