COLLEGIO DI BOLOGNA
COLLEGIO DI BOLOGNA
composto dai signori:
(BO) MARINARI Presidente
(BO) XXXXX XXXXXXXX VELI Membro designato dalla Banca d'Italia (BO) DI STASO Membro designato dalla Banca d'Italia
(BO) SOLDATI Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(BO) ALVISI Membro di designazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXXXX
Seduta del 30/11/2017
FATTO
Con ricorso presentato in data 27.2.2017, previo reclamo in data 16.1.2017, l’attrice rappresentava di aver stipulato con l’intermediario, in data 14.1.2011, il contratto di mutuo ipotecario n. ***296, per l’importo di euro 230.048,51, finalizzato all’acquisto di un immobile. Tale contratto di mutuo era a sua volta collegato al c/c ***998, acceso dalla medesima ricorrente presso il medesimo intermediario. La controversia nasce dal fatto che, all’atto del perfezionamento del mutuo ipotecario, la banca otteneva la garanzia fideiussoria della figlia della ricorrente, fino all’importo di euro 460.000, oltre all’attivazione di una polizza assicurativa a copertura dei rischi vita, invalidità ed infortuni della mutuataria, fino all’importo di euro 230.000 (che costava alla mutuataria il premio, una tantum, di euro 10.000). La ricorrente lamentava tuttavia che, al momento del perfezionamento del contratto di mutuo ipotecario, ciò che era stato chiesto a sua figlia dal direttore dell’epoca dell’agenzia dell’intermediario, era invece la “sottoscrizione del contratto di mutuo ai soli fini anagrafici” oltre all’apertura di un distinto conto corrente presso l’intermediario. Secondo quanto prospettato dalla ricorrente, solo in data 29.12.2015 la figlia si avvedeva di avere invece sottoscritto l’assunzione di un’obbligazione fideiussoria, in quanto riceveva dall’intermediario, per conoscenza, in qualità di fideiussore, la lettera di risposta indirizzata alla madre con la quale l’intermediario accoglieva una richiesta da quest’ultima formulata in data 18.12.2015, concedendole la
sospensione del pagamento delle n. 3 rate del mutuo con scadenza al 31.12.2015, 31.1.2016 e 29.2.2016. La ricorrente contestava pertanto all’intermediario che la fideiussione della figlia non era mai stata espressamente pattuita, affermando che l’intermediario aveva chiesto i dati della figlia “a soli fini anagrafici”, avendo la mutuataria già sottoscritto una polizza assicurativa a copertura dei rischi vita, invalidità e infortuni per la quale aveva pagato, una tantum, un premio di 10.000,00 euro.
La ricorrente lamentava, dunque, che l’intermediario avesse tenuto un comportamento contrario a buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative, in violazione dell’art. 1337 c.c., e chiedeva all’ABF di “ordinare” alla resistente di “eliminare il nominativo della figlia (…) quale garante dal contratto di mutuo CF 741296 e mantenerlo ai soli fini anagrafici”.
L’intermediario, ritualmente costituitosi, depositava le proprie controdeduzioni in data 6.4.2017, cui allegava copia del contratto di mutuo ipotecario, concludendo in via preliminare per l’inammissibilità del ricorso “ancorché completo di tutti gli elementi sostanziali necessari”, poiché la ricorrente non aveva utilizzato la modulistica ufficiale ABF, in contrasto con le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari.
Nel merito, l’intermediario eccepiva l’infondatezza del ricorso e deduceva la correttezza del proprio operato, ivi compreso il rifiuto di rinegoziazione del mutuo ipotecario sul versante delle garanzie offerte, sia in quanto la figlia della ricorrente aveva assunto espressamente l’obbligazione fideiussoria, partecipando come fideiussore alla stipulazione del mutuo ipotecario, sia in quanto la liberazione del fideiussore non risultava esigibile in considerazione del merito di credito della mutuataria “in quanto l’incidenza della rata rispetto al reddito dichiarato [dalla mutuataria] sarebbe risultata eccessiva” (atteso che nel 2015/2016, anno in cui era stata richiesta la rinegoziazione del mutuo mediante liberazione del fideiussore, la mutuataria aveva dichiarato un reddito inferiore rispetto all’anno in cui il mutuo era stato perfezionato).
