PROVINCIA DI AREZZO
PROVINCIA DI AREZZO
Assessorato alle Politiche del Territorio
Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale
Indicazioni
Maggio 2000
NORME RICHIAMATE DAGLI ALLEGATI da E a K CONTENENTI LE
INDICAZIONI AI SENSI DEL COMBINATO DISPOSTO DELL’ART. 3, COMMA 3
DELLA L.R. 5/95 E DELL’ART. 14, XXXXX 1, LETT. J DELLA L. 142/90
(Tra parentesi ed in grassetto sono riportati gli allegati in cui sono richiamati le leggi ed i regolamenti di seguito indicati)
1927.
X.X. 00 dicembre 1923, n. 3267 “Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani” (All. G);
1933.
X.X. 00 dicembre 1933, n. 1775 “ Testo Unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici” : art. 93 (All. G);
1959.
D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128 “Norme di polizia delle miniere e delle cave” (All. F) ;
1976.
L. 10 maggio 1976, n. 319 “Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento”: art. 7 (All. G);
1977.
Circ. Ministero Lavori Pubblici 4 febbraio 1977 “Criteri metodologici e norme tecniche generali di cui all’art. 2, let. B), d), ed e) della L. 319/1976 recante norme per la tutela delle acque dall’inquinamento” (All. H);
1984.
L. 4 agosto 1984, n. 464 “Norme per agevolare l’acquisizione da parte del servizio geologico della Direzione generale delle miniere del Ministero dell’Industria, del commercio e dell’artigianato di elementi di conoscenza relativi alla struttura geologica e geofisica del sottosuolo nazionale” ” (All. G);
1988.
D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 “Attuazione delle direttive CEE numeri 80/799, 82/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987, numero 183” (All. H);
D.P.R. 24 maggio 1988, n. 236 “Attuazione della direttiva CEE n. 80/778 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano” (All. G);
1991.
D.P.R. 1 marzo 1991 “Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno” (All. I);
D.P.R. 25 luglio 1991 “Modifiche dell’atto di indirizzo e coordinamento in materia di emissioni poco significative e di attività a ridotto inquinamento atmosferico, emanato con decreto del Presidente del Collegio dei Ministri in data 21 luglio 1989” (All. H);
1992.
X.Xxx. 30 aprile 1992, n. 285 “Nuovo codice della strada” (All. I)
1994.
L. 5 gennaio 1994, n. 36 “Disposizioni in materia di risorse idriche” (All. G);
D.M. 5 settembre 1994 “Attuazione degli artt. 2 e 5 della L. 438/94 recante disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione e di consumo in un processo produttivo o in un processo di combustione, nonché in materia di smaltimento dei
rifiuti” (All. H);
1995.
L.R. 5 gennaio 1995, n. 5 “Norme per il governo del territorio” :
Art. 5 (All. K);
Art. 13 (All. K);
Art. 31 (All. K);
Art. 32 (All. K);
L. 26 ottobre 1995, n. 447 “Legge quadro sull’inquinamento acustico” :art. 4 (All. I);
Ambiente e paesaggio
X.X. 00 dicembre 1933, n. 1775 Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici” : art. 93 (All. G);
L. 10 maggio 1976, n. 319 “Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento” : art. 7 (All.G);
D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 “Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernente norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’art. 15 della legge 6 aprile 1987, nnumero 183 (All. H);
D.P.R. 24 maggio 1988, n. 236 “Attuazione della direttiva CEE n. 80/778 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano” (All. G);
L. 5 gennaio 1994, n. 36 “Disposizioni in materia di risorse idriche” (All. G);
D.P.C.M. 1 marzo 1991 “Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno” (All. I).
Tutela del suolo
X.X. 00 dicembre 1923, n. 3267 “Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani” (All. G);
D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128 “Norme di polizia delle miniere e delle cave” (All. F);
Circ. Ministero Lavori Pubblici 4 febbraio 1977 “Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui all’art. 2, let. b), d) ed e) della L. 319/76 recante norme per la tutela delle acque dall’inquinamento” (All. H);
L. 4 agosto 1984, n. 464 “Norme per agevolare l’acquisizione da parte del Servizio geologico della Direzione generale delle miniere del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato di elementi di conoscenza relativi alla struttura geologica e geofisica del sottosuolo nazionale” (All. G);
D.P.R. 25 luglio 1995, n. 447 “Legge quadro sull’inquinamento acustico”: art. 4 (All. I);
Art. 6 (All. I);
D.M. 5 settembre 1994 “Attuazione degli artt. 2 e 5 della L. 438/94 recante disposizioni in materia di utilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione e di consumo in un processo produttivo o in un processo di combustione, nonché in materia di smaltimento dei rifiuti” art. 6 (All. I); (All. H).
Urbanistica
D.Lvo. 30 aprile 1992, n. 285 “Nuovo codice della strada” (All. I);
L.R. 16 gennaio 1995, n. 5 “Norme per il governo del territorio” :
Art. 5 (All. K);
Art. 13 (All. K);
Art. 31 (All. K);
Art. 32 (All. K);
Elenco degli allegati che costituiscono Indicazioni ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, comma 3, della L.R. n. 5/1995 e 14, comma 1, lettera j, della legge n. 142/1990
ALLEGATO E - Indicazioni per la revisione delle prescrizioni di massima di polizia forestale e per la disciplina delle stesse nei piani strutturali comunali ALLEGATO F - Indicazioni per il recupero di cave e discariche ALLEGATO G - Indicazioni per la costruzione dei pozzi | pag. 1 pag. 11 pag. 17 |
ALLEGATO H - Indicazioni in ordine alla compatibilità delle industrie insalubri e di altre tipologie produttive con gli insediamenti esistenti | pag. 19 |
ALLEGATO I - Indicazioni per la zonizzazione acustica del territorio | pag. 23 |
ALLEGATO J - Indicazioni per le aree comprese nella "Carta della Natura" | pag. 30 |
ALLEGATO K - Indicazioni per le valutazioni di cui all'art. 46 delle norme | pag. 36 |
ALLEGATO E
INDICAZIONI PER LA REVISIONE DELLE PRESCRIZIONI DI MASSIMA DI POLIZIA FORESTALE E PER LA DISCIPLINA DELLE STESSE NEI PIANI STRUTTURALI COMUNALI
STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE TERRITORIALE
Piano di gestione forestale
Strumento di pianificazione di dettaglio ritenuto necessario per la pianificazione di proprietà pubbliche (regionale, provinciale, comunale) e per i boschi ricadenti nella categoria 6.
Il Piano di gestione forestale diventa lo strumento di gestione del bosco per un minimo di 10 anni ed un massimo di 15.
Il Piano di gestione forestale deve essere redatto da tecnico abilitato e deve contenere una descrizione del complesso forestale oggetto della gestione sotto i seguenti profili:
Elementi di inquadramento generale: storia, clima, geologia, geomorfologia Inquadramento vegetazionale
Inquadramento economico forestale
Valutazione degli usi extra produttivi della foresta
Carta del particellare in scala 1:10.000
Carta delle tipologie forestali in scala 1:10.000 Carta degli interventi (scala 1:10.000) Registro descrittivo delle particelle forestali Piano della viabilità
Piano delle funzioni del bosco Piano degli interventi
Ciascun piano redatto deve essere approvato dalla Provincia.
Piano di coltivazione
Per i boschi di proprietà privata che siano di estensione superiore ai valori riportati nella tabella in calce in caso di intervento diventa obbligatoria la realizzazione del Piano di coltivazione che deve avere carattere di speditività e di snellezza di contenuto.
Il Piano di coltivazione diventa obbligatorio anche per proprietà inferiori ai valori esposti nella tabella in calce qualora si vogliano eseguire interventi sul bosco ricadenti nelle categorie 2, 3, 4 e 5.
tipo di soprassuolo | Superficie (ha) |
bosco ceduo | 150 |
bosco d’alto fusto | 50 |
Castagneto da frutto | 50 |
Arbusteti | 200 |
Nei casi di proprietà miste il valore minimo è calcolato come media ponderata tra i tre valori riportati in tabella.
I contenuti ritenuti necessari per l'approvazione del piano sono i seguenti:
Carta delle fisionomie forestali in scala 1:10.000 dell'area sottoposta a piano Piano della viabilità forestale di servizio
Piano e carta degli interventi (scala 1:10.000)
Descrizione dell'intervento, motivazioni che hanno indotto all'intervento, piano di coltivazione del bosco sottoposto ad intervento.
Il Piano di coltivazione deve essere redatto da tecnico abilitato.
NORME DI TUTELA
Disposizioni generali
I boschi situati in territorio provinciale, così come individuati nella Carta forestale, art. 3, lettera g), elaborati della parte propositiva delle Norme del P.T.C., sono tutelati in considerazione delle funzioni di interesse generale da essi svolte in rapporto alla difesa idrogeologica ed alla conservazione dei valori paesaggistico- ambientali.
Categorie di boschi
Ai fini di articolare le indicazioni per l'uso e gestione dei soprassuoli boscati il territorio provinciale è diviso in 6 categorie individuate sulla base della funzione e idrogeologica e paesaggistico-naturalistica.
La prima categoria contiene soprassuoli che per le condizioni stazionali di vegetazione, disposizione sul territorio e composizione specifica, richiedono forme di tutela di carattere generale che si concretizzano in alcune integrazioni delle norme esistenti.
La seconda categoria di boschi contiene invece tutti i soprassuoli che rispondono ad almeno uno dei seguenti requisiti:
Xxxxxx che abbiano subito gravi danni da incendio o da epidemie di patogeni;
Copertura reale delle chiome (potenziale per i boschi in stadio giovanile) inferiore al 60%; Stazione di vegetazione con pendenza media maggiore del 70%;
Assenza di viabilità forestale (distanza orizzontale superiore a 1000 metri o dislivello superiore a 100 m) dall'unità boscata considerata;
Presenza sul terreno di solchi d'erosione attivi;
Stazione di vegetazione interessata da movimento franoso.
La terza categoria di boschi contiene invece tutti i soprassuoli che rispondono ad almeno uno dei seguenti requisiti:
Presenza all'interno della compagine boscata di almeno un esemplare delle specie di pregio indicata nell'allegato 1;
I boschi situati al limite dalla vegetazione arborea ovvero confinanti con praterie cacuminali; Le formazioni rupestri;
Le formazioni riparie.
La quarta categoria di boschi è costituita dai soprassuoli che sono assoggettati a forme particolari di conduzione:
Impianti per la produzione di alberi di natale; Impianti per la produzione di erica per scope; Impianti per l'arboricoltura da legno; Castagneti da frutto;
Rimboschimenti pionieri.
La quinta categoria di boschi è costituita da soprassuoli che costituiscono elemento paesaggistico tipico, raro o eccezionale nell'ambito del sistema di paesaggio provinciale di cui all'elenco in allegato 2.
La sesta categoria di boschi è costituita dai soprassuoli individuati come boschi di pregio nella Carta forestale, art. 3, lettera g), elaborati della parte propositiva delle Norme del P.T.C..
Norme di tutela dei boschi
Le norme di tutela del bosco sono suddivise per tipologia boscata e per categoria di tutela.
Categoria 1
Prescrizioni di carattere generale
Per questa categoria restano valide le disposizioni di legge esistenti con alcune integrazioni che vengono elencate per ciascuna tipologia di soprassuolo.
Qualunque manifestazione di sofferenza dovuta ad elementi patogeni riscontrata sia durante gli interventi che durante le ispezioni che possono precederli dovrà essere segnalata all'Amministrazione provinciale.
