La tutela dei lavoratori nella successione di imprenditori nel contratto di appalto tra clausole di riassorbimento della manodopera e trasferimento d’azienda∗
La tutela dei lavoratori nella successione di imprenditori nel contratto di appalto tra clausole di riassorbimento della manodopera e trasferimento d’azienda∗
Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
1.1. (segue). L’appalto e lo spettro del trasferimento d’azienda. 71
1.2. (segue). Una dicotomia eccessiva. 74
2. Di come una fattispecie senza tutele legislative si arricchisca del contributo contrattuale: le clausole sociali. 76
2.1. Efficacia ed effettività della tutela: l’apparenza inganna. 80
3. Di come l’appalto divenga un’azienda o un suo ramo nella prospettiva multilivello: una storia
3.1. (segue). Il conflitto tra fonti e principi: un bellum omnium contra omnes. 90
4. Il legislatore italiano: post nubila Phœbus? 97
4.1. (segue). Identità, discontinuità e azienda negli appalti labour intensive. 102
∗ Originariamente pubblicato come WP C.S.D.L.E. "Xxxxxxx X'Xxxxxx".IT – 425/2020
Nell’impostazione spiccatamente personalistica e nella conseguente architettura individualistica del diritto del lavoro si inscrive, volendo mutuare le parole di un illustre filosofo (221), il destino proprio del lavoratore occidentale: adottare per sé delle tecniche, per adattare a sé il mondo. La preminenza costituzionale del diritto al lavoro, in tutte le sue varie forme e articolazioni (subor- dinato, autonomo, femminile e così via) immette nel sistema ordinamentale un principio di valore assoluto, funzionale a garantire un ordine – un ordinamento – in una delle principali relazioni di potere che ci è derivata da una storia solo fittiziamente riconducibile alla rivoluzione industriale, ma connessa all’esistenza della stessa umanità. È però solo con l’avvento della Repubblica che l’Italia tende a contenere (da qui la differenza rispetto al periodo liberale), senza reprimere (e da qui quella con la tradizione fascista), la radice violenta che sta alla base dei rapporti di lavoro. Il lavoro, dunque, non più schiavitù degli antichi, ma rinnovato diritto di libertà; non più strumento di alienazione dell’uomo ma mezzo di realizzazione della persona umana, di espressione sua di- gnità personale, prima ancora che professionale; non più solo mezzo di sostentamento per sé e la propria famiglia (in un’ottica solo apparentemente patriarcale, giacché il lavoro femminile è, e costituisce obbligo per lo Stato impegnarsi affinché sia, pari a quello dell’uomo), ma anche stru- mento attraverso il quale contribuire e concorrere allo sviluppo, morale e materiale, della società.
L’inclinazione ad un tempo adattativa e creativa della persona umana ha orientato la storia del diritto del lavoro verso la predisposizione di strumenti, tecniche e procedure volte a ricondurre a parità sul piano sostanziale l’insoddisfacente razionalità del diritto civile, corretta nel segno di principi etici attraverso una normativa protettiva capillare, di segno imperativo e non dispositivo, volta non solo a sanzionare ogni potere datoriale (potere disciplinare, direttivo e di controllo) che venga esercitato oltre i limiti entro i quali è legittimamente destinato a manifestarsi, ma anche a offrire protezione alla dimensione sociale del lavoro, contrastando la mera logica del profitto e dell’efficienza cui si ispira, all’opposto, la razionalità economica delle imprese. In questo senso, il principio di autonomia privata e la libertà di iniziativa economica vengono gradualmente guidati, pur senza mai essere del tutto arrestati, un po’ come si fa mutando il corso del letto di un fiume: l’atteggiamento che si richiede al lavoratore, come soggetto capite deminutus, è solo quello di tenere comportamenti idonei a concludere il contratto di lavoro e di offrire la propria prestazione in conseguenza del vincolo contrattuale (ad es. avendo riguardo all’interesse del datore, e dunque in buona fede). Ma ciò, come ben si conosce, è insieme necessario e sufficiente: è necessario, poiché possa operare la speciale disciplina lavoristica; ma è anche sufficiente, poiché nel diritto del lavoro «il contratto impegna la prestazione di lavoro, crea l’obbligazione di lavorare, ma non la governa […]. Il rapporto di lavoro nasce dal contratto, ma non si indentifica col contratto» (222) e trova protezione nella speciale disciplina legislativa.
Questa tendenza non meramente contemplativa, ma manipolativa dell’ordine sociale che il legi- slatore progressivamente mostra rispetto al lavoro, pur evidenziandosi come un tratto stabile della storia (soprattutto dallo Statuto, le riforme succedutesi negli anni hanno toccato, sino a segnarne intere rivoluzioni, l’intero campo del nostro diritto), non si è mai arrestata al piano me- ramente individuale, ma si è proiettata anche su quello del mercato, ove le esigenze di
221 X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx e tempo, Longanesi, Milano, 2005, p. 85 ss. (trad. Xxxxxx Xxxxxx).
222 X. Xxxxxxx, L’influenza del diritto del lavoro sul diritto civile, ora in X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx (a cura di), Xxxxxxx X. Metodo e teoria giuridica, Xxxxxxx, Milano, 2011, p. 291.
trasformazione delle imprese, tutelate dall’art. 41, co. 1 Cost., hanno manifestato, di converso, la necessità di apprestare una convergente tutela legale per i dipendenti, in conformità ai commi successivi della stessa disposizione costituzionale: non si parla qui tanto delle misure di sostegno al reddito (gli ammortizzatori sociali, per esempio) o in materia di licenziamenti collettivi o di so- stegno all’occupazione e al welfare, che pure sono volte, indirettamente o direttamente, a sod- disfare esigenze di occupazione e occupabilità del capitale umano. Piuttosto, ci si riferisce a quelle volte a disciplinare le conseguenze, sul piano giuridico e sociale, dei processi di esternalizzazione e di razionalizzazione produttiva, cui le imprese ricorrono al fine di perseguire la migliore alloca- zione possibile delle proprie risorse e il più efficiente, flessibile e dinamico posizionamento sul mercato.
Per comprendere la ragione del fenomeno una parentesi storica appare più che opportuna. Sin dagli anni ’80 il passaggio dal paradigma organizzativo di stampo fordista, fondato sull’integra- zione verticale dell’impresa (ovvero sulla concentrazione in grandi impianti industriali di diverse fasi produttive al fine di sfruttare economie di scala e di ridurre progressivamente il costo unitario dei prodotti) a modelli produttivi complessi, caratterizzati da una specializzazione flessibile, in cui la «tecnostruttura integrata tende a divenire una rete estesa di unità semiautonome o autonome con forme elastiche di coordinamento» (223) ha favorito, in un’ottica di redistribuzione dei rischi, l’esternalizzazione delle attività di supporto e di quelle secondarie e la focalizzazione delle strate- gie di impresa e degli investimenti sul core business aziendale, fonte del vantaggio competitivo (differenziale, di focalizzazione o di costo) e principale mezzo di crescita (224). Si tratta di un feno- meno solo marginalmente diversificatosi nei decenni successivi, in cui l’industria tecnologica e l’accresciuta importanza delle competenze al fine del mantenimento delle quote di mercato (il know-how) ha favorito aggregazioni imprenditoriali in forma reticolare, segnata da rapporti di collaborazione con imprese esterne, secondo modelli di outsourcing di non univoca definizione (225), ma comunque flessibili e capaci di garantire alta capacità innovativa o rispondere ad una elevata variabilità qualitativa e quantitativa della domanda. In corrispondenza, si assiste alla divi- sione specialistica del lavoro (226): processo non del tutto familiare al codificatore del 1942, incol- pevole portatore del resto una coscienza sociologica differente da quella moderna, in cui era
223 X. Xx Xxxx Xxxxxx, Un’analisi comparata dei processi di esternalizzazione, in X. Xxxxxx, X. Xxxxx (a cura di), Il diritto del lavoro
nell’Unione Europea, Xxxxxxx, Milano, 2011, p. 263.
224 X. Xxxxxxxxx, Organizzazione del lavoro e professionalità: una riflessione su contratto di lavoro e post – taylorismo, in Giornale dir. lav. rel. ind., 2004, p. 1 ss.; X. Xxxxxxx, “Contractual integration” e rapporti di lavoro, Cedam, Padova, 2004; Id., Contractual Integration, impresa e azienda, in Giornale dir. lav. rel. ind., 1999, p. 385; X. Xxxxxx, Processi di esternalizzazione: tutela del lavoratore e interesse dell’imprese, Jovene, Napoli, 2004; X. Xxxxxxx, Un nuovo oggetto di disciplina per l’art. 2112 cod. civ.: dal ramo d’azienda all’articola- zione funzionalmente autonoma, in Riv. it. dir. lav., 2006, p. 75 ss.
225 X. Xxxxxxxx, Appalti e trasferimento di azienda, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 41/2006, p. 3; Id., Il datore di lavoro nell’im-
presa integrata, ivi, n. 94/2010, p. 1.
226 La frazionabilità del processo produttivo in fasi diverse, separabili, consente la specializzazione per fasi o componenti della forza lavoro, cui si richiede peraltro una spiccata proteiformità (ovvero la capacità di svolgere un adeguato numero di mansioni, secondo un modello non dissimile da quello poi recepito dal nuovo art. 2103 cod. civ.), cui conseguono forme di organizzazione flessibili e non necessariamente integrate, in relazione alle quali i processi di coordinamento del personale assumono rilevanza non solo in relazione all’individuazione del concreto datore di lavoro, ma anche al mantenimento della manodopera a fronte di operazioni di successione tra imprenditori.
l’operaio fordista-taylorista ad assurgere a tipo normativo (227). L’accorciamento del ciclo produt- tivo interno, favorito dalla perdita di consistenza del «profilo attrezzistico e impiantistico» (228) delle imprese e della convergente crescita del rilievo di know-how e dotazioni immateriali, ha invero consentito il consolidamento di imprese leggere, focalizzate allo sviluppo del core business, con conseguente rinuncia al controllo diretto ed integrato di tutte le fasi della lavorazione, ri- spetto alle quali viene anzi favorito il ricorso alla dislocazione esterna di parte dell’attività econo- mica (e delle relative maestranze) ovvero al coinvolgimento strategico diretto di un fornitore nei piani di sviluppo imprenditoriali (229).
In questo contesto, la stessa separazione tra concezione dei prodotti ed esecuzione del lavoro consente alle imprese di sperimentare forme di decentramento dell’autorità e di scomposizione produttiva, in cui la gestione imprenditoriale è operata da una società capogruppo (spesso una holding), mentre la produzione e il commercio vengono affidate ad altre società, appartenenti al medesimo gruppo o consorziate, che operano tra loro in sinergia, assoggettandosi, in virtù dell’esercizio dei poteri di direzione e controllo (art. 2359 cod. civ.) o, nella maggior parte dei casi, su base contrattuale, a determinati vicoli di comportamento, finalizzati al conseguimento di obiet- tivi economico-strategici d’interesse comune, sfruttando la specializzazione assunta e la maggiore vicinanza agli stimoli del mercato. Si assiste parimenti alla creazione di distretti e, più di recente, di vere e proprie reti di imprese (230), in cui la maggior parte delle aziende si occupa di una parti- colare fase o di un particolare prodotto, che sarà poi parte del processo produttivo finale, mentre solo la minima parte instaura rapporti diretti con i consumatori finali, in relazione alla cui do- manda determina la quantità e qualità dei beni da produrre, affidandone la realizzazione concreta ai produttori integrati e coordinando l’intero processo produttivo.
In altri casi, invece, dove la smaterilizzazione dei processi produttivi si caratterizza per la sostan- ziale assenza di un substrato materiale – come avviene, tipicamente, nel caso di esternalizzazioni labour intensive a basso valore aggiunto (es. pulizia, call center, guardiania, etc.) o, al capo oppo- sto, knowledge intensive ad elevato valore aggiunto (es. design, marketing, sviluppo informatico, etc.) – e in cui assumono un ruolo centrale gli elementi relazionali, le operazioni di c.d. downsizing attengono, essenzialmente, alla forza lavoro, che viene appunto prelevata in outsourcing e ri- spetto alla quale la nuova funzione imprenditoriale si caratterizza per l’attività di organizzazione
227 X. Xxxxxxx, Postfordismo e ideologie giuridiche. Nuove forme d’impresa e crisi del diritto del lavoro, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 2003, p. 167-168. Cfr. anche X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Trasferimento d’azienda e rapporto di lavoro, Giappichelli, Torino, 2004, p. 2.
000 X. Xx Xxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxxxx dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, in Riv. it. dir. lav., 2003, p. 176.
229 Sul fenomeno del decentramento produttivo, x. X. Xxxxxxxx, Xx xxxxxx xxxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. Xxxxxxx, Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro: il rapporto individuale, in Giornale dir. lav. rel. ind., 1985, p. 203 ss.; X. Xxxxxx, Il lavoro decentrato nella dottrina e nella giurisprudenza, in Quaderni dir. lav. rel. ind., 1990, p. 133 ss.; X. Xxxxxx, Il diritto del lavoro e i confini dell’impresa, in Giornale dir. lav. rel. ind., 1999, p. 203 ss.; X. Xx Xxxx Xxxxxx, I processi di terziarizzazione intra moenia ovvero la fabbrica “multi- societaria”, in Dir. merc. lav., 1999, p. 49 ss.; X. Xxxxxxxxx, Decentramento produttivo e tutela dei lavoratori, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2002;
X. Xxxxxx, Processi di esternalizzazione, cit., p. 1 ss.; X. Xx Xxxx Xxxxxx, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospet- tiva comparata: scenari e strumenti, in Riv. it. dir. lav., 2007, p. 3 ss.; X. Xxxxxxx, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: problemi e prospettive, ivi, p. 29 ss.
230 Sul fenomeno del lavoro nelle reti di impresa, v. X. Xxxxx Xxxxxx, X. Xxxxx (a cura di), Contratto di rete e diritto del lavoro, Cedam, Padova, 2014; I. Xxxxxx, Il lavoro nelle reti di imprese. Profili giuridici, Xxxxxxx, Milano, 2014; M. G. Xxxxx, Il rapporto di lavoro nell’im- presa multidatoriale, Giappichelli, Torino, 2017.
delle maestranze attraverso mutevoli forme negoziali (231). In senso analogo, se obiettivo primario dell’impresa è la riduzione dei costi fissi (232), l’alleggerimento di quelli strutturali attinenti al per- sonale e ai relativi beni di impiego viene favorita attraverso il ricorso al decentramento di ampi segmenti di attività o la devoluzione del lavoro a imprese contoterziste, favorendo strumenti di cooperazione tra imprese, con vantaggi di medio e lungo periodo (la c.d. contractual integration) (233). La disintegrazione dell’impresa verticale consente, così, le forme più elastiche di raccordo, più o meno rigide a seconda del modello utilizzato, ma comunque tali da implicare una devolu- zione di cicli o fasi produttive secondo uno schema di triangolazione, in cui la relazione bilaterale statica di classico stampo fordista tra datore di lavoro e dipendenti si arricchisce della presenza di un terzo soggetto imprenditoriale stabilmente o momentaneamente frapposto (234).
1.1. (segue). L’appalto e lo spettro del trasferimento d’azienda.
È proprio in questo contesto che il diritto del lavoro pone innesti di solidarietà sociale al diritto civile e commerciale. Di fronte a processi di esternalizzazione caratterizzati per un momento espulsivo e uno acquisitivo, l’ampliamento delle tecniche di tutela si rende necessario innanzi- tutto a fronte di istanze di protezione sociale rivolte a garanzia della corretta instaurazione dei rapporti contrattuali, onde evitare che l’atomismo imprenditoriale e il conseguente ridimensio- namento di struttura produttiva e dimensione occupazionale possano costituire una modalità pa- tologica attraverso la quale eludere le rigide tutele lavoristiche sia sul piano collettivo che indivi- duale o fungere da schermo a fenomeni interpositori (specie laddove il ricorso alle esternalizza- zioni avvenga intra moenia, ovvero all’interno della stessa impresa, determinando una contiguità tra maestranze quando non una vera e propria confusione direttiva) (235). Inoltre, in un’ottica di regolazione degli effetti sociali del fenomeno, della continuità occupazionale e della tutela del reddito dei lavoratori “periferici”, considerando che la rinuncia alla gestione diretta del fram- mento produttivo implica la devoluzione ad altri operatori economici di attività e beni funzionali alla realizzazione del servizio a un costo spesso notevolmente inferiore (236), si tratta di evitare che l’outsourcing si traduca in modo surrettizio in uno strumento attraverso il quale si miri ad una riduzione stabile dell’occupazione o alla riduzione del costo del lavoro attraverso la dimidiazione
231 In questo senso, il decentramento è attuato attraverso forme contrattuali di natura commerciale, come l’appalto, la fornitura o il
franchising o di lavoro, come la somministrazione e il distacco, oltre a rapporti di lavoro autonomo e parasubordinato. Cfr. per tutti
X. Xxxxxxxx, Appalti e trasferimento d’azienda, cit., p. 4 s.
232 Il modello è definito da Xxxxxxx Xxxxxxxx come «di competitività puramente di costo» (Le “esternalizzazioni” dei processi produttivi dopo il d. lgs. n. 276 del 2003: proposte di riforma, in Riv. giur. lav., 2006, p. 9). Cfr. P. Albi, Il contratto di appalto, in X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx (a cura di), Trattato di diritto del lavoro, vol. VI, Il mercato del lavoro, Cedam, Padova 2012, p. 1618; P. G. Alleva, La nuova disciplina degli appalti di lavoro, in X. Xxxxxx (a cura di), Il lavoro tra progresso e mercificazione. Commento critico al d. lgs. n. 276/2003, Ediesse, Roma, 2004, p. 165.
233 X. Xxxxxxx, “Contractual integration” e rapporti di lavoro, cit.; Id., Contractual Integration, impresa e azienda, cit., p. 385 ss.
234 Sul fenomeno dell’esternalizzazione, tra i moltissimi scritti, si segnalano gli scritti di X. Xxxxxx, Il diritto del lavoro, cit.; P. Xxxxxxxxxxx,
Area contrattuale e autonomia collettiva; X. Xxxxx, Cessione di ramo d’azienda e appalti, in Giornale dir. lav. rel. ind., 1999; nonché
X. Xxxxxxx, Esternalizzazione del processo produttivo e nuove forme di lavoro, in Dir. lav., 2000, p. 303 ss.; X. Xxxxxxxxxx, Trasferimento di ramo d’azienda e esternalizzazione, in Arg. dir. lav., 2000, p. 285 ss.; X. Xx Xxxx Xxxxxx, Le esternalizzazioni tra cessione di ramo d’azienda e rapporti di fornitura, in Id. (a cura di), I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici, Esi, Napoli, 2002, p. 9 ss.; X. Xxxxxxx, Tecniche di tutela nei fenomeni di esternalizzazione, in Arg. dir. lav., 2003, p. 473 ss.;
235 In questo si collocano, in particolare, gli studi volti tanto a individuare il datore di lavoro nell’impresa integrata, quanto a illustrare
le forme di tutela normativa e retributiva accordata ai lavoratori dall’art. 2112 cod. civ.
236 X. Xx Xxxx Xxxxxx, I processi di terziarizzazione, cit., p. 55.
dei diritti acquisiti dai dipendenti coinvolti nell’operazione.
A ciò è volta, in particolare, la disciplina prevista dall’art. 2112 cod. civ., la quale, spostando l’an- golazione dell’interesse del diritto del lavoro dall’impresa nella sua accezione autoritaria per la sua intrinseca capacità di comprimere i diritti del lavoratore (piano individuale) all’impresa in sé considerata, anche nelle sue trasformazioni, quale fonte di lavoro (piano collettivo), indirizza l’operazione economica di trasferimento di azienda o di una sua parte ai principi di fonte costitu- zionale (segnatamente la compatibilità della libera iniziativa economica con la sicurezza, la libertà e la dignità umana e comunque con l’utilità sociale e l’indirizzo della stessa a fini sociali). L’inci- denza sulla organizzazione del cessionario viene però qui compiuta a tutto tondo, non solo pro- teggendo i lavoratori con la garanzia della tendenziale impermeabilità dei rapporti di lavoro ri- spetto al trasferimento (237), ma indirizzando persino, e non è dato sapere quanto consapevol- mente, le «modalità indirette di utilizzazione del lavoro altrui attraverso l’impiego di varie fatti- specie negoziali che prevedono il coinvolgimento di altri soggetti che assumono la veste del da- tore di lavoro» (238). Il trasferimento di azienda, in altri termini, viene visto non solo in exit, ma anche in entrance, legittimando, secondo un’eterogenesi dei fini, una circolarità del processo di trasferimento capace di condurre l’impresa, a seguito della cessione a terzi di segmenti del pro- prio ciclo produttivo, a riassorbire all’interno del perimetro aziendale gli stessi beni o servizi ester- nalizzati secondo il modello del c.d. insourcing, instaurando un nuovo e diverso rapporto nego- ziale con il cessionario: l’appalto. Uno strumento di esternalizzazione e di riduzione dei c.d. «costi della subordinazione» (239) implicitamente riconosciuto proprio nell’ultimo comma della citata
237 Si tratta peraltro, come precisato nel testo, di una stabilità solo imperfetta, in quanto il trasferimento di azienda, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., si presenta come un presupposto necessario affinché sia garantita la continuazione automatica del rapporto di lavoro in capo al cessionario (con conseguente divieto di ritenere il trasferimento in sé motivo di licenziamento ex comma 4) con conserva- zione di tutti i diritti che derivano dal rapporto in senso diverso da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, ma non preclusivo del successivo mutamento di condizioni negoziali. Il valore precettivo inderogabile del principio contenuto nel comma 1 della disposizione, infatti, consiste nel divieto di qualsiasi operazione (unilaterale del cedente e/o bilaterale tra cedente e cessionario) volta a rendere più conveniente il passaggio dell’azienda attraverso una riduzione quantitativa del corredo di posizioni creditorie dei singoli lavoratori; cosicché nessuna delle situazioni giuridiche già maturate o in fieri dei dipendenti del cedente può subire mutamenti deteriori per il solo fatto, o in occasione, del passaggio da un datore di lavoro all’altro. Le situazioni giuridiche attive dei lavoratori, una volta verifi- catosi il passaggio al nuovo datore, non restano però immuni dalle normali vicende modificative derivanti dal mutamento del rapporto, non potendo il principio di conservazione essere confuso con l’immodificabilità dei diritti, che non trova legittimazione nell’ordina- mento se non in relazione alle posizioni già esaurite (c.d. diritti quesiti). Il principio di conservazione assume dunque valore di garanzia istantanea, testa a fotografare l’esistente e a renderlo intangibile al momento del trasferimento, ma non certo a sterilizzare le even- tuali successive vicende modificative, anche in pejus, dei rapporti di lavoro conseguenti alla normale evoluzione tanto del rapporto quanto delle fonti che lo disciplinano. In tal senso, del resto, depongono alcune delle stesse disposizioni contenute nello stesso art. 2112 cod. civ. laddove sanciscono, da un lato, la conservazione della contrattazione collettiva del cedente salvo la sostituzione della stessa ad opera del diverso contratto collettivo applicabile dal cessionario, purché del medesimo livello (comma 2) e, dall’altro, la facoltà del cedente di provvedere alla modifica, anche sostanziale, delle mansioni dei dipendenti ceduti, come pure al loro licenzia-
mento (comma 3). Nel complesso, dunque, le posizioni giuridiche attive dei lavoratori trasferiti non sembrano coperte da garanzie
speciali: semplicemente, transitano in capo al nuovo datore di lavoro senza mutare natura o assumere particolare immodificabilità; transitano al momento del trasferimento (che non ne giustifica una riduzione ex se), ma possono essere modificate immediatamente dopo il trasferimento, laddove esse siano incompatibili con la nuova organizzazione aziendale o con le fonti del rapporto che la go- vernano presso il cessionario, come del resto avrebbero potuto essere modificate dal cedente ove il rapporto non fosse stato ceduto. 238 X. Xxxxxxxx, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative, Relazione alle Giornate di Studio AIDLaSS “Frammentazione organiz- zativa e lavoro: rapporti individuali e collettivi”, in xxxxxxx.xx, 2017, p. 12 del dattiloscritto.
