promosso dalla Commissione di certificazione dei contratti di lavoro dell’Università Roma Tre
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FORUM permanente “Professionisti del Lavoro”
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19 ottobre 2017
CONCILIAZIONI, TRANSAZIONI, RINUNCE
Norme
Artt. 1965 --‐1976 c.c. Artt. 1230 c.c.- 1235 c.c.
Art. 2113 c.c.
Art. 2735 .c.c.
Art. 2116 c.c.
Art. 410 c.p.c.
Art. 411 c.p.c..
Art. 412--‐ter c.p.c. Art. 412--‐quater c.p.c.
Art. 31, co. 13, L. n. 183/2010. Art. 6, D. Lgs. N. 23/2015.
Art. 80, D. Lgs. n. 276/2003 Art. 82, D. Lgs. N. 276/2003.
Art. 11, D. Lgs. n. 124/2004 Art. 7, L. n. 604/1966
Art. 54. D. Lgs. n. 81/2015
Sentenze
Corte di Cassazione civile, sez. Lav., 13/09/2010, n. 00000 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx civile, sez. lav., 04/10/2007, n. 00000 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, Sez. Lav, 08/04/2014, n. 8191
Corte di Cassazione civile, sez. lav., 23/10/2013, n. 00000 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx civile, sez. lav., 22/05/2008, n. 13217 Trib. Milano, 02/03/2015
Prassi
Nota Min. Lav. 16 marzo 2016, prot. 37/5199
NORME DI LEGGE
Conciliazioni, transazioni, rinunce
FONTI NORMATIVE
Art. 1965 c. c.
Nozione
[I]. La transazione è il contratto [1350 n. 12, 2643 n. 13] col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro [764, 1304].
[II]. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti [1976].
Art. 1966 c. c.
Capacità a transigere e disponibilità dei diritti
[I]. Per transigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite [2731].
[II]. La transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti [2113 1; 806 c.p.c.].
Art. 1967 c.c. (Prova)
[I]. La transazione deve essere provata per iscritto, fermo il disposto del n. 12 dell'articolo 1350 [2725].
Art. 1968 c. c.
Transazione sulla falsità di documenti.
[I]. La transazione nei giudizi civili di falso [221 ss. c.p.c.] non produce alcun effetto, se non è stata omologata dal tribunale, sentito il pubblico ministero.
Art. 1969 c. c.
Errore di diritto
[I]. La transazione non può essere annullata per errore di diritto [1429 n. 4] relativo alle questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti.
Art. 1970 c. c.
Lesione
[I]. La transazione non può essere impugnata per causa di lesione [764 2, 1447 ss.].
Art. 1971 c. c.
Transazione su pretesa temeraria
[I]. Se una delle parti era consapevole della temerarietà della sua pretesa [96 c.p.c.], l'altra può chiedere l'annullamento della transazione [1425 ss.].
Art. 1972 c. c.
Transazione su un titolo nullo
[I]. È nulla [1418] la transazione relativa a un contratto illecito [1343 ss.], ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo.
[II]. Negli altri casi in cui la transazione è stata fatta relativamente a un titolo nullo, l'annullamento di essa può chiedersi solo dalla parte che ignorava la causa di nullità del titolo.
Art. 1973 c. c.
Annullabilità per falsità di documenti
[I]. È annullabile [1425 ss.] la transazione fatta, in tutto o in parte, sulla base di documenti che in seguito sono stati riconosciuti falsi [395 n. 2 c.p.c.].
[I]. È nulla [1418] la transazione relativa a un contratto illecito [1343 ss.], ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo.
[II]. Negli altri casi in cui la transazione è stata fatta relativamente a un titolo nullo, l'annullamento di essa può chiedersi solo dalla parte che ignorava la causa di nullità del titolo.
Art. 1974 c. c.
Annullabilità per cosa giudicata.
[I]. È pure annullabile la transazione fatta su lite già decisa con sentenza passata in giudicato [324 c.p.c.], della quale le parti o una di esse non avevano notizia [395 n. 5 c.p.c.].
Art. 1975 c. c.
Annullabilità per scoperta di documenti
[I]. La transazione che le parti hanno conclusa generalmente sopra tutti gli affari che potessero esservi tra loro non può impugnarsi per il fatto che posteriormente una di esse venga a conoscenza di documenti che le erano ignoti al tempo della transazione, salvo che questi siano stati occultati dall'altra parte.
[II]. La transazione è annullabile, quando non riguarda che un affare determinato e con documenti posteriormente scoperti si prova che una delle parti non aveva alcun diritto [395 n. 3 c.p.c.].
Art. 1976 c. c.
Risoluzione della transazione per inadempimento
[I]. La risoluzione della transazione per inadempimento non può essere richiesta se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione [1230 ss.], salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato [1453 ss.].
Art. 1230 c. c.
Novazione oggettiva.
[I]. L'obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all'obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso [1965 2, 1976].
[II]. La volontà di estinguere l'obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco
Art. 1231 c. c.
Modalità che non importano novazione.
[I]. Il rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l'apposizione o l'eliminazione di un termine [1183] e ogni altra modificazione accessoria dell'obbligazione non producono novazione [1823 2].
Art. 1232 c. c.
Privilegi, pegno e ipoteche.
[I]. I privilegi, il pegno e le ipoteche del credito originario si estinguono, se le parti non convengono espressamente di mantenerli per il nuovo credito [1233, 2878].
Art. 1233 c. c.
Riserva delle garanzie nelle obbligazioni solidali.
[I]. Se la novazione si effettua tra il creditore e uno dei debitori in solido con effetto liberatorio per tutti [1300], i privilegi, il pegno e le ipoteche del credito anteriore possono essere riservati soltanto sui beni del debitore che fa la novazione [1232]
Art. 1234 c.c. novazione.
Art. 1234 c. c.
Inefficacia della novazione
[I]. La novazione è senza effetto, se non esisteva l'obbligazione originaria [1418 ss.].
[II]. Qualora l'obbligazione originaria derivi da un titolo annullabile [1425 ss., 1448], la novazione è valida se il debitore ha assunto validamente il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originario [1444 2].
Art. 1235 c. c.
Novazione soggettiva.
[I]. Quando un nuovo debitore è sostituito a quello originario che viene liberato, si osservano le norme contenute nel capo VI di questo titolo [1268 ss.].
Art. 2113 c. c.
Rinunzie e transazioni (1).
[I]. Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide.
[II]. L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza [36 3 Cost.], entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.
[III]. Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.
[IV]. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-‐ter e 412-‐quater del codice di procedura civile (2).
(1) Articolo così sostituito dall'art. 6 l. 11 agosto 1973, n. 533. Il testo recitava: «[I]. Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o da norme corporative, non sono valide. [II]. L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro tre mesi dalla cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima. [III]. Resta salva, in caso di controversia l'applicazione degli articoli 185, 430 e 431 del codice di procedura civile».
(2) Comma modificato dall'art. 31, l. 4 novembre 2010, n. 183, che ha sostituito alle parole «ai sensi degli articoli 185, 410 e 411», le parole «ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-‐ter e 412-‐quater». L'art. 7, d.l. 12 settembre 2014 n. 132, conv., con modif. in l. 10 novembre 2014, n. 162, aveva aggiunto, in fine, la frase «o conclusa a seguito di una procedura di negoziazione assistita da un avvocato». Tale modifica è decaduta in sede di conversione.
Art. 2735 c.c.
Confessione stragiudiziale
[I]. La confessione stragiudiziale fatta alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale. Se è fatta a un terzo o se è contenuta in un testamento [587], è liberamente apprezzata dal giudice.
[II]. La confessione stragiudiziale non può provarsi per testimoni, se verte su un oggetto per il quale la prova testimoniale non è ammessa dalla legge [2721 ss.].
Art. 2116 c.c.
Prestazioni
[I]. Le prestazioni indicate nell'articolo 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali [o delle norme corporative]
[II]. Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l'imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro [1218, 2946].
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Art. 410 c. p. c.
Tentativo di conciliazione (1).
[I]. Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’articolo 413.
[II]. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
[III]. Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell’ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale.
[IV]. Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.
[V]. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall’istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte.
[VI]. La richiesta deve precisare:
1) nome, cognome e residenza dell’istante e del convenuto; se l’istante o il convenuto sono una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, l’istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;
2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l’azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;
3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;
4) l’esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.
[VII]. Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.
[VIII]. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell’articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave.
(1) Articolo così modificato dall'art. 31 l. 4 novembre 2010, n. 183. Il testo precedente recitava: «Tentativo obbligatorio di conciliazione -‐ [I]. Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione, individuata secondo i criteri di cui
all'articolo 413. [II]. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. [III]. La commissione, ricevuta la richiesta, tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta. [IV]. Con provvedimento del direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione è istituita in ogni provincia, presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell'ufficio stesso o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale. [V]. Commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalità e con la medesima composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione. [VI]. Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal precedente comma
3. [VII]. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori. [VIII]. Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale del lavoro certifica l'impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione». La rubrica era stata già sostituita dall'art. 36 d.lg. 31 marzo 1998, n. 80 mentre il primo comma, anche lui sostituito dall'art. 36 d.lg. n. 80, cit., è stato successivamente modificato dall'art. 19 8 d.lg. 29 ottobre 1998, n. 387. V. anche il nono comma dell'art. 31 della l. n. 183, per il quale le disposizioni del presente articolo, nonché degli artt. 411, 412, 412-‐ter e 412-‐quater si applicano anche alle controversie di cui all'art. 63, comma 1, d.lg. 30 marzo 2001, n. 165.
Art. 411 c. p. c.
Processo verbale di conciliazione (1).
Se la conciliazione esperita ai sensi dell’articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.
[II]. Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.
[III]. Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell’articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione e` stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.
(1) Articolo sostituito dall'art. 31, l. 4 novembre 2010, n. 183. X. xxxxx xxx. 00, xxxxx 0, x. x. 000, cit., sub art. 410. Il testo recitava: «[I]. Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal presidente del collegio che ha esperito il tentativo, il quale certifica l'autografia
della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. [II]. Il processo verbale è depositato a cura delle parti o dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato formato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto. [III]. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a cura di una delle parti o per il tramite di un'associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane la autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto». Precedentemente l'articolo era stato anche modificato dall'art. 81 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, , con effetto dalla data indicata sub art. 8.
Art. 412 -‐ ter c.p. c.
Altre modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva (1).
[I]. La conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’articolo 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
(1) Articolo inserito dall'art. 39 d.lg. 31 marzo 1998, n. 80 e successivamente sostituito dall'art. 31, l. 4 novembre 2010, n. 183. V. anche il nono comma dell'art. 31 della l. n. 183, per il quale le disposizioni del presente articolo, nonché degli artt. 411, 412, 412-‐ter e 412-‐quater si applicano anche alle controversie di cui all'art. 63, comma 1, d.lg. 30 marzo 2001, n. 165. Il testo precedente recitava: «Arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi -‐ [I]. Se il tentativo di conciliazione non riesce o comunque è decorso il termine previsto per l'espletamento, le parti possono concordare di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia, anche tramite l'organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato, se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà e stabiliscono: a) le modalità della richiesta di devoluzione della controversia al collegio arbitrale e il termine entro il quale l'altra parte può aderirvi; b) la composizione del collegio arbitrale e la procedura per la nomina del presidente e dei componenti; c) le forme e i modi di espletamento dell'eventuale istruttoria; d) il termine entro il quale il collegio deve emettere il lodo, dandone comunicazione alle parti interessate; e) i criteri per la liquidazione dei compensi agli arbitri. [II]. I contratti e accordi collettivi possono, altresì, prevedere l'istituzione di collegi o camere arbitrali stabili, composti e distribuiti sul territorio secondo criteri stabiliti in sede di contrattazione nazionale. [III]. Nella pronuncia del lodo arbitrale si applica l'articolo 429, terzo comma, del codice di procedura civile. [IV]. Salva diversa previsione della contrattazione collettiva, per la liquidazione delle spese della procedura arbitrale si applicano altresì gli articoli 91, primo comma, e 92 del codice di procedura civile». Inoltre, la rubrica ed il primo comma erano stati modificati dall'art. 19 12 d.lg. 29 ottobre 1998, n. 387.
Art. 412 -‐ quater
Altre modalità di conciliazione e arbitrato (1).
[I]. Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l’autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all’articolo 409 possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti.
[II]. Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione.
[III]. La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all’altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell’arbitro di parte e indicare l’oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda. Il ricorso deve contenere il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a sostegno della sua pretesa e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento e dei princìpi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.
[IV]. Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l’altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga, la parte che ha presentato ricorso può chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato. Se le parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o ove si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. [V]. In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l’indicazione dei mezzi di prova.
[VI]. Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.
[VII]. Il collegio fissa il giorno dell’udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti, nel domicilio eletto, almeno dieci giorni prima.
[VIII]. All’udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce, si applicano le disposizioni dell’articolo 411, commi primo e terzo.
[IX]. Se la conciliazione non riesce, il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere e assumere le prove, altrimenti invita all’immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove, il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, l’assunzione delle stesse e la discussione orale.
[X]. La controversia è decisa, entro venti giorni dall’udienza di discussione, mediante un lodo. Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui agli articoli 1372 e 2113, quarto comma, del codice civile. Il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808-‐ter. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell’articolo 808-‐ter, decide in
unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione e` la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.
[XI]. Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato nel ricorso ed è versato dalle parti, per metà ciascuna, presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell’udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l’arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell’arbitro di parte, queste ultime nella misura dell’1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92.
[XII]. I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte.
(1) Articolo sostituito dall'art. 31, l. 4 novembre 2010, n. 183. V. anche il nono comma dell'art. 31 della l. n. 183, per il quale le disposizioni del presente articolo, nonché degli artt. 411, 412, 412-‐ter e 412-‐quater si applicano anche alle controversie di cui all'art. 63, comma 1, d.lg. 30 marzo 2001, n. 165. Il testo recitava:
«Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale -‐ [I]. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale decide in unico grado il tribunale, in funzione del giudice del lavoro, della circoscrizione in cui è la sede dell'arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. [II]. Trascorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto». Precedentemente l'articolo era stato inserito dall'art. 39 d.lg. 31 marzo 1998, n. 80 e modificato dall'art. 19 14 d.lg. 29 ottobre 1998, n. 387 .
Art. 31 , L. 4 novembre 2010 , n. 183 Conciliazione e arbitrato
(Omissis)
13. Presso le sedi di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, può altresì essere esperito il tentativo di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile.