Boschi cedui
Per ciascuna tipologia sono indicate il turno minimo di taglio e l'età di invecchiamento oltre la quale si considera il bosco assoggettato ad una conversione di forma di governo.
Scelta della matricinatura: la scelta della matricinatura dovrà essere indicata prima del taglio delle piante; queste dovranno essere segnate con vernice delebile e scelte nel seguente modo: soggetti di origine gamica,
soggetti con conformazione della chioma regolare, in condizioni fitosanitarie buone, soggetti disposti in modo uniforme sull'area di taglio.
Nei cedui dove siano presenti specie secondarie e minori si dovrà fare in modo di rilasciare la matricinatura per il 50 % degli individui della specie principale, per il 30 % di quelle secondarie e per il restante 20 % tra le ulteriori specie arboree minori indicate nell'allegato 1.
Nei tratti prossimi alle formazioni ripariali, il taglio dovrà seguire quanto previsto dalla categoria 3.
Nei tratti di impluvio dove la vegetazione del bosco cambia in composizione e cede il passo a specie più mesofile (carpino nero, carpino bianco, pioppi, salici, ecc.) pur non essendo segnalata nella carta forestale della Provincia di Arezzo, si dovrà procedere al rilascio di un numero di matricine nel numero minimo di 200 piante per ettaro. In questo caso la scelta delle specie seguirà i criteri sopra esposti con l'eccezione che potranno essere reclutate anche piante di origine agamica anche nel caso vi sia il numero sufficiente di piante di origine gamica.
Boschi cedui di composizione quercina
Rientrano in questa categoria i soprassuoli che sono governati a ceduo e che presentano una composizione prevalente di specie quercine (cerro, roverella, leccio, rovere, sughera, cerro-sughera e farnia).
Turno minimo di utilizzazione: 18 anni Età di invecchiamento: 25 anni
Scelta della matricinatura: nei cedui composti (aventi una matricinatura superiore a 120 piante per ettaro) di querce la matricinatura dovrà essere scelta in modo da rilasciare almeno 5 piante ad ettaro tra quelle del turno più vecchio.
Nei cedui composti dove siano presenti più di 5 piante per ettaro di età ultra secolare dette piante dovranno essere rilasciate totalmente anche a detrimento del n° di matricine totale, purché esse siano in condizioni fitosanitarie buone; in ogni caso il numero e le caratteristiche di dette piante, che saranno indicate per l'abbattimento, dovrà essere segnalato alla Amministrazione provinciale.
Nei cedui dove sia presente il leccio, si dovrà fare in modo di rilasciarne il numero più alto possibile fino ad un massimo del 30% della matricinatura totale. Nei cedui con presenza di rovere, farnia e cerro-sughera e sughera valgono le indicazioni previste per la categoria 3
Boschi cedui a composizione prevalente di castagno
Rientrano in questa categoria i soprassuoli che sono governati a ceduo e che presentano una composizione prevalente di castagno.
Turno minimo di utilizzazione: 10 anni Età di invecchiamento: 35 anni
Nel caso di utilizzazioni speciali (attacchi parassitari, particolari assortimentazioni, ecc.) e mediante presentazione di un piano di coltivazione, il turno di taglio può superare l'età di invecchiamento e/o anticipare il turno minimo di taglio.
Scelta della matricinatura: riveste molta importanza la scelta di una matricinatura a favore di specie secondarie. Queste dovranno essere rilasciate, reclutandone anche se necessario tra le piante di origine agamica, per una percentuale di almeno il 50% rilasciando invece il Castagno per il 30% e le specie minori per il 20%. Queste ultime se scarse, dovranno essere recuperate per la quota mancante per il 50% con il castagno e per il 50% con le specie secondarie.
I nuclei o gli esemplari sparsi di piante da frutto se in condizioni fitosanitarie buone, dovranno essere rilasciati e potati nelle parti morte.
Nei cedui di castagno dove, a causa di condizioni fitosanitarie, si manifestino precarie condizioni di attività vegetativa, ma tali da non rientrare nella categoria 2 si potrà procedere al taglio di utilizzazione anche al di sopra dell'età di invecchiamento procedendo al rilascio del solo 10% di piante di castagno (purché siano sane) e per il restante 90% di specie secondarie e minori.
Boschi cedui di faggio
Rientrano in questa categoria i soprassuoli che sono governati a ceduo e che presentano una composizione prevalente di faggio
Per ceduo a trattamento disetaneo: periodo di curazione minimo: 10 anni Il taglio è consentito per i polloni che abbiano raggiunto l'età di 22 anni
Età di invecchiamento relativa ai polloni dell'ultimo turno: 35 anni
La forma di trattamento consentita per i cedui di faggio nella Provincia di Arezzo è il taglio a sterzo. Non sono previsti per questa specie i tagli matricinati.
Qualora sia richiesta l'esecuzione del taglio matricinato questa deve essere accompagnata dal piano di coltivazione.
Boschi cedui di essenze alloctone
Rientrano in questa categoria i soprassuoli che sono governati a ceduo e che presentano una composizione prevalente di Robinia e/o di Ailanto.
Turno minimo di utilizzazione: 10 anni
Età di invecchiamento: 35 anni
Qualora questi soprassuoli siano allo stato puro, possono essere utilizzati senza riserva di matricine. Viceversa in caso di mescolanza con altre specie (ad esempio nei castagneti, nei cedui quercini, ecc.) si impone una matricinatura di almeno 100 piante ad ettaro ricavata dalle specie secondarie e reclutata, nel caso sia insufficiente, anche da polloni di buona conformazione.
Boschi cedui misti con querce e castagno
Rientrano in questa categoria i soprassuoli che sono governati a ceduo e che presentano una composizione caratterizzata dall'assenza della predominanza di una specie e dove si possono individuare componenti di castagno o di querce o di carpini.
Turno minimo di utilizzazione: 15 anni Età di invecchiamento: 25 anni
La matricinatura in questo caso deve essere ricavata mantenendo le proporzioni rispetto alle specie che costituiscono il bosco ceduo.
Boschi cedui misti con faggio
Rientrano in questa categoria i soprassuoli che sono governati a ceduo e che presentano una composizione caratterizzata dall'assenza della predominanza di una specie e dove si possono individuare componenti di faggio.
Turno minimo di utilizzazione: 18 anni Età di invecchiamento: 30 anni
La matricinatura in questo caso deve essere ricavata mantenendo le proporzioni rispetto alle specie che costituiscono il bosco ceduo.
A differenza dei cedui a prevalenza di faggio, in questo caso il soprassuolo può essere trattato con taglio matricinato.
Boschi cedui coniferati
Rientrano in questa categoria i soprassuoli che, governati a ceduo, presentano al loro interno una quota parte di piante di conifere d'alto fusto di origine artificiale e/o naturale.
Per questi soprassuoli si mantengono i turni previsti contestualmente alla composizione del ceduo.
Le piante di conifere non possono essere utilizzate in toto durante l'utilizzazione del ceduo. Viceversa vanno considerate, se isolate, alla stregua delle piante da seme di latifoglie e quindi conteggiate come matricine, se in gruppo possono essere diradate nella ragione del 20%.
Categoria 2
L'intervento forestale nei boschi ricadenti in questa categoria deve essere autorizzato e accompagnato dal Piano di coltivazione.
Boschi cedui
Vengono fatte salve tutte le indicazioni valide per la categoria 1 con le seguenti aggiunte valide per tutti i soprassuoli:
la superficie massima di taglio viene modificata rispetto a quanto previsto dalla legge regionale n°1 del 1990 nel modo seguente: divieto di eseguire tagli di utilizzazione che, da soli o in contiguità con aree denudate per varie cause, comprese le tagliate effettuate nei precedenti 3 anni, lascino scoperta una superficie superiore ad ha 5. Inoltre le tagliate dovranno mantenere una geometria tale che il rapporto lunghezza per la massima pendenza/larghezza lungo le isoipse non superi il valore di 1.
Per soprassuoli con copertura delle chiome inferiore al 60%, successivamente al taglio raso si dovrà effettuare il rinfoltimento del soprassuolo con specie idonee alla fascia fitoclimatica del bosco; l'intervento dovrà essere fatto soltanto nelle aree nelle quali sia possibile mettere a dimora le piantine ad una distanza di 6 metri dalle ceppaie presenti.
Qualora esistano fenomeni di erosione incanalata si dovrà eseguire successivamente al taglio raso modeste opere di regimazione superficiale quali ad esempio viminate nei solchi, graticciamenti, ecc..
Per i cedui di castagno che abbiano subito gravi danni da patogeni, si potrà intervenire in deroga alle indicazioni di superficie massima di taglio e comunque, qualora il soprassuolo presenti ceppaie morte e vuoti, si provvederà al rinfoltimento con specie autoctone mantenendo distanze minime dalle ceppaie di 8 metri.
Boschi d'alto fusto
Boschi di impianto artificiale: nei tagli di diradamento si procederà all'eliminazione delle specie di origine artificiale favorendo al massimo le specie naturalmente reintrodotte anche se le loro caratteristiche tecnologiche risultassero scadenti. E' necessario comunque che la conformazione e lo stato vegetativo di queste piante sia tale da garantirne un futuro per l'edificazione del bosco. Per le piante singole di origine na- turale si rilasceranno obbligatoriamente i soggetti che partecipano al piano dominante (predominanti, codominanti e subdominanti); per i gruppi di piante si dovrà rilasciare un minimo del 50% dei soggetti
presenti scelti secondo i seguenti criteri: massima differenziazione specifica e migliore vigore e confor- mazione di chiome e fusto.
Nelle stazioni con suolo ricco di affioramenti rocciosi e/o con elevata pietrosità e/o con passata o ancora manifesta attività di pascolamento e/o con danni di natura biotica o abiotica e/o con scarsa accumulazione di lettiera, è obbligatorio non incidere sulla massa legnosa per un valore percentuale non superiore al 15% o su un numero di piante non superiore al 20% di quelle presenti. In questo caso è obbligatorio procedere ad una selezione degli individui (fatto salvo ciò che è stato indicato per la tutela delle specie di origine naturale) scegliendo le piante da eliminare nel piano dominato e subdominato. Al termine del diradamento il soprassuolo deve avere una copertura delle chiome che non sia inferiore all'80%; pertanto il diradamento non verrà affatto praticato per i tratti di soprassuolo aventi copertura delle piante inferiore.
Nei soprassuoli che riportano ancora evidenti segni di danni da incendi o di diffusione di danni ma anche di epidemie dannose alla vita delle specie arboree, si procederà ad un intervento avente principale funzione fitosanitaria sia di abbattimento della carica epidemica che di prevenzione di una sua ulteriore manifestazione. Pertanto si procederà comunque alla eliminazione di qualsiasi materiale di risulta dell'intervento; si procederà all'abbattimento di tutte le piante che manifestano sintomi irreversibili di danno e che possano esercitare nei confronti della parte sana di soprassuolo pericolose trasmissioni di ulteriori danni. In particolare in quei soprassuoli nei quali l'abbattimento delle piante determini la formazione di vuoti superiori a 50 mq si procederà, in seguito all'allentamento del materiale di risulta, alla piantagione o semina di specie arboree autoctone fino ad una distanza dal margine del vuoto di 5 metri.
Categoria 3
L'intervento forestale sui soprassuoli rientranti in questa categoria deve essere autorizzato e accompagnato dal Piano di coltivazione.
Boschi con specie di interesse provinciale
I boschi che contengono al loro interno le specie elencate nell'allegato 1, sono identificati per gli ambiti territoriali sulla base della griglia delle Unità di Paesaggio; fino a che l'Amministrazione Provinciale di Arezzo non avrà provveduto ad individuarli con esattezza e su carta in scala 1:25.000, si procederà alla verifica della presenza di dette specie di interesse provinciale attraverso il Piano di coltivazione.
