Clausole limitative della responsabilità e contratti del consumatore
Clausole limitative della responsabilità e contratti del consumatore
1. Contratto e ordine del mercato. La strategia delle norme imperative. - 2. Clausole di limitazione e clausole di esonero dalla responsabilità. - 3. Clausole di limitazione della responsabilità e inadempimento. - 4. Clausole di limitazione della responsabilità e contrattazione ineguale nel codice civile. - 5. Clausole di limitazione della responsabilità e contrattazione ineguale nelle leggi recenti sul contratto. - 6. Clausole di limitazione della responsabilità e contratti del consumatore.
- 7. Clausole di limitazione della responsabilità e contratti bancari con il consumatore. - 8. Il servizio di cassette di sicurezza. - 9. Clausole di limitazione della responsabilità e contratti finanziari con il consumatore. - 10. Clausole di limitazione della responsabilità e contratti di viaggio.
1. - Contratto e ordine del mercato. La strategia delle norme imperative. Come insegna l’esperienza degli ultimi decenni, un epocale progetto è in corso di esecuzione nell’Unione europea. Concerne la stabilizzazione di un ordine giuridico dello scambio economico: del mercato, all’insegna dei princìpi guida della concorrenza, dello sviluppo sostenibile, della tutela delle soggettività svantaggiate. Un momento essenziale di questa complessa strategia è nella ridefinizione e nella diffusione negli ordinamenti dei Paesi membri di nuove regole sul contratto: di volta in volta inteso come categoria generale di disciplina; come insieme di operazioni raggruppabili sotto una identica tipologia economica; come singolo tipo (vendita, franchising, prestazione di servizi, ecc.).
La ridefinizione dello statuto normativo del contratto si svolge, in questa prospettiva, nel tentativo e nello sforzo di controllare l’esplicarsi della libertà contrattuale. Lo scopo è di inibire il prepotere della parte contrattualmente forte, che altrimenti, in assenza di opportune limitazioni e adeguati controlli potrebbe usare di quella libertà abusandone, e così trasmodare dalla libertà di contratto all’arbitrio contrattuale.
L’obbiettivo della tutela effettiva della libertà contrattuale di tutte le soggettività contraenti (necessario ai fini del conseguimento di dinamiche economiche veramente concorrenziali e rispettose dei diritti e delle libertà delle parti deboli) si può raggiungere restringendo lo spazio tradizionalmente riservato al diritto dispositivo dei contratti a vantaggio dell’ampliamento dell’area contrapposta, riservata al diritto imperativo dei contratti. Per queste ragioni, l’ordine giuridico del mercato, in incessante definizione, è tutto configurato da norme imperative, che governano nei modi più diversi l’esercizio dell’autonomia: proibendo atti e attività; attribuendo e legittimando taluni soggetti a certi atti e a determinate attività; formalizzando – per assicurare la funzionalità degli strumenti – manifestazione e contenuto degli atti.
Un angolo visuale particolarmente felice da cui osservare questi movimenti ordinamentali è dato dalla materia delle clausole contrattuali di limitazione o di esonero della responsabilità di un contraente per fatti relativi all’esecuzione del contratto, e dunque dalla (assai problematica) strutturazione pattizia della responsabilità. Si tratta di clausole tipicamente ricorrenti nella contrattazione seriale d’impresa. Sono finalizzate a ridurre e rendere certo e calcolabile il rischio giuridico insito nella contrattualizzazione di beni e servizi prodotti o commercializzati dall’impresa predisponente (il modulo contrattuale) e offerti sui mercati intermedi e finali. Il fenomeno assume gli aspetti di più netta problematicità proprio con riferimento alla diffusione delle merci e dei servizi sui mercati finali, e dunque con riguardo alla contrattazione tra impresa e consumatore. Conseguentemente, soprattutto con riguardo a quest’ultimo aspetto, sarà trattato in questo contributo.
2. - Clausole di limitazione e clausole di esonero dalla responsabilità. La convenzione di esonero o di limitazione della responsabilità del debitore trova disciplina generale nell’art. 1229 c.c. che dispone la nullità di
qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave. In ogni caso, aggiunge la norma in commento, è nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico. Pertanto, l’art. 1229 c.c.: a) ammette la possibilità della pattuizione di clausole di limitazione o di esonero della responsabilità di una delle parti del contratto; tuttavia non incondizionatamente ma nei limiti b) della colpa lieve e c) alla insuperabile condizione che non confligga con princìpi di ordine pubblico.
La distinzione concettuale tra clausole di esonero e clausole limitative della responsabilità è stata tracciata sulla considerazione che mentre le prime attengono ai criteri volti a stabilire la responsabilità del debitore, invece le seconde – sul presupposto dell’accertata responsabilità – determinano la traduzione dal debitore al creditore di parte del peso economico dell’inadempimento e del danno: in tal senso, come usualmente si dice, fissano un limite al debito di responsabilità. Sembra tuttavia preferibile l’opinione che coglie la differenza non in aspetti qualitativi ma soltanto nella misura quantitativa e di intensità, costituendo l’esonero il limite estremo della conformazione riduttiva della responsabilità. Si spiega agevolmente, in tal modo, come entrambe le tipologie siano assoggettate alla medesima regolamentazione. La trattazione si incentra pertanto sulle clausole di limitazione soltanto perché proprio queste, nella prassi d’impresa, sono effettivamente ricorrenti.
Pur con le cautele dovute quando si esprimono generalizzazioni amplissime, la tendenza al successo delle clausole di limitazione su quelle di esonero sembra ormai costituire (per le ragioni espresse) una tendenza generalizzata nella contrattazione seriale d’impresa.
3. - Clausole di limitazione della responsabilità e inadempimento. Superata è l’opinione tradizionale che identificava le clausole limitative con le pattuizioni sul limite del risarcimento. L’avviso affermatosi ritiene infatti che il termine «responsabilità» richiami nel contesto in esame una complessiva disciplina: quella dell’inadempimento. La limitazione della responsabilità altro non è che la limitazione delle regole sull’inadempimento, delle quali la regola sul risarcimento è soltanto una1.
La limitazione di responsabilità attiene pertanto al patto sul ritardo, sulla risoluzione, sul recesso, e così seguitando. Si precisa anzi che l’ipotesi di un patto sulla colpa, e dunque sul grado di diligenza nell’adempimento, è irrealistica2, anche perché poco utile. La graduazione di un criterio per sua natura elastico e indeterminato non soddisferebbe alle concrete esigenze del traffico, ed esporrebbe all’incertezza della decisione proprio quelle fattispecie che si sarebbe voluto ricondurre entro precisi limiti di prevedibilità e governabilità. La convenzione riguarda, nella massima parte dei casi, eventi che influenzano la prestazione dovuta; che ne determinano la sopravvenuta impossibilità; che riducono lo spazio di tutela sostanziale e processuale normalmente riconosciuto al creditore3.