Art. 6 , D. Lgs. n. 4 marzo 2015 Offerta di conciliazione
1. In caso di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 1, al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilita' per le parti di addivenire a ogni altra modalita' di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro puo' offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, e all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non e' assoggettato a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilita' della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilita', mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L'accettazione dell'assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l'abbia gia' proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario. 2. Alle minori entrate derivanti dal comma 1 valutate in 2 milioni di euro per l'anno 2015, 7,9 milioni di euro per l'anno 2016, 13,8 milioni di euro per l'anno 2017, 17,5 milioni di euro per l'anno 2018, 21,2 milioni di euro per l'anno 2019, 24,4 milioni di euro per l'anno 2020, 27,6 milioni di euro per l'anno 2021, 30,8 milioni di euro per l'anno 2022, 34,0 milioni di euro per l'anno 2023 e 37,2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024 si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 107, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. 3. Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92, assicura il monitoraggio sull'attuazione della presente disposizione. A tal fine la comunicazione obbligatoria telematica di cessazione del rapporto di cui all'articolo 4-‐bis del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni, e' integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi da parte del datore di lavoro entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale deve essere indicata l'avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione di cui al comma 1 e la cui omissione e' assoggettata alla medesima sanzione prevista per l'omissione della comunicazione di cui al predetto articolo 4-‐bis. Il modello di trasmissione della comunicazione obbligatoria e' conseguentemente riformulato. Alle attivita' di cui al presente comma si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 80 , D. Lgs. 10 settembre 2003 , n. 276 Rimedi esperibili nei confronti della certificazione (1)
1. Nei confronti dell'atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l'atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso, presso l'autorità giudiziaria di cui all'articolo 413 del codice di procedura civile, per erronea qualificazione del contratto oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Sempre presso la medesima autorità giudiziaria, le parti del contratto certificato potranno impugnare l'atto di certificazione anche per vizi del consenso.
2. L'accertamento giurisdizionale dell'erroneità della qualificazione ha effetto fin dal momento della conclusione dell'accordo contrattuale. L'accertamento giurisdizionale della difformità tra il programma negoziale e quello effettivamente realizzato ha effetto a partire dal momento in cui la sentenza accerta che ha avuto inizio la difformità stessa.
3. Il comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia davanti alla commissione di certificazione potrà essere valutato dal giudice del lavoro, ai sensi degli articoli 9, 92 e 96 del codice di procedura civile.
4. Chiunque presenti ricorso giurisdizionale contro la certificazione ai sensi dei precedenti commi 1 e 3, deve previamente rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione che ha adottato l'atto di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile.
5. Dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, può essere presentato ricorso contro l'atto certificatorio per violazione del procedimento o per eccesso di potere.
(1) A norma dell'articolo 1, comma 29, della Legge 28 giugno 2012, n. 92, sono fatti salvi, fino alla loro cessazione, i contratti in essere che, alla data di entrata in vigore della suddetta Legge n. 92 del 2012, siano stati certificati ai sensi del presente articolo.
Art. 82 , D. Lgs. 10 settembre 2003 , n. 276
Rinunzie e transazioni (1) (2)
1. Le sedi di certificazione di cui all'articolo 76 del presente decreto legislativo sono competenti altresì a certificare le rinunzie e transazioni di cui all'articolo 2113 del codice civile a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse.
1-‐bis. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure previste dal capo I del presente titolo.
(1) Articolo modificato dall'articolo 31, comma 14, lettere a) e b), della Legge 4 novembre 2010, n. 183.
(2) A norma dell'articolo 1, comma 29, della Legge 28 giugno 2012, n. 92, sono fatti salvi, fino alla loro cessazione, i contratti in essere che, alla data di entrata in vigore della suddetta Legge n. 92 del 2012, siano stati certificati ai sensi del presente articolo.
Art. 11, D. Lgs. 23 aprile 2004, n. 124 Conciliazione monocratica
1. Nelle ipotesi di richieste di intervento ispettivo alla direzione provinciale del lavoro dalle quali emergano elementi per una soluzione conciliativa della controversia, la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente può, mediante un proprio funzionario, anche con qualifica ispettiva, avviare il tentativo di conciliazione sulle questioni segnalate.
2. Le parti convocate possono farsi assistere anche da associazioni o organizzazioni sindacali ovvero da professionisti cui abbiano conferito specifico mandato.
3. In caso di accordo, al verbale sottoscritto dalle parti non trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile.
3-‐bis. Il verbale di cui al comma 3 è dichiarato esecutivo con decreto dal giudice competente, su istanza della parte interessata (1).
4. I versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi, da determinarsi secondo le norme in vigore, riferiti alle somme concordate in sede conciliativa, in relazione al periodo lavorativo riconosciuto dalle parti, nonché il pagamento delle somme dovute al lavoratore, estinguono il procedimento ispettivo. Al fine di verificare l'avvenuto versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, le direzioni provinciali del lavoro trasmettono agli enti previdenziali interessati la relativa documentazione.
5. Nella ipotesi di mancato accordo ovvero di assenza di una o di entrambe le parti convocate, attestata da apposito verbale, la direzione provinciale del lavoro dà seguito agli accertamenti ispettivi.
6. Analoga procedura conciliativa può aver luogo nel corso della attività di vigilanza qualora l'ispettore ritenga che ricorrano i presupposti per una soluzione conciliativa di cui al comma 1. In tale caso, acquisito il consenso delle parti interessate, l'ispettore informa con apposita relazione la Direzione provinciale del lavoro ai fini dell'attivazione della procedura di cui ai commi 2, 3, 4 e 5. La convocazione delle parti interrompe i termini di cui all'articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, fino alla conclusione del procedimento conciliativo.
(1) Comma inserito dall'articolo 38, comma 1, della Legge 4 novembre 2010, n. 183.
Art. 7 , L. 15 luglio 1966 , n. 604
1. Ferma l'applicabilita', per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all'articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.
2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonche' le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
3. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l'incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile.
4. La comunicazione contenente l'invito si considera validamente effettuata quando e' recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero e' consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.
5. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.
6. La procedura di cui al presente articolo non trova applicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all'articolo 2110 del codice civile, nonche' per i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all'articolo 2, comma 34, della legge 28 giugno 2012, n.
92. La stessa procedura, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l'incontro, fatta salva l'ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro puo' comunicare il licenziamento al lavoratore. La mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione e' valutata dal giudice ai sensi dell'articolo 116 del codice di procedura civile (1).
7. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l'impiego (ASpI) e puo' essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l'affidamento del lavoratore ad un'agenzia di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), c) ed e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (2).
8. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, e' valutato dal giudice per la determinazione dell'indennita' risarcitoria di cui all'articolo 18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970,
n. 300, e successive modificazioni, e per l'applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile.
9. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all'incontro di cui al comma 3, la procedura puo' essere sospesa per un massimo di quindici giorni (3) (4).
(1) Comma sostituito dall'articolo 7, comma 4, del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 99.
(2) Cosi' corretto con Comunicato 14 luglio 2012 (in Gazz. Uff., 14 luglio, n. 163).
(3) Articolo sostituito dall'articolo 1, comma 40, della Legge 28 giugno 2012, n. 92.
(4) A norma dell'articolo 1, comma 41, della Legge 28 giugno 2012, n. 92, il licenziamento intimato all'esito del procedimento di cui al presente articolo, come sostituito dal comma 40 del medesimo articolo 1, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo e' stato avviato, salvo l'eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennita' sostitutiva; e' fatto salvo, in ogni caso, l'effetto sospensivo disposto dalle norme del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternita' e della paternita', di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Gli effetti rimangono altresi' sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato.
Art. 54 , D. Lgs. 15 giugno 2015 , n. 81
Stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto e di persone titolari di partita IVA .
Al fine di promuovere la stabilizzazione dell'occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonche' di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo, a decorrere dal 1° gennaio 2016, i datori di lavoro privati che procedano alla assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di soggetti gia' parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di soggetti titolari di partita IVA con cui abbiano intrattenuto rapporti di lavoro autonomo, godono degli effetti di cui al comma 2 a condizione che:
a) i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, o avanti alle commissioni di certificazione;
b) nei dodici mesi successivi alle assunzioni di cui al comma 2, i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.
2. L'assunzione a tempo indeterminato alle condizioni di cui al comma 1, lettere a) e b), comporta l'estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all'erronea qualificazione del rapporto di lavoro, fatti salvi gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente alla assunzione.
SENTENZE E
Prassi
Cassazione civile, sez. lav., 23/09/2010, n. 20146
In tema di obblighi previdenziali, qualora sia intervenuta una conciliazione giudiziale relativa alla definizione delle pendenze riconducibili alla cessazione ed estinzione del rapporto di lavoro subordinato sottostante, il negozio transattivo stipulato ha le parti ha natura novativa in quanto costituisce l'unica ed originaria fonte dei diritti e degli obblighi successivi alla risoluzione. Ne consegue che le somme dovute al lavoratore, ancorché aventi natura retributiva, sono disancorate dal preesistente rapporto, con l'ulteriore conseguenza che, nella vigenza dell'art. 12 l. n. 169 del 1963, applicabile "ratione temporis" tale importo non può essere computato per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxx -‐ Presidente -‐
Xxxx. XXXXXX Xxxxxxxx -‐ rel. Consigliere -‐
Dott. DI XXXXXX Xxxxxxxx -‐ Consigliere -‐
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxxx -‐ Consigliere -‐
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxxxx -‐ Consigliere -‐ ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso proposto da:
O.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
VALADIER 44, presso lo studio dell’avvocato XXXXXXXXX XXXXXXXXX, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;
-‐ ricorrente -‐
contro
A.I., elettivamente domiciliatali ROMA, VIA XXXX XXXXX 7, presso lo studio dell’avvocato XXXXXXXXX XXXXXXX, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato XXXXXX XXXXXXX, giusta mandato a margine del controricorso;
-‐ controricorrente -‐
avverso la sentenza n. 5993/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/10/2005 r.g.n. 4297/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/07/2010 dal Consigliere Xxxx. XXXXXXXX XXXXXX;
udito l’Avvocato XXXXXXXXX XXXXXXXX;
udito l’Avvocato XXXXX XXXXXXXXX per delega XXXXXX XXXXXXX;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. XXXXXX Xxxxxxx che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 18.12.2000 al Tribunale del lavoro di Roma, O. M., premesso di aver adito il Giudice con altro, precedente ricorso al fine:
a) di ottenere il pagamento di differenze retributive di cui era rimasta creditrice nei confronti del proprio datore di lavoro ( A.M.) e, successivamente dell’erede di quest’ultimo, A.I.;
b) di ottenere la declaratoria dell’inefficacia del licenziamento intimatole verbalmente in data 8.1.1996;
c) di tener presente che la controversia era stata transatta in sede giudiziaria, in data 30.6.1999 nel quale era previsto che la controparte -‐ le corrispondesse la somma di L. 200 milioni in cambio della rinuncia alle domande dedotte in giudizio.
Xxx’ premesso, la ricorrente osservava che la somma indicata titolo transattivo trovava fondamento nel precorso rapporto di lavoro ed era da ritenere assoggettata a contribuzione previdenziale. Xxxxxxxx, pertanto, la condanna della A.I. a versare all’INPS l’importo corrispondente ai contributi previdenziali omessi e non prescritti, esigibili sulla maggiore retribuzione riconosciuta nella transazione, nonche’ la condanna della erede A.I. al risarcimento, ex art. 2116 c.c. del danno subito per omesso versamento dei contributi previdenziali prescritti.
Costituitasi in giudizio, la convenuta invocava il rigetto della domanda attrice, assumendo che in presenza di una transazione di contenuto "novativo" non era possibile ascrivere agli importi erogati natura retributiva.
Con sentenza 19.9.2002, il Tribunale di Roma accoglieva la domanda della O. rilevando che la transazione non aveva immutato l’originario rapporto di lavoro e, che le somme corrisposte, aventi natura retributiva, dovevano essere assoggettate a contribuzione L. n. 169 del 1963, ex art. 12.
Avverso detta sentenza proponeva appello l’ A. lamentando: a) col primo motivo, l’erroneita’ della decisione, nella parte in cui aveva respinto l’eccezione di inammissibilita’ della domanda per preclusione ex art. 2113 c.c.;
b) l’erroneita’ della medesima sentenza nella parte in cui non aveva ritenuto la natura novativa della transazione;
c) l’illegittimita’ della decisione nella parte in cui aveva dichiarato ammissibile l’azione risarcitoria della O. ai soli fini della condanna generica;
d) l’omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale spiegata dalla convenuta, con la quale quest’ultima aveva chiesto, in subordine, la condanna della controparte a mallevarla e a risarcirla, anche a titolo di ingiustificato arricchimento, per ogni somma posta a suo carico.
Con sentenza del 14.10.2005, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza impugnata, ha respinto l’originaria domanda, compensando le spese di lite del doppio grado tra le parti.
Avverso la sentenza di appello ricorre per cassazione la O. articolando cinque motivi. Resiste l’ A. con controricorso e successiva memoria illustrativa depositata, ex art. 378 c.p.c., in prossimita’ dell’udienza.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, la O. -‐ denunciando l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio -‐ osserva che la sentenza della Corte di appello e’ errata perche’, affermando che con il verbale di conciliazione la O. avrebbe rinunziato ad ogni diritto connesso al precorso rapporto, ha esaminato il verbale di conciliazione senza tener conto del paragrafo 15 del ricorso introduttivo nel quale la O. aveva inserito la seguente clausola "ci si riserva di agire in separata sede per far valere ogni ulteriore diritto spettante alla ricorrente costituendo il presente atto formale messa in mora";
precisazione, questa, con la quale la O. certamente non aveva rinunciato alla domanda relativa al versamento dei contributi previdenziali.
Col secondo motivo -‐ deducendo l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa altri fatti controversi e decisivi per il giudizio -‐ si osserva che nel verbale di conciliazione le parti hanno voluto precisare espressamente che la somma convenuta fosse "netta". Inoltre nel verbale di conciliazione le parti non hanno indicato a quale titolo sia stata erogata la somma convenuta.
Col terzo motivo la ricorrente rileva che la sentenza di appello e’ illegittima anche per violazione della L. n. 169 del 1969, art. 12 che obbliga il datore di lavoro a versare i contributi su tutte e somme di natura retributiva corrisposte in dipendenza dei rapporti di lavoro.
Secondo Xxxx. n. 4809 del 1985 "a norma dell’art. 12 anche in presenza di una transazione intervenuta a
seguito di lite giudiziaria l’indagine del giudice sulla natura retributiva o meno di determinate somme erogate al lavoratore non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni.
Ad una fattispecie del tutto identica a quella presente, la Cass. (sent. n. 710/1999) ha escluso il carattere novativo della transazione in quanto "i rapporti di lavoro dedotti in giudizio non erano mutati ne’ per il titolo, ne’ per l’oggetto, ma erano stati diversamente disciplinati. Tale e’ il caso di specie nel quale l’accordo transattivo si e’ limitato a precisare che la somma complessiva netta di L. 200 milioni e’ convenuta "a totale e
definitivo saldo, stralcio, tacitazione, e rinuncia ad ogni azione e qualsiasi diritto nel ricorso introduttivo del presente giudizio".
