QUESTIONI IN TEMA DI DECADENZA DALL’IMPUGNAZIONE DEL CONTRATTO A TERMINE
Xxxxxxx Xxxxxxxxx (*)
QUESTIONI IN TEMA DI DECADENZA DALL’IMPUGNAZIONE DEL CONTRATTO A TERMINE
E REGIMI SANZIONATORI, TRA VECCHI E NUOVI PROBLEMI
SOMMARIO: 1. Le nuove tendenze della disciplina del contratto a termine. — 2. Dalla decadenza del Collegato lavoro al cd. «Milleproroghe» 2010. — 3. Le modifiche apportate dalla l. n. 92/2012 e dal d.l. n. 76/2013, convertito con l. n. 99/2013: l’innalzamento (non immediato) del primo termine di impugnazione e il conte- stuale (immediato ma solo temporaneo) ampliamento degli intervalli minimi per i rinnovi contrattuali. — 4. Le azioni di nullità soggette ai termini di decadenza pri- ma dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015. — 5. Il nuovo ambito di applica- zione dei termini di decadenza. — 6. Esigenze di coordinamento tra la vecchia e la nuova disciplina. — 7. Tassatività delle ipotesi di sospensione dei termini di deca- denza e irrilevanza del metus. — 8. L’operatività della decadenza in ipotesi di rias- sunzione avvenuta entro i termini di impugnazione del contratto scaduto. — 9. Trasformazione del contratto e indennità omnicomprensiva. — 9.1. Conversione del contratto a termine e contratto a tutele crescenti. — 10. Violazione dei limiti quantitativi, validità del contratto e mancanza di interesse ad agire. — 11. La nul- lità della clausola appositiva del termine in ipotesi di superamento delle soglie per- centuali. — 12. La tutela spettante al lavoratore (anche in ipotesi di contratto vali- do). — 13. Limiti percentuali e oneri probatori. — 14. Dubbi sulla tenuta interna ed eurounitaria di una disciplina dei limiti quantitativi senza tutele.
1. — Le nuove tendenze della disciplina del contratto a termine — Nella regolazione del contratto di lavoro a tempo determinato è subentrato, con tutta la sua forza dinamica, l’istituto della decadenza (1).
Tale istituto, considerato un «pilastro» (2) già in altri settori, ha assunto nel diritto del lavoro una valenza particolare e specifica. Alla tradizionale funzione di assicurare certezza e lealtà tra le parti del rapporto giuridico se n’è aggiunta un’altra. La previsione di un sistema articolato di termini, ap- plicabile a fattispecie eterogenee, diviene un tassello fondamentale del siste- ma nel controbilanciare il peso economico dei diritti a carico del sistema im-
(*) Ricercatore di Diritto del lavoro presso l’Università di Perugia.
(1) Cfr., tra gli altri e con giudizi differenti, Vallebona 2010a, 210 ss.; Pellacani 2010, 215 ss.; Xxxxxxxx 2011a, 41 ss.; Xxxxxxx M. 2012, 1990 ss.; Boghetich 2011, 68 ss.
(2) Xxxxx 2012, 45, 55, 255.
presa, quale strumento di emersione del contenzioso e di previsione dei co- sti (3), nonché del sistema paese, data la sua propensione deflativa (4).
Nel caso del contratto a termine, tuttavia, la generalizzazione dei termi- ni di decadenza (5) si è accompagnata a un processo di forte deregolazione che ha premiato quella tendenza a ridurre il livello di tutela speciale da sempre assicurato dalla materia che accentra la persona del lavoratore (6). Questa traccia evolutiva è particolarmente evidente se si osservano i regimi sanzionatori applicabili, specie in ipotesi di violazione dei limiti quantita- tivi (v. infra, parr. 10 ss.).
Le questioni della decadenza e dei regimi sanzionatori, esaminate nel corpo del presente contributo, si compenetrano formando un quadro «sna- turato» sotto più profili, anche di conformità al diritto eurounitario.
2. — Dalla decadenza del Collegato lavoro al cd. «Milleproroghe» 2010 — L’art. 32, l. n. 183/2010, estendeva ai casi di nullità del termine il regime di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale, nonché, in dero- ga all’art. 2967 c.c. (7), il termine di 270 giorni per il deposito giudiziale.
Tali termini erano applicabili anche ai contratti cessati prima dell’entra- ta in vigore della legge (24 novembre 2010), cosicché essi andavano impu- gnati entro il 23 gennaio 2011 (8).
Sennonché, per l’effetto dirompente della disposizione, anche verso al- tri istituti, con l’art. 2, comma 54, il d.l. n. 225/2010, convertito con l. n. 10/2011, aggiungeva all’art. 32 il comma 1-bis e prorogava la decorrenza dei suddetti termini al 31 dicembre 2011 (9).
(3) Cfr. Nicolini 2015.
(4) Si veda Di Paola 2015, 51 ss.
(5) Già in passato ci si chiedeva se l’art. 6, l. n. 604/1966, fosse applicabile per analogia anche all’ipotesi di cessazione del contratto a termine (cfr. Xxxxxxxxx 1986, 308): in senso negativo, salva l’ipotesi in cui il datore avesse intimato un vero e pro- prio licenziamento sul presupposto dell’illegittimità del termine, ex multis, Cass. 21.5.2007, n. 11741, in LG, 2007, n. 12, 1250; Cass. 8.10.2002, n. 14381, S.U., in DPL, 2002, 3045; Cass. 15.12.1997, n. 12665, in RIDL, 1998, II, 546, con nota di Xxxx. Lettura fatta propria dall’art. 32, comma 3, lett. a, l. n. 183/2010, che ha sot- toposto all’onere di impugnativa «i licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto ovvero alla legittimità del termi- ne apposto al contratto»: v. sul punto X. Xxxxxxxx 0000x, 162.
(6) Xxxxxxxx 2011, XXVII; Giubboni 2012, 422-423.
(7) Cfr. Chiaromonte 2012, 805.
(8) Sulla legittimità costituzionale della norma cfr. C. cost. 21.5.2014, n. 155, in
MGL, 2014, 564, con nota di Xxxxxxx.
(9) Per un quadro generale cfr. Xxxxxxxxx 2011, 115 ss.; Xxxxxxxxxxxx 2011a, 690 ss.; Xxxxxxxx 2011b, 123 ss.; Tosi 2011, 15 ss.; Xxxxxxxxx 2011; De Xxxxxxx 2011,
La proroga non poteva né può essere riferita solo ai licenziamenti (10), at- teso che tali ipotesi erano già soggette ai termini di decadenza, a pena di ri- tenere che l’unica ipotesi non soggetta ai termini di decadenza sino al 31 di- cembre 2011 fosse l’unica fattispecie già assoggettata al termine di impugna- zione (11). Di conseguenza si rendeva necessaria, in via eccezionale, la rimes- sione in termini di tutti coloro che fossero medio tempore decaduti (12).
3. — Le modifiche apportate dalla l. n. 92/2012 e dal d.l. n. 76/2013, convertito con l. n. 99/2013: l’innalzamento (non immediato) del primo ter- mine di impugnazione e il contestuale (immediato ma solo temporaneo) am- pliamento degli intervalli minimi per i rinnovi contrattuali — Per i contrat- ti a termine cessati dopo il 1° gennaio 2013, la l. n. 92/2012 ha opportu- namente raddoppiato il termine di impugnazione stragiudiziale (da 60 a 120 giorni), sia pure riducendo – al contempo e per tutte le fattispecie – quello per l’impugnazione giudiziale a 180 giorni (13).
E tuttavia tale modifica risultava vanificata dal contestuale ampliamen- to degli intervalli minimi per i rinnovi pari a 60 o 90 giorni. Cosicché, l’impugnazione del contratto continuava a essere, secondo alcuni (14), for-
157 ss.; Biasi 2012, 182 ss.; Xxxxxxxx 2012, 21 ss.; Xxxxxx 2012, 1850 ss.; Xxxxxxxxx
2013, 1 ss.; Di Paola 2015, 51 ss.