Formazioni ripariali
Le formazioni riparie sono individuate nella Carta forestale, scala 1:50.000, art. 3, lettera g), elaborati della parte propositiva delle Norme del P.T.C.. Si escludono da questa categoria tutte le formazioni riparie che siano situate su canali o sistemazioni idrauliche che abbiano perso la loro funzionalità.
In queste formazioni è vietata l'estirpazione delle piante singole e delle ceppaie. E' invece permesso il taglio solo dopo presentazione del Piano di coltivazione.
Il taglio deve essere eseguito in relazione al profilo di vegetazione: nella parte bagnata dall'acqua possono essere asportate tutte le piante che in caso di portata idrometeorica di piena possano essere sradicate ed agire da materiale di rallentamento dello scorrimento delle acque.
Nella parte spondale non bagnata dall'acqua bisogna agire selettivamente diradando le ceppaie esistenti fino a rilasciarne un numero di 3 polloni per ceppaia e eliminando gli esemplari che, inclinati o in cattive condizioni fitosanitarie, possano in caso di piena del torrente riversarsi per stroncamento o sradicamento sul letto del corso d'acqua.
Nell'area retrospondale per una fascia di rispetto di 30 metri per parte (sia in dx. che in sn. idrografica) vige l'obbligo del diradamento ai fini di una conversione ad alto fusto. Tale obbligo vale sia che si intervenga sull'alveo e sia che si intervenga sul versante contiguo alla formazione riparia. Il diradamento è obbligatorio per tutti i tratti retrospondali di origine agamica e nel caso in cui i polloni abbiano raggiunto l'età di invecchiamento. Nel caso contrario tale fascia è comunque negata al taglio di utilizzazione.
Formazioni al limite della vegetazione arborea
Per i boschi che siano situati in area contigua a praterie o arbusteti cacuminali nell'orizzonte di vegetazione del faggio, è vietata ogni forma di utilizzazione per una fascia di rispetto di 50 metri.
Qualora si intervenga nel bosco immediatamente sottostante, vige l'obbligo dell'avviamento ad alto fusto della fascia di rispetto, purché questa sia governata a ceduo e purché questa abbia raggiunto l'età di invecchiamento.
Formazioni rupestri
Per i boschi che siano situati in zone rupestri dove la vegetazione arborea denota un forte rallentamento di crescita, dove sia evidente la presenza di rocce affioranti, è vietata ogni forma di utilizzazione forestale.
Eventuali tipologie di intervento diverse da quello forestale, devono essere autorizzate e accompagnate dal Piano di coltivazione.
Categoria 4
Tale categoria è stata suddivisa in sotto categorie:
Impianti per la produzione di alberi di Natale
Tali impianti sono consentiti nelle aree già occupate da detta coltivazione. I nuovi impianti sono consentiti nelle zone adiacenti ad impianti preesistenti in ragione di un ampliamento massimo dell’unità colturale complessiva non superiore al 50% della superficie già in coltivazione.
Impianti nuovi in aree non precedentemente occupate da questa coltivazione sono sottoposte ad autorizzazione previa presentazione di un Piano di coltivazione.
Nell’esecuzione dei nuovi impianti devono essere fatte salve le eventuali sistemazioni idraulico-agrarie preesistenti e mantenuto inalterato l’assetto morfologico del terreno.
Impianti per la produzione di erica da scope
L'intervento di utilizzazione in questa categoria deve essere autorizzato e accompagnato dal Piano di coltivazione.
L'ericeto per essere utilizzato deve presentarsi uniformemente occupato da xxxxx. Eventuali nuclei di piante arboree presenti non vengono conteggiati. La copertura complessiva dell'ericeto deve essere superiore all'80%.
L'utilizzazione deve essere condotta tagliando tutte le ceppaie presenti, comprese quelle di specie diverse dall'erica ed escludendo le ceppaie di individui arborei.
Il materiale di scarto sarà rilasciato sul posto e debitamente raccolto in strisce. L'epoca di taglio apre al 15 di settembre e si chiude il 15 maggio.
Il turno minimo di taglio è di 4 anni.
Divieto di eseguire tagli di utilizzazione che, da soli o in contiguità con aree denudate per varie cause, comprese le tagliate effettuate nel precedente anno, lascino scoperta una superficie superiore ad ha 10. Inoltre le tagliate dovranno mantenere una geometria tale che il rapporto lunghezza per la massima pendenza/larghezza lungo le isoipse non superi il valore di 1,5.
Impianti per arboricoltura da legno
Per gli impianti ricadenti in zone dove per la presenza di danni da selvaggina si debbano proteggere le piante si prescrive l'uso di recinzioni individuali.
Per gli impianti da realizzare nella zona della rovere è vietato l'uso di piante di rovere di provenienza diversa da quella locale.
Castagneti da frutto
Rientrano in questa categoria i soprassuoli di castagno che sono governati a fustaia per la produzione del frutto.
Essi sono distinguibili in due categorie principali:
Castagneti in coltura: all'interno del soprassuolo vengono condotte le consuetudinarie operazioni di ripulitura del sottobosco, di potatura di produzione e di lotta agli agenti patogeni del castagno.
Castagneti in abbandono: sono boschi nei quali si riconoscono almeno il 10% per ettaro di castagni atti alla produzione del frutto, ma nei quali non vengono più praticate le consuetudinarie operazioni di coltivazione. Per i Castagneti da frutto in abbandono è obbligatorio in caso di intervento il recupero di tutte le piante che siano presenti nel soprassuolo attraverso i seguenti interventi:
Ripulitura dagli arbusti nel raggio di incidenza della chioma di ciascuna pianta da frutto.
Potatura di rimonda di ciascuna pianta attraverso l'eliminazione delle parti morte o seccaginose fino anche alla capitozzatura per rinvigorirne la chioma.
L'eliminazione delle piante morte e la loro sostituzione attraverso l'innesto su giovani piantine.
Rimboschimenti a carattere pionieristico
Rientrano in questa categoria i soprassuoli che sono governati a fustaia che sono stati impiantati su aree denudate o a bassa fertilità con la funzione di ripristinare la copertura boschiva. Impianti di tipo preparatorio per favorire l'ingresso di specie arboree autoctone.
Questi impianti sono nella maggioranza dei casi costituiti da conifere ed in particolare da pino austriaco e da pino marittimo.
Per queste formazioni si prescrive quanto segue:
In analogia con quanto previsto per la categoria 2, l'esecuzione dei diradamenti è di tipo dal basso di modesta intensità e deve essere eseguita sulla base di una martellata che indichi le piante da rilasciare e quelle da abbattere. Le piante da rilasciare devono essere scelte con il criterio di favorire il più possibile l'ingresso spontaneo di specie autoctone ovvero liberando talvolta anche il piano dominante a favore di specie autoctone già insediate.
Il taglio di maturità deve essere accompagnato da Piano di coltivazione e deve creare le condizioni per l'avvio di un ciclo colturale nel quale l'essenza pioniera sia sostituita quasi totalmente da specie autoctone.
Categoria 5
Le formazioni boscate rientranti in questa categoria sono tutelate integralmente e qualunque intervento le interessi esso deve essere accompagnato dal Piano di coltivazione. Nell'allegato 2 sono riportate le tipologie rientranti in questa categoria per ciascuna Unità di Paesaggio.
Categoria 6
Le formazioni boscate rientranti in questa categoria sono tutelate integralmente e qualunque intervento le interessi esso deve essere accompagnato dal Piano di gestione forestale. Dette aree sono individuate nella carta forestale, scala 1:50.000, art. 3, lettera g), elaborati della parte propositiva delle Norme del P.T.C..
Allegato 1: Elenco delle specie arboree ed arbustive di interesse provinciale
Specie arboree
Alnus incana (L.) Moench | Betulaceae |
Betula pendula Xxxx | Betulaceae |
Quercus crenata Lam. | Fagaceae |
Quercus petraea (Mattuschka) Xxxxx. | Fagaceae |
Quercus robur L. | Fagaceae |
Quercus suber L. | Fagaceae |
Taxus baccata L. | Taxaceae |
Tilia cordata Xxxxxx | Tiliaceae |
Tilia platyphyllos Scop. | Tiliaceae |
Ulmus glabra Xxxxxx | Ulmaceae |
Fraxinus excelsior L. | Oleaceae |
Specie arbustive
Buxus sempervirens L. | Buxaceae |
Cotoneaster nebrodensis (Xxxx.) X. Xxxx | Rosaceae |
Daphne alpina L. | Thymelaeaceae |
Daphne cneorum L. | Thymelaeaceae |
Daphne mezereum L. | Thymelaeaceae |
Daphne oleoides Schreber | Thymelaeaceae |
Ilex aquifolium L. | Aquifoliaceae |
Lonicera alpigena L. | Caprifoliaceae |
Rhamnus alpinus L. | Rhamnaceae |
Rhamnus pumila ssp. Pumila | Rhamnaceae |
Xxxx xxxxxxxx Viv. Prat. | Rosaceae |
Ruscus hypoglossum L. | Liliaceae |
Staphylea pinnata L. | Staphyleaceae |
Vaccinium vitis idaea L. | Ericaceae |
Viscum album L. | Loranthaceae |
Allegato 2: elenco degli elementi paesaggistici tipici, rari o eccezionali
U.d.P. | TIPOLOGIA | COMPOSIZIONE | LOCALIZZAZIONE |
AP0902 | Arbusteto | Pruno, Biancospino | Xxxxxxx |
XX0000 | Formazione di prateria cespugliata | Ginepro, Ginestra | Pratomagno |
AP0905 | Arbusteto | Prugnolo, Ginepro e Ginestra | Pratomagno |
AP0907 | Formazione di prateria cespugliata | Brugo | Pratomagno |
AP0908 | Giovane impianto | Faggio | Pratomagno |
AP0911 | Arbusteto | Rosa canina,Pruneti | Nuclei sparsi |
AP0912 | Arbusteto | Pruneti,Ginepreti,Ginestreti | Nuclei sparsi |
AP0913 | Arbusteto di crinale | Xxxxxxx,Ericeti,Ginestreti | Nuclei sparsi |
AP0913 | Vegetazione rupestre | Eriche,Cerro,Pino nero | Aree rupestri |
AP0914 | Arbusteto | Erica arborea e scoparia,Calluna,Ginestra odorosa | Diffuso su aree distrutte dal fuoco |
AP0915 | Arbusteto | Ginestra odorosa,Prunus spinosa,Eriche | Diffuso su ex-coltivi |
AP1005 | Arbusteto | Ginepreti,Pruneti | Colonizzazione di ex-pascoli |
AP1007 | Rinnovazione naturale | Pino nero | Diffuso su ex-pascoli X. Xxxxxxx |
AP1010 | Arbusteto-gariga | Ginepro, Erica | Vegetazione su Ofioliti |
AP1011 | Rinnovazione naturale | Pino nero | Diffuso su ex-pascoli |
AP1011 | Arbusteto | Ginepro | Diffuso su ex-pascoli |
AP1012 | Arbusteto | Ginepreti,Xxxxxxx | Xxxxxxx su ofioliti misto a prateria xerofila |
AP1013 | Rinnovazione naturale | Pino nero | Diffuso su ex-pascoli |
AP1103 | Arbusteto | Prugnolo e Xxxxx | Xx ex-oliveti terrazzati |