Poiché oggetto della conformazione è l’(obbligo di) adempimento, le clausole di limitazione si pongono in problematico rapporto con le pattuizioni sul contenuto del contratto (come esemplarmente dimostra la vicenda sul servizio di cassette di sicurezza) e sull’allocazione dei rischi. Allo stesso modo, stabiliscono una relazione di interferenza con altre fattispecie sulla predeterminazione del risarcimento, come la clausola penale. In entrambe le ipotesi, si concretizza il rischio di un uso illecito dell’autonomia privata, volta a confezionare accordi apparentemente rispettosi dei confini di meritevolezza delle clausole di irresponsabilità ma sostanzialmente elusivi degli stessi. La penale irrisoria, la clausola sull’inversione dell’onere della prova, la clausola determinativa dell’oggetto, ben si prestano a «mascherare l’elusione della responsabilità per inadempimento» oltre i limiti ammessi4.
La norma dell’art. 1229 cod. civ. – ambiguamente confezionata con riguardo alla prestazione sul grado
1 Cfr. XXXXXXX, Xxxxxxxx di esonero della responsabilità, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, 400.
2 Cfr. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Commentario del codice civile dir. da Scialoja e Branca, Bologna, 1988, 423.
3 Cfr. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, cit., 423.
4 Cfr. XXXXXXX, Xxxxxxxx di esonero della responsabilità, cit., 423.
della colpa piuttosto che con riferimento al risultato di vietare qualsiasi strategia di contenimento della responsabilità oltre i limiti della colpa lieve – per la sua natura di norma materiale si espone a manovre elusive, tuttavia sanzionabili con la tecnica della frode alla legge.
4. - Clausole di limitazione della responsabilità e contrattazione ineguale nel codice civile. In assenza di una apposita disposizione nel codice del 1865, la dottrina aveva comunque elaborato la regola (di derivazione romanistica) della nullità del pactum ne dolus praestetur equiparando anche (sempre sulla scorta della evoluzione romanistica) al dolo la colpa grave. Si assumeva come lecita e conforme ai princìpi di ordine pubblico e dei buoni costumi soltanto la limitazione di responsabilità per colpa «leggiera»: lecita e anche meritevole di tutela: «La diligenza consueta di un buon padre di famiglia, costituisce la regola ordinaria di responsabilità: la legge vi apporta delle modificazioni sia nel senso di renderla più gravosa, oppure più leggiera […] e le parti a loro volta hanno facoltà di mutare quanto il legislatore ha ordinato, e toccare il limite estremo non solo della colpa, ma anche il caso fortuito quando la legge vuole la responsabilità per la sola colpa leggiera, ed il minimo quando fissa il massimo. I rapporti dei contraenti debbono avere piena libertà nello estrinsecarsi, ed essi sono i giudici dei proprii interessi: se la legge fosse obbligatoria, imperativa in cotesta parte, lungi dal riuscire benefica, incepperebbe nel modo più vieto le civili contrattazioni»5.
Anche al legislatore del 1942 sembra conforme all’esigenza del libero esercizio dell’autonomia privata consentire i patti limitativi della responsabilità per colpa lieve. Si aggiunge ancora: a meno che tale limitazione xxxxx con regole di ordine pubblico, comunque inderogabili. Ecco che i valori di ordine pubblico erodono lo spazio ancora amplissimo della libera iniziativa negoziale, impedendo limitazioni convenzionali di responsabilità altrimenti ammesse. La regola generale viene ripetuta in settori particolari: per es., nella disciplina del mandato nell’art. 1713, comma 2, c.c. La ragione del divieto viene individuata da autorevole dottrina nel rispetto dei dettami della buona fede nella relazione debitore-creditore6, i quali doveri – secondo opinione sempre autorevole – hanno natura di ordine pubblico7.
Già da queste prime notazioni emerge come i valori di ordine pubblico segnino il confine di ogni pattuizione limitativa della responsabilità, quale estrinsecazione oggettivamente problematica di autonomia, spinta fino al punto di compromettere la tutela minima dei diritti (in questo caso del creditore all’esecuzione sufficientemente diligente del debitore), invece inderogabilmente assicurata da leggi proibitive.
Il problema della limitazione convenzionale della responsabilità si presenta nelle forme dei (discutibili) limiti di conformabilità del grado di diligenza ordinariamente richiesto per l’attuazione dell’obbligazione. Le vicende di tali patti si accompagnano indissolubilmente all’evoluzione dell’idea di autonomia privata. Al clima culturale dato dal pensiero liberale ottocentesco si è avvicendato un nuovo modo di sentire, introdotto dall’affermarsi delle istanze solidaristiche: in primo luogo nella Carta costituzionale. In questo fenomeno si apprezza il passaggio dalla visione della contrattazione tra parti (formalmente) uguali alla prospettiva della contrattazione tra parti (sostanzialmente) diseguali.
Nello stesso corpo del codice la limitazione convenzionale di responsabilità è espressamente considerata nella fenomenologia tipica della contrattazione ineguale: la contrattazione di impresa. Le limitazioni convenzionali di responsabilità compaiono nella elencazione delle condizioni generali vessatorie: da approvarsi specificamente per iscritto (art. 1341, comma 2, c.c.: e sono, le clausole limitative della responsabilità, quelle maggiormente ricorrenti nei formulari8). Pertanto, nella contrattazione seriale di impresa la clausola di esonero o limitazione di responsabilità oltre ad essere soltanto per colpa lieve e fatti comunque salvi i divieti di ordine pubblico, resta assoggettata a un onere formale costituito in capo al
5 CHIRONI, La colpa nel diritto civile odierno, Torino, 1884, 313.
6 Cfr. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico (rist.), Napoli, 1994, 103.
7 Cfr. BIANCA Diritto civile. III. Il contratto, Milano, 1987, 473.
8 Cfr. ROPPO, Contratti standard, Milano, 1975, 38.
predisponente e a vantaggio dell’aderente.