(10) Cass. 7.7.2014, n. 15434, in Xxx Xxxx., 2014; conf. Cass. 23.4.2014, n.
9203, in FI, 2014, n. 6, I, 1751.
(11) Da ultimo, con riferimento ai contratti a termine: Cass. 2.7.2015, n. 13563, in FI, 2015, n. 9, I, 2718; Cass. 26.10.2015, n. 21769, inedita a quanto consta.
(12) Cfr. Cass. 14.12.2015, n. 25103, in Ced Cass., 2015; T. Roma 3.4.2013, in
RGL, 2013, n. 4, con nota di Xxxxxxxx. A rigore l’istituto della rimessione in termini presuppone che la decadenza sia derivata da una causa non imputabile alla parte (Cass., S. civ., 27.10.2015, n. 21794, in MGC, 2015). Cfr. Xxxxxxx 2014, 309 ss., in part. 330; Xxxxxx 1996; Xxxxxx 1998, 2658. Nel caso sopra citato la «rimessione» è, invece, un effetto doveroso derivante dalla successiva posticipazione ex lege del termi- ne a quo di decorrenza.
(13) Art. 1, commi 11 e 12. Per il rispetto del primo termine è sufficiente la con- segna dell’atto all’ufficio postale, non rilevando perciò il giorno di ricezione da parte del datore; il secondo decorre dal momento dell’impugnativa (Cass. 14.4.2010, n. 8830, S.U., in ADL, 2011, n. 3, II, 645 ss., con nota di Xxxxxxxx; Cass. 20.3.2015, n. 5717, in LG, 2015, n. 8-9, 824, con nota di Xxxxx).
(14) Speziale 2012; Giubboni (2012, 428-429), che segnala una potenziale viola- zione sia di norme di rango costituzionale, sia del principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 47 della Carta di Nizza, sia della clausola di non re- gresso nella Direttiva n. 1999/70. Ma già prima, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., Xxxxxxxx 2011, 11 ss.; Xxxxxxxx 2011, 260; Xxxxxxxxxxxx 2011b, 233; Menghi- ni 2011b, 134 ss.; Xxxxxxxx 2011, 248. Xxxxxx, Xxxxxxxxx 0000x, 904; Tosi 2010, 476; De Angelis 2010, 11-12.
temente condizionata, con annessa compressione del diritto di difesa del lavoratore nella misura in cui avrebbe reso l’azione in giudizio estremamen- te difficile (15).
Inoltre, l’assenza di coordinamento tra le due discipline potrebbe aver generato una situazione censurabile sul piano costituzionale per violazione del principio di ragionevolezza, dato che il differimento dell’entrata in fun- zione del termine lungo per impugnare, dal 18 luglio 2012 (data di entra- ta in vigore della legge n. 92) al 1° gennaio 2013, non ha riguardato i rap- porti nel frattempo cessati. Sino al 31 dicembre 2012, infatti, il lavoratore avrebbe dovuto impugnare la clausola del termine entro 60 gg. dalla cessa- zione del rapporto, ossia prima della scadenza del termine per il rinnovo, in aperto contrasto con le intenzioni dichiarate dal Governo, secondo cui la modifica dei termini di decadenza è stata il frutto del prolungamento de- gli intervalli tra un contratto a termine e l’altro (16).
Dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 76/2013 (che ripristina gli interval- li di 10 e 20 giorni), il lavoratore, anche qualora attendesse il rinnovo, avrebbe in ogni caso almeno 100 giorni per decidere se impugnare o no.
4. — Le azioni di nullità soggette ai termini di decadenza prima dell’en- trata in vigore del d.lgs. n. 81/2015 — Occorre ora soffermarsi sulle azioni soggette ai termini di decadenza: tema sul quale si osservano posizioni dif- ferenti.
L’art. 32, comma 3, lett. a, l. n. 183/2010, contemplava soltanto i casi di nullità del termine di cui agli artt. 1, 2 e 4 del d.lgs. n. 368/2001, rela- tivi alla stipula del primo contratto, alla disciplina aggiuntiva per il traspor- to aereo, i servizi aeroportuali e postali, nonché alla proroga.
Attenendosi a un’interpretazione letterale della norma, si poteva soste- nere che in tutti gli altri casi (ad esempio, violazione dei divieti, mancato rispetto degli intervalli minimi ovvero della regola dei 36 mesi) il lavorato- re potesse far valere la nullità senza sottostare al doppio termine di deca- denza (17), e ciò in ragione della gravità di queste violazioni (18).
(15) Cfr., anche con riferimento a un potenziale contrasto con l’art. 111, T. Torino 1.8.2014, n. 1375, in DeJure; C. App. Ancona 6.8.2014, n. 546, in DeJure. Se n’è fat- ta però derivare non l’incostituzionalità, bensì l’eccezionalità del regime con soluzioni che non sacrificassero gli interessi del soggetto onerato dal rispetto dei termini.
(16) Si veda la relazione del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2012.
(17) Cfr. Giubboni 2011; Xxxxxxx 2010, 84; Xxxxxxxx 2011, 251 ss.; Xxxxxxxx 2014, 125. Cfr. anche X. Xxxxxxx 13.12.2013, in RGL, 2014, n. 2, 338 ss., con no- ta di Villa.
(18) Speziale 2014b, 164.
Accogliendo questa tesi, in tali ipotesi rimaneva possibile al datore ec- cepire solo l’eventuale risoluzione per mutuo consenso (19).
Di converso, attenendosi a una lettura di ordine logico-sistematico, il richiamo agli artt. 1, 2 e 4, d.lgs. n. 368, andava riferito non già ai motivi di nullità, bensì ai contratti stipulati in base a tali norme, con conseguen- te espansione dell’ambito di operatività della decadenza a qualsivoglia ipo- tesi di illegittima apposizione del termine (20).
5. — Il nuovo ambito di applicazione dei termini di decadenza — La for- mulazione onnicomprensiva dell’art. 28, d.lgs. n. 81/2015 («l’impugnazio- ne del contratto»), pone fine alla diatriba e permette di ritenere assoggetta- bili ai termini di decadenza, decorrenti dalla cessazione del rapporto, tutte le ipotesi di nullità del termine.
Si potrebbe ritenere salva, ossia non soggetta alle decadenze, l’ipotesi della violazione dei limiti quantitativi (v. infra, parr. 10 ss.) per lo stretto collegamento tra il comma 1 dell’art. 28, riguardante il doppio termine di impugnazione, e il comma 2, riferito ai soli casi di trasformazione: conse- guenza espressamente esclusa dall’art. 23, comma 4, in ipotesi di supera- mento delle soglie quantitative. E tuttavia occorre considerare: a) che la nuova formulazione dell’art. 32 ricomprende le impugnazioni del contrat- to senza ulteriori qualificazioni, laddove, ad esempio, per la somministra- zione irregolare l’ambito di applicazione della decadenza è circoscritto espressamente alla richiesta di costituzione del rapporto di lavoro con l’uti- lizzatore (cfr. art. 39, d.lgs. n. 81); b) ragioni di sistema, in virtù delle qua- li è ormai certa l’applicabilità dei termini di decadenza anche ai rapporti di lavoro pubblici, come noto non tutelati dalla conversione (21).
In definitiva, nessuna ipotesi di nullità del termine si sottrae ai nuovi termini di decadenza.
È comunque possibile domandare l’accertamento, incidenter tantum
(22), della nullità del termine, pur sempre utile a dimostrare (ad esempio)
(19) Sui margini di operatività dell’istituto x. Xxxx. 7.1.2015, n. 24, in DPL, n. 11, 2015, 679; Cass. 28.1.2014, n. 1780, in FI, 2014, n. 6, I, 1865. Cfr. inoltre Cass. 5.4.2011, n. 7745, in Ced Cass., 2011, secondo cui le dimissioni nel corso dell’ulti- mo di una serie di contratti a termine non impediscono automaticamente e necessa- riamente la conversione; contra, C. App. Roma 29.5.2000, in MGL, 2001, 337, con nota di Xxxxxxxxx.