239 X. Xxxxxxxxxx, Lavoro sans phrase e ordinamento dei lavori. Ipotesi sul lavoro autonomo, in Aa.Vv., Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 1998, p. 397 s. Cfr. X. Xxxxxxx, Il rapporto di lavoro negli appalti, in Aa.Vv., Diritto del lavoro. I nuovi problemi, Xxxxx, Padova, 2005, p. 97
disposizione, laddove si prevede che, «nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un con- tratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione», tra appaltante e appaltatore opera il regime di solidarietà passiva previsto dall’art. 29, co. 2 d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (240).
Ciononostante per lungo tempo la tutela dei lavoratori, così stringente nell’ipotesi di circolazione dell’azienda, sembra essersi particolarmente arenata di fronte al fenomeno della successione di imprenditori negli appalti, rispetto alla quale la disciplina protezionistica, che pur si colloca age- volmente nell’ambito del rapporto di lavoro individuale (garantendo, ad esempio, la genuinità del rapporto o la solidarietà tra le imprese), è rimasta (soprattutto fino al 2016) a guardare dalla barricata il fenomeno, pur di fondamentale importanza, economico non meno che sociale, del cambio di appaltatore (241).
C’è da dire, peraltro, che la questione non si risolve qui nel dualismo tra decidere se il cambio di appalto, avendo ad oggetto il subentro di un imprenditore in un servizio da svolgere attraverso una struttura organizzata composta principalmente da maestranze adibite stabilmente allo svol- gimento di un compito comune, possa costituire vicenda traslativa sussumibile entro l’ampia fat- tispecie del trasferimento di azienda o di un suo ramo, con conseguente applicazione in favore dei lavoratori impiegati del sistema di tutele previsto dall’art. 2112 cod. civ.; questione che, a monte, richiede di stabilire se per aversi trasferimento di azienda o di un suo ramo sia sufficiente la mera continuazione dell’attività in capo a un soggetto diverso o sia invece richiesta anche la traslazione di un qualche elemento – beni, strumento o rapporti giuridici – o se ancora, secondo un’interpretazione ancor più restrittiva, sia richiesto il passaggio di beni in senso stretto; e infine se, per aversi mutamento della titolarità dell’entità economica organizzata sia necessario o meno un rapporto contrattuale tra cedente e cessionario. Perché due norme in materia ci sono e al- meno in apparenza, sembrano proprio escludere, tanto in entrata quanto in uscita, l’applicazione dei modelli di tutela centrati sulla posizione di debolezza del lavoratore.
Il riferimento è, come noto, al complessivo disegno offerto dagli artt. 29, co. 3 d.lgs. n. 276/2003 e all’art. 7, co. 4-bis d.l. 31 dicembre 2007, n. 248 conv. con mod. in l. 28 febbraio 2008, n. 31, i quali, sino alla riforma del 2016 (242), si preoccupavano rispettivamente di escludere, in caso di subentro appalto, l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. in entrata (ovvero nei confronti dell’ap- paltatore entrante) e la disciplina sui licenziamenti collettivi in uscita (ovvero con riguardo all’ap- paltatore uscente), lasciando agli interpreti il compito di stabilire le conseguenze del cambio
240 L’innovazione è dovuta all’art. 32, co. 2 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e dall’art. 6 d.lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, il quale ha così sostituito l’originaria previsione, notevolmente criticata in dottrina (v. X. Xxxxx Xxxxxx, Trasferimento d’azienda, outsourcing e successione di appalti, in X. Xxxxxxx (a cura di), Impiego flessibile e mercato del lavoro, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2004, p. 74; X. Xxxxxx, Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione di lavoro a favore del terzo, in P. Xxxxxx (a cura di), Lavoro e diritti dopo il d.lgs. n. 276/2003, Xxxxxxx, Bari, p. 156; X. Xxxxxxxx, Appalti e trasferimento d’azienda, cit. 9 ss.), secondo la quale alla fatti- specie in questione avrebbe dovuto applicarsi l’art. 1676 cod. civ. Sulla nuova norma, v. X. Xxxxxxxx, La responsabilità solidale, in Id. (a cura di), Appalti e lavoro, volume secondo. Disciplina lavoristica, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2017, p. 141.
241 La differenza tra subentro nell’appalto e insourcing è evidente: nel secondo caso, infatti, i due negozi sono autonomi, in quanto
ciascuno dotato di propria causa, anche se eventualmente integrati a fronte di un collegamento negoziale esplicito o implicito, ed operano in tempi successivi, in quanto l’appalto consegue al trasferimento. Inoltre i lavoratori sono i medesimi in ragione dell’opera- tività dell’art. 2112 cod. civ. Al contrario nel cambio appalto, com’è evidente, è il rapporto negoziale tra committente e appaltatori che viene a mutare nel tempo, i lavoratori impiegati nel nuovo appalto sono quelli del nuovo appaltatore e le maestranze previamente impiegate nell’appalto, non operando l’art. 2112 cod. civ., rischiano di perdere il posto di lavoro.
242 Su cui infra par. 4.
appalto e dandosi ovviamente per presupposta la liceità stessa del fenomeno interpositorio. Men- tre il trasferimento di azienda e il licenziamento collettivo sembravano venire relegati al ruolo del fantasma costretto ad aggirarsi sui bastioni di una legislazione protezionistica svuotata di ogni contenuto, il subentro in appalto doveva per necessità essere gestito attraverso il licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo da parte dell’impresa uscente e l’eventualità dell’assunzione ex novo dei dipendenti cessati veniva rimessa alla valutazione discrezionale da parte dell’impresa subentrante. Sugli scogli dell’inoperatività della continuazione ex lege dei rap- porti si infrangevano così, per precisa scelta del legislatore, nuovi conflitti di interessi che investi- vano le maestranze dell’appaltatore uscente e gli altri soggetti coinvolti e complicavano, in un’ot- tica poliangolare, la classica dimensione conflittuale datore di lavoro-lavoratori: un effetto dell’erosione del potere regolativo dello Stato di imporre alle imprese che operano sul suo terri- torio, attraverso la legislazione del lavoro, vincoli e costi di protezione dei lavoratori generato dal conflitto tra ordinamento e mercati, cui conseguono, sul piano collettivo, un affidamento assoluto delle politiche sociali alla mano invisibile dell’autonomia collettiva e, su quello individuale, come ben sa chi pratica il foro, l’invocazione in giudizio proprio della “norma esclusa”, l’art. 2112 cod. civ., in ragione della scarsa efficacia dei prodotti di matrice sindacale.
1.2. (segue). Una dicotomia eccessiva.
Giunti a questo punto occorre aprire una breve parentesi narrativa per rilevare – prima ancora di indagare il dibattito afferente al combinato disposto degli artt. 29, co. 3 d.lgs. 276/2003 e 2112 cod. civ. – che la ragione della storica reticenza del legislatore ad assimilare le fattispecie non è del tutto comprensibile, se si considera la contiguità esistente tra le fattispecie, anche alla luce delle istanze di protezione cui si richiede risposta nell’ambito dei complessi rapporti tra economia e diritto.
Per comprenderlo varrà considerare, a mo’ di premessa, come la tutela del mantenimento dei livelli occupazionali che si imprime, in virtù dell’art. 2112 cod. civ., nella successione tra impren- ditori risponde solo fittiziamente ad una finalità conservativa degli asset e del patrimonio ceduto, cristallizzandone la situazione al momento del trasferimento. Nel determinare il trasferimento del fascio di rapporti di lavoro a prescindere dalla (ed anche contro alla) volontà dei dipendenti trasferiti allo scopo di garantire la continuità del rapporto, il valore precettivo inderogabile della disposizione consiste più propriamente nel divieto di qualsiasi operazione (unilaterale del cedente e/o bilaterale tra cedente e cessionario) volta a rendere più conveniente il passaggio dell’azienda o di un suo ramo, intesi nella loro materialità (243), attraverso una riduzione quantitativa, prima ancora che del corredo delle posizioni creditorie dei singoli lavoratori, degli stessi posti di lavoro ed evitare di converso che l’operazione di cessione divenga il veicolo attraverso il quale l’impresa possa liberarsi di propri dipendenti senza passare per la procedura di licenziamento collettivo.
Una siffatta istanza di tutela è solo astrattamente diversa nell’ipotesi di successione tra impren- ditori nel cambio appalto. È vero che, a differenza del trasferimento d’azienda l’appalto, special- mente ad alta intensità di manodopera, non implica una successione nello stesso patrimonio, ma nella stessa commessa attraverso un nuovo contratto; e non è una successione tra imprenditori (o meglio, non lo è solo), ma è prima ancora una successione tra concorrenti, rispetto al quale la mera transizione automatica dei dipendenti rischierebbe di alterare tanto la convenienza
243 Sul significato di azienda o ramo d’azienda, v. infra par. 3.
economica dell’operazione (legata essenzialmente al rapporto tra costo dell’opera e ricavi),
quanto la stessa concorrenzialità del mercato.
E tuttavia la frammentazione del processo produttivo, che si traduce nello svolgimento di presta- zioni sostanzialmente analoghe da parte delle imprese appaltatrici succedutesi, vede comunque contrapposti, analogamente a quanto avviene nel trasferimento di azienda o di ramo, l’interesse del nuovo appaltatore a pianificare liberamente la propria attività avvalendosi delle maestranze che preferisce e applicando ad esse i trattamenti economico-normativi ritenuti adeguati e quello dei lavoratori già impiegati nell’appalto alla continuità occupazionale e al mantenimento dei diritti alle dipendenze del nuovo appaltatore. Senza contare, poi, che le fattispecie di subentro in ap- palto e trasferimento d’azienda tendono quasi a sovrapporsi, sino a confondersi, laddove l’attività oggetto dell’appalto abbia ad oggetto la fornitura di servizi ovvero attenga ad appalti labour in- tensive, il cui servizio, in quanto afferente ad attività con minima incidenza di capitale e massima incidenza di lavoro, si fonda essenzialmente sulla manodopera e sono spesso di breve durata, in considerazione del fatto che l’impiego di lavoratori in compiti semplici ed omogenei non richiede formazione specifica e la convenienza economica del committente favorisce la rinegoziazione di nuovi accordi a condizioni più favorevoli rispetto a quelle precedenti (244).
L’esperienza storica dimostra del resto che si tratta di un settore ad alto turnover, dove la stabilità occupazionale è interesse collettivo spesso contrapposto a quello dell’appaltatore ad avvalersi di manovalanza a basso costo, spesso reclutata da Paesi con bassi livelli di protezione sociale con notevoli effetti di dumping salariale (245), quando non in modo illegale, tanto da render sospetta l’esistenza di una vera e propria rete sommersa di lavoro schiavistico (246). La particolare condi- zione di vulnerabilità di tali lavoratori, derivante dalla facile sostituibilità sul mercato e dalla facile reperibilità di maestranze con analoga (scarsa) professionalità (spesso disposte ad accettare an- che basse retribuzioni e misere condizioni di lavoro) si riflette in tal modo sulla stessa competiti- vità delle imprese, posto che l’apertura delle frontiere al mercato internazionale spalanca le porte a fenomeni di somministrazione di manodopera a basso costo, che costituisce anche una forma di concorrenza sleale per i datori di lavoro che impiegano manodopera locale con impatti di rilievo sociale anche verso quest’ultima.
In questo quadro il problema critico torna ad essere fondamentalmente trovare un bilanciamento
tra libertà contrapposte, ovvero verificare l’esistenza di un punto di equilibrio tra misure di
244 M.T. Carinci, Gli appalti nel settore privato. La distinzione tra appalto e trasferimento d’azienda ed il trattamento dei lavoratori impiegati negli appalti, in X. Xxxxxxxxx (a cura di), Un diritto in evoluzione. Studi in onore di Xxxxx Xxxx, Milano, Xxxxxxx, 2007, p. 335 ss.; I. Xxxxxx, L’appalto e i suoi confini, in X. Xxxx, X. Xxxx (a cura di), Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori, Utet, Torino, 2014, p. 17;
X. Xxxxx, Successione di appalti e tutela della continuità dell’occupazione, ivi, p. 111 ss.; X. Xxxxxx, Il sistema delle tutele del lavoro nell’appalto tra politiche del diritto e scelte organizzative, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2014, p. 56 ss.; E. Villa, “Subentro” nell’appalto labour intensive e trasferimento d’azienda: un puzzle di difficile composizione, in Lav. dir., 2016, p. 69 ss.; X. Xxxxxx, Ciò che appalto non è. A proposito dell’intervento riformatore in materia di successione di appalti e trasferimento di azienda, in Giur. comm., 2018, p. 1044 ss. 245 In proposito v., per tutti, l’esauriente trattazione di X. Xxxx, Lavoro negli appalti e dumping salariale, Giappichelli, Torino, 2018.
000 X. Xxxxxxxx, Xxxxxxx, supply chain e doveri di controllo sull’uso del lavoro “schiavistico”, in Arg. dir. lav., 2018, p. 1061 ss. A tal fine si indirizza, del resto, la fitta rete di controlli devoluta all’Ispettorato del lavoro in settori particolarmente a rischio, come ad esempio l’edilizia, i servizi di pulizia e l’agricoltura. V., se vuoi, X. Xxxxxxxxxx, Fair recruitment. Il ruolo svolto dall’Oil (e dalla Convenzione n. 181/1997) nella prospettiva italiana, in X. Xxxxxxxx (a cura di), A tutela della prosperità di tutti. L’Italia e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro a un secolo dalla sua istituzione, Xxxxxxx, Milano, 2020, spec. p. 191 ss.
protezione sociale volte a favorire la ricollocazione immediata del personale dell’impresa uscente e i principi di libera iniziativa economica e libera concorrenza, onde evitarne una sensibile altera- zione, se non una elisione, derivante da una sproporzionata limitazione alla possibilità dell’appal- tatore subentrate di selezionare e quantificare il personale da impiegare nell’appalto e dunque di strutturare liberamente la propria organizzazione.
Da qui, mal si giustifica la tendenziale ritrosia del legislatore ad intervenire rispetto ai processi di successione di imprenditori nel cambio appalto, derivata dalla verosimile alterazione dei mercati e dei processi di irrigidimento concorrenziale (247), che invero si converte sostanzialmente nell’ac- cettazione di mutamenti continui della titolarità e dell’imputazione soggettiva dei rapporti di la- voro impiegati in appalto, lasciando la gestione degli effetti della deflagrazione sociale del feno- meno alla libera volontà delle parti.
Giunti a questo punto è opportuno ricollegarci direttamente a quanto affermato nel penultimo paragrafo per rilevare come l’astensione pressoché totale del legislatore (248), salvo qualche spo- radico e limitato intervento settoriale (249), si è tradotta in uno spontaneo processo di creazione di un nuovo ordine sociale di stampo collettivo ( 250 ). La discontinuità occupazionale, cui
247 La questione si è posta, in particolare, in relazione all’art. 14, d.lgs. 13 gennaio 1999, n. 18, che nella formulazione originaria (prima della modifica necessitata dalla condanna dell’Italia per contrasto della norma con la direttiva) prevedeva, al di fuori dell’ipotesi di trasferimento di ramo d’azienda, che il gestore subentrante nella gestione del servizio dovesse garantire il passaggio del personale, individuato d’intesa con le organizzazioni sindacali, dal precedente gestore del servizio al nuovo in misura proporzionale alla misura di traffico o di attività acquisita da quest’ultimo. Ci si è chiesti, invero, se tale norma fosse compatibile tanto con il principio di libertà di iniziativa economica sancito dall’art. 41 Cost. (e si è offerta risposta negativa laddove il passaggio del personale verrebbe consentito in assenza della relativa struttura tecnico-organizzativa: M.T. Carinci, Gli appalti nel settore privato, op. cit., p. 358), nonché con il principio di libertà di concorrenza di derivazione comunitaria. E proprio a tale ultimo riguardo, le censure svolte dalla Corte di Giustizia (9 dicembre 2004, C-460/2002, Commissione c. Repubblica Italiana; e successivamente, in riferimento ad analoga normativa, 15 luglio
2005, C-386/2003, Commissione c. Repubblica federale di Germania, entrambe in Riv. giur. lav., 2006, 21) hanno dimostrato la parti- colare capacità della normativa testè citata di violare la direttiva 96/67/CE ed il principio di libera concorrenza che ne costituiva la finalità, in quanto le misure di protezione sociale accordate dal legislatore (pure ammesse dall’art. 18 della direttiva) verrebbero a pregiudicare l’effetto utile della direttiva stessa, il cui obiettivo, come si desume dai considerando nn. 32-36, è l’apertura del settore alla concorrenza intracomunitaria. Su tali decisioni, v. X. Xxxxxxxxx, Protezione del lavoro vs. protezione della concorrenza nella sen- tenza della Corte di Giustizia sui servizi aeroportuali: una decisione di grande rilievo motivata in modo insoddisfacente, in Riv. it. dir. lav., 2005, p. 275 ss.; X. Xxxxxxx, Il diritto del lavoro e la libertà di concorrenza: il caso dei servizi aeroportuali, in Riv. giur. lav., 2006, p. 44 ss.; X. Xxxxx, Il diritto comunitario e le misure nazionali a sostegno dell’occupazione: un compromesso difficile, in Giur. civ., 2005, p. 2595 ss.; Id., Le clausole sociali a tutela dell’impiego e i vincoli di compatibilità con il mercato, in M.T. Xxxxxxx (a cura di), Dall’impresa a rete alle reti d’impresa (scelte organizzative e diritto del lavoro), Milano, Xxxxxxx, 2015, p. 32 ss.
248 Il vuoto di tutela ha condotto alcuni autori a parlare di una vera e propria «latitanza del legislatore» (X. Xxxxxxxx, X. Xxxx, Cambio appalto tra autonomia collettiva, licenziamenti e trasferimento d’impresa in Guida al lavoro, n. 39, 2011, p. 23) o di un atteggiamento
«quantomeno reticente» (X. Xxxxxxxx, Il cambio di appalto tra disciplina legale e disciplina autonoma, in Id., Appalti e lavoro, op. cit.,
p. 205)
249 Ci si riferisce all’art. 14, d.lgs. 13 gennaio 1999, n. 18 relativo al settore aeroportuale (di cui si è trattato supra), all’art. 173, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, relativo al settore dei servizi idrici, all’art. 1, co. 10, l. 28 gennaio 2016, n. 11, relativo al settore dei call center e all’art. 48, co. 7, lett. e) d.l. 24 aprile 2017, n. 50, conv. con mod. dalla l. 21 giugno 2017, n. 96 e successive modificazioni, relativo al settore dei servizi di trasporto pubblico locale.
250 Definito da Xxxxxxxxx Xxxxxxxx «astensionismo regolativo» (Decentramento organizzativo e autonomia collettiva, Relazione alle
Giornate di Studio AIDLaSS “Frammentazione organizzativa e lavoro: rapporti individuali e collettivi”, in xxxxxxx.xx, 2017, p. 5 del datti- loscritto).
conseguono notevoli riflessi sul piano economico delle maestranze impiegate nell’appalto, a par- tire dagli anni ’80 viene invero fronteggiata, in maniera sempre più penetrante (251), attraverso clausole sociali c.d. di seconda generazione inserite all’interno dei contratti collettivi dei settori maggiormente interessati dal fenomeno ovvero direttamente nei capitolati di appalto (sebbene, a dire il vero, ciò sia avvenuto specialmente nei rapporti con le pubbliche amministrazioni (252)). Tali nuove forme di protezione sociale sono essenzialmente volte a supplire alla mancanza di ope- ratività dell’art. 2112 cod. civ., ponendosi quasi a mo’ di «“ammortizzatori” di tali processi» (253), attraverso la predisposizione di analoghe forme di tutela, con la finalità di garantire la colloca- zione lavorativa dei lavoratori dell’impresa uscente ed evitare il rischio del loro licenziamento derivante dalla perdita dell’appalto.
Rispetto allo «archetipo normativo» costituito dall’art. 36 Stat. lav. (254), la numerosa e diversifi- cata tipologia delle clausole sociali c.d. di seconda generazione abbandona l’ottica bilaterale della garanzia dei minimi contrattuali e si inserisce nei processi dinamici di trasformazione delle im- prese ponendosi quale «strumento di gestione di problemi occupazionali e di governo del con- flitto e, perciò, inevitabilmente, di vincolo o limite alla libertà delle imprese» (255). La salvaguardia occupazionale viene cioè a costituire un vincolo sociale all’esercizio delle attività economiche in appalto e un condizionamento all’ingresso di nuovi imprenditori sul mercato, con l’obiettivo di regolarne la concorrenza, evitando che possa esser fatta a detrimento dei lavoratori. Nondimeno la gestione della mobilità, in entrata e in uscita, tende a venire incontro anche agli interessi degli imprenditori coinvolti nel cambio di appalto: l’eliminazione di inefficienze e costi legati al mante- nimento, alla ricollocazione o al licenziamento di manodopera in esubero per l’uscente e la pos- sibilità di impiego di manodopera già dotata di esperienza e professionalità necessaria per l’ese- cuzione dell’appalto per l’entrante, rispetto al quale l’assorbimento della manodopera preceden- temente impiegata con assunzioni ex novo consente anche una diminuzione del costo del lavoro sostenuto dal precedente appaltatore (256).
Le soluzioni tecniche adottate sono caratterizzate da un certo poliformismo, con formulazioni tanto più specifiche ed incisive quanto più vicine alle specifiche realtà imprenditoriali cui devono adattarsi (257), come emerge soprattutto dall’analisi degli accordi aziendali, anche ex art. 8, d.l.
251 Per un esame della tipologia, mutevole e articolata, delle clausole sociali succedutesi nel tempo, imprescindibile il rinvio a X. Xxxxx, Le c.d. clausole sociali: evoluzione di un modello di politica legislativa, in Dir. rel. ind., 2001, p. 133 ss.; più di recente, cfr. X. Xxxxxxxxx, Decentramento produttivo, op. cit., p. 212 ss.; X. Xxxxxxxxx, Contrattazione collettiva e tutela dell’occupazione negli appalti, in X. Xxxxxxx (a cura di), Redditi e occupazione nelle crisi d’impresa, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2014, p. 303 ss.; X. Xxxxxx, Tutele e sottotutele del lavoro negli appalti privati, Xxxxxxx, Bari, 2013, p. 119 ss.; X. Xxxxxxxx, Decentramento organizzativo, op. cit., p. 8 ss.; X. Xxxxx, Autono- mia collettiva e tutela dell’occupazione. Elementi per un inquadramento delle clausole di riassunzione nell’ordinamento multilivello, Cedam, Padova, 2018, p. 13 ss.
252 La disciplina degli appalti pubblici risponde peraltro a finalità solo in parte analoghe a quella del settore privato. Sul tema si rinvia
al volume collettaneo a cura di X. Xxxxxxxx, Appalti e lavoro, volume primo. Disciplina pubblicistica, Giappichelli, Torino, 2017; X. Xxxxxxxxx, Regolarità del lavoro e regole della concorrenza: il caso degli appalti pubblici, in Riv. giur. lav., 2013, p. 753 ss.
253 X. Xxxxx, Le c.d. clausole sociali, op. cit., p. 146. 254 X. Xxxxx, Le c.d. clausole sociali, op. cit., p. 137. 255 X. Xxxxx, Le c.d. clausole sociali, op. cit., p. 146.
256 X. Xxxxxxxxx, Regolarità del lavoro, op. cit., p. 758; X. Xxxxxx, Xxxxxx e sottotutele, op. cit., p. 109 ss.; X. Xxxxxxxx, Decentramento organizzativo, op. cit., p. 22; G.A. Xxxxxxx, Cambio appalto, op. cit., p. 237; F. Xx Xxxx, Cambio di appalto, op. cit., p. 320.
257 X. Xxxxxxxx, Decentramento organizzativo, op. cit., p. 5.
138/2011 (conv. con mod. in l. 148/2011) con le imprese appaltanti (258). La numerosa e diversi- ficata tipologia delle clausole sociali si divide però essenzialmente tra l’imposizione di meri obbli- ghi procedurali di informazione e confronto sindacale e di obblighi di riassunzione, sebbene, salvo rare eccezioni, i primi siano quasi sempre propedeutici ai secondi.