Sempre nel codice la conformazione pattizia di responsabilità del contraente professionista viene considerata e vietata in tipologie della contrattazione di impresa. Così nell’art. 1848, comma 4, che dichiara nullo il patto di esonero dal rispetto della diligenza ordinaria da parte della banca che amministra titoli (e la lettura usuale ritiene escluso anche l’esonero per colpa lieve). Così nell’art. 2236, che stabilisce l’esclusione di responsabilità per colpa lieve del prestatore d’opera che deve affrontare problemi tecnici di particolare difficoltà, in tal modo implicitamente vietando qualsiasi limitazione di responsabilità per le altre ipotesi.
Si può ragionevolmente sostenere che la ragione dell’art. 1229 c.c. nell’esigenza del riequilibrio delle posizioni contrattuali nei rapporti di impari forza. Nemmeno sfugge che individuare il fondamento della norma nella salvaguardia dell’equilibrio contrattuale non appare incompatibile, ma invece si concilia, con l’idea che vede nella buona fede e nella correttezza la ragione ispiratrice della norma.
5. - Clausole di limitazione della responsabilità e contrattazione ineguale nelle leggi recenti sul contratto. L’evoluzione della legislazione verso la progressiva tutela della parte debole che contratta è testimoniata da sporadici ma significativi episodi: come l’introduzione nel 1978 dell’art. 1785 quater c.c. sulla nullità di ogni limitazione di responsabilità dell’albergatore (la quale disciplina è espressamente estesa a figure assimilabili dal successivo art. 1786, così da fondare l’avviso che essa costituisca il regime generale della responsabilità dell’impresa per i danni subiti da terzi nei suoi locali9); come pure la posizione dell’art. 12 d.p.r. 24 maggio 1988 in tema di responsabilità del produttore per i danni da prodotti difettosi, statuente anch’esso la nullità di qualsivoglia limitazione convenzionale di responsabilità.
Nel recente passato parte della dottrina ha sostenuto che «Un preconcetto atteggiamento radicalmente negativo nei confronti delle clausole limitative della responsabilità dell’impresa che fornisce merci o servizi e si vale di condizioni contrattuali standard sarebbe senz’altro criticabile: innanzitutto perché, com’è appena il caso di ricordare, non sempre i contratti di massa celano abusi di posizione contrattuale dominante; e poi perché anche nella contrattazione standardizzata l’inserzione di clausole limitative di responsabilità può rispondere ad esigenze economiche apprezzabili non solo dal punto di vista dell’impresa predisponente, ma anche da quello degli utenti del servizio che questa fornisce»10.
Nell’ultimo volgere degli anni, tuttavia, la tutela del contraente debole conquista lo spazio più importante nelle riflessioni che maturano; l’assoluto divieto di esonero convenzionale di responsabilità viene compreso come dovuto al rango di ordine pubblico degli interessi sottoposti a tutela: è questo infatti il caso in cui, secondo il capoverso dell’art. 1229 c.c., nessuna limitazione è ammissibile. In tal senso, con riguardo alla responsabilità del produttore, si è pronunciata autorevole dottrina11.
Nella dottrina formatasi sulle clausole vessatorie non sono mancati tentativi volti a consentire un controllo non solo formale ma anche sostanziale delle clausole onerose: e ciò proprio facendo riferimento al limite posto dall’ordine pubblico (economico) al libero esplicarsi dell’autonomia privata12.
6. - Clausole di limitazione della responsabilità e contratti del consumatore. Un decisivo progresso nella tutela della parte debole nella contrattazione di impresa si realizza però soltanto nel 1996, con l’attuazione della direttiva comunitaria sulle clausole abusive e l’inserimento nel codice civile del capo sui contratti tra professionista e consumatore. Per regola generale sono abusive le clausole che malgrado la buona fede determinano significativi squilibri contrattuali a svantaggio del consumatore (art. 1469 bis, comma 1). Per presunzione relativa, si considerano abusive, tra le altre, le clausole di esonero o di limitazione della
9 Cfr. INZITARI, La responsabilità dell’imprenditore per i danni ai clienti nei locali dell’impresa, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ., dir. da Xxxxxxx, II, Padova, 1978, 408.
10 VISINTINI - CABELLA PISU, in Tratt. Dir. priv., dir. da X. Xxxxxxxx, 0, X, Xxxxxx, 0000, 231-232.
11 Cfr. XXXXXX - XXXXXXXXX, Le clausole di esonero dalla responsabilità, in La responsabilità del produttore, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ., dir. da Xxxxxxx, XIII, Padova, 1989, 233.
12 Cfr. CAVALLI, Le clausole vessatorie nei contratti bancari, in G.B. PORTALE (a cura di), Le operazioni bancarie, I, Milano, 1978, 128.
responsabilità del professionista (art. 1469 bis, comma 3, nn. 1 e 2). Che pero, successivamente, sono ritenute inefficaci anche se oggetto di trattativa (art. 1469 quinquies, comma 2, nn. 1 e 2).
Pur nella confusione redazionale, emerge chiaramente dalla normativa riportata che nei contratti del consumatore soggiace al giudizio di abusività ogni limitazione di responsabilità: non solo quella per dolo o per colpa grave (già illecite ai sensi dell’art. 1229, comma 1, c.c.) ma anche quella per colpa lieve. Il legislatore, effettivamente, non distingue in alcun modo i due ordini di casi, e detta una disciplina unitaria. La questione sulla liceità delle limitazioni di responsabilità in questo settore contrattuale concerne, pertanto, la convenzione limitativa in se stessa.
L’evidente difetto di coordinamento tra le due norme ha fatto ritenere che le clausole di esonero e limitazioni siano da considerare sempre e comunque abusive, ancorché riportate (per refuso) nell’elenco dell’art. 0000 xxx, xxxxx xxxxxxxx solo presuntivamente abusive13. Altra – prevalente – opinione, coordinando le norme apparentemente confliggenti, sostiene invece che per tali clausole la presunzione di abusività continui ad operare, ma in misura rafforzata: per il suo superamento non basta infatti che esse siano state contrattate; occorre, ancora, che esse non determino un significativo squilibrio nella distribuzione dei diritti e degli obblighi contrattuali14.