AP1303 | Arbusteto | Erica arborea, Ginestra dei carbonai, Ginepro | Diffuso |
AP1303 | Vegetazione rupestre | Cerro,Leccio,Corbezzolo,Roverella,Eri ca,Ginestra,Ginepro | Oltre i m 700 |
AP1304 | Vegetazione rupestre | Cerro, Roverella, Eriche e Orniello | Localizzati su affioramenti rocciosi |
AP1304 | Arbusteto | Prugnolo, Ginestra e Ginepro | Piccoli nuclei alternati al bosco |
AP1306 | Fustaia coetanea | Cipresso comune, Cedri, Pino domestico, Pino nero | Boschetti con piante secolari |
AP1308 | Ceduo matricinato | Leccio,Cerro,Roverella,querce ibride,Castagno,Carpino,Sorbo | Nuclei invecchiati con Leccio allo stato puro |
AP1308 | Vegetazione rupestre | Roverella, Cerro, Ginepro, Pruno, eriche | Localizzato nelle aree sub-cacuminali |
AP1310 | Arbusteto | Prugnolo, Erica, Ginestra e Ginepro | Piccoli nuclei su ex-pascoli |
AP1311 | Arbusteto | Ginestra odorosa, Eriche, Xxxxx | Xxxxxxx |
AP1401 | Fustaia coetanea | Cedro, Pino marittimo, Pino domestico, Olmo montano,Cipresso | Cinture boscate intorno ad insediamenti abitativi |
AP1701 | Arbusteto | Ginestra,Xxxxx,Xxxxxx | Xxxxxxx su ex-coltivi |
AP1702 | Ceduo matricinato | Xxxxxx | Xxxx xxxxx |
AP1702 | Castagneto da frutto | Castagno | Piccoli appezzamenti |
AP1702 | Arbusteto | Eriche,Ginestre | Aree uniformi |
AP1901 | Ceduo composto | Rovere, Cipresso, Leccio, Pino domestico e Pino nero | Nuclei di particolare sviluppo |
AP1902 | Ceduo matricinato | Castagno, Cerro e Leccio | Cinture boscate intorno ad insediamenti abitativi |
AP1902 | Ceduo composto | Xxxxxx, Pino marittimo | Localizzato |
AP1903 | Ceduo matricinato | Rovere,Cerro,Leccio,Roverella | Localizzato |
AP1903 | Ceduo matricinato | Leccio | Formazione rigogliosa con presenza di Xxxxxxx |
XX0000 | Arbusteto | Biancospino e Ginestra odorosa | In fasce ecotonali bosco/non bosco |
AP1905 | Ceduo composto | Leccio,Castagno, Pino domestico, Cipresso | Localizzata |
AP1905 | Fustaia coetanea | Pino marittimo, Cipresso, Pino marittimo, Rovere e Leccio | Formazione di pregio con presenza di rinnovazione naturale |
AP1906 | Fustaia coetanea | Pino marittimo, Cerro, Leccio e Cipresso comune | Lungo la prov. per Siena |
AP1906 | Arbusteto | Eriche, Ginestra odorosa | Diffuso |
CI0401 | Ceduo composto | Cerro e Pino marittimo | Boschetti e filari |
CI0401 | Ceduo composto | Roverella e Cerro | Alberature e filari |
CI0501 | Ceduo composto | Cerro e Roverella | Boschetti e filari |
CI0601 | Rinnovazione naturale | P.Marittimo,Roverella | Sotto querceto e robinieto in aree in erosione |
CI0601 | Arbusteto | Ginestra,Xxxxx | Xxxxxxx |
CI0601 | Vegetazione rupestre | Leccio | Localizzato |
CI0602 | Vegetazione rupestre | Leccio | Localizzato |
CI0603 | Ceduo matricinato | Leccio | Localizzato |
CI0604 | Fustaia coetanea | Leccio | Localizzato |
CI0604 | Rinnovazione naturale | Leccio | Localizzato |
CI0605 | Fustaia disetanea | Roverella,Cerro | Boschetti e filari |
CI0605 | Giovane impianto | Carpino nero,Ontano napoletano | Localizzato |
CI0605 | Arbusteto | Ginestra odorosa,Prunus spinosa | Boschetti e filari |
CI0606 | Ceduo matricinato | Castagno,Robinia,Rovere,Cerro | Boschetti e filari |
CI0801 | Fustaia coetanea | Robinia,Cerro | Boschetti e filari |
CI0802 | Ceduo composto | Cerro Roverella, ibridi quercini | Boschetti e filari |
CI0802 | Fustaia coetanea | Pino marittimo,Cerro e ibridi quercini | Cinture boscate intorno ad insediamenti abitativi |
CI0803 | Arboricoltura da legno | Pioppo | Filari |
CI0805 | Fustaia coetanea | Cerro, ibridi quercini e Pino marittimo | Boschetti e filari |
CI0806 | Arboricoltura da legno | Pioppo nero | Localizzati |
CI0808 | Ceduo composto | Cerro, Roverella, ibridi con Rovere | Boschetti e filari |
CI0809 | Fustaia coetanea | Cipresso, Cedri, Pino domestico, Pino marittimo | Cinture boscate intorno ad insediamenti abitativi |
CI0810 | Ceduo composto | Roverella, Rovere, ibridi di querce, Cerro | Boschetti e filari |
CI1804 | Fustaia coetanea | Querce, Rovere, Pino marittimo | Boschetti e filari |
CI1811 | Vegetazione rupestre | Pioppo,Salici,canne | Filari e piante isolate |
ALLEGATO F
INDICAZIONI PER IL RECUPERO DI CAVE E DISCARICHE
PREMESSA
1. Il presente disciplinare contiene indicazioni da verificare di volta in volta sulla base delle normative regionali, delle norme di polizia mineraria e delle particolari situazioni ambientali locali, ottemperando a criteri di minimizzazione degli impatti prevedibili ed all'ottimizzazione dell'inserimento ambientale dell'intervento completato.
2. Contiene inoltre indicazioni che trattano del recupero di cave in alveo oppure in subalveo. Dunque in alluvioni recenti a fossa asciutta e in alluvioni recenti a fossa con falda affiorante.
3. In generale le soluzioni adottate dovranno poter consentire un effettivo recupero e un graduale reinserimento del sito nel paesaggio e nell'ecosistema circostanti, fatta eccezione per quelle cave le quali sono state classificate come aree di interesse naturalistico.
4. Le finalità di recupero consistono nel riportare l'uso del suolo dell'area allo stato precedente l'inizio della coltivazione (ripristino), oppure quella di migliorare dal punto di vista ambientale l'area di estrazione attraverso interventi che producano un assetto finale pregiato dal punto di vista ecosistemico e paesaggistico.
5. Qualora il recupero avvenga rimodellando siti geomorfologicamente degradati da interventi scadenti fatti in precedenza, l'intervento si configura come restauro ambientale.
6. Le modalità del recupero dovranno favorire di regola assetti che prevedano la ricostruzione di manti vegetali, utilizzando per quanto possibile tecniche di ingegneria naturalistica, le quali sono caratterizzate da:
a) una adeguata base conoscitiva floristica e fitosociologica, con particolare riferimento alle serie dinamiche degli ecosistemi interessati per l'efficace sfruttamento delle caratteristiche biotiche di ogni singola specie;
b) l'esame delle caratteristiche topoclimatiche e microclimatiche di ogni superficie di intervento;
c) l'analisi del substrato pedologico con riferimento alle caratteristiche chimiche, fisiche e idrologiche del suolo in funzione degli additivi e correttivi da impiegare;
d) l'utilizzo degli inerti tradizionali, ma anche di materiali di nuova concezione quali le georeti tridimensionali e i geotessuti sintetici in abbinamento a piante o parti di esse;
e) l'accurata selezione delle specie vegetali da impiegare con particolare riferimento a: miscele di sementi di specie erbacee, specie arbustive ed arboree da vivaio, talee, trapianto di zolle erbose, utilizzo di stoloni o rizomi;
f) l'abbinamento della funzione di consolidamento con quella di reinserimento naturalistico e paesaggistico;
g) il miglioramento nel tempo delle due funzioni sopra citate a seguito dello sviluppo delle parti aree e sotterranee delle piante impiegate;
h) l'utilizzo di unità ambientali acquatiche di nuova creazione come ecositemi-filtro nei confronti di scarichi idrici contaminati.
7. Le modalità specifiche del recupero varieranno in ogni caso a seconda della natura geologica e geomorfologica del sito di cava, seguendo i seguenti criteri generali:
a) i materiali di risulta da mettere a discarica vanno preferenzialmente utilizzati per il ritombamento delle aree estrattive dismesse;
b) un'attenzione particolare va posta allo scotico, stoccaggio e riutilizzo del terreno vegetale; la programmazione di questi movimenti di terra deve avvenire evitando che l'humus vada disperso e messo a discarica o che venga stoccato per tempi molto lunghi prima di un suo riutilizzo, favorendo in tal caso il deterioramento delle sue caratteristiche pedologiche ad opera degli agenti meteorici (piogge dilavanti, ecc.) tenendo presente che la condizione principale per la riuscita del recupero delle cave è proprio la disponibilità di terreno vegetale;
c) per quanto riguarda le tecniche di ingegneria naturalistica da adottare va data preferenza a quelle meno onerose quali le idrosemine e le semplici messe a dimora di alberi e arbusti;
d) soluzioni di costo maggiori quali palificate vive, viminate e biostuoie, impianto di alberi adulti, vanno limitati ai casi di effettiva necessità.
CAPITOLO I - CAVE IN ALVEO, SUBALVEO, PIANURA
1.1 Modalità di intervento
1.2. Cave di ghiaia e sabbia, di pianura, coltivate a fossa, asciutte.
1.2.1. Tali cave hanno comportato la costituzione di fosse di ambiti planiziali, senza sbocchi superficiali per le acque meteoriche. Sono stati coltivati tipicamente depositi ghiaiosi e sabbiosi di fondovalle con formazione di fosse al di sotto del piano di campagna, senza interessare la falda idrica sottostante. Sono pertanto di regola fosse asciutte o temporaneamente allagate in caso di precipitazione intense concentrate. La configurazione della coltivazione è classica a fossa con scarpate a pendenza stabilita di regola in base alle proprietà meccaniche dei materiali di scavo.
1.2.2. Ove possibile, sia in relazione alla dimensione dello scavo, sia alla disponibilità di materiale, è auspicabile la colmata totale degli scavi con materiali inerti, ripristinando il piano di campagna originario.
1.2.3. Laddove non sarà possibile effettuare colmate totali degli scavi, si potranno eventualmente realizzare tombamenti parziali degli stessi.
1.2.4. Le pendenze finali dei fronti di scavo dovranno avere valori massimi non superiori a 2:3 e, comunque, fissati in base alle caratteristiche geotecniche dei terreni.
1.2.5. Per altezze elevate, le scarpate saranno interrotte da banche intermedie.
1.2.6. Il fondo cava deve essere sagomato con pendenza verso una zona più depressa, ove saranno naturalmente convogliate le acque in caso di precipitazioni intense concentrate.
1.2.7. Nei casi di configurazioni finali a fondo ribassato, quando la permeabilità del terreno consente il rapido smaltimento delle acque per porosità, il recupero può essere finalizzato all'uso agricolo con colture a ciclo annuale (cereali, foraggi, ecc.).
1.2.8. Nel caso in cui si abbia una bassa permeabilità del terreno con ristagno di acqua sul fondo, è più opportuno il recupero con colture idrofile, quali la pioppicoltura.