Con il quarto e quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2113 e 2116 c.c. Quanto alla prima norma si osserva che i crediti per contributi assicurativi obbligatori sono indisponibili, e quindi non possono essere oggetto di transazione ne’ di rinunzia.
Quanto alla seconda norma, la sentenza di appello e’ illegittima per violazione dell’art. 2116 c.c., comma 2 il quale obbliga il datore di lavoro a risarcire il danno subito dal lavoratore nel caso in cui l’Inps, per mancata o irregolare contribuzione non sia tenuto a corrispondere (in tutto o in parte) le prestazioni previdenziali dovute.
Alle censure formulate dalla O. replica l’ A. con controricorso nei seguenti termini:
1) Il presente giudizio non si riferisce ad insufficiente e/o omessa contribuzione previdenziale sulle retribuzioni regolarmente percepite dalla O. nel corso del suo rapporto di lavoro dal 1981 al gennaio 1996. Tale contribuzione e’ stata regolarmente versata dalla ricorrente, ma si riferisce solo a pretesa contribuzione sulla somma pattuita e percepita con la conciliazione, somma che, a dire della ricorrente, avrebbe natura retributiva.
2) La formula della transazione e’ assolutamente ampia, tale da esaurire tutte le pretese della O. comunque deducibili dal rapporto di lavoro.
3) La transazione riguarda non solo i diritti azionati, ma anche ogni diritto attinente al precorso rapporto di lavoro, compreso quello relativo al preteso risarcimento danni per asseriti contributi prescritti.
4) Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte di appello non ha omesso di valutare il fatto che la somma accettata in transazione era stata pattuita come "netta" e che nella medesima transazione non e’ indicato il titolo della erogazione per cui si tratterebbe di transazione "non novativa". Al contrario, la Corte territoriale e’ stata rispettosa di tutti i criteri ermeneutici, ne’ alcuna violazione di tali criteri e’ stata dedotta dalla ricorrente:
trattasi pertanto di questioni di fatto non sindacabili in sede di legittimita’.
5) Xxxxx pretesa violazione della L. n. 153 del 1969, art. 12 vale quanto affermato dalla sentenza di appello sulla "transazione novativa" (cfr. Cass. n. 4811/99) con la precisazione che l’accertamento dell’animus novandi costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’ se sorretto da adeguata e congrua motivazione (Cass. n. 4008/2006).
Va sottolineato che la pretesa contribuiva della ricorrente non e’ affatto un diritto inderogabile, poiche’ tale contribuzione non e’ richiesta su somme pacificamente ricevute a fronte di attivita’ lavorativa espletata, ma solo pretesa su somme a sua volta solo pretese e che nessun giudice ha accertato essere dovute. La pretesa di trasferire l’obbligazione contributiva sulla somma percepita a titolo conciliativo e’ del tutto pretestuosa e non sorretta da alcuna circostanza ne’ di fatto ne’ di diritto.
Non invocabile e’ la sentenza n. 710/1999 citata dalla ricorrente (supra punto 3): trattasi di fattispecie diversa, riguardante una conciliazione in cui una parte accetta espressamente il licenziamento intimato all’altra, mostrando cosi’ il legame con il rapporto precedente, per cui la conciliazione, in quel caso, non ha effettivamente natura novativa.
6) Infondata e’ altresi’ la pretesa violazione dell’art. 2113 c.c. poiche’ nel presente caso non si verte in materia di conciliazione su diritti indisponibili, atteso che i contributi previdenziali obbligatori, xxxx’ i contributi dovuti sulle retribuzioni effettivamente percepite dalla O. nel corso dell’intero rapporto di lavoro, sono stati regolarmente assolti. Pertanto la sentenza di appello non ha violato l’art. 2113 c.c. ne’, avendo negato la natura retributiva della somma erogata in conciliazione, ha legittimato l’elusione del pagamento dei contributi.
7) Xxxxxx, infine all’art. 2116 c.c. osserva la resistente che la corte d’appello non e’ incorsa in alcuna violazione: la censura muove dal presupposto -‐ non accettabile -‐ che la somma di L. 200 milioni abbia natura retributiva e che essa costituirebbe specifica integrazione retributiva afferente al periodo 1981 -‐ 1996.
In proposito, la giurisprudenza di legittimita’ ha escluso che le somme versate in via transattiva giudiziale costituiscano retribuzione imponibile.
Il ricorso non e’ fondato con riferimento ad alcuno dei motivi denunciati.
Va premesso che nel giudizio conclusosi con la transazione l’attrice aveva formulato due domande nei confronti della A.: a) di condanna al pagamento della complessiva somma di L. 165.101.204 per differenze
retributive, mensilita’ aggiuntive e t.f.r.; b) di accertamento della nullita’ ed inefficacia del licenziamento verbale e del diritto al ripristino della funzionalita’ del rapporto di lavoro. Questo il tenore testuale del verbale della conciliazione giudiziale:
"La parte convenuta offre a titolo conciliativo la somma complessiva di L. 200.000.000 che la ricorrente accetta a totale e definitivo saldo, stralcio, transazione, tacitazione e rinunzia ad ogni azione ed a qualsiasi titolo dedotto nel ricorso introduttivo del presente giudizio, o, comunque nel medesimo giudizio azionato nei confronti della sig.ra A. in proprio e nella qualita’ La sig.ra O. accetta la somma come sopra indicata a
totale e definitivo stralcio, transazione, tacitazione e rinunzia ad ogni azione e a qualsiasi titolo dedotto nel ricorso introduttivo del presente giudizio o, comunque nel giudizio medesimo azionato nei confronti della sig.ra A..........Con la sottoscrizione del presente atto cessa la materia del contendere e, pertanto, le parti chiedono che venga dichiarata l’estinzione del processo Con il buon esito del pagamento, la sig.ra O. non
avra’ null’altro a pretendere per alcun titolo dedotto in ricorso e qualunque altra ragione o/e azione scaturente in via diretta o mediata dal rapporto dedotto in giudizio.
In virtu’ della formulazione testuale, l’espressione "rinunzia ad ogni azione e a qualsivoglia titolo dedotto nel ricorso introduttivo.....sta ad indicare che l’accordo conciliativo era diretto proprio a prevenire non solo l’accertamento giudiziale della fondatezza delle pretese della ricorrente, ma anche l’insorgere di altre controversie concernenti diritti comunque riconducibili all’intercorso rapporto di lavoro, ormai definitivamente cessato.
L’accordo transattivo in esame rientra nello schema della transazione novativa la cui caratteristica e’ di essere -‐ al pari della transazione propria -‐un negozio di secondo grado, ma non un negozio "ausiliario", ancorche’ "principale" con la conseguenza che i diritti e gli obblighi delle parti avranno, come "unica fonte" il contratto di transazione e non, come la transazione propria, il fatto causativo del rapporto originario. Ne consegue che al fine della L. n. 169 del 1963, art. 12 (nel testo vigente all’epoca), la somma dovuta -‐ ancorche’ avente natura retribuiva in esecuzione di una transazione novativa, in quanto del tutto disancorata dal preesistente, estinto rapporto, non puo’ essere considerata come "corrisposta in dipendenza del rapporto di lavoro" ormai scomparso dalla "scena giuridica" con l’ulteriore conseguenza che non puo’ essere computata per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale (conf. Cass., n. 5313 del 1996).
Questa Corte (sent. ult. cit.) ha chiarito che, per determinare il carattere novativo o conservativo della transazione, occorre accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano o meno inteso addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, diretto a costituire, in sostituzione di quello precedente, nuove ed autonome statuizioni. Tale accertamento — riservato al giudice di merito -‐ risulta compiuto dalla Corte di appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, in base ad elementi interpretativi desunti dalla volonta’ delle parti e dal tenore delle clausole contrattuali, valutando specificamente la compatibilita’ della transazione con le obbligazioni scaturenti dal precedente rapporto.
Avverte la sentenza della Corte di appello qui impugnata, che, nel caso in esame il rapporto di lavoro -‐ che le parti ritengono ormai definitivamente cessato il che e’, tra l’altro, desumibile dal complessivo tenore dell’accordo che non contempla alcuna riassunzione o riammissione al lavoro -‐ assume le caratteristiche di un antefatto storico che, pur avendo dato origine al giudizio, non costituisce piu’ la fonte delle nuove obbligazioni, reciprocamente assunte dalle parti in sede di conciliazione.
In particolare la somma di L. 200.000.000 non risulta pattuita in favore della O. a titolo di riconoscimento -‐ totale o parziale di singoli diritti fatti valere in giudizio, non essendo a cio’ sufficiente il fatto che la conciliazione sia intervenuta nel corso e a definizione del processo in cui erano azionati diritti specifici. La somma risulta, pertanto, convenuta proprio al fine di evitare e prevenire l’accertamento giudiziale avente ad oggetto le pretese della ricorrente, le quali erano state contestate dalla, convenuta e sulle quali nessuna pronuncia e’ piu’ intervenuta. ...
In conclusione, con il verbale di conciliazione le parti non hanno pattuito una nuova regolamentazione del rapporto di lavoro -‐ la quale, altrimenti, sarebbe rimasta esposta all’operativita’ di tutte le norme speciali invocate dalla O. nel ricorso -‐ ma hanno convenuto una diversa ed autonoma obbligazione, con rinuncia, da parte della ricorrente "di ogni diritto azionato e non, connesso al precorso rapporto".
Da quanto precede non puo’ essere accolto il ricorso promosso dalla O. avverso la sentenza n. 5993 del 14 ottobre 2005 della Corte di appello di Roma, con attribuzione delle spese a carico della ricorrente, nelle misure di cui al dispositivo che segue.
P.Q.M.
LA CORTE respinge il ricorso; pone a carico della ricorrente le spese del presente giudizio pari ad Euro 50,00 oltre ad Euro 2.000,00 per onorari e altri accessori di legge.
Xxxx’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 luglio 2010. Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2010
Cassazione civile, sez. lav., 04 / 10 / 2007 , n . 20780
Perché l'accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro possa qualificarsi atto di transazione è necessario che contenga lo scambio di reciproche concessioni, sicché, ove manchi l'elemento dell'”aliquid datum, aliquid retentum”, essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non è configurabile.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXX Xxxxxxxxx -‐ Presidente -‐
Xxxx. XXXXX Xxxxxx -‐ Consigliere -‐ Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxxxxx Xxxxxxx -‐ Consigliere -‐ Dott. DI XXXXXX Xxxxxxxx -‐ Consigliere -‐ Dott. STILE Xxxxx -‐ rel. Consigliere -‐ ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA XXXXX XXXX 2, presso lo studio dell'avvocato XXXXXXXXX XXXXXXXX XXXXX, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
-‐ ricorrente -‐
contro
RAI -‐ RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA X.XX XXXXXXXX XXXXXXXX 326, presso lo studio dell'avvocato XXXXXXXXXXXX XXXXXX, che la rappresenta difende unitamente all'avvocato XXXXXXXXXXXX XXXXXXX, giusta delega in atti;
-‐ controricorrente -‐
avverso la sentenza n. 36861/03 del Tribunale di ROMA, depositata il 25/11/03 -‐ R.G.N. 9078/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/05/07 dal Consigliere Dott. Xxxxx XXXXX;
udito l'Avvocato ASSENNATO; udito l'Avvocato SCOGNAMIGLIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Pretore di Roma depositato depositato il 5 febbraio 1996, F.C., premesso di essere stato dipendente della RAI, esponeva di avere in precedenza intentato anione nei confronti del datore di lavoro al fine di far dichiarare l'avvenuto inizio del rapporto lavorativo in data 27 giugno 1956 anzichè il
26 febbraio 1957, con conseguente accertamento del diritto all'adeguamento della retribuzione percepita, al ricalcolo degli scatti di stipendio e dei passaggi automatici di carriera e con accertamento della omissione contributiva e diritto alla costituzione della rendita ex L. n. 1338 del 1962, art. 13. Aggiungeva che il giudizio così intrapreso si era concluso, a seguito di rinvio da parte della Corte di Cassazione, con sentenza del Tribunale di Civitavecchia del 27.11.1992 -‐ 22.5.1994, con la quale era stata accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti anche nel sopra indicato periodo, e che, quindi, egli era rimasto creditore della somma di L. 528.842, oltre accessori, per differenze retributive 1956/1957 e della somma di L. 316.923, oltre accessori, per differenze nel periodo 1957/31.3.66 relative alla diversa anzianità di servizio sulla retribuzione (scatti di anzianità ecc.), ed oltre al danno ex art. 2116 c.c. pari a L. 12.312.063. essendo stato omesso ogni versamento previdenziale per tale periodo ed avendo esso ricorrente ricevuto dall'Enpals un trattamento pensionistico inferiore a quello spettante.
Xxxxxxxx, pertanto, al Pretore adito la condanna della Rai al pagamento, in suo favore, delle somme specificate.
La convenuta, costituitasi, eccepiva preliminarmente che tra le parti era intervenuta una transazione e che comunque il diritto vantato era prescritto per decorso del termine quinquennale o anche decennale a far data dall'ultima omissione contributiva.
Il Pretore, con sentenza del 26 febbraio 1998. dichiarava inammissibile la domanda ritenendo che su ogni pretesa fosse intervenuto accordo transattivo.
Con atto depositalo l'8 marzo 1999, il F. proponeva appello, ribadendo le proprie argomentazioni difensive e contestando la motivazione addotta dal primo Giudice.
Chiedeva quindi la integrale riforma della sentenza impugnata con condanna della RAI al pagamento delle somme di cui al ricorso introduttivo.
L'appellata resisteva al gravame chiedendone il rigetto.
Con sentenza del 18 - ‐ 25 novembre 2003. l'adito Tribunale di Roma, ritenuto che una corretta interpretazione dell'atto formalmenle denominato "quietanza" induceva a considerarlo espressione di una volontà conciliativa, stante la piena consapevolezza -‐ come desumibile da un pluralità di circostanze
-‐ da parte del lavoratore dei diritti che si intendevano transigere, rigettava l'appello.
Per la Cassazione di tale pronuncia ricorre il lavoratore soccombente con un unico motivo. Resiste la Rai con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c.. Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo, il ricorrente addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ravvisate nell'art. 1362 c.c. e segg., nell'art. 1965 c.c., e nell'art. 2113 c.c.), nonchè motivazione, omessa insufficiente e contraddittoria.
Richiamata la motivazione della decisione di appello, lamenta, in particolare, il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe violato i canoni legali di ermeneutica contrattuale, omettendo di considerare compiutamente e correttamente il dato letterale della dichiarazione e di motivare in ordine ad un elemento fondamentale nell'interpretazione dei valore della medesima.
Più precisamente -‐ ad avviso del ricorrente -‐, il Tribunale non aveva considerato che l'importo riportato nella dichiarazione di quietanza era identico a quello dovuto a titolo di t.f.r.; e tale corrispondenza doveva ritenersi significativa del fatto che la dichiarazione non poteva avere valore di transazione, per il difetto del presupposto delle reciproche concessioni, che l'art. 1965 c.c. contempla quale elemento essenziale del detto contratto.
