COLLEGIO DI COORDINAMENTO – DEC. N. 12645/2021 – PRES. LAPERTOSA – REL. GRANATA
COLLEGIO DI COORDINAMENTO – DEC. N. 12645/2021 – PRES. LAPERTOSA – REL. GRANATA
Credito ai consumatori – contratto di finanziamento – parziale risoluzione per inadempimento del contratto di fornitura – effetti - onere della prova – risarcimento del danno – esclusione (cod. civ., artt. 1455, 1458, 2697; d.lgs. n. 385/1993, artt. 121, 125 bis, 125 quinquies, 128 bis).
Nel procedimento instaurato ai sensi dell’art.125-quinquies del T.U.B. incombe sul ricorrente l’onere di provare l’inadempimento di non scarsa importanza del fornitore.
Al fine di accertare il diritto del consumatore alla risoluzione del contratto di credito, il Collegio è competente a valutare incidentalmente, sulla base delle risultanze acquisite, se, con riferimento al contratto di fornitura, ricorrono le condizioni di cui all’art.1455 c.c. La risoluzione parziale del contratto di credito è ammissibile solo su esplicita domanda del ricorrente, in presenza di un adempimento parziale del contratto di fornitura con oggetto frazionabile.
In tal caso il consumatore ha diritto alla risoluzione parziale del collegato contratto di credito per la parte corrispondente al valore delle prestazioni non eseguite e al rimborso delle rate versate a copertura di tali prestazioni con il conseguente obbligo di provvedere al rimborso del prestito al netto di detto valore. Il diritto alla restituzione delle rate pagate è precluso dalla eventualità che il finanziamento sia stato interamente rimborsato.
La domanda di risarcimento del danno, se formulata come conseguenza accessoria dell’inadempimento del fornitore, integra una pretesa estranea alla previsione dell’art.125quinquies del T.U.B., posto che l’intermediario non assume veste di coobligato o garante del fornitore stesso. (MDC)
FATTO
Il ricorrente ha affermato:
- che ha stipulato con l’intermediario resistente, in data 8 novembre 2018, un contratto di finanziamento per un importo totale del credito pari a € 10.568,15 (importo totale
dovuto pari a € 10.674,24) finalizzato al pagamento dell’intero corrispettivo convenuto con un terzo soggetto per la fornitura di prestazioni odontoiatriche;
- che, nonostante il regolare pagamento delle rate previste, nei mesi successivi alla conclusione del contratto di prestazione d’opera professionale, ha usufruito soltanto di una parte delle prestazioni in origine concordate con il fornitore;
- che ha proceduto all’invio al fornitore di comunicazione formale, ai fini della sua costituzione in mora, nel mese di luglio 2020, rimasta priva di riscontro;
- che ha comunicato all’intermediario, nel mese di agosto 2020, l’avvenuta risoluzione del contratto di fornitura e, di conseguenza, del contratto di finanziamento, chiedendo la restituzione delle rate sino a quel momento incassate;
- che l’intermediario gli chiedeva la produzione del dettaglio del piano di cura originariamente concordato con il fornitore, una certificazione rilasciata da diverso professionista di fiducia con indicazione degli interventi non completati o solo parzialmente eseguiti dal fornitore e del preventivo di spesa per il loro completamento;
- che, rivoltosi ad un diverso studio dentistico, gli veniva rilasciato un preventivo per il completamento dei lavori rimasti ineseguiti per un costo complessivo di € 3.750,00;
- che nel frattempo, l’inadempimento in cui è incorso il fornitore assumeva carattere definitivo a seguito della cessazione della sua attività d’impresa e della chiusura dei centri dentistici su tutto il territorio nazionale.
Ciò posto, con ricorso presentato il 9.11.2020, con l’assistenza di un professionista, il ricorrente ha chiesto, a fronte dell’inadempimento del fornitore, in applicazione dell’art. 125- quinques del Testo Unico Bancario (d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385 – T.U.B.), che, accertata la rilevanza dell’inadempimento e la messa in mora del fornitore, sia dichiarato il proprio diritto alla risoluzione del contratto di finanziamento e per l’effetto sia disposta la restituzione integrale a proprio favore delle somme già corrisposte all’intermediario oppure, in xxx xxxxxxxxxxx, xx xxxxxxxxxxxx xxxxx xxxxx ingiustamente incassate e corrispondenti alle prestazioni non godute, oltre al risarcimento dei danni subiti per il ritardo nel godimento delle
cure mediche/odontoiatriche e per la grave condotta tenuta dal fornitore nonché al rimborso delle spese di assistenza professionale.
