CONCORDATO PREVENTIVO E AUTONOMIA PRIVATA: I CC.DD. PATTI PARACONCORDATARI
CONCORDATO PREVENTIVO E AUTONOMIA PRIVATA: I CC.DD. XXXXX XXXXXXXXXXXXXXXX
di XXXXXXX XXXXXXXXX
SOMMARIO: 1.Dall’autonomia privata nel concordato agli accordi con i creditori al di fuori della proposta; 0.Xx validità dei patti paraconcordatari; 0.Xx contenuto dei patti paraconcordatari; 4.Segue: e la rilevanza del momento della loro stipulazione; 5.Condizione di ammissibilità o di omologabilità?; 0.Xx rapporto con la moratoria annuale di cui all’art. 186-bis; 7.Cenni al problema del voto e delle classi; 8.Casistica recente.
1. Dall’autonomia privata nel concordato agli accordi con i creditori al di fuori della proposta
A partire dalla riforma del 2005 si è ricorrentemente posta in evidenza, a proposito del concordato preventivo, la spiccata va- lorizzazione dell’autonomia privata rispetto alla concezione an- cora marcatamente “dirigista” dell’istituto quale emergeva dalla vecchia legge fallimentare. Ed anche chi scrive è stato fra quanti hanno immediatamente parlato dello spostamento del baricentro dall’eterotutela giudiziale dei creditori alla loro autotutela infor- mata come di una delle “cifre” maggiormente caratterizzanti il nuovo impianto normativo1.
1 XXXXXXXXX, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in COTTINO (diretto da), XI, 1, Padova, 2008, p. 72; ID, Il controllo giudiziale sull’ammissibilità della domanda di concordato preventivo e sulla formazione delle classi, in Dir. fall., 2010, I, pp. 551 e ss.; ID, Il sindacato in itinere sulla fattibilità del piano concordatario tra dottrina e giurisprudenza, in Fallimento, 2011, p. 941.
Il tema, apparso fin da subito centrale nella nuova sistematica concorsuale, si è intrecciato con quello della fattibilità del piano concordatario, conducendo alla nota pronuncia del 2013, resa dalla Cassazione a Sezioni Unite, la quale costituisce a tutt’oggi, in attesa di eventuali (seppur non indispensabili, specie se forieri di nuove incertezze interpretative) interventi del legislatore sul punto, la “stella polare” cui guarda la più avveduta ed equilibrata giurisprudenza, adattando opportunamente il dictum dei giudici di legittimità alle peculiarità dei casi concreti.
Il dibattito si è pertanto incentrato sulle differenti declinazioni dell’esercizio di tale autonomia nel rapporto fra debitore e cre- ditori in ambito endoconcordatario, soprattutto al fine di deli- neare con sufficiente chiarezza i limiti del controllo giudiziale senza per questo abdicare alla sua irrinunciabile funzione di pre- sidio di legalità.
Poca attenzione si è invece dedicata agli accordi che il debi- tore abbia a stipulare con il ceto creditorio (o, come più frequen- temente accade, con una parte di esso) al di fuori della domanda e del piano di concordato: convenzioni cui è stato da tempo dato il nome di xxxxx xxxxxxxxxxxxxxxx.
Si tratta per l’appunto di pattuizioni concluse in sede extra- concordataria che, nondimeno, risultano, di regola, intimamente collegate alla domanda di concordato e al relativo piano, al punto da far dipendere dalla loro stipulazione, in determinate situa- zioni, l’ammissibilità della prima e la possibilità di riuscita del secondo.
Di qui l’interesse, ad un tempo teorico e pratico, a scanda- gliare la fattispecie, che fino ad oggi, in dottrina, ha ricevuto at- tenzione da parte di un numero limitato di contributi.
2. La validità dei patti paraconcordatari
Contestare la validità dei patti paraconcordatari in linea gene- rale, ancorché essi non siano previsti da alcuna norma, pare fran- camente arduo.
La loro (tendenziale) validità trae infatti il proprio fonda- mento, anzitutto, dal principio dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c., in base al quale – com’è noto – le parti possono
concludere contratti che non appartengano a tipi aventi una di- sciplina particolare, a condizione che siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento. E tale va- glio va compiuto, in base all’opinione ormai consolidata, alla stregua della causa concreta che caratterizza il negozio atipico, sicché l’interesse perseguito non deve contrastare con alcun principio riconosciuto dall’ordinamento e deve rispondere a una delle funzioni ammesse, come suol dirsi, dalla “coscienza so- ciale”.
L’impossibilità di predicare una generalizzata invalidità di siffatti accordi deriva, inoltre, dal fatto che i loro effetti sono cir- coscritti ai soggetti che li hanno stipulati, restandone i diritti dei terzi completamente impregiudicati.
Nel medesimo senso sembra orientare, infine, il nuovo assetto ordinamentale in tema di concordato preventivo, improntato all’esigenza di consentire agli imprenditori lo spettro più ampio possibile di strumenti giuridici funzionali alla soluzione nego- ziata della crisi, nell’ottica di perseguire l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori rispetto all’alternativa fallimen- tare.
Se tutto ciò è vero, non vi è motivo per non applicare il prin- cipio dettato dall’art. 1322 c.c. anche ai patti paraconcordatari, sicché la questione va correttamente posta in termini non già, appunto, di indiscriminata invalidità, bensì di limiti alla loro va- lidità.
