RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
Giurisprudenza – Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, Sentenza 26 Marzo 2018, n. 7467
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
La (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino, in funzione di giudice del lavoro la (OMISSIS), esponendo che dal giugno del 1981 al giugno del 1998 aveva operato quale agente in esclusiva per la società convenuta nella provincia di Avellino, giusta mandato di agenzia regolarmente pattuito, e per l'effetto, essendo intervenuto il recesso della mandante, chiedeva la condanna della stessa al pagamento dell'indennità di incasso, delle differenze provigionali, dell'indennità di preavviso, dell'indennità per lo scioglimento del contratto, dell'indennità suppletiva di clientela, nonché al risarcimento dei danni cagionati dalla condotta della convenuta che, in costanza di rapporto aveva effettuato delle vendite a mezzo di agenti in zone limitrofe, senza procedere al pagamento dell' IVA, ed avendo pubblicato su di un quotidiano di grande diffusione locale un'inserzione nella quale dichiarava di essere alla ricerca di un agente di vendita per la zona di Avellino. La convenuta si costituiva in giudizio, ed in via preliminare eccepiva l'incompetenza del giudice adito, insistendo nel merito per il rigetto delle avverse domande. Il Tribunale adito dichiarava la propria incompetenza a favore del Tribunale di Verona, innanzi al qua le la causa era riassunta dalla (OMISSIS). Quindi all'esito dell'istruttoria, il Tribunale con la sentenza n. 3714 del 20 dicembre 2005 accoglieva solo in parte le domande dell'attrice, con la condanna della (OMISSIS) al pagamento della somma di € 4.189,35 a titolo di indennità di scioglimento del contratto, nonché della somma di
€ 7 .633,44, oltre interessi, a titolo di indennità sostitutiva di clientela. A seguito di appello principale della società attrice e di appello incidentale della convenuta, la Corte d'Appello di Venezia con la sentenza n. 1795 del 22 agosto 2013, riformava in parte la decisione di prime cure, rigettando la domanda della (OMISSIS) di pagamento dell'indennità sostitutiva di clientela.
Quanto alla richiesta, non accolta in primo grado, di pagamento dell'indennità di incasso e di rischio, i giudici di appello rilevavano che, a mente dell'Accordo Economico Collettivo vigente, l'agente non aveva la facoltà di riscuotere né concedere sconti o dilazioni senza accordo scritto, laddove dalle prove raccolte emergeva che tale attività era stata assolta in maniera non continuativa dall'appellante principale, dovendosi escludere che fosse stato conferito uno specifico incarico. In tal senso l'art. 3 del contratto collettivo prevedeva l'obbligo di pattuire una separata provvigione, solo nel caso in cui sia stato conferito un incarico continuativo di incasso, ed in relazione ai soli affari per i quali sussista l'obbligo della riscossione. Nella fattispecie però si trattava di una mera facoltà di incasso, e non già di un obbligo posto a carico dell'agente, sicché in assenza del carattere dell'obbligatorietà, non poteva esser riconosciuta alcuna indennità in favore dell'appellante. La Corte distrettuale disattendeva altresì il motivo di appello concernente l'indennità di preavviso, in assenza di una specifica contestazione in merito all'affermazione del Tribunale circa l'intervenuto rispetto del termine previsto, osservando come i conteggi che, a detta dell'appellante, avrebbero dovuto imporre un'inversione dell'onere della prova, atteso il riconoscimento da parte della committente, concernevano il pagamento della diversa indennità di clientela a non l'indennità invece correlata al mancato rispetto del termine di preavviso. Xxxxxxxxx altresì che tabulati che secondo l'agente costituivano prova in relazione alle pretese correlate agli sconti praticati, non costituivano una prova sufficiente, dovendosi inoltre reputare generico il motivo di appello sia per quanto concerneva i danni conseguenti a vendita senza IVA da parte di agenti delle zone limitrofe, nel territorio di competenza della (OMISSIS), sia per quanto concerneva danni scaturenti dall'inserzione pubblicitaria per la ricerca di un nuovo agente. In merito all'appello incidentale, relativo all'intervenuto riconoscimento dell'indennità sostitutiva di clientela ex art. 1751 c.c., la sentenza gravata, dopo avere ricostruito la situazione venutasi a creare a seguito della sentenza della Corte di Giustizia nella causa C-456/04, e dopo avere dato atto del
quadro giurisprudenziale in punto di risoluzione del conflitto tra la previsione codicistica e le diverse previsioni di cui all'(OMISSIS), rilevava che, a prescindere dall'adesione al criterio della valutazione della disciplina più favorevole "in astratto" ovvero "in concreto", nella specie l'attrice non aveva dato la prova dei presupposti meritocratici ai fini dell'applicazione dei criteri di cui all'art. 1751 c.c., per il riconoscimento dell'indennità. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) sulla base di tre motivi.