L’intermediario ha resistito al ricorso affermando che:
- le istanze del cliente sono state attivate tardivamente, avendo questi prodotto in atti le missive del luglio e agosto 2020, successive alla stipula del contratto di finanziamento collegato risalente al novembre 2018, e che non è pertanto ragionevole ritenere che, essendo il contratto di fornitura risalente al 2018 e la cessazione di attività del fornitore intervenuta solo nel mese di marzo 2020, il cliente non abbia nel frattempo completato il piano di cure odontoiatriche concordate;
- che il ricorrente non ha assolto all’onere probatorio gravante su di esso, non avendo provato in alcun modo la gravità dell’inadempimento del fornitore, rilevando che, ove l’inadempimento fosse stato effettivamente di non scarsa importanza, non avrebbe potuto attendere circa due anni per agire ai fini della risoluzione contrattuale;
- che la documentazione prodotta dal ricorrente è, in ogni caso, inidonea a provare l’inadempimento del fornitore, essendosi limitato a produrre un nuovo preventivo rilasciato da diverso studio dentistico, privo di relazione medica specifica circa lo stato di completamento dei lavori acquistati dal fornitore nonché di una chiara indicazione di quali siano stati gli interventi effettivamente eseguiti tra quelli espressamente previsti nel preventivo originario;
- che comunque, ove dimostrasse di non aver beneficiato di una parte delle cure pattuite e fosse in grado di dimostrare il controvalore delle cure non ricevute, il ricorrente sarebbe comunque tenuto al pagamento di tutte le rate corrispondenti al controvalore delle prestazioni ricevute;
- che la domanda risarcitoria è inammissibile e/o infondata non potendosi imputare alcuna condotta negligente in capo ad esso, in quanto del tutto estraneo ai fatti oggetto di controversia.
Ciò posto, ha chiesto pertanto che il ricorso sia respinto.
Il ricorrente ha replicato alle controdeduzioni deducendo, dopo aver contestato integralmente le difese dell’intermediario resistente:
- che il carattere di assoluta gravità dell’inadempimento in cui è incorso il fornitore risulta già dimostrato in atti, in forza del nuovo preventivo rilasciato da diverso studio medico, per un’ulteriore spesa di € 3.750,00 a carico del paziente;
- che tale preventivo risulta ulteriormente suffragato dalla specifica relazione medica datata 15 gennaio 2021 che, con specifico riferimento al preventivo originario rilasciato dal fornitore, accerta come non eseguito l’intervento di installazione di “Overdenture su 4 impianti”;
- che la situazione di grave dissesto economico in cui versava il fornitore era di certo ben nota all’intermediario, come facilmente dimostrato dalla visura allegata in atti e risalente al 31 dicembre 2017, in epoca addirittura antecedente alla conclusione dei contratti di cui al presente ricorso, circostanza questa di per sé sufficiente a dimostrare la condotta negligente tenuta dall’intermediario resistente nel monitoraggio del fornitore e nella concessione di crediti in convenzione con lo stesso;
- che il carattere definitivo dell’inadempimento ha, infine, trovato conferma nella sentenza di fallimento della società fornitrice in data 22 ottobre 2020.
Nella seduta tenutasi il 16 marzo 2021 il Collegio di Milano, territorialmente competente a pronunciarsi sul ricorso in questione, osserva che l’applicazione al caso di specie dell’art. 125-quinquies del T.U.B., peraltro pacifica, involge questioni di particolare importanza con riguardo alle quali si registrano precedenti non sempre conformi tra i Collegi territoriali dell’Arbitro.
Nello specifico fa riferimento alle seguenti questioni: se ricada sul consumatore ricorrente l’onere della prova dell’inadempimento di non scarsa importanza ovvero ricada sul finanziatore provare che il fornitore ha adempiuto la propria prestazione; l’ammissibilità di una pronuncia di risoluzione parziale del contratto di finanziamento a fronte di un inadempimento pur sempre grave del fornitore, ma comunque parziale, avendo questi adempiuto almeno in parte alle obbligazioni assunte con il contratto di fornitura; l’ammissibilità di pretese risarcitorie del cliente nei confronti del finanziatore per i danni che sono conseguenza dell’inadempimento del fornitore; se la possibilità di agire ex art. 125quinques T.U.B. permanga immutata anche dopo l’intervenuto rimborso del finanziamento.
DIRITTO
Il contratto di finanziamento in questione è stato stipulato nel novembre 2018 e quindi in epoca successiva all’entrata in vigore degli articoli 121 (recante al comma 1, lett. d), la definizione di “contratto di credito collegato”) e dell’art. 125-quinques (“Inadempimento del fornitore”) del T.U.B., introdotti dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, in recepimento della Direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, pubblicato sulla G.U. n. 207 del 4 settembre 2010, in vigore dal 19 settembre 2010. In forza di quanto previsto dall’art. 2 del d.lgs. 14 dicembre 2010 n. 218 le modifiche al Titolo VI del T.U.B., che include nel Capo II le disposizioni sul credito ai consumatori, hanno trovato applicazione, nei rapporti con i finanziatori e gli intermediari del credito, a partire dal 1° giugno 2011.
L’art. 121, comma 1, lettera d), del T.U.B.) definisce contratto di credito collegato quello “finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici se ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito”.
Gli effetti dell’inadempimento del contratto di fornitura sul contratto di credito collegato sono disciplinati nell’art. 125-quinquies del T.U.B. ove è disposto che “Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile. 2. La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso. […]”.
La matrice comunitaria delle succitate diposizioni è costituita dagli articoli 3, lettera n), (“Definizioni”) e 15 della Direttiva 2008/48/CE (“Contratti di credito collegati”). Tale Xxxxxxxxx persegue un obiettivo di armonizzazione fra le legislazioni degli Stati membri in materia di credito al consumo, seppur non integrale. Fa salve, ove esistenti, le norme nazionali secondo cui, se il consumatore ha ottenuto un finanziamento per l’acquisto di beni o servizi, il creditore risponde in solido con il fornitore per le pretese del consumatore nei confronti di
quest’ultimo. Inoltre, in base alle previsioni comunitarie, spetta agli Stati membri stabilire in che misura e a quali condizioni possono esser esperiti i “rimedi” spettanti al consumatore nei confronti del finanziatore del contratto di credito collegato, in caso di inadempimento del fornitore.