(20) Cfr. Tosi 2010, 473 ss.; Xxxxx 2011, 87 ss.; T. Milano 4.4.2014, in LG,
2014, n. 8-9, 826.
(21) Da ultimo, Cass. 15.3.2016, n. 5072, S.U., inedita a quanto consta.
(22) In materia cfr. Xxxxx 1958, 245 ss.; Xxxxx 1987, 16 ss.; Xxxxxxxx 1995, 1 ss.; Xxxxxxxxx 1998, n. 5-6; Xxxxxxxxx 2008, 3 ss.
il danno ulteriore alla professionalità e/o alla personalità del lavoratore. Ciò presuppone che la decadenza abbia a oggetto la possibilità di rivendicare la tutela tipica ricollegata a una violazione (di natura reale e/o risarcitoria), sen- za impedire una valutazione della situazione sostanziale sottostante (23).
A sostegno depongono due ragioni. Da una parte, la decadenza non è una causa generale di estinzione dei diritti, ma deriva da singole disposizio- ni che riguardano specifici vantaggi giuridici (24). Dall’altra, il sistema del- le decadenze pare diretto a evitare il pregiudizio economico-organizzativo che deriva al datore dal ritardo nell’azionare una determinata posizione so- stanziale (25).
Un problema analogo di rilievo incidentale dell’illegittimità del termi- ne si pone per l’accesso alle tutele crescenti di quei lavoratori con con- tratti in essere alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015 e suc- cessivamente «convertiti» a tempo indeterminato per volontà delle parti (art. 1, comma 2). È dubbio, con riferimento a simili ipotesi, se il lavo- ratore già parte di un contratto a termine illegittimo, seppur decaduto dalla relativa azione, possa farne riconoscere incidentalmente la nullità al fine diverso di dimostrare, a fronte di un licenziamento, che avrebbe di- ritto alle tutele dell’art. 18 St. lav. pur risultando formalmente assunto a tempo indeterminato dopo il 6 marzo 2015. L’operazione pare in astrat- to praticabile solo nelle ipotesi in cui il vizio sia maturato prima del 7 marzo 2015 (v. par. 9.1).
6. — Esigenze di coordinamento tra la vecchia e la nuova disciplina — L’assenza di un regime transitorio pone problemi di coordinamento tra la vecchia e la nuova normativa, almeno nella misura in cui si acceda alla te- si secondo la quale, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015, le uniche azioni soggette ai termini di decadenza fossero quelle di cui agli artt. 1, 2 e 4 del d.lgs. n. 368/2001.
In questo caso, a stretto rigore, ai contratti stipulati in violazione degli artt. 3 e 5, d.lgs. n. 368, e già cessati alla data di entrata in vigore del d.lgs.
(23) Si segnala però come la preclusione derivante dalla decadenza in qualche ca- so ha impedito anche l’accertamento incidentale, che peraltro sarebbe stato decisivo: cfr. Cass. 12.8.2015, n. 16757, in FI, 2015, n. 10, I, 3101.
(24) Così, ad esempio, in materia di licenziamento, la decadenza maturata preclu- de l’accesso alle tutele contro il recesso illegittimo ma non la domanda relativa all’in- dennità di mancato preavviso (Cass. 2.2.1976, n. 339, in FI, 1992, I, 2560; Cass. 2.9.2014, n. 18522, in xxxxxxxxxxxxxxx.xx; Cass. 5.2.1985, n. 817, MGI, 1985).
(25) Sempre in materia di licenziamento, Cass. 12.10.2006, n. 21833, in RIDL, 2007, II, 958.
n. 81 non si dovrebbero applicare i termini di decadenza, risultando sem- mai invocabile dal datore la risoluzione per mutuo consenso (26).
Viceversa, i termini di decadenza si applicano anche in ipotesi di viola- zione della disciplina dei divieti, degli intervalli minimi e della durata mas- sima complessiva dei rapporti per tutti i contratti cessati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 81. Perciò anche i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81 e poi prorogati saranno assoggettabili al nuovo re- gime con decorrenza ratione temporis dal giorno della cessazione, in ragio- ne del principio tempus regit actum.
7. — Tassatività delle ipotesi di sospensione dei termini di decadenza e ir- rilevanza del metus — Xxxxx da chiedersi se sia possibile invocare la sospen- sione della decadenza in ipotesi di successione di contratti a termine per via del presunto metus subìto dal lavoratore.
Di fatto, in tali ipotesi, il lavoratore rimane inerte onde non entrare in un conflitto controproducente. Ciò non esclude tuttavia che il termine de- corra regolarmente.
In materia di decadenza trovano applicazione le norme sulla prescrizio- ne, a eccezione di quelle relative a interruzione e sospensione (artt. 2941 e 2943 c.c.), come si evince dall’art. 2964 c.c. La sospensione del termine di decadenza è prevista dalla legge in casi eccezionali, spesso coincidenti con impedimenti obiettivi dovuti a caso fortuito o forza maggiore, o per incen- tivare metodi di composizione stragiudiziale (art. 410, comma 2, c.p.c.), o comunque per ragioni equitative (27).
Il termine decorre pertanto, e di regola, insensibile alle vicende sogget- tive delle parti, trattandosi di un tempo continuo e unitario (salva eccezio- nale sospensione) che prosegue, in assenza di specifico atto impeditivo, fi- no alla scadenza perentoria e finisce per condonare eventuali irregolarità (28): il lavoratore, mentre attende il rinnovo, oltre il centoventesimo gior- no decade dall’impugnazione del singolo contratto.
E tuttavia, la parziale decadenza dall’impugnazione del singolo contrat- to, segmento di una sequenza di rapporti, non impedisce la loro valutazio- ne complessiva al fine di verificare l’osservanza delle norme (anche di deri- vazione comunitaria) sulla successione dei contratti. Quindi, in ipotesi, se il lavoratore non potrà più invocare la trasformazione con riferimento al
(26) Cfr. nota 19.
(27) Cfr., sulla natura dell’istituto, Tedeschi 1962, 770 ss.; Romano 1964, 173; Xxxxxxx, Xxxxxxx 1985; Panza 1989, 132; Xxxxxxx 2009, 528 ss.; Xxxxxxx 2014, 310.
(28) Rolfi 2013, 3769 ss., in particolare 3770.
singolo contratto per il quale sia incorso in decadenza, potrà proporre l’im- pugnazione per violazione del limite dei 36 mesi, nel termine di legge de- corrente dalla cessazione dell’ultimo rapporto della serie (29).
8. — L’operatività della decadenza in ipotesi di riassunzione avvenuta en- tro i termini di impugnazione del contratto scaduto — È ancora da compren- dere quale rilievo abbia una nuova assunzione intervenuta nel periodo di decorrenza dei termini per impugnare il precedente contratto.
Infatti, la decadenza preclude l’accesso a misure sanzionatorie, le quali però attuano la direttiva europea in quanto dirette a rendere effettive mi- sure limitative della successione dei contratti. In questo senso l’introduzio- ne di termini rigidi sarebbe in contrasto con le esigenze di tutela derivanti dalla Direttiva n. 1999/70, residuando spazi per la disapplicazione – o per la rimessione in termini – ogniqualvolta si valutasse un’eccessiva difficoltà, in concreto, nell’esercizio di quei diritti (30).
Un’apertura più netta si coglie in una recente pronuncia: «si può rite- nere che l’impugnazione afferente l’ultimo contratto estenda a ritroso i suoi effetti su tutti i contratti in precedenza stipulati, sul presupposto che il la- voratore entro il suddetto termine non avesse avuto interesse a impugnare essendo stato riassunto» (31).
Tale ricostruzione non convince a pieno, in quanto il lavoratore «rias- sunto» a termine non perde l’interesse a far valere le violazioni che gli con- sentirebbero di ottenere la stabilizzazione del rapporto: ciò potrebbe vale- re, al più, qualora vi sia stata un’assunzione a tempo indeterminato.