Sul primo piano, gli obblighi informativi, evidentemente riferiti alla problematica relativa al su- bentro e finalizzati ad «armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato» (259), sono imposti talora all’impresa uscente (cui si richiede di fornire dati sulla consistenza numerica degli addetti all’appalto, sul rispettivo orario e anzianità di servizio), talaltra a quella entrante (cui si richiede di fornire informazioni sulla nuova gestione) (260) e più raramente anche al committente (261). A volte prevedono il coinvolgimento dell’Ispettorato del lavoro, affinché lo scontro avvenga su un terreno neutrale, altre no (262). In qualche caso subor- dinano il rispetto della procedura a soglie minime di lavoratori coinvolti (263) e solo raramente condizionano l’esperimento della procedura a variazioni delle condizioni dell’appalto, risultando altrimenti immediatamente efficace l’obbligo di riassunzione (264). Qualche contratto si spinge addirittura oltre, prevedendo, a mo’ di sanzione del mancato assolvimento degli obblighi proce- durali, l’obbligo di riassunzione di tutte le unità impiegate nell’appalto (265): una sorta di clausola penale con evidenti incidenze sul piano della possibilità per i singoli lavoratori di rivendicarne in giudizio l’esecuzione (266) volta a colmare l’assenza di strumenti di coazione dell’obbligo sul piano individuale, altrimenti affidati all’art. 28 Stat. lav. (267) o ad azioni risarcitorie individuali da parte di quanti, a seguito dell’inadempimento della procedura, abbiano subito la perdita del posto di lavoro per motivi oggettivi legati alla cessazione dell’appalto (268).
Esaurito l’esame delle tutele procedurali, può ora essere servito il piatto forte, relativo a quelle sostanziali. L’autonomia collettiva in questo campo si biforca e il grado di protezione offerto ai lavoratori impiegati nell’appalto differisce a seconda che il subentro avvenga o meno a parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali (269). Tale distinzione è frutto dell’opportunità di ga- rantire, a parità di condizioni dell’appalto, parità di lavoro, onde evitare che i guadagni dell’im- presa subentrante possano aumentare a discapito delle condizioni di lavoro.
Nel primo caso l’impegno del subentrante a garantire la riassunzione dei lavoratori si configura
258 Alcuni esempi in G.A. Xxxxxxx, Cambio appalto, op. cit., p. 246, nt. 53.
259 Così, specificamente, l’art. 4 Ccnl Multiservizi.
260 Art. 4 Ccnl Multiservizi.
261 Art. 42-bis Ccnl Logistica.
262 Si confrontino, ad esempio, l’art. 4 Ccnl Multiservizi e l’art. 25 Ccnl Vigilanza privata con l’art. 43 Ccnl Pulizia imprese artigiane.
263 Per esempio, l’art. 43 Ccnl Pulizia imprese artigiane differenzia la procedura a seconda che il numero di addetti full-time sia supe- riore a cinque unità.
264 Cfr. art. 7 Ccnl Servizi postali in appalto.
265 Artt. 24 ss. Ccnl Vigilanza privata; Art. 42-bis Ccnl Logistica.
266 V. infra par. 2.1.
267 G.A. Xxxxxxx, Cambio appalto, op. cit., p. 241.
268 F. Xx Xxxx, Cambio di appalto, op. cit., p. 322.
269 Cfr. ad esempio gli artt. 4 Ccnl Multiservizi e 7 Ccnl Servizi postali in appalto.
però in termini solo apparentemente simili al meccanismo previsto dall’art. 2112 cod. civ., posto che la continuità occupazionale è assicurata sul piano pratico tramite un meccanismo particolare relativo al rapporto interno tra le parti consistente nella risoluzione del rapporto con l’impresa uscente e l’assunzione ex novo con quella entrante (270). Il tenore delle clausole contrattuali e l’assenza ontologica di efficacia reale che le caratterizza escludono invero la successione comporti continuità del rapporto di lavoro tra impresa cessante e impresa subentrante. Al contrario, il rap- porto che si verrà ad instaurare è nuovo rispetto a quello cessato, in relazione al quale operano tutte le garanzie relative al recesso (unilaterale o consensuale), ivi incluse quelle relative al preav- viso, salvo che la contrattazione collettiva non disponga altrimenti (271).
Ecco perché, per ovviare a tale inconveniente, l’obbligo di assunzione è spesso accompagnato da previsioni che si spingono ad annullare ogni discrezionalità dell’appaltatore entrante nella deter- minazione delle condizioni del nuovo rapporto, escludendo che possa essere apposto ai nuovi contratti il patto di prova (272) o riconoscendo convenzionalmente l’anzianità pregressa o, ancora, l’orario di lavoro ridotto eventualmente previsto dal precedente contratto (273) o il mantenimento dei livelli retributivi in godimento (274). In qualche ipotesi, con una soluzione alquanto dubbia in ragione delle rigidità della specifica disciplina e in fondo distonica con l’idea di protezione degli stessi lavoratori (275), si trasla sul nuovo rapporto il termine originariamente apposto al contratto, con l’effetto di assicurare la stabilità occupazionale dei vecchi dipendenti solo fino alla sua natu- rale scadenza. Con finalità anti-elusive, onde evitare che il cambio appalto possa costituire un veicolo attraverso il quale l’impresa uscente possa liberarsi del personale eccedente o diminuire i vantaggi concorrenziali dell’impresa entrante aumentandone i relativi costi del personale, il pe- rimetro dei lavoratori è identificato in quelli specificamente e ordinariamente, in via esclusiva o prevalente, addetti all’appalto, non di rado richiedendosi anche un periodo minimo di assegna- zione (276).
Insomma, si configura tramite un articolato complesso di obblighi di stipulazione ciò che la natura della fattispecie del subentro impedisce di per sé: una continuità equivalente, pur se non identica,
270 Non ha avuto fortuna la tesi di Xxxxxxx Xxxxxxxxx secondo cui il rapporto di lavoro con l’imprenditore uscente si estinguerebbe tipicamente per risoluzione consensuale contestualmente alla assunzione da parte del nuovo appaltatore (Successione nell’appalto e tutela dei posti di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1999, p. 219), tesi che peraltro sarebbe ormai superata dalla introduzione di specifici vincoli formali alla risoluzione consensuale che impediscono ai comportamenti concludenti delle parti di produrre effetti estintivi sul rapporto di lavoro (art. 26, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 151). Sulla dinamica interna del fenomeno successorio, v. M.T. Carinci, Gli appalti nel settore privato, op. cit., p. 351-353; I. Marimpietri, Xxxxxx appalto e licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in X. Xxxxxxxx (a cura di), Appalti e lavoro, op. cit., p. 333 ss.; E.C. Xxxxxxxxx, Cambio di appalto e assunzione da parte del subentrante: licenziamento o risoluzione consensuale?, in X. Xxxxxxxx (a cura di), Xxxxxxx e lavoro, op. cit., p. 341 ss.; Id., Cambio di appalto e licenziamento collettivo, ivi, p. 347 ss.
271 Cfr. peraltro in senso dubitativo rispetto alla legittimità di tali clausole X. Xxxxxx, Tutele e sottotutele, op. cit., p. 121, nonché Cass. 13 aprile 2017, n. 9589, in Giur. it., 2017, 1920.
272 Art. 4 Ccnl Multiservizi; art. 7 Ccnl Servizi postali in appalto.
273 Art. 16, Ccnl Mobilità attività ferroviarie.
274 Art. 27, Ccnl Vigilanza privata; art. 339 Ccnl Turismo, ristorazione collettiva.
275 Rispetto ai quali, in generale, si ritiene che il cambio di appalto non possa di per sé essere occasione per appore un termine di durata al rapporto (Cass. 15 aprile 2009, n. 8933, in Dir. giust., 2009).
276 Cfr. art. 27, Ccnl Vigilanza privata.
a quella garantita dall’art. 2112 cod. civ. (277).
Diverso è il caso in cui il nuovo contratto di appalto subisca modifiche organizzative, variazioni dei termini o delle modalità di esecuzione. In tali ipotesi, non essendo possibile confermare tout court la forza lavoro a pena di un’insanabile lesione della libertà di impresa, la tutela dei lavoratori è trasposta nuovamente sul piano procedurale, mediante il ricorso ad una trattativa sindacale volta a ricercare le soluzioni più adeguate per armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appaltatore entrante con il mantenimento dei livelli occupazionali. Può infatti accadere che l’impresa entrante sfrutti una diversa e più razionale organizzazione della forza lavoro o, quanto- meno laddove non si tratti di appalti ad alta intensità di manodopera, nuovi strumenti tecnici o informatici o intenda adibire all’appalto personale presente nel proprio organico. In altri casi il contratto di appalto può presentare una riduzione del monte orario complessivo o del numero di servizi esternalizzati. Un appalto originariamente unitario può essere scisso in due diversi seg- menti ed affidato a due imprese diverse.
Sebbene il tentativo principale sia quello di evitare ogni forma di licenziamento, favorendosi il ricorso a strumenti di flessibilità oraria, anche su base giornaliera (il part-time), a contratti di so- lidarietà difensivi o alla mobilità dei dipendenti su altri appalti (278), la contrattazione collettiva non piò che affrontare la questione con la massima duttilità. La salvaguardia occupazionale è ri- messa ad una valutazione congiunta delle parti, con esiti mai predeterminati, ma condizionati dal tipo di attività di riferimento, dalle dimensioni dell’impresa entrante, dalle sue scelte organizza- tive, dalle modifiche alle condizioni dei capitolati; e ciò anche se l’appalto venga ad essere aggiu- dicato dalla stessa impresa che in precedenza lo gestiva, onde evitare che la rinegoziazione delle condizioni del contratto possa pregiudicare (o, meglio, possa pregiudicare troppo) i lavoratori (279).
In questi casi il diritto all’assunzione dei lavoratori dell’impresa uscente è perciò chiaramente condizionato dagli esiti del confronto al tavolo sindacale. L’impossibilità di qualificare in favore dei lavoratori diritti assoluti perfetti prima che l’accordo sia raggiunto influenza poi la stessa ef- fettività della tutela. Ed è proprio questa la vera criticità delle tutele offerte sul piano negoziale.
2.1. Efficacia ed effettività della tutela: l’apparenza inganna.
L’autonomia collettiva può molto, ma non può tutto. E certamente non può sopperire alla carenza legislativa laddove non vi sia espressa concessione ordinamentale (tramite le note formule di rin- vio). Si tratta di un deficit di effettività ben noto persino agli studenti universitari del diritto sinda- cale, ai quali la limitazione dell’efficacia dei contratti collettivi sia sufficientemente spiegata attra- verso architravi e principi privatistici: gli unici che rimangono per l’inattuazione dell’art. 39, co. 2- 4, Cost.
Ed in verità è ormai ben chiaro che gli obblighi dettati dalle clausole sociali rimangano all’interno
277 C’è peraltro da aggiungere che in qualche occasione (cfr. art. 335 Ccnl Turismo, ristorazione collettiva) dalla platea dei lavoratori interessati viene escluso il personale che svolge funzioni di direzione esecutiva, di coordinamento e controllo, con riflessi, allo stato della nuova disciplina, sulla possibilità di qualificare il subentro in appalto come trasferimento d’azienda. V. infra par. 4.1
278 Cfr. ancora una volta l’art. 4 Ccnl Multiservizi.
279 V. in tal senso l’art. 7 Ccnl Servizi postali in appalto.
di logiche civilistiche, essendo opponibili solo ad un imprenditore subentrante che sottoscriva o applichi, tanto per affiliazione sindacale quanto per adesione volontaria, il medesimo contratto collettivo dell’appaltatore uscente o altro contenente un obbligo analogo (280). L’applicazione delle clausole sociali si viene perciò a collocare nell’ambito di un sistema fortemente condizionato dalle scelte imprenditoriali dell’impresa subentrante relative al contratto collettivo applicato e alla categoria di riferimento (281). Il contratto collettivo applicato dall’impresa uscente è, invece, tendenzialmente indifferente, considerato che il soggetto obbligato al rispetto delle clausole so- ciali è il nuovo imprenditore, sicché l’osservazione non può che inerire alla presenza di vincoli in capo a quest’ultimo.
In questo contesto, tuttavia, il riconoscimento della libertà del datore di lavoro di applicare il con- tratto collettivo ritenuto maggiormente congruo alla propria organizzazione di impresa e alla pro- liferazione degli stessi, crea talora disallineamenti di difficile sistemazione sul piano giuridico, quando il CCNL applicato dall’impresa uscente o dallo stesso appaltante preveda condizioni mag- giormente favorevoli rispetto a quello applicato dall’impresa entrante (282). Si tratta di ipotesi ben note alle stesse associazioni sindacali riuscite a strappare al tavolo negoziale pattuizioni di miglior favore per i lavoratori (es. clausole che prevedano la riassunzione ex novo), le quali, al fine di contrastare fenomeni distorsivi della concorrenza basati sulle condizioni di lavoro del personale in appalto, fissano specifiche procedure di armonizzazione, stabilendo obblighi per l’impresa su- bentrante di informazione e consultazione per la ricerca di soluzioni di possibile salvaguardia oc- cupazionale (283). Ma la soluzione è solo a tratti sufficiente, posto che siffatte clausole presentano vincoli di natura politica, più che normativi, avendo come destinatari soggetti terzi rispetto all’ac- cordo stesso.
Il discorso cambia in quegli sporadici casi in cui il contratto collettivo applicato dall’appaltatore ponga dei limiti alla libertà negoziale direttamente in capo all’impresa committente e, segnata- mente, al fine di garantire la continuità occupazionale dei dipendenti impiegati nell’appalto, pre- veda l’obbligo per l’appaltante di stipulare accordi esclusivamente con appaltatori che si impe- gnino a corrispondere, ai lavoratori che già prestavano servizio con contratto a tempo indetermi- nato alle dipendenze dell'azienda appaltante e che abbiano risolto con modalità condivise il rap- porto di lavoro, un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quanto previsto dal CCNL (284) o di inserire nell’ambito del capitolato di appalto di una clausola di
280 X. Xxxxxxxxx, Decentramento produttivo, op. cit., p. 226; G.A. Xxxxxxx, Cambio appalto, stabilità occupazionale e contrattazione collettiva, in X. Xxxxxxxx (a cura di), Appalti e lavoro, op. cit., p. 247; F. Di Xxxx, Cambio di appalto e mancata assunzione, ivi, p. 320 s.; X. Xxxxxx, Ciò che appalto non è, op. cit., p. 1059. Nello stesso senso si è espresso il Ministero del Lavoro nell’interpello 1 agosto 2012, n. 22. In giurisprudenza, x. Xxxx. Xxxxxx, 00 gennaio 2004, in D&L Riv. critica dir. lav., 2004, 391.
281 Essendo del resto nota l’impossibilità di estendere le previsioni dell’art. 2070 cod. civ. al di fuori dell’ormai passato ordinamento
corporativo. Sulla libertà di scelta da parte del datore di lavoro di un contratto collettivo proprio di un settore non corrispondente a quello dell'attività svolta, la giurisprudenza è ormai pacifica.
282 G.A. Xxxxxxx, Cambio appalto, op. cit., p. 248-249.
283 Es. Art. 6, co. 14, Ccnl Igiene ambientale privata.
284 Art. 97, co. 5 Ccnl Turismo, che peraltro considera applicabile il meccanismo anche in caso di successivi cambi d’appalto sempreché, onde evitare fenomeni fraudolenti, dal libro unico del precedente appaltatore ne risulti la stabile adibizione all’esecuzione del servizio di cui trattasi per i sei mesi precedenti il cambio di appalto.
riassorbimento della manodopera (285). In tali ipotesi la presenza di clausole sociali nell’ambito del contratto collettivo applicato dall’impresa entrante opera in funzione rafforzativa della conti- nuità occupazionale dei lavoratori, ma la sua assenza non fa venir meno ogni tutela.
C’è però da dire che il grado di giustiziabilità di tali obblighi è alquanto dubbio, non solo perché mirerebbero a vincolare un soggetto (il committente) che di per sé è molto spesso terzo rispetto all’accordo collettivo (vuoi perché non aderisce ad associazioni datoriali stipulanti, vuoi perché non vi ha prestato adesione), quanto soprattutto perché, in caso di inadempimento da parte dell’appaltatore vincolato, il principio di relatività degli effetti contrattuali sembra resistere al ri- conoscimento in favore dei lavoratori impiegati nell’appalto di un diritto di successione, attesa la non opponibilità della violazione dell’obbligo al nuovo appaltatore (286). La stessa azione sinda- cale, che è del tutto pleonastico rilevare dovrebbe opportunamente avvenire sfruttando l’art. 28 Stat. lav., pare difficilmente poter sanare la situazione, imponendo la revisione del contratto di appalto in pregiudizio dell’appaltatore di buona fede, che faccia affidamento sulla validità ed ef- ficacia dell’accordo sottoscritto e rispetto al quale il giudizio si presenta come res inter alios acta. Residuerebbe una limitata richiesta di risarcimento del danno (287), peraltro di difficile quantifica- zione, atteso che le stesse clausole di assorbimento raramente configurano un automatico diritto alla riassunzione e la perdita della chance non potrebbe essere automaticamente soddisfatta uti- lizzando tout court come parametro le retribuzioni perdute.
A questo proposito è possibile introdurre un’altra questione, che manifesta l’insufficienza delle tutele di fonte sindacale a garantire garanzia occupazionale ai lavoratori impiegati nell’appalto ed attiene proprio al grado di tutela riconosciuto alle maestranze impiegate nell’appalto nei casi di inadempimento da parte dell’imprenditore subentrante degli obblighi di riassorbimento previsti dai contratti collettivi.
Poiché le clausole sociali hanno natura esclusiva natura obbligatoria, traendo origine da manife- stazioni di volontà delle parti, invero, l’interrogativo posto è se sia possibile riconoscere in capo ai dipendenti un diritto soggettivo all’assunzione, tutelabile mediante pronuncia costitutiva ex art. 2932 cod. civ. o se, invece, residui ad essi la sola possibilità di agire per il risarcimento del danno. La questione non è influenzata tanto dalla riconducibilità delle clausole alla parte norma- tiva o obbligatoria dei contratti collettivi, la cui alternativa è sciolta facendo perno ora sulla loro polifunzionalità derivante dall’intreccio tra la disciplina procedimentale relativa gli obblighi con- sultivi ed informativi e quella normativa, volta a regolare la nuova relazione individuale di lavoro
285 Cfr. art. 16 Ccnl Mobilità attività ferroviarie, che, a tutela della garanzia delle tutele occupazionali e dei trattamenti normativi ed economici dei dipendenti delle imprese interessate da processi di trasferimento di attività per subentro di azienda a qualunque titolo ed al fine di contrastare fenomeni distorsivi della concorrenza e di favorire la progressiva estensione/applicazione di norme comuni riferite al sistema degli appalti e dei cambi appalto da parte di tutte le imprese che applicano il Ccnl, prescrive l’obbligo per l’impresa appaltante di inserire nel bando di gara e nel successivo contratto di appalto l’obbligo per l’azienda subentrante di assumere priorita- riamente e con passaggio diretto i lavoratori che operavano alle dipendenze dell’appaltatore o dell’eventuale subappaltatore uscenti, a condizione che siano armonizzabili e coerenti con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante e in relazione al perimetro e/o ai volumi delle lavorazioni/servizi oggetto di appalto.
286 G.A. Xxxxxxx, Cambio di appalto, op. cit., p. 248, n. 60.
287 X. Xxxxxxxxx, Contrattazione collettiva, op. cit., p. 325; X. Xxxxxxxx, Decentramento produttivo, op. cit., p. 24; G.A. Xxxxxxx, Cambio appalto, op. cit., p. 248, nt. 60.
(288) ora sulla possibilità di ricondurre la fattispecie al contratto a favore di terzo ex art. 1411 cod. civ. (289). Piuttosto l’applicabilità della tutela in forma specifica risente della possibilità di indivi- duare, per il tramite delle previsioni dei contratti collettivi, gli elementi essenziali del contratto di lavoro da stipulare con il subentrante e, prima ancora, un obbligo a contrarre non condizionato dall’esito della procedura informativa e consultiva (290).
La possibilità di qualificare il diritto del lavoratore all’assunzione in termini perfetti risente, in- somma, della formulazione spesso imperfetta delle clausole sociali, le quali, quando non si limi- tano a strutturare le sole procedure intese a realizzare l’assorbimento del personale proveniente dall’impresa cessata in termini condizionanti rispetto all’assunzione stessa o a garantire il diritto di precedenza in sede di assunzione ai lavoratori già in forza presso l’appalto, compatibilmente con le esigenze tecnico organizzative e di manodopera ben lungi dal potersi qualificare come im- pegno all’assunzione in senso stretto qualificabile in termini di diritto di opzione (291), nei casi in cui pur prevedono la successione a parità di condizioni (sì da rendere il contenuto dell’accordo di lavoro determinabile), omettono di quantificare la misura dei dipendenti da ricollocare e rendono perciò impossibile determinare i lavoratori da assumere (292). In altri casi le clausole si limitano a richiedere che il passaggio avvenga conservando il trattamento economico contrattuale già cor- risposto dall’impresa cessante, il che consentirebbe di risalire indirettamente alla categoria e alla qualifica, ma non permetterebbe di individuare analiticamente le concrete mansioni e le specifi- che modalità di svolgimento della prestazione, che il giudice è impossibilitato a definire con sen- tenza ( 293 ); analogamente accade laddove la clausola di assorbimento sia condizionata alla
288 X. Xxxxxxxx, Decentramento produttivo, op. cit., p. 10; in senso conforme G.A. Xxxxxxx, Cambio appalto, op. cit., p. 250, nt. 67; X. Xxxxx, Autonomia collettiva, op. cit., p. 46 ss.
289 X. Xxxxx, Subingresso nell’appalto, clausole di riassunzione “parziale” e tutela dei lavoratori pretermessi, in Giust. civ., 1996, p. 3306;
X. Xxxxxxxxx, Decentramento produttivo, op. cit., p. 222; X. Xxxxxxxxx, Contrattazione collettiva, op. cit., p. 311; G.A. Xxxxxxx, Cambio appalto, op. cit., p. 250. Contra X. Xxxxx, Autonomia collettiva, op. cit., p. 60 ss.
290 X. Xxxxxxxxxxxxx, Forme di tutela del lavoratore “ereditato” nel cambio di gestione di appalti labour intensive, in Riv. it. dir. lav., 2007, p. 165 ss.; X. Xxxx, Stabilità del lavoro e tutela della concorrenza. Le vicende circolatorie dell’impresa alla luce del diritto comu- nitario, in M.V. Ballestrero (a cura di), La stabilità come valore e come problema, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2007, p. 423 ss.; X. Xxxxxxxxx, Decentramento produttivo, op. cit., p. 218 ss.; M.T. Carinci, Gli appalti nel settore privato, op. cit., p. 352; F. Xx Xxxx, Cambio di appalto, op. cit., p. 326; X. Xxxxx, Autonomia collettiva, op. cit., p. 79 ss. In giurisprudenza, x. Xxxx. 00 marzo 2019, n. 8593, in Iusexplorer; Cass. 5 agosto 2010, n. 18277, in Giust. civ. Mass., 2010, 9, 1186. Contra Cass. 30 dicembre 2009, n. 27841, in Giust. civ., 2010, 1117, secondo cui non osta all’applicazione dell’art. 2392 cod. civ. la circostanza che mansioni, sede ed altri elementi dell’accordo non siano predeterminati dalla clausola sociale, purché sia chiaramente determinato l’oggetto.
291 Si tratterebbe, invero, al più di una prelazione. X. Xxxx. Xxxxxx, 0 settembre 2018, n. 2032, in Iusexplorer.
292 Il suggerimento, in questi casi, è di individuare i lavoratori interessanti, secondo correttezza e buona fede, utilizzando i criteri
dell’anzianità di servizio e dei carichi di famiglia alla luce delle esigenze tecnico-produttive e organizzative dell’impresa entrante. Cfr.
X. Xxxxx, Subingresso nell’appalto, op. cit., p. 3309; X. Xxxxxxxxxxxxx, Forme di tutela, op. cit., p. 165 ss.
293 Ed è sintomatico constatare come l’ambiguità delle clausole contrattuali determini oscillazioni nella giurisprudenza anche a fronte di analoghe previsioni. E così, avendo riguardo a testi sostanzialmente analoghi, qualche sentenza ritiene che il diritto all’assunzione sia già definito in tutti i suoi elementi dalla normativa collettiva e non richieda ulteriori integrazioni di carattere negoziale, «essendo previsto il trasferimento “diretto ed immediato” del personale dell’impresa cessante a quella subentrante, nei limiti numerici pure stabiliti dalla norma contrattuale, con la conservazione del “trattamento economico contrattuale già corrisposto dall’impresa ces- sante, ivi compresi gli aumenti periodici di anzianità”» (Xxxx. 3 ottobre 2011, n. 20192, in Guida al diritto, 2011, 47, 77; nella giuri- sprudenza di merito riconoscono un diritto soggettivo perfetto all’assunzione Trib. Torino, 10 giugno 2005, in Giur. piemontese, 2006, 1, 89; Trib. Milano, 31 marzo 2004, in D&L Riv. critica dir. lav., 2004, 315; Trib. Parma, 16 maggio 2003, in Lav. giur., 2003, 1076; Pret.