Può in tal modo ribadirsi, con riferimento al tema che ci oc- cupa, quanto dottrina e giurisprudenza hanno da tempo affer- mato in materia di concordato fallimentare: i patti concordatari sono in linea di principio validi, a meno che, in ragione del loro contenuto, non contrastino con (né mirino a frodare) norme im- perative di legge (qual è, tipicamente, il divieto di mercato di voto ex art. 233 l. fall.) e non ledano gli interessi, né la par con- dicio, dei creditori2. Tanto che la Corte di Cassazione, in una pur
2 DI XXXXXXX, Il concordato fallimentare con assunzione, Milano, 1976, p. 237; XXXXXXXXXX, Xxx concordato fallimentare, in Commentario Scialoja-Branca alla legge fallimentare, Bologna-Roma, 1979, pp. 135 e ss.; DI LAURO, Concordato fallimentare, in RAGUSA MAGGIORE - COSTA (diretto da), Le procedure concor- suali. Il fallimento, Torino, 1997, p. 675; LO XXXXXX, Il concordato fallimentare, aspetti attuali e prospettive future, in Fallimento, 2011, p. 403; Cass., 19 luglio 1982, n. 4239, in Foro it., 1982, I, c. 2838; Cass., 5 luglio 1984, n. 3931, in Dir.
fall., 1984, II, p. 983; Cass., 15 marzo 1988, n. 2450, in Fallimento, p. 574; contra
Trib. Bologna, 18 gennaio 1984, in Dir. fall., 1985, II, p. 243, il quale – in modo
risalente pronuncia, ha considerato legittimo il patto con cui l’as- suntore si impegna a ritrasferire al fallito i beni oggetto di ces- sione decorso un certo lasso di tempo dall’omologazione del concordato fallimentare3.
Con specifico riferimento al precetto in materia di mercato di voto, deve anzitutto rilevarsi che esso, in materia di concordato preventivo, è oggetto di richiamo, ad opera dell’art. 236, limita- tamente ai creditori; ma il carattere di reato necessariamente plu- risoggettivo comporta la punibilità anche dell’imprenditore (o di chi nell’interesse di questi abbia contrattato con il creditore) a titolo di concorso.
Quanto all’interesse protetto della norma, esso risiede chiara- mente nel regolare svolgimento delle operazioni di voto e quindi nel corretto andamento della procedura concordataria4, doven- dosi infatti qualificare come reato contro l’amministrazione della giustizia5.
Ne consegue, ai fini di cui trattasi, che non presenta profili di invalidità l’accordo paraconcordatario che non abbia in alcun modo ad oggetto l’esercizio del diritto di voto di uno o più cre- ditori. Ed invero, com’è stato osservato, la norma di cui all’art. 233 l. fall. mira ad evitare che “il concordato sia approvato da una maggioranza che compensa il proprio svantaggio con altro vantaggio proveniente dall’esterno, ma non certamente ad impe- dire quegli accordi finalizzati a rendere possibile la proposta senza in alcun modo influenzarne la votazione”6.
non condivisibile – considera il patto concordatario intrinsecamente viziato da il- liceità. Dà atto dell’orientamento di gran lunga prevalente, mostrando di non di- scostarsene, D’ORAZIO, La risoluzione del concordato, in PACCHI (a cura di), Il concordato fallimentare, Milano, 2008, p. 263.
3 Cass., 5 luglio 1984, n. 3931, in Dir. fall., 1984, II, p. 982, con nota di RAGUSA MAGGIORE, Validità dei patti di concordato che rispettino la par condicio credi- torum.
4 MINNITI, sub art. 233, in PAJARDI-BOCCHIOLA-PALUCHOWSKI, Codice del falli- mento, Milano, 2013, p. 2331.
5 Questa circostanza, unitamente al principio di tassatività e stretta interpretazione delle fattispecie incriminatrici, conduce a ritenere il divieto inapplicabile tanto ai cc.dd. concordati stragiudiziali (si pensi al patto “di preferenza”: cfr. XXXXXXXXX, I reati della legge fallimentare diversi dalla bancarotta: il ruolo del curatore nel processo penale, Milano, 1990, p. 310), quanto agli istituti – che procedure con- corsuali non sono – dei piani attestati di risanamento e degli accordi di ristruttu- razione dei debiti (TENCATI, La corruzione dei creditori chiamati a votare nel quadro delle procedure concorsuali, in Riv. Pen., 1991, p. 5).
6 Così MINNITI, Il “mercato di voto” dopo la riforma fallimentare, in Riv. dott. comm., 2012, p. 113.
3. Il contenuto dei patti paraconcordatari
Nell’ambito degli accordi paraconcordatari, lo spartiacque, sotto il profilo contenutistico, consiste anzitutto nell’attribu- zione, ai creditori aderenti, di vantaggi piuttosto che di (ulteriori) sacrifici.
L’ipotesi di gran lunga più frequente – e quindi più interes- sante da indagare – è la seconda.
Essa si verifica allorquando parte dei crediti venga a) stral- ciata; b) riscadenziata con il riconoscimento di interessi ulteriori a quanto in origine pattuito; c) riscadenziata senza interessi; d) degradata a chirografo; e) comunque “rimodulata” in modo che l’attivo risultante da un siffatto intervento sul debito consenta, tenuto conto del fabbisogno concordatario, la presentazione di una domanda scevra da ragioni di inammissibilità.
Un intervento siffatto può essere diretto a creare condizioni per un più elevato soddisfacimento dei creditori esterni all’ac- cordo (ad esempio perché si reputa più difficile acquisirne il con- senso), ma in alcuni casi esso risulta addirittura indispensabile, nel senso che senza il preventivo stralcio o riscadenziamento di alcuni crediti il piano concordatario risulta non fattibile e la do- manda, conseguentemente, improponibile.