1.2.9. In ambienti fortemente artificializzati (ove ormai gli elementi di naturalità siano molto rari) o quando vi sia la necessità di raccordi con la vegetazione naturale circostante (al fine di migliorare la funzionalità dell'ecomosaico), o quando vi siano preoccupazioni connesse all'uso di pesticidi in situazioni ove il fondo della cava recuperata abbia uno scarso franco rispetto alle falde sottostanti, è opportuno prevedere un rapporto di tipo naturalistico, secondo la seguente sequenza tipica delle operazioni :
a) rimodellamento scarpate con pendenze massime pari a 2:3 (inclinazione da verificare alla luce delle caratteristiche geotecniche dei terreni e dei risultati delle analisi di stabilità) nel caso di recupero a bosco e di 10°-20° nel caso di recupero agricolo;
b) spianamento del fondo cava con pendenza verso il lato ove è previsto il drenaggio o l'accumulo temporaneo delle acque piovane;
c) costruzione di fossi di guardia sul ciglio superiore delle scarpate al piano di campagna;
d) costruzione di canalette di drenaggio al piede delle scarpate e loro collegamento al punto di raccolta per l'allontanamento;
e) riporto di almeno 0,3 ml. di spessore di terreno agrario sulle scarpate con recupero a bosco;
f) riporto di almeno 0,6 ml. di spessore di terreno agrario sul fondo cava;
g) ripristino di colture agricole sul fondo cava;
h) ripristino della vegetazione sulle scarpate, tramite semine di specie erbacee ad arbustive e/o piantumazioni di specie arboree.
1.3. Cave di ghiaia e sabbia, di pianura a fossa con falda affiorante.
1.3.1. E' in generale da evitare l'attivazione di cave che si spingano al sotto del livello della falda freatica, portandola a giorno.
1.3.2. E' di regola opportuno limitare la profondità massima degli scavi a 1-2 m. al di sopra del livello massimo di risalita raggiunto nel corso dell'anno dalla falda.
1.3.3. Possono peraltro essere previste precauzioni dell'attività estrattiva nell'ambito di cave esistenti in stato di degrado, finalizzate ad una contestuale sistemazione dell'area stessa.
1.3.4. Per quanto riguarda le potenzialità di ricostruzione naturalistica la presenza della falda, anche considerando le normali oscillazioni di 1-2 m. nei vari periodi dell'anno, consente di realizzare sulle rive la ricostruzione di alcuni stadi della serie vegetazione igrofila.
1.3.5. Per ottenere questo risultato, la pendenza della sponda fino al livello minimo di escursione della falda non deve superare i 10° creando così i presupposti per l'insediamento di formazioni vegetali palustri nelle fasce di acqua bassa, nonché della vegetazione riparia a salici, ontani e pioppi nella fascia emersa.
1.3.6. Al di sotto del livello di falda, la scarpata può avere pendenze variabili, atte a garantire adeguate condizioni di stabilità, costituire microhabitat differenziati, e a consentire
l'evoluzione.
1.4. Cave coltivate a fossa in falda idrica di dimensioni inferiori a 1 ha.
1.4.1. Tali cave hanno comportato la messa a giorno della falda idrica con la conseguente trasformazione del terreno da suolo agricolo a specchio idrico.
1.4.2. Viste le limitate dimensioni, qualora non si ravvedano opportunità di valorizzazione naturalistica, si può prevedere il riempimento totale degli scavi con materiali inerti, ripristinando il piano campagna originario, avendo cura di prevedere una composizione granulometrica dei materiali di colmata che non alteri sensibilmente la permeabilità originaria del terreno, secondo la seguente sequenza tipica delle operazioni:
a) riempimento totale con inerti;
b) riporto di terreno agrario, con spessore minimo di 0,6 m.;
c) ripristino delle colture agricole preesistenti.
1.5. Cave coltivate a fossa di dimensioni superiori a 1 ha profonde meno di 3 m sotto falda
1.5.1. Tali cave nel periodo estivo possono rimanere o totalmente o parzialmente asciutte per l'abbassamento del livello di falda, trasformandosi talora in acquitrini non utilizzabili per gli usi agricoli.
1.5.2. Qualora non si ravveda l'opportunità di una valorizzazione naturalistica, si può prevedere la colmata parziale di scavi ed un riutilizzo del sito di tipo agricolo, secondo la seguente sequenza esemplificativa:
a)riporto di materiale inerte sul fondo, sino a 1-2 m. sopra il livello massimo di risalita della falda;
b) rimodellamento delle scarpate con pendenza massima pari a 2:3 (inclinazione da verificare alla luce delle caratteristiche geotecniche dei terreni e dei risultati delle analisi di stabilità) nel caso di recupero vegetale e di 10°-20° nel caso di recupero agricolo;
c) spianamento del fondo cava con pendenza verso il lato ove è previsto il drenaggio e l'accumulo temporaneo delle acque piovane;
d) costruzione di fossi di guardia sul ciglio superiore delle scarpate al piano campagna;
e) costruzione di canalette di drenaggio al piede delle scarpate e loro collegamento al punto di raccolta e allontanamento delle acque;
f) riporto di almeno 0,3 m. di spessore di terreno agrario sulle scarpate con recupero vegetazionale;
g) riporto di almeno 0,6 m. di spessore di terreno agrario sul fondo cava e sulle scarpate con recupero agricolo;
h) ripristino delle colture agricole;
i) ripristino vegetazionale sulle scarpate, tramite semine di specie erbacee ed arbustive e/o piantumazioni di specie arbustive e/o arboree.
1.6. Cave coltivate a fossa di dimensioni superiori a 1 ha, profonde più di 3 m. sotto falda
1.6.1. Tali cave di grandi dimensioni costituiscono una perdita definitiva del suolo all'uso agricolo e forestale, essendo improponibile un loro tombamento totale con materiali inerti sino al piano campagna.
1.6.2. Sono allora prevedibili utilizzazioni a pesca sportiva, a finalità turistico-ricreative e naturalistiche.
CAPITOLO II° - CAVE IN COLLINA, IN SEDIMENTI SCIOLTI, PRINCIPALMENTE GHIAIE E SABBIE E SUBORDINATAMENTE ARGILLE
2.1 Cave in collina
2.1.1. Su scarpate caratterizzate da forte aridità estiva e da carenza di substrato, gli stadi vegetazionali più facilmente riproponibili sono quelli degli arbusteti xero-termofili e delle praterie aride e semi-aride.
2.1.2. Le modalità specifiche del recupero varieranno in ogni caso a seconda della natura geologica e geomorfologica del sito cava.
2.1.3. Alcuni criteri generali di intervento sono i seguenti:
a) il miglioramento delle condizioni di intervento va ricercato sia nelle modifiche della
morfologia (abbattimento delle pendenze) che nel substrato (riporto di terreno vegetale e di inerti a frazioni fini);
b) i materiali di risulta da mettere a discarica vanno preferenzialmente utilizzati per il ritombamento delle aree estrattive dismesse;
c) un'attenzione particolare va posta allo scotico, stoccaggio e riutilizzo del terreno vegetale; la programmazione di questi movimenti di terra deve avvenire evitando che l'humus vada disperso e messo a discarica o che venga stoccato per tempi molto lunghi prima di un suo riutilizzo, favorendo in tal caso il deterioramento delle sue caratteristiche pedologiche ad opera degli agenti meteorici (piogge dilavanti, ecc.); va sottolineato a questo riguardo che la condizione principale per la riuscita del recupero delle cave è proprio la disponibilità di terreno vegetale;
d) per quanto riguarda le tecniche di ingegneria naturalistica da adottare va data preferenza a quelle meno onerose quali le idrosemine e le semplici messe a dimora di alberi e arbusti;
e) soluzioni di costo maggiore quali palificate vive, viminate e biostuoie, impianto di alberi adulti, tecniche di invecchiamento artificiale dei fronti rocciosi e strutture di sostegno (muri, terre armate ecc.) vanno limitati ai casi di effettiva necessità;
f) al fine di una ottimizzazione operativa dei lavori, la coltivazione sarà fatta di regola per lotti successivi; l'inizio del lotto dovrà essere contestualmente all'avvenuto inizio delle operazioni di recupero del lotto precedentemente sfruttato.
2.2. Modalità di intervento
2.2.1. Rimodellamento dei fronti di cava su versante con materiale di risulta.
2.2.2. Una tipologia particolare di interventi è quella che prevede l'impiego, nel recupero delle cave, di inerti di scarto.
2.2.3. Le precedenti tipologie di recupero di cava su versante possono, infatti, essere abbinate ad una riprofilatura morfologica della base del fronte di cava mediante riporto di detto materiale, nei casi nei quali ne sia verificata l'idoneità.
2.2.4. La geometria (altezza dei riporti e pendenza delle scarpate) è strettamente dipendente dalle proprietà meccaniche dei materiali che si intendono impiegare e dalle modalità di posa in opera degli stessi.
2.2.5. L'intervento si attua tramite una riprofilatura parziale a pendenza unica con consolidamento superficiale realizzato mediante fasciate vive disposte a canali trasversali ogni 20 m con funzione di drenaggio delle acque di scorrimento superficiale, contemporanea diminuzione della velocità di ruscellamento delle stesse e conseguente riduzione dell'azione erosiva.
2.2.6. Il cotico erboso, gli arbusti e i cespi di graminacee autoctone che ricoprono comunque tutta la superficie della scarpata garantiscono il consolidamento superficiale e il reinserimento a verde.
2.2.7. In ogni caso si deve provvedere ad evitare ristagni di acqua al piede del riporto per non favorire l'innesco di fenomeni di instabilità.
2.2.8. Estrema attenzione deve essere posta al sistema di regimazione delle acque meteoriche, prevedendo una rete di canalette di raccolta ed allontanamento delle acque superficiali.
2.2.9. Per garantire adeguate condizioni di stabilità d'insieme potrà verificarsi la necessità di dover ricorrere ad interventi di drenaggio ed allontanamento delle acque sotterranee (mediante setti e/o materassi drenanti).
2.2.10. Al piede del riporto può essere necessario collocare, per garantire adeguate condizioni di stabilità, a seconda dei casi, una struttura di sostegno flessibile (ad esempio una gabbionata) o effettuare un intervento di consolidamento (mediante, ad esempio, terre armate o palificate vive in legno), in quest'ultimo caso, la funzione consolidante è garantita in un primo tempo dalla struttura lignea e in un secondo momento dalla radicazione in profondità degli arbusti.
2.2.11. Il riporto sul singolo gradone può essere esteso a tutta la pedata, nel caso in cui vi sia appunto inerte di scarto disponibile e le condizioni stesse di sicurezza possano essere migliorate mediante l'impiego di cordonate di talee.
2.2.12. La maggiore umidità relativa delle frazioni fini presenti nella parte più superficiale del riporto consentono in genere la costituzione di un sistema misto erbaceo ed arbustivo della serie mesofila.
2.2.13. Nel caso di cava di materiale lapideo su altopiano o morfologia collinare, la situazione si può più facilmente prestare alla totale ricostituzione della morfologia originaria mediante ritombamento degli scavi con materiali inerti di risulta.
2.2.14. In questo caso la procedura è analoga a quella già citata per le cave di versante, salvo che le minori pendenze finali consentano la ricostruzione dello stadio climatico della serie termofila o mesofila a seconda delle condizioni pedoclimatiche ed altitudinali di intervento.
2.3. Cave in collina, coltivate a fronte unico e/o a più scarpe interrotte da banche.
2.3.1. Tali cave comportano l'arretramento del versante collinare a monte.
2.3.2. Il recupero si attua inizialmente portando la pendenza dei fronti di cava ad angoli non superiori a pendenze di 2:3 con fondo della cava pianeggiante oppure subpianeggiante.