La società intimata ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme in tema d'interpretazione dei contratti (artt. 1362, 1363, 1370 c.c.) e dell'art. 6 dell'Accordo Economico Collettivo, sostenendosi che erroneamente i giudici di appello, conformandosi alla decisione del Tribunale, hanno ritenuto che il mandato conferito alla ricorrente non contemplasse un obbligo di riscossione degli incassi. La natura obbligatoria dell'attività de qua appare in realtà confortata dalle innumerevoli ipotesi nelle quali l'agente aveva curato l'incasso, sicché nel caso di specie doveva reputarsi che si trattasse di un incarico aggiuntivo che imponeva una remunerazione distinta rispetto alle originarie provvigioni pattuite. Quanto poi alla responsabilità per rischio contabile, la stessa nasceva direttamente dalla natura dell'obbligazione. Il motivo è infondato. Ed, invero, costituisce orientamento consolidato quello secondo cui l'interpretazione di un atto negoziale (nella specie del contratto di agenzia) è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all'art. 1362 c.c., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicché, per far valere una viola zione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Xxxx. 26 ottobre 2007, n. 22536). D'altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data da l giudice del merito al contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Xxxx. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra (Cass. 7500/ 2007; Cass. n. 24539/ 2009).
La sentenza gravata, con motivazione logica e coerente, partendo proprio dal dato letterale laddove il testo contrattuale come riportato nel motivo di ricorso, utilizza il termine "autorizzato" per designare l'attività demandata all'agente quanto all'incasso, ha concluso per la natura facoltativa dell'attività in oggetto, priva quindi del carattere di continuità, richiamando a supporto di tale interpretazione anche il comportamento successivo delle parti, che aveva visto la stessa preponente provvedere sovente all'incasso, in aderenza quindi alla conclusione circa il carattere facoltativo del compito de quo.
L'indicazione delle norme ermeneutiche violate non risulta corredata da un'adeguata individuazione delle concrete violazioni poste in essere, e comunque non consente di ritenere che l'interpretazione offerta dalla ricorrente sia l'unica sostenibile sulla base delle previsioni contrattuali.
Ne consegue che, proprio per la rilevata assenza di una specifica obbligazione a carico dell'agente, risulta corretta l'applicazione dei principi in passato affermati da questa Corte in base ai quali (cfr. Cass. n. 6077/1997), poiché lo svolgimento da parte dell'agente di attività di incasso per conto del preponente dei corrispettivi dovuti dai clienti non costituisce un elemento essenziale o naturale del contratto di agenzia, ma soltanto un compito ulteriore che le parti possono convenire, correttamente viene escluso il diritto ad un compenso per la suddetta attività quando manchi una pattuizione
negoziale per l'attribuzione di un incarico di riscossione, alla luce proprio dell'art. 6 dell'accordo economico collettivo 19 dicembre 1979 per gli agenti e rappresentanti di commercio di aziende industriali (vigente alla data della nascita del rapporto) che prevede - secondo l'interpretazione compiuta dal giudice di merito, immune da censure - tale compenso solo quando sussista un obbligo particolare ed ulteriore dell'agente, e non un'attività meramente facoltativa di riscossione che il medesimo può svolgere nel proprio interesse. A tali considerazioni, che appaiono già di per sé sole sufficienti a smentire la fondatezza della doglianza della ricorrente, va altresì aggiunto che, sempre secondo la costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 21079/ 2013), poiché lo svolgimento da parte dell'agente di attività di incasso, per conto del preponente, dei corrispettivi dovuti dai clienti non costituisce un elemento essenziale o naturale del contratto di agenzia, ma soltanto un compito ulteriore che le parti possono convenire, quando la facoltà e l'obbligo di riscuotere i crediti del preponente siano intervenuti nel corso del rapporto di agenzia, deve ritenersi che l'attività di esazione costituisca prestazione accessoria e ulteriore rispetto all'originario contratto, e richieda una sua propria remunerazione, in base alla generale normativa sul lavoro autonomo e, specificamente, all'art. 2225 cod. civ., dovendosi per converso ritenere che (cfr. Cass. n. 8110/1995) l'originaria stipulazione del contratto di agenzia che preveda la facoltà dell'agente di riscuotere i crediti del preponente, non dà luogo ad un autonomo rapporto e non richiede uno specifico compenso.