Successivamente, in data 24 aprile 2017, la ricorrente depositava un’integrazione del ricorso mediante deposito del modulo ABF compilato e sottoscritto oltre che dalla stessa anche dalla figlia, non in qualità di “contitolare” del rapporto oggetto del ricorso, bensì in qualità di “garante” del rapporto controverso, che si confermava così essere il mutuo ipotecario. La figlia della ricorrente, con la sottoscrizione del modulo ABF, dichiarava di aderire al ricorso stesso accettandone integralmente i contenuti. Anche l’integrazione veniva portata a conoscenza dell’intermediario tramite pec.
La ricorrente replicava, poi, con memoria depositata in data 14.6.2017, con la quale confermava quanto dedotto nel ricorso e contestava sia l’eccezione di inammissibilità (precisando che il ricorso era stato redatto utilizzando la modulistica ufficiale con allegati, in quanto il modulo non ha spazio sufficiente per l’esposizione completa dei fatti, laddove lo stesso intermediario aveva riconosciuto che il ricorso era completo di tutti gli elementi sostanziali necessari) che l’eccezione di infondatezza (osservando che il proprio reddito era risultato solo temporaneamente inferiore a causa del mancato pagamento delle fatture emesse per la liquidazione degli onorari di difensore d’ufficio e per il patrocinio a spese dello Stato).
DIRITTO
X. Xxxx’inammissibilità del ricorso per mancato utilizzo della modulistica ufficiale. L’intermediario ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancato utilizzo della modulistica ufficiale da parte della ricorrente. Parte ricorrente ha precisato di avere utilizzato l’apposito modulo ABF integrandolo con degli allegati.
Nelle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, sez. VI par. 1, è previsto che “Il ricorso è sottoscritto dal cliente (…). Esso è redatto utilizzando la modulistica pubblicata sul sito internet dell’ABF e reperibile presso tutte le filiali della Banca d’Italia aperte al pubblico”.
Il ricorso è inizialmente pervenuto in data 27.2.2017 (n. prot. 260778/17), redatto su carta intestata della ricorrente, completo delle seguenti informazioni: residenza della ricorrente, data del reclamo, dichiarazione che la controversia non è stata sottoposta all’autorità giudiziaria. Successivamente, in data 24.4.2017, è pervenuta dalla ricorrente un’integrazione (n. prot. 543198/17) sul modulo compilato secondo le Disposizioni. L’integrazione è stata inoltrata all’intermediario con nota del 26.4.2017.
Il Collegio ritiene che il ricorso sia ammissibile tenuto conto anche della giurisprudenza dell’ABF sul punto.
Si richiama, ex multis, il Collegio di Napoli, decisione n. 442 del 19.1.2017 che, a proposito del mancato utilizzo della modulistica di accesso al procedimento dinanzi all’Arbitro bancario finanziario, che si trova disponibile sul relativo sito internet, ha ritenuto che “La questione va risolta sul piano sostanziale, nel senso che la redazione del ricorso sulla modulistica ufficiale tende ad assicurare che le domande al Collegio abbiano tutti i requisiti essenziali, quali dati anagrafici, data e sottoscrizione, copia del reclamo, dichiarazione di mancata sottoposizione della controversia all’Autorità giudiziaria, documento di identità della parte ricorrente, copia del versamento del contributo spese”. Ove tutti questi elementi siano desumibili dall’istanza presentata da parte ricorrente, “una interpretazione eccessivamente formalistica dell’obbligo di utilizzare la modulistica dedicata si porrebbe in contrasto con la finalità di fornire uno strumento agevole e snello di risoluzione alternativa delle controversie, tutte le volte in cui la funzione dell’Arbitro può essere comunque adeguatamente svolta perché sono stati allegati gli elementi essenziali dell’atto di accesso al procedimento».
B. Qualifica della ricorrente come non consumatore.
In via preliminare, ai fini dell’individuazione della corretta composizione del Collegio ai sensi dell’art. 4, sez. III, del “Regolamento per il funzionamento dell’Organo decidente dell’ABF”, pare opportuno al Collegio esaminare la qualità con cui agisce parte ricorrente, la quale si identifica nel ricorso come “non consumatore”.
E’ compito del Collegio valutare, alla luce delle evidenze acquisite agli atti, la plausibilità della qualifica con cui parte ricorrente dichiara di agire, e dunque se il contratto oggetto di controversia sia stato concluso dalla ricorrente nell’ambito della sua attività professionale ovvero per scopi di natura professionale oppure per scopi di natura privata (Coll. Coord., Decisione n. 5368/2016).