2.3.3. Se l'altezza del fronte di scavo è contenuta si provvederà di solito ad eseguire una pendenza unica: se l'altezza del fronte di scavo è più rilevante si adotterà una configurazione a più scarpe interrotte da banche; le configurazioni dovranno essere fissate in base alla caratterizzazione geotecnica dei terreni oggetto d'intervento ed alle risultanze delle analisi di stabilità condotte ai sensi della normativa vigente.
2.3.4. La finalità principale del recupero in questi casi è comunque quella del rimodellamento morfologico, ripristinando le pendenze originarie.
2.3.5. Successivamente è possibile la ricostituzione del bosco mesofilo su scarpate a media pendenza, mentre in quelle a pendenza più accentuata si aggredisce uno stadio meno evoluto in cui la persistenza dell'erosione è ottenuta mediante impiego di stuoie in fibra vegetale, abbinate a fascinate vive.
2.3.6. Anche in questo caso la fascinata funge da dreno vivo per la captazione delle acque di ruscellamento.
2.3.7. Sul fondo è possibile la ricostituzione di un bosco a salici e pioppi, laddove si operi in vicinanza della falda o vi siano maggiori tassi di umidità.
2.3.8. Una sequenza delle operazioni da eseguire nei casi in cui si intenda ripristinare l'uso del suolo a coltivi, può essere la seguente:
a) rimodellamento dei fronti;
b) riporto di terreno agrario sul fondo della cava (per uno spessore almeno di 60 cm) e sulle scarpate (per uno spessore di almeno 30 cm);
c) ripristino di colture agricole sul fondo della cava;
d) ripristino a bosco della scarpata, con fossa al piede, tramite semine di specie erbacee, arbustive ed arboree autoctone; si potranno rendere necessarie a questo scopo specifiche tecniche di ingegneria naturalistica.
CAPITOLO III° - CAVE IN COLLINA OPPURE IN MONTAGNA PER L'ESCAVAZIONE DI MATERIALI LITOIDI (ARENARIE, CALCARI, CALCARENITI, MARNE, OFIOLITI, …)
3.1 Valgono finalità e modalità previste al capoverso 2.1.
3.2 Modalità di intervento.
3.2.1. Le scarpate finali dovranno essere sempre stabili, in genere attraverso la previsione di banche intermedie.
3.2.2. A tale proposito si ricorda che, in base al D.P.R. n. 128 del 09/04/1958, è vietato tenere a strapiombo i fronti di escavazione.
3.2.3. Di volta in volta verranno stabilite l'ampiezza finale delle pedate della banche, là ove previste, nonché l'inclinazione e l'altezza delle scarpate di raccordo.
3.2.4. La progettazione sarà comunque conseguente alla caratterizzazione fisica e meccanica della formazione oggetto di coltivazione e congruente con l'ambito morfologico di inserimento della cava.
3.2.5. Si considerano a tal fine, a seconda della formazione coltivata, parametri significativi quali giacitura, stato di fratturazione, livello di cementazione, stato di addensamento, angolo di attrito.
3.2.6. Al fine di prevenire l'innesco dei fenomeni di erosione e di dissesto, dovrà essere sempre garantito un adeguato drenaggio delle acque superficiali dilavanti.
3.2.7. Dovranno essere quindi previsti fossi di guardia al ciglio superiore di coltivazione ed una rete di drenaggio estesa all'intera area estrattiva, collegata con i ricettori naturali e/o artificiali esistenti.
3.2.8. Fatte salve le esigenze di sicurezza, si tenderà comunque a garantire una elevata diversificazione dei microhabitat presenti, che comprenderanno unità con diverso tenore di umidità ed ambienti rupestri soggetti ad erosione naturale.
3.3 Cave di materiale lapideo su versante: riprofilatura e rinverdimento del fronte
3.3.1. Partendo da un profilo di coltivazione a gradoni, si delineano le seguenti possibilità di
ripristino.
3.3.2. A titolo esemplificativo, un profilo di coltivazione può essere caratterizzato da gradoni con alzate sino a 20 m, scarpate di raccordo inclinate a 60° di pendenza sull'orizzontale e pedate di 10 m di profondità. La pendenza complessiva che ne deriva è, in questo caso, di circa 45°.
Le pendenze possono essere ulteriormente ridotte, operando con differenti modalità:
a) quando si ha la possibilità di operare un arretramento a monte del fronte di cava, si può procedere ad una riprofilatura del fronte stesso, fino ad ottenere un'inclinazione dell'ordine di 35°; questa tecnica consente una modifica del profilo del fronte che viene pertanto a 35° con coltivazioni per fasi discendenti; la scarpata viene interrotta ogni 10 m. da gradini di circa 1-2
m. che servono sia per l'accesso durante gli interventi e le manutenzioni che per l'intercettazione delle acque di ruscellamento; la pendenza adottata e la copertura vegetale con ricostituzione dello stadio a prato xerofilo e arbusti pionieri della serie xero-termofila garantiscono il totale reinserimento a verde;
b) quando è impossibile l'arretramento del fronte di cava e non vi sono sufficienti quantità di inerti per effettuare significative riprofilature morfologiche mediante riporto di materiale al piede del fronte, si può procedere con il taglio a 35° delle teste di scarpa e formazione sui gradoni di riporti di inerti di risulta dell'attività.
3.3.3. Tutte le superfici devono essere rivestite con uno strato di terreno vegetale di circa 20 cm, idroseminate e piantate con specie erbacee ed arbustive ed autoctone.
3.3.4. Tali interventi possono essere integrati con rivestimenti vegetali (georeti a tasche, a stuoia) che possono fornire un'ulteriore copertura anche dei tratti di scarpata in roccia più acclivi.
3.4 Rimodellamento dei fronti di cava su versante con materiale di risulta
3.4.1. Una tipologia particolare di interventi è quella che prevede l'impiego nel recupero delle cave, di inerti di scarto.
3.4.2. Le precedenti tipologie di recupero di cava su versante possono, infatti, essere abbinate ad una riprofilatura morfologica della base del fronte di cava mediante riporto di detto materiale, nei casi in cui ne sia verificata l'idoneità.
3.4.3. La geometria (altezza dei riporti e pendenza delle scarpate), è strettamente dipendente dalle proprietà meccaniche dei materiali che si intendono impiegare e dalle modalità di posa in opera degli stessi.
3.4.4. Nello schema ipotizzato si ha una riprofilatura parziale a pendenza unica con consolidamento superficiale realizzato mediante fascinate vive disposte a canali trasversali ogni 20 cm con funzione di drenaggio delle acque di scorrimento superficiale, contemporanea diminuzione della velocità di ruscellamento delle stesse e conseguente riduzione dell'azione erosiva.
3.4.5. Il cotico erboso, gli arbusti e i cespi di graminacee autoctone che ricoprono comunque tutta la superficie della scarpata garantiscono il consolidamento superficiale e il reinserimento a verde.
3.4.6. In ogni caso si deve provvedere ad evitare ristagni di acqua al piede del riporto per non favorire l'innesco dei fenomeni di instabilità.
3.4.7. Estrema attenzione deve essere posta al sistema di regimazione delle acque meteoriche, prevedendo una rete di canalette di raccolta ed allontanamento delle acque superficiali.
3.4.8. Per garantire adeguate condizioni di stabilità d'insieme potrà verificarsi la necessità di dover ricorrere ad interventi di drenaggio ed allontanamento delle acque sotterranee (mediante setti e/o materassi drenanti).
3.4.9. Al piede del riporto può essere necessario collocare, per garantire adeguate condizioni di stabilità, a seconda dei casi, una struttura di sostegno flessibile (ad esempio una gabbionata) o effettuare un intervento di consolidamento (mediante, ad esempio, terre armate o palificate vive in legno); in quest'ultimo caso, la funzione consolidante è garantita in un primo tempo dalla struttura lignea e in un secondo momento dalla radicazione in profondità degli arbusti.
3.4.10. Il riporto sul singolo gradone può essere esteso a tutta la pedata, nel caso in cui vi sia appunto inerte di scarto disponibile e le condizioni stesse di sicurezza possano essere migliorate mediante l'impiego di cordonate di talee.
3.4.11. La maggiore umidità relativa delle frazioni fini presenti nella parte più superficiale del riporto consentono in genere la costituzione di un sistema misto erbaceo ed arbustivo della serie mesofila.
3.4.12. Nel caso di cava di materiale lapideo su altopiano o morfologia collinare, la situazione si può più facilmente prestare alla totale ricostituzione della morfologia originaria mediante ritombamento degli scavi con materiali inerti di risulta.
3.4.13. In questo caso la procedura è analoga a quella già citata per le cave di versante, salvo che le minori pendenze finali consentono la ricostruzione dello stadio climatico della serie termofila o mesofila a seconda delle condizioni pedoclimatiche ed altitudinali di intervento.
ALLEGATO G
INDICAZIONI PER LA COSTRUZIONE DEI POZZI
1. Chiunque intenda realizzare opere atte a captare acque provenienti dal sottosuolo da destinare a qualsiasi uso e per qualsiasi scopo (fatte salve le eventuali procedure e adempienze di cui al T.U. 1775/1933 ed alla
L. 36/1994) deve presentare domanda al Sindaco.
2. Il rilascio dell'autorizzazione avverrà dopo aver svolto gli accertamenti di carattere urbanistico, geologico, ambientale e igienico-sanitario.
3. L'utilizzo dell'acqua ritrovata per gli usi diversi da quello domestico di cui all'art.93 del T.U. 1775/1933 ed alla L. 36/1994 è comunque subordinato alla relativa concessione da rilasciare dalla Regione Toscana, secondo quanto prescritto dai citati dispositivi di legge.
4. L'accettazione della domanda di realizzazione dell'opera di captazione è subordinata all'analisi dello stato della risorsa idrica sotterranea nell'area (geometria degli acquiferi, potenzialità e caratteristiche, aree di rispetto e di salvaguardia, vulnerabilità, sfruttamento, ecc.).
5. Vengono individuate, negli strumenti urbanistici comunali, le aree la cui destinazione urbanistica risulta compatibile, compatibile con prescrizioni o non compatibile rispetto all'esecuzione di opere di captazione da parte dei privati.
6. Per le opere di captazione private destinate ad usi potabili o alimentari, dovrà essere verificata l'impossibilità di allacciamento alla rete acquedottistica comunale.
7. Deve essere vietata la captazione simultanea con la stessa opera da acquiferi non comunicanti fra loro; gli attraversamenti praticati tra più acquiferi dovranno essere adeguatamente sigillati con materiali idonei ed indicati negli allegati tecnici. Nel caso di captazione da un acquifero multistrato, contenente cioè livelli acquiferi in collegamento tra loro, la struttura di questo deve essere documentata nei documenti tecnici presentati; l'emungimento da più livelli deve essere giustificato dai fabbisogni richiesti e dalla potenzialità dell'acquifero. In questi casi comunque non è consentito l'emungimento dal livello acquifero superficiale che deve essere adeguatamente isolato dai sottostanti.
8. Per tutti gli edifici e/o impianti e per le aree di pertinenza previste all'interno di strumenti urbanistici di attuazione (lottizzazioni, piani di recupero, piani particolareggiati, ecc.) sono rilasciate autorizzazioni alla realizzazione di opere di captazione per qualsiasi uso, solo nei termini previsti dalla convenzione stipulata con l'Amministrazione Comunale.