Nè si sarebbe potuto attribuire significato transattivo all'atto di quietanza sulla base della circostanza che, al momento della sottoscrizione dell'atto, vi era una sentenza del Tribunale di Civitavecchia, che aveva accertato che il rapporto di lavoro di lavoro era iniziato prima della formale assunzione, tanto più nel caso di specie in cui vi erano elementi inequivoci da cui emergeva l'inesistenza della volontà abdicativa dei diritti azionati.
Lo stesso tenore letterale dell'atto, considerato che il medesimo non menzionava affatto la sentenza ed i diritti azionati e che la somma corrispondeva esattamente a quanto dovuto a titolo di t.f.r., non lasciava adito a dubbi circa la semplice natura di quietanza del t.f.r.: e ciò tanto più alla stregua della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la dichiarazione liberatoria con cui il lavoratore da atto di avere ricevuto quanto spettantegli e di non aver altro a pretendere dal proprio datore di lavoro ha normalmente il contenuto di una dichiarazione di scienza o di opinione.
Nello stesso ordine di idee, doveva essere apprezzata la circostanza che l'atto in questione era stato predisposto unilateralmente dalla Rai, dovendo pertanto trovare applicazione il canone ermeneutico dell'art. 1370 c.c. Il motivo è fondalo nei termini che seguono.
Si deve innanzi tutto osservare che -‐ secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte -‐ l'accertamento, da parte del giudice di merito, della natura transattiva o meno di una "quietanza" non è
censurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e scevra da vizi logico -‐ giuridici (cfr., in tal senso, tra le tante. Cass. 5 dicembre 1997, n. 12374).
Tale proposizione, del resto, costituisce l'ineludibile corollario della natura di apprezzamento interpretativo della comune intenzione dei contraenti e, comunque, della volontà del dichiarante di quello che è, a tale stregua, rimesso al giudice del merito: ed è fin troppo noto che, a sua volta, l'interpretazione di un contratto più in generale, di un atto di autonomia privata non è sindacabile in sede di legittimità se so fretta da motivazione congrua ed adeguata e se condotta in conformità alla regole ermeneutiche di legge (cfr.
in luogo di moltissime altre. Cass. 26 gennaio 2002. n. 975; Id. 3 dicembre 2001, n. 15274; Id. 29 marzo 2001, n. 4667).
Nel caso in esame, tuttavia, il Giudice d'appello nella sentenza gravata ha omesso di motivare sulla circostanza, idonea ad acquisire connotati di rilevanza e decisività, che la somma menzionata nella dichiarazione sottoscritta dal F. corrisponde esattamente all'ammontare dovuto al lavoratore dell'azienda a titolo di t.f.r.;
circostanza, questa, dedotta -‐ come puntualmente rilevato dal ricorrente -‐ a p. 8 del ricorso in appello. Tale corrispondenza ben potrebbe costituire significativo indice che Patto non abbia valore di transazione, sicchè la dichiarazione di voler transigere ogni diritto derivante dal l'intercorso rapporto di lavoro sia soltanto clausola di mero stile.
E' principio del nostro ordinamento giuridico (confermato dalla giurisprudenza costante) che affinchè un atto possa qualificarsi "atto di transazione" è necessario lo scambio di reciproche concessioni con la controparte", sicchè, ove manchi l'elemento dell'aliquid datum aliquid relentum, essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non è configurabile.
Avendo, dunque, la sentenza impugnata omesso di valutare e comunque di considerare uno dei punti di contestazione presente nell'atto di appello proposto dal lavoratore, costituito dalla dedotta coincidenza tra quanto corrisposto dal datore di lavoro nel preteso atto di transazione e quanto spettante per t.f.r., il ricorso deve essere accolto; e ciò, del resto, in conformità, con le richieste del P.M. ex art. 375 c.p.c., anche se poi il Collegio ha ritenuto opportuno rimettere la causa alla P.U..
L'impugnata sentenza va, quindi, cassata per il riesame con rinvio ad altro giudice d'appello, come designato in dispositivo, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2007. Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2007
Corte di Cassazione, Sez. Lav, 08 / 04 / 2014 , n. 8191
Perché l’accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro possa qualificarsi atto di transazione è necessario che contenga lo scambio di reciproche concessioni, sicchè, ove manchi l'elemento dell'aliquid datum, aliquid retentum, essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non è configurabile, pur non essendo tale elemento da rapportare agli effettivi diritti delle parti, bensì alle rispettive pretese e contestazioni,, sicchè non è necessaria l'esistenza di un equilibrio economico tra le reciproche concessioni.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxxx -‐ Presidente -‐ Dott. TRIA Lucia -‐ rel. Consigliere -‐ Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxx -‐ Consigliere -‐
Dott. XXXXXXX Xxxx -‐ Consigliere -‐
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxx -‐ Consigliere -‐ ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 15670-‐2010 proposto da:
F.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell'avvocato XXXXXXXXXX XXXXX, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
-‐ ricorrente -‐
contro
RAI -‐ RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A. C.F. (XXXXXXX), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XXXXXX 14, presso lo studio dell'avvocato D'XXXXXXXXXXXX XXXXXXX, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato XXX XXXXXXXXX, giusta delega in atti;
-‐ controricorrente -‐ avverso la sentenza n. 9786/2009 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 19/03/2010 r.g.n. 3422/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2013 dal Consigliere Dott. XXXXX XXXX;
udito l'Avvocato XXXXXXXXXX XXXXX;
udito l'Avvocato D'XXXXXXXXXXXX XXXXXXX;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxx, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.-‐ La sentenza attualmente impugnata respinge l'appello di F. G. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 7338 dell'11 aprile 2006, di rigetto della domanda del F., diretta ad ottenere le dichiarazioni di:
1) elusione, da parte della RAI-‐ Radiotelevisione Italiana (d'ora in poi: RAI), della normativa i cui alla L. n. 230 del 1962 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 nella stipulazione con il ricorrente, a partire dal 2 giugno 1999, di una serie ininterrotta di contratti di lavoro a tempo determinato, di cui l'ultimo ancora in corso al momento della proposizione del ricorso introduttivo del giudizio (depositato il 30 maggio 2005), tutti relativi alla collaborazione alla realizzazione di rubriche sportive prive del carattere della specificità; 2) nullità o comunque di illegittimità delle clausole di apposizione del termine apposte ai suddetti contratti; 3) esistenza, a partire dalla data della stipulazione del primo di tali contratti, di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con la conseguente condanna della RAI al pagamento delle differenze retributive maturate in considerazione della effettiva anzianità di servizio.
La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) con il primo motivo di appello il F. sostiene l'erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto valida -‐ solo perchè stipulata in sede sindacale, con le garanzie di cui all'art. 2113 cod. civ. -‐ la transazione in data 19 settembre 2002, nonostante assoluta indeterminatezza del relativo oggetto, il difetto di reciproche concessioni, la violazione di norme di legge inderogabili;
b) ad avviso del ricorrente, in particolare, non esisteva alcuna res litigiosa nè attuale nè potenziale, la rinuncia del lavoratore a far valere i propri diritti derivanti dai pregressi contratti con la RAI è estremamente generica, l'impegno della società ad una nuova assunzione con contratto di lavoro a termine non poteva essere considerata un adeguato compenso rispetto alla suddetta rinuncia del F.;
c) la censura è infondata infatti il tenore letterale delle espressioni usate nel verbale di conciliazione non lasciano margini di dubbio sulla effettiva volontà dei contraenti e sulla riconducibilità del regolamento contrattuale nello schema tipico delineato dall'art. 1965 cod. civ., nel quale la "lite" oggetto della transazione può essere anche quella "potenziale";
d) d'altra parte l'espressa menzione dei singoli contratti pregressi e il richiamo a tutte le questioni ad essi riferibili rispondono al requisito della specificità dell'oggetto del negozio transattivo e, inoltre, è da escludere che faccia difetto la reciprocità delle concessioni, perchè la nuova assunzione costituiva di per sè una utilità per il lavoratore, il quale altrimenti sarebbe stato estromesso dall'azienda;
e) comunque, come sottolineato dal primo giudice, la normativa di riferimento limita il divieto di transazione ad ipotesi particolari, specificamente individuate, tra le quali non rientra l'assunzione del lavoratore;
f) al rigetto del primo motivo consegue l'assorbimento di tutte le questioni relative alla legittimità dei contratti a termine conclusi prima della stipula del verbale di conciliazione, questioni non più prospettabili, essendo il relativo esame precluso dall'accordo transattivo;
g) è da respingere anche il secondo motivo, con il quale si rileva che il primo giudice avrebbe dovuto affermare il carattere fraudolento -‐ derivante dalla finalizzazione ad una illegittima modifica della causale dell'assunzione a termine -‐ della risoluzione consensuale sottoscritta il 17 dicembre 2003;
h) dalle dichiarazioni rese dal F. in sede di interrogatorio libero si evince la sua consapevolezza di porre fine al rapporto in precedenza instaurato essendo interessato a lavorare ad una nuova rubrica e la circostanza che le parti avessero in precedenza concordato una nuova assunzione diretta a consentire la realizzazione di un programma diverso da quello indicato nel contratto risolto non vale ad escludere la volontarietà della risoluzione nè porta ad affermare l'illiceità di essa, perchè nulla induce a ritenere che l'unico intento dell'azienda fosse quello di modificare fraudolentemente la causale del contratto, essendo invece emerso che anche il lavoratore era interessato a realizzare la nuova rubrica (non compresa nel precedente contratto);
i) con il terzo motivo -‐ riguardante gli ultimi due contratti, sottoscritti rispettivamente il 2 gennaio e il 21 settembre 2004, nei quali nelle clausole di durata si richiama l'Accordo RAI-‐USIGRAI del 22 ottobre 2001, concordato in applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 -‐ il F., riproponendo argomenti difensivi illustrati in primo grado nelle note autorizzate del 28 febbraio 2006, sostiene la non riconducibilità dell'Accordo in oggetto -‐ perchè di carattere aziendale -‐ alla previsione dell'art. 23 cit., comunque la non ricomprendibilità di telegiornali e notiziari sportivi nella sfera di applicazione della clausola del suddetto Accordo relativa ai contratti a termine; la sussistenza dell'onere a carico della RAI di fornire la prova di tutti i requisiti legittimanti il ricorso al rapporto a termine, avendo il lavoratore contestato la legittimità formale e sostanziale dei contratti stipulati;
l) va osservato, in primo luogo, che l'appello è privo di una censura specifica sulla questione di carattere pregiudiziale inerente la tardività delle eccezioni (in quanto relative a profili non espressamente trattati nell'atto introduttivo del giudizio), affermata dal primo giudice, sicchè questo già di per sè impone l'integrale conferma della sentenza impugnata, sul punto;
m) si deve anche aggiungere che, peraltro, la suddetta statuizione deve considerarsi corretta, in quanto nell'azione diretta all'accertamento dell'illegittimità della clausola di apposizione del termine di un
contratto di lavoro ove, nel ricorso introduttivo, si faccia riferimento ad una causa di nullità (nella specie:
violazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, lett. e, per mancanza del requisito della specificità del programma nonchè dell'ari. 3 del CCNL di lavoro giornalistico) non può essere dedotta nel corso del giudizio una diversa ragione di nullità, la quale non può essere rilevata neppure d'ufficio dal giudice;
n) nella specie, poichè nei contratti della cui validità si discute, vi era un espresso riferimento al suddetto Accordo, era onere del F. di allegare nell'atto introduttivo tutte le questioni prospettate soltanto in occasione del deposito delle note autorizzate, questioni che non sono state neppure avanzate in sede di contestazione della memoria difensiva della RAI, essendosi, nell'occasione, il lavoratore limitato ad una generica contestazione di tutte le deduzioni avverse.
2-‐ Il ricorso di F.G., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per sei motivi; resiste, con controricorso, la RAI-‐Radiotelevisione Italiana s.p.a.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 -‐ Sintesi dei motivi di ricorso.
1.-‐ Il ricorso è articolato in sei motivi.
1.1.-‐ Con il primo e il secondo motivo -‐ con riguardo alla mancata dichiarazione della nullità della transazione risultante dal verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale il 19 settembre 2002, per assenza di concessioni da parte della RAI, a fronte della rinuncia del lavoratore a far valere qualsiasi diritto o pretesa riferibile ai precedenti rapporti intercorsi tra le parti -‐ si denunciano: a) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1965 x.x., xxx. 0000 x.x., x. 0, art. 1418 c.c., comma 2, art. 2094 cod. civ., nonchè dell'art. 36 Cost.;
b) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di punti decisivi della controversia e illogicità della motivazione.
Si sostiene che -‐ diversamente da quanto affermato dalla Corte d'appello -‐ la nuova assunzione cui si è obbligata la RAI non poteva essere considerata come un adeguato compenso rispetto alla rinuncia del lavoratore ai propri diritti nascenti dai precedenti contratti a termine perchè il contratto di lavoro "è tecnicamente a somma zero, nel senso che quanto riceve il lavoratore a titolo di retribuzione è l'esatto equivalente di quanto egli rende in termini di prestazione lavorativa".
Pertanto, essendo le reciproche obbligazioni dei contraenti del tutto equivalenti, la suddetta assunzione non poteva essere configurata come "concessione" da parte della RAI, ai fini della sussistenza di una valida transazione, tanto più che essa era già stata concordata tra le parti prima della sottoscrizione del verbale di conciliazione, precisamente il 4 settembre 2002.
La Corte romana ha del tutto omesso di valutare tale ultimo elemento e quindi non ha considerato neppure che, anche da questo punto di vista, avrebbe dovuto escludersi una valida transazione, visto che le condizioni pattuite per l'assunzione contemplata nel verbale di conciliazione erano identiche a quelle in precedenza concordate, sicchè non poteva rinvenirsi alcun vantaggio ulteriore per il ricorrente. 1.2.-‐ Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., nonchè della L. n. 230 del 1962, art. 1, della L. n. 56 del 1987, art. 23 del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1.
Si sostiene che la affermazione della Corte territoriale secondo cui l'assunzione a termine del 4 settembre 2002 costituiva una valida contropartita alla rinuncia del lavoratore di cui si è detto ai fini della transazione menzionata -‐ già contestata nel secondo motivo -‐ avrebbe dato luogo ad una omessa pronuncia per mancata valutazione delle condizioni dell'assunzione e quindi dell'inesistenza di una utilità aggiuntiva per il F. (oggetto di una specifica censura, formulata nell'atto di appello).
Inoltre, la Corte romana sarebbe incorsa in una violazione della disciplina concernente la legittima apposizione del termine al contratto di lavoro, che in nessuna delle normative legali succedutesi nel tempo, consente di effettuare l'assunzione a termine a scopo meramente transattivo.