La normativa di attuazione disegna una fattispecie legale di collegamento negoziale afferente un contratto di credito, puntualizzando i presupposti e gli effetti che derivano dalla interazione delle operazioni economiche interessate. Nello specifico individua nella risoluzione del contratto di finanziamento collegato al contratto di fornitura, caratterizzato da un inadempimento di non scarsa importanza, il “rimedio” esercitabile dal consumatore nei confronti del finanziatore. Prevede che il finanziatore ha il diritto di ripetere dal fornitore le somme a questi versate. Nel solco della disciplina comunitaria la normativa in materia di contratti collegati recata dal T.U.B. appare tendenzialmente esaustiva, mal prestandosi a letture estensive del relativo dettato, che si prefigge l’obiettivo di tutelare il consumatore senza penalizzare ingiustificatamente le ragioni economiche del finanziatore.
Venendo al caso di specie va premesso che è orientamento consolidato dei Collegi territoriali affermare la propria competenza ratione materiae su controversie della specie.
E’ orientamento che va condiviso.
Ai sensi delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. I, paragrafo 4) “All’Arbitro Bancario Finanziario possono essere sottoposte dai clienti controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari”.
L’oggetto della domanda, in questo come in casi analoghi, è “l’accertamento” di un diritto inerente a un rapporto di prestazione di servizi finanziari, sia pure collegato con un diverso contratto, avente ad oggetto la prestazione di servizi o la vendita di beni. Le vicende del rapporto di fornitura interessano il contratto di finanziamento nella misura in cui, ai sensi di legge, costituiscono il presupposto per la relativa risoluzione; la valutazione di tali vicende ha pertanto natura incidentale rispetto al riconoscimento della fondatezza della domanda formulata dal cliente nei confronti dell’intermediario.
E’ stato inoltre osservato che dalla negazione della competenza dell’Arbitro conseguirebbe l’ineffettività del sistema di tutela cui l’Arbitro Bancario Finanziario appartiene, disattendendo il principio che è il criterio cui si deve conformare il sistema alternativo di risoluzione delle
controversie di cui all’art. 128–bis del T.U.B. (Collegio di Milano, decisione n. 24692/2018; Collegio di Napoli, decisione n. 16/2017).
L’esistenza di un collegamento negoziale, nei termini normativamente previsti, fra il contratto di finanziamento in questione e il contratto di acquisto delle cure odontoiatriche presso il fornitore risulta pacifico fra le parti. Esso, pur non risultando agli atti l’integrale documentazione contrattuale, può comunque desumersi dal Modulo di “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”, che è parte integrante del contratto di finanziamento, nel quale è precisato che il prestito è finalizzato alla prestazione del servizio “Cure odontoiatriche” e indica, quale intermediario del credito, la società che ha emesso la fattura, in data 8.11.2018, per le prestazioni dentistiche di cui alla presente controversia.
Il ricorrente allega copia della comunicazione di formale costituzione in mora del fornitore, tramite raccomandata a/r recapitata in data 31 luglio 2020.
Quanto all’inadempimento di non scarsa importanza del fornitore il Collegio remittente registra una diversità di orientamenti fra i Collegi territoriali in merito alla distribuzione dell’onere della prova al riguardo.
Rileva che, secondo l’orientamento prevalente, l’onere della prova dell’inadempimento di non scarsa importanza ricade sul consumatore ricorrente, data l’estraneità del fornitore sia al contratto di finanziamento sia al procedimento ABF. Cita le decisioni del Collegio di Roma nn. 768 del 27 gennaio 2017, 6476 del 21 marzo 2018, 10146 del 10 maggio 2018; del
Collegio di Palermo nn. 4640 del 3 maggio 2017, 6491 del 12 giugno 2017 e 25824 del 6
dicembre 2018.
Osserva il Collegio remittente che una differente impostazione, la quale trae spunto dalla sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, del 30 ottobre 2001, n. 13533, e alla giurisprudenza che vi ha fatto seguito, ritiene che è onere del finanziatore provare che il fornitore ha adempiuto la propria prestazione e quindi che la pretesa avanzata dal consumatore ai sensi dell’art. 125-quinquies T.U.B. è infondata, nell’assunto che il creditore deve provare soltanto la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento, mentre grava sul debitore l’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Xxxx xx xxxxxxxxx xxx Xxxxxxxx xx Xxxxxx xx. 00000 del 21 dicembre 2020, 23964 del 31 ottobre 2019 e 24692 del 22 novembre 2018, nelle quali in realtà si afferma che l’onere della prova dell’inadempimento di non scarsa importanza è a carico del fornitore e che vanno quindi presumibilmente lette nel senso che all’intermediario fa capo lo stesso onere esigibile nei confronti del fornitore. Il Collegio remittente osserva
che, peraltro, la decisione assunta dalla Suprema Corte, in tema di onere della prova, con la sentenza n.13533/2001 “è stata variamente ridimensionata dalla giurisprudenza di legittimità successiva”. Cita a evidenza di ciò le pronunce della Corte di Cassazione del 9 agosto 2013, n. 19146, in tema di appalto, del 10 febbraio 2017, n. 3548, in tema di locazione, e infine la sentenza a Sezioni Unite del 3 maggio 2019 n. 11748 in tema di vizi della cosa venduta.