Nella corrispondenza preliminare allegata al ricorso, redatta su carta intestata della ricorrente, risulta che il domicilio professionale di quest’ultima si trova all’indirizzo, che è al tempo stesso anche l’indirizzo di residenza della ricorrente, come viene dichiarato nel ricorso.
Dagli atti e dai documenti allegati al ricorso emerge che la ricorrente ha contratto il mutuo ipotecario in relazione al quale pende controversia per acquistare l’immobile, ad uso di civile abitazione, che è collocato all’indirizzo, in cui la ricorrente dichiara attualmente sia il suo domicilio professionale che la sua residenza. Parrebbe dunque trattarsi di un contratto (di mutuo) finalizzato ad un acquisto ad uso promiscuo (abitazione e studio professionale) tale da escludere la ricorrenza nel caso di specie di un atto di consumo ai sensi della definizione di consumatore contenuta nell’art. 3 d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206.
Come è noto l’art. 3 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005) definisce il “consumatore o utente” come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.
Come è noto, l’orientamento reso oggi prevalente dallo scrutinio della Corte di Giustizia UE, esclude che possa considerarsi atto di consumo quello compiuto per uno scopo anche solo parzialmente professionale (cfr. in tal senso Xxxxx xx Xxxxxxxxx XX, 00 gennaio 2005, causa C-464/01 che, pronunciandosi in sede pregiudiziale con riguardo alla corretta interpretazione dell’art. 13, comma 1 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, ed al fine di verificare la ricorrenza dei presupposti per la deroga al foro del convenuto, ha negato che un contratto concluso per finalità promiscue possa essere imputabile ad un consumatore).
In conclusione, nel caso di specie non risultano agli atti elementi tali da indurre il Collegio a contestare l’esposizione della ricorrente che, come si è detto, ha dichiarato di agire quale “non consumatore”, laddove nessuna contestazione sul punto è stata sollevata dall’intermediario.
C. Nel merito, la richiesta di “eliminazione del nominativo del fideiussore”.
La domanda sottoposta al Collegio ha ad oggetto un non meglio precisato ordine di “eliminazione del nominativo del fideiussore” dal contratto di mutuo ipotecario perfezionato dalla ricorrente con la banca a causa del comportamento asseritamente scorretto, per violazione dell’art. 1337 c.c., tenuto dall’intermediario in pendenza delle trattative. Secondo quanto riferisce la ricorrente, l’intermediario avrebbe fatto sottoscrivere a sua figlia, a sua insaputa, l’obbligazione di garantire come fideiussore il debito della madre derivante dal contratto di mutuo ipotecario stipulato nel 2011, dichiarando ingannevolmente di acquisirne i dati “a soli fini anagrafici”. La ricorrente chiede quindi all’ABF di ordinare all’intermediario “di eliminare il nominativo della figlia (…) quale garante del contratto di mutuo CF 741296 e mantenerlo ai soli fini anagrafici, come era stato dichiarato all’atto della concessione del mutuo dal direttore della filiale (…) nel gennaio 2011”.
Il Collegio osserva che, attesa l’estrema genericità della formulazione della domanda, si pone preliminarmente un problema di corretta qualificazione giuridica della stessa al fine di verificarne l’ammissibilità.
Se la domanda dell’attrice dovesse intendersi come domanda intesa all’annullamento del contratto di fideiussione per dolo della controparte, il collegio dovrebbe allora rilevare che il contratto di fideiussione, rispetto alla ricorrente, è res inter alios acta, trattandosi di contratto perfezionato dalla figlia con l’intermediario, cosicché sembrerebbe prospettarsi, sulla base della stessa formulazione del ricorso, la carenza di legittimazione ad agire dell’attrice e la sua domanda dovrebbe essere dichiarata inammissibile. La ricorrente verrebbe, infatti, ad esercitare in nome proprio, con inammissibile sostituzione processuale, l’azione ex art. 1441, comma 1 c.c. in ipotesi spettante solo alla figlia, che è parte del contratto di fideiussione e che, secondo la prospettazione dell’attrice, sarebbe stata indotta in errore essenziale dagli artifici e raggiri della controparte. In tale evenienza, resterebbe da verificare se, aderendo al ricorso mediante sottoscrizione del modulo ABF in data 24 aprile 2017, la figlia della ricorrente abbia inteso esercitare in nome proprio la domanda di annullamento per dolo del contratto di fideiussione di cui è parte. Tuttavia, a ben vedere, la figlia della ricorrente ha sottoscritto il modulo ABF, non in qualità di “contitolare” del rapporto oggetto del ricorso, bensì in qualità di “garante” del rapporto oggetto del ricorso, che si conferma così essere il mutuo ipotecario. Tanto porterebbe il Collegio ad escludere che la domanda indirizzata all’ABF sia una domanda di annullamento del contratto di fideiussione per dolo, domanda che sarebbe, come detto,
inammissibile in capo alla ricorrente, per carenza della sua legittimazione ad agire per l’annullamento della fideiussione, e comunque infondata, benché ammissibile, in capo alla figlia della ricorrente, per mancanza di prova degli artifici e raggiri integranti il dolo contrattuale.