La tesi sulla abusività senz’altro delle clausole elencate nell’art. 1469 quinquies c.c. appare, tra le due, la più convincente. Un primo argomento si fonda sulla obbiettiva rozzezza con cui il legislatore ha redatto le norme sul contratto tra professionista e consumatore. Errori di traduzione; incertezze lessicali, inesattezze tecniche rinvenibili qua e là nel testo della legge bene spiegano l’ulteriore fenomeno del refuso: e dunque della duplicazione delle stesse previsioni in due norme diverse. Un secondo argomento si fonda sul rilievo che alcune categorie di clausole di esonero non potrebbero mai essere semplicemente presunte come abusive, in quanto sono da considerarsi illecite perché tutte contrarie a evidenti princìpi di ordine pubblico e già sanzionate, nell’ordinamento, con la nullità (cfr. gli artt. 1229 e 1681 c.c. e l’art. 12, d.p.r. 24 maggio 1988, n. 224). Un terzo argomento si origina dall’osservazione che il legislatore non si limita a dichiarare le clausole imputate come (presunte) «abusive» nonostante la negoziazione, ma le qualifica direttamente come «inefficaci» trattandole già con la sanzione (e dunque presupponendo come risolto il giudizio di abusività)15.
Senza contare che nella contrattazione di impresa l’evenienza della trattativa è assolutamente residuale, e sostanzialmente teorica16. La tesi volta a salvaguardare l’esercizio dell’autonomia privata del professionista anche nei problematici ambiti elencati nell’art. 1469 quinquies c.c. valorizzando appunto la presenza e l’assenza di trattativa nel differente meccanismo presuntivo che opererebbe per la c.d. lista grigia (art. 1469 bis c.c.) e per la c.d. lista nera (art. 1469 quinquies c.c.) comporta dunque il pratico e opinabile risultato di appiattire la seconda elencazione sulla prima, svuotandola di ogni effettiva autonomia operativa.
Qualche dubbio potrebbe residuare per le clausole di limitazione della responsabilità elencate nell’art. 1469 quinquies, comma 2, n. 2, c.c., laddove riferite ai soli diritti patrimoniali: è infatti contestato che la tutela di diritti non assoluti ma patrimoniali possa coinvolgere ragioni di ordine pubblico17. Tuttavia, la preoccupazione sembra agevolmente superabile considerando che nel sistema è pacificamente accolta la categoria dell’ordine pubblico economico, concernente appunto i precetti essenziali in tema di relazioni di mercato. Inoltre, se si convenisse sulla liceità della limitazione di responsabilità per i diritti patrimoniali, si dovrebbe accettare una irrazionale divaricazione all’interno dell’art. 1469 quinquies, non potendosi ammettere che la limitazione o esonero da responsabilità per violazione di diritti assoluti sia lecitamente pattuibile, in quanto già altre norme, e prima di tutte l’art. 1229, comma 2, cod. civ. la vieta.
Sembra opportuno ricordare come si sia immediatamente (e concordemente) escluso in dottrina che la
13 Cfr. XXXXXXXX, Contratti stipulati con i consumatori, in Contratto impresa, 1996, 375.
14 Cfr. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, 854.
15 Cfr. DI MARZIO, Illiceità delle clausole abusive, in Giust. civ., 1999, II, 497.
16 Cfr. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari, 2000, 122.
17 Cfr. XXXXXXXXXX, Le clausole di esonero della responsabilità, in CENDON (a cura di), La responsabilità civile, in Il diritto privato nella giurisprudenza, Torino, 1998, 378.
norma dell’art. 1229, comma 1, c.c. possa venire in considerazione, nella materia in oggetto, in merito alla riserva posta dall’art. 1469 ter, comma 3, c.c. sulla non abusività delle clausole riproduttive di disposizioni di legge. Il disposto si riferisce, con ogni evidenza, alle norme imperative inserite dal legislatore nella promozione di determinati interessi e valori, e non anche alle norme – come quella in considerazione – che aprono un ridotto spazio di deroga proprio all’affermazione di tali valori e interessi18.
Se lo sguardo spazia, allargandosi dalla normativa considerata all’ampio panorama in cui essa si è inserita, le conclusioni esegetiche ora formulate trovano più generale conforto. Si deve riflettere che la limitazione di responsabilità nell’attività di impresa è (soprattutto oggi) fortemente combattuta dal legislatore: che la qualifica come vessatoria se contenuta in condizioni generali; che l’ammette solo in casi di eccezionale difficoltà della prestazione se pattuita a favore del professionista intellettuale; che l’esclude recisamente per taluni imprenditori, come l’albergatore, o il produttore per i danni da prodotto. Se così è, nella con- trattazione di impresa in cui è parte anche un consumatore, la limitazione di responsabilità dovrebbe essere giudicata abusiva; in questo ambito l’autonomia privata non dovrebbe conservare apprezzabili spazi di esercizio. Le residuali ipotesi in cui apparirebbe meritevole e funzionale ai traffici consentire limitazioni di responsabilità si esaurirebbero pertanto in quelle indicate con apposita norma dal legislatore. Le ricordate pagine della dottrina classica sulla opportunità delle limitazioni convenzionali di responsabilità per la fluidificazione dei rapporti patrimoniali sembrano assolutamente contraddette dalla realtà attuale dell’ordinamento: segnata da sopravvenute esigenze di tutela del mercato, le quali presuppongono specifici interventi anche sull’atto, e la protezione di determinati soggetti del mercato e quindi dell’atto19. Partendo da questi ultimi, la legislazione recente riconosce in capo ai consumatori e agli utenti i fondamentali diritti alla tutela della salute, della sicurezza; alla qualità di prodotti e servizi; alla trasparenza, all’informazione e alla pubblicità; alla correttezza e all’equità nei rapporti contrattuali (art. 1,
l. 30 luglio 1998, n. 281 sui diritti dei consumatori e degli utenti). Proseguendo, in settori nevralgici del mercato al professionista è fatto obbligo di diligenza, trasparenza, correttezza, equità di trattamento nell’interesse della clientela e anche nell’interesse del mercato, di cui deve essere preservata l’integrità (art. 21 testo unico della finanza). La protezione della parte debole che contratta segue la stessa logica che anima la tutela del mercato. Interessi di categoria e interessi generalissimi ricevono la stessa considerazione e la stessa tutela. I valori essenziali sottesi al mercato unico in corso di edificazione si riaffermano nella tutela di precise soggettività operanti in esso: utenti, consumatori, risparmiatori; e nella imposizione di obblighi di contegno, anche negoziale, ad altre soggettività, contrapposte alle prime: professionisti e imprese.
Infine. Le ragioni di ordine pubblico, costituzionale e comunitario, coinvolte in questo poderoso moto legislativo danno ragione di come si presentino problematiche fattispecie invece limitative della responsabilità, e quindi dell’impegno, richiesti ai gestori istituzionali del traffico. Ecco allora che in contesti di spettacolare novità ancora si ricostituiscono le ragioni sottese alla norma dell’art. 1229, comma 2, c.c. Il generale limite dell’ordine pubblico si erge – con rinnovata incisività – come muro invalicabile dall’autonomia privata tesa alla conformazione riduttiva degli obblighi del professionista.