Ciò accade, tipicamente, quando una parte – di regola signifi- cativa – dei crediti bancari non possono essere pagati, neppure nella percentuale concordataria, entro l’orizzonte temporale del piano per incapienza dell’attivo. In tali situazioni il debitore deve giocoforza accordarsi con gli istituti di credito (o almeno con alcuni di essi) nell’ottica della necessaria sostenibilità del piano.
Il secondo caso, meno frequente nella pratica, riguarda quelle situazioni nelle quali ad alcuni creditori vengono promesse, con pattuizioni a latere, condizioni migliori rispetto al resto del ceto creditorio.
Accordi siffatti possono bensì ritenersi validi, ma a condi- zione non solo che ai creditori aderenti non vengano (ovvia- mente) richiesti impegni in ordine all’espressione del voto, ma anche che l’esecuzione del contratto non comporti alcun tipo di incidenza negativa su entità e tempi di pagamento degli altri cre- ditori. Ciò significa che il trattamento “di favore” oggetto del
patto paraconcordatario e la conseguente attribuzione di van- taggi supplementari ai paciscenti possono avere luogo in casi li- mitati, e tipicamente:
(i) nel concordato liquidatorio, ove dalle vendite dei beni che compongono l’attivo si ricavi un surplus rispetto all’impegno assunto dal debitore nei confronti dei creditori in termini di per- centuale di soddisfacimento;
(ii) nel concordato con continuità aziendale, ove si registri la
c.d. overperformance del piano (tipicamente, quando l’esercizio dell’attività produca un excess cash flow rispetto a quanto “pro- messo” dal debitore);
(iii)in entrambe le situazioni, a condizione che gli altri credi- tori abbiano già ricevuto quanto previsto nella proposta e nel piano (quindi successivamente all’integrale esecuzione del piano), o che comunque vi sia certezza in ordine alla capienza per tale fabbisogno, non potendo in alcun caso corrersi il rischio che dette attribuzioni aggiuntive vadano in seppur minima parte a scapito della residua massa creditoria. A meno che, beninteso, le risorse destinate agli aderenti all’accordo paraconcordatario provengano non dal patrimonio aziendale ma ab externo.
Ciò detto, occorre peraltro soggiungere che pattuizioni di que- sto genere paiono collocabili anche all’interno della proposta di concordato, previa classificazione dei creditori. Di qui, a ben ve- dere, la non soverchia utilità di ricorrere al patto paraconcorda- tario che contenga solo benefici e non anche oneri per i creditori.
4. Segue: e la rilevanza del momento della loro stipulazione
I patti paraconcordatari, tanto nel caso in cui abbiano ad og- getto uno stralcio delle pretese creditorie quanto un loro risca- denziamento (o entrambi contestualmente), possono essere sti- pulati (i) prima del deposito della domanda di concordato pre- ventivo, anche ai sensi dell’art. 161, c. 6°, l. fall.; (ii) in costanza di procedura; (iii) successivamente al provvedimento di omolo- gazione.
Nel primo caso, il debitore non è evidentemente astretto da alcun vincolo autorizzativo e il piano concordatario rifletterà il beneficio derivante da tali intese.
La previa sottoscrizione di tali accordi rispetto alla presenta- zione del ricorso è addirittura indispensabile tutte le volte in cui da ciò dipenda l’ammissibilità della domanda (fatto salvo quanto si dirà al paragrafo successivo circa la diversa prospettazione che qualifica tali intese come condizioni di omologabilità del concordato).
Una situazione particolare può darsi nell’ipotesi in cui il de- bitore sia prossimo alla conclusione dell’accordo ma non riesca a formalizzarlo in tempo utile per il deposito del ricorso e del piano attestato.
A stretto rigore, ciò integrerebbe gli estremi dell’inammissi- bilità tout court della domanda. Nondimeno, volendo scongiu- rare le afflittive conseguenze di un fallimento a carico di un im- prenditore che si appresti a definire la soluzione negoziata della propria crisi, può prospettarsi – come per vero già accaduto nella pratica7 – l’utilizzo del disposto dell’art. 162 l. fall. (strumento che, in concreto, viene sovente impiegato non solo per consen- tire mere integrazioni documentali, ma anche per emendare il ricorso originario, sanando eventuali vizi di inammissibilità): il tribunale, preso atto dell’attuale inammissibilità della domanda ma della possibile/probabile eliminazione, in breve tempo, dell’ostacolo all’ammissione, potrebbe assegnare il termine di quindici giorni per le integrazioni a domanda e piano e per il deposito dei patti paraconcordatari, fissando nuova udienza per decidere sull’apertura o meno del concordato.
Ove poi il debitore riuscisse a finalizzare il tutto non già entro i 15 giorni bensì in tempo utile per l’udienza, il problema sa- rebbe quello della perentorietà del termine ex art. 162 rispetto ai fini che ci occupano. L’alternativa, in quanto non abusiva, po- trebbe consistere nel ritiro della domanda non “sanabile” nei 15 giorni e la presentazione di un nuovo ricorso, stavolta ammissi- bile in virtù dell’intervenuta stipulazione, nelle more, degli ac- cordi paraconcordatari.