Osserva inoltre, che ai fini di tale questione, va preso in considerazione l’art. 5 della Direttiva 1999/44/CE ad oggetto “Taluni aspetti della vendita e delle garanzia dei beni di consumo”, così come successivamente modificata, nonché l’art. 132, comma 3, del Codice del consumo, ove si prevede una presunzione di esistenza del difetto di conformità del bene per il periodo di sei mesi dalla consegna (elevato ad un anno dall’art. 11 Direttiva (UE) 2019/771, di prossima attuazione) onerando il consumatore di fornire la prova del difetto di conformità nel caso in cui questo si manifesti successivamente. Evidenzia che la Corte di giustizia dell’Unione europea con la decisione del 4 giugno 2015, pronunciata nelle causa (C-497/13), ha affermato che dalle disposizioni suddette “si evince che, in linea di principio, è compito del consumatore produrre la prova che esiste un difetto di conformità e che quest’ultimo esisteva alla data di consegna del bene”.
Si rileva, per quanto interessa in questa sede, che la Suprema Corte pone a fondamento della decisione n.13533/2001 il principio di riferibilità o di vicinanza della prova, il cui onere, muovendo “ … dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione … viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione”.
E invero questo principio appare ribadito nelle succitate pronunce della Corte di Cassazione, ove viene declinato a seconda delle fattispecie negoziali prese a riferimento e quindi del diverso atteggiarsi del rapporto fra debitore e creditore ai fini dell’accessibilità ai mezzi di prova.
Quanto alla succitata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 4 giugno 2015, pronunciata nelle causa (C-497/13), può notarsi che su di essa si sofferma la sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, del 3 maggio 2019 n. 11748 evidenziando che non è privo di rilievo che la CGUE abbia spiegato, “proprio con riferimento al principio di vicinanza dell’onere della prova”, l’alleggerimento di tale onere a favore del consumatore nel caso in cui il difetto di conformità si sia manifestato entro sei mesi dalla consegna del
bene, rilevando che “qualora il difetto di conformità emerga solo successivamente alla data di consegna del bene, fornire la prova che tale difetto esisteva già a tale data può rivelarsi “un ostacolo insormontabile per il consumatore”, mentre di solito è molto più facile per il professionista dimostrare che il difetto di conformità non era presente al momento della consegna e che esso risulta, per esempio, da un cattivo uso del bene fatto dal consumatore”.
Ciò premesso, appare indubbio che il principio della vicinanza della prova esprima un’esigenza pragmatica, basata sulla rilevanza, nei rapporti fra creditore e debitore, nelle parole della Suprema Corte, “… in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione”.
Lo stesso Collegio remittente osserva che il principio di vicinanza della prova, se può essere condiviso nei rapporti tra creditore e debitore, è quantomeno dubbio possa avere analoga portata nei contratti di finanziamento finalizzati e nelle operazioni trilaterali di finanziamento nei confronti di un consumatore, a maggior ragione nelle procedure dinnanzi all’Arbitro caratterizzate dall’impossibilità di avere come controparte non solo il finanziatore ma anche il fornitore, potendo l’oggetto del procedimento consistere esclusivamente in una controversia in materia bancaria e finanziaria, cosicché il fornitore non può partecipare al giudizio.
Sembra quindi ragionevole che, nelle vicende dei contratti di credito collegati a contratti di fornitura, e nello specifico dei contratti collegati che interessano la presente controversia, il principio di vicinanza della prova vada declinato tenuto conto che la stessa attiene ad elementi insiti nella relazione fra consumatore e fornitore esulando quindi dalla sfera di azione del finanziatore e quindi dai rapporti che intercorrono fra quest’ultimo e il consumatore.
Ne deriva che l’onere della prova non può che collocarsi nell’ambito del rapporto di fornitura e che pertanto, vista anche l’estraneità del fornitore al procedimento presso l’ABF, non può che gravare sul consumatore l’onere di dimostrare la sussistenza dell’inadempimento del fornitore nonché la non scarsa importanza dello stesso, in aderenza al generale principio sancito nell’art. 2697, comma 1, c.c.
Ciò non esclude, alla luce dell’esigenza di concretezza nell’allocazione dell’onere della prova, che in casi specifici tale onere possa gravare sul finanziatore, ad esempio ove il consumatore, nel dare mandato al finanziatore di erogare al fornitore il ricavo del
finanziamento, condizioni il versamento allo stato di avanzamento della prestazione del servizio.
Nel caso di specie, come sopra evidenziato, il ricorrente lamenta la mancata esecuzione di una parte della prestazione professionale originariamente concordata con il fornitore, allegando pertanto un’ipotesi di inadempimento parziale del contratto di fornitura di tale servizio, collegato al finanziamento.
Produce, oltre alla sopra richiamata comunicazione di messa in mora del fornitore recapitata in data 31 luglio 2020, la fattura emessa dal fornitore in data 8.11.2018, per un importo pari a € 10.568,15, contenente il dettaglio delle cure odontoiatriche e degli impianti acquistati; la comunicazione in data 13 agosto 2020, con cui ha reso formalmente edotto l’Intermediario dell’avvenuta risoluzione per inadempimento del contratto di fornitura e ha domandato lo scioglimento del contratto di finanziamento; un nuovo preventivo in data 23 ottobre 2020, rilasciato da diverso studio dentistico e contenente un piano di interventi dal valore complessivo di € 3.750,00; una relazione medica in data 15.1.2021, nella quale si attesta la mancata esecuzione dell’intervento di installazione di “Overdenture su 4 impianti”, oltre ad alcuni altri interventi.