Mentre nella contrattazione eguale (tra imprese di pari forza; tra privati non imprenditori) vale ancora l’ammonimento classico sulla opportunità di ammettere le limitazioni per colpa lieve (con la naturale operatività dell’art. 1229, comma 1, c.c.), invece nella contrattazione ineguale di impresa opera oramai l’opposto principio. La limitazione convenzionale di responsabilità confligge infatti con interessi particolari e generali insieme: tutti espressione attuale dei valori di ordine pubblico economico accolti nell’ordinamento. Discende l’assorbente applicazione del divieto posto dall’art. 1229, comma 2, c.c. In questa sensibilità di pensiero si è aggiunto che ammettere la possibilità della limitazione pattizia della responsabilità nei contratti seriali appare socialmente pericoloso, perché «quando la clausola di esonero è inserita nelle condizioni generali predisposte dalla grande impresa e quindi viene imposta a tutti gli utenti,
00 Xxx. XX XXXX, Xx clausole vessatorie, Milano, 1996, 19.
19 Cfr. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari,1998, 50.
si sovverte il regime legale della responsabilità: si tratta di un tipici fenomeno di normazione di gruppi economici, che crea un diritto singolare, diverso da quello statuale, a loro esclusivo vantaggio e a sfavore della collettività […]. Le conseguenze pratiche sono gravi e non possono non preoccupare: esse possono essere tollerate solo se il potere delle imprese di riversare sui consumatori una parte dei danni causati è obbiettivamente giustificato»20.
Attesa l’evoluzione degli scambi, degli assetti di mercato, e la nuova sensibilità comunitaria sulla tutela dei diritti dei consumatori, si può facilmente concludere che di quel generale divieto codicistico posto nell’art. 1229, comma 2, le disposizioni dell’art. 1469 quinques, comma 2, c.c. sono settoriale specificazione. Le conclusioni raggiunte sono in linea con importanti interventi legislativi. Si può ricordare in proposito come in alcuni settori dei contratti dei consumatori la legge stabilisca la nullità del patto di limitazione della responsabilità del professionista: si consideri, per i contratti di multiproprietà, l’art. 9, d.lgs. 9 novembre 1998, n. 427; per i contratti negoziati a distanza, l’ampia formula dell’art. 11, comma 1, d.lgs. 22 maggio 1999, n. 185, che ripete il disposto dell’art. 10, comma 2, d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, sui contratti stipulati fuori dai locali commerciali.
7. - Clausole di limitazione della responsabilità e contratti bancari con il consumatore. Nel passato, anche recente, le banche hanno potuto esprimere ampiamente la loro libertà negoziale nella confezione dei contratti, ricorrendo abbondantemente a clausole di traslazione del rischio e di esonero o limitazione della responsabilità. Questo esercizio di autonomia ha superato positivamente – tranne eccezioni – il giudizio di liceità e meritevolezza a cui è tenuta la giurisprudenza. La ragione fondamentale che ha orientato gli interpreti risiedeva nella natura giuspubblicistica assunta nell’ordinamento dall’attività bancaria. Si riteneva operativa – nel settore – una clausola generale, individuata nella funzione bancaria, volta alla composizione gerarchica degli interessi coinvolti nell’attività bancaria, con sistematica compressione di quelli dei clienti a vantaggio di quelli dell’impresa: ritenuti coincidenti con gli interessi di natura pubblicistica21. Il criterio della diligenza nella esecuzione degli incarichi è stato desunto, in questa atmosfera culturale, dalle stesse norme bancarie uniformi: così la categoria professionale si è sovrapposta e sostituita all’interprete e al giudice nella definizioni della diligenza professionale richiesta al banchiere. Le recenti rivoluzioni legislative condotte sotto la spinta del legislatore comunitario – culminate nel 1993 nel testo unico del credito – hanno determinato il superamento della qualificazione dell’attività bancaria come servizio pubblicisticamente connotato e hanno assimilato le banche alle imprese privatistiche senz’altro. La clausola generale della funzione bancaria non è più utilizzabile, e appare segnata da un chiaro carattere di anacronismo. Ad essa ne succede un’altra: sulla sana e prudente gestione (art. 14, comma 2, testo unico del credito). In base a questo criterio la Banca d’Italia autorizza o meno l’esercizio dell’attività, e le vicende essenziali che seguono (fusioni, scissioni: artt. 56 e 57 del testo unico).
La sana e prudente gestione funziona pertanto come settoriale criterio (che si affianca a quello generale della buona fede) di valutazione della specifica professionalità richiesta alla banca a tutela dei terzi e del mercato. Questa specifica professionalità, allargata a settori mai prima conosciuti (come l’intermediazione finanziaria), o sviluppata nei classici ambiti in forme rivoluzionate dalla tecnologia (come per i sistemi di pagamento) o dalle manifestazioni ultime della dinamica economica (come per l’attività di finanziamento che si arricchisce di nuove fenomenologie, quale l’intermediazione negli affari) si mostra molto più elevata che nel passato.
La dottrina e soprattutto la giurisprudenza hanno aggiornato le consuete visioni: come esemplarmente dimostrano le notissime vicende sull’usura, sugli interessi anatocistici, e sulle clausole di limitazione della responsabilità, adesso in esame.
La modulistica in materia di contratti bancari – redatta secondo le indicazioni contenute nelle norme bancarie uniformi – è pesantemente caratterizzata da clausole di contenimento del rischio e di esonero e
20 BENATTI, Le clausole di esonero della responsabilità nella prassi bancaria, in PORTALE (a cura di), Le operazioni bancarie, I, cit., 163.
21 XXXXXXX, Le clausole di esonero della responsabilità nella prassi bancaria, cit., 150.
limitazione della responsabilità. Tra le previsioni più ricorrenti spicca 1) la clausola che pone a carico del cliente il rischio di danni per errori, disguidi o ritardi nella trasmissione delle comunicazioni e degli ordini effettuati 2) o l’altra che obbliga il correntista alla diligente custodia dei moduli di assegni e gli costituisce la responsabilità nel caso di conseguenze dannose per la perdita, sottrazione o uso abusivo degli stessi. 3) E poi la pattuizione che, in assenza di particolari istruzioni del correntista, le modalità di esecuzione degli incarichi assunti sono determinate dalla banca tenendo conto della natura degli stessi e delle procedure più idonee nell’ambito della propria organizzazione (la previsione affida al debitore il parametro di valutazione del suo comportamento: si traduce così in una forma di limitazione di responsabilità). 4) Inoltre, la previsione che esonera la banca da responsabilità per ogni conseguenza derivante da esecuzione di ordini o di operazioni che sia causata dal fatto del terzo o da soggetto scelto dalla banca per l’esecuzione dell’incarico, tranne in questo ultimo caso la colpa della banca nella scelta (la previsione contrasta con gli art. 1228, 1229, comma 2, 1717, comma 1, e 1856 c.c. che stabiliscono la responsabilità del debitore per i fatti dolosi o colposi del terzo di cui si avvale nell’adempimento dell’obbligazione). 5) Più in generale, ricorrono clausole che introducono rinunce, limitazioni di eccezioni, inversioni d’onere o decadenze per il cliente.