Per ciò che concerne, invece, gli accordi destinati a incremen- tare il soddisfacimento degli aderenti, essi non costituiscono, al- meno di norma, un indefettibile presupposto del piano, sicché
7 Cfr. Trib. Rovigo, 24 maggio 2016, in xxx.xxxxxx.xx, nonché in corso di pubbli- cazione sul Fallimento, con nota di XXXXXX, Il c.d. “patto para-concordatario”: appunti per la ricostruzione della fattispecie.
l’ammissione può intervenire anche in mancanza della loro pre- ventiva stipulazione. Di conseguenza, non sembrano esservi ostacoli al loro perfezionamento in costanza di procedura, quand’anche successivo all’approvazione e nonostante i corol- lari che possano scaturirne sulla fattibilità del piano, soccor- rendo al riguardo la disposizione di cui all’art. 179, comma 2.
Deve poi ritenersi che vi sia spazio per intese collaterali anche nella fase esecutiva, quando può rendersi necessario procedere alla rinegoziazione dei termini di soddisfacimento “scolpiti” nel decreto di omologazione, di norma al fine di sanare un inadem- pimento (già verificatosi, o comunque apprezzabile in prospet- tiva) e scongiurare così la risoluzione del concordato.
5. Condizione di ammissibilità o di omologabilità?
A conclusioni diverse da quelle esposte nel paragrafo prece- dente circa la previa stipulazione degli accordi rispetto al depo- sito della domanda di concordato potrebbe giungersi ove si rite- nesse – ma il punto è controvertibile – che il patto paraconcor- datario, seppur necessario ai fini della fattibilità del piano, non debba obbligatoriamente perfezionarsi al momento della formu- lazione della proposta (o, come si è detto, della sua eventuale integrazione ai sensi dell’art. 162 l. fall.), potendo invece inter- venire anche successivamente, purché entro l’omologazione.
Secondo questa prospettazione, la conclusione dell’accordo a latere (soltanto “preannunciata” nel ricorso) costituirebbe una sorta di condizione di omologabilità del concordato8. Ne derive- rebbe l’ammissibilità di un piano subordinato – anche nell’atte- stazione – a una circostanza futura e incerta, il cui inveramento andrebbe tuttavia verificato prima della conclusione dell’iter concordatario.
Aderendo a tale prospettazione, i creditori potrebbero essere chiamati a votare su una proposta sub condicione, nella consa- pevolezza che l’approvazione del concordato non sarebbe suffi- ciente, di per sé sola, a determinare la positiva conclusione della procedura, essendo questa dichiaratamente subordinata, per
8 Cfr. XXXXXX, Il c.d. “patto para-concordatario”: appunti per la ricostruzione della fattispecie, cit.
l’appunto, alla concreta stipulazione del patto paraconcordata- rio, indispensabile per consentire l’omologazione. Come si è vi- sto, però, tale accordo è retto dalle regole civilistiche generali e come tale postula l’assenso di tutti i paciscenti, sicché ben po- trebbe accadere che, nonostante il raggiungimento delle maggio- ranze, la mancata sottoscrizione dell’accordo da parte di anche uno soltanto dei soggetti di cui il piano presupponga l’adesione pregiudichi il superamento della crisi.
Allorquando poi, la concreta stipulazione del patto paracon- cordatario non si riveli imprescindibile ai fini della presenta- zione di una proposta ammissibile e di un piano fattibile, ma ri- sulti semplicemente foriera di un miglioramento del trattamento della generalità dei creditori, il ricorso potrebbe prospettare due ipotesi alternative, fissandone il discrimine proprio nella possi- bilità di addivenire a una separata intesa con un circoscritto no- vero di creditori. E in questo senso si è pronunciata ex professo una Corte di merito9, ammettendo al concordato preventivo un debitore che, nell’ambito di una procedura di carattere liquida- torio, aveva formulato una proposta condizionata alla rinuncia, da parte dei due istituti di credito beneficiari, a una garanzia ipo- tecaria, precisando che, ove l’atto abdicativo non fosse interve- nuto entro l’adunanza dei creditori, questi sarebbero stati chia- mati a esprimersi su una proposta alternativa, da subito enucleata e recante percentuali di pagamento inferiori.
6. Il rapporto con la moratoria annuale di cui all’art. 186-bis
Il tema degli accordi paraconcordatari si intreccia con quello relativo alla moratoria dei creditori privilegiati ex art. 186-bis.
Com’è noto, è tutt’oggi controversa la possibilità di preve- dere, nel piano concordatario, che il pagamento dei privilegiati avvenga dopo che sia trascorso un anno dall’omologazione e ciò a causa della formulazione, oggettivamente infelice, della norma.
Chi scrive continua a ritenere non priva di fondamento la tesi
9 Trib. Novara, 18 dicembre 2009, ric. Sitindustrie Tubes & Pipes s.p.a., inedito.
prospettata all’indomani della riforma del 201210. Ed invero, di tale prescrizione sembra possibile fornire due letture antitetiche: la prima, muovendo dal rilievo che i creditori privilegiati soddi- sfatti per intero non votano, circoscrive la durata della moratoria all’anno, escludendo che possa essere prevista una dilazione maggiore (salvo, probabilmente, che ciascun singolo creditore privilegiato coinvolto manifesti il proprio assenso al riscadenza- mento). Tale lettura si basa sul rilievo che la moratoria non de- roga all’art. 55 l. fall. (richiamato dall’art. 169 l. fall.), con la conseguenza che gli interessi continuano a maturare anche nel periodo di dilazione (pur divenendo esigibili solo al termine dello stesso), con la conseguenza che non sarebbe possibile ipo- tizzare un meccanismo compensativo del maggior sacrificio sul piano temporale. In altre parole, se – e ciò in effetti sembra con- divisibile – gli interessi maturano anche nel periodo di moratoria legale e questa dura al massimo un anno, il debitore non po- trebbe prospettare l’allungamento della dilazione a fronte della corresponsione di ulteriori interessi, dal momento che essi non costituiscono una prestazione aggiuntiva in grado di bilanciare la dilazione.