Riferisce inoltre di aver versato ratealmente all’intermediario, alla data del 15.8.2020, l’importo di € 3.780,46.
L’intermediario contesta in sede di controdeduzioni la prospettazione avversaria eccependo il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sul ricorrente nonché l’inidoneità della fattispecie ad integrare un’ipotesi di inadempimento di “non scarsa importanza”, ai sensi dall’art. 1455 c.c.
Secondo l’orientamento costante dell’Arbitro, le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile sono da reputarsi sussistenti qualora l’inadempimento abbia avuto un peso oggettivo e notevole nell’economia complessiva del rapporto, sì da dar luogo, in astratto, per la sua entità, e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente, ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale.
I Collegi territoriali richiamano l’insegnamento della Suprema Corte secondo il quale la verifica dell’inadempimento di non scarsa importanza deve essere operata applicando contestualmente un parametro oggettivo, riferito alla entità oggettiva dell'inadempimento, “ma anche con riguardo all'interesse che l'altra parte intende realizzare e sulla base di un criterio, quindi, che consenta di coordinare il giudizio sull'elemento oggettivo della mancata
prestazione, nel quadro dell'economia generale del contratto, con gli elementi soggettivi e che, conseguentemente, investa, specie nei casi di inadempimento parziale, anche le modalità e le circostanze del concreto svolgimento del rapporto, per valutare se l'inadempimento in concreto accertato abbia comportato una notevole alterazione dell'equilibrio e della complessiva economia del contratto, e l'interesse dell'altra parte, quale e' desumibile anche dal comportamento di questa, all'esatto adempimento nel termine stabilito” (Cass., 6 marzo 2012, n. 3477; Cass. 18.2.2008 n. 3954, Cass., 28 marzo 1995,
n. 3669; Cass., 21 febbraio 2006, n. 3742).
Va inoltre evidenziato, per quanto attiene le controversie sottoposte all’ABF, che poiché l'Arbitro deve procedere “alla valutazione della controversia sulla base della documentazione raccolta nell’ambito dell’istruttoria“ l’inadempimento di non scarsa importanza del fornitore deve essere agevolmente rilevabile dalla documentazione versata agli atti del procedimento, senza necessità di procedere a analisi o elaborazioni tecniche della stessa funzionalmente precluse all’Arbitro, tanto più in materia estranea alle proprie competenze tecniche, e comunque non integrabili, in sede di istruttoria, tramite il ricorso a consulenze tecniche o ulteriori mezzi di prova.
Quanto alla documentazione probatoria prodotta da parte ricorrente, si osserva che la relazione medica del 15.1.2021, indica come non eseguito l’intervento di “Overdenture su 4 impianti” oltre ad alcuni altri interventi, riferendosi ad un piano di cure del 21 marzo 2019, che non risulta versato in atti ed è comunque estraneo a quello di cui alla fattura prodotta da parte ricorrente, emessa nel novembre 2018.
Inoltre il preventivo delle cure odontoiatriche da eseguire del 23 ottobre 2020 non risulta raffrontabile, a causa della diversa terminologia utilizzata, con gli interventi previsti originariamente nella fattura del novembre 2018. Tale preventivo, inoltre, non è corredato da una relazione professionale (medico/peritale), avente ad oggetto lo stato di completamento dei lavori acquistati originariamente.
Sulla base degli elementi allegati da parte ricorrente non può quindi ritenersi provato l’inadempimento di non scarsa importanza del fornitore.
Il ricorso non può pertanto essere accolto.
Ciò posto, il Collegio ritiene che, benché l’esame delle ulteriori questioni poste dall’ordinanza di rimessione non sia funzionale alla decisione della presente controversia, ne sia opportuna la trattazione vista la rilevanza delle stesse e i contrasti registrati fra Collegi al riguardo.
Come sopra rilevato, il ricorrente ha richiesto nel ricorso che, accertata la rilevanza dell’inadempimento e la messa in mora del fornitore, sia dichiarato il diritto del consumatore alla risoluzione del contratto di finanziamento e per l’effetto sia disposta la restituzione integrale delle somme già corrisposte all’intermediario oppure, in xxx xxxxxxxxxxx, xx xxxxxxxxxxxx xxxxx xxxxx ingiustamente incassate e corrispondenti alle prestazioni non godute (oltre al risarcimento dei danni e al rimborso delle spese di assistenza professionale).
Il Collegio remittente pone in tale contesto la questione dell’ammissibilità di una pronuncia di risoluzione parziale del contratto di finanziamento, avendo il fornitore adempiuto almeno in parte alle obbligazioni assunte con il contratto di fornitura.
Osserva che, benché sia indubbia la configurabilità in termini generali di una risoluzione parziale del contratto (richiama Cassazione 2 luglio 2013, n. 16566 e Cassazione 13 dicembre 2010, n. 25157 oltreché la dottrina prevalente), suscita qualche perplessità la possibilità di una risoluzione parziale del contratto di finanziamento a fronte di un inadempimento parziale del fornitore nel caso del credito al consumo.
Rileva che taluni Collegi ritengono percorribile tale soluzione, nell’ottica di pervenire in tale ipotesi a una soluzione equilibrata, che tenga conto del vantaggio comunque ricevuto dal consumatore, in funzione della parziale esecuzione della prestazione, ed eviti un ingiustificato arricchimento dello stesso, confermando l’obbligo di rimborso del prestito per l’importo corrispondente al valore della prestazione eseguita (richiama Collegio di Torino, decisione n. 2744 del 4 febbraio 2021).