Tutte queste tipologie sono state ritenute abusive dalla giurisprudenza22. L’A.B.I. si è conseguentemente impegnata in negoziazioni con associazioni esponenziali degli interessi dei consumatori per la riformulazione delle condizioni generali raccomandate alle banche associate.
La tesi sulla abusività necessaria di ogni limitazione di responsabilità nei contratti del consumatore acquista suggestione. La normativa dedicata non autorizza limitazioni convenzionali di responsabilità: non conferma, nell’ambito dei contratti bancari, lo spazio operativo delle clausole di esonero e limitazione di responsabilità per colpa lieve riconosciuto dal generalissimo art. 1229, comma 1, c.c.
L’evoluzione economica e giuridica dell’attività bancaria, il mutato orientamento culturale della giurisprudenza e, in fin dei conti, degli stessi operatori del credito si mostrano lineari soltanto con la tesi qui sostenuta. Si palesano invece stridenti con qualsiasi perdurante strategia di conformazione della responsabilità del banchiere – e dunque di riduzione e affievolimento del grado di diligenza richiestogli – che pretendesse riconoscimenti in termini di meritevolezza e liceità. E assolutamente distonici con simili strategie perpetrate non nei confronti del cliente genericamente inteso (tuttavia già intensamente tutelato:
v. gli artt. 115 ss. del testo unico del credito) ma nei confronti del cliente consumatore (che già nel testo unico del credito riceve specifica, ancorché settoriale attenzione: artt. 121 ss.) la cui partecipazione alla relazione contrattuale esalta nel professionista così altamente qualificato inevitabili obblighi di protezione. Nel nuovo contesto acquista particolare forza l’opinione, già espressa, sulla contrarietà all’ordine pubblico di qualsiasi limitazione di responsabilità nei contratti bancari in serie23.
8. - Il servizio di cassette di sicurezza. Una trattazione a parte riguarda il tradizionale problema del contratto inerente al servizio di cassette di sicurezza. Nel servizio di cassette di sicurezza la banca risponde verso l’utente per l’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità della cassetta, fatto salvo il caso fortuito. Così dispone l’art. 1839 c.c.
Le banche hanno sempre cercato di mitigare il severo disposto di legge, che le mantiene obbligate al risarcimento eccettuata soltanto l’ipotesi (estrema) del caso fortuito, introducendo nelle condizioni generali di contratto formule in effetti limitative di responsabilità.
Un primo tentativo fu compiuto nel 1954, con la predisposizione dell’art. 16 delle norme bancarie uniformi, a tenore del quale le banche potevano fissare l’ammontare massimo del risarcimento dovuto per il furto o il perimento dei beni riposti. Come è noto, la disposizione non incontrò il favore della giurisprudenza, che vi lesse una vera e propria limitazione di responsabilità, come tale ammissibile nei
22 Sulla scia della decisione di Trib. Roma 21 gennaio 2000, in Foro it., 2000, I, c. 2045.
23 Cfr. Benatti Le clausole di esonero della responsabilità nella prassi bancaria, , cit., 166.
limiti (angusti) stabiliti dall’art. 1229 c.c.: e dunque della colpa lieve24.
Nel(lo stesso) 1976, l’ABI eliminò dalle norme bancarie uniformi l’inutile art. 16 introducendo al suo posto l’attuale art. 2, secondo cui è fatto espresso obbligo al cliente di non riporre nella cassetta locata beni il cui valore superi quello predeterminato in contratto perché in caso contrario egli non sarà rimborsato per l’eccedenza (art. 3, comma 2 n.u.b.). La nuova norma non pone più, direttamente, una limitazione di responsabilità a vantaggio della banca, ma, apparentemente, una obbligazione a carico del cliente (di non riporre beni per valori eccedenti quelli pattuiti), che può essere letta anche come una predeterminazione dell’oggetto del contratto (canone locatizio rapportato a valore massimo dei beni depositabili).
Parte della dottrina e della giurisprudenza di merito ritengono che tale clausola non limiti la responsabilità della banca, ma funzioni come clausola penale, di predeterminazione forfettaria dell’entità del risarcimento, ovvero fissi l’oggetto del contratto25. La giurisprudenza di legittimità, invece, continua a non avere dubbi sulla reale funzione della formula contrattuale: limitare la responsabilità della banca oltre il consentito. Non dubita pertanto della inoperatività della medesima, per nullità, quando si intendano superare i limiti posti dall’art. 1229 c.c.26. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca la migliore dottrina27. La questione, per la sua particolare importanza, è stata sottoposta, ai sensi dell’art. 374, comma 2 c.p.c., all’esame delle Sezioni unite. Si è così riaffermato che secondo il testo dell’art. 1839 c.c., la banca si obbliga a concedere al cliente l’uso di locali idonei al servizio; a custodire tali locali e a tutelare l’integrità della cassetta. Il contratto afferma due interessi: custodia dei beni e segretezza (nemmeno il custode deve essere a conoscenza del depositato). L’obbligo fatto al cliente di non riporre beni per un valore eccedente una soglia astrattamente determinata non incide il contenuto del contratto, articolato in obblighi di sicurezza e custodia da un lato e pagamento del canone dall’altro. Non diversifica, infatti, le obbligazioni a carico della banca, che continua a essere tenuta a custodire assicurando beni di cui ignora tutto. Serve, evidentemente, a limitare la responsabilità del custode rivelatosi negligente. Ma questo può essere fatto solo nei limiti dell’art. 1229 c.c.: della colpa lieve, mai del dolo o della colpa grave28.