Non è, infatti, possibile che l'apposizione del termine abbia una doppia causale. Quella dell'assunzione del 4 settembre 2002 (in oggetto) è giustificata -‐ come risulta dal testo del contratto -‐ dalla necessità
della RAI di avvalersi delle prestazioni del ricorrente per i programmi indicati. Pertanto, non può considerarsi come prevista quale contropartita della rinuncia del lavoratore ai suoi pregressi diritti. Infatti, se fosse valida tale ultima causale e quindi la successiva transazione, sarebbe palesemente non veritiera la causale risultante dal contratto di assunzione.
1.3-‐ Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, illogicità e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo.
Si contesta la statuizione della Corte d'appello secondo cui la risoluzione consensuale sottoscritta tra le parti il 17 dicembre 2003 -‐ con la quale si è anticipata al 21 dicembre 2003 la scadenza dell'ottavo contratto (stipulato per il periodo 8 settembre 2003-‐24 maggio 2004) -‐ abbia determinato la cessazione del rapporto di lavoro tra le parti a decorrere dalla data concordata, rendendo così superfluo l'esame della validità dei termini apposti ai precedenti contratti al fine della considerazione unitaria del rapporto, benchè la suddetta risoluzione sia avvenuta quando le parti aveva già concordato una successiva assunzione (di cui al nono contratto), avente la medesima scadenza di quello risolto ma relativa però ad un diverso programma.
Si sostiene l'illogicità della relativa motivazione in quanto la risoluzione anticipata di un contratto a termine seguita dalla immediata riassunzione, entrambe concordate dalle parti, non può implicare la comune volontà di porre definitivamente termine al rapporto tra loro intercorrente (per ipotesi trasformatosi in rapporto a tempo indeterminato per effetto della nullità di un termine precedente).
1.4.-‐ Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 414 cod. proc. civ., nonchè della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 3 dell'art.
2697 cod. civ., della L. n. 56 del 1987, art. 23.
Si rileva che la Corte d'appello, dopo aver affermato che la risoluzione consensuale del dicembre 2003 precludeva l'esame dei contratti precedenti, ha rilevato che rimanevano altri due contratti successivi, ritenuti legittimi dal Giudice di primo grado perchè stipulati ai sensi dell'Accordo RAI-‐USIGRAI del 22 ottobre 2001, per programmi specificamente nominati, come richiesto dal suddetto Accordo.
Il Giudice di appello ha anche ricordato che il F. aveva, nell'atto di appello, sostenuto la illegittimità di tali contratti, anche alla luce dell'Accordo suindicato, perchè essi si riferivano a notiziari sportivi permanenti, come tali non ricompresi nella dicitura dell'Accordo: "programmi, produzioni, trasmissioni e rubriche".
Tuttavia, la Corte romana, dopo aver rilevato che tale ultima contestazione era stata effettuata dal lavoratore sono nelle note autorizzate, l'ha considerata tardiva in quanto nel ricorso introduttivo l'illegittimità dei termini era stata prospettata solo con riguardo alla L. n. 230 del 1962, art. 1 e all'art. 3 del CNLG, precisando che in caso di contestazione di un provvedimento datoriale il ricorrente deve indicare i profili di legittimità dedotti e, solo in tali limiti, sussiste l'onere del datore di lavoro di provare la correttezza del proprio operato.
Si rileva che, invece, l'onere probatorio sulla sussistenza di tutti i requisiti legittimanti l'apposizione del termine al contratto grava sul datore di lavoro, sempre nei limiti della ragionevolezza e quindi nei limiti dei requisiti oggetto di contestazione. Però anche l'onere di contestazione dell'attore deve essere contenuto negli stessi limiti, cioè senza formalismi e considerando rispettato l'art. 414 c.p.c., n. 4, nel caso in cui sia stata indicata l'assenza di uno o più requisiti di legittimità di apposizione del termine, indipendentemente dall'inquadramento giuridico che dia alla fattispecie il giudice in applicazione del principio jura novit curia, in base al quale nella specie il Giudice di primo grado ha ritenuto di fare riferimento all'Accordo RAI-‐USIGRAI, del 22 ottobre 2001, anzichè all'art. 3 del CNLG (richiamato nel ricorso introduttivo del giudizio), peraltro entrambi stipulati ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23.
Peraltro, carattere comune e indefettibile di tutte le assunzioni a termine, anche quelle previste dalla contrattazione collettiva, è la natura temporanea dell'occasione di lavoro, mentre nella specie si trattava di un telegiornale quotidiano sportivo -‐ trasmissione istituzionale e perenne per definizione -‐ sicchè, a prescindere dalla normativa contrattuale richiamata dal lavoratore, la RAI avrebbe comunque dovuto provare la sussistenza degli elementi che legittimavano l'apposizione del termine ovvero che legittimamente impedivano l'assunzione a tempo indeterminato.
1.5.-‐ Con il sesto motivo (condizionato) si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per l'omessa pronuncia sulle domande attoree, ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ..
Si precisa che la Corte d'appello -‐ avendo ritenuto che l'esame della legittimità dei termini fosse precluso prima dalla transazione intervenuta tra le parti e poi dalla risoluzione consensuale del contratto e, infine, dalla tardività delle allegazioni del ricorrente -‐ ha omesso di pronunciare sulle seguenti domande del F., riprodotte in appello: 1) nullità di tutti i termini di scadenza apposti ai diversi contratti; 2) natura unitaria del rapporto, anche ai fini dell'anzianità di servizio, con decorrenza dalla prima assunzione o da altra data da stabilire; 3) conseguente diritto del ricorrente all'integrale applicazione dei trattamenti normativi e retributivi propri dei giornalisti RAI, con condanna della società al pagamento delle differenze retributive corrispondenti; 4) diritto del F. alla riammissione in servizio con diritto alla riscossione delle retribuzioni maturate dalla data della messa in mora.
2 -‐ Esame delle censure.
2.-‐ I primi tre motivi di ricorso -‐ da esaminare congiuntamente data la loro intima connessione -‐ non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
2.1.-‐ Nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nell'intestazione del primo e del terzo motivo, tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti, con particolare riferimento alla ricostruzione del contenuto della transazione risultante dal verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale il 19 settembre 2002.
Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Xxxx. 18 ottobre 2011, n. 21486;
Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3
ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile
2005, n. 8718).
Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice, sicchè la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394;
Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13
luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).
2.2.-‐ Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello, sul punto in argomento, risultano congruamente motivate e l'iter logico-‐argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.
Nè va omesso di rilevare che la decisione stessa risulta anche conforme al consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui perchè l'accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro possa qualificarsi atto di transazione è necessario che contenga lo scambio di reciproche concessioni, sicchè, ove manchi l'elemento dell'aliquid datum, aliquid retentum, essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non è configurabile (vedi, per tutte: Xxxx. 4 ottobre 2007, n. 20780), pur non essendo tale elemento da rapportare agli effettivi diritti delle parti, bensì alle rispettive pretese e
contestazioni,, sicchè non è necessaria l'esistenza di un equilibrio economico tra le reciproche concessioni (vedi, tra le tante: Xxxx. 15 maggio 2003, n. 7548; Cass. 6 giugno 2011, n. 12211).
Infatti, poichè sia dalla sentenza impugnata sia dagli atti difensivi del presente giudizio di cassazione, risulta che l'impegno della società ad una nuova assunzione del F. con contratto di lavoro a termine -‐ in precedenza solo ipotizzato -‐ è divenuto cogente proprio in sede di transazione è da escludere che non vi siano state concessioni reciproche tra le parti, come sottolineato anche dalla Corte romana.
Quanto alla finalità delle parti di chiudere un contenzioso -‐ che caratterizza la transazione e deve essere accertata con rigore dal Giudice del merito (Cass. 15 dicembre 1987, n. 9272) -‐ lo stesso art. 1965 cod. civ. al comma 1 chiarisce che tale intento comune può riguardare la conclusione di una lite già incominciata ovvero la prevenzione di "una lite che può sorgere" tra le parti, proprio come affermato e adeguatamente vagliato dalla Corte territoriale.
Inoltre, questa Corte, con consolidato e condiviso indirizzo, ha specificato che "in tema di transazione stipulata dal datore di lavoro e dal lavoratore occorre indagare se le parti, mediante l'accordo, abbiano perseguito la finalità di porre fine all'incertus litis eventus -‐ anche solo per una parte del contenzioso -‐ senza che, tuttavia, sia necessaria l'esteriorizzazione delle contrapposte pretese, nè che siano state usate espressioni direttamente rivelatici del negozio transattivo" (vedi Cass. 6 giugno 2011, n. 12211 e Cass. 15 maggio 2003, n. 7548).
2.3.-‐ Del tutto inammissibile è il profilo di censura -‐ ipotizzato nel terzo motivo -‐ secondo cui sarebbe ravvisabile nella sentenza impugnata una omessa pronuncia per mancata valutazione delle condizioni dell'assunzione e quindi dell'inesistenza di una utilità aggiuntiva per il F. (oggetto di una specifica censura, formulata nell'atto di appello).
Infatti -‐ a parte la formulazione della censura non conforme al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione -‐ si deve ricordare che e jus receptum che per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-‐giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 21 luglio 2006, n. 16788;
Cass. 10 maggio 2007, n. 10696).
Comunque, nella specie, per quel che si è detto sopra, dalla motivazione della sentenza risulta che la Corte romana ha congruamente valutato tutti gli elementi in base ai quali quello concluso fra le parti era da considerare un vero e proprio negozio transattivo.
3.-‐ Anche il quarto motivo non è fondato.
Infatti, la motivazione con la quale la Corte d'appello ha giustificato la propria decisione secondo cui la risoluzione consensuale sottoscritta tra le parti il 17 dicembre 2003 -‐ con la quale si è anticipata al 21 dicembre 2003 la scadenza dell'ottavo contratto (stipulato per il periodo 8 settembre 2003-‐24 maggio 2004) -‐ ha determinato la cessazione del rapporto di lavoro tra le parti a decorrere dalla data concordata, rendendo così superfluo l'esame della validità dei termini apposti ai precedenti contratti al fine della considerazione unitaria del rapporto, non merita alcuna censura, tanto più che, diversamente da quanto prospettato nel presente ricorso, la censura in appello risulta configurata sotto il profilo del "carattere fraudolento della dichiarazione".
Inoltre, la Corte ha congruamente anche sottolineato come il Carattere volontario della risoluzione non può dirsi escluso dal fatto che detta risoluzione sia avvenuta quando le parti abbiano già concordato una successiva assunzione (di cui al nono contratto), avente la medesima scadenza di quello risolto, però con riferimento ad un diverso programma.
Del resto, lo stesso X. ha dichiarato che egli era interessato a lavorare alla rubrica Eurogol 2003/2004, che non era compresa tra quelle analiticamente indicate nel precedente , e che, per questa ragione, aveva risolto il contratto stesso.
Di qui la Corte romana ha, logicamente, tratto la rispondenza della risoluzione in oggetto all'interesse di entrambe le parti.
4.-‐ Pure il quinto motivo non è da accogliere, anche se la motivazione della sentenza deve essere corretta sul punto, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 4.
Va, infatti, osservato che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte romana, nel ricorso introduttivo del giudizio (vedi p. 8) -‐ esaminabile in questa sede, dato il tipo di censure prospettate -‐ il ricorrente ha fatto espresso riferimento, fra le fonti della disciplina del rapporto in oggetto, anche gli Accordi integrativi RAI-‐ USIGRAI. Conseguentemente, non avrebbe dovuto essere considerata tardiva -‐ perchè effettuata solo nelle note autorizzate e non nel ricorso introduttivo -‐ la censura secondo cui i contratti a termine in argomento avrebbero dovuto essere considerati illegittimi anche alla luce dell'Accordo RAI-‐ USIGRAI del 22 ottobre 2001, perchè essi si riferivano a notiziari sportivi permanenti, come tali non ricompresi nella dicitura dell'Accordo: "programmi, produzioni, trasmissioni e rubriche".
Tuttavia, la censura stessa, benchè ammissibile, è da considerare infondata nel merito.
Infatti, come è stato più volte affermato da questa Corte (vedi, per tutte: Xxxx. 17 giugno 2008, n. 16390 e Cass. 22 novembre 2010, n. 23635), l'art. 29, lett. a), dell'Accordo sindacale 18 luglio 1997, relativo ai giornalisti della RAI prevede la possibilità di ampliamento dell'utilizzo del giornalista televisivo assunto a termine in più programmi o rubriche, ma sempre se specificamente indicate nel contratto, sicchè l'utilizzazione del giornalista in rubriche televisive diverse da quelle specificamente previste in contratto, comporta l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Peraltro, con il verbale di incontro del 9 novembre 2000 e con l'Accordo USIGRAI-‐ FNSI del 21 ottobre 2001 è stato previsto un ulteriore ampliamento -‐ rispetto a L. n. 56 del 1987, ex art. 23 -‐ dell'utilizzo del contratto a termine nei confronti dei giornalisti.
Ne consegue che, come si desume anche dal chiarimento a verbale, inserito nel CCL RAI del 2000 -‐ in base alla quale: "per programma, nonchè per specifici programmi nell'ambito del punto 4, lett. a) del presente articolo: una o più trasmissioni, spettacoli o produzioni (anche nell'ambito dell'home video, di internet e della programmazione satellitare e/o di progetti multimediali)" -‐ le parti sociali hanno manifestato la volontà di rendere applicabili le assunzioni a termine non soltanto per le trasmissioni tele-‐ radiofoniche tradizionali, ma gli ambiti più ampi correlati allo sviluppo culturale e tecnologico dei mezzi di comunicazione, ivi compresi i progetti cui avrebbe cooperato la ricorrente.
Il che significa che, diversamente da quel che sostiene l'attuale ricorrente, le XX.XX hanno inteso attribuire ai termini "programmi, trasmissioni, spettacoli e produzioni" un significato ampio, tale da ricomprendere qualsiasi tipo di situazione idonea ad essere assimilata alla portata tradizionale di tali concetti, ivi comprese le rubriche sportive in cui lavorava il F., senza attribuire alcun rilievo al c.d. carattere "permanente" della rubrica, cui fa riferimento il ricorrente.
5.-‐ Il sesto motivo (condizionato) è inammissibile.
Infatti, non solo è formulato senza il doveroso rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, ma è volto a denunciare la asserita "omessa pronuncia" su alcune domande attoree, ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ., quando non risultano i presupposti per la configurazione di tale vizio (vedi, al riguardo, il precedente punto 2.3) 3 -‐ Conclusioni.
6.-‐ In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione -‐liquidate nella misura indicata in dispositivo -‐ seguono la soccombenza.
PQM P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, Euro 2500,00 (duemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 26 novembre 2013.
Cassazione civile, sez. lav., 00 / 00 / 0000 , x. 00000
Per il combinato disposto degli artt. 2113 c.c. e 410, 411 c.p.c.., le rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ex art. 2113, commi 2 e 3, c.c., solo a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentati sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto si evinca la "res dubia" oggetto della lite (in atto o potenziale) e le "reciproche concessioni" in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'art. 1965 c.c..