Ciò non priva di rilevanza, ai fini della decadenza, le condotte negozia- li concludenti tenute dalle parti durante il corso di detti termini. È però dubbio se la nuova assunzione possa configurare una rinunzia ex art. 2968 c.c., con effetti abdicativi, ovvero un riconoscimento del diritto ex art. 2966 c.c., con effetti impeditivi analoghi all’impugnazione.
Per verificare se la decadenza sia rinunziabile va chiarito preliminarmen-
(29) Cfr. Xxxxxxxx 2011, 260; Xxxxxxxx 2011, 248; e v. anche Giubboni 2012, 425.
(30) Xxxxxxx 2014, 313, secondo cui l’art. 2965 c.c. avrebbe portata generale, a tu- tela di norme costituzionali e comunitarie. A ciò si aggiunga che la Corte costituzio- nale (10.6.1966, n. 63) aveva del resto modellato il regime della prescrizione dei cre- diti retributivi sul regime decadenziale dell’art. 2113 c.c., elevando al rango di valore costituzionale la debolezza contrattuale del lavoratore. Sub art. 2113 c.c., e in parti- colare sulla decorrenza del termine di decadenza in ipotesi di successione di rapporti, cfr. Pera 1990, 73. In materia di contratto a termine, già prima del d.lgs. n. 81/2015, Mimmo 2011, 91; e Xxxxxxxx 2012, 425 e 430, sub nota 16.
(31) Cfr. T. Brescia 18.6.2015, n. 391, inedita a quanto consta.
te se la disciplina in esame sia stabilita o no «in materia sottratta alla dispo- nibilità delle parti» (32). Tale formula, rinvenibile negli artt. 2968 e 2969 c.c., si riferisce a quelle decadenze di ordine pubblico per un «interesse su- periore» (33) più specifico del generico interesse alla certezza delle relazio- ni sociali. Si tratta perciò di capire se la decadenza in esame tuteli un inte- resse di ordine pubblico e non un mero interesse privato, di talché l’ecce- zione di decadenza, ai sensi dell’art. 2969 c.c., sarebbe rilevabile d’ufficio e irrinunciabile (34). Ma tale soluzione viene generalmente esclusa (35). Allora, una volta scartata la rilevabilità d’ufficio e con essa «l’indisponibili- tà» della materia, si dovrebbe ammettere che le parti possano modificare convenzionalmente la disciplina legale della decadenza, ergo rinunziare in ogni momento alla relativa eccezione, con il solo limite dell’art. 2965 c.c. Inoltre, se l’atto abdicativo è astrattamente possibile anche per facta con- cludentia in analogia con l’art. 2937, comma 3, c.c. (36), resta dubbio se alla rinunzia sia analogicamente applicabile anche il comma 2 della mede- sima disposizione, che autorizza a rinunziare solo alla decadenza già «com- piuta» (37). Pare preferibile una risposta negativa, giacché la norma citata in ultimo appare «dettata in esclusiva correlazione al fondamento d’ordine pubblico della prescrizione» (38). Così la nuova assunzione a tempo deter- minato prima dello spirare del termine per impugnare può concretare un’implicita rinuncia, ma resta in capo al prestatore l’onere di dedurre e provare che il comportamento del datore esprima l’univoca volontà di non
avvalersi dell’eccezione di decadenza.
(32) Cass. 12.5.2015, n. 9622, in Ced Cass., 2015.
(33) Xxxxxxx Xxxxxxxxxx F. 1985, 123.
(34) C. App. Torino 6.5.2014, in XXX, 0000, n. 2, 447, alla luce di princìpi ri- scontrabili anche in Cass. 5.11.2015, n. 22627, in FI, 2015, n. 12, I, 3801, e C. cost. 21.5.2014, n. 155, cit.
(35) Cfr., sulla scorta di una giurisprudenza che s’era pronunciata sul testo previ- gente dell’art. 6 (Cass. 19.12.1985, n. 6514, in RIDL, 1987, II, 215; conf. Cass. 27.2.1997, n. 1788, in MGI, 1997), Amoroso 2012, 445 ss., ivi, 455; Xxxxxxxx 2015. Cfr. inoltre Cass. 23.9.2011, n. 19405, in MGC, 2011, n. 9, 1330; Cass. 11.12.2015,
n. 25046, in LG, 2016, n. 3, 303; T. Reggio Calabria 15.6.2014, in DeJure; C. App. Palermo 18.9.2014, n. 1650, inedita a quanto consta. Analogamente, nell’ipotesi di decadenza ex art. 2113 c.c., la materia, nel senso degli artt. 2968 e 2969 c.c., è stata ritenuta nella «disponibilità» delle parti e l’eccezione non rilevabile d’ufficio: C. App. Potenza 30.7.2014, n. 398, in Lex24; Ciucciovino 2014, 1552; Pera 1990, 73.
(36) Cass. 24.4.1998, n. 4219, in MGC, 1998, 877.
(37) In senso affermativo Xxxxxxx 2014, 342. In tal caso avrebbe rilevanza solo una riassunzione successiva al decorso dei termini, ma sarebbe assai difficile «desumere» da quella condotta una rinunzia.
(38) Cfr. Panza 1989, 140. e Xxxxxxxx 1962, 789.
Diversa è l’ipotesi del «riconoscimento del diritto» ex art. 2966 c.c., am- messo purché il termine sia stabilito «dal contratto o da una norma di leg- ge relativa a diritti disponibili».
A dispetto della rubrica dell’art. 2968 c.c., la giurisprudenza distingue tra le nozioni di «diritto indisponibile» e «materia sottratta alla disponibi- lità delle parti», di talché, pur attribuendo carattere indisponibile alla «ma- teria» con gli effetti sopra esaminati (l’immodificabilità, l’irrinunciabilità, la rilevabilità d’ufficio della decadenza), considera «disponibili» (39) – e perciò suscettibili di riconoscimento impeditivo – i diritti derivanti dall’il- legittimità del termine.
Per tale ragione non può escludersi a priori che fenomeni come la rias- sunzione (a fortiori a tempo indeterminato) integrino un riconoscimento del diritto alla prosecuzione del rapporto, con effetti impeditivi analoghi all’impugnazione (40).
9. — Trasformazione del contratto e indennità omnicomprensiva — Chiarita l’operatività dei termini di decadenza, si possono esaminare le tu- tele predisposte dall’ordinamento per le violazioni che l’impugnazione mi- ra a far valere (41).
L’apposizione del termine in assenza dei presupposti di legge comporta la conversione (42) del contratto a termine in contratto a tempo indeter-
(39) Parafrasando l’art. 2966 c.c. Cfr. Xxxx., S. civ., 26.8.1997, n. 8014, in MGI, 1997; Cass. 4.7.1989, n. 3197, S.U., in GC, 1990, I, 760. La formula «diritti dispo- nibili» dell’art. 2966 c.c., che circoscrive l’ambito dell’effetto impeditivo del ricono- scimento, si richiama a contrario al comma 2 dell’art. 2934 c.c., che esenta dalla pre- scrizione i «diritti indisponibili» ed è tale da ricomprendere i diritti che sono solo «re- lativamente indisponibili» ex art. 2113 c.c.: «tali in un determinato momento del lo- ro sorgere o per un certo tempo della loro vita, ma non oltre tali momenti, per cui il rilievo del mancato esercizio della facoltà d’impugnazione relativa è affidato all’inizia- tiva della parte interessata» (Cass. 29.9.2011, n. 19405, in GCM, 2011, n. 9, 1330).
(40) T. Xxxxxx 00.0.0000, in RCDL, 2012, n. 4, 941 ss., con nota di Xxxxxx. Ma cfr. Xxxxxxx (2014, 341), secondo cui ciò sarebbe precluso allorché la decadenza possa essere impedita (in via definitiva) solo dall’introduzione del giudizio, come è nell’at- tuale formulazione dell’art. 6 della l. n. 604/1966.