Altri Collegi, nello specifico quello remittente, ritengono invece che, a fronte dei presupposti applicativi dell’art. 125-quinques T.U.B., consegue la risoluzione tout court del contratto di finanziamento prevedendo al contempo che l’effetto restitutorio sia limitato all’importo delle rate già corrisposte eccedente il valore delle prestazioni eseguite ( richiama Collegio di Milano, decisione n. 3076 dell’8 febbraio 2021).
Osserva il Collegio remittente che nell’art. 15 della Direttiva 2008/48/CE, rubricato “Contratti di credito collegati”, non si rinvengono utili indici in grado di chiarire tale questione e che il dato normativo nazionale, tenuto conto della natura del contratto di finanziamento, non qualificabile come contratto ad esecuzione continuata o periodica, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1458 c.c., sembra deporre per l’inammissibilità di una pronuncia di risoluzione parziale. Da ciò trae la conseguenza che vada comunque accertata la risoluzione integrale del contratto di finanziamento, con conseguente liberazione del finanziato degli
obblighi derivanti dal finanziamento e obbligo di restituzione da parte del finanziatore di quanto già corrisposto dal consumatore, consentendo al finanziatore, seppur “in astratto, non sempre in concreto”, di agire nei confronti del fornitore per la restituzione di quanto corrisposto non pregiudicando quest’ultimo circa eventuali pretese nei confronti della propria controparte del contratto di fornitura (e cioè il consumatore) per le prestazioni in parte eseguite.
ll Collegio remittente ipotizza peraltro che le esigenze su cui si basa la tesi della risoluzione parziale possano essere soddisfatte prevedendo che, seppur a fronte di una risoluzione integrale del contratto di finanziamento, il consumatore, in una prospettiva che induce a disattendere ingiustificati arricchimenti, sia tenuto comunque a corrispondere il valore di quanto ricevuto dal fornitore, nella logica delle restituzioni applicabili al rapporto di consumo, come comprova l’art. 125-bis, comma 9, del T.U.B. nell’ipotesi di nullità del contratto laddove prevede che il consumatore è tenuto a restituire le somme utilizzate con facoltà di pagare ratealmente quanto dovuto, mantenendo la stessa periodicità prevista nel contratto.
Ciò posto, si osserva che le previsioni di cui all’art. 125-quinquies del T.U.B. appaiono precipuamente finalizzate a liberare il consumatore, a fronte dell’inadempimento di non di scarsa importanza del fornitore, da ogni vincolo restitutorio nei confronti del finanziatore derivante contratto di credito collegato, facendo obbligo nel contempo al finanziatore di restituire al consumatore le rate già pagate nonché ogni altro onere eventualmente applicato, evitando in tal modo che gravi sul consumatore insoddisfatto qualsiasi onere per l’acquisto di un bene o di un servizio che non ha effettivamente acquisito o di cui non abbia goduto, anche solo in parte.
Sulla base del tenore letterale della norma deve infatti ritenersi che la sussistenza di un inadempimento di “non scarsa importanza”, ai sensi dall’art. 1455 c.c., attribuisca comunque al consumatore il diritto alla risoluzione integrale del contratto di finanziamento, nonché alla integrale restituzione delle rate versate, a prescindere dall’eventualità di un adempimento parziale del contratto di fornitura, Depongono in tal senso le espressioni usate dal legislatore che, senza fare alcun distinguo, dispongono che il consumatore “ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’art. 1455 del codice civile”, che “la risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate”, che “la risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare l’importo che sia già stato versato al fornitore dei beni o dei servizi”.
Se quindi la risoluzione integrale del contratto di credito collegato è lo strumento di cui comunque dispone il consumatore, non può peraltro sottacersi che, a fronte del parziale adempimento del fornitore, la vicenda controversa rischia di rifluire a cascata, in cerca di una sua definitiva composizione, nei rapporti fra finanziatore e fornitore e quindi fra fornitore e consumatore.
Deve pertanto ammettersi che lo stesso consumatore, ove l’oggetto del contratto di fornitura sia frazionabile, possa domandare la risoluzione parziale del contratto di credito, per la parte corrispondente alle prestazioni non eseguite, consapevole del vantaggio ricevuto dalle prestazioni comunque adempiute e al fine di cautelarsi dalle istanze eventualmente avanzate dal fornitore ove questi, seppur parzialmente adempiente, abbia provveduto al rimborso al finanziatore, a seguito della risoluzione “integrale” del contratto di credito, dell’importo del finanziamento che questi gli aveva versato.
In tale prospettiva al consumatore insoddisfatto sarebbe consentito di presidiare le proprie ragioni con strumenti apparentemente meno incisivi nell’immediato della risoluzione integrale, ma possibilmente più efficaci alla distanza, valorizzando in modo alternativo, nel quadro del collegamento fra contratto di fornitura e contratto di credito, l’incidenza del primo sul secondo dell’inadempimento parziale del fornitore della prestazione promessa. Del resto, non osta alla risoluzione parziale del contratto di credito il disposto dell’art. 1458 c.c., ove si prevede che la risoluzione del contratto ha effetto retroattivo fra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata e periodica.