La pronuncia a sezioni unite si fa particolarmente interessante là dove affronta il problema della eventuale atipicità di un contratto di servizio di cassette di sicurezza conformato da clausole del tipo di quelle in esame. Potrebbe cioè ipotizzarsi che, per effetto delle clausole di predeterminazione del valore, il contratto divenisse più simile a un deposito (di certi beni, in qualche modo individuati: nel valore) che a una locazione (della cassetta) al fine di deposito e segretezza. E che tale contratto non fosse immeritevole, essendo plausibile rapportare il canone di deposito al valore di quanto viene custodito. Osserva però la Corte che «il valore dichiarato, per non eliminare l’obbligo di segretezza, non dovrebbe estendersi al tipo ed all’identità delle cose [...], dovrebbe limitarsi appunto ad una dichiarazione astratta, indipendente dagli oggetti, che pertanto non entrano nel contratto, come oggetto del deposito. Ed allora, conservandosi l’estraneità delle cose del cliente, rispetto all’obbligo di custodia [...] la struttura del supposto contratto atipico non sarebbe altro che il contratto tipico di cassetta di sicurezza, con aggiunta la clausola in discorso, e cioè una clausola che si sta dimostrando essere nulla, in quanto contraria a norma imperativa. Come possa tale clausola, solo perché qualificata atipica, sottrarsi alla nullità ex art. 1229 c.c., è ancora da
24 Fondamentale fu Cass. 26 marzo 1976, n. 1129, in Foro it., 1976, I, c. 1531.
25 Cfr. Trib. Roma 27 febbraio 1982, in Banca, borsa, 1984, II, 99; Trib. Napoli 16 marzo 1984, ivi, 1985, II, 506; Trib. Firenze
8 aprile 1987, in Giur. mer. 1988, I, 24.
26 Tra le pronunce più importanti, Cass. 7 maggio 1992, n. 5421, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 369; Cass. 12 maggio 1992, n. 5617,
ivi, 1993, I, 1, c. 2119.
27 Cfr. XXXXXXX, Le clausole di esonero della responsabilità nella prassi bancaria, cit., 184.
28 Cfr. Cass Sez. Un. 1° luglio 1994, n. 6225, in Giur. it., 1995, I, 1, c. 206.
dimostrare»29. Nello stesso senso si è pronunciata la giurisprudenza successiva30.
La modulistica contrattuale attualmente in uso prevede una clausola secondo cui «l’utente è tenuto a dichiarare il massimale assicurativo adeguato a coprire il rischio della banca medesima per il risarcimento dei danni che dovessero eventualmente derivare all’utente dalla sottrazione, dal danneggiamento o dalla distruzione delle cose contenute nella cassetta»; il canone da corrispondere per l’utilizzo della cassetta è solitamente rapportato al massimale assicurativo indicato dal cliente.
Questa previsione è frutto della riformulazione consigliata dall’ABI alle associate nel 1995. Nemmeno quest’ultima versione è tuttavia esente da vizi. Infatti, mira a conseguire la stessa limitazione abusiva di responsabilità ritenuta inammissibile dalla costante giurisprudenza. L’obbligo di dichiarazione del massimale da assicurare collegato al canone della cassetta e al diritto di rivalsa della banca eventualmente condannata per danni maggiori altro non è che l’ennesima riproposizione dell’obbligo del cliente di non riporre beni per un valore superiore a quello pattuito. Il corrispettivo per il servizio è modulato sul rischio assunto, e ciò in contrasto – per quanto appena detto – con lo schema causale del contratto31.
Nell’ambito dei contratti del consumatore, tale patto è certamente abusivo ai sensi della regola generale di cui all’art. 1469 bis, comma 1, c.c. poiché introduce un significativo squilibrio di diritti e obblighi a svantaggio del cliente. Esso è pertanto inefficace (o meglio, nullo) ai sensi dell’art. 1469 quinquies, comma 1, c.c.
La sanzione di assoluta inefficacia discende anche dalla lettura dell’art. 1469 quinquies, comma 2, n. 2 c.c., secondo cui sono inefficaci, quantunque oggetto di trattativa individuale, le clausole che abbiano per oggetto di escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di inesatto adempimento.
9. - Clausole di limitazione della responsabilità e contratti finanziari con il consumatore. Le osservazioni svolte sui contratti bancari possono agevolmente riproporsi in tema di contratti sui servizi finanziari, dove la banca, insieme agli altri intermediari, assume il ruolo di protagonista del traffico giuridico32.
Soprattutto nella materia dell’intermediazione finanziaria assume massimo rilievo la professionalità del soggetto legittimato a operare sul mercato; professionalità che si evidenzia in tutto il suo complesso contenuto con riguardo all’obbligo di diligenza costituito in capo all’intermediario. Come accennato indietro, l’art. 21 del testo unico sulla finanza fissa obblighi di contegno in capo agli operatori: che sono tenuti alla correttezza, alla trasparenza (sia nell’interesse dei clienti che per l’integrità dei mercati); all’equo trattamento; alla gestione sana, prudente e indipendente adottando misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti.
La dottrina che ha riflettuto sul fenomeno dell’intermediazione mobiliare ha variamente ricostruito la relazione tra questi obblighi e quelli generali alla diligenza e alla buona fede, intendendo i primi come specificazione dei secondi; oppure come integrazioni degli stessi; o ancora riferendo i primi alla valutazione del rapporto-cornice di intermediazione e i secondi alla considerazione dei singoli rapporti su di esso instaurati33.
La funzione precipuamente svolta dai criteri innovativi è stata colta nell’esigenza di garantire gli interessi degli investitori, soprattutto se tecnicamente non qualificati, rispetto alla controparte professionale34.
La diligenza richiesta al professionista mandatario è valutata dall’ultima giurisprudenza con giusto rigore, calibrandola sulla natura dell’attività esercitata. In tal modo si disegna una inversione di rotta rispetto al
29 Cass Sez. Un. 1° luglio 1994, n. 6225, cit.
30 V. soprattutto: Cass. 4 febbraio 1995, n. 1339; Cass. 23 febbraio 1995, n. 2067; Cass. 11 agosto 1995, n. 8820; Cass. 24 gennaio 1997, n. 750; Cass. 27 agosto 1997, n. 2065; Cass. 10 gennaio 1998, n. 158, in Giur. it., 1998, 499; Cass. 10 febbraio 1998, n. 1355, in Foro it., 1998, I, c. 2180; Cass. 10 settembre 1999, n. 9640, in Foro it., 2000, I, c. 531.