(41) Non sono sempre state evidenti le conseguenze derivanti dalla violazione. Sotto la vigenza della l. n. 230/1962 si era paventata l’ipotesi che al contratto a termi- ne nullo trovasse applicazione il regime speciale dell’art. 18, l. n. 300/1970, in forza di un’applicazione analogica che avrebbe assicurato parimenti l’applicazione del termine caducatorio dell’art. 6 della l. n. 604, rivelatasi invero non percorribile (cfr. anche no- ta 5, nonché, per tutti, Xxxxxxxx 2000, 167 ss., e la giurisprudenza ivi citata).
(42) Il legislatore, invero, usa il termine «trasformazione», come Cass. 21.5.2008, n. 12985, in RIDL, 2008, IV, 891; diversamente da Cass. 8.10.2002, n. 14381, S.U., cit., e Cass. 15.3.2016, n. 5072, S.U. Cfr. sul punto Tiraboschi (2015a, 13), secon-
minato. La Cassazione ha accolto tale interpretazione ricavando l’effetto le- gale sostitutivo dapprima dal «sistema» (43), poi dall’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010.
Attualmente, ai sensi dell’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 81/2015, nei casi di trasformazione del contratto, al lavoratore spetta un’indennità onnicom- prensiva tra 2,5 e 12 mensilità (44), da determinarsi in virtù dei criteri del- l’art. 8, l. n. 604, ergo in base alle peculiarità delle singole vicende (45).
La disposizione replica le previsioni dell’ormai abrogato art. 32, comma 5, l. n. 183/2010, ritenuto costituzionalmente legittimo perché adeguato, nell’insieme, a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi (46): per un verso, garantisce al lavoratore la conversione, unita- mente a un’indennità (47); per altro, assicura al datore la predeterminazio- ne delle somme dovute.
L’indennità ristora il pregiudizio subìto, anche in termini retributivi e contributivi, tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale viene ricostituito il rapporto per l’allontanamento dal lavoro, tanto se unico quanto se ripetuto, di modo che per i periodi di non lavoro è prevista solo l’indennità. Al contrario, per i periodi di lavoro il prestatore ha diritto a es- sere retribuito e a vedersi riconosciuta l’anzianità di servizio (48).
do cui quell’indicazione più generica e meno tecnica dipenderebbe dal «tentativo, in- vero maldestro e in contrasto con le regole del diritto civile, di porre riparo alla dub- bia disposizione sul campo di applicazione del contratto a tutele crescenti».
(43) In primis: Cass. 21.5.2008, n. 12985, cit.; Cass. 18.1.2010, n. 629, in
xxx.xxxxx-x-xxxxxxxxx.xx; Cass. 26.1.2010, n. 1576 e n. 1577, in GLav., 2010, n. 9, 14
ss.; Cass. 21.11.2011, n. 24479, cit.
(44) Mentre, come noto, sino all’entrata in vigore dell’art. 32, l. n. 183, la con- versione comportava, dalla data di messa a disposizione delle energie lavorative, il di- ritto al risarcimento del danno sia pure quantificato sulla base della retribuzione per- duta, da cui scomputare l’eventuale aliunde perceptum (Cass. 28.1.2011, n. 2112, in MGL, 2011, 41, con nota di Vallebona; Cass. 8.10.2002, n. 14381, S.U., cit.). Per la natura retributiva di tali somme Speziale 1992, 296 ss.
(45) Per tutte Cass. 7.9.2012, n. 14996, in DRI, 2013, n. 3, 761 ss., con nota di de Mozzi.
(46) Cfr. C. cost. 11.11.2011, n. 303, e C. cost. 25.7.2014, n. 226. Cfr., inoltre,
X. Xxxxx., 12.12.2013, C-361/12, con nota di Xxxxxxx. In dottrina, con giudizi dif- ferenti, Xxxxxxxx 2011c, 336 ss.; Xxxxxx 2011, 325 ss.; Xxxxxxx 2011, 1103 ss.; Xxxxxxxx 2011, 205 ss.
(47) Senza possibilità di detrarre l’aliunde perceptum: Cass. 14.7.2014, n. 16097, e Cass. 29.5.2013, n. 13404, entrambe in xxx.xxxxx-x-xxxxxxxxx.xx.
(48) Di questo avviso Cass. 28.5.2015, n. 11077, in xxx.xxxxx-x-xxxxxxxxx.xx; Cass. 12.1.2015, n. 262, in LG, 2015, n. 4, 415; Cass. 16.6.2014, n. 13630, in RGL, 2014,
n. 4, 594 ss., con nota di Xxxxxxxx; v. anche Xxxxxxxx 2011b, 123 ss. Ma v. Vallebona (2012, 22), secondo cui l’esclusione dell’obbligo contributivo e la parola ricostituzio-
Dalla data della sentenza il datore di lavoro è invece indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute (49).
Inoltre, il sistema sanzionatorio introdotto dalla l. n. 183/2010 si appli- ca a tutti i giudizi – anche di legittimità (50) – pendenti alla data di entra- ta in vigore, all’ovvia condizione che sussista un motivo di impugnazione del capo relativo all’aspetto risarcitorio (51).
Diversamente, l’indennità introdotta dal d.lgs. n. 81, commisurata al- l’ultima retribuzione utile per il calcolo del Tfr e non più all’ultima retri- buzione globale di fatto, è applicabile a prescindere dalla data di costituzio- ne del rapporto, per le sole violazioni consumate dopo l’entrata in vigore del decreto (25 giugno 2015), attesa la natura «sostanziale» dell’art. 28, comma 2 (52).
A ogni modo, l’indennità di cui si discute va annoverata tra i crediti di lavoro ex art. 429, comma 3, c.p.c., con la conseguenza che al lavoratore spettano interessi e rivalutazione solo dopo la data della sentenza, trattan- dosi di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva (53).
9.1. — Conversione del contratto a termine e contratto a tutele crescenti — Le tutele contro i licenziamenti illegittimi introdotte dal d.lgs. n. 23/2015 si applicano anche nei casi di conversione di contratto a tempo determina- to in contratto a tempo indeterminato successiva al 6 marzo 2015, ai sen- si dell’art. 1, comma 2.
ne sottointendono un’invalidità speciale con efficacia ex nunc, con conseguente im- possibilità di ritenere esistente il rapporto durante il periodo coperto dall’indennità, ergo di far decorrere l’anzianità.
(49) Cass. 14.7.2014, n. 16097, cit.; Cass. 2.4.2012, n. 5241, in RGL, 2012, n.
3, 493 ss., con nota di Xxxxxx. Contra, in precedenza, C. App. Roma 2.2.2012 e C. App. Torino 20.12.2011, entrambe in RGL, 2012, n. 3, 493 ss., secondo le quali l’in- dennità copriva il periodo intercorrente tra la scadenza del termine e la data di depo- sito del ricorso; di diverso avviso, ma nel senso che l’indennità si aggiungeva al risar- cimento delle retribuzioni non corrisposte a partire dall’offerta della prestazione lavo- rativa al datore di lavoro: T. Reggio Xxxxxx 28.4.2011; X. Xxxxx Arsizio 29.11.2010, entrambe in FI, 2011, n. 6, I, 1743 ss., con nota di Xxxxxxx.
(50) Cass. 30.6.2015, n. 13383, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx; Cass. 16.6.2014, n. 13630, cit.
(51) Cass. 16.1.2014, n. 790, in xxx.xxxxx-x-xxxxxxxxx.xx.
(52) Ma x. Xxxx. 00.00.0000, x. 00000, xx XX, 2015, n. 11, I, 3425, che invero si riferisce ai contratti di lavoro stipulati (e non alle violazioni consumate) dopo l’entra- ta in vigore del decreto del 2015.
(53) Cass. 7.1.2015, n. 00, xx XXX, x. 00, 0000, 000 xx.; Cass. 11.2.2014, n.
3027, in FI, 2014, n. 4, I, 1129.