Milano, 20 aprile 1998, in D&L Riv. critica dir. lav., 1998, 994; Pret. Milano, 25 febbraio 1997, in Lav. giur., 1997, 592); altre invece lo
negano del tutto (Cass. 5 agosto 2010, n. 18277, cit.; Cass. 26 agosto 2003, n. 12516, in Riv. giur. lav., 2004, 607. Nella giurisprudenza
di merito, x. Xxxx. Xxxx, 0 gennaio 1995, in Lav. giur., 1996, 47).
possibilità di adottare riduzioni orarie mediante il ricorso al part-time, precludendo l’elasticità della norma l’individuazione certa dell’elemento essenziale dell’orario di lavoro (294). La facoltà di riconoscere effetti analoghi a quelli previsti dall’art. 2112 cod. civ. si scontra poi con la questione dell’efficacia temporale della pronuncia, che, coerentemente con i principi generali in materia, dovrebbe essere irretroattiva, lasciando al lavoratore, per il danno medio tempore subito dalla presumibile perdita del precedente posto di lavoro, la sola possibilità di rivendicare in giudizio il risarcimento del danno. Solo in alcuni casi, poi, l’intervento collettivo consente di offrire tutela anche alle forme di integrazione verticale derivanti dal ricorso al subappalto, restando altrimenti i lavoratori ivi impiegati privi di ogni tutela (295).
Insomma, nonostante gli sforzi dogmatici e interpretativi, per gli addetti al foro la realtà è ben diversa da quella che appare: la tutela in forma specifica, alla luce dell’ambigua ed incerta formu- lazione delle clausole sociali, diviene da regola eccezione. L’inadempimento dell’appaltatore su- bentrante dell’obbligo di assunzione pattizio determina, dunque, essenzialmente una mera re- sponsabilità risarcitoria: una tutela se non pienamente appagante, quantomeno pagante, perché parametrata a tutte le utilità perdute per tutto il periodo del protrarsi dell’inadempimento (296), detratto l’aliunde perceptum e percipiendum (297).
In tale panorama provoca una certa sorpresa che le associazioni sindacali si siano raramente av- valse dello strumento di tutela atipica previsto dall’art. 28 Stat. lav. per richiedere, a mo’ di rimo- zione degli effetti pregiudizievoli di una condotta antisindacale derivante dall’inadempimento delle clausole contrattuali, l’assunzione del personale dell’impresa uscente. Il suggerimento della dottrina (298) è stato colto, a quanto noto, in una sola occasione (299). E considerato il tempo tra- scorso da allora, nonostante gli esiti positivi del giudizio, sembra di poter presagire che resterà l’unica (300).
Fin qui si è detto che l’intervento dell’autonomia collettiva ha supplito, per lunghi anni, alla ca- renza legislativa attraverso una proteiforme moltitudine di disposizioni funzionali a garantire le posizioni dei lavoratori nel cambio appalto. Si è altresì spiegato che l’effettività delle suddette clausole risulta dimidiata in ragione della limitata efficacia derivante dalla natura privatistica delle
294 Cass. 12 aprile 2006, n. 8531, in Leggiditalia.
295 Trib. Torino, 3 dicembre 2015, in Iusexplorer in relazione all’art. 4 Ccnl Multiservizi.
296 Cass. 5 agosto 2010, n. 18277, cit.; Cass. 26 agosto 2003, n. 12516, cit.
297 Cfr. M.T. Carinci, Gli appalti nel settore privato, op. cit., p. 353; X. Xxxxxxxx, Decentramento produttivo, op. cit., p. 25.
298 X. Xxxxxxxxx, Gli effetti delle clausole di riassunzione nell’avvicendamento degli appalti privati, in M.T. Carinci (a cura di), Dall’im-
presa a rete, op. cit., p. 344.
299 Trib. Milano, 30 dicembre 2006, in Orient. giur. lav., 2007, 229.
300 Per inciso, il tema della tutela del lavoratore nel cambio appalto si interseca con quello della tutela in caso di licenziamento da parte dell’impresa uscente, sulla necessità di impugnare il trasferimento e/o il licenziamento e dell’interesse ad agire in caso di rias- sunzione. Sul tema, che esula dal presente campo di indagine, v. F. Xx Xxxx, Cambio di appalto, op. cit., p. 319 ss.; I. Marimpietri, Cambio appalto op. cit., p. 333 ss.; X. Xxxxxx, Clausole sociali di riassunzione e impugnazione del licenziamento, in Riv. it. dir. lav., 2019, p. 428 ss.
fonti istitutive, nonché dalla difficile giustiziabilità degli obblighi previsti.
L’assenza di una tutela effettiva dei lavoratori uscenti ha così determinato un atteggiamento di resistenza nel ceto dei giuristi, volto a ricreare un nuovo spazio per l’art. 2112 cod. civ. proprio lì dove il legislatore l’aveva in via assoluta escluso. A fronte di una tutela collettiva claudicante, la
«sterilizzazione forzosa» (301) del principio di continuità occupazionale operato dal citato art. 29 ha suscitato notevoli dissensi in ragione della chiara contrarietà alla direttiva 2001/23/CE e dun- que non pochi tentativi di proporne interpretazioni adeguatrici rispetto alla sovraordinata nor- mativa europea, pur negli stretti spazi lasciati liberi dalla cornice sistematica e dallo stesso ubi consistam della norma (302).
Si afferma quindi una sorta di controllo diffuso della conformità della norma con i principi europei, nel quale l’intreccio tra giurisprudenza comunitaria in materia di trasferimento d’azienda e prin- cipi ordinamentali interni conduce la dottrina a soluzioni solo apparentemente distoniche rispetto al tenore letterale della disposizione secondo un modello che è la stessa Corte di Giustizia a sug- gerire. E sebbene riportare un dibattito su una norma non più vigente possa apparire storia del diritto, converrà pur darne conto, in quanto determinante per la comprensione degli eventi suc- cessivi e per l’esegesi dell’esistente, atteso, del resto, la correlazione inversa che ancora lega l’am- bito di applicazione delle clausole di riassunzione con la qualificazione in termini di trasferimento di azienda o di ramo della successione nell’appalto in base alla quale se si applica l’art. 2112 cod. civ. le clausole sociali non operano, mentre nel caso contrario la tutela offerta dall’autonomia collettiva risulta meglio di niente (303).
Pur prescindendo da un’analitica ricostruzione del lento e impreciso percorso di avvicinamento tra giurisprudenza interna e comunitaria sulla materia (304), non può sottacersi come l’apertura all’applicazione dell’art. 2112 cod. civ., nella sua originaria formulazione, alla vicenda successoria nel cambio di appalto sia stata favorita, già prima dell’emanazione del d.lgs. 276/2003, dal pro- gressivo disancoramento della fattispecie “trasferimento d’azienda” dall’esistenza, pur inferibile
301 X. Xxxxxxxx, Decentramento produttivo, op. cit., p. 23.
302 Cfr. X. Xxxxxxxxx, La tutela del posto di lavoro in caso di cessazione dell’appalto, in M.T. Carinci, X. Xxxxxx, M.G. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx (a cura di), Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti privati e pubblici. Inquadramento giuridico ed effettività, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2011, p. 229 ss.; X. Xxxxx, “Subentro” nell’appalto labour intensive, op. cit., p. 70 ss.
303 L’affermazione è recepita, nel vigore della previgente disciplina, anche dalla giurisprudenza. X. Xxxx. Xxxx, 0 giugno 2005, in Riv.
giur. lav., 678, secondo cui la disposizione in commento «non può interpretarsi nel senso che in ogni ipotesi di subentro di un appal- tatore ad un altro deve escludersi ex lege il trasferimento d’azienda, poiché appunto tale lettura sarebbe in aperto contrasto con la normativa comunitaria, ma piuttosto nel senso che nei c.d. cambi di gestione non vi è trasferimento d’azienda per il solo fatto che vi sia “acquisizione di personale”. La disposizione, cioè, conferma che le norme del contratto collettivo […] non disciplinano affatto un’ipotesi di trasferimento d’azienda ma presuppongono che tale trasferimento non sussista e operano proprio per il caso in cui il trasferimento non vi sia. Se vi è “mera acquisizione del personale” non vi è trasferimento d’azienda poiché un insieme di dipendenti non costituisce un’azienda, salvo che non si tratti di un insieme di lavoratori che, per essere addetti ad un medesimo ramo d’azienda e per aver acquisito un complesso di nozioni comuni, siano in grado di svolgere autonomamente e, quindi, anche senza il supporto di beni immobili, macchine, attrezzature o altri beni, le proprie funzioni anche presso il nuovo datore di lavoro».
304 Cfr. X. Xxxxxxxx, Appalti e trasferimento di azienda, in W.P. CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 41/2006, p. 46 ss.; X. Xxxxx, La distinzione tra appalto e trasferimento d’impresa nella giurisprudenza comunitaria, in Mass. giur. lav., 2011, passim; X. Xxxxxxxxx, La tutela del posto di lavoro, op. cit., p. 223; X. Xxxxx, Successione di appalti, op. cit., p. 120; X. Xxxxxxx, Trasferimento d’azienda, successione nell’appalto, contratti a tempo determinato: circolarità e continuità del rapporto di lavoro (nota a Trib. Pisa 13 novembre 2013, n. 411), in Arg. dir. lav., 2014, p. 765; X. Xxxxxx, Cambio-appalto e tutele (de)crescenti: un rischio da ridimensionare, in Riv. giur. lav., 2015, p. spec. p. 865 s.; X. Xxxxxxxx, Il trasferimento d’impresa: casistica giurisprudenziale, in Lav. dir. Europa, 2018/2, p. 1 ss.
attraverso l’art. 2555 cod. civ. prima della novella del 2001 (d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 18), di un complesso organizzato individuabile in base alla ricorrenza di elementi oggettivi, materiali o im- materiali, oltreché dall’esistenza di un rapporto diretto tra cedente e cessionario (305) e abbia risentito dell’interpretazione estensiva che del fenomeno successorio è stata affermata in sede europea. La c.d. zavorra della materialità – che inizialmente impediva di considerare tra gli ele- menti costitutivi del trasferimento anche i rapporti di lavoro, non trattandosi, secondo l’interpre- tazione prevalente (306), di «cose che possono formare oggetto di diritti» (ex art. 810 cod. civ.) – è stata progressivamente disciolta grazie alla progressiva smaterializzazione della nozione di azienda operata in sede europea per farne emergere, invece, la funzione economica anche in relazione al fattore umano, che del resto aveva assunto sempre maggiore rilevanza in ragione della progressiva “smaterializzazione” delle imprese (307).
Quest’interpretazione della fattispecie viene progressivamente arricchita, in particolare, me- diante riferimenti allo stesso ordinamento comunitario e, in particolare, alla direttiva 1977/187/CEE (mod. dalla direttiva 1998/50/CE) e alla successiva direttiva 2001/23/CE, attra- verso le quali, tanto in relazione al titolo, quanto all’oggetto, la Corte di Giustizia ha progressiva- mente reso le due fattispecie, se non assimilabili, quantomeno comunicanti.
Sul piano teorico, un siffatto avvicinamento è argomentato sottolineando una diversa e più ampia visione dell’istituto del trasferimento di impresa, intesa come forma di tutela del mantenimento dei diritti dei lavoratori, sul piano tanto individuale (art. 3.1 dir. 2001/23/CE) che collettivo (artt. 6 e 7, dir. 2001/23/CE), «nella prospettiva dell’evoluzione economica e della necessità, enunciata dall’art. 117 del Trattato, di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera che consenta la loro parificazione nel progresso» (308). Il punto di partenza consiste nel guardare al trasferimento di azienda come ad uno strumento leggero e non stereotipato, teso ad assicurare ai lavoratori una tutela ampia avverso qualunque operazione ovvero «qualsiasi cam- biamento, nell’ambito di rapporti contrattuali, della persona fisica o giuridica responsabile della gestione dell’impresa, la quale assume le obbligazioni del datore di lavoro nei confronti dei di- pendenti dell’impresa medesima» (309), che, nell’ambito del mercato comune, possa pregiudi- carne i diritti o compromettere la salvaguardia dell’occupazione senza consentir loro di restare alle dipendenze del cessionario nella stessa situazione in cui si trovavano presso il cedente (310).
305 X. Xxxxxx, La fattispecie: la nozione di azienda, di ramo d’azienda e di trasferimento fra norme interne e norme comunitarie, in Quad. dir. lav. rel. ind., 2004, p. 32; X. Xxxxxxxxxxx, La disciplina del trasferimento d’azienda dopo il d.lgs. 18/2001, in Aa. Vv., I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici, Xxx, Xxxxxx, x. 00 ss; X. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, Trasferimento d’azienda ed esterna- lizzazioni (diritto del lavoro), in Enc. dir., Xxxxxxx, Milano, 2017, p. 979.
306 X. Xxxxxx, Le vicende modificative del rapporto riferibili al datore di lavoro: il trasferimento dell’azienda, in Trasferimento di ramo
d’azienda e rapporto di lavoro – Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza, Quaderni di diritto del lavoro, Milano, Xxxxxxx, 2004, p. 444.
000 X. Xx Xxxx Xxxxxx, Xx esternalizzazioni tra cessione di ramo d’azienda e rapporti di fornitura, op. cit., p. 11 ss.
308 Xxxxx Xxxxx., 0 febbraio 1985, C-135/83, Xxxxx; Xxxxx Xxxxx., X-00/00, Xxxxxxxx (xx sentenze della Corte di Giustizia sono tutte repe- ribili in libero accesso in xxxxx.xxxxxx.xx).
309 Xxxxx Xxxxx., 0 marzo 2014, C-458/12, Xxxxxxx e altri c. Telecom Italia e Telecom Italia Information Technology; Xxxxx Xxxxx., 00
gennaio 2011, C-463/09, Clece
310 Xxxxx Xxxxx., 00 luglio 1985, C-104/85, Dalmols Inventar, ove è chiarito che scopo dell’ordinamento comunitario è garantire, nei
limiti del possibile, «la continuazione del contratto o un rapporto di lavoro senza modifiche, con il cessionario, onde impedire che i
In tale lente, le aperture compiute dalla giurisprudenza europea rispetto al diritto interno dei vari Paesi interni sono essenzialmente due.
Provando a dare ordine al discorso, nella consapevolezza che storiograficamente le date delle pronunce trovano più di un intreccio tra di loro, l’importanza fondamentale delle sentenze della Corte di Giustizia nel tentare un’approssimazione tra le due fattispecie che ci occupano attiene, in primo luogo, alla definizione dei contorni della nozione di «trasferimento» prevista dalla diret- tiva 2001/23/CE (311) rispetto alla quale l’approccio casistico condotto mediante «test composti da indici presuntivi ciascuno dei quali di per sé non è né sufficiente né necessario» (312) ha gra- dualmente condotto a ritenere, ai fini dell’applicazione della direttiva, sussistente la fattispecie del trasferimento di azienda ogni qualvolta un’entità economica sia trasferita da un soggetto ad un altro conservando, al momento del mutamento della titolarità, la propria identità, anche mal- grado la mancanza di significativi elementi patrimoniali, materiali o immateriali (313). Ai nostri fini, il principio di conservazione non assume importanza tanto in relazione alla dimensione passata, con riguardo alla quale l’esigenza di reprimere artifici imprenditoriali sostanzialmente abusivi, in quanto volti ad utilizzare l’istituto del trasferimento di azienda spesso per sbarazzarsi di tutto o parte del proprio personale conduce ad enucleare l’assunto per cui, come risulta anche dall’uso stesso del termine «conservi» contenuto nel testo dell’art. 6, par. 1, la conservazione dell’identità richiama implicitamente un requisito di preesistenza della struttura, sì da non rendersi legittimo il trasferimento dei dipendenti in assenza di loro consenso laddove l’azienda o il ramo ceduti non siano dotate di una struttura con caratteristiche già consolidate e siano invece entità costituite ad hoc immediatamente prima dell’operazione economica senza aver mai operato (314). Al con- trario, esso comporta un elemento di importante novità nella sua dimensione proiettiva, proprio laddove ammette la possibilità di inferire la sussistenza del trasferimento dal fatto che l’esercizio dell’attività sia effettivamente proseguito o ricominciato dal nuovo imprenditore (315), il che può accadere quando l’entità economica, non limitata alla realizzazione di un’opera determinata, sia organizzata in modo stabile nella strutturazione del rapporto tra persone ed elementi, consen- tendo l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo economico in termini analoghi al passato (316).
lavoratori coinvolti nel trasferimento dell’impresa vengano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferi- mento».
311 Ovvero, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b) della direttiva, il trasferimento attiene a «un’entità economica che conserva la propria
identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria».
312 X. Xxxxx, Azienda, impresa, trasferimento, in Dir. rel. ind., 2003, p. 54.
313 Il percorso trova essenziale avvio in Xxxxx Xxxxx., 00 marzo 1986, C-24/85, Spijkers; e presenta successive tappe fondamentali in Xxxxx Xxxxx., 00 novembre 0000, X-000/00, Xxxxxx Xxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 aprile 1994, X-000/00, Xxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 dicembre
1998, C-173/96, C-247/96, Xxxxxxx e a.; Xxxxx Xxxxx. 00 dicembre 1998, C-127/96, C-229/96 e X-00/00, Xxxxxxxxx Xxxxx e a.; Xxxxx Xxxxx. 00 settembre 2007, C-458/05, Jouini e a.; Xxxxx Xxxxx., 00 luglio 2010, C‑151/09, UGT‑FSP; Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 0000, X- 000/00, Xxxxx; Xxxxx Xxxxx., 0 settembre 2011, C-108/10, Xxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 0 marzo 2014, C-458/12, Amatori; Xxxxx Xxxxx., 00 febbraio 2020, C‑298/18, Grafe.
314 Cfr. in particolare Xxxxx Xxxxx., 0 settembre 2011, C-108/10, Xxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 0 marzo 2014, C-458/12, Amatori.
315 Cfr. in particolare Xxxxx Xxxxx., 00 marzo 1986, C-24/85, Spijkers; Xxxxx Xxxxx., 00 novembre 0000, X-000/00, Xxxxxx Xxxx; e Xxxxx Xxxxx., 00 aprile 1994, C-392/92, Xxxxxxx.
316 Xxxxx Xxxxx., 00 dicembre 1998, C-127/96, C-229/96 e X-00/00, Xxxxxxxxx Xxxxx e a.; ripresa da Xxxxx Xxxxx., 00 settembre 2007,
C-458/05, Xxxxxx e a., C-458/05; Xxxxx Xxxxx., 0 settembre 2011, C-108/10, Xxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 0 marzo 2014, C-458/12, Xxxxxxx;
Il perché del fondamentale rilievo di tale risultato interpretativo lo si comprende in connessione alla seconda importante estensione del trasferimento operata dalla magistratura europea, lad- dove si assume che l’ipotesi di cessione non è di per sé esclusa dall’assenza di una relazione ne- goziale immediata tra cedente e cessionario. Xx xxxxxx, osservando la conservazione dell’identità nei soli termini di interdipendenza tra beni e rapporti di lavoro capace di qualificare il complesso ceduto, unitariamente considerato, in funzione dell’erogazione di un servizio direttamente ap- prezzabile sul piano economico, l’opzione interpretativa adottata consente alla Corte del Lussem- burgo di non ritenere ostativa all’applicazione della direttiva la circostanza che le due imprese non abbiano alcun rapporto contrattuale diretto (317).
Il titolo del trasferimento non è insomma più reso arbitro della sorte dei lavoratori e lo stesso riferimento, contenuto nell’art. 1 della direttiva, alle ipotesi di cessione contrattuale o fusione, viene innovato, con un’interpretazione sostanzialmente analogica, del resto coerente con la fun- zione dell’istituto, stabilendo l’applicabilità della direttiva 2001/23/CE anche nell’ipotesi in cui non vi sia rapporto contrattuale diretto tra cedente e cessionario e, quindi, persino nell’eventua- lità in cui il trasferimento sia attuato mediante l’intermediazione di un terzo (318).
È in questo quadro che la Corte di Giustizia si orienta elasticamente nel configurare quale trasfe- rimento di azienda anche ipotesi di acquisizioni di personale, laddove sussistano elementi di ag- gregazione capaci di consentire integrata un’autonomia organizzativa e commerciale, tale da ga- rantire una concreta idoneità all’esercizio delle attività di impresa e al raggiungimento dello scopo economico. Invero basta una lettura delle ultime sentenze della giurisprudenza europea per ren- dersi conto di come, con particolare riguardo all’ipotesi di subentro in appalti labour intensive, ai fini dell’applicazione della direttiva del 2001 e di quelle precedenti si richieda – secondo
Xxxxx Xxxxx., 00 novembre 2015, C‑509/14, Xxxx Xxxxxxx e Algeposa Terminales Ferroviarios; Xxxxx Xxxxx., 00 ottobre 2017, C‑200/16, Securitas. Non si intende peraltro così imporre, ai fini dell’applicazione della direttiva 23/2001/CE, la conservazione assoluta dell’azienda o del ramo ceduto, atteso che è conseguenza ordinaria del fenomeno successorio l’integrazione nella nuova impresa. Se è nella facoltà del cessionario procedere successivamente al trasferimento agli adeguamenti e cambiamenti necessari alla prosecu- zione dell’attività, la configurabilità di un’azienda o di un ramo è compiuta viene compiuta mediante un giudizio ex ante, in relazione
al mantenimento, fotografato all’atto della cessione, dell’identità dell’entità trasferita in relazione «non già della struttura organizza- tiva specifica imposta dall’imprenditore ai diversi fattori di produzione trasferiti», ma di un «nesso funzionale di interdipendenza e complementarità fra tali fattori» in modo che l’organizzazione, anche se integrata, possa consentire al cessionario di continuare a svolgere un’attività identica o analoga a quella svolta dal cedente (Corte Giust., 9 settembre 2015, C-160/14, Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxx da Xxxxx e Xxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2009, C-466/07, Klarenberg).
317 L’orientamento, che verrà poi trasposto in particolare nella sentenza Xxxxx (Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2002, C-51/00) è presente nella giurisprudenza europea sin dal 1988. Cfr. Xxxxx Xxxxx., 00 febbraio 1988, C-324/86, Tellerup; Corte Giust. 19 maggio 1992, C- 29/91, Xxxxxxx Stichting; Xxxxx Xxxxx., 0 marzo 1996, C-171/94 e C-172/94, Merckx e Xxxxxxx.
318 Xxxxx Xxxxx., 00 marzo 1997, C-13/95, Suzen; Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2001, C-172/99, Oy Liikenne; Xxxxx Xxxxx., 00 settembre
2000, C-175/99, Xxxxxx Xxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2002, C-51/00, Temco; Xxxxx Xxxxx., 00 novembre 2003, C-340/01, Abler; Xxxxx Xxxxx., 00 ottobre 2017, C‑200/16, Securitas; Xxxxx Xxxxx., 00 luglio 2018, X-00/00, Xxxxxx. La stessa sentenza Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2011, C-463/09, Clece rileva come, ai fini della qualificazione della fattispecie, a nulla importa che la riassunzione di una parte essenziale del personale avvenga nell’ambito della cessione contrattuale conclusa tra il cedente e il cessionario, oppure sia il risultato di una decisione unilaterale del precedente imprenditore di risolvere i contratti di lavoro del personale trasferito, seguita da una decisione unilaterale del nuovo titolare dell’impresa di assumere la parte più rilevante del medesimo personale per l’espletamento degli stessi compiti, posto che altrimenti, essendo l’esistenza di un trasferimento subordinata in modo esclusivo all’origine contrat- tuale di tale riassunzione, «la tutela dei lavoratori, voluta da tale direttiva, sarebbe rimessa alla discrezionalità degli imprenditori e
questi ultimi avrebbero l’opportunità, astenendosi dal concludere un contratto, di eludere l’applicazione della citata direttiva, con conseguente pregiudizio per la conservazione dei diritti dei lavoratori trasferiti che è invece garantita dall’art. 3, n. 1, della direttiva 2001/23».
un’interpretazione «funzionalistica» coerente con l’estensione generalmente perpetrata della nozione dell’azienda in contrasto a fenomeni elusivi (319) – anche a prescindere da un rapporto contrattuale tra l’impresa uscente e quella subentrante e a fortiori proprio nelle ipotesi di rias- sunzione delle maestranze coinvolte in virtù delle clausole sociali (320), essenzialmente la sussi- stenza di un centro aggregativo capace di garantire tanto l’effettiva tensione ad analogo risultato produttivo dei lavoratori trasferiti, quanto la conservazione dell’autonomia imprenditoriale. Con la conclusione di qualificare la fattispecie che ci occupa come trasferimento di impresa non solo a riguardo del numero e della specifica competenza dei lavoratori (321), ma soprattutto dell’unifi- cazione degli stessi in ragione del passaggio anche dell’autonomo nucleo direttivo avente lo scopo e la capacità di organizzare i fattori produttivi grazie ai «poteri riconosciuti ai responsabili del gruppo dei lavoratori di organizzare» il lavoro in modo relativamente libero e indipendente e, più specificamente, di impartire istruzioni e distribuire compiti senza intervento diretto di altre strut- ture del datore di lavoro (322).