E’ opinione della giurisprudenza e della dottrina prevalente che “la risoluzione parziale del contratto, esplicitamente prevista dall’art. 1458 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, è possibile anche per il contratto ad esecuzione istantanea quando il relativo oggetto sia rappresentato … non da un’unica cosa infrazionabile, ma da più cose aventi una propria individualità, quando cioè , ciascuna di queste, separata dal tutto, mantenga un’autonomia economico funzionale, che la renda definibile come bene a sé, suscettibile di diritti o di negoziazioni distinti (Cassazione civile, Sez. II, n. 16556 del 2.7.2013)”. In tal senso Cassazione civile, Sez. II, n. 10700 del 20.5.2005; Cassazione civile, Xxx. XX, x. 00000 del 21.12.2004, Cassazione civile, Sez. II, n. 5434 del 15.4.2002).
Non sembra possano porsi dubbi sulla divisibilità del bene oggetto del contratto di finanziamento e cioè del denaro nonché sulla risolvibilità parziale del contratto di fornitura, ove l’oggetto dello stesso sia frazionabile.
In conclusione si ritiene che in caso di inadempimento parziale del contrato di fornitura il consumatore, fermo il diritto alla risoluzione tout court del contratto di credito collegato e al conseguente rimborso delle rate già pagate, possa chiedere altresì la risoluzione parziale di tale contratto per la parte corrispondente al valore delle prestazioni non eseguite e il rimborso delle rate versate a copertura di tali prestazioni con il conseguente obbligo di provvedere al rimborso del prestito al netto di detto valore.
Sarà cura dell’intermediario provvedere alla riformulazione del piano di ammortamento del prestito al netto del valore delle prestazioni non eseguite, tenendo conto della diversa imputazione delle rate versate e non rimborsate al consumatore.
Infine, quanto alla restituibilità delle rate di un finanziamento integralmente rimborsato o comunque estinto, sembra doversi ritenere che le disposizioni dell’art. 125-quinquies presuppongano comunque che il contratto di credito collegato sia tuttora in essere. Parte ricorrente ha richiesto altresì il risarcimento dei danni subiti per il ritardo nel godimento delle cure mediche/odontoiatriche e per la grave condotta tenuta dal fornitore. Il Collegio remittente pone la questione dell’ammissibilità di pretese risarcitorie del cliente nei confronti del finanziatore per i danni che sono conseguenza dell’inadempimento del fornitore, precisando che la stessa sembra doversi escludere, poiché il finanziatore non può essere qualificato come ausiliario del fornitore e non assume una posizione di garanzia verso il consumatore per l’inadempimento del fornitore.
Segnala peraltro che la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 24 aprile
2009 (C-509-07) ha “implicitamente riconosciuto”, con riferimento alla previgente Direttiva 87/102/CEE, che il consumatore possa far valere nei confronti del finanziatore il “diritto al risarcimento del danno causato da un’inadempienza del fornitore”.
Si osserva che ai sensi dell’art. 15 (“Contratti di credito collegati”) della Direttiva 2008/48/CE “1. Il consumatore che abbia esercitato un diritto di recesso basato sulla normativa comunitaria riguardo a un contratto per la fornitura di merci o la prestazione di servizi non è più vincolato da un eventuale contratto di credito collegato. 2. Qualora le merci o i servizi oggetto di un contratto di credito collegato non siano forniti o siano forniti soltanto in parte o non siano conformi al contratto per la fornitura degli stessi, il consumatore ha il diritto di agire nei confronti del creditore se ha agito nei confronti del fornitore o prestatore, senza ottenere la soddisfazione che gli spetta ai sensi della legge o in virtù del contratto per la fornitura di merci o la prestazione di servizi. Gli Stati membri stabiliscono in che misura e a quali condizioni possono essere esperiti tali rimedi”.
Anche se la Direttiva enuncia che in caso di inadempimento del fornitore il consumatore insoddisfatto ha “il diritto di agire nei confronti del creditore se ha agito nei confronti del fornitore o prestatore”, senza ulteriori specificazioni, lascia peraltro agli Stati membri il compito di stabilire in quale misura e a quali condizioni possono essere esperiti “tali rimedi” (nella versione in lingua inglese della Direttiva “Member States shall determine to what extent and under what conditions those remedies shall be exercisable”).
Quanto alla gamma di azioni esperibili nei confronti del finanziatore, il legislatore nazionale individua nella risoluzione del contratto di finanziamento collegato lo strumento a tutela del consumatore in caso di inadempimento del fornitore, disciplinandone gli effetti sui rapporti fra consumatore e finanziatore e fra finanziatore e fornitore.
Non mancano sul punto letture estensive, nel senso di ritenere ingiustificatamente riduttivo e superabile il riferimento alla (sola) risoluzione del contratto di credito collegato quale rimedio di cui dispone il consumatore, vista l’esigenza di continuità in termini evolutivi della disciplina comunitaria a tutela del consumatore e considerato che l’art.11 della previgente Direttiva 87/102/CEE disponeva, seppur in caso di accordo che attribuisse al finanziatore l'esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore, che “il consumatore ha diritto di procedere contro il creditore”. Previsione che, in sede di recepimento, veniva tradotta nell’art. 42 (“Xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx”) xxx x.xxx. 000/0000 (x.x. Codice del Consumo), abrogato dall’art. 3 del d.lgs 141/2010, secondo cui "”Nei casi di inadempimento del fornitore di beni e servizi, il consumatore che abbia effettuato inutilmente la costituzione in mora ha diritto di agire contro il finanziatore nei limiti del credito concesso, a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al finanziatore l'esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore” (in tal senso Collegio di Roma, decisione n. 3300 del 15 ottobre 2012).