Senonché, il tenore letterale della norma lascia aperto un di- verso percorso ermeneutico che valorizza l’ultima parte della di- sposizione, la quale – attraverso la locuzione «in tal caso» – sem- bra riconnettere l’esclusione dal voto alla condizione che il pa- gamento avvenga entro l’anno. Di qui la possibilità di una lettura a contrario, la quale conduce ad ammettere la dilazione al di sopra dell’anno, compensata tuttavia dall’attribuzione al privile- giato soddisfatto integralmente, ma con ritardo, del diritto di pronunciarsi sulla proposta.
Questa seconda interpretazione appare preferibile non solo perché aderente alla lettera della norma, ma anche per ragioni sistematiche: l’art. 182 bis ammette, al comma 1, il differimento ex lege del pagamento dei creditori estranei all’accordo, stabi- lendo – anche in quel caso – una moratoria automatica che pre- scinde dal consenso dei creditori, a condizione che sia contenuta nei centoventi giorni; al di là del predetto termine la dilazione
10 AMBROSINI, Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in www.il- xxxx.xx; nello stesso senso v. ampiamente, da ultimo, ARATO, Questioni contro- verse nel concordato preventivo con continuità aziendale: il conferimento e l’af- fitto d’azienda, il pagamento ultrannuale dei creditori privilegiati, l’uscita dalla procedura, ivi.
non è proibita, ma presuppone l’inclusione nell’accordo del sog- getto che la subisce e l’ottenimento del suo consenso.
Senza dire che la limitazione della moratoria all’anno rischia di rivelarsi un ostacolo difficilmente superabile nella costru- zione di un piano di concordato in continuità (quantomeno nella forma della ristrutturazione pura): ogniqualvolta i beni sui quali insiste la garanzia siano funzionali alla prosecuzione dell’im- presa, infatti, la provvista per il soddisfacimento delle pretese munite di prelazione è giocoforza fornita dai soli flussi di cassa dell’attività, i quali di regola assumono consistenza significativa solo in un orizzonte temporale di medio periodo, non certo entro l’anno dall’omologazione.
In questa prospettiva, tenuto conto che la voluntas legis ap- pare obiettivamente orientata a favorire le procedure concorda- tarie e – segnatamente – quelle capaci di coniugare l’interesse dei creditori (pur sempre destinato a prevalere) con l’interesse alla prosecuzione dell’attività d’impresa, sembra ragionevole fornire dell’art. 186 bis, comma 2, lett. c), l’interpretazione che ravvisa nello stesso un’ulteriore “arma” a disposizione dell’im- prenditore intenzionato a perseguire una soluzione della propria crisi alternativa al fallimento; non – come invece accadrebbe ove si accedesse alle letture più restrittive – un limite all’autonomia nella formulazione del piano.
Sulla delicata questione la giurisprudenza risulta, peraltro, comprensibilmente divisa, posto che la disposizione in parola, con la sua ambiguità, si presta – come si diceva – a entrambe le letture. Il punto risulta affrontato, in particolare, nelle pregevoli “Linee guida in ordine a talune questioni controverse della pro- cedura di concordato preventivo” elaborate, nel maggio 2016, dalla Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma, ove in propo- sito si legge: “la norma speciale introduce un diverso regime del tempo di pagamento dei creditori privilegiati capienti (per i cre- ditori privilegiati in tutto od in parte incapienti la disposizione ha cura di tenere ferma la disciplina dell’art. 160, comma 2, l.f.) in presenza di due presupposti: i) che si tratti di un concordato in continuità aziendale; ii) che il piano contempli il manteni- mento della titolarità dei beni sui quali la causa di prelazione insiste in capo alla proponente. Laddove, difatti, il piano preveda la liquidazione (ossia la cessione a terzi) di detti beni la morato- ria non potrà essere invocata ma dovranno continuare ad appli-
carsi le regole generali (che prevedono, come detto in prece- denza, la vendita tramite procedure competitive, da avviarsi im- mediatamente dopo l’omologazione – salva l’anticipazione della gara secondo il disposto dell’art. 163 bis l.f. – con conseguente pagamento dei creditori privilegiati una volta che sarà interve- nuta l’aggiudicazione del bene). In altre parole la norma detta un regime di favore per i – soli – concordati c.d. di risanamento, ossia quelli in cui la proponente non cede l’azienda a terzi ma ne conserva la titolarità proponendosi di pagare i creditori con i flussi derivanti dalla continuità aziendale (oltre, che, eventual- mente, con la liquidazione dei beni non più essenziali) consen- tendo di dilazionare il pagamento dei creditori privilegiati ca- pienti (i quali, non essendo prevista alcuna cessione dei beni sui quali insiste la loro causa di prelazione, avrebbero dovuto essere pagati immediatamente dopo l’omologazione) sino ad un anno. È noto che sono state avanzate in dottrina ed anche in giurispru- denza tesi secondo le quali il citato articolo 186‐bis nella parte in cui dispone che “in tal caso” (quello della moratoria annuale) i creditori non hanno diritto al voto, andrebbe interpretato nel senso che abbia lasciato spazio ad “altri casi” (quelli della mo- ratoria ultrannuale) nei quali sarebbe possibile prevedere una di- lazione nel pagamento superiore all’anno verso il riconosci- mento del diritto di voto in favore dei creditori privilegiati ca- pienti interessati dalla dilazione. Si tratta di orientamenti che, tuttavia, non vengono allo stato condivisi, e ciò in quanto pre- tendono di ricavare dalla norma una disciplina che in effetti non contiene, ossia di far discendere da una disposizione dettata con il chiaro e limitato intento di prevenire dal principio un possibile dubbio interpretativo (se sulla moratoria di un anno i creditori privilegiati dovessero esprimersi con il voto) l’esistenza di una deroga alla regola generale di cui all’articolo 177, comma 2, l. fall. della quale, in effetti, nella norma non vi è traccia. In con- clusione, si lascia preferire allo stato l’interpretazione secondo la quale è consentita una moratoria nel pagamento dei creditori privilegiati capienti in misura non superiore all’anno (salvo, ov- viamente, espresso ed anticipato consenso del creditore stesso) e limitatamente alla sola ipotesi di concordato in continuità aziendale di risanamento (ossia senza cessione a terzi dell’azienda)”11.