La disposizione si presta a più interpretazioni. Lo stesso termine «con- versione» – lemma tecnico e già in uso per identificare la sanzione giudizia- le –, potrebbe essere stato utilizzato anche in un’accezione differente di pat- to modificativo intercorso tra le parti per eliminare la clausola del termine. Secondo una prima lettura, il legislatore avrebbe accomunato i due ca-
si della conversione negoziale e giudiziale, «dovendosi però far attenzione nel caso di conversione giudiziale alla data della disposta conversione che, con tutta evidenza, non coincide con quella della decisione» (54).
Una diversa dottrina interpreta con maggior rigore tecnico il termine
«conversione», riferibile alla sola ricostituzione giudiziale del rapporto a tempo indeterminato con effetto dalla data della sentenza (55). A tale in- terpretazione non osta il richiamo, nell’art. 28, d.lgs. n. 81/2015, al termi- ne «trasformazione», diverso dall’espressione «conversione» ma capace di contenerla (56).
Secondo tale tesi, il lavoratore interessato da una conversione negoziale resterebbe allora un «vecchio assunto» estraneo al campo di applicazione del d.lgs. n. 23.
Quest’ultima lettura appare meno condivisibile perché, nell’escludere la conversione negoziale, non valorizza la ratio legislativa, di promozione del- la disciplina delle tutele crescenti ed estensione a lavoratori prima esclusi dall’art. 18 St. lav. Inoltre, proprio con riferimento alle ipotesi di conver- sione giudiziale, si richiama alla tesi della ricostituzione ex nunc (dalla data della sentenza e con fonte in essa), in contrasto con i tipici effetti ripristi- natori del rapporto di lavoro a tempo indeterminato derivanti dalla nulli- tà per violazione di regole d’uso della flessibilità a termine (57).
Si è anche ritenuto in senso opposto che il termine conversione sia sta- to usato dal legislatore in modo a-tecnico solamente per identificare, nel- l’ambito del contratto a termine, la conversione volontaria e, nell’ambito dell’apprendistato, la prosecuzione naturale del rapporto dopo la fine del periodo di formazione (58). La disposizione incentiverebbe così il passag- gio diretto dei rapporti «instabili» in essere al nuovo contratto a tutele cre-
(54) Boscati 2015, 1035.
(55) Tiraboschi 0000x, 000 xx. Xxxxx xxxx di quanto ritenuto da Vallebona 2012,
22. Secondo Xxxxxxxxxxx (2015, 618), peraltro, l’espressione «trasformazione» sareb- be maggiormente «compatibile con la novazione del rapporto che deriva dall’ordine giudiziale».
(56) Xxxxxxxxxx, 2015b, 521-522.
(57) Cfr. la giurisprudenza citata nella nota 48 sulla maturazione degli scatti di anzianità nei periodi precedenti lavorati. V. inoltre Menghini 2015, 170.
(58) Xxx. Xxxxxxx 0000, 00-00. Xxx. inoltre Miscione 2015, 741 ss.
scenti per evitare che le imprese preferiscano risolvere il rapporto di lavoro prima di riassumere (lasciando spirare il termine o ex art. 2118 c.c.) (59). Inoltre, il riferimento nell’art. 1, comma 7, lett. c, l. n. 183/2014, alle
«nuove assunzioni», porrebbe in dubbio la legittimità costituzionale del de- creto per eccesso di delega ex art. 76 Cost., in quanto i lavoratori a termi- ne già in forza presso l’impresa non sarebbero in effetti «nuovi» (60).
Perciò nel novero dei casi che ricadono sotto l’ombrello dell’art. 1, com- ma 2, del d.lgs. n. 23 non rientrano le conversioni giudiziali, con l’eccezio- ne di quelle disposte su contratti a termine stipulati prima della suddetta data ma per violazioni verificatesi successivamente (ad esempio, continua- zione oltre la scadenza ex art. 22, d.lgs. n. 81) – ipotesi prive di interferen- ze con la delega –, mentre vi rientrerebbero i contratti a tutele crescenti frutto di «conversioni» volontarie di rapporti a termine legittimi successive al 6 marzo (61).
Viceversa, qualora il contratto a termine si riveli illegittimo, il patto mo- dificativo individuale non potrebbe sanarne la nullità e sorgerebbe in que- sto caso, all’esito della «ricostituzione» del rapporto pronunciata con sen- tenza, l’esigenza di retrodatare il momento di effettiva «assunzione». Il la- voratore titolare di un rapporto a tempo indeterminato ricostituito ex tunc avrebbe diritto alle tutele previgenti (ex art. 8, l. n. 604, ovvero ex art. 18 St. lav., nei rispettivi campi di applicazione).
Non rientrano ovviamente nei casi di conversione ai quali si riferisce il d.lgs. n. 23 le assunzioni a tempo indeterminato successive allo spirare del termine apposto al precedente contratto, in quanto configurabili esse stes- se come «nuove assunzioni».
Con riferimento a quest’ultima ipotesi, un discorso a parte va fatto per i contratti a termine illegittimi. Dal momento della cessazione del rappor- to opera una decadenza che può essere interrotta impugnando il contratto nelle forme e nei modi dell’art. 6, l. n. 604, ciò che appare improbabile se nel frattempo il lavoratore è stato assunto a tempo indeterminato. La me- desima decadenza potrebbe tuttavia considerarsi impedita o rinunciata per effetto della nuova assunzione (v. par. 8), di talché il lavoratore neoassunto a tempo indeterminato ma già titolare di un contratto a termine invalido potrebbe ancora rivendicare la ricostituzione del rapporto a tempo indeter- minato in data anteriore al 7 marzo e, con essa, le vecchie tutele.
(59) In tal senso ancora Xxxxxxx 2015, 13; e Santoni 2015, 119. La ritiene pres- soché inutile Gentile 2015, 61.
(60) Garilli 2015, 215 ss., ivi, 219, nota 10; Speziale 2015, 18. Sulla questione v. anche Cester 2015, 25-27.
(61) Così anche Magnani 2015.
10. — Violazione dei limiti quantitativi, validità del contratto e mancan- za di interesse ad agire — Il d.lgs. n. 81/2015 apporta una rilevante novità in merito alle conseguenze derivanti dalla violazione dei limiti percentuali. L’art. 23, comma 4, precisa infatti che in tale ipotesi resta esclusa la con- versione del contratto, ragion per cui, dal 25 giugno 2015 la sanzione am- ministrativa pare l’unica conseguenza negativa di un utilizzo di contratti a termine oltre il limite (62).
E tuttavia uno dei problemi più delicati continuerà a concernere le sor- ti del contratto stipulato in violazione dei limiti quantitativi.
Secondo una tesi, il costrutto del d.lgs. n. 81 presupporrebbe la validi- tà della clausola appositiva del termine con riferimento alla specifica viola- zione in esame (63).
Del resto, per la giurisprudenza, la nullità virtuale si ricollega a casi di contrarietà a norme imperative attinente a elementi intrinseci del contrat- to (64), ciò che il limite percentuale potrebbe non essere, data la sua valen- za «esteriore» e generale.
Da questa ricostruzione si dovrebbe dedurre che, per la violazione del li- mite percentuale, l’ordinamento interno non prefiguri alcuna tutela e che, di conseguenza, il lavoratore non abbia titolo per far accertare giudizialmen- te tale violazione, per mancanza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.: l’in- teresse ad agire si riconnette infatti all’utilità in concreto che si vuole trarre dall’azione (65) e che, in assenza di tutele specifiche, sarebbe inafferrabile.
Tale ricostruzione non pare l’unica percorribile.