Come si è detto, la figlia della ricorrente ha sottoscritto il modulo ABF dichiarando di aderire al ricorso in qualità di “garante” del “rapporto oggetto del (…) ricorso”, che quindi si conferma essere il mutuo ipotecario e non già il contratto di fideiussione. In ogni caso il Collegio ritiene opportuno considerare l’ipotesi che la domanda avanzata dall’attrice con il ricorso sia intesa alla dichiarazione della nullità del contratto di fideiussione per mancanza di accordo, azione che ai sensi dell’art. 1421 c.c. può essere esercitata da “chiunque vi ha interesse”, così come la nullità contrattuale “può essere rilevata d’ufficio dal giudice”. In tal caso, la domanda della ricorrente dovrebbe essere dichiarata ammissibile, e tuttavia il Collegio la riterrebbe infondata nel merito per le ragioni che di seguito si illustrano.
L’intermediario, costituendosi, ha depositato il contratto di mutuo ipotecario, redatto per atto pubblico notarile in data 14.1.2011. Nell’atto pubblico, sottoscritto anche dalla figlia della ricorrente in qualità di “parte garante” sia in calce che in ogni pagina, compresi gli allegati (capitolato, documento di sintesi e piano di rimborso), il notaio dichiara che, all’atto della stipulazione del mutuo ipotecario, è intervenuta anche la figlia della mutuataria, la quale ha dichiarato nei confronti della banca “di prestare fideiussione, in via solidale e indivisibile, per sé e successori, fino alla concorrenza dell’ “Importo della Fideiussione” per il pieno e puntuale adempimento di tutte le obbligazioni assunte dalla “Parte Mutuataria” con il presente contratto e fino alla completa estinzione delle stesse (con espressa rinuncia al termine di liberazione di cui all’art. 1957 c.c.), in particolare per la restituzione del capitale mutuato, per il pagamento dei relativi interessi, anche di mora e accessori, per il rimborso delle spese e in genere per qualsiasi altro titolo anche accessorio che si riferisca al presente contratto (…)” (art. 7bis).
A ciò si aggiunga che in “Conclusione” d’atto il notaio dichiara “(…) quest’atto dattiloscritto da persona di mia fiducia e in ogni parte scritto di xxx mano per ventiquattro pagine di sei fogli, viene da me Notaio letto ai Comparenti che approvano e sottoscrivono alle ore quattordici e quarantacinque”.
Come è noto, ai sensi dell’art. 2700 c.c. “l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, (…) delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.
La ricorrente non ha dedotto né provato di aver presentato querela di falso nei confronti del notaio rogante. Si deve, pertanto, ritenere pienamente provata la dichiarazione espressa della volontà della figlia della ricorrente di assumere nei confronti dell’intermediario l’obbligazione di garantire il debito della madre, che è quanto basta ai fini del perfezionamento dell’accordo contrattuale ai sensi dell’art. 1333 c.c. che, come è noto, si applica al perfezionamento del contratto di fideiussione in quanto contatto unilaterale. Risulta, altresì, comprovata la conoscenza e l’approvazione da parte della figlia della ricorrente dei contenuti dell’atto pubblico, contenente anche l’accordo fideiussorio, il che, in mancanza della prova degli artifici e raggiri dedotti dalla ricorrente (che sarebbero peraltro solo causa di annullabilità e non di nullità), conferma l’esistenza e la validità del relativo accordo contrattuale.
Come è noto, ai fini della validità dell’accordo fideiussorio sotto il profilo dei requisiti formali, è sufficiente che la volontà di prestare fideiussione sia espressa (ex art. 1937 c.c.), escludendosi solo che il contratto possa perfezionarsi per fatti concludenti. L’assunzione dell’obbligazione fideiussoria da parte della figlia della ricorrente risulta espressa in atto pubblico in modo chiaro ed inequivoco oltre che in forma dotata di pubblica fede (ex art. 2700 c.c.).