11 Tribunale di Roma – Sezione Fallimentare, Linee guida in ordine a talune que- stioni controverse della procedura di concordato preventivo, maggio 2016.
Ora, ferme restando le perplessità derivanti dall’impostazione su condivisa, occorre riconoscere che la norma, in effetti, non è affatto perspicua e come tale autorizza entrambe le letture; sic- ché ritenere preclusa la moratoria ultrannuale, pur con le conse- guenze obiettivamente penalizzanti che ciò comporta per la so- luzione concordataria della crisi, non può considerarsi peregrino sul piano ermeneutico, tanto più se la tesi è puntualmente argo- mentata, come, per l’appunto, nelle anzidette “Linee guida”.
Xxxxxxxxx, ad avviso di chi scrive continua a risultare prefe- ribile la soluzione meno restrittiva, e ciò non solo – come si è osservato – sul piano interpretativo, ma anche in considerazione del consistente argumentum ab inconvenienti derivante dall’ef- fetto impeditivo che l’opposta lettura della norma comporta, con grave detrimento per la possibilità di scongiurare il fallimento in situazioni nelle quali sarebbe invece possibile preservare i com- plessi produttivi a miglior tutela del ceto creditorio nel suo com- plesso.
A ciò si aggiunga il rilievo secondo il quale, dal punto di vista letterale, la locuzione “fermo quanto disposto dall’art. 160, se- condo comma” contenuta nell’art- 186-bis fa salva l’applicabi- lità dell’art. 160, comma 2, “nella sua intera portata precettiva e, con essa, la facoltà del debitore concordatario di prevedere una “soddisfazione” dei prelazionari distinta, per modalità e tempi, dal “pagamento integrale”. In tal caso, unico limite è dato dalla necessità di assicurare ai predetti creditori - ove all’alterazione qualitativa del credito si accompagni anche una decurtazione quantitativa dello stesso - una soddisfazione in misura non infe- riore a quella ritraibile dalla liquidazione fallimentare dei beni vincolati a garanzia del credito. Diversamente opinando, la norma in esame introdurrebbe un limite ulteriore alla soddisfa- zione non integrale dei creditori prelatizi rispetto a quello già imposto dall’art. 160, 2° comma, l. fall., il cui disposto sarebbe dunque tutt’altro che fermo”12.
12 Cfr. XXXXX, Questioni controverse nel concordato preventivo con continuità aziendale: il conferimento e l’affitto d’azienda, il pagamento ultrannuale dei cre- ditori privilegiati, l’uscita dalla procedura, cit., pp. 15-17, il quale osserva altresì che “la tesi più liberale è meritevole di essere condivisa per diversi ordini di ra- gioni di ordine testuale e sistematico: (a) sotto il profilo sistematico appare irra- gionevole ritenere che un’impresa che ha debiti ipotecari o pignoratizi a me- dio/lungo termine, allorché sia insolvente o in crisi e quindi presenti una domanda di concordato preventivo, debba obbligatoriamente pagare tali crediti entro il ter- mine di un anno, con una sorta di accelerazione rispetto alle scadenze contrattuali;
E ciò senza considerare che l’ineludibile corollario dell’impo- stazione contraria a quella fin qui argomentata risiede nella ne- cessità – occorre esserne avvertiti – che il debitore convenga il riscadenziamento ultrannuale dei crediti privilegiati attraverso la stipulazione di un patto paraconcordatario, il che si pone in con- trotendenza rispetto all’opportunità di contenere i costi (anche consulenziali) della ristrutturazione dei debiti quale emerge sia dalla Raccomandazione dell’Unione Europea del marzo 2014, sia dal disegno di legge delega per la riforma organica delle pro- cedure concorsuali del 2016.
7. Cenni al problema del voto e delle classi
Con riferimento al rapporto fra patti paraconcordatari e di- ritto di voto, non pare fondatamente predicabile la tesi secondo la quale i creditori che hanno stipulato tali accordi con il debitore non possano votare sulla proposta di concordato.
Non vi è infatti alcuna norma né principio che comporti, in una situazione siffatta, la sterilizzazione del diritto di voto. E non sarebbe del resto giustificabile una tale compressione della sfera dei diritti di questi creditori, che per il sol fatto di aver dato vita a una convenzione con il debitore verrebbero privati di una pre- rogativa tendenzialmente incomprimibile in quanto consustan- ziale allo status di creditore. Voto che pare vada espresso per l’intero ammontare del credito13.