11. — La nullità della clausola appositiva del termine in ipotesi di supera- mento delle soglie percentuali — Dall’apposizione del termine in violazione
(62) Sull’applicabilità della conversione nel periodo intercorrente tra la data di en- trata in vigore del d.l. n. 34/2014 e la data di entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015, cfr. Xxxxx Xxxxxx, Sferrazza 2014, 7 ss.; Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx 2014, 12 ss.; Xxxx 2014, 132; Xxxxxxxx 2014, 436; Preteroti 2014, 67 ss.; Xxxxx 2014, 4, 741; Xxxxxxxxxx 2015, 184 ss. Contra, tra gli altri, Magnani 2014, 9; Romei 2014, 689. Sui margini di operatività della sanzione amministrativa cfr. circ. min. 30 luglio 2014 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, da doversi ritenere «di fatto» vincolante, almeno per gli ispettori, ossia per gli unici soggetti deputati all’irrogazione.
(63) V. l’iter parlamentare che ha caratterizzato la legge di conversione n. 78/2014 e in particolare l’impegno del Governo ad adottare atti interpretativi utili in tal sen- so. Cfr. inoltre Menghini 2014, nota 53.
(64) Cass. 29.9.2005, n. 19024, S. civ., in GI, 2006, n. 8-9, 1599.
(65) La giurisprudenza di merito, infatti, ricollega il difetto di interesse ad agire all’ipotesi in cui la parte ricorrente non abbia avanzato nelle conclusioni finali alcuna richiesta di tutela (T. Firenze 6.11.2014, n. 1072, in Lex24).
dei limiti percentuali deriva il vizio tipico della nullità della clausola. La nullità è virtuale, in quanto il legislatore ha disposto un divieto (per garan- tire la forma comune del contratto a tempo indeterminato: art. 1, d.lgs. n. 81/2015) senza specificare la sanzione il cui contenuto è ricavabile dalla qualificazione e interpretazione della disposizione violata. Si tratta infatti di un divieto solo in apparenza estrinseco rispetto alla formazione del nego- zio, nella quale confluiscono esigenze di rispetto di un contesto ordina- mentale improntato alla garanzia di un utilizzo non improprio del negozio a opera del datore.
È evidente che si tratta di nullità relativa, contestabile solo dalla parte nel cui interesse è posta dall’ordinamento.
L’invalidità negoziale, che comporta l’inidoneità dell’atto ad «acquisire pieno e inattaccabile valore giuridico» (66), appare lo strumento più adegua- to per colpire un atto la cui struttura è infirmata da una violazione di legge. Non vale obiettare in contrario che, eliminata la conversione, viene me- no il vizio dell’atto in quanto il divieto di costituire il rapporto a tempo in- determinato neutralizzerebbe le conseguenze tipiche della nullità. Xxxx, il fat- to che il legislatore abbia precisato che il contratto a termine non può essere convertito avvalora la tesi dell’invalidità della clausola, che, in assenza di tale
indicazione, sarebbe stata travolta ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c.
12. — La tutela spettante al lavoratore (anche in ipotesi di contratto vali- do) — Chiarita l’impossibilità di convertire il contratto, bisogna chiedersi se residui o no, per il lavoratore, una diversa tutela in conseguenza della nullità virtuale.
Va premesso che l’invalidità non cagiona di per sé un danno risarcibile, che nei rapporti contrattuali risale all’inadempimento, cioè al comporta- mento colposamente dannoso verso la controparte negoziale (67). Tutta- via, con riferimento al medesimo comportamento giuridicamente rilevan- te (l’atto), il predicato dell’illiceità si può combinare con quello della inva- lidità in forza di norme specifiche (cfr. art. 1338 c.c., ai sensi del quale la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di in- validità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risar- cire il danno – liquidabile solamente in via equitativa – da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto); o perché l’atto-comportamento è non solo invalido, ma altresì illecito secondo le re- gole generali.
(66) Xxxxxxxx, Xxxxxxxxxxx 2013, 624. (67) Irti 2005, 1053 ss., in part. 1060.
Viene da chiedersi se il bisogno di derivazione «eurounitaria» di con- figurare una protezione contro utilizzi trasmodanti le normali esigenze di temporaneità del rapporto (68) – e/o comunque di forme di rapporti
«non comuni» – consenta o no di qualificare il danno come «comunita- rio» (69), come lesione patrimoniale, ex se risarcibile, cagionata dall’abu- so della forma contrattuale, in violazione della direttiva europea.
Invero, la figura del «danno comunitario» è nata intorno all’ipotesi di abuso nella successione di rapporti a termine, cosicché nel caso di primo e unico contratto illegittimo il danno potrebbe piuttosto dipendere dal- la slealtà contrattuale in una fase che precede la stipula ex art. 1337 c.c. (cd. responsabilità extracontrattuale), gravando sul debitore l’onere di curare già prima della conclusione dell’accordo, nei limiti dettati dal principio di solidarietà, anche gli interessi della controparte.
Inoltre, restano salve sia la possibilità per il lavoratore di provare il maggior danno e il danno alla persona, sia quella di invocare, come det- to, l’art. 1338 c.c.
Resta fermo che, situandosi invalidità e illiceità su piani differenti, tanto il danno comunitario quanto i danni ulteriori e diversi (escluso, ov- viamente, quello ex art. 1338 c.c.) sarebbero astrattamente risarcibili an- che qualora la clausola del termine si considerasse, per l’ordinamento in- terno, tecnicamente valida.
E infatti, se si sposa la tesi del danno comunitario, una violazione a danno dello spirito della direttiva si consuma ugualmente. A maggior ra- gione è risarcibile il danno in caso di responsabilità precontrattuale che può prescindere dalla validità del contratto concluso (70).
Qualora si dovesse accettare una simile conclusione, la diatriba sopra le conseguenze giuridiche dell’atto e sul «nome» del vizio che lo affligge perderebbe di rilevanza, spostandosi tutta l’attenzione alla ricerca di un quantum risarcitorio.
(68) Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G. 2015, 191 ss. Sulla necessaria giustificazione oggettiva del termine per una tenuta costituzionale della normativa: Xxxxxxxx 2013, 43 ss.; Zoppoli 2014, 21.
(69) Cass. 30.12.2014, n. 27481; Cass. 23.1.2015, n. 1260; Cass. 3.7.2015, n.
13655. Al lavoratore andrebbe pertanto riconosciuto, senza necessità di allegare e prova- re un nocumento specifico, un risarcimento per l’illegittimo ricorso al contratto a termi- ne – un danno in re ipsa – da parametrarsi in modo non dissimile da quanto già avvie- ne per il pubblico impiego, laddove il «divieto di conversione» infatti opera sebbene as- sistito da motivazioni più pregnanti: si intende che trova fondamento nell’art. 97 Cost.
(70) Sul tema x. Xxxxxxxxx 0000. E cfr. Cass. 21.10.2013, n. 23873, in Contratti, 2014, n. 4, 339, con nota di Putignano.
Il danno potrebbe essere liquidato con valutazione equitativa, ex art. 1226 c.c., richiamato dall’art. 2056 c.c.: a rigore, non sarebbe possibile in- vocare il criterio previsto dall’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 81 (2,5-12 mensi- lità) – in quanto tale disposizione presuppone la conversione, che è espres- samente esclusa per violazione dei limiti quantitativi –, ma in concreto il cri- terio non va affatto sottovalutato sulla scia di quanto accaduto nel settore pubblico (71).
13. — Limiti percentuali e oneri probatori — L’onere di provare il rispet- to del limite percentuale (legale o contrattuale) per le assunzioni a termine ricade sul datore ex art. 2697 c.c. (72), ma un problema può sorgere qua- lora vi siano assunzioni di più lavoratori e solo alcune di esse superino il li- mite quantitativo. Quali sono i contratti da cui scaturisce il diritto al risar- cimento del danno?
A mio sommesso avviso saranno quelli stipulati cronologicamente per ultimi (anche per questione di ore o minuti), perché solo in quel momen- to si pone in essere un negozio in contrasto con norma imperativa. Maggiori difficoltà si riscontrano in caso di assunzioni contemporanee. Tuttavia, essendo onere del datore provare di aver rispettato il limite per- centuale, il difetto di prova in ordine all’assunzione avvenuta nel rispetto dei limiti comporta il diritto al risarcimento del danno in favore di tutti i lavoratori coinvolti, non essendo possibile che il mancato assolvimento del- l’onere probatorio si rifletta negativamente sul lavoratore.