Ed invero tutta la giurisprudenza comunitaria, a partire dalla sentenza Suzen, ha fatto applicazione di tali principi interpretativi per affidare alla disciplina europea le sorti del subentro in appalto vuoi quando la stabile destinazione dei lavoratori ceduti ad un’attività comune «perduri attra- verso la riassunzione, da parte del nuovo appaltatore, della parte essenziale del personale dell’im- presa» uscente venendo trasferito «un complesso organizzato di persone e cose» finalizzato all’esercizio di un’attività economica e al perseguimento di un determinato obiettivo (323); vuoi quando il servizio oggetto dell’appalto venga internalizzato dal committente, ponendo fine al con- tratto che lo vincolava all’appaltatore e provvedendovi in futuro in proprio (324); vuoi, soprattutto, laddove il trasferimento si inserisca nell’ambito di uno schema triangolare, composto da rapporti contrattuali indiretti, come avviene tanto nell’avvicendamento in un analogo servizio da parte di due imprese in forza di due contratti successivi quanto nel caso in cui, a seguito del passaggio da un regime di subappalto ad un appalto tout court, mutino gli stessi soggetti contraenti, ma non l’ambiente in cui il servizio venga reso, restando di fatto immutati i legami diretti originariamente presenti tra committente e primo subappaltatore («giuridici, come il pagamento diretto, e […] in ogni caso rapporti di fatto, come la sorveglianza e il controllo quotidiano del lavoro effettuato») anche nel secondo rapporto (325).
000 X. Xxxxxxx, X.X. Xxxxxxxx, Xx nuovo art. 2112 c.c. ed i vincoli del diritto europeo, in Giornale dir. lav. rel. ind., 2005, p. 187.
320 Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2002, C-51/00, Temco.
321 Xxxxx Xxxxx., 00 marzo 1997, C-13/95, Suzen.
322 Xxxxx Xxxxx., 0 settembre 2011, C-108/10, Xxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2011, C-463/09, Clece; Xxxxx Xxxxx., 00 luglio 2010, C‑151/09, UGT‑FSP; Xxxxx Xxxxx., 00 dicembre 1998, C-173/96 e C-247/96, Xxxxxxx.
323 La rilevanza di tale sentenza (Xxxxx Xxxxx., 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen) sta nell’aver determinato, in un’ottica di tutela, una
nuova considerazione del rapporto di lavoro quale elemento costitutivo del complesso aziendale, riconducendo la manodopera nella nozione di entità economica, oggetto di trasferimento, sulla base di un giudizio di approssimazione tra fattispecie astratta e caso concreto compiuto nella lente della ratio della normativa europea. Ed è così che si afferma che «in determinati settori in cui l’attività si fonda essenzialmente sulla manodopera, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente una attività comune, può corrispondere ad una entità economica». Cfr. Xxxxx Xxxxx., 00 aprile 1994, C-392/92, Xxxxxxx (relativa alla successione in un appalto di pulizie ove era impiegata una sola lavoratrice); e già Xxxxx Xxxxx., 00 novembre 1992, X-000/00, Xxxxxx Xxxx.
324 Xxxxx Xxxxx., 00 dicembre 1998, C-127/96, C-229/96 e X-000/00, Xxxxxxxxx Xxxxx
000 Xxx. Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2002, C-51/00, Temco (da cui si cita), nonché Xxxxx Xxxxx. 0 marzo 1986, C-171/94 e C-172/94, Merckx; Xxxxx Xxxxx., 00 marzo 1997, C-13/95, Suzen; Xxxxx Xxxxx., 00 dicembre 1998, C-173/96 e C-247/96, Xxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 dicembre
3.1. (segue). Il conflitto tra fonti e principi: un bellum omnium contra omnes.
L’evidente iato tra l’interpretazione della Corte europea rispetto alla fattispecie interna non a caso condurrà ad un duplice processo correttivo ad opera del legislatore nel 2001 (mediante l’emanazione del d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, di attuazione della direttiva 1998/05/CE) e nel 2003 (mediante l’introduzione dell’art. 29, co. 3 d.lgs. 276/2003 e la modifica dell’art. 2112 cod. civ. ad opera dell’art. 32 del medesimo decreto) e offrirà anche non pochi spunti interpretativi alla giu- risprudenza tanto di merito (326) quanto di legittimità (327), schiacciata com’è tra l’obbligo di con- formare l’ordinamento interno recependo i principi comunitari originati dalla interpretazione della Corte di Giustizia e quello di non potersi certo dimenticare dell’esclusione contenuta nell’art. 29, co. 3, posta la soggezione del giudice rispetto alla legge.
In effetti, almeno inizialmente, l’avvenuta trasposizione della direttiva in ambito nazionale me- diante la semplice riproposizione della formula europea ha favorito la possibilità di un’interpre- tazione adeguatrice del diritto nazionale, ricucendo sistematicamente il conflitto tra norme fa- cendo ricorso al principio di specialità, secondo una direttrice del resto tanto legittimata dalla Corte Costituzionale italiana (328), quanto imposta dalla magistratura europea (329). È sintomatico constatare che delle sentenze della Corte di Giustizia testé citate si ricostruisca minuziosamente l’evoluzione (330) e si riprendano quasi letteralmente i contenuti allorquando, sul piano del titolo del mutamento nella titolarità, si considera suscettibile di integrare una fattispecie di trasferi- mento ogni ipotesi di mutamento del titolare dell’impresa e, sul piano dell’oggetto, il l’entità eco- nomica venga intesa non solo avendo riguardo ai beni in senso stretto, ma ai rapporti (e, in
1998, C-127/96, C-229/96 e X-000/00, Xxxxxxxxx Xxxxx; Xxxxx Xxxxx., 0 dicembre 1999, C-234/98, Xxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 settembre 2000, C-175/99, Xxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2001, C-172/99, Liikenne; Xxxxx Xxxxx., 00 maggio 2005, C-478/03, Celtec; Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2011, C-463/09, Clece. Va rilevato, peraltro, l’apporto evolutivo che la giurisprudenza comunitaria ha fornito al diritto europeo. Ed invero, sin nel vigore della direttiva 77/1987/CEE la Corte di Giustizia ha compiuto una significativa scelta di campo a favore dell’interpretazione teleologica del diritto, coerentemente con lo scopo della direttiva stessa di garantire la continuità dei rapporti di lavoro (art. 1, co. 1). Ed infatti, come si è visto, mentre, almeno inizialmente, l’oggetto della direttiva è stato individuato in base ad elementi oggettivi e misurabili (Corte Giust., 18 marzo 1986, C-24/1985, Spijkers; Xxxxx Xxxxx., 00 febbraio 1988, C-234/1986, Daddy’s Dance Hall), in un secondo tempo si è ritenuta sufficiente l’identità o anche la sola analogia del servizio svolto dal cessionario rispetto a quello svolto dal cedente, senza necessità di un trasferimento di elementi materiali e patrimoniali. e senza un rapporto negoziale diretto tra i due soggetti, giungendo così a comprendere, nell’ambito di applicazione della direttiva, tutti i metodi di ester- nalizzazione (cfr. Xxxxx Xxxxx., 00 novembre 1992, C-209/1991, Xxxxxxx Xxxx; Xxxxx Xxxxx., 0 marzo 1996, C-171/94 e C-172/94, Merckx e Xxxxxxx). Un siffatto orientamento (Corte Giust., 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen; Xxxxx Xxxxx. 00 dicembre 1998, C-127/96, C-229/96 e X-00/00, Xxxxxxxxx Xxxxx e a.; Xxxxx Xxxxx., 00 dicembre 1998, C-173/96, C-247/96, Xxxxxxx e a.) è stato inizialmente recepito dalla direttiva 1998/50/CE, la quale, richiamando espressamente le pronunce della Corte europea (cfr. in particolare i consi- derando nn. 5 e 6) ha precisato che l’entità economica oggetto del trasferimento è da intendere come «insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria» e capace di conservare, con il trasferimento, la propria identità. Analoghe previsioni sono contenute nella direttiva 2001/23/CE, in particolare ai considerando nn. 7 e 8 e all’art. 1, lett. b). 326 Cfr. Trib. Ravenna, 8 giugno 2000, in Lav. giur., 2000, 949; Trib. Milano, 19 dicembre 2000, in Giur. it., 2001, 2069; Trib. Vigevano,
2 febbraio 2001, in D&L Riv. critica dir. lav., 2001, 437; Trib. Milano, 29 maggio 2001, in Lav. giur., 2002, 392; Trib. Taranto, 20 aprile
2001, in Riv. it. dir. lav., 2002, 396; App. Catania, 6 dicembre 2001, in Foro it., 2002, 2279; App. Milano, 2 luglio 2003, in Iusexplorer;
App. Milano, 9 settembre 2003, in Orient. giur. lav., 2003, 544.
327 Cfr. Cass. 23 luglio 2002 n. 10761, in Foro it., 2002, 2278; Cass. 4 dicembre 2002, n. 17207, ivi, 2003, 103; Cass. 30 dicembre 2003,
n. 19842, ivi, 2004, 1095.
000 Xxxxx Xxxx., 00 xxxxxx 0000, x. 000; Xxxxx Xxxx., 00 ottobre 2007, nn. 347 e 348.
329 15 aprile 2008, C-268/06, Impact; Xxxxx Xxxxx., 00 aprile 2009, C-378/07 e C-380/07, Angelidaki.
330 Così in Cass. 30 dicembre 2003, n. 19842, cit., ove la ricostruzione degli arresti giurisprudenziali della Corte europea, tanto in relazione alla direttiva 1977/87/CEE, quanto alle successive 1998/50 e 2001/23, nonché Xxxx. 13 gennaio 2005, n. 493, in Dir. rel. ind., 2005, 828.
particolare, di rapporti di lavoro) «purché si ravvisi un collegamento stabile e funzionale delle loro attività, determinato dall’organizzazione» (331) tale da garantire un’idoneità funzionale delle atti- vità cedute al raggiungimento dello scopo produttivo del cessionario (332).
Senonché, del tutto distonicamente rispetto agli obiettivi del processo di armonizzazione com- piuto anche da parte sindacale (333), la riforma del 2003 ha segnato una vera e propria inversione di rotta da parte del legislatore interno, se non di un vero e proprio ritorno al passato. Il riferi- mento non è tanto all’art. 32, co. 1, il quale, in fondo – e nonostante un’opinione contraria auto- revole, ma rimasta poi del tutto minoritaria (334) – non ha fatto altro che riportare nell’ordina- mento interno gli stessi sintagmi del legislatore europeo (335) legittimando il recupero interpreta- tivo del significato del titolo del trasferimento fatto proprio dalla Corte europea (336). Piuttosto, a
331 Cass. 30 dicembre 2003, n. 19842, cit. Tale pronuncia, nello specificare anche i contenuti della precedente Cass. 23 luglio 2002, n. 10761, cit., costituisce una tappa significativa nella giurisprudenza italiana, in ragione della compenetrazione tra i contenuti delle sentenze comunitarie nell’ordinamento interno compiuta attraverso un’interpretazione sistematica. È infatti in base all’interpreta- zione europea che la Corte italiana giunge a rilevare l’impossibilità di escludere «che in alcuni casi quella autonomia organizzativa ed economica possa – alcuni settori o aree produttive in cui le strutture materiali assumono scarsa se non nessuna rilevanza (strutture
c.d. labour intensive) – configurarsi, anche in presenza del trasferimento di sola manodopera e quindi di soli lavoratori, che, per essere stabilmente addetti ad un ramo dell’impresa, e per avere acquisito un complesso di nozioni e di esperienze, siano capaci di svolgere le loro funzioni presso il nuovo datore di lavoro, potendosi, appunto, la suddetta autonomia concretizzare non solo attraverso la natura e le caratteristiche della concreta attività spiegata, ma anche in ragione di altri significativi elementi, quali, ad esempio, la direzione e l’organizzazione del personale, il suo specifico inquadramento, le peculiari modalità di articolazione del lavoro e i relativi metodi di gestione. Ciò può, ad es., avvenire nel caso in cui l’oggetto del trasferimento sia costituito da un gruppo di dipendenti, stabilmente coordinati e organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere essi dotati di un particolare know-how o, comunque, dall’utilizzo di copyright, brevetti, marchi ecc.). In alcuni di questi casi l’assenza di beni è solo apparente, trattandosi di beni “immateriali”, sicché può parlarsi ancora di ramo di azienda, secondo la nozione tradizionale fornita dall’art. 2555 cod. civ., ma in altri casi resta come requisito indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall’art. 2112 cod. civ. proprio l’elemento dell’organizzazione, ovvero quel legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra loro e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili. […] [I]n questi ultimi casi non basta una mera e occasionale aggregazione di persone dipendenti all’interno di diverse e variegate strutture aziendali, ma occorre l’esistenza di un collegamento stabile e funzionale delle loro attività, costituito appunto dall’organizzazione la quale costituisce perciò il “legante”, ovvero il valore aggiunto – al punto che, piuttosto che parlare di trasferimento di azienda sembra più appropriato parlare di trasferi- mento di impresa (o ramo di impresa) rilevando piuttosto il dato dinamico e funzionale come essenziale».
332 Trib. Vigevano, 2 febbraio 2001, cit.; App. Catania, 6 dicembre 2001, cit.; App. Milano, 22 marzo 2010, in Riv. it. dir. lav., 2011, 320; Trib. Napoli, 3 maggio 2011, n. 10892, ivi, 2011, 1107. In dottrina, v. X. Xxxxxxxxxxx, La disciplina del trasferimento di azienda, op. cit., p. 83.
333 Cfr. supra par. 2.
334 X. Xxxxxxxx, Contratti di appalto di servizi e trasferimento d’azienda, in Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro – Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza, Quaderni di diritto del lavoro, Milano, Xxxxxxx, 2004, p. 195 ss., il quale esclude l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. nelle ipotesi in cui il mutamento della titolarità dell’impresa non avvenga a seguito di un accordo tra cedente e cessionario, sicché l’ipotesi della successione nell’appalto ne resterebbe esclusa. Cfr. anche X. Xxxxxx, Il trasferimento d’azienda e di parte di azienda fra garanzie per i lavoratori e nuove forme organizzative dell’impresa: l’attuazione delle direttive comunitarie è con- clusa?, in M.T. Carinci, X. Xxxxxx (a cura di), Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda, Ipsoa, Milano, 2004, p. 250 ss.
335 Nel riformulare l’art. 2112 cod. civ., l’art. 32 citato ha invero identificato il titolo del trasferimento in «qualsiasi operazione che, in
seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata [...] a prescindere
dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato».
000 X. Xxxxxxx, X.X. Xxxxxxxx, Xx nuovo art. 2112 x.x. xx. xxx., x. 000 xx. Xxxxxxxx tale risultato è perseguito anche argomentando dall’eli- minazione ad ogni riferimento al requisito della preesistenza del ramo e della conservazione dell’identità e nella conseguente possi- bilità per le parti di identificare la porzione di azienda ceduta al momento del trasferimento l’inesistenza di remissione tout court alle parti di qualificare come ramo d’azienda i beni o rapporti ceduti, sì da far dipendere dall’autonomia privata l’applicazione della disci- plina speciale (Cass. 26 agosto 2016, n. 17366, in Leggiditalia; Cass. 31 maggio 2016, n. 11247, ivi).
dispetto della «inutile complessità» di cui è stato tacciato (337), è proprio al famigerato art. 29, co.
3. Si è trattato di un serio ostacolo, di non facile comprensione, probabilmente teso a recepire, più che le istanze provenienti dal Lussemburgo, alcune le sollecitazioni provenienti sul versante interno da quanti, già nel vigore della vecchia disciplina, tendevano ad escludere all’ipotesi di successione negli appalti la disciplina dell’art. 2112 cod. civ. (338).
Il nuovo modello legislativo, ancora una volta fondato sulla rigida contrapposizione tra subentro nell’appalto e trasferimento di impresa di antico retaggio (339), viene ad essere però messo in crisi a ragione dell’evoluzione della giurisprudenza nazionale, che, nuovamente guidata dall’obbligo di interpretazione conforme e con la dottrina come compagna, più che rifiutare l’applicazione della nuova norma per contrasto con il diritto europeo (340), tende ad evitare le indebite penalizzazioni che potrebbero subire «i dipendenti coinvolti nell’operazione, i quali, anche se si vedono assicu- rato il lavoro, tuttavia potrebbero avere, presso il nuovo appaltatore, standard inferiori di tutela (a meno che essi non vengono garantiti, come spesso accade, dai contratti collettivi o dai capito- lati di appalto, che, oltre alle assunzioni, impongono anche il mantenimento dei diritti già acquisiti in precedenza)» (341) intendendo l’art. 29 come meramente confermativo dell’art. 2112 cod. civ.
La scelta categorica di escludere dall’art. 2112 cod. civ. in ipotesi di subentro in appalto viene rovesciata: prescindendo dalla necessaria esistenza di un rapporto contrattuale diretto tra im- prenditore uscente e subentrante, lo strappo multilivello è ricucito sfruttando, in relazione alla
337 Così Xxxxxx Xxxxxxxx, coerentemente con l’interpretazione restrittiva assunta, volta a negare, in base al mero art. 32, cit., l’applica- bilità dell’art. 2112 cod. civ. all’ipotesi di subentro in appalto (Contratti di appalto, op. cit., p. 209).
338 Storica è rimasta Cass. 23 novembre 1994, n. 6061, in Giust. civ. Mass., 1984, 11, la quale ha negato l’applicazione dell’art. 2112
cod. civ. all’ipotesi di mero subingresso di un’impresa all’altra nella qualità di appaltatrice di lavori di facchinaggio e pulizia presso uno stabilimento industriale non accompagnato da alcuna cessione di beni o strumenti inerenti a detta attività, in omaggio alla visione “materialistica” della disciplina del trasferimento d’azienda (cfr. supra), la quale postulerebbe che il complesso organizzato dei beni dell’impresa, nella sua identità obiettiva, sia passato in tutto od in parte ad un diverso titolare. È stato così considerato irrilevante che la nuova impresa appaltatrice avesse installato il proprio cantiere negli stessi locali od aree in precedenza assegnate dall’appaltante alla prima impresa, ovvero che avesse aderito alle istanze dei suoi dipendenti, assumendoli e costituendo con essi nuovi ed autonomi rapporti di lavoro. Successivamente l’indirizzo è confermato da Xxxx. 6 marzo 1990, n. 1755, in Giust. civ. Mass., 1990, 3; Cass. 24 febbraio 1992, n. 2285, ivi, 1992, 2; Cass. 8 febbraio 1993, n. 1519, in Riv. it. dir. lav., 1993, 834; Cass. 18 marzo 1996, n. 2254, ivi,
1997, 395; Cass. 20 novembre 1997, n. 11575, in Mass. Giur. it., 1997; Cass. 7 giugno 2000, n. 7743, in Not. giur. lav., 2000, 769, la quale, nel distinguere la fattispecie del trasferimento d’azienda da quella della successione meramente cronologica fra due imprese con lo stesso oggetto, alle cui dipendenze il lavoratore presti la sua opera con continuità, ritiene che il discrimen sia costituito «dal fatto che il mutamento del titolare deve lasciare inalterata la struttura e l’unicità organica del complesso aziendale, sì che i beni trasferiti – a prescindere dalle integrazioni apportate dal nuovo titolare, pure compatibili col trasferimento – siano tali da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa»; in Cass. 2 ottobre 2006, n. 21287, in Foro it., 2007, 106. Nella giurisprudenza di merito, x. Xxxx. Xxxxxx, 00 luglio 1994, in Orient. giur. lav., 1994, 545; Trib. Napoli, 12 luglio 2000, in Dir. lav., 2001, 39; App. Milano,
30 novembre 2000, in Lav. giur., 2001, 590; Trib. Firenze, 15 ottobre 2005, in D&L Riv. critica dir. lav., 2006, 832; Trib. Milano, 25 febbraio 2009, ivi, 2009, 460. In dottrina, v. X. Xxxxxxxxx, Successione nell’appalto, op. cit., p. 217 ss.; X. Xxxxx, Il rapporto di lavoro nel trasferimento dell’azienda (Art. 2112), in X. Xxxxxxxxxxx (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 51 ss. 339 Si pensi, ad esempio, al caso esaminato da Xxxx. 6 marzo 1990, n. 1755, in Giust. civ. Mass., 1990, 3, che ha escluso l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. ad un’ipotesi di subentro nella gestione del servizio di mensa.
340 Così, invece, X. Xxxxxxxx, Impresa modulare, trasferimenti d’azienda, appalti interni: la soft law sul ciclo di produzione, in X. Xxxxxx (a cura di), Il lavoro fra progresso e mercificazione. Commento critico al decreto legislativo n. 276/2003, Ediesse, Roma, 2004, p. 197 s.; X. Xxxxxxxx, X. Xxxx, Trasferimento d’impresa nella normativa codicistica e comunitaria: cessione di beni materiali o anche di sola manodopera?, in Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro – Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza, Quaderni di diritto del lavoro, Milano, Xxxxxxx, 2004, p. 284 ss.; X. Xxxxxxxx, Il trasferimento d’azienda tra disciplina nazionale ed interpretazioni “vincolanti” della Corte di Giustizia Europea, in W.P. CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 46/2006, p. 46 ss.
000 X. Xxxxxxxx, Xx trasferimento d’azienda, op. cit., p. 46.
generalità del termine «subentro» usato dall’art. 29, capace di ricomprendere tutte le ipotesi successorie nell’appalto (ad esempio per cessione del contratto, rinnovo con un nuovo appalta- tore, stipulazione di un nuovo contratto), l’ampiezza del lessema «qualsiasi operazione» conte- nuto nell’art. 2112 cod. civ., nella quale viene ricompreso anche il caso in cui il trasferimento si realizza mediante l’intermediazione di un terzo, quale anche il committente (342), e della locuzione
«provvedimento», il quale lascerebbe intendere un superamento di quelle antiche pronunce volte a negare l’applicazione della normativa nelle ipotesi di successione a seguito di concessione amministrativa e l’applicazione della disciplina «a prescindere dal titolo giuridico (contratto, prov- vedimento amministrativo) e purché vi sia di fatto il trasferimento dell’azienda» (343). Detto altri- menti, una lettura teleologica dell’art. 29 ha consentito di far assumere alla disciplina una portata meramente derogatoria, dunque confermativa della disciplina generale (344), sì da escludere che la successione negli appalti potesse astrattamente configurarsi di per sé anche come trasferi- mento d’azienda o di un suo ramo, sì da attribuire ai dipendenti dell’impresa uscente il diritto a passare alle dipendenze dell’appaltatore entrante, ma non da negare che il subentro nell’appalto, accompagnato anche da passaggio del personale, potesse anche dar luogo ad una successione nell’attività economica e nell’entità economica (rectius, di una «articolazione funzionale») dell’ap- paltatore secondo un principio di continuità, tale da render possibile l’applicazione delle tutele previste dall’art. 2112 cod. civ. (345). Della norma codicistica, in altre parole, si elide il diritto alla continuità occupazionale, ma non quello alla conservazione dei diritti che derivano dal rapporto ceduto, quando alla lacuna del primo suppliscano, come accade, le clausole dei capitolati d’ap- palto o dei contratti collettivi, prevedendo l’obbligo dell’appaltatore subentrante di assumere, in
342 X. Xxxxxxx, Modifica all’articolo 2112, comma quinto, del codice civile, in X. Xxxxxxxxxx M. (coordinato da), Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Zanichelli, Bologna, 2004, p. 390; X. Xxxxx, Il campo di applicazione della disciplina sul trasferimento d’azienda, in X. Xx Xxxx Xxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx (a cura di), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, Xxx, Xxxxxx, 0000, p. 583 ss.; P. Xxxxxxxxxxx, Modifica all’articolo 2112, comma quinto, del Codice civile, in X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx (a cura di), La riforma mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali. Commentario al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 27, Cedam, Padova, 2004, p. 465; X. Xxxxxxxx, Il trasferimento d’azienda, op. cit., p. 47; M.T. Carinci, Gli appalti nel settore privato, op. cit., p. 350;
X. Xxxxx, “Subentro” nell’appalto labour intensive, op. cit., p. 80; X. Xxxxxx, Ciò che appalto non è, op. cit., p. 1052. Di recente, nello stesso senso, App. Torino, 14 giugno 2018, n. 381, in Iusexplorer, ove si rileva che l’art. 2112 cod. civ. disciplina una vicenda che prescinde dal nomen iuris dato dalle parti al negozio, trovando applicazione nel momento in cui si verifica un trasferimento di azienda, indipen- dentemente dallo strumento negoziale in concreto utilizzato dalle parti e, dunque, a prescindere da qualsivoglia figura contrattuale tipica, senza che possano esservi limitazioni di sorta alle operatività delle tutele ivi previste.