Diverso è il caso in cui il patto in questione contenga una
(b) sotto il profilo testuale, l’art. 186-bis, 2° comma, lett. c), l. fall. - nell’escludere del diritto di voto nell’ipotesi di moratoria infrannuale - implica, a contrariis, il riconoscimento del diritto di voto nell’ipotesi di moratoria ultrannuale, implicita- mente sancendo l’ammissibilità di quest’ultima (…)”; oltre al fatto – aggiunge l’autore – che la tesi in parola risulta “l’unica coerente con l’obiettivo perseguito dal legislatore del “Decreto Sviluppo” di incentivare il ricorso alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale in funzione della conservazione dell’impresa, mediante la previsione di una forma di sostegno economico idonea a garantire all’imprenditore la disponibilità delle maggiori risorse finanziarie ri- venienti dal mancato pagamento dei creditori prelatizi per il periodo di un anno dall’omologa senza perciò temere un loro voto negativo alla proposta concorda- taria. Eventuali dilazioni maggiori sarebbero ammissibili ma su di esse il creditore deve esprimersi.”
13 In senso conforme, in giurisprudenza, Trib. Rovigo, 24 maggio 2016, cit.
preventiva rinuncia al credito che, anziché produrre effetti su- bordinatamente all’omologazione, abbia efficacia immediata, giacché in questa eventualità la privazione del voto discende sic et simpliciter dal venir meno della qualità di creditore.
Qualche dubbio sussiste in ordine alla legittimità di un ac- cordo che preveda l’impegno dei creditori a non votare, stanti i profili di contrasto con il principio di libertà di voto sotteso all’art. 233 l. fall. (che pure fa diretto riferimento all’ipotesi di “vendita” del voto favorevole); salva forse l’ipotesi in cui il sod- disfacimento dei creditori aderenti al patto sia destinato ad aver luogo successivamente allo spirare del termine, previsto nella domanda (e di regola ribadito nel decreto di omologazione), per l’esecuzione del concordato.
Quanto al tema delle classi, l’ipotesi di patto paraconcorda- tario sembra implicare la formazione obbligatoria di classi, dal momento che esso impinge, per sua natura, sulla piena parità di trattamento fra creditori, essendo la sua stipulazione volta preci- samente a derogarvi, seppur in sede extraconcordataria.
Il che comporta, per inferenza necessaria, il dovere del de- bitore di rendere palese la presenza di accordi siffatti14, pena – verosimilmente – l’inammissibilità della domanda (e fermo il ri- lievo, di tipo “empirico”, che spesso le due cose si tengono in- sieme, perché l’ammissione – e comunque l’omologazione – sono rese possibili proprio da questi patti, sicché il debitore è di regola “costretto” a renderne esplicita la presenza).
8. Casistica recente
La questione dei patti paraconcordatari, non nuova nella pratica, è risultata particolarmente rilevante in tre casi recenti, relativi ad altrettante imprese di notevoli dimensioni la cui crisi ha avuto ampia risonanza, specie nei rispettivi territori di riferi- mento: il concordato della Fondazione Xxxxxxxxx Xxxxxxx di Pa- via, centro medico-riabilitativo fra i più importanti d’Italia, quello della Grandi Molini Italiani SpA., proprietaria, a Mar- ghera, del più grande impianto molitorio d’Europa, e quella del
14 Com’è noto, il principio dell’obbligatoria disclosure è sancito, mutatis mutan- dis, in materia societaria con riguardo ai patti parasociali (artt. 2341-ter c.c. e 122 T.U.F.).
noto ospedale romano Fatebenefratelli.
In tutte queste situazioni la validità di detti accordi rivestiva carattere condizionante l’ammissione alla procedura, dal mo- mento che, in loro assenza, l’attivo non sarebbe risultato suffi- ciente in rapporto al fabbisogno concordatario. E i tribunali com- petenti (nell’ordine, Pavia, Rovigo e Roma) hanno optato con- cordemente per l’ammissibilità dei ricorsi, facendo così luogo all’apertura del concordato.
Nel primo caso, giunto all’omologazione nello scorso giugno, il Tribunale di Pavia15 non si è per vero pronunciato ex professo sulla validità dei patti paraconcordatari16, ma la circostanza che esso abbia dapprima ammesso la debitrice al concordato a fronte di una domanda che esplicitava con chiarezza la questione e, successivamente, omologato la domanda a valle di una relazione commissariale in cui si era motivatamente preso posizione in or- dine alla legittimità di siffatti accordi depone inequivocabil- mente nel senso dell’affermazione, seppur implicita, dell’as- sunto.
E’ invece entrato nel merito del problema il Tribunale di Ro- vigo, nel cui interessante e pregevole provvedimento, con riferi- mento al tema che ci occupa, si legge: “la possibilità di predi- xxxxxx xxxxx para-concordatari nell’ambito della procedura ap- pare del tutto coerente con il sistema normativo come novellato,
15 Trib. Pavia 12 giugno 2015, ric. Fondazione Xxxxxxxxx Xxxxxxx, inedito; nello stesso senso Trib. Siena, 25 luglio 2014, inedito, secondo cui anche i creditori privilegiati che hanno sottoscritto un patto paraconcordatario – in base al quale verranno pagati oltre l’anno dall’omologa del concordato ex art. 186-bis – sono legittimati al voto per l’intero credito, con l’espressa precisazione che se il con- cordato non dovesse essere omologato, il voto espresso non li penalizzerebbe con la perdita del rango di privilegiato. In dottrina, in senso conforme, XXXXX, Que- stioni controverse nel concordato preventivo con continuità aziendale: il conferi- mento e l’affitto d’azienda, il pagamento ultrannuale dei creditori privilegiati, l’uscita dalla procedura, cit., pp. 18-19.