14. — Xxxxx sulla tenuta interna ed eurounitaria di una disciplina dei li- miti quantitativi senza tutele — In conclusione, il legislatore ha perso l’oc- casione di predisporre una tutela certa a protezione del lavoratore a termi- ne, che pure era timidamente comparsa in una delle ultime bozze dell’art. 23, comma 4, d.lgs. n. 81, alla cui stregua la sanzione amministrativa a be-
(71) E fatta salva la possibilità di provare un maggior danno: cfr. Cass. 15.3.2016,
n. 5072, S.U., cit., che s’è pronunciata sull’ordinanza emessa da Cass. 4.8.2015, n. 16363, cit. E v., già in precedenza favorevole all’applicazione dell’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010 (ora trasfuso nell’art. 28, d.lgs. n. 23/2015), Cass. 21.8.2013, n. 19371, in RIDL, 2014, n. 1, II, 76 ss., con nota di Ales.; a favore dell’utilizzo del cri- terio di cui all’art. 8, l. n. 604/1966: Cass. 30.12.2014, n. 27481, cit.; Cass. 23.1.2015, n. 1260, cit.; Cass. 22.1.2015, n. 1181, in RIDL, 2015, II, 917 ss., con nota di Zampieri; Cass. 3.7.2015, n. 13655, in xxx.xxxxxxxx.xx.
(72) Cfr. Cass. 12.9.2013, n. 20916, in DeJure; Cass. 19.1.2010, n. 839, in ADL,
2010, n. 4-5, II, 1015, con nota di Xxxxxxxx; Cass. 12.3.2009, n. 6010, in RFI, 2009, voce Lavoro (rapporto), n. 882; T. Napoli 4.7.2012, n. 19890, in DeJure; X. Xxxxx 0.00.0000, in xxx.xxxxxxxxxxx.xx. In dottrina, Miscione 2014, 310.
neficio dello Stato sarebbe stata opportunamente sostituita da un’indenni- tà in favore del lavoratore assunto oltre soglia (73).
A ogni modo, e a prescindere dal criterio preferito, la ricostruzione pro- posta tende senz’altro a proteggere il principio della forma comune del contratto a tempo indeterminato (74) (art. 1, d.lgs. n. 81; punto 2 del pre- ambolo e punto 6 delle considerazioni generali della direttiva). Se alla vio- lazione dei limiti quantitativi non seguisse una tutela anche a favore del la- voratore, la forma comune dipenderebbe infatti dalla libera scelta del dato- re, non essendo possibile configurare la sanzione amministrativa, eventua- le e comunque non a beneficio del lavoratore, come strumento idoneo a garantire il principio della indeterminatezza del rapporto (75).
Occorre però rimanere consapevoli che tale risultato non assicura la te- nuta interna ed europea della nuova disciplina. Ciò non solo per l’impos- sibilità di invocare la conversione – sanzione non imposta dal diritto euro- peo –, quanto per la facoltà delle parti collettive di disporre deroghe ai li- miti quantitativi (76) e per la permanenza delle numerose ipotesi legali di esenzione che, secondo alcuni (77), le parti sociali potrebbero anche au- mentare con intese di prossimità ex art. 8, d.l. n. 138/2011.
Xxxxxx criticità paiono destinate ad acuirsi una volta terminata la spinta economica degli incentivi in caso di assunzioni a tempo indeterminato (78). È allora a maggior ragione auspicabile che l’eventuale nuova ondata di fles- sibilità si affacci al mercato del lavoro con regole certe e tutele effettive.
(73) Di questo avviso anche Xxxxxxxx 2015, 163, 177-178. Si trattava di una in- dennità onnicomprensiva di importo pari al 50% della retribuzione, per ciascun mese di durata del rapporto, e comunque di misura non inferiore al 50% di una mensilità.
(74) Su cui v. le riflessioni svolte da Xxxxxxx 2015, 166-167 ss.; Xxxxxxx F. 2015, 4 ss.; Xxxxxxxx 2015, 165-166; Albi 2015, 625 ss.; Xxxxxxx M.T. 2016, 316 ss. Sulla funzione del limite quantitativo di stabilire l’equilibrio tra contratto a tempo indeter- minato e contratto a termine garantendo la posizione del primo come forma comune, cfr. Romei 2014, 688; v. anche Xxxxxx (2015, 600), secondo cui il rispetto della percen- tuale di contingentamento può considerarsi oggi l’equivalente funzionale della causale giustificativa del vecchio sistema che si presume esistente all’interno della quota.
(75) Sulla ineffettività della sanzione cfr. Xxxxxx 2015, 606; Albi 2015, 630; Xx Xxxxxx 2014, 511; Aimo 2015, 645. Sulla mancanza di chiarezza delle modalità di accertamento cfr. Menghini 2014, 570 ss.
(76) Mediante contratti collettivi di qualsiasi livello (artt. 23, comma 1, e 51, d.lgs. n. 81). Cfr. Xxxxxxxx 2015, 1140; Menghini 2015, 177. Cfr. inoltre le preoccu- pazioni espresse in proposito da Pizzoferrato 2015, 215-216.
(77) Xxxxxxxxxxx 0000, 14; Speziale 2014a, 32. Sulla portata delle intese ex art. 8, cfr. interpello ministero del Lavoro 2.11.2014, n. 30. Sulla questione della ragione- volezza delle esenzioni legali cfr. Xxxxxxxx 2015, 230 ss.
(78) Già del resto depotenziata rispetto alle previsioni originarie. Non a caso l’art. 1, comma 178, l. n. 208/2015, prevede, per i contratti a tempo indeterminato stipu- lati dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016, uno sgravio dei contributi Inps per 24 mesi (e non più 36) nonché una drastica riduzione del tetto massimo di esonero.
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ABSTRACT
Il contributo analizza, in una prima parte, la disciplina della decadenza introdotta dalla
l. n. 183/2010 e la sua evoluzione con riferimento all’impugnazione del contratto a tem- po determinato, soffermandosi specialmente sulle questioni dell’ambito di applicazione e dell’operatività dei termini di decadenza.
Nella seconda parte del contributo, l’Autore esamina i rimedi e le tecniche di tutela pre- disposti dall’ordinamento per sanzionare la violazione delle regole d’uso della flessibilità a termine.
Un ampio spazio di analisi è dedicato all’attuale divieto (ex art. 23, comma 4, d.lgs. n. 81/2015) di «trasformazione» in contratto a tempo indeterminato del contratto a termine stipulato in violazione dei limiti quantitativi: condotta in apparenza punibile solamente con una sanzione amministrativa. L’Autore rileva a tal riguardo l’esigenza di individuare una protezione per i lavoratori assunti oltre il limite quantitativo, a garanzia della tenu- ta interna ed eurounitaria della normativa.
ISSUES ON THE REGULATION OF LIMITATION PERIODS FOR THE APPEAL AGAINST THE TERMINATION OF FIXED-TERM CONTRACTS
AND ON SANCTIONING MEASURES, BETWEEN OLD AND NEW PROBLEMS
The survey analyzes, in the first part, the evolving legal regulation of limitation periods due to Law n. 183/2010, with reference to the appeal against termination of fixed-term con- tracts. On this side, it focuses especially on the scope and on the functioning of the legal rule on lapse of time-limit.
Afterwards, the Author of the survey examines remedies and regulatory techniques offered by the legal system to sanction abuses arising from an unlawful use of fixed-term contracts. A wide portion of the survey deals with the new legal prohibition (art. 23, comma 4, Legislative Decree n. 81/2015) concerning the transformation of temporary contracts into permanent contracts, due to the exceeding of fixed quantitative limits, in appearance only punishable by a fine. By the way, the Author observes the need to find out an effective pro- tection for term workers hired over the quantitative limit: which is necessary in order to en- sure the compatibility with national and European law.