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxxx -‐ Presidente -‐
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxxxx -‐ Consigliere -‐ Xxxx. XXXXXX Xxxxxx -‐ rel. Consigliere -‐ Dott. XXXX Xxxxx -‐ Consigliere -‐
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxx -‐ Consigliere -‐ ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1605/2009 proposto da:
M.R. (OMISSIS), C.G.
(OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, XXXXXXXXXXXXXXXX XXXXXX 00 0 XXXXX XXX. 0, presso lo studio dell'avvocato XXXXXXX XXXXXXX, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato XXXXXXXX XXXXX, giusta delega in atti;
-‐ ricorrenti -‐
contro
PROCURA GENERALIZIA CONGREGAZIONE SUORE EUCARISTICHE (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO XXXXXXXX XXXXXXX 8, presso lo studio dell'avvocato XXXXXXXXX XXXXX, (STUDIO "XXXXXXX & ASSOCIATI"), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato XXXXX XXXXXX, giusta
delega in atti;
-‐ controricorrente -‐ avverso la sentenza n. 2967/2006 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 09/01/2008 R.G.N. 130/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/2013 dal Consigliere Dott. XXXXXX XXXXXX;
udito l'Avvocato XXXXXXX XXXXXXX;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. XXXXXX Xxxxxxxx che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. C.G. e X.X. xxxxxxxx l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Roma, pubblicata il 9 gennaio 2008, che ha riformato la sentenza del Tribunale, dichiarando inammissibili le loro domande nei confronti della Procura generalizia Congregazione Suore Eucaristiche.
2. Le due ricorrenti convennero in giudizio la Procura generalizia chiedendo, previo annullamento della conciliazione sindacale sottoscritta il 16 febbraio 2001, l'accertamento della natura subordinata del loro rapporto di lavoro e la condanna al pagamento di cospicue somme, nonchè la declaratoria di illegittimità del licenziamento orale che assumevano di aver subito, con le conseguenze di legge.
3. La Procura generalizia, a sua volta, le convenne in giudizio, per ottenere la restituzione di somme erogate in attuazione delle conciliazioni del febbraio 2001.
4. I due giudizi furono riuniti.
5. Il Tribunale accolse in parte la domanda delle lavoratrici condannando la Procura generalizia al pagamento di una parte delle somme richieste dalle lavoratrici e rigettando ogni altra domanda.
6. La Procura generalizia propose appello. Le lavoratrici si costituirono e proposero appello incidentale.
7. La Corte d'appello di Roma, in accoglimento dell'appello principale, assorbito l'appello incidentale, riformò la decisione e dichiarò inammissibili le domande.
8. Il fulcro della decisione è costituito dal fatto che la Corte ritenne valide le conciliazioni sottoscritte tra le parti e quindi inammissibili giudizi che si fondavano sulla loro illegittimità.
9. Le ricorrenti articolano tre motivi di ricorso. La Procura generalizia si è difesa con controricorso. Le ricorrenti hanno depositato una memoria.
10. Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2113 c.c. e art. 411 c.p.c.. Il quesito è il seguente: "se per potersi configurare una transazione sia necessaria la conoscenza ed il riferimento delle parti che sottoscrivono l'atto -‐ e quindi del lavoratore -‐ in ordine al rapporto di lavoro di cui si discute, ai diritti da dismettere, alla "res dubia" in contestazione tra le parti e necessiti altresì l'elemento della reciprocità delle concessioni, nonchè se tali elementi debbano risultare espressamente nell'atto di transazione; quindi per l'effetto se debbano ritenersi sottratte al regime di non impugnabilità le conciliazioni sottoscritte in sede sindacale nel caso di specie, qualora prive di tali elementi".
11. Con il secondo motivo si denunzia violazione dei medesimi articoli di legge in relazione alla mancata assistenza sindacale avuta nel caso concreto. Nel quesito si chiede se ai fini della legittimità della conciliazione "debba essere intervenuto alla stipulazione un rappresentante sindacale munito di specifico mandato a transigere la controversia debitamente sottoscritto dal lavoratore, ovvero se dall'atto di conciliazione debba comunque risultare che il rappresentante sindacale abbia esaurientemente illustrato tutti i necessari elementi al lavoratore affinchè questi abbia consapevolmente ridisposto dei propri diritti e se in mancanza, come nel caso dei verbali sottoscritti dalle ricorrenti, xxxxxxx ritenersi sottratte al regime di non impugnabilità di cui all'art. 2113 c.c., comma 4, le conciliazioni sottoscritte in sede sindacale che siano prive di tali requisiti".
12. Con il terzo motivo si denunzia "carenza di motivazione e insufficiente e omesso esame di punto decisivo della controversia", che nel corso del motivo viene identificato nella inimpugnabilità delle conciliazioni e nella sussistenza della "res dubia".
13. I tre motivi debbono essere esaminati congiuntamente. Il ricorso è fondato.
14. La Corte d'appello ha riformato la decisione favorevole alle tesi delle lavoratrici del Tribunale, ritenendo che la conciliazione sottoscritta dalle parti non fosse impugnabile. Nella brevissima motivazione la Corte sostiene questa tesi affermando: "con le conciliazioni le parti appellate hanno in definitiva esclusa la ricorrenza di ogni ipotesi di subordinazione inter partes e quindi hanno esclusa ogni pretesa economica a qualsiasi titolo risalente alla subordinazione". La Corte aggiunge poi che "si trattò di una conciliazione effettiva, con assistenza delle lavoratrici curata dall'xxx.xx Xxxxx Xxxxxxxx e anche con l'attività preventiva dei conciliatori, che hanno avvertito le parti circa gli effetti propri della conciliazione in sede sindacale". La Corte afferma infine che la "sussistenza di una res dubia è fuori discussione, in relazione alla controversa sussistenza di un rapporto oneroso o non e, nel primo caso, di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato".
15. La censura mossa dalle ricorrenti è fondata per le seguenti ragioni.
16. Si discute della impugnabilità o meno di una conciliazione avvenuta in sede sindacale. L'art. 2113 c.c. nega la validità delle rinunce e transazioni che hanno per oggetto diritti derivanti da norme inderogabili dettate dalla legge o dai contratti collettivi. Il comma successivo specifica che la relativa impugnazione deve avvenire entro sei mesi dalla data della rinunzia o della transazione, a pena di decadenza. L'ultimo comma sottrae a questa disciplina le conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 c.p.c., nel cui ambito sono ricomprese le conciliazioni sindacali.
17. La sentenza della Corte da atto che nel caso in esame vi è stata una conciliazione in sede sindacale, giudicandola idonea a rendere la transazione in essa contenuta non impugnabile.
18. Tale valutazione si basa però su di una motivazione esigua da cui si desume che la Corte non ha verificato la effettività della assistenza sindacale (richiesta costantemente dalla giurisprudenza, cfr. in particolare, Cass. 22 maggio 2008, n. 13217), limitandosi a due affermazioni, entrambe non decisive: la conciliazione in sede sindacale sarebbe avvenuta con l'assistenza di un avvocato e i conciliatori avrebbero avvertito le parti circa gli effetti propri della conciliazione ai sensi dell'art. 2113 c.c. e art. 411 c.p.c..
La prima considerazione è ultronea rispetto ai requisiti di una conciliazione in sede sindacale, la seconda è inadeguata e tautologica perchè risolve l'assistenza nell'indicazione dell'effetto della non impugnabilità dell'atto transattivo, senza considerare che l'assistenza sindacale deve permettere al lavoratore di comprendere a quali diritti rinunzia e in che misura.
19. Una carenza ancora più netta concerne l'analisi dei contenuti della conciliazione. La Corte ha presente che nel caso in esame il negozio conciliativo ha il contenuto di una transazione e quindi di un negozio con il quale le parti, per espressa definizione codicistica, pongono fine ad una lite già cominciata o potenziale, facendosi reciproche concessioni. Nel caso in esame si è omesso di verificare se e in cosa consistono le reciproche concessioni e, quanto alla "res dubia", la si è risolta nel carattere subordinato o autonomo del rapporto, mentre dalla stessa sentenza si coglie la ben più vasta articolazione delle questioni in discussione e dei diritti controversi.
20. Per tali ragioni la sentenza deve essere cassata con rinvio alla medesima Corte d'appello in diversa composizione, che dovrà rinnovare il giudizio sulla ammissibilità dell'impugnazione della conciliazione, verificando l'effettività della assistenza sindacale e la sussistenza degli elementi costitutivi dell'atto di transazione.
21. Il principio di diritto in base al quale il giudizio dovrà essere rinnovato è il seguente: "Per il combinato disposto dell'art. 2113 cod. civ. e artt. 410 e 411 c.p.c., le rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ex art. 2113 c.c., commi 2 e 3, solo a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentati sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto si evinca la "res dubia" oggetto della lite (in atto o potenziale) e le "reciproche concessioni" in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'art. 1965 c.c.".
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 giugno 2013. Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2013
Cassazione civile, sez. lav., 00 / 00 / 0000 , x. 00000
In caso di tentativo di conciliazione svolto in sede sindacale ai sensi del comma 3 dell'art. 411 c.p.c., al fine di verificare che l'accordo sia raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale, occorre valutare se, in base alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE XXXX Xxxxxxx -‐ Presidente -‐
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxx -‐ Consigliere -‐
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxxx -‐ rel. Consigliere -‐ Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxx -‐ Consigliere -‐
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxxxxxx -‐ Consigliere -‐ ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
FUTURA S.R.L., già FUTURA S.A S., EUROCOLLEGE S.R.L., nonchè OXFORD di S.M., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in XXXX XXX XXXXXX 0, presso lo studio dell'avvocato XXXXXXXXXX XXXXXXXXX, rappresentata e difesa dagli avvocati XXXXXXX XXXXXX, XXXXXXXXX XXXXXXXX, giusta delega in atti;
-‐ ricorrente -‐
contro
C.A., elettivamente domiciliata in ROMA VIA X. XXXXXXXXXX 24, presso lo studio dell'avvocato XXXXXX XXXXX,
rappresentata e difesa dall'avvocato XXXXXXX XXXXX, giusta delega in atti;
-‐ controricorrenti -‐ avverso la sentenza n. 491/05 della Corte d'Appello di LECCE, depositata il 21/03/05 r.g.n. 2730/04; udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 26/03/08 dal Consigliere Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxxx;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. XXXX Xxxxx Xxxxxxx che ha concluso per il rigetto in subordine accoglimento per quanto di ragione.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Lecce, depositato il 12 giugno 2001, C.A. esponeva di aver lavorato come insegnante di lingua e letteratura tedesca presso il "liceo Linguistico Europeo Oxford", istituto legalmente riconosciuto, dal 1 settembre 1986 al 24 ottobre 1996, data nella quale era stata verbalmente licenziata per essersi rifiutata di trasformare il suo rapporto di lavoro da subordinato ad autonomo.
Aggiungeva che nella seconda metà del 1996 era stato indotto, tramite un sindacalista della CISL, a sottoscrivere un accordo transattivo, impugnato stragiudizialmente.
Assumendo di avere percepito una retribuzione inferiore a quella prevista dai contratti collettivi di settore ed inadeguata ai sensi dell'art. 36 Cost., chiedeva condannarsi S.M. e le società che si erano succedute nella gestione della scuola (Eurocollege s.r.l. e Futura s.r.l.) al pagamento di L. 52.714.055 o della diversa somma ritenuta di giustizia, nonchè dichiararsi la nullità del licenziamento ed ordinarsi la riassunzione o la reintegrazione, con tutte le conseguenze di legge.
Si costituivano S.M., titolare della ditta Oxford, e le società Futura s.r.l. ed Eurocollege s.r.l..
I convenuti deducevano che ogni rapporto con la signora X. era stato definito con transazione redatta in sede sindacale, non impugnabile ex art. 2113 c.c., cui era seguito il pagamento di L. 6.427.000. Contestavano i conteggi allegati al ricorso e affermavano che il rapporto si era risolto per unilaterale decisione della ricorrente, che dal giugno del 1996 non era più tornata al lavoro.
Al termine dell'istruttoria il Tribunale, con sentenza del 25 maggio 2004, rigettava la domanda, ritenendo inoppugnabile la conciliazione in sede sindacale e non provata la intimazione del licenziamento.
L'appello di C.A., cui resistevano S. M. e le due società, veniva parzialmente accolto dalla Corte di Appello di Lecce con sentenza del 2/21 marzo 2005.
I giudici di secondo grado, premesso che unico soggetto passivamente legittimato era la Futura s.r.l., nella quale erano confluite Eurocollege s.r.l., Futura s.a.s. ed "Oxford & C di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx", escludevano che la transazione raggiunta il 7 ottobre 1996 fosse conforme al modello di cui all'art. 411
c.p.c. e, come tale, sottratta alla disciplina di cui all'art. 2113 c.c..
Condannavano pertanto la Futura s.r.l. al pagamento di Euro 27.224,54, da cui andavano detratti gli importi ricevuti a seguito della sottoscrizione del verbale di accordo.
Rigettavano invece la richiesta di declaratoria di illegittimità del licenziamento, non ritenendo fornita la prova del dedotto licenziamento verbale.
Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando un unico complesso motivo di censura, la Futura s.r.l..
A.C. resiste con controricorso. Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1965, 2730, 1362, 2113 c.c. e dell'art. 411 c.p.c.; omessa pronuncia e vizio di motivazione su punto decisivo; violazione e falsa applicazione degli artt. 2070 e 2099 c.c..
Critica in primo luogo la sentenza nella parte in cui ha ritenuto assenti, nel verbale di accordo del 7 ottobre 1996, gli elementi indicati dall'art. 411 c.p.c. per sottrarre la transazione alla disciplina di cui all'art. 2113 c.c..
Deduce la irrilevanza della dichiarazione resa dal legale rappresentante della società, in sede di interrogatorio formale, sulla insussistenza di controversie fra le parti al momento della sottoscrizione della transazione, atteso che la transazione, ai sensi dell'art. 1965 c.c. ha anche lo scopo di prevenire possibili liti.
Nega quindi valore confessorio alla ricordata dichiarazione del legale rappresentante, atteso che non si tratta di fatto sfavorevole alla società Futura.
Rileva che erroneamente la sentenza afferma che la transazione non aveva la finalità di definire l'entità delle spettanze per meno di un mese.
Deduce la irrilevanza del fatto che la signora X. non fosse iscritta alla CISL e che il sindacalista fosse stato contattato dal consulente della società. Assume che nessuno degli insegnanti era iscritto ad un sindacato e che l'intervento del qualificato sindacalista della CISL si era reso necessario proprio per assicurare ai lavoratori una adeguata ed efficace tutela.