Si deve poi rilevare, per quanto occorrer possa, che si dovrebbe pervenire alla stessa conclusione anche nel caso in cui la debitrice garantita non si fosse avveduta del tenore dell’obbligazione assunta dalla figlia atteso che, ai sensi dell’art. 1936, comma 2, c.c., “la fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza”.
Alla luce di quanto sopra il Collegio dichiara pertanto che la domanda della ricorrente, ove intesa alla dichiarazione di nullità del contratto di fideiussione per mancanza di accordo, deve essere respinta perché infondata.
D. (segue) La rinegoziazione del mutuo.
Il collegio ritiene, alla luce di quanto sopra osservato, che la domanda oggetto del ricorso debba più correttamente essere riqualificata come richiesta di condanna dell’intermediario a rinegoziare il mutuo ipotecario perfezionato dalla ricorrente con esclusione della fideiussione, a fronte dell’asserita violazione da parte dell’intermediario del dovere di buona fede ex art. 1337 x.x. xxx xxxxx xxxxx xxxxxxxxxx x xxxxx xxxxxxx assicurativa comunque offerta dalla mutuataria alla banca creditrice.
Il collegio ritiene, tuttavia, che tale domanda risulti infondata nel merito e debba essere rigettata per i seguenti motivi.
Con riferimento alla sottoscrizione della polizza assicurativa facoltativa, che secondo la ricorrente sarebbe alternativa alla garanzia fideiussoria, il Collegio osserva che, al contrario, il contratto di mutuo prevede espressamente che quest’ultima “è indipendente da qualsiasi altra garanzia prestata a favore della banca nell’interesse della parte mutuataria”, ammettendone dunque il cumulo con altre garanzie.
Inoltre, con riferimento alla rinegoziazione del mutuo, mentre la ricorrente non ha offerto alcuna prova dell’asserita violazione del dovere di buona fede ex art. 1337 c.c. da parte dell’intermediario, per converso l’intermediario ha correttamente motivato il rifiuto della richiesta di rinegoziazione rivoltagli dalla ricorrente con considerazioni riferite alla valutazione del suo merito di credito, fondate sulla stima sia dell’immobile gravato da ipoteca che dei redditi di quest’ultima. In particolare, con la missiva datata 6 dicembre 2016, la banca precisava di aver esaminato la dichiarazione dei redditi dell’anno 2015 (Unico 2016) e di aver ritenuto di non dare corso alla richiesta negoziazione in considerazione “della ritenuta eccessiva incidenza che avrebbe avuto la rata rispetto al reddito dichiarato”.
Secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questo Collegio, la valutazione del merito creditizio del cliente che chiede la rinegoziazione di un finanziamento già concesso è una prerogativa della banca, che gode in proposito di ampia discrezionalità, così da rendere incoercibile la rinegoziazione che sia stata rigettata sulla base della predetta valutazione.
In tal senso il Collegio di Bologna, con la decisione n. 7668 del 28.6.2017, ha ritenuto che la domanda di condanna dell’intermediario a rinegoziare un finanziamento fuoriesce dal sindacato dell’Arbitro “in quanto implicante l’imposizione di una condotta non coercibile” laddove la relativa decisione si fondi sulla valutazione “del cosiddetto “merito creditizio”; materia sulla quale esiste un orientamento consolidato dei Collegi secondo il quale esso costituisce una prerogativa degli istituti eroganti (cfr., ex multis, Collegio di Coordinamento, n. 6182/13; Collegio di Milano, n. 1868/14 e 1597/11; Collegio di Roma, n. 11238/16, n. 4425/16; n. 1004/16; n. 3195/14; n. 3189/13)».
D’altro canto, la valutazione sulla base della quale la banca ha ritenuto, nel caso di specie, di rigettare la domanda della ricorrente intesa alla rinegoziazione del mutuo ipotecario, non è contraddetta ma semmai confermata da quanto dedotto dalla ricorrente che, da un lato ammette di aver chiesto la sospensione del pagamento di alcune rate del mutuo, e dall’altro giustifica la propria situazione reddituale, che al momento della richiesta di rinegoziazione risultava inferiore a quella di cui godeva all’epoca della stipula, con il ritardo nel pagamento di crediti dalla stessa maturati nei confronti della pubblica amministrazione.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1