31 Cfr. Cass. 7 marzo 2003, n. 3389.
32 Cfr. DI MARZIO, Abuso nella concessione del credito, Napoli, 2004, 76.
33 V. per es. ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993, 180.
34 Cfr. XXXXXXX, La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1996, 136.
passato, quando i giudici – usando il richiamo alla diligenza del buon padre di famiglia – erano inclini a svalutare la specificità dell’attività professionalmente esercitata dal mandatario, e i connessi obblighi di attenzione e cura nell’attuazione dell’incarico.
Assai significativamente, nella nuova giurisprudenza, si afferma: «in tema di mandato conferito a fine di gestione di titoli azionari, la diligenza del mandatario, al pari della buona fede e della correttezza nell’esecuzione della prestazione dovuta (artt. 1710, 1175, 1375 c.c.), assume un contenuto particolarmente pregnante, trattandosi di contratto che conferisce ad una delle parti una posizione (peculiare e) preminente (essendole rimesso il potere di controllo dell’andamento del mercato azionario), così che il rischio connaturato alle operazioni finanziarie convenute ab origine ed in modo generico con il dominus va rettamente distribuito alla stregua delle suddette regole di integrazione del contratto applicate secondo canoni particolarmente rigorosi»35.
Sulla base degli esposti rilievi, benché nella legislazione di settore non compaiano disposizioni sulla limitazione o sull’esonero convenzionale della responsabilità (pertanto non ammessa ma nemmeno proibita), l’esercizio dell’autonomia privata si potrebbe ritenere precluso in questa direzione già ai sensi dell’art. 1229, comma 2, c.c., cozzando con fondamentali valori di ordine pubblico economico (tutela dell’investitore e dell’integrità dei mercati) all’insegna dei quali è legislativamente costruito il concetto di
«diligenza professionale» dell’intermediario finanziario.
La conclusione non può che rafforzarsi nel contesto dei contratti del consumatore: per la previsione dell’art. 1469 quinquies c.c. e per la più intensa esigenza di tutela degli interessi dell’investitore non qualificato ed esposto all’altrui prepotere contrattuale.
10. - Clausole di limitazione della responsabilità e contratti di viaggio. A differenza di quanto si è visto accadere nei settori appena considerati, nei contratti di viaggio il legislatore presta – per tradizione – notevole attenzione al problema della limitazione di responsabilità, affermando soluzioni articolate, che strutturano legalmente l’obbligo di responsabilità dell’imprenditore. Alcune discipline, infatti, escludono il patto sulla responsabilità (v. gli artt. 1681 cod. civ. e 415 cod. nav.) o lo conformano specificamente (art. 948 cod. nav.).
La normativa sui pacchetti turistici tratta analiticamente la materia fissando il principio dalla risarcibilità dei danni nei limiti di quanto stabilito dalle convenzioni internazionali che disciplinano la materia, e di cui sono parti l’Italia o l’Unione europea (art. 15, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111). La legge facultizza le parti alla limitazione convenzionale di responsabilità, ma sempre in specificati limiti: qui fissati dalla Convenzione sul contratto di viaggio firmata a Bruxelles il 23 aprile 1970; in caso di nessuna pattuizione la responsabilità è riconosciuta negli stessi limiti (art. 16). Le ipotesi di esonero dalla responsabilità sono legalmente stabiliti (art. 17). Tutta questa normativa è imperativa; la sua disattenzione è sanzionata con la nullità36.
La dottrina si pone il problema del rapporto tra questa legislazione e quella sopravvenuta a tutela del consumatore, che invece prevede limitazioni più restrittive, o – per come ritengo – l’abusività senz’altro della limitazione convenzionale di responsabilità. Sembra tuttavia che il problema trovi agevole soluzione nel rilievo che l’art. 1469 ter, comma 3, c.c. esclude l’abusività di clausole riproduttive di disposizioni di legge o attuative di princìpi contenuti in convenzioni internazionali ratificati da tutti gli Stati dell’Unione o di cui sia parte l’Unione stessa.
Pertanto, le limitazioni legali di responsabilità e le limitazioni pattizie rispettose dei parametri legalmente prefissati non possono essere considerate abusive. In tali limiti, appare conforme all’ordine pubblico economico, appare funzionale all’ordine giuridico e dunque alla funzionalità e all’efficienza del mercato
35 Cass. 15 gennaio 2000, n. 426, in Foro it., 2000, I, c. 1160; nella giurisprudenza di merito v. Trib. Bari 3 maggio 2001, in
Contratti, 2001, 901.
36 Cfr. XXXXXXX, Il contratto di viaggio, Milano, 1998, 253; 282; XXXXXXX, Viaggi organizzati e tutela del consumatore, Napoli, 1999, 174.
che la limitazione di responsabilità – negli inderogabili limiti fissati – operi.
Il fenomeno dimostra come il legislatore, quando ha ritenuto di consentire, per superiori ragioni, limitazioni di responsabilità nei contratti del consumatore, ha espressamente disciplinato la materia scongiurando qualsiasi pericolosa iniziativa degli operatori professionali. Tali discipline si pongono in deroga con il divieto espresso dalla disciplina generale del 1996, che le ha comunque tenute in considerazione ed espressamente salvaguardate. Proprio questa evidente preoccupazione dimostra, con la forza dell’argomento contrario, l’abusività del patto sulla responsabilità in tutti gli altri casi.
In fin dei conti, nemmeno in questo settore contrattuale l’autonomia privata ha un effettivo spazio operativo. Esso è tutto precostituito dalla legge. I privati non possono che adeguarsi, come difatti si adeguano predisponendo formulari pedissequamente riproduttivi delle regole di legge. In questi limiti la giurisprudenza non sanziona le clausole limitative della responsabilità37. La limitazione di responsabilità nei contratti del consumatore si riconferma territorio sottratto all’incidenza della iniziativa negoziale.
La conclusione sul complesso problema delle limitazioni di responsabilità nei contratti del consumatore è che (esse) devono ritenersi sempre e comunque abusive: come indica la logica sottesa alla tutela nei vari settori di intervento, e come pure è deducibile dalla disciplina generale del codice. L’opinione prevalente sulla natura c.d. attenuata della lista nera, nel tentativo di salvaguardare una qualche razionalità interna a quest’ultima disciplina rischia l’effetto di volgere quella intrinseca irrazionalità su tutto il sistema contrattuale di riferimento. Ciò che infatti sarebbe permesso dalla regola generale – il negoziato sulla responsabilità che non determini effetti iniqui – resta con ogni probabilità escluso dalle regole particolari.
Xxxxxxxx Xx Xxxxxx
37 Cfr. la rassegna di BONAVITACOLA, Il contratto di viaggio nella giurisprudenza, Milano, 2001, 133; 185; 213.