Critica la sentenza nella parte in cui nega, senza alcuna motivazione, che tale tutela vi sia stata. Assume che l'assistenza del rappresentante sindacale si deve presumere quando lo stesso sia presente, insieme al lavoratore, in sede transattiva; e che il giudice non può sindacare le modalità con le quali il sindacalista espleta l'assistenza.
Deduce, ancora, che non è vero che il ruolo del sindacalista sia stato stigmatizzato dalla CISL. Con la nota dell'11 dicembre 1996 il segretario generale della CISL, premesso di essere stato informato di presunte irregolarità, si era limitato ad invitare la lavoratrice ad un'assemblea di tutto il personale della scuola, indetta per esaminare quanto accaduto.
Lamenta, infine, che i giudici di appello hanno omesso di pronunciarsi sulla eccezione proposta dalla Futura s.r.l. fin dal primo grado di giudizio (a pag. 3 della memoria di costituzione), secondo cui non era
applicabile il contratto collettivo per le scuole private laiche, invocato dalla lavoratrice, ma quello della FILL (Federazione Italiana Licei Linguistici), effettivamente applicato al rapporto.
2. Il ricorso non è fondato.
In ordine alla censura avverso la ritenuta esclusione di una transazione riconducibile allo schema di cui all'art. 411 c.p.c., osserva la Corte che gli articoli 410, 410 bis e 411 c.p.c. disciplinano il tentativo di conciliazione relativo ai rapporti previsti dall'art. 409 c.p.c..
Nella fattispecie in esame i giudici di appello hanno osservato:
1) il verbale di avvenuto accordo, redatto su foglio recante a stampa la sigla "CISL", fu sottoscritto il 7 ottobre 1996 presso la sede della Futura s.a.s. da S.M., da C. e da D.F., rappresentante CISL;
2) nel verbale si dava atto che detti soggetti si erano incontrati "per l'esperimento di bonaria conciliazione, previsto dagli artt. 410 e 411 c.p.c. della vertenza promossa da C. nei confronti dell'impresa Futura s.a.s. avente ad oggetto la transazione del rapporto di lavorò";
3) nel verbale si legge che le parti, dopo "ampia e cordiale discussione", premesso che il rapporto si era svolto dall'1.9.1986 al 10.6.1996 con le varie ditte e società succedutesi nel tempo, e che X. aveva dichiarato "di aver percepito tutto quanto spettantegli per il c.c.n.l. e leggi vigenti in riferimento alla quantità e qualità del lavoro svolto", avevano raggiunto accordo per definire "l'ultimo periodo lavorativo dal 15.5.1996 al 10.6.1996" con il pagamento "di L. 6.427.000, di cui L. 1.177.000 a saldo di tutte le spettanze ed indennità fino al 10.6.1996; L. 3.570.000 a titolo di t.f.r.; L. 1.680.000 al solo fine di evitare l'insorgendo lite senza che ciò possa rappresentare il riconoscimento, neppure parziale, di eventuali contrapposte pretese";
4) contestualmente la signora X. dichiarava "di non aver null'altro a pretendere per qualsivoglia titolo, ragione o causa dedotta o deducibile rilasciando ampia e finale quietanza liberatoria anche ai sensi dell'art. 2113 c.c.";
5) la teste D.G., segretaria della scuola, aveva dichiarato che X. aveva regolarmente iniziato le lezioni dell'anno scolastico in corso (1996/1997) e che all'epoca non vi era alcuna controversia in atto fra parte datoriale ed i docenti, circostanza ammessa dallo stesso S.M.;
6) il teste D., responsabile dell'ufficio sindacale della CISL di Lecce, aveva dichiarato di essere stato "contattato dal consulente della ditta, rag. Ca., perchè vi era da definire la posizione lavorativa di alcuni docenti... dalla vecchia società per aprirne delle nuove", e di essersi recato presso i locali della scuola, su invito del consulente, onde partecipare ad una riunione allargata a tutto il collegio dei docenti; aveva aggiunto che i conteggi erano stati predisposti dal consulente per ciascun insegnante, che questi aveva esposto i termini della transazione, e che egli si era limitato a dare lettura del verbale, rendendosi disponibile per qualsiasi chiarimento, nonchè a controllare la corrispondenza dell'importo riferito a ciascun docente con quello indicato negli accordi; una volta raccolte le firme dei presenti, apposta la sua sottoscrizione, aveva consegnato a ciascuno copia degli accordi, in tal modo esaurendo il suo intervento.
Sulla scorta di tali elementi i giudici di secondo grado hanno escluso che si fosse in presenza di una transazione redatta ai sensi degli artt. 410 e 411 c.p.c., osservando che non sussisteva alcuna controversia fra le parti; che la sola società Futura s.a.s. aveva interesse a regolare i rapporti con i docenti prima di trasformarsi in s.r.l.; che C. non era iscritta alla CISL e che nessuna opera di effettiva assistenza era stata posta in essere dal sindacalista, limitatosi a svolgere il ruolo di un testimone di operazioni (elaborazione di conteggi) cui era rimasto estraneo e di fatti (ricostruzione della storia lavorativa di C.) precedentemente ignorati; che la ignoranza della vicenda impediva quella assistenza consapevole ed informata richiesta per la transazione sindacale; che il ruolo svolto dal sindacalista risultava implicitamente stigmatizzato dalla CISL con la missiva dell'11.12.1996.
Osserva il Collegio che si tratta di una motivazione ampia, corretta, che non ha tralasciato alcun elemento decisivo, che non ha violato gli artt. 1965, 2730, 1362, 2113 c.c. e l'art. 411 c.p.c., che risulta in linea con i principi affermati da questa Corte.
L'art. 1965 c.c. statuisce che la transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.
La difesa della società non spiega quale era lite che poteva sorgere, quale era l'interesse della lavoratrice a prevenirla, quali le concessioni fatte dall'una e dall'altra parte.
Quanto al ruolo del rappresentante sindacale, questa Corte ha già precisato che, "con riferimento alla conciliazione in sede sindacale ex art. 411 c.p.c., comma 3, al fine di verificare che l'accordo sia raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale, occorre valutare se, in base alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa" (Cass., 3 aprile 2002 n. 4730; v. anche Cass., 22 ottobre 1991 n. 11167 e 3 settembre 2003 n. 12858).
La prima censura è pertanto infondata.
Quanto alla lamentata omessa pronuncia sulla eccezione di inapplicabilità del contratto collettivo per i dipendenti delle scuole private lai che (per essere applicabile ed applicato il diverso contratto collettivo stipulato dalla Federazione Italiana Licei Linguistici), eccezione che si deduce proposta a pagina 3 della memoria di costituzione in primo grado, osserva preliminarmente la Corte che non si deduce che tale eccezione sia stata riproposta in appello.
E comunque la Corte di Lecce, nell'affermare (pag. 8 della sentenza) che a fronte dell'impegno lavorativo della insegnante C. "la retribuzione riportata nei prospetti paga in atti risulta del tutto inadeguata alla quantità e qualità del lavoro", ha chiaramente escluso che il contratto applicato fosse conforme al dettato di cui all'art. 36 Cost.
La pronuncia sulla inadeguatezza di tale contratto comporta la reiezione della eccezione, ove ritualmente riproposta.
In conclusione il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna della società ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese di giudizio, con attribuzione all'avv. P.I., che ne ha fatto richiesta ai sensi dell'art. 93 c.p.c..
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese di giudizio, in Euro 21,00 per spese ed Euro 2.000,00 per onorario di avvocato, oltre spese generali, XXX e contributo previdenziale, con attribuzione all'avv. P.I..
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2008.
Trib . Milano, 2 marzo 2015
In tema di transazione, va dichiarata la nullità del "verbale di conciliazione in sede sindacale" (sottoscritto invero in sede aziendale), qualora non risulti l'effettiva sussistenza del requisito delle reciproche concessioni previste dall'art. 1965 c.c. (nella specie, per l'inadeguatezza dell'importo transattivo corrisposto al lavoratore, peraltro non iscritto al sindacato)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO SEZIONE LAVORO
Il xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxx, in funzione di giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con ricorso depositato in data 21 novembre 2014
da
C.E., elettivamente domiciliata in Milano, Via (omissis...), presso lo studio dell'Avv. Xxxx Xxxxxx, che la rappresenta e difende, unitamente agli Avv.ti Ta. Bi. e Xxxxxx Xxxxxxx, per procura in margine al ricorso introduttivo;
contro
G. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore,
OGGETTO: contratti a progetto
i Difensori delle parti, come sopra costituiti, così Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
ricorrente
convenuto contumace
Con ricorso depositato in data 21 novembre 2014, C.E. ricorreva al Tribunale di Mi., in funzione di giudice del lavoro, per sentire accogliere le sopra indicate conclusioni, nei confronti di G. s.r.l.
Rilevava la ricorrente che il suo rapporto di lavoro con la convenuta aveva avuto inizio nel 2010 ed era stato caratterizzato dalla successione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
C.E. aveva svolto attività lavorativa in favore della G. s.r.l., presso l'asilo nido Ape Bombo, in forza di cinque contratti di lavoro a programma, rispettivamente datati 18 novembre 2010,29 agosto 2011,2 ottobre 2012,2 settembre 2013 e 18 gennaio 2014 (doc. 2 fasc. ric.).
X.X. xxxxxxxx che, contrariamente a quanto indicato nei contratti, ella aveva sempre svolto, sin dal 18 novembre 2010, mansioni di cuoca presso l'asilo nido Ape Bombo, sito in Mi., via (omissis...).
C.E. non aveva mai prestato attività lavorativa in qualità di educatrice.
Il 18 gennaio 2014, C.E. e G. s.r.l. avevano sottoscritto un "verbale di conciliazione in sede sindacale", invero sottoscritto in sede aziendale con il quale le parti avevano concordato che il rapporto di lavoro doveva considerarsi cessato alla data del 31 gennaio 2014, con reciproco esonero dal preavviso e dalla relativa indennità sostitutiva. Nel medesimo accordo era stata prevista la corresponsione di una "somma onnicomprensiva lorda di € 50,00" a fronte della rinuncia della lavoratrice a qualsivoglia rivendicazione "per i titoli derivanti direttamente ed indirettamente dall'intercorso rapporto di lavoro".
C.E. riferiva di non essere mai stata iscritta al sindacato UGL ed aver conosciuto conciliatore, sig. R.U., lo stesso giorno in cui aveva sottoscritto il verbale di conciliazione.
Contestualmente alla sottoscrizione del verbale di conciliazione, G. s.r.l. aveva fatto sottoscrivere alla lavoratrice un nuovo contratto di collaborazione coordinata e continuativa della durata di "6 mesi su base
annua ovvero in proporzione ad essa" (decorrente dal 1 febbraio 2014 e scadente in data 31 luglio 2014), per lo svolgimento di attività di cuoca, con previsione di un compenso omnicomprensivo di € 2.200,00 al lordo delle ritenute di legge "per il periodo in esame" (doc. 2 fasc. ric.). Nel contratto non era stato indicato alcun progetto di lavoro.
Con la missiva del 17 luglio 2014, la ricorrente aveva impugnato i contratti a progetto sottoscritti e il verbale di conciliazione.
Il 31 luglio 2014 era scaduto il termine posto al contratto progetto. Su tali basi in fatto, C.E. individuava le domande sopra riportate.
Nessuno si costituiva per G. s.r.l., che veniva dichiarata contumace.
All'udienza del 2 marzo 2015, omessa ogni attività istruttoria, la causa veniva posta in decisione. Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso di C.E. è fondato e va accolto.
Innanzitutto, la ricorrente chiede l'accertamento della nullità o dell'illegittimità del verbale di conciliazione sottoscritto tra la lei medesima e G. S.r.l. in data 18 gennaio 2014.
Si tratta del "verbale di conciliazione in sede sindacale" (doc. 3 fasc. ric.), con il quale le parti concordano che il rapporto di lavoro deve considerarsi cessato alla data del 31 gennaio 2014, con reciproco esonero dal preavviso e dalla relativa indennità sostitutiva.
Si prevede, in favore di C.E., al punto 3, la corresponsione di una "somma onnicomprensiva lorda di € 50,00" a fronte della rinuncia della lavoratrice a qualsivoglia rivendicazione "per i titoli derivanti direttamente ed indirettamente dall'intercorso rapporto di lavoro".
C.E. riferisce che non si tratta di un conciliazione in sede sindacale, e asserisce di non essere mai stata iscritta al sindacato UGL. Riferisce di aver conosciuto conciliatore, sig. R.U., quello stesso giorno.
Un giudizio di carattere preliminare riguarda il contenuto della pretesa transazione.
Come è noto, la giurisprudenza è orientata ad affermare che le reciproche concessioni previste dall'art. 1965
c.c. devono essere commisurate alle reciproche pretese e contestazioni; si è poi precisato che, allo scopo di individuare l'effettiva sussistenza del requisito delle reciproche concessioni, e dunque di verificare il reale avanzamento delle parti rispetto alle posizioni in contrasto, sia necessario procedere al confronto fra la situazione che ha dato luogo alla controversia e quella scaturente dall'esercizio del potere modificativo attuato con la transazione.
La transazione appartiene invero alla categoria dei contratti a prestazioni corrispettive, per cui essa necessita della reciprocità dei sacrifici richiesta dalla formulazione normativa.
È del tutto ovvio rilevare che, a fronte di un corrispettivo della "somma onnicomprensiva lorda di € 50,00",
C.E. rinuncia "a qualsivoglia domanda, precedente od ulteriore, di qualsivoglia natura ed entità attinenti al rapporto di lavoro intercorso, in ogni sua fase ed aspetto".
Si tratta di una rinuncia che investe il rapporto di lavoro di C.E. con la convenuta a partire dal 18 novembre 2010 fino alla data della transazione, ossia il 18 gennaio 2014. Pertanto, tre anni e più di precariato sulla base di contratti "a programma" vengono considerati intangibili sulla base della corresponsione di una somma talmente irrisoria da essere sostanzialmente irrilevante per la società.
Si riscontra, quindi, la mancanza di un vicendevole sacrificio, ciò che non consente di qualificare "transazione" l'operazione negoziale. L'accordo compositivo raggiunto dalle parti in assenza di reciproche concessioni va considerato nullo, ed ogni altra eccezione si deve considerare assorbita.
2. C.E. conclude con G. s.r.l. i seguenti contratti (doc. 2 fasc. ric.):
-‐ contratto di collaborazione coordinata e continuativa (a programma) del 18 novembre 2010 della durata di "9 mesi su base annua ovvero in proporzione ad essa" (scad.: 31 luglio 2011), per lo svolgimento di attività di
cuoca, con previsione di un compenso omnicomprensivo di € 4.000,00 al lordo delle ritenute di legge "per ogni anno di lavoro svolto";
-‐ contratto di collaborazione coordinata e continuativa (a programma) sottoscritto in data 29 agosto 2011 della durata di "9 mesi su base annua ovvero in proporzione ad essa" (inizio: 5 settembre 2011; scad.: 31 luglio 2012), per lo svolgimento di attività di cuoca, con previsione di un compenso omnicomprensivo di € 4.000,00 al lordo delle ritenute di legge "per l'intera durata del progetto".