000 X. Xxxxxxxx, Xx trasferimento d’azienda, op. cit., p. 47. V. di recente Cass. 25 novembre 2019, n. 30633, in Giust. civ. Mass., 2019. 344 X. Xxxxxxx, Modifica all’art. 2112, op. cit., loc. cit., rileva invero come la nuova disposizione del d.lgs. 276/2003 darebbe «per scontato che, sul piano generale, l’art. 2112 c.c. possa trovare applicazione anche al trasferimento di ramo d’azienda identificato nei lavoratori organizzati per l’esecuzione di un’opera o di un servizio». Cfr. X. Xxxxxxx, Trasferimento di azienda e successione di appalti, prima e dopo il d.lgs. n. 276/2003, tra diritto comunitario scritto e giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Riv. it. dir. lav., 2004, p. 467 ss.
345 A tale conclusione giungeva la giurisprudenza di merito immediatamente successiva all’emanazione della legge (Trib. Roma, 9
giugno 2005, in Riv. giur. lav., 2005, 678). L’indirizzo è stato accolto anche dalla Cassazione, che dal 2005 (Cass. 13 gennaio 2005, n. 493, cit.) ha considerato che la disciplina dell’art. 2112 cod. civ. «postula soltanto che il complesso organizzato dei beni dell’impresa
– nella sua identità obiettiva – sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione», motivo per cui potrebbe configurarsi trasferimento d’azienda anche «in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, ma tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa e realizzabile anche in due fasi per effetto della intermediazione di un terzo». Cfr. Cass. 2 marzo 2012, n. 3301, in Guida al diritto, 2012, 18, 41; Cass. 1 ottobre 2012, n. 16641, in Riv. it. dir. lav., 2013, 343; Cass. 16 maggio 2013, n. 11918, in Giust.
civ. Mass., 2013.
tutto o in parte, i lavoratori dell’impresa uscente (346).
La strada percorsa manifesta però ancora buche e dissesti. Con l’evidenza di non poter colmare, sul piano esegetico, la frattura segnata dal diritto interno, rispetto al quale restano sostanzial- mente fuori tanto i casi in cui ai dipendenti non sia apprestata tutela convenzionale (individuale o collettiva), quanto, soprattutto, la stessa forza cogente del principio imperativo codicistico, al quale è riconosciuto un ruolo ben più rilevante ed incisivo in ipotesi di contenzioso, tanto da esser l’unica fonte a poter garantire un diritto di passaggio effettivamente coercibile (347).
In questo contesto di indubbia incertezza, a contribuire alla creazione di un «puzzle di difficile composizione» (348) nel definire i rapporti tra l’art. 2112 cod. civ. e l’art. 29, co. 3 d.lgs. 276/2003, fa quasi sorridere la confusa promessa del comma 4-bis dell’art. 7, d.l. 31 dicembre 2007, n. 148 (conv. con mod. in l. 28 febbraio 2008, n. 31), il quale ha tutta l’intenzione di anticipare la reda- zione di una normativa («completa») in materia di «tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto», sì da lasciare al lettore (e al dipendente) il gusto di veder favorite e garantite a breve «piena occupazione e […] invarianza del trattamento economico com- plessivo» in ipotesi di subentro. La comanda è arrivata in cucina, ma il piatto non giunge a tavola e intanto al lavoratore viene tolta persino la forchetta, con la disciplina dei licenziamenti collettivi volata via, sebbene solo laddove non operino le clausole sociali, sì da continuare sostanzialmente a queste ultime l’ingrato compito di garantire continuità al lavoro «a parità di condizioni econo- miche e normative» (349).
«Nelle more», dunque, le garanzie introdotte sono solo frammenti.
L’art. 7 del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 riconosce al lavoratore che «passa alle dipendenze dell’im- presa subentrante nell’appalto» l’anzianità di servizio relativamente a «tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata», limitando il principio di continuità previsto dall’art. 2112 cod. civ. ai soli fini dell’indennità di licenziamento, con un intervento di taglio confermativo del passato che non fa altro che confermare la peculiarità del meccanismo successorio previsto in caso di cambio appalto con licenziamento da una parte e riassunzione ex novo dall’altra. Questa correlazione simmetrica tra anzianità di servizio ai fini dell’indennità di licenziamento e durata dell’impiego nell’appalto, attinente a situazioni, quanto meno analitica- mente, distinte sfocia in un risultato asimmetrico sul piano dell’assimilazione tra subentro in ap- palto e trasferimento d’azienda, posto che, laddove tale ultimo istituto operasse, il senso della
000 X. Xxxxxx, Xx trasferimento d’azienda, in P. Curzio (a cura di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci, Bari, 2004, p. 172; Id., Il trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda, in P. Xxxxxx (a cura di), Lavoro e diritti a tre anni dalla legge 30/2003, Xxxxxxx, Bari, 2006, p. 233; M.T. Carinci, Gli appalti nel settore privato, op. cit., p. 350; X. Xxxxxx, Ciò che appalto non è, op. cit., p. 1052- 1053.
347 Detto altrimenti, la natura privatistica delle clausole di assorbimento della manodopera non consente una qualificazione della
fattispecie in termini di piena aderenza all’art. 2112 cod. civ., nonostante, come si è visto, la riassunzione da parte del nuovo appalta- tore di una parte essenziale dei dipendenti dell’impresa uscente in ragione dell’operatività delle clausole sociali abbia attratto, per la giurisprudenza europea, la fattispecie entro la disciplina del trasferimento di impresa.
348 Sin dal titolo X. Xxxxx, “Subentro” nell’appalto labour intensive, op. cit., p. 69
349 Resta peraltro da dire che, ove la norma non vi fosse, il datore di lavoro uscente sarebbe comunque onerato della procedura prevista per i licenziamenti collettivi o individuali, a seconda dei casi, e al pagamento del contributo di licenziamento previsto dagli artt. 7, l. n. 604/1966, 4, l. n. 223/1991 e 2, co. 34, l. n. 92/2012, motivo per cui la norma non è da salutare del tutto negativamente, nonostante l’incoerenza sistematica rappresentata nel testo.
disposizione non darebbe luogo ad alcun significato reale (350). Il senso della disposizione è invece coerente con la volontà del legislatore di tenere distinte le fattispecie e dunque di tener conto di tutto il periodo in cui le maestranze sono impiegate nell’appalto ai soli fini speciali del calcolo dell’indennità per licenziamento illegittimo in tutti i casi in cui il subentro di un nuovo appaltatore non integri trasferimento d’azienda ex art. 29, co. 3. Un’interpretazione siffatta, al di là dell’inten- zione del legislatore storico, appare però poco coerente con il percorso tracciato, sì da poter es- sere migliorata, in virtù di quanto già riferito in relazione alle aperture della giurisprudenza interna proprio sul significato del comma 3 citato, tenendo distinte due ipotesi: la prima è quella in cui il subentrante dispone di una propria organizzazione di uomini e mezzi o di personale ed è tenuto ad assumere i dipendenti dell’appaltatore uscente in forza delle previsioni del capitolato di ap- palto o del contratto collettivo, motivo per cui, non essendovi mutamento nella titolarità di un’at- tività economica organizzata o in una sua articolazione funzionalmente autonoma, l’inapplicabi- lità dell’art. 2112 cod. civ. conduce all’applicazione della disciplina integrativa prevista dall’art. 7 citato. La seconda ipotesi è quella in cui, invece, il nuovo appaltatore utilizza la medesima strut- tura organizzativa del precedente imprenditore e, dunque, si realizza una fattispecie di trasferi- mento di azienda, nella quale l’art. 7 non opera, in quanto assorbito dalle previsioni dell’art. 2112 cod. civ. (351).
Su un altro versante, c’è la disposizione dell’art. 1, co. 181, l. 28 dicembre 2015, n. 208, la quale accorda al datore di lavoro subentrante, che assume, «ancorché in attuazione di un obbligo pree- sistente, stabilito da norme di legge o della contrattazione collettiva, un lavoratore per il quale il datore di lavoro cessante fruisce» di esonero contributivo, il diritto a fruire di detto esonero, na- turalmente nei limiti della durata e della misura che residua. Ma l’omogeneità stabilita tra trasfe- rimento e appalto è qui limitatissima (352), tanto da far immaginare che il riferimento agli obblighi legali previsti dalle disposizioni altro non abbiano a riferimento che le speciali disposizioni previste per i settori aeroportuale, dei call center e dei servizi di trasporto pubblico locale (353).
Inoltre, la stessa introduzione del contratto a tutele crescenti ha complicato non poco le carte, posto che, se prima dell’emanazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 i dipendenti dell’appaltatore uscente non avevano di regola interesse a rifiutare l’assunzione presso l’impresa subentrante, a seguito dell’introduzione delle nuove norme si è nuova determinata una tensione sul filo delle due norme in commento derivante dalla contrapposizione tra gli stessi interessi dei lavoratori, i quali potrebbero perdere quello alla salvaguardia occupazionale per tentare di evitare una ridu- zione delle tutele in caso di illegittimo licenziamento, “scommettendo” sul mantenimento dell’oc- cupazione, dovuto all’esercizio dell’obbligo di repêchage, presso l’attuale datore, sì da negare il
350 È chiaro, infatti, che nel passaggio dall’appaltatore uscente a quello entrante, a seguito di riassunzione ex novo, i lavoratori perdono l’anzianità di servizio precedentemente maturata, salvo diverse previsioni della contrattazione collettiva, non essendo verosimilmente sufficientemente forti per imporre alla nuova impresa l’assunzione alle precedenti condizioni (v. V. Filì, Il computo dell’anzianità di servizio nel cambio di appalto, in X. Xxxxxxxx (a cura di), Appalti e lavoro, op. cit., p. 269 ss.).
351 X. Xxxxx, “Subentro” nell’appalto labour intensive, op. cit., p. 83.
352 Tanto che se ne parla come di una norma meramente concessiva (V. D. Xxxxxxxx, Xxxxxx, impresa e trasformazioni organizzative, op. cit., p. 33 s.) o di mera disciplina (X. Xxxxxx, op. ult. cit., p. 1049). Per una panoramica v. X. Xxxxxxxx, Cambio appalto e benefici assunzionali, in X. Xxxxxxxx (a cura di), Appalti e lavoro, op. cit., p. 291 ss.
353 Cfr. supra nt. 29.
proprio consenso all’instaurazione del nuovo rapporto (e financo all’applicazione delle clausole
sociali) (354).
Da qui la reazione giurisprudenziale sarà immediata. A partire dal 2016 l’avvicinamento della suc- cessione nell’esecuzione di un appalto alla fattispecie del trasferimento di azienda è completato partendo tanto dall’art. 29, comma 3 d.lgs. 276/2003, quanto dall’art. 2112 cod. civ.
Dal primo punto di vista, il rapporto tra le due norme viene chiarito nel tentativo di scongiurare ogni rischio di incompatibilità con il diritto europeo, scegliendo l’interpretazione maggiormente conforme alle previsioni della direttiva 2001/23/CE e ai principi resi dalla Corte di Giustizia e dun- que reputando che l’esclusione prevista dal citato comma 3 possa operare solo laddove l’assun- zione del personale da parte del nuovo appaltatore, in applicazione di una clausola sociale o con- venzionale, non realizzi anche il subentro in una struttura produttiva configurabile come azienda o ramo di azienda (355). La disciplina speciale, in altre parole, non opererebbe una deroga all’art. 2112 cod. civ., ma, quasi a mo’ di norma di interpretazione autentica, lo affiancherebbe a chiari- mento del fatto che l’ambito di applicazione della disciplina codicistica non potrebbe andar oltre i confini di quanto ivi normato, ovvero alle ipotesi di mera assunzione del personale impiegato già in precedenza dell’appalto, laddove tali assunzioni, di per sé insufficienti a render applicabile l’art. 2112 cod. civ., non diano luogo al trasferimento di una struttura produttiva configurabile come azienda o come ramo di essa.
D’altro canto, ragionando attorno ai presupposti dell’art. 2112 cod. civ. viene svolta un’analisi ordinante che demarca i confini tra subentro in appalto tout court e trasferimento d’azienda sulla base di un’indagine che si apre alla valutazione empirica della sussistenza, nelle ipotesi di cessioni di azienda dematerializzate, nelle quali il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, del requisito fondamentale della sussistenza di una «entità economica organizzata»: il fatto che il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know-how e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio (356).
La manipolazione rispetto alla disciplina interna è in tal senso evidente, posto che si fa dire all’in- treccio normativo qualcosa che apparentemente sembra proprio negare, ovvero che un gruppo di lavoratori ben possa essere considerato come un’azienda o un suo ramo, in relazione al quale è astrattamente applicabile l’art. 2112 cod. civ. Nondimeno la notazione è necessaria ed anzi si accompagna all’ammonimento di osservare il fenomeno alla luce delle caratteristiche dell’attività oggetto dell’appalto e della struttura produttiva necessaria a svolgere tale attività, riconoscendo per l’applicazione della disciplina in materia di trasferimento d’azienda anche alle ipotesi di
354 Cfr. X. Xxxxx, “Subentro” nell’appalto labour intensive, op. cit., p. 81-82.
355 Cass. 6 dicembre 2016, n. 24972, in Iusexplorer; Cass. 12 aprile 2016, n. 7121, ivi.
356 Cass. 26 agosto 2016, n. 17366, cit.; Cass. 31 maggio 2016, n. 11247, cit., secondo la quale costituisce elemento costitutivo della cessione di ramo d’azienda l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – auto- nomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti».
appalti ad alta intensità di manodopera, pur dunque se si tratti di subentri in attività per la cui realizzazione è necessario impiegare esclusivamente un gruppo di lavoratori, al più avvalendosi anche di beni di trascurabile entità, purché il gruppo di lavoratori assunti possieda caratteristiche tali da poter essere considerato come un gruppo dotato di un’autonoma capacità operativa in quanto stabilmente coordinato e organizzato per realizzare un specifico risultato produttivo (357). Una lettura, in sintesi, per quanto si è detto, con la ricostruzione compiuta in sede europea e volta a lasciare spazi alla disciplina del trasferimento d’azienda anche nelle ipotesi di appalto, quando ricorrano i presupposti, riconosciuti dalla Corte europea, di una cessione di un’entità economica intesa come insieme di mezzi ceduti non nella loro autonoma individualità, ma nella loro funzione unitaria secondo un principio di coordinamento e organizzazione strumentale allo svolgimento di un’attività economica.
4. Il legislatore italiano: post nubila Phœbus?
Il processo di progressivo adattamento della tutela multilivello al fenomeno degli appalti sembre- rebbe terminato quando riceve un arricchimento sistematico con l’emanazione della l. 7 luglio 2016, n. 122 (c.d. Legge Europea 2016).
Post nubila Phœbus, dunque, perché il legislatore nel 2016 si scrolla dall’apatia con la quale ha sempre osservato il fenomeno. Non che sia stato un interessamento spontaneo, posto che alla promulgazione della novella si è arrivati solo dopo l’avvio di una specifica procedura di pre-infra- zione (Caso EU Pilot 7622/15/EMPL) (358): l’ultima spia, il sintomo finale, attraverso il quale ci si è avveduti del fatto che, nonostante gli sforzi interpretativi, la politica astensionistica interna si è rilevata inadatta rispetto alla rete di istanze europee. Il problema da ciò derivante non ha però avuto una penetrante risposta in termini di trasformazione dell’esistente, in chiave creativa o in- novativa, ma di mera gestione attraverso una operazione di maquillage al testo dell’art. 29, co. 3
357 L’interpretazione è stata confermata anche di recente, essendosi interpretato l’art. 29, co. 3 nel senso che «l’acquisizione del personale da parte dell’impresa subentrante in un appalto non costituisce di per sé un trasferimento di azienda, ma non anche che non può concorrere a determinarlo» (Cass. 30 ottobre 2019, n. 27913, in Iusexplorer), ovvero rilevando che non tutte le acquisizioni di personale conseguenti al subentro di un nuovo soggetto nel contratto di appalto, e quindi non anche quelle intrinsecamente e autonomamente riconducibili a ipotesi di trasferimenti di azienda, esulino dalle previsioni dell’art. 2112 cod. civ.; «ciò in quanto nulla esclude che alla garanzia di continuità di occupazione offerta dalle previsioni dell’art. 2112 cod. civ. si affianchi, ove i presupposti di detta maggior garanzia non si realizzino, la garanzia minore, prevista dalla clausola sociale, della costituzione ex novo di appositi rap- porti di lavoro» (con riferimento alla vecchia normativa, v. Trib. Sulmona, 18 febbraio 2020, n. 206, ivi).
358 Riassumendo gli eventi che hanno caratterizzato la procedura di infrazione può dirsi come la sostanziale elusione dell’art. 2112
cod. civ. derivante dalla circostanza per cui l’appaltatore subentrante, prima della modifica, fosse libero di decidere se e in qual misura assumere il personale impiegato presso il precedente appaltatore, nonché di dettare ex novo le condizioni contrattuali attraverso nuove assunzioni, non sia sfuggita all’occhio del legislatore comunitario. Nonostante la giurisprudenza interna si fosse già orientata nel senso che l’art. 29, co. 3 d.lgs. n. 276/2003 non avrebbe comunque escluso, al ricorrere dei presupposti, che il subentro di un nuovo appaltatore potesse costituire trasferimento d’azienda o di ramo (v. par. precedente), l’assenza di un valore vincolante del procedimento interpretativo giudiziario nel nostro ordinamento ha condotto la Commissione Europea ad avviare nei confronti dell’Ita- lia una procedura di pre-infrazione per via dell’insufficiente tutela dei dipendenti nell’ipotesi di cambio appalto. La Commissione eu- ropea, in base ad un proprio esame delle sentenze interne, ha in particolare rinvenuto una violazione da parte del diritto interno della direttiva 2001/23/CE nella circostanza che l’interpretazione del diritto italiano consentirebbe di escludere la configurazione del su- bentro in appalto come trasferimento d’azienda o di parte d’azienda in tutti i casi in cui il subentro stesso non sia accompagnato (oltre che dal passaggio del personale) da un trasferimento di beni di non trascurabile entità. Conseguentemente il Governo italiano è stato invitato a rivederne la formulazione. L’influenza della procedura di pre-infrazione sulla novella dell’art. 29, co. 3, d.lgs. 276/2003 si rinviene negli stessi lavori della XI Commissione permanente nella seduta del 25 maggio 2016.
del già citato d.lgs. n. 276/2003 ispirato agli esiti cui era giunta la giurisprudenza precedente (359) di dubbia interpretazione e notevole complessità.
In effetti, la già problematica disposizione ora menzionata viene ora arricchita di due nuovi ele- menti volti a escludere l’applicazione delle tutele dettate dall’art. 2112 cod. civ., tanto da offrire una qualificazione della fattispecie in negativo. Si dice, insomma, ciò che trasferimento non è (360), cioè si esclude dall’ambito della sua applicazione il caso in cui l’imprenditore subentrante che acquisisca personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro (in forza di legge, contratto collettivo – peraltro solo nazionale, con evidenti dubbi in merito a clausole sociali poste da con- tratti di livello territoriale o aziendale – o clausola del contratto di appalto) sia dotato di una «pro- pria struttura organizzativa e operativa», nonché laddove siano presenti «elementi di disconti- nuità che determinano una specifica identità di impresa». Mentre ciò che trasferimento è lo si comprende attraverso una lettura a specchio, ovvero considerando soggetto alla disciplina civili- stica una successione tra imprenditori nella quale si rinvenga una sostanziale continuità tra le strutture organizzative e operative dell’appaltatore uscente e di quello subentrante.
Tutto risolto? Non proprio. Xxxx, le difficoltà interpretative nascono proprio dalla circostanza che l’attenzione legislativa venga rivolta all’appaltatore, sì da introdurre due requisiti per escludere l’applicazione della disciplina sul trasferimento di azienda o di un suo ramo che hanno riguardo aprioristicamente alla situazione futura in cui dovrebbero essere collocati i rapporti trasferiti, più che all’attività in sé acquisita tramite il fenomeno successorio. Ciò quando invece la qualificazione del gruppo di lavoratori ceduti nel cambio appalto quale «entità economica organizzata» o sua
«articolazione funzionalmente autonoma», riconosciuta erroneamente dal legislatore come un posterius, dovrebbe essere un prius per l’applicazione della normativa, a pena di entrare in una sorta di cortocircuito con il diritto europeo derivante dal fatto che è solo indagando se l’attività del subentrante presenti elementi di novità rispetto al passato che è possibile comprendere se l’attività oggetto di appalto non costituisca azienda o ramo, che è invece qualità che, secondo la giurisprudenza tanto interna quanto europea, dovrebbe rivestire di per sé (361).
È proprio per tale ragione che l’ambiguità normativa impone di ragionare partitamente attorno
ai due requisiti previsti dalla norma per negare l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ.
In questo senso, invero, l’attenzione rivolta dal legislatore all’imprenditore subentrante, più che al complesso ceduto, nel dettare la prima condizione per poter escludere l’applicabilità dell’art. 2112 cod. civ. all’ipotesi della successione nel contratto di appalto, richiedendo che sia «dotato di propria struttura organizzativa e operativa», parrebbe stimolare le soluzioni interpretative, più che ai nostri fini, in una diversa prospettiva di osservazione del problema: quella che muova alla
359 In particolare, con riferimento all’incidenza di Xxxx. 12 aprile 2016, n. 7121, v. M.T. Carinci, Processi di ricomposizione e di scompo- sizione dell’organizzazione: verso un datore di lavoro “à la carte”?, in Giornale dir. lav. rel. ind., 2016, p. 733 ss.; X. Xxxxxxxx, La Cassazione disegna i confini (mobili) dell’impresa: nuove e vecchie frontiere della dissociazione datoriale, ivi, p. 757-758; X. Xxxxxxxx, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative, op. cit., p. 35.
360 Sin dal titolo, X. Xxxxxx, Ciò che appalto non è, op. cit.; v. anche X. Xxxxxx, Subentro nell’appalto labour intensive e trasferimento d’azienda, in X. Xxxxxxxx (a cura di), Appalto e lavoro, op. cit., p. 228.
361 V., oltre alle sentenze della Corte di Giustizia richiamate nel par. 3, anche Xxxx. 12 aprile 2016, n. 7121, cit. Analoghe considerazioni
in X. Xxxxxxxx, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative, op. cit., p. 35-36.
ricerca delle condizioni affinché l’appalto possa dirsi genuino, operando in connessione con l’art. 29, co. 1. (362). Come a dire che un appaltatore originariamente privo dell’organizzazione dei mezzi necessari per l’espletamento dell’opera o del servizio possa successivamente acquisirla in virtù dell’automatismo legato all’art. 2112 cod. civ. facendo assumere al fenomeno interpositorio ca- ratteristiche di legittimità a fronte dell’acquisizione del personale ceduto e della discendente or- ganizzazione, caratterizzata dall’esercizio del potere direttivo e conformativo. O, ancor meglio, di escludere in radice all’interno della catena di produzione del valore quei fenomeni di interposi- zione illecita di manodopera che molto spesso inquinano il settore, specie in relazione ai lavori ad alta intensità di manodopera e bassa professionalità, rispetto ai quali l’art. 29 viene a costituire un «corollario dello sforzo del legislatore di distinguere le fattispecie nelle quali legittimamente un imprenditore decide di affidare ad un diverso ed autonomo soggetto l’esecuzione di opere o servizi complementari o comunque funzionali al proprio ciclo produttivo da quelle, ancora oggi illecite ove non riconducibili alle specifiche fattispecie della somministrazione di lavoro regolata dalla legge, di mera fornitura di manodopera» (363). In questo senso potrebbe concludersi che l’assimilazione attenuata compiuta dal legislatore sia in sostanza qualificatoria, nel senso di legare l’effetto successorio ponendo attenzione al profilo dell’appaltatore subentrante in ogni caso in cui egli si limiti a proseguire il servizio appaltato «senza disimpegno particolare della propria au- tonoma organizzazione di impresa […] e senza apporto di alcuna reale innovazione operativa in termini strumentali e funzionali» (364) o addirittura laddove si presenti come una scatola vuota, pronta ad assumere la gestione dell’appalto in maniera del tutto analoga a quella precedente (365).