Peraltro la scelta di policy del legislatore nazionale risulta chiara e coerente con l’esigenza di tutela del consumatore, nell’ambito di una compiuta disciplina del contratto di credito collegato. A seguito della risoluzione del contratto di finanziamento il consumatore, cui sono restituite le rate già pagate, è sollevato dall’obbligo di rimborsare al finanziatore l’importo del prestito già versato al fornitore cui il finanziatore deve necessariamente rivolgersi per il relativo recupero. Viene conseguito in tal modo l’obiettivo di tutela del consumatore senza aggravare ingiustificatamente la posizione del finanziatore, circoscrivendone i profili di responsabilità alla vicenda del contratto di credito, ad esclusione di ulteriori rimedi esperibili nei suoi confronti, esterni alla fisiologia e dinamica di tale rapporto, che attribuirebbero al finanziatore un’impropria veste di garante delle obbligazioni del fornitore.
Quanto alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 24 aprile 2009 (C509- 07), richiamata dal Collegio remittente, la stessa è, come noto, intervenuta in via interpretativa sulla previgente Direttiva 87/102/CEE (nello specifico sull’art. 11 di tale provvedimento) concludendo che l’esistenza di un accordo di esclusiva tra il creditore ed il fornitore non costituisce “un presupposto necessario del diritto del cliente di procedere contro il creditore in caso di inadempimento delle obbligazioni che incombono al fornitore al fine di ottenere la risoluzione del contratto di credito e la conseguente restituzione delle somme corrisposte al finanziatore”.
La sentenza puntualizza peraltro che “Per contro, il soddisfacimento di una siffatta condizione può essere richiesto al fine di far valere altri diritti, non previsti dalle disposizioni nazionali in materia di relazioni contrattuali, come il diritto al risarcimento del danno causato da un’inadempienza del fornitore dei beni o servizi in questione”.
Deve quindi ritenersi che, anche ove si voglia fare riferimento alla sentenza della CGUE, deve escludersi la possibilità per il consumatore di richiedere al finanziatore del contratto di credito collegato il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’inadempimento del fornitore in presenza della fattispecie di collegamento negoziale di cui all’art. 121, comma 1, lettera d), del T.U.B..
Può pertanto concludersi che, considerata la scelta operata dal legislatore nazionale quanto ai rimedi esperibili dal consumatore nei confronti del finanziatore del contratto di credito collegato nonché la non rinvenibilità nell’ordinamento interno di previsioni da cui possa farsi discendere una responsabilità solidale del finanziatore del contratto di credito collegato per le obbligazioni del fornitore (che l’art. 15, comma 3, della Direttiva 2008/48/CE, fa esplicitamente salve, ove esistenti), la domanda di risarcimento del danno, se formulata come conseguenza accessoria dell’eventuale accertamento del diritto alla risoluzione del contratto di credito, integra una pretesa estranea alla previsione dell’art.125-quinquies del T.U.B., anche in ragione del fatto che il danno risarcibile dipenderebbe esclusivamente dall’inadempimento della prestazione dovuta dal fornitore, rispetto alla quale il finanziatore non assume veste di coobbligato.
Il Collegio remittente ha sollevato infine la questione dei profili di responsabilità ascrivibili al finanziatore o allo stesso fornitore, quale intermediario del credito, per violazione degli obblighi di condotta e buona fede in sede precontrattuale.
Deve osservarsi al riguardo che il ricorrente, pur svolgendo alcune considerazioni sul tema nel corso del procedimento, peraltro in sede di repliche alle controdeduzioni, non le traduce in una specifica istanza, ragione per cui tali considerazioni non sono state oggetto di valutazione ai fini della decisione della controversia.
Si tratta comunque di questione che esula dall’ambito di riferimento dell’art. 125-quinquies del T.U.B. e che pertanto, ove oggetto di disputa, va esaminata alla luce delle pertinenti disposizioni in materia.
Conclusivamente, rammentato che nella fattispecie il ricorso non può essere accolto, si enunciano i seguenti principi di diritto:
“Nel procedimento instaurato ai sensi dell’art.125-quinquies del T.U.B. incombe sul ricorrente l’onere di provare l’inadempimento di non scarsa importanza del fornitore.
Al fine di accertare il diritto del consumatore alla risoluzione del contratto di credito, il Collegio è competente a valutare incidentalmente, sulla base delle risultanze acquisite, se, con riferimento al contratto di fornitura, ricorrono le condizioni di cui all’art.1455 c.c. La risoluzione parziale del contratto di credito è ammissibile solo su esplicita domanda del ricorrente, in presenza di un adempimento parziale del contratto di fornitura con oggetto frazionabile.
In tal caso il consumatore ha diritto alla risoluzione parziale del collegato contratto di credito per la parte corrispondente al valore delle prestazioni non eseguite e al rimborso delle rate versate a copertura di tali prestazioni con il conseguente obbligo di provvedere al rimborso del prestito al netto di detto valore.
Il diritto alla restituzione delle rate pagate è precluso dalla eventualità che il finanziamento sia stato interamente rimborsato.
La domanda di risarcimento del danno, se formulata come conseguenza accessoria dell’inadempimento del fornitore, integra una pretesa estranea alla previsione dell’art.125quinquies del T.U.B., posto che l’intermediario non assume veste di coobligato o garante del fornitore stesso”.