9. Il Sindaco rilascerà o negherà l'autorizzazione alla realizzazione dell'opera previo esame della domanda, dei documenti progettuali e acquisizione del parere dell'A.R.P.A.T. e/o dell'Azienda U.S.L. per quanto di competenza, fermo restando il potere di impartire le prescrizioni tecniche che si ritengano caso per caso opportune. Copia della documentazione sarà inviata per conoscenza alla Provincia c/o il Servizio Difesa del Suolo U.O. Salvaguardia Risorse Idriche per eventuali osservazioni. Il parere della Provincia è obbligatorio nei casi che la costruenda opera di captazione ricada all'interno delle aree sottoposte a vincolo idrogeologico di cui al X.X. 0000/00; il parere sarà rilasciato secondo le modalità stabilite dal Regolamento Provinciale per il Vincolo Idrogeologico.
10. Alla richiesta di autorizzazione dovrà essere allegata una relazione geologica e idrogeologica preliminare con indicazione anche della vulnerabilità degli acquiferi e le fonti di potenziale inquinamento presenti nell'area, nonché il progetto dell'opera di captazione.
11. L'inizio dei lavori deve essere comunicato all'A.C., e a lavori ultimati dovrà essere presentata opportuna relazione tecnica relativa alle caratteristiche idrogeologiche e costruttive del pozzo; copia di detta documentazione dovrà essere inviata anche alla Provincia per l'aggiornamento del catasto pozzi; sono fatti salvi gli obblighi di cui alla L.464/84.
12. Per quanto concerne le caratteristiche costruttive delle opere di captazione, i pozzi realizzati per qualsiasi tipo di approvvigionamento devono essere di tipo tubolare e l'emungimento deve avvenire, salvo casi particolari, mediante pompe di tipo sommerso, adeguatamente posizionate onde cercare di evitare problemi di caduta di efficienza delle opere di captazione. La parte superficiale dell'opera di presa deve essere contenuta in apposito pozzetto impermeabilizzato e sigillato realizzato in modo che non sia possibile la filtrazione di agenti inquinanti dalla superficie all'opera stessa. Onde salvaguardare l'acquifero che si intende emungere, dovrà essere cementata, al di sopra dei filtri, l'intercapedine tra perforo e rivestimento, con materiali di volta in volta idonei alle caratteristiche litologiche dei terreni attraversati e alle caratteristiche idrodinamiche dell'acquifero. La cementazione andrà comunque eseguita dopo la fase di spurgo onde evitare fenomeni di assestamento del perforo che potrebbero compromettere l'efficienza della cementazione. Per pozzi perforati nella falda freatica, la cementazione dovrà essere estesa almeno
alla metà della profondità della perforazione stessa. La cementazione in ogni caso dovrà continuare in superficie realizzando qui una piattaforma in calcestruzzo cementizio di raggio di almeno 1 m con leggera pendenza verso l'esterno.
13. Tutti i proprietari di impianti di approvvigionamento autonomi realizzati dopo l'entrata in vigore della presente normativa, devono provvedere alla installazione sulle tubazioni in uscita e prima di ogni derivazione, di un contatore regolarmente installato secondo quanto disposto dall'art.7 L. n. 319/76 e successive modifiche e integrazioni.
14. Gli uffici competenti eseguiranno accertamenti sui pozzi esistenti nel territorio comunale per verificare il rispetto delle norme in materia ambientale ed igienico-sanitaria. In caso di inosservanza, i pozzi non potranno essere ulteriormente utilizzati se non previa realizzazione delle opportune prescrizioni tecniche. Qualora l'opera costituisca potenziale pericolo di inquinamento delle falde sotterranee ne verrà disposta la definitiva chiusura.
15. Per ogni opera di captazione devono essere definite opportune aree di salvaguardia, distinte in:
a) zona di tutela assoluta (è estesa a qualsiasi tipo di opera di captazione utilizzata per qualsiasi scopo ed è adibita esclusivamente all'installazione di opere di presa e di costruzioni di servizio, essa deve essere adeguatamente protetta allo scopo di garantire l'incolumità pubblica e la tutela igienico-sanitaria dell'acquifero, deve essere provvista di canalizzazione per le acque meteoriche e deve avere un raggio in ogni caso non inferiore ai 10 m con centro nell'opera; fermo restando quanto disposto in materia di aree di salvaguardia delle risorse idriche da destinare al consumo umano dal D.P.R. 24/05/1988 n. 236; l'estensione della zona di tutela assoluta è adeguatamente ampliata in relazione alla situazione di rischio della risorsa ed in essa sono vietate attività di qualsiasi genere);
b) zona di rispetto (sono estese a qualsiasi tipo di opera di captazione utilizzata per qualsiasi scopo, sono delimitate in relazione alle risorse idriche da tutelare, in relazione sia all'utilizzo della risorsa, sia alle caratteristiche idrodinamiche degli acquiferi presenti e sia alla situazione locale di vulnerabilità e rischio degli stessi, fermo restando quanto disposto in materia di aree di salvaguardia delle risorse idriche da destinare al consumo umano dal D.P.R. 24/05/1988).
16. L'estensione della zona di tutela assoluta e della zona di rispetto dovrà essere adeguatamente documentata negli elaborati tecnici di progetto, nella cui proposta dovrà essere dimostrata l'assenza di rischio per la risorsa. In sede di rilascio dell'autorizzazione verranno prescritte le dimensioni delle fasce di cui sopra.
17. Per tutte le opere di captazione al momento della messa in esercizio deve essere realizzato un esame delle qualità delle acque; tale esame deve essere ripetuto con scadenza minimo annuale contestualmente alla lettura del contatore, a cura del proprietario. I dati dovranno essere riportati in apposite schede fornite dal Comune e riconsegnati allo stesso entro 30 giorni. Il Comune si riserva di effettuare o far effettuare le misure dei livelli statici e dinamici.
18. L'autorità competente si riserva comunque di intervenire anche per le opere di captazione esistenti a qualsiasi uso destinate nel caso si ravvisino compromissioni nell'equilibrio del bilancio idrico.
ALLEGATO H
INDICAZIONI IN ORDINE ALLA COMPATIBILITA' DELLE INDUSTRIE INSALUBRI E DI ALTRE TIPOLOGIE PRODUTTIVE CON GLI INSEDIAMENTI ESISTENTI
1. Premessa
Il presente documento ha per scopo la tutela delle condizioni ambientali e igienico-sanitarie nelle aree in cui si verifica la contemporanea presenza di residenza ed attività produttive relativamente agli aspetti connessi alle emissioni in atmosfera.
L'elenco delle industrie insalubri di cui all'art.216 del testo unico delle leggi sanitarie è stato integrato con il D.M. 5 settembre 1994; detto elenco, considerando le industrie sotto il triplice aspetto delle sostanze chimiche (prodotte, impiegate o depositate), dei prodotti e materiali (1avorati, prodotti, trattati o depositati) e delle attività industriali, non prendendo in esame la dimensione aziendale e la quantità di sostanze pericolose lavorate, comprende anche lavorazioni che solitamente presentano impatti sull'ambiente e sulla salute della collettività trascurabili, tali da non richiedere il confinamento di queste attività in aree particolari.
La possibile presenza di attività potenzialmente, ma non di fatto, pericolose o disturbanti è stato recepito, in particolare, dalla normativa in tema di emissioni (DPR 25 luglio 1991) che ha individuato attività che comportano un inquinamento atmosferico poco significativo e/o ridotto, escludendo per le prime la necessità di qualsiasi tipo di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, pur restando comprese nell'elenco delle industrie insalubri.
In via generale tutte le attività comprese nell'elenco delle industrie insalubri, sia di I che di II classe, possono arrecare disturbo al vicinato e, pertanto, dovrebbero essere ritenute non compatibili dal punto di vista igienico-sanitario con le aree di tipo residenziale siano esse di tipo A che di tipo B.
Viceversa, tutti i tipi di attività insalubri sono ritenuti compatibili, in via generale, con le zone di tipo D "Attività Produttive". Sono presenti però nel territorio provinciale a1cune aree di tipo D all'interno delle quali è rilevante l'uso residenziale dei fabbricati o che sono contigue ad aree residenziali. Per la tutela delle condizioni igienico-sanitarie di chi abita tali immobili sono state individuate alcune attività, comprese tra quelle insalubri di I classe, che possono provocare impatti ambientali significativi, pericolo, disturbo e nocumento alla salute che, per tale motivo, saranno consentite in tali aree per attività produttive in cui si è evidenziato il rischio per la popolazione residente solo dopo attenta verifica ai sensi dell'art. 216 comma 5 del T.U.L.S. ed eventuale adozione dei limiti più- restrittivi per le emissioni come previsto dal DPR 203/88 secondo un criterio generale che tende alla esclusione di queste attività particolarmente disturbanti dalle zone più intensamente abitate.
Le presenti indicazioni andranno applicate a tutti i nuovi insediamenti; per gli insediamenti esistenti insediati in maniera difforme da quanto indicato nel presente allegato e che hanno dato luogo a evidenti fenomeni di disturbo dovranno essere previsti i tempi di delocalizzazione; non saranno consentite integrazioni al ciclo produttivo in difformità di quanto previsto nei presenti criteri, né il mantenimento di cicli produttivi difformi nel caso di subentri. Si derogherà da questo criterio nel caso in cui l'unica variazione sia quella della ragione sociale.
Come criteri generali, sa1vo sia espressamente previsto il contrario, tutte le attività potranno essere insediate solo ai piani terreni dei fabbricati, le emissioni dovranno essere condottate al di sopra del tetto de1 fabbricato (si fa eccezione per i ricambi d'aria ambiente) e l'eventuale limitazione del numero degli addetti intende comprendere in tale numero tutti coloro che realmente operano in azienda, soci o titolare partecipanti all'attività inclusi.
2. Attività insalubri di I classe
Vengono di seguito indicate le lavorazioni che, pur essendo classificate come insalubri in base al D.M. 05/09/1994 (Elenco delle industrie insalubri di cui all'art.216 del testo unico delle leggi sanitarie), in virtù di considerazioni di tipo igienico-sanitario, de1le loro caratteristiche di pericolosità, dei procedimenti tecnologici abitualmente adottati o comunque disponibili e secondo criteri quali-quantitativi di volta in volta indicati, possono essere accettate anche in zone residenziali perché‚ il loro esercizio di norma "non reca nocumento alla salute del vicinato". Resta inteso che sulla singola richiesta di autorizzazione troverà applicazione quanto disposto dall'art. 216 T.U.L.S. e, comunque, qualora insorgano problemi di natura
igienico-sanitaria in fase di gestione delle attività troverà applicazione quanto disposto dall'art. 217
T.U.L.S. (dalla prescrizione di ulteriori accorgimenti tecnici per eliminare gli inconvenienti, fino alla revoca dell'autorizzazione).
Sono ritenute compatibili con zone residenziali di tipo A, A1, A2, B4 le seguenti attività, con il limite massimo di 3 addetti:
- laboratori odontotecnici {1, B, 82};
- laboratori orafi con fusione purché‚ con forno ad induzione a circuito chiuso {1, B, 82};
- laboratori orafi con smaltatura (solo se manuale) {1, B, 82};
- laboratori orafi con decappaggio acido (bianchimento) ad esclusione di quello con acido nitrico, con quantità massima di acido stoccato pari a 5 l, in ambienti idonei, utilizzando contenitori dotati di controvasca per la raccolta di eventuali sversamenti {1, A, 16; 8 };
- decorazione di manufatti in ceramica senza procedimento di cottura {I, B, 38};
- utilizzazione mastici e solventi in piccole produzioni artigianali (calzolai, pelletterie, ...) con utilizzo giornaliero inferiore a 2 kg {1, A, 107. 108}.