Maggiormente problematica è l’interpretazione della seconda condizione richiesta dalla norma ovvero la presenza, nella struttura imprenditoriale del nuovo appaltatore, di «elementi di discon- tinuità che determinano una specifica identità di impresa».
Il discorso si muove qui in un’altra prospettiva: quella dell’attività di impresa, la cui qualificazione è operata avendo riguardo ad una deviazione dalla struttura dell’impresa uscente.
Guardata nella lente del diritto europeo, la discontinuità rappresenta una rimeditazione del prin- cipio di continuità (rectius, conservazione di identità) elaborato dalla Corte di Giustizia europea e recepito dalle corti interne (366), intessendo un ponte diretto, sebbene inverso, con il quinto comma dell’art. 2112 cod. civ., laddove richiede, ai fini dell’applicazione della norma, che l’og- getto della cessione conservi nel trasferimento la propria identità. Peraltro, una volta che si ponga mente alla circostanza che la giurisprudenza europea argomenta l’applicazione della direttiva 2001/23/CE ragionando attorno all’ampiezza dell’autonomia funzionale del ramo di impresa te- nendo conto, ai fini della sua oggettiva apprezzabilità, della fisiologica destinazione di essere
362 X. Xxxxxx, Subentro nell’appalto labour intensive e trasferimento d’azienda, op. cit., p. 225; L.A. Cosattini, Cambio appalto e trasfe-
rimento d’azienda: un intervento normativo poco meditato, in Lav. giur., 2016, p. 597 s.
363 L.A. Xxxxxxxxx, Cambio appalto, op. cit., p. 597.
364 X. Xxxxxxxx, La Cassazione disegna, op. cit., p. 757.
365 X. Xxxxxx, Subentro nell’appalto, op. cit., p. 227.
366 Cfr. parr. 3 e 3.1.
integrata nell’organizzazione del cessionario (367) e si consideri invece la logica binaria in cui si è incastrato il legislatore interno, il problema che il sopramenzionato riferimento agli elementi di discontinuità impone di affrontare è, propriamente, quello di riselezionare il significato di tale dizione in un contesto di riferimento che — come detto — è diverso da quello letteralmente previsto dalla norma, perché caratterizzato dal riferimento alla nozione di ramo d’azienda, anzi- ché – come invece nel testo dell’art. 29 – all’appaltatore uscente, lasciando l’impressione che il legislatore abbia avuto poca dimestichezza nella comprensione della definizione di ramo d’azienda accolta nell’ordinamento multilivello (368).
Sul quadro di fondo così tratteggiato, è verosimile che il legislatore abbia voluto porre un freno alla vis espansiva dell’art. 2112 cod. civ. di matrice europea fatta propria dalla giurisprudenza interna, escludendo, coerentemente con quanto si rilevava essere il significante dell’art. 29, co. 3 nell’originaria versione, un’assimilazione assoluta tra la successione in appalto e il trasferimento d’azienda ogni qual volta sussistano elementi di novità, in modo tale da non pregiudicare ecces- sivamente la libertà economica dell’appaltatore entrante (ex art. 41 Cost.) di assumere e organiz- zare liberamente la propria forza lavoro e applicare i trattamenti e le condizioni contrattuali rite- xxxx opportuni, senza dover per forza subire i costi derivanti dall’assorbimento del personale già impiegato nell’appalto o dover rispondere delle obbligazioni assunte dal precedente appaltatore. E tuttavia l’imperfetta interazione di cui si è detto si presta a considerazioni non univoche sul piano del fondamentale principio di tutela della continuità del rapporto previsto dalla direttiva 2001/23/CE, in ragione della direzione di osservazione, che non può non essere quella della «spe- cifica identità di impresa»: le conclusioni che possono trarsi guardando ai profili di discontinuità di cui si è occupata la giurisprudenza, anche europea, sino ad ora sono ben diverse da quelle sollevate dalla valutazione delle ricadute di queste sulla specifica identità dell’impresa.
Il punto, a ben vedere, è che se astrattamente – come si è detto – gli elementi di discontinuità possono consistere nel tipo di attività oggetto dell’appalto, nelle sole modalità organizzative dell’attività appaltata (rimasta identica rispetto al passato), nelle modalità organizzative attinenti al solo personale addetto all’esecuzione dell’attività oggetto di appalto e nella sola quantità dell’attività prestata in esecuzione dell’appalto (rimasta però identica dal punto di vista oggettivo e sul piano organizzativo) ( 369 ), per quanto logicamente corretto sia individuarli in ragione dell’estrema genericità della norma in qualunque elemento di novità dell’impresa subentrante rispetto a quella uscente (370), il mero riferimento a tali criteri segna una frizione con il riferimento posto dalla norma all’identità non dell’azienda, ma dell’impresa. L’interpretazione letterale della norma, però, nel riferirsi al genere (imprese), anziché alla specie (azienda), e dunque avendo ri- guardo ad elementi di discontinuità capaci di coinvolgere l’intera organizzazione dell’appaltatore entrante e non solo la frazione di organizzazione aziendale strumentale all’esecuzione del lavoro appaltato, potrebbe di converso apparire distonico con le previsioni della direttiva 2001/23/CE,
367 Essendo parimenti garantito, nell’ottica di un equo contemperamento di interessi, anche quello dell’appaltatore entrante di pro- cedere agli adeguamenti e cambiamenti necessari alla continuazione della sua attività. Cfr. Xxxxx Xxxxx., 0 marzo 0000, X- 000/00, Xxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 0 settembre 2011, C-108/10, Xxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 0 marzo 2014, C-458/12, Xxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 marzo 2020, C-344/18, ISS Facility Services.
368 X. Xxxxxxxx, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative, op. cit., p. 35.
369 X. Xxxxxx, Subentro nell’appalto, op. cit., p. 226-227, nt. 62.
370 Genericità rilevata da tutti i commentatori. Cfr. X. Xxxxxx, Subentro nell’appalto, op. cit., p. 226; L.A. Cosattini, Successione negli appalti, cambia la legge ma non la sostanza: decisive l'identità e la continuità della gestione, in Riv. it. dir. lav., 2018, p. 31 ss.
la quale invece riferisce la conservazione di identità all’entità economica oggetto della cessione.
La scelta interpretativa si colloca su questo sottile filo: da una parte il rischio di contravvenire al diritto interno, dall’altra la necessità di armonizzarlo con i principi sovraordinati del diritto euro- peo, senza peraltro torcere in maniera eccessiva il significante o disapplicarlo in nome di un’ope- razione volta a regolare il conflitto fra disposizioni non secondo principi di posteriorità nel tempo o specialità, ma in base alla prevalenza della norma gerarchicamente più elevata (con conse- guente censura di illegittimità del co. 3) (operazione, questa, che è solo compito della Corte di Giustizia effettuare). In questo quadro, ad esempio, l’ipotesi di escludere l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. ogni qualvolta l’impresa subentrante sia effettivamente dotata di un complesso organizzativo preesistente, anche laddove siano inseriti (per effetto delle previsioni del capitolato o per l’operatività delle clausole di assorbimento) i lavoratori precedentemente impiegati nell’ap- palto, pur se organizzati, appare coerente sul piano del diritto interno. Ma, identificando il com- plesso ceduto in termini più stringenti rispetto alla previsione dell’art. 2112, co. 5 cod. civ. (pre- cisamente, considerando il cambio appalto come azienda o suo ramo solo quando il complesso ceduto, oltre a soddisfare gli altri requisiti previsti dalla norma, non sia destinato ad integrarsi in una più ampia ed articolata realtà aziendale dotata di specifica identità di impresa) non collima con l’interpretazione offerta del ramo dalla Corte di Giustizia anche rispetto al cambio appalto (371).
Ci si può domandare, piuttosto, se, ai fini della verifica delle condizioni richieste dall’art. 29, co. 3, non sia più coerente con il sistema ordinamentale, a dispetto dell’apparente significante, ra- gionare attorno alla matrice comunitaria della disposizione e alla sua ratio – garantire, nei limiti del possibile, la continuazione dei contratti o dei rapporti di lavoro, senza modificazioni, con il cessionario, per impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posi- zione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento – per riferire il requisito dell’identità d’impresa allo specifico ramo dell’impresa funzionale allo svolgimento dell’appalto ovvero per verificare la specificità dell’identità in relazione allo specifico e determinato perimetro aziendale destinato all’esecuzione dell’opera o del servizio appaltato. In tale chiave si potrebbe scongiurare l’ipotesi che la norma abbia voluto introdurre una speciale definizione di azienda o di un suo ramo in ipotesi di successione negli appalti integrando il dato normativo sinora evocato con le indica- zioni offerte dalla Corte di Giustizia in ragione della prevalenza del diritto europeo (372). La con- servazione dell’identità dell’attività economica diverrebbe così oggettivamente verificabile nella lente della prosecuzione o ripresa dell’attività produttiva di beni o servizi anche qualora l’attività economica coincida con un gruppo di lavoratori e la disciplina relativa al trasferimento d’azienda potrebbe essere invocata anche in ipotesi di subentro nell’appalto quando si abbia una conser- vazione dell’identità dell’entità economica organizzata oggetto della cessione, che sarebbe di per sé indice dell’assenza di una discontinuità tra la precedente organizzazione produttiva e quella
371 In termini anche X. Xxxxxxx, Contributo allo studio della fattispecie del ramo di azienda (art. 2112, comma quinto, cod. civ.), in
W.P. CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 363/2018, p. 27. Contra I. Xxxxxx, La nozione di trasferimento di ramo di azienda alla prova del
fenomeno dei “cambi di appalto”: un cantiere ancora aperto?, in Dir. rel. ind., 2018, par. 3.
372 Per un riepilogo della giurisprudenza comunitaria, v. par. 3. In relazione alla possibilità di recuperare in via interpretativa il requisito dell’identità per come interpretato dalla Corte di Giustizia, v. X. Xxxxxx, Ciò che appalto non è, op. cit., p. 1054; X. Xxxxxxxx, Il trasferi- mento d’impresa, op. cit., p. 24 ss.
nuova (l’unica in grado di consentire invece l’esclusione della disciplina codicistica) (373).
Così ragionando, considerata la semplice perdita dell’appalto come un dato neutro, indifferente ai fini dell’applicazione della normativa (374), potrebbe, ad esempio, essere ritenuto applicabile il principio di continuità dei rapporti di lavoro ex art. 2112 cod. civ. laddove, a seguito dell’avvicen- damento nell’appalto, l’attività oggetto dell’appalto subisca non modifiche qualitative (in rela- zione cioè al tipo di attività appaltata), ma solo quantitative (cioè sia svolto con un minor impiego di dipendenti o risorse) ovvero venga eseguito con metodi di organizzazione del tutto differenti da quelli in precedenza utilizzati.
4.1. (segue). Identità, discontinuità e azienda negli appalti labour intensive.
Una siffatta distinzione assume peraltro particolare valore in relazione agli appalti labour e kno- wledge intensive, in relazione ai quali l’esistenza di elementi di discontinuità tali da determinare una specifica identità di impresa, ricercati in tale nuova ottica, appare di difficile identificazione non solo per l’assenza di strumenti qualificanti autonomamente l’attività, ma anche considerato che, limitatamente ai servizi a basso valore aggiunto, i lavoratori sono spesso privi di una partico- lare specializzazione e di un adeguato know-how ed elemento qualificante dell’attività è la mera prestazione di manodopera.
In questi casi, in cui l’azienda ha struttura ampiamente dematerializzata e lo svolgimento di atti- vità prevede la massima incidenza di forza lavoro, una prima tesi, che pare accolta anche dalla giurisprudenza (375), sostiene che la fattispecie di cui all’art. 2112 cod. civ. possa realizzarsi, per i servizi ad alto valore aggiunto, solo per effetto del trasferimento di quei lavoratori che, per le specifiche competenze possedute ed esperienze acquisite, devono ritenersi indispensabili e suf- ficienti per lo svolgimento del servizio appaltato (376) ovvero, in relazione ai servizi a basso valore aggiunto solo quando il passaggio del gruppo di persone organizzato precedentemente impiegato
373 C’è da dire, peraltro, che per poter determinare la sussistenza di elementi di discontinuità capaci di determinare una specifica identità di impresa, dovendosi rifuggire da definizioni aprioristiche, occorrerebbe prendere preliminarmente in considerazione, pe- raltro congiuntamente e in funzione dell’attività esercitata o dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell’impresa, il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione, come il particolare tipo di impresa o di stabilimento, la cessione o meno di elementi materiali (beni o immobili), il valore degli elementi immateriali, l’adempimento di un obbligo di riassunzione della maggior parte del personale da parte dell’appaltatore entrante, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima o dopo la cessione e la durata di un’eventuale sospensione di tali attività (Corte Giust., 18 marzo 1986, C-24/1985, Spijkers; Xxxxx Xxxxx., 00 marzo 1997, C-13/95, Suzen; Xxxxx Xxxxx., 0 dicembre 1999, C-234/98, Xxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 luglio 2018, C- 60/17, Xxxxxx). Attraverso tale procedimento sarebbe poi possibile distillare elementi dai quali evincere se, a seguito del mutamento di titolarità dell’appalto, l’impresa nel suo complesso, con particolare riguardo al complesso aziendale interessato, abbia o meno conservato la specifica precedente identità ai fini dell’applicazione della disciplina sul trasferimento d’azienda. In questa lente si muove anche la nostra giurisprudenza.
374 Negli stessi termini in cui già lo era per l’applicazione della direttiva (v. Corte Giust., 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen), anche in base al combinato disposto degli artt. 29, co. 3 d.lgs. 276/2003 e 2112 cod. civ. in caso di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi non è configurabile alcun un diritto dei lavoratori dell’appaltatore uscente al trasferimento automatico all’impresa subentrante, ma occorre accertare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda. Cfr. da ultimo Cass. 29 marzo 2019, n. 8922, in Iusexplorer; nella giurisprudenza di merito, x. Xxxx. Xxxxxx, 0 luglio 2019, n. 1191, ivi; Trib. Milano, 9 luglio 2019, n. 1749, ivi; Trib. Milano, 12 giugno 2019, n. 1490, ivi; Trib. Venezia, 9 gennaio 2019, n. 1, ivi).
375 Che peraltro appare spesso condizionata dall’interpretazione della fattispecie compiuta, prima dell’entrata in vigore della novella, dalle pronunce della Cassazione del 2016 citate in precedenza.
376 Trib. Sulmona, 18 febbraio 2020, n. 206, cit.
nell’appalto sia «completo della linea gerarchica necessaria al funzionamento operativo» (377). L’interpretazione presuppone che l’applicazione della disciplina sul trasferimento d’azienda di- penda, a monte, dall’operatività di clausole di assorbimento previste nei contratti collettivi o nei capitolati o dalla scelta autonoma dell’appaltatore entrante di assumere personale dell’impresa uscente.
Senonché tale tesi, pur proseguendo nel solco della riflessione giurisprudenziale precedente, pre- senta un capovolgimento logico dei principi ordinamentali, facendo discendere l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. dalla previa possibilità di applicare ai lavoratori le misure di protezione dei livelli occupazionali di fonte inferiore prefigurate dall’autonomia delle parti. Una siffatta sistema- zione è del tutto congruente alla concezione classica del trasferimento, rispetto alla quale è evi- dente il condizionamento, poiché essa di fatto essa viene a prefigurare un modello caratterizzato dalla presenza di un negozio tra cedente e cessionario, anche se indiretto. Eppure la situazione normativa che si è in precedenza illustrata impone una razionalizzazione di tale interpretazione, posta anche la chiara indicazione proveniente dalla Corte di Giustizia di non badare all’esistenza di un rapporto contrattuale, ma al fenomeno nel suo complesso, concentrando l’osservazione sull’esistenza di un effettiva aggregazione tra capitale e lavoro capace di consentire integrata un’autonomia organizzativa e commerciale e dunque di garantire una concreta idoneità all’eser- cizio dell’impresa e al raggiungimento dello scopo economico (378).
Occorre anzi notare, in proposito, che si sia invertita la regola con l’eccezione. Per qualificare il subentro nel contratto di appalto come trasferimento d’azienda ai fini dell’operatività delle tutele previste dall’art. 2112 cod. civ. occorre prima fare riferimento all’impianto normativo costituito dagli artt. 29, co. 3 d.lgs. 276/2003 per verificare se sussistano elementi tali da qualificare l’ap- palto come un ramo o un’azienda sì da imporvi una continuità imprenditoriale; e solo in caso di esito negativo, come dimostra la storia stessa delle clausole di assorbimento, valutare se sussi- stano garanzie di origine negoziale che consentano, nel vuoto regolativo, una forma residua di tutela per i lavoratori occupati. Insomma, prima ancora che al complesso dei rapporti (in specie di lavoro) già ceduti, secondo un giudizio che necessariamente sarebbe ex post in quanto impli- cherebbe il già avvenuto parziale o integrale assorbimento della manodopera in forza delle clau- sole sociali, per qualificare come trasferimento d’azienda o di ramo la fattispecie occorre avere riguardo al complesso dei rapporti (e, quindi, soprattutto ai lavoratori) cedibili onde valutare (qui con un giudizio prognostico ex ante o, in sede contenziosa, con una ricostruzione a posteriori) se, a seguito del trasferimento, il settore di attività interessato dall’appalto mantenga una propria individualità e autonomia, ponendosi, anche avendo riguardo alle condizioni pattuite nel capito- lato, in ideale continuum rispetto alla precedente gestione o se invece presenti elementi di di- scontinuità col passato tali da fargli assumere una propria nuova specifica identità (379).
Il che non vuol dire negare alcun rilievo alla circostanza che l’appaltatore subentrante assuma
377 X. Xxxxxxx, Contributo, op. cit., p. 28.
378 Cfr. par. 3. Si tratta peraltro di un principio ribadito anche in relazione alla nuova normativa dalla giurisprudenza interna. X. Xxxx. Xxxxxxxxxxx, 00 settembre 2019, n. 154, in Iusexplorer, la quale ricorda come sia possibile applicare la normativa sul trasferimento d’azienda anche anche in assenza di negozio tra cedente e cessionario a condizione che vi sia, quantomeno, un passaggio anche di beni di non trascurabile entità, tali da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa o anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui autonoma capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un parti- colare know-how; conf. Trib. Venezia, 9 gennaio 2019, n. 1, cit.
379 Spunti in tal senso in X. Xxxxxxxxxxx, Trasferimento di ramo d’azienda ed esternalizzazione, in Arg. dir. lav., 2000, par. 6.
personale dell’impresa uscente ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 cod. civ., sì da lasciar imma- ginare l’assenza di spazi operativi per l’art. 29, co. 3, che anzi presuppone proprio che un’acqui- sizione di personale vi sia. Si tratta però solo di un elemento da valutare onde verificare il ricorrere delle complessive condizioni richieste dall’impianto normativo in esame, a prescindere poi dal fatto che l’assunzione avvenga per scelta unilaterale della nuova impresa (sebbene in tal caso dovrà essere valutata con maggior rigore la circostanza che l’assunzione dei dipendenti non im- plichi il passaggio di beni immateriali strategici per l’esecuzione dell’appalto e dunque renda privo di discontinuità il subentro) o per l’operatività di clausole di assorbimento o per legge, come del resto emerge proprio dallo testo stesso dell’art. 29, co. 3, il quale non rinnega la disciplina gene- rale prevista dall’art. 2112 cod. civ., ma ne circoscrive l’applicazione, a certe condizioni, in rela- zione allo specifico caso di acquisizione del personale in caso di subentro in appalto. Dimodoché, se il passaggio dei lavoratori avviene in virtù dell’adempimento agli obblighi previsti dalla clausola sociale, e dunque solitamente con assunzione ex novo, ciò può costituire indice della sussistenza di un trasferimento d’azienda o di ramo in ragione del fatto che l’assorbimento (in tutto o in parte) dei lavoratori precedentemente impiegati nell’appalto potrebbe contribuire ad integrare la com- ponente preponderante e comunque strategica dell’autonoma entità organizzativa incaricata dello svolgimento dei servizi appaltati, sì da garantire all’attività di impresa continuità. Ma di con- verso non costituisce un presupposto di applicazione del combinato disposto degli artt. 2112 cod. civ. e 29, co. 3 d.lgs. 276/2003 (380).
Chiarito, dunque, il circoscritto senso dell’art. 29, co. 3 laddove sancisce che l’acquisizione di per- sonale impiegato nel precedente appalto a seguito del subentro di un nuovo appaltatore non costituisca di per sé trasferimento di azienda, ma, di converso, che la previa acquisizione di per- sonale nell’ipotesi di successione tra imprenditori non sia di per sé elemento necessario per rin- venire nella fattispecie un trasferimento di azienda o di un suo ramo (381) e rilevato come la di- scontinuità d’impresa va rivista entro i confini dello specifico segmento addetto all’appalto, si comprende come la ricerca degli elementi idonei a qualificare la successione tra imprenditori come trasferimento d’azienda o di un suo ramo ovvero a qualificare in termini di autonomia fun- zionale o meno il ramo d’azienda ceduto e dunque la sua idoneità a svolgere il servizio oggetto dell’appalto debba necessariamente essere operata ex ante.
Se nel corso della vicenda successoria non v’è stato subentro di personale è chiaro che la fatti- specie esuli dall’ipotesi di fattispecie prefigurata dal comma 3 dell’art. 29. A questo proposito, considerata la variabilità organizzativa che caratterizza ogni azienda o ramo in ragione del tipo di produzione o del metodo di produzione adoperato, la sussistenza di un trasferimento di azienda (o di ramo) potrebbe essere inferita attraverso il ricorso al criterio dell’identità dell’attività
380 Mi sembra che in questo senso si muova anche Trib. Velletri, 18 settembre 2018, n. 1166, in Iusexplorer.
381 Ciò consentirebbe, ad esempio, ai lavoratori impiegati dall’appaltatore uscente di rivendicare comunque in giudizio l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. laddove non vengano riassunti dalla nuova impresa, vuoi perché non operano clausole di assorbimento, vuoi perché ad esse non si è adempiuto, senza che a ciò osti l’art. 29, co. 3 d.lgs. 276/2003. Per quanto si è detto, tale norma ha natura eccezionale e presuppone la piena applicazione della disciplina sul trasferimento di impresa o di ramo d’impresa. Inoltre, si consenti- rebbe anche di verificare l’operatività dell’art. 2112 cod. civ. in relazione ai lavoratori impiegati nell’appalto anche nel caso in cui il servizio, cessato l’appalto, torni in gestione diretta all’imprenditore committente, a condizione che nella successione tra imprenditori si conservi l’identità del ramo ceduto, conformemente all’interpretazione adottata dalla Corte di Giustizia (v. supra par. 3). Cfr. in tal senso Cass. 15 marzo 2017, n. 6770, in Riv. it. dir. lav., 2017, 613.
economica organizzata oggetto del subentro di matrice europea e avendo riguardo, perciò, alla circostanza che il nuovo appaltatore abbia proseguito o ricominciato le attività oggetto di appalto con modalità analoghe, se non identiche, a quelle utilizzate dall’appaltatore. Occorrerà pertanto valutare, in base all’art. 2112 cod. civ., se il complesso di beni organizzati impiegato nell’appalto fosse già in grado di svolgere il servizio appaltato prima del subentro ed a prescindere dalle mo- difiche organizzative introdotte dal nuovo appaltatore e se le innovazioni apportate da quest’ul- timo, per quanto rilevanti, significative o foriere di maggiore efficienza ed economicità della ge- stione – abbiano avuto un ruolo essenziale nel garantire la continuità del servizio o siano sono state la condicio sine qua non della prosecuzione del servizio appaltato tale da determinare una soluzione di continuità (382). L’attenzione alle modalità organizzative permetterebbe poi di valu- tare, sia pur in secondo piano, anche la presenza di elementi di continuità relativi ai beni, soprat- tutto laddove essi vengano messi direttamente a disposizione degli appaltatori dal committente (383). A tal proposito, non sarebbe peraltro errato considerare irrilevante il fatto che l’entità eco- nomica a seguito del subentro venga integrata, senza conservare la sua struttura organizzativa autonoma, nella struttura del nuovo appaltatore, quando sia mantenuto un collegamento tra tale entità e la prosecuzione dell’attività in precedenza svolta dall’appaltatore uscente. È invero «il mantenimento non già della struttura organizzativa specifica imposta dall’imprenditore ai diversi fattori di produzione trasferiti, bensì del nesso funzionale di interdipendenza e complementarità fra tali fattori» (384) a costituire elemento essenziale ai fini della considerazione del mantenimento dell’identità dell’entità economica atteso che solo tale nesso consente al cessionario di utilizzare i vari fattori trasferiti, anche se integrati dopo il trasferimento in una nuova diversa struttura or- ganizzativa al fine di continuare un’attività economica identica o analoga.