16 Cfr. Trib. Modena, 23 dicembre 2015, ric. Sassuolo Gestioni Patrimoniali S.r.l., inedito, il quale, pur non pronunciandosi espressamente sulla validità del patto, ha proceduto all’omologazione dopo aver preso atto che “entro la data dell’adunanza (...) si sono verificate tutte le condizioni di ammissibilità della proposta e, in par- ticolare, è stato sottoscritto con le banche coinvolte il c.d. accordo paraconcorda- tario avente a oggetto la ristrutturazione dell’indebitamento verso il ceto bancario e la concessione di c.d. nuova finanza”. Secondo XXXXXX, Il c.d. “patto para-con- cordatario”: appunti per la ricostruzione della fattispecie, cit., il tribunale mode- nese parrebbe propendere per la possibilità che il patto paraconcordatario si per- fezioni successivamente al deposito della domanda. Sembra dare per presupposta la validità del patto anche Trib. Genova, 3 ottobre 2016, ric. Italiana Coke S.r.l., inedito.
rispondendo, da un lato, all’esigenza di attribuire all’imprendi- tore l’elenco più ampio possibile di strumenti giuridici finaliz- zati alla risoluzione della crisi e, dall’altro, alla funzione di mi- glior soddisfazione dei creditori”17. Nella stessa decisione si af- fronta anche il profilo del rapporto fra detti accordi e piano e proposta di concordato, che viene declinato nei seguenti termini: “gli accordi para-concordatari rappresent[a]no un’integrazione della proposta concordataria e, tuttavia, rest[a]no esclusi tout court dal piano, sicché rientrano nel fuoco della volontà del ceto creditorio, ma la concreta attuazione degli stessi esula dal con- tenuto attuativo del piano, in guisa da non consentire un sinda- cato del Tribunale – se non nei limiti di stretta legalità e rispetto delle regole procedimentali che governano la c.d. par condicio creditorum dei non aderenti – né una futura valutazione di cor- retto e puntuale adempimento”, dovendosi pertanto ritenere che “i patti concordatari integrino la proposta, ma non il piano”.
I patti paraconcordatari sono stati ritenuti validi e compatibili con la procedura minore anche dal Tribunale di Roma, chiamato a pronunciarsi sulla domanda di ammissione al concordato pre- ventivo formulata dalla Casa Generalizia dell’Ordine Ospeda- liero di San Xxxxxxxx xx Xxx – Fatebenefratelli, la cui proposta risultava integrata dall’accordo con le due principali banche cre- ditrici, le quali avevano accettato termini di rimborso eccedenti l’orizzonte del piano.
In proposito il Tribunale ha osservato che, “da un punto di vista strettamente economico-finanziario, l’operazione è stata congegnata secondo modalità sinergiche, attribuendo all’ac- cordo con le banche la funzione di creare le condizioni per un concordato “finanziariamente” sostenibile. La dilazione dei pa- gamenti concessa dalle due banche, che, da parte loro, hanno ac- cettato, in cambio di una percentuale maggiore, di essere pagate dopo la chiusura del concordato, libererà, infatti, risorse dispo- nibili; sono stati in conseguenza ridotti sia il fabbisogno concor- datario che i termini di durata della procedura, nella seconda pro- posta limitati al quinquiennio”18.
Da ciò si è tratta la sussistenza di “un nesso di stretta e reci- proca funzionalizzazione tra il concordato e gli accordi “para-
17 Così Trib. Rovigo, 24 maggio 2016, cit.
18 Così Trib. Roma, 15 luglio 2015, ric. Casa Generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San Xxxxxxxx xx Xxx – Fatebenefratelli, inedito.
concordatari”, rispetto ai quali l’omologazione opera come de- finitiva condizione di efficacia e la risoluzione o la revoca del concordato (o il fallimento), invece, costituiscono altrettante condizioni risolutive”19.
Una costruzione siffatta è stata ritenuta ammissibile e, in par- ticolare, non lesiva delle regole concordatarie che presiedono al trattamento dei creditori concorsuali, soccorrendo la possibilità di optare per la suddivisione degli stessi in classi; suddivisione nella specie ritenuta “giustificata, sotto il profilo economico, dal fatto che le banche, accettando di essere rimborsate nei termini indicati solo dopo la chiusura del concordato, hanno consentito di liberare importanti, se non decisive, risorse, a beneficio della procedura, la cui durata è stata infatti contenuta nel quinquen- nio”20. Per ciò che concerne, poi, i profilo giuridico, il Tribunale ha osservato che “i creditori della classe “svantaggiata” risul- tano, tramite l’esercizio del voto in via esclusiva, gli “arbitri” della situazione”21, con conseguente insussistenza di reali rischi di illegittime compressioni dei diritti spettanti ai soggetti estra- nei al patto.
Come si vede, dunque, l’orientamento della più recente giuri- sprudenza conferma, correttamente, la tesi – argomentata nell’esordio del presente saggio – della tendenziale validità degli accordi paraconcordatari, in quanto appunto non confliggenti, di per sé, con alcun precetto o principio dell’ordinamento concor- suale e anzi, in concreto, frequentemente utili (quando non ad- dirittura indispensabili) al buon esito della soluzione concorda- taria.
19 Così Trib. Roma, 15 luglio 2015, cit.
20 Trib. Roma, 15 luglio 2015, cit.
21 Trib. Roma, 15 luglio 2015, cit.