In tale prospettiva non appare pertinente il richiamo compiuto dalla difesa della ricorrente al precedente di questa Corte n. 10774/ 2004, che, come si ricava anche dalla massima risulta riferito ad un'ipotesi di accordo modificativo del contratto originario, con la previsione di un incarico di riscossione inizialmente non previsto, essendosi al riguardo ritenuto di dover precisare che anche laddove il relativo incarico sia stato conferito all'agente nel corso del rapporto, non è possibile affermare una sorta di automatismo tra pattuizione successiva al contratto iniziale e diritto a un compenso aggiuntivo (con salvezza soltanto dell'ipotesi della novazione, evidentemente del tutto coincidente con quella del contratto iniziale), essendo invece necessario indagare se la volontà delle parti sia stata espressa nei senso di ampliare le obbligazioni gravanti dall'agente lasciando fermo il corrispettivo pattuito e dunque le obbligazioni del preponente.
La verifica circa l'effettiva volontà delle parti risulta quindi prescritta nel solo caso in cui intervenga una modifica nel corso del rapporto, laddove nell'ipotesi coincidente con quella in esame, in cui si assuma che l'eventuale incarico di riscossione sia ab origine previsto in contratto, deve escludersi la possibilità per l'agente di poter pretendere un compenso aggiuntivo.
Il secondo motivo denuncia l'omessa ed insufficiente motivazione su documenti controversi e decisivi oggetto di discussione tra le parti, in quanto la Corte di merito avrebbe trascurato di valutare la rilevanza del documento di calcolo predisposto dalla preponente, che contiene un riconoscimento del debito in ordine all'indennità di clientela, essendosi altresì ignorata la rilevanza dei tabulati versati in atti.
Il terzo motivo denuncia sempre l'omessa ed insufficiente motivazione circa il documento controverso e decisivo rappresentato sempre dai tabulati prodotti dalla ricorrente, in relazione al pagamento delle provvigioni non corrisposte per sconti praticati dalla (OMISSIS).
I motivi sono inammissibili.
Ed, infatti, la sentenza gravata risulta pubblicata in data 22 agosto 2013, in epoca successiva all'entrata in vigore della riforma di cui alla legge n. 134/ 2012, sicché il vizio di cui al n. 5 del co. 1dell'art. 360
c.p.c. poteva essere denunciato in base alla nuova formulazione della norma, e non anche sulla scorta della previsione non più applicabile, sub specie di omessa o insufficiente motivazione.
A ciò va aggiunto che la censura non appare nemmeno suscettibile di conversione e di valutazione alla luce del novellato testo normativo, occorrendo a tal fine avere riguardo alla circostanza che la norma vigente prevede la denuncia di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, laddove invece la ricorrente intende contestare l'apprezzamento in chiave probatoria di alcuni documenti versati in atti e peraltro presi in considerazione, sebbene in chiave negativa per l'agente, dai giudici di merito (cfr. pagg. 7 ed 8 quanto alla valenza probatoria sia del conteggio prodotto dalla preponente sia dei tabulati, in quanto atti di formazione unilaterale dell'agente), essendo quindi
esclusa la sussumibilità della censura nella previsione al caso in esame applicabile (cfr. altresì Cass.
S.U. n. 8054/ 2014, secondo cui l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie). Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la forma zione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 °/o sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/ 2002, inserito dall'art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell'art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio dell'l 1gennaio 2018. Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2018