Il discorso cambia laddove nell’ambito del cambio di appalto si verifichi il subentro del nuovo appaltatore in tutto o in parte dei rapporti di lavoro dell’impresa uscente, rispetto al quale l’iden- tificazione di elementi di discontinuità oggettivamente apprezzabili risente della necessità di te- ner conto della destinazione del complesso di rapporti ceduti, che è quella di essere integrati nell’organizzazione del cessionario. A tale riguardo, in caso di attività labour intensive, seppur eseguite con l’utilizzo di beni di trascurabile entità, non è quindi più sufficiente, come avveniva nel vigore della precedente formulazione dell’art. 29, co. 3 appurare la permanenza dell’auto- noma capacità operativa del «gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro» anche nella nuova organizzazione del subentrante, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know-how (385) ovvero dalla perdurante presenza di
382 Cfr. App. Torino, 14 giugno 2018, n. 381, cit., che per l’appunto, attraverso una valutazione ex ante, ha ritenuto insufficienti ad integrare discontinuità di impresa alcune misure utilizzate dal nuovo appaltatore, quali l’inserimento di quattro propri dipendenti con funzioni di gestione del personale, una diversa organizzazione dei turni di lavoro, la sottoscrizione di nuovi contratti di assicurazione, l’acquisizione di nuove autorizzazioni amministrative, l’elaborazione di nuovi menu e nuove ricette, l’utilizzo di nuovi fornitori e l’uti- lizzo di beni di sua proprietà.
383 Xxxxx Xxxxx., 00 novembre 2003, X-000/00, Xxxxx, relativa ad un caso di subentro in un contratto per la gestione della ristorazione
collettiva di un ospedale; nello stesso senso, x. Xxxxx Xxxxx., 00 novembre 2015, C‑509/14, Xxxx Xxxxxxx e Algeposa Terminales Ferro- viarios; Xxxxx Xxxxx., 00 ottobre 2017, C‑200/16, Securitas.
384 Xxxxx Xxxxx., 0 settembre 2015, C-160/14, Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxx da Xxxxx e Xxxxx
385 Ciò per le attività ad alto valore aggiunto. X. Xxxx. 00 gennaio 2017, n. 1316, in Leggiditalia; Cass. 27 maggio 2014, n. 1132, ivi.
«poteri riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoratori di organizzare il lavoro» (386). La nuova disposizione richiede la presenza di un elemento ulteriore e di differenziazione sul piano organiz- zativo o produttivo rispetto al passato (387).
L’aliquid novi potrà essere rappresentato, secondo quanto già anticipato, in ogni significativa ed apprezzabile modifica del rapporto di interdipendenza che attribuiva ai lavoratori, unitariamente considerati, un’autonomia operativa funzionale all’esecuzione del servizio appaltato e l’impor- tanza da attribuire ai singoli indici di discontinuità dovrà variare «in funzione dell’attività eserci- tata, o addirittura in funzione dei metodi di produzione o di gestione utilizzati» nell’impresa o nello specifico ramo (388). Si potrà trattare di modifiche qualitative relative al servizio appaltato o ai metodi utilizzati per l’organizzazione del lavoro rispetto al passato a seguito dell’integrazione dei lavoratori nell’impresa entrante o alla particolare novità dei mezzi di produzione impiegati o alla dotazione di ulteriori beni strumentali di apprezzabile consistenza.
L’integrazione dei lavoratori nella nuova organizzazione imprenditoriale, anche laddove faccia perdere a questi la struttura organizzativa autonoma predisposta dall’appaltatore uscente, non è invece di per sé elemento di discontinuità quando permanga un nesso funzionale di interdipen- denza e complementarietà tra i fattori trasferiti comunque tale da determinare la conservazione dell’identità dell’entità trasferita, secondo la ricordata giurisprudenza della Corte di Giustizia (389), come potrebbe avvenire laddove l’esecuzione del servizio a seguito del subentro in appalto non richiesta lo sfruttamento di competenze ulteriori e diverse da quelle già possedute dal personale della società uscente.
A tal proposito, il rapporto instaurato nell’art. 29, co. 3 tra discontinuità e impresa può trarre in inganno, lasciando immaginare che l’appaltatore entrante conservi la propria identità ogniqual- volta mantenga i propri «centri decisionali strategici, o comunque superiori, cui la guida operativa del ramo di azienda deve relazionarsi, […] onde partecipare armoniosamente al più ampio disegno organizzativo e produttivo dell’intera impresa» (390) e dunque, in sostanza, sempre, essendo al- quanto improbabile (se non impossibile) che nel passaggio si abbia acquisizione anche di linee direttive esterne al perimetro dell’attività appaltata. Gli sforzi compiuti per ancorare il requisito dell’identità allo specifico e determinato perimetro aziendale funzionale all’esecuzione dell’opera o del servizio appaltato consentono invece di aderire alla tesi di chi, in maniera sintonica con la magistratura europea, ha considerato quale unico centro decisionale rilevante per la fattispecie
«quello operativamente riferito alle sue specifiche attività e, di conseguenza, all’organizzazione (se pur nella prospettiva di dare attuazione ad un programma da altri definito) delle persone, dei beni (materiali e immateriali) e dei servizi strumentali al circoscritto fine imprenditoriale
386 Ciò in particolare per le attività a basso valore aggiunto. X. Xxxxx Xxxxx., 0 settembre 2011, C-108/10, Xxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2011, C-463/09, Clece; Xxxxx Xxxxx., 00 luglio 2010, C‑151/09, UGT‑FSP; Xxxxx Xxxxx., 00 dicembre 1998, C-173/96 e C-247/96, Hidalgo.
387 Cfr. X. Xxxxxxxx, Il trasferimento d’impresa, op. cit., p. 24-25.
388 Xxxxx Xxxxx., 0 settembre 2015, C-160/14, Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxx da Xxxxx e Xxxxx.
389 Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2009, C-466/07, Xxxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 0 settembre 2015, C-160/14, Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxx da Xxxxx e Xxxxx. Nel diritto interno, sostiene che l’integrazione nella nuova organizzazione non faccia venir meno la possibilità di applicare l’art. 2112 allorquando non sussistano modifiche di rilievo Cass. 19 gennaio 2017, n. 1316, cit.
390 Riprendo qui le parole di X. Xxxxxxx, Contributo, op. cit., p. 17.
perseguito da quella specifica articolazione dell’impresa» (391). Un elemento di discontinuità po- trebbe dunque essere rilevato laddove il passaggio non abbia ad oggetto anche i responsabili dei lavoratori precedentemente addetti all’appalto, sì da determinarsi un’integrazione capace di pri- vare di autonomia nell’organizzazione ed esecuzione dei compiti il gruppo dei dipendenti ceduti (392), ma non quando le competenze e l’esperienza dei lavoratori comunque coinvolti dalla suc- cessione consentano di ritenere mantenuta una componente dotata di sufficiente autonomia per lo svolgimento del servizio (393).
Di converso, vale a imporre l’applicazione della normativa sul trasferimento d’azienda il manteni- mento della componente strategica preponderante e dunque del summenzionato nesso funzio- nale alla continuazione dell’attività economica in termini identici o analoghi al passato. Nell’am- bito di un settore in cui l’attività si fonda essenzialmente sulla manodopera, un’entità economica organizzata ex art. 2112 cod. civ. può essere individuata, ad esempio, nell’acquisizione di un gruppo di lavoratori che, per numero, esperienza e competenze professionali, sia capace di offrire il necessario apporto al servizio appaltato e possieda dunque le necessarie caratteristiche di xx- xxxxxxx xxxxxxxxxxxxx x xxxxxxxxx ( 000 ); ovvero, specie per i servizi a basso valore aggiunto,
391 X. Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 18.
392 Cfr. X. Xxxxxxxx, Il trasferimento d’impresa, op. cit., p. 27.
393 In questo senso, anche considerato quanto si è detto in merito alla possibilità di qualificare come trasferimento di azienda o di ramo cambi di appalto a prescindere dalla necessaria presenza di clausole sociali, sarebbe possibile qualificare ex art. 2112 cod. civ. la cessione del personale e risolvere i timori avanzati in dottrina sul possibile futuro mutamento delle clausole sociali (X. Xxxxxxx, Contributo, op. cit., p. 28-29; L.A. Cosattini, Cambio appalto, op. cit., p. 957 s.) anche laddove sia escluso dalla relativa platea dei destinatari il personale che svolge funzioni di direzione es3ecutiva, di coordinamento o di controllo, come pure attualmente previsto da alcuni contratti (cfr. art. 335 Ccnl Turismo, ristorazione collettiva).
394 L’interpretazione è coerente con l’interpretazione di Xxxxx Xxxxx., 00 febbraio 2020, C‑298/18, Grafe; Xxxxx Xxxxx., 00 luglio 2017,
C-416/16, Xxxxxxxxxx Xxxxxxx; e già Xxxxx Xxxxx., 00 gennaio 2011, C-463/09, Clece, secondo cui il mero atto di rilevare l’attività eco- nomica di un’altra entità economica non implica necessariamente che sia conservata l’identità di quest’ultima, dovendo invece l’iden- tità risultare da una pluralità di elementi inscindibili fra loro, quali il personale che compone il ramp, i suoi quadri direttivi, la sua organizzazione del lavoro, i suoi metodi di gestione od anche, eventualmente, i mezzi di gestione a sua disposizione. Interessante è il caso esaminato da Trib. Sulmona, 18 febbraio 2020, n. 206, cit.. Il Tribunale, in relazione all’acquisizione nel cambio di appalto, tra tutte le maestranze precedentemente impiegate, di soli due custodi museali aventi esperienza ventennale e capaci di offrire il neces- sario supporto linguistico per le guide ai musei in virtù dell’ottima conoscenza della lingua inglese e tedesca, ha considerato tali risorse come capaci di integrare la componente preponderante e comunque strategica della piccola organizzazione incaricata dello svolgi- mento dei servizi museali (peraltro non bisognevole di alcun significativo supporto di beni strumentali). Ne è stato conseguentemente inferito che tali caratteristiche siano da sole ampiamente sufficienti a conferire alla pur minuscola entità organizzativa costituita da tale coppia di dipendenti le caratteristiche di autonomia organizzativa e operativa necessarie per il corretto svolgimento del servizio richiesto. Sono invece state ritenute ininfluenti, per contro, a qualificare elementi di discontinuità l’offerta di nuovi servizi accessori, con i relativi modesti adeguamenti organizzativi ivi descritti (ovvero l’introduzione di una saletta conferenze messa comunque a di- sposizione dell’appaltante), la previsione di visite guidate museali anche in lingua straniera e laboratori didattici su richiesta e di visite museali calendarizzate e tematiche anche in lingua inglese e tedesco, l’introduzione di un servizio audioguide in cinque lingue e l’at- tivazione di un sistema di monitoraggio dei flussi visitatori nelle strutture museali civiche e di registrazione criticità e reclami, finalizzati all’acquisizione ed elaborazione di dati utili per il miglioramento dell’offerta culturale e turistica). Tali elementi, infatti, non impliche- rebbero né la dotazione di ulteriori beni strumentali di apprezzabile consistenza, né competenze ulteriori e diverse da quelle già possedute dal personale della società uscente, come peraltro dimostrato dall’importanza attribuita, da un lato alle previste iniziative in lingua inglese e tedesca, ossia nelle lingue di cui era già stata menzionata la particolare competenza del personale assorbito, dall’al- tro alla qualificazione del personale di custodia, ossia alla particolare competenza delle stesse, a riprova del fatto che su tali due unità avrebbe dovuto continuare a far perno il funzionamento della, sostanzialmente immutata, organizzazione aziendale in tal modo tra- sferita, nella sua struttura portante, secondo modalità pienamente riconducibili nella fattispecie di cui all'art. 2112 cod. civ. Analoga- mente Trib. Padova, 24 aprile 2017, n. 13, in Iusexplorer ha escluso la sussistenza di elementi di discontinuità tali da determinare una specifica identità d’impresa in relazione all’adozione di una nuova gestione amministrativo-contabile dei lavoratori, la quale è ritenuta semmai una conseguenza necessaria e diretta del cambio di titolarità dell’appalto.
laddove nel gruppo di lavoratori ceduti sia presente anche la linea gerarchica funzionale all’orga- nizzazione in modo relativamente libero e indipendente delle persone addette all’esecuzione del servizio appaltato ovvero addetta ad impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori senza intervento diretto di altre strutture del datore di lavoro, anche laddove il nuovo appaltatore eser- citi nei confronti di essi un’ampia influenza, imponendo precisi obblighi e residuino tuttavia mar- gini di libertà nell’organizzazione ed esecuzione del lavoro (395).
Giunti a questo punto, si possono tirare le fila del discorso, rilevando la possibilità di configurare un trasferimento d’azienda solo nelle ipotesi in cui la successione nell’appalto comporti una so- stanziale continuità tra la struttura organizzativa ed operativa dell’appaltatore subentrante e quella dell’appaltatore uscente, ovvero quando vi sia una identità di impresa tra l’attività del primo e quella del secondo, accompagnata dalla permanenza dei centri strategici preponderanti, a prescindere dall’operatività delle clausole sociali (di fonte tanto collettiva quanto negoziale) (396). In altri termini, può rilevarsi che, se l’attività appaltata è labour intensive e il servizio non richieda specifiche conoscenze tecniche, per aversi organizzazione e direzione dei lavoratori suf- ficienti a render qualificabile in base al combinato disposto degli artt. 2112 cod. civ. e 29, co. 3 d.lgs. 276/2003 il subentro in appalto quale trasferimento di azienda o di un suo ramo basta che in relazione ai dipendenti ceduti residui un principio di organizzazione capace di consentire agli stessi di fornire in astratto il servizio appaltato, ad esempio in ragione del passaggio anche dei responsabili del gruppo o dell’utilizzo dei medesimi beni strumentali già impiegati e dell’assun- zione di una parte consistente dei dipendenti già impiegati dal precedente appaltatore (397). Vice- versa, laddove il servizio, anche se ad alta intensità di manodopera, richieda specifiche compe- tenze professionali (ad esempio, informatiche) accompagnate anche da un significativo apporto di beni e attrezzature materiali o immateriali, l’autonomia funzionale sulla base della quale valu- tare l’applicabilità della disciplina del trasferimento d’azienda dovrà essere apprezzata, più che in relazione al passaggio della linea gerarchica dei lavoratori impiegati, anche avendo riguardo alla permanenza del know-how e dei relativi beni essenziali e, dunque, per la complessiva capacità di garantire una continuità sostanziale del servizio in termini analoghi al passato.
Non resta che segnalare, sul piano probatorio, un’ulteriore linea di discontinuità col passato rin- venibile laddove il comma 3 dell’art. 29 d.lgs. 276/2003 rovescia la prospettiva tradizionale, pre- scrivendo una regola di presunzione di applicabilità della disciplina del trasferimento d’azienda all’ipotesi del subentro in appalto, cui corrisponde, a mo’ di eccezione, la verifica della sussistenza di elementi di differenziazione sotto il profilo gestorio ed organizzativo della nuova impresa. L’in- versione dovrebbe comportare, verosimilmente, un aggravamento della posizione datoriale dell’appaltatore entrante, il quale, per evitare di assumere o di assumere alle stesse condizioni
395 X. Xxxxx Xxxxx., 0 settembre 2011, C-108/10, Xxxxxxxxx; Xxxxx Xxxxx., 00 dicembre 1998, C-173/96 e C-247/96, Hidalgo.
396 Xxxxxxxx dunque rovesciata l’interpretazione offerta da Trib. Trieste, 16 dicembre 2019, n. 237, in Iusexplorer, secondo cui l’ipo- tesi del cambio appalto non configura un trasferimento d’azienda quando alcuni contratti collettivi prevedono disposizioni volte ad assicurare, in presenza di determinate condizioni, i livelli occupazionali dei lavoratori addetti all’appalto interessato da una succes- sione di imprese appaltatrici. Vale anzi il contrario: l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. può esser valutata, in relazione al principio di conservazione delle condizioni di lavoro, quando operino clausole di assorbimento del personale impiegato, ma non può certo essere esclusa dalla presenza di queste, in misura analoga al fatto che non può dipendere, per quanto già detto, dalla loro operatività.
397 Conf. Trib. Pavia, 10 settembre 2019, n. 286, in Riv. it. dir. lav., 2020, 127.
negoziali il personale dell’appaltatore uscente, dovrebbe essere capace di fornire in giudizio la prova di tali elementi, mentre ai lavoratori coinvolti nel subentro sarebbe sufficiente, per conte- stare l’operazione, allegare l’esistenza del fenomeno circolatorio (398). E si tratta di una questione che rischia di cagionare non poche tensioni, sia tra interessi collettivi, se solo si pensa che l’ado- zione del principio di continuità all’ipotesi di successione in appalto potrebbe produrre effetti pregiudizievoli per il personale dell’imprenditore subentrante, il quale potrebbe divenire in esu- bero, sia tra interessi economici, tra appaltatore subentrante e appaltatore uscente, posto che il primo potrebbe trovarsi ad assumere personale non gradito (per costi e formazione) o addirittura di cui l’impresa cessante, sfruttando in maniera patologica l’art. 2112 cod. civ., ha inteso apposi- tamente liberarsi adibendolo all’appalto poco prima della cessazione e in vista di questa (399).
In ogni sistema complesso, come è il nostro ordinamento, tanto nella recezione di istanze diver- genti, provenienti sia dal mondo del lavoro che da quello dell’industria, quanto nella sua apertura ad altre fonti (artt. 10 e 117 Cost.), l’imprevedibile è la chiave di evoluzione, l’unica in grado di armonizzare la compresenza di elementi stabili ed elementi instabili nel segno dell’adattabilità del reale alla luce del nucleo essenziale dei principi costituzionali. Ogni soluzione di un problema crea nuovi problemi irrisolti. Così è anche in relazione al tema che ci ha occupato, rispetto al quale i nuovi criteri fissati dall’art. 29 cit. si affiancano all’art. 2112 cod. civ. con l’effetto di estenderne implicitamente l’applicazione anche ad un fenomeno, come si è visto, non pienamente sovrap- ponibile in ragione della triangolarietà che lo caratterizza. Essi costituiranno il perno attorno al quale delineare il discrimine tra le ipotesi in cui la vicenda successoria venga ad integrare, alla luce delle circostanze del caso concreto, un’ipotesi di circolazione dell’azienda o di un suo ramo, rilevante ex art. 2112 cod. civ. e quelle in cui non sussistano spazi utili per l’applicazione della disposizione di legge, con conseguente ritorno alla tutela offerta dalle clausole sociali. La distin- zione tra le due fattispecie determina insomma l’applicazione di due distinti regimi di tutela della continuità di impiego, uno avente ad oggetto la riassunzione ex novo dei lavoratori impiegati nell’appalto in base alle previsioni dei capitolati o dei contratti applicabili, l’altro la prosecuzione automatica del rapporto di lavoro.
In ciò si nota una conferma della scelta del legislatore di assegnare alla contrattazione collettiva spazi per introdurre una disciplina protezionistica dei lavoratori: le stesse clausole sociali diven- gono, in un certo senso, condizionanti per l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. in base all’art. 29, co. 3 d.lgs. 276/2003. L’art. 29, co. 3 risolve in tal senso anche un’ulteriore questione di fondo, relativa alla legittimità del condizionamento che i prodotti dell’autonomia collettiva possono porre alla libertà di organizzazione delle imprese e, conseguentemente, alle dinamiche concor- renziali, posto che l’impatto integrale dei costi di gestione della precedente forza lavoro nell’am- bito della nuova impresa è specificamente limitato al caso in cui, di fatto, permanga l’autonomia funzionale e economica del ramo acquisito, coerentemente con quanto accade in ogni caso di trasferimento di azienda legittimato, nel diritto interno, dall’art. 2112 cod. civ. e, sul piano
398 Cfr. X. Xxxxxx, Subentro nell’appalto, op. cit., p. 230.
399 Spunti in X. Xxxxxx, Subentro nell’appalto op. cit., p. 212
comunitario, dalla disciplina protezionistica, eccezionale rispetto alla garanzia della libertà con- correnziale, dettata dalla direttiva 2001/23/CE secondo un bilanciamento di principi avallato dalla stessa Corte di Giustizia (400).
Sotto tale profilo gli sforzi della dottrina non sono stati vani (401), perché la limitazione della libertà d’impresa derivante dalle clausole sociali, apparentemente distonica rispetto all’art. 41, co. 1 Cost. (402), è ora non più solo riconducibile ad una manifestazione di consenso dell’appaltatore, che di per sé, in quanto libera espressione dell’autonomia privata, è esente da ogni censura, ma ad una precisa scelta legislativa, giustificabile non tanto dalla tutela del diritto al lavoro in generale (artt. 4, co. 1 e 35 Cost.), ma nei limiti di utilità sociale che è lecito apporre all’iniziativa economica privata ex art. 41, co. 2 Cost.
Beninteso, è chiaro che l’acquisizione automatica degli operatori addetti all’appalto possa deter- minare non solo un conflitto tra maestranze e impresa subentrante, ma anche un conflitto con i dipendenti di quest’ultima, generando financo esuberi di personale. Si tratta però di un esito, pur di rilievo sociale, ininfluente sul piano dell’applicazione della normativa: analogamente a quanto avviene per ogni trasferimento d’azienda, se è vero che la cessione non può costituire di per sé motivo di licenziamento, agli esuberi si potrà far fronte tramite licenziamenti per ragioni ogget- tive, economiche, tecniche o organizzative o a licenziamenti collettivi (403), sebbene è chiaro che il costo di tale conflitto venga, in sostanza, affidato al nuovo imprenditore.
Insomma, da quanto sin qui detto è evidente che il controllo ripreso dal legislatore sulla fattispe- cie “cambio di appalto” appare tutt’altro che foriero di una definizione univoca, che dovrà invece risentire, caso per caso, di indagini sulla fattispecie concreta volta a ricercarne gli ambigui ele- menti caratterizzanti. In ragione del dinamismo e dell’evoluzione del mercato e del tessuto im- prenditoriale, del resto, una soluzione univoca, sarebbe, per ciò stessa, fallita, prima ancora che fallibile. Il cantiere, per l’operatore, è tutt’altro che chiuso (404).
400 V. in particolare le pronunce citate nel par. 3.
401 V. in particolare X. Xxxxx, Le c.d. clausole sociali, op. cit., p. 147 ss., ove ampi riferimenti alla giurisprudenza costituzionale.
402 In questo senso il contributo fondamentale di Xxxxx è quello di aver per primo sfrondato il campo dalle argomentazioni sostenute dalla Corte Costituzionale in particolare nelle sentenze 30 dicembre 1958, n. 78 (in Giur. cost., 1958, 1290) e 5 luglio 1990, n. 316 (ivi,
1990, 233).
403 X. xx xxxxxxx Xxxxx Xxxxx., 00 marzo 2020, C-344/18, ISS Facility Services, la quale peraltro fa riferimento ad un’ipotesi in cui il subentro è operato ad opera di due nuovi appaltatori e giustifica il trasferimento dei rapporti di lavoro sfruttando anche la normativa sul part-time, a conferma della duttilità della direttiva 2001/23/CE.
404 Cfr. sin dal titolo I. Xxxxxx, La nozione di trasferimento, op. cit., p. 556 ss.