-‐ contratto di collaborazione coordinata e continuativa (a programma) sottoscritto in data 2 ottobre 2012 della durata di "9 mesi su base annua ovvero in proporzione ad essa" (scad.: 31 luglio 2013), per lo svolgimento di attività di educatrice, con previsione di un compenso omnicomprensivo di € 4.400,00 al lordo delle ritenute di legge "per ogni anno di lavoro svolto";
-‐ contratto di collaborazione coordinata e continuativa (a programma) sottoscritto in data 2 settembre 2013 della durata di "10 mesi su base annua ovvero in proporzione ad essa" (scad.: 31 luglio 2014), con previsione di un compenso omnicomprensivo di € 4.880,00 al lordo delle ritenute di legge "per l'intera durata del progetto";
-‐ contratto di collaborazione coordinata e continuativa (a programma) sottoscritto in data 18 gennaio 2014 della durata di "6 mesi su base annua ovvero in proporzione ad essa" (scad.: 31 luglio 2014), per lo svolgimento di attività di cuoca, con previsione di un compenso omnicomprensivo di € 2.200,00 al lordo delle ritenute di legge "per il periodo in esame".
3. E' sicuramente impossibile ricondurre la parte della normazione negoziale indicata sopra (riferibile anche al primo dei contrati indicati, ma riferito da C.E., nel petitum, al contratto sottoscritto il 2 settembre 2013) al progetto descritto dall'art. 61 D.Lgs. n. 276 del 2003, dove si dice che "i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'art. 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa."
Infatti dalla norma risulta chiaramente che il progetto (o il programma) deve essere del collaboratore, non dell'azienda.
Si deve trattare di un genuino apporto del prestatore di lavoro al committente di una capacità specialistica per la soddisfazione di esigenze ben individuate e puntuali dell'andamento del ciclo di produzione ovvero in occasione di un riassetto o miglioramento di esso (così App. Firenze,22 gennaio 2008, in Riv. it. dir. lav.,2009, II,75). Inoltre, afferma la Cassazione, "il progetto deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale" (così, in motivazione, Xxxx, sez. lav.,25 giugno 2013, n. 15922).
Spetta al collaboratore realizzare il progetto, non all'imprenditore.
In altri termini: il committente deve determinare, sulla base della propria strategia, il progetto (un obbiettivo imprenditoriale); è però il collaboratore, con la propria attività, a determinare in concreto la propria attività. Nella specie, invero, nel contratto non si regola alcun progetto, e neppure alcuna prestazione della lavoratrice (di cui viene indicata solo "l'attività richiesta" che si sa essere quella "di cuoca" per via della mansione indicata al punto 4 del primo contrato, del 29 agosto 2011).
Solo quest'ultima, al più, è la descrizione di una prestazione lavorativa subordinata, con l'eccezione della "piena autonomia" che viene concessa, formalmente, alla collaboratrice.
4. In caso come questo, quindi, s'applica l'art. 69 D.Lgs. n. 276 del 2003, che stabilisce che "I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell'art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto."
La formula legislativa introduce evidentemente una presunzione assoluta (non segnalandosi alcuna locuzione del tipo "salvo che...") ed il committente non può fornire la prova contraria dell'esistenza di un rapporto di lavoro autonomo.
Depone in tal senso l'inequivocità del dato testuale, che induce a ritenere che se il legislatore si fosse limitato a prevedere una sanzione iuris tantum, avrebbe dovuto introdurre un riferimento alla prova contraria, che invece manca. I dubbi di legittimità costituzionale prospettati dai sostenitori della tesi opposta rileverebbero del resto solo se venissero sottratti al giudice i poteri qualificatori, mentre nel caso viene introdotta una sanzione che consiste nell'applicazione delle garanzie del lavoro dipendente. Il principio di "indisponibilità del tipo" infatti è stato dettato al fine di evitare sottrazioni di tutele al lavoro subordinato, ed è quindi sorretto da una ragione verosimilmente univoca e non invocabile nel caso inverso. D'altra parte, il nostro ordinamento non è estraneo alla previsione dell'applicazione delle regole del lavoro subordinato come sanzione in caso di violazioni, elusioni, abusi di determinate forme di contratti di lavoro.
La convenuta G. s.r.l. va quindi condannata, ex art. 69 D.Lgs. n. 276 del 2003 a riammettere in servizio C.E. come lavoratore subordinato a tempo indeterminato, liv. 3 C.C.N.L. ANINSEI, cui è riconducibile la mansione di cuoco (doc. 5 fasc. ric.), con un orario part time al 60%.
Sul tema delle retribuzioni, va segnalata Xxxx., sez. lav.,17 gennaio 2013, n. 1148, la cui massima riferisce: In tema di lavoro interinale, l'indennità prevista dall'art. 32 L. 4 novembre 2010, n. 183, nel significato chiarito dal comma 13 dell'art. 1 L. 28 giugno 2012, n. 92, trova applicazione con riferimento a Qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine termine illegittimo e si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell'illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a, comma 1, art. 3 L. 24 giugno 1997, n. 196, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione.
Sulla base della ritenuta vis expansiva dell'art. 32 L. 4 novembre 2010, n. 183 cit., va ritenuto che la convenuta sia tenuta a riconoscere C.E. sette mensilità della sua retribuzione globale di fatto, fatta pari questa ad € 783,33 lordi.
Ogni altro profilo rimane assorbito.
5. Alla soccombenza di G. s.r.l. seguono, ex art. 91 c.p.c., le spese processuali, che si liquidano a suo carico e in favore degli Avv.ti Xxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx, Difensori di C.E. ed antistatari, liquidate in complessivi € 2500,00, oltre agli accessori fiscali e previdenziali previsti ai sensi di legge.
PQM P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria ed ulteriore istanza domanda ed eccezione disattesa, così decide:
1) accerta la nullità del verbale di conciliazione sottoscritto tra la sig.ra C.E. e G. S.r.l. in data 18 gennaio 2014; accerta e dichiara la illegittimità del contratto di lavoro sottoscritto in data 2 settembre 2013 e conseguentemente accerta e dichiara la sussistenza tra la sig.ra C.E. e G. S.r.l. di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dal 2 settembre 2013;
2) accerta e dichiara che il rapporto di lavoro tra le parti è ancora in corso e conseguentemente condanna la società G. S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, a riammettere la sig.ra C.E. sul posto di lavoro nonché a corrispondere alla stessa un importo pari a sette mensilità della sua retribuzione globale di fatto, fatta pari questa ad € 783,33 lordi, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dalla sentenza al saldo;
3) condanna la parte soccombente G. s.r.l. alla rifusione delle spese processuali a vantaggio degli Avv.ti Xxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx, Difensori di C.E., liquidate in complessivi € 2500,00, oltre agli accessori fiscali e previdenziali previsti ai sensi di legge.
Prassi
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Nota 16 marzo 2016 prot. n. 37 / 5199
Oggetto: Deposito presso le DTL di verbali di conciliazione in sede sindacale ex art. 411
c.p. c.. Richiesta di parere.
Codesto Ufficio ha inoltrato alla scrivente il quesito relativo alla ampiezza della verifica demandata alle Direzioni Territoriali del Lavoro ai fini del deposito ex art. 411 c.p.c.. La richiesta di parere è stata occasionata dal diniego di codesto Ufficio al deposito di verbali di conciliazione in sede sindacale redatti dall'USI (Unione Sindacale Italiana) di Foggia. Il diniego è stato motivato in base all'assenza, nella lettura dei verbali, dell'elemento "...di ammissibilità della procedura del deposito ovvero che la conciliazione sia stata raggiunta nel rispetto delle procedure previste nei contratti o accordi collettivi, in riferimento alla circolare ministeriale
n. 1138/G/77 del 17.03.1975, nonché, in via sussidiaria, dal momento che "l'associazione sindacale non risulta firmataria di CCNL (settore commercio, metalmeccanico, lavoro domestico)".
Tale motivazione sarebbe censurabile, secondo l'opposta ricostruzione del sindacato coinvolto, in ragione delle modifiche apportate al codice di rito nella materia de qua, particolarmente in seguito alla profonda revisione dell'art. 410 c.p.c. (art. 31, L. 4 novembre 2010, n. 183 -‐ cd. collegato lavoro), che renderebbero sul punto ormai inconferente la citata circolare del 1975. La stessa, infatti, nel trattare il procedimento di conciliazione in sede sindacale alla luce della normativa allora vigente, individua un "collegamento implicito" fra l'art. 411, co. 3, c.p.c., e l'art. 410 c.p.c., e richiede di conseguenza che le conciliazioni in sede sindacale, rispetto alle quali si chiede il deposito del verbale presso la DTL territorialmente competente, avvengano "secondo le procedure previste da contratti o accordi collettivi" (richiamando quanto allora previsto esplicitamente dall'art. 410 c.p.c.). La riforma dell'art. 410 c.p.c., la cui formulazione attuale non contempla più il riferimento alle conciliazioni in sede sindacale, avrebbe travolto l'implicito collegamento individuato dalla circolare in commento, e non richiederebbe più la verifica del rispetto delle "procedure previste da contratti o accordi collettivi", limitando il controllo del Direttore territoriale all'autenticità dell'atto. Di conseguenza, il deposito di verbali di conciliazione in sede sindacale presso la DTL, ancora previsto dall'art. 411 c.p.c., non potrebbe essere negato, se non in caso di accertata non autenticità del verbale. Pertanto, sarebbe illegittimo il diniego opposto dall'Ufficio territoriale al deposito di una conciliazione avvenuta in sede sindacale che non fosse esclusivamente motivato in riferimento all'inciso dell'art. 411 c.p.c..
In riferimento a tale ricostruzione, d'intesa con la Direzione generale delle relazioni industriali, la scrivente ritiene tuttavia che, in caso di deposito presso la DTL dei verbali di conciliazione in sede sindacale, il Direttore dell'Ufficio territoriale debba verificare -‐ oltre all'autenticità dell'atto, come espressamente richiesto dall'inciso dell'art. 411, co. 3, c.p.c. -‐ anche, e in primo luogo, la stessa integrazione della fattispecie della valida conciliazione in sede sindacale, che deve avvenire "presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative", come dispone l'art. 412-‐ter c.p.c..
Infatti, il collegamento fra il momento del deposito e quello di una verifica del rispetto delle procedure di fonte contrattual-‐collettiva, che la circolare del 1975 ricostruiva in via interpretativa, mantiene la sua validità anche in relazione all'attuale contesto ordinamentale, nel quale è stato espunto dall'art. 410 c.p.c. il richiamo esplicito alle "procedure di contratto o accordo collettivo", risultando anzi tale collegamento, nel mutato contesto, maggiormente incisivo nel riferimento dell'art. 412-‐ter c.p.c. a sedi e modalità "previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative". La revisione della disposizione di cui all'art. 410 c.p.c. non ha infatti comportato il venir meno della norma in esso espressa nella previgente formulazione, che impone il rispetto, in caso di conciliazioni sindacali, di procedure di fonte contrattual-‐collettiva, e che resta presente nell'ordinamento indipendentemente dalla sedes materiae, attualmente traslata nella autonoma disposizione dell'art. 412 ter c.p.c.
Tale impostazione è altresì sorretta da ulteriori incisivi argomenti.
In primo luogo, il riferimento alla stessa fattispecie di diritto sostanziale alla base delle disposizioni procedurali, cioè la norma sulle rinunzie e transazioni ex art. 2113 c.c., in cui l'invalidità dell'atto dispositivo, prevista in generale, soffre un'eccezione ove esso sia posto in essere in una delle cc.dd. "sedi protette" previste dal Legislatore, cioè nel caso in cui la conciliazione sia "intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, e
411, 412-‐ter e 412-‐quater del codice di procedura civile" (cfr. art. 2113 c.c., ult. co.). Il riferimento, fra gli altri, all'art. 412-‐ter c.p.c. rende evidente la scelta ordinamentale di limitare le conciliazioni ex art. 2113 c.c. a sedi che garantiscano un certo gradiente di "istituzionalizzazione".
In secondo luogo l'art. 410 c.p.c., laddove fa riferimento all'"associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato", senza ulteriori specificazioni, si riferisce evidentemente al soggetto che può proporre il tentativo di conciliazione presso le commissioni di conciliazione, in via peraltro solo eventuale e non necessaria, trattandosi di facoltà riconosciuta direttamente in capo al lavoratore. Nell'economia della norma, quindi, tale riferimento individua il soggetto sindacale nello svolgimento di una funzione di consulenza e assistenza e non di una funzione propriamente conciliativa, che può esplicarsi solo nelle "sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative", secondo la chiara disposizione dell'art. 412-‐ter c.p.c.
Infine, il controllo previsto dall'art. 411 c.p.c. circa l'accertamento della autenticità del verbale di conciliazione in sede sindacale, lungi dal limitare la verifica richiesta al Direttore degli uffici territoriali ad un rilievo esclusivamente "notarile", non costituisce argomento determinante in senso contrario alla ricostruzione qui proposta, dato che la previsione richiamata era presente anche nel testo previgente dell'articolo in commento.
Pertanto, è possibile, rispondere in modo affermativo al quesito posto da codesto Ufficio, nel senso che per l'utile espletamento dell'attività di deposito di verbali ex art. 411 c.p.c., il soggetto sindacale deve risultare in possesso di elementi di specifica rappresentatività. In riferimento alle difficoltà operative che comporterebbe per gli Uffici la verifica di tale requisito, espressamente segnalate da codesta Direzione, si ritengono ancora pienamente valide le indicazioni offerte sul punto dalla citata circolare ministeriale del 1975, la quale prevede (punto C, in chiusura) che "al fine di svolgere l'accertamento d'ufficio, il Direttore può richiedere alle parti sindacali di apporre sul verbale espressa dichiarazione di avere adottato le predette procedure", intendendosi per tali non più meramente quelle "previste da contratti o accordi collettivi" del testo previgente dell'art. 410 c.p.c., bensì quelle "previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative" di cui all'art. 412-‐ter c.p.c..
Tale indicazione appare infatti coerente con la necessità di "sistemizzare" le modifiche dell'istituto sedimentatesi negli anni, e condivide la linea di "responsabilizzazione" del sistema di relazioni industriali propria della circolare del 1975, non smentita dalle profonde modifiche che hanno interessato tale sistema, la quale non impone ai Direttori degli Uffici territoriali verifiche tecnicamente complesse e suscettibili di incidere virtualmente sulle prerogative sindacali (in specie nel mutato quadro attuale di valorizzazione del criterio della maggiore rappresentatività), ma, nel pieno rispetto dell'art. 39 Cost., sposta al livello dell'autoregolamentazione sindacale la responsabilità del rispetto e della corretta applicazione delle indicazioni di fonte legislativa.