Sono ritenute compatibili con zone residenziali di tipo B1, B2, B3, zone per insediamenti diffusi le seguenti attività, con un massimo di 5 addetti, salvo casi più restrittivi espressamente indicati:
- tutte le attività ritenute compatibili con zone residenziali di tipo A e B4;
- lavorazioni meccaniche con uso di fucina per aziende con un massimo di 3 addetti {I, B, 82 };
- laboratori orafi con esclusione delle fasi di microfusione, vuotatura con attacco di tipo chimico, trattamenti galvanici con cianuri, essiccazione fanghi e incenerimento spazzature. E' consentito lo stoccaggio di acido cloridrico e so1forico nei quantitativi massimi di 10 l, purché avvenga in loca1i idonei e uti1izzando apposite controvasche; è esc1usa l'utilizzo di bombole contenenti gas compressi liquefatti e lo stoccaggio di gas tossici; la fusione con emissione dei fumi è ammessa esclusivamente se effettuata con forni ad induzione elettronica. Resta inteso che tutte le emissioni di fumi debbano avvenire al di sopra del tetto. {I, A, 8; 16; B, 82; II, C, 11};
- laboratori di ricerca ed analisi con esclusione di laboratori per saggi orafi e laboratori con detenzione di gas tossici diversi da quelli utilizzati in cicli frigoriferi {1, A, ... };
- utilizzo di ammoniaca in impianti a circuito chiuso e stoccaggio di soluzioni di1uite come preparati per la pulizia { 1, A, 25 };
- utilizzo di ossido di etilene in ospedali e case di cura {1, A, 63};
- utilizzo di solfiti, bisolfiti, metasolfiti, iposo1fiti per uso enologico {1, A, 105};
- deposito di sostanze chimiche classificate o provvisoriamente classificate come pericolose se destinate alla vendita diretta e già confezionate per la vendita {I, A, 107. l08};
- impiego di coloranti per 1'artigianato artistico (stoffe, dipinti, ceramiche, ...) {I, C, 112; B, 108; II, C, 15};
- miscelazione e confezionamento di pitture, vernici, smalti e lacche per uso o vendita diretta al minuto
{1, B, 96; 108};
- esercizio di depositi, impianti di depurazione e trattamento di rifiuti solidi e liquidi relativi a cicli produttivi autorizzabili e ai soli quantitativi localmente prodotti dalla ditta stessa {1, B, 100};
- impermeabilizzazione, apprettatura, colorazione e stampa di tessuti in laboratori artigianali o artistici ad esclusivo servizio diretto al minuto {I, B, 112}.
Dal punto di vista igienico-sanitario tutte le attività insalubri sono compatibili con le zone agricole intese come aperta campagna (art.216 T.U L.S.).
Si ritiene debbano essere confinate nelle zone E, E1, E2, E3, E4 e D1 le seguenti attività:
- macinazione e frantumazione di minerali e rocce {I, B, 83 };
- allevamento di animali (è richiesta una fascia di rispetto non inferiore a 80 m - in analogia alle norme sulla fertirrigazione Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 04/02/1977 - rispetto alle abitazioni). {I, C, 1};
- stalla di sosta per il bestiame (è richiesta una fascia di rispetto non inferiore a 80 m - in analogia alle norme sulla fertirrigazione Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 04/O2/1977 rispetto alle abitazioni). {I, C, 2};
- allevamento di larve ed altre esche per la pesca, purché risulti accettabile da idonea documentazione tecnica l'impatto degli odori (è richiesta una fascia di rispetto non inferiore a 80 m in analogia alle norme sulla fertirrigazione Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 04/02/1977 - rispetto alle abitazioni). {1, C, 4};
- scuderie e maneggi (è richiesta una fascia di rispetto non inferiore a 80 m in analogia alle norme sulla fertirrigazione Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 04/02/1977 rispetto alle abitazioni). {1, C, 21};
- macelli, inclusa scuoiatura e la spennatura (è richiesta una fascia di rispetto non inferiore a 80 m in analogia alle norme sulla fertirrigazione Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 04/02/1977 rispetto alle abitazioni). {I, C, 17};
- impianti di compostaggio e trattamento di rifiuti organici. {1, B, 1O0}.
Dal punto di vista igienico-sanitario sono ritenute a notevole impatto ambientale e/o igienico sanitario le seguenti attività produttive:
- incenerimento;
- affinazione-recupero di metalli preziosi;
- vuotatura con emissione di fumi;
- deposito ed utilizzo di gas tossici (esclusa ammoniaca negli impianti di refrigerazione);
- lavorazioni di asfalti, bitumi, benzine e idrocarburi in generale.
Le attività produttive di cui al capoverso precedente non potranno essere insediate nelle zone D con rilevante presenza di insediamenti abitativi al loro interno o immediatamente a ridosso, se non dopo attenta valutazione, caso per caso, ai sensi de11'art. 216 del T.U.L.S., cosi come indicato nella premessa.
3. Attività insalubri di II classe o a significativo impatto igienico-sanitario
Oltre alle industrie insalubri di I classe, sulla base di quanto riportato in premessa e sull'esperienza maturata, si è ritenuto necessario elencare talune attività o fasi di cicli produttivi che, anche se classificabili come insalubri di II classe o non classificabili come insalubri, presentano significativi impatti di tipo igienico-sanitario per cui il loro insediamento in zone residenziali dovrebbe essere soggetto a 1imitazioni e prescrizioni generali.
Le attività classificabili insalubri di II classe non sono compatibili con la residenza salvo le eccezioni di seguito riportate:
Sono ritenute compatibili con zone residenziali di tipo X, X0, X0, X0 0x seguenti attività, con un massimo di 5 addetti, salvo casi più restrittivi espressamente indicati:
Insalubri di II classe
- laboratori orafi con presenza delle sole fasi di assemblaggio mediante sa1datura (a microfiamma o a idrogeno utilizzando appositi generatori, è escluso l'utilizzo di bombole contenenti gas compressi liquefatti) e finitura superficiale meccanica (burattatura, lavaggio, spazzolatura).{II, C, 11};
- restauro e riparazioni di mobili in materiale legnoso ad esclusione di verniciatura a spruzzo {II, C, 5};
Attività a significativo impatto igienico-sanitario:
- cucine, ristorazioni, rosticcerie e mense con esclusione di attività di catering, purché dotate di idoneo sistema di evacuazione fumi al di sopra dei tetti nel raggio di 30 m;
- panetterie, pasticcerie ed aff.ini con utilizzo di non più di 500 kg/giorno di farina purché dotate di idoneo sistema di evacuazione fumi al di sopra dei tetti nel raggio di 30 m;
- cicli produttivi non compresi tra quelli insalubri che richiedono la presenza di impianti termici o caldaie inserite nel ciclo produttivo purché queste siano funzionanti a metano e della potenzialità massima di 0,5 MW, secondo le norme di legge;
- cicli produttivi non compresi tra quelli insalubri che richiedono la presenza di sfiati e ricambi d'aria esclusivamente adibiti alla protezione e al1a sicurezza degli ambienti di lavoro;
- gruppi elettrogeni per funzionamento di emergenza alimentati a metano, a norma di legge.
Sono ritenute compatibili con zone residenziali di tipo B1, B2, B3, zone per insediamenti diffusi le seguenti attività:
Insalubri di II classe
- pulitura a secco di tessuti e pellami (puli-tinto-lavanderie) purché dotate di impianti a circuito chiuso
{11, C, 9};
- lavorazioni meccaniche in genere (compresa la 1avorazione dei profilati in alluminio) con esclusione di attività di verniciatura a spruzzo, trattamento superficiale dei metalli e smerigliatura {II, C, 11};
- stoccaggio e movimentazione di prodotti petrolchimici ed idrocarburi (distributori di carburante) a condizione che vengano movimentati a ciclo chiuso { II, C, 14};
- falegnamerie con meno di 3 addetti con esclusione di verniciatura a spruzzo {II, C, 5};
- produzione di calzature in cuoio in attività di tipo artigianale assimilabili al calzolaio con massimo 2 addetti {II, B, 11};
- laboratori annessi a farmacie ed erboristerie per la formulazione di prodotti cosmetici, farmaceutici o di
profumeria {II, B, 23. 24};
- torrefazione di semi per vendita diretta al minuto con esclusione della torrefazione del caffè e surrogati
{11, B, 50}.
Attività a significativo impatto igienico-sanitario:
- officine meccaniche di riparazioni veicoli, carburatoristi, elettrauto e simili con esclusione di quelle dotate di banchi prova motori ed iniettori;
- serre;
- stirerie;
- autolavaggi purché non vi sia uso di solventi ed idrocarburi.
ALLEGATO I
INDICAZIONI PER LA ZONIZZAZIONE ACUSTICA DEL TERRITORIO
PREMESSA
1. La legge n. 447/95, "Legge Quadro sull'inquinamento acustico", all'art. 6, ribadisce l'obbligo della zonizzazione comunale, già introdotto dal D.P.C.M. 01/03/1991; tale operazione consiste nell'assegnazione, a ciascuna porzione omogenea di territorio, di una delle sei classi individuate dal decreto, sulla base della prevalente ed effettiva destinazione d'uso del territorio stesso (esistente e prevista).
1.1. La zonizzazione acustica è un atto tecnico-politico di governo del territorio, in quanto ne disciplina l'uso e vincola le modalità di sviluppo delle attività ivi svolte. L'obiettivo è quello di prevenire il deterioramento di zone non inquinate e di fornire un indispensabile strumento di pianificazione, di prevenzione e di risanamento dello sviluppo urbanistico, commerciale, artigianale e industriale; deve essere coordinata con gli strumenti di governo del territorio di cui i Comuni devono dotarsi.
1.2. Le linee guida di seguito riportate rappresentano un indirizzo generale per i Xxxxxx che dovranno analizzare criticamente quanto riportato, adattandolo alla realtà presente sul proprio territorio nel rispetto dei principi generali.
1.3. Nel realizzare la classificazione in zone del territorio si dovrà tenere conto che la definizione di zona stabilisce automaticamente sia i livelli di attenzione, superati i quali occorre procedere ad avviare il piano di risanamento comunale, sia i limiti massimi di immissione ed emissione che non dovranno essere superati da tutte le sorgenti presenti sul territorio; tali limiti saranno il riferimento per il rilascio di licenze ed autorizzazioni.
1.4. I limiti, che con la classificazione si impongono, non devono essere in contrasto con le previsioni di sviluppo della zona, né con la destinazione urbanistica presente, a meno che la volontà politica sia quella di variarne la destinazione d'uso.
CRITERI GENERALI
2. La legge n. 447/95 affida alle Regioni un ruolo di indirizzo e coordinamento delle attività in materia di inquinamento acustico e, in particolare, assegna loro il compito di provvedere a definire, con legge, i criteri con cui i Comuni procedono alla classificazione acustica del proprio territorio. Si forniscono le seguenti proposte metodologiche.
2.1. Il criterio di base per la individuazione e la classificazione delle differenti zone acustiche del territorio è essenzialmente legato alle prevalenti condizioni di effettiva fruizione del territorio stesso, tenendo conto delle destinazioni attuali e delle eventuali varianti in itinere.
2.2. Devono essere identificate le aree da destinarsi a spettacolo a carattere temporaneo, ovvero mobile, ovvero all'aperto (L. n. 447/95 art.4 comma 1 lettera a) che saranno classificate e regolamentate come previsto dalla legge regionale da predisporsi ai sensi dell'art. 4 della L. n. 447/95.
2.3. Sono sconsigliate le eccessive suddivisioni del territorio; è, altresì, da evitare una eccessiva semplificazione, che porterebbe a classificare vaste aree del territorio in classi elevate; pertanto la dimensione minima delle zone è di 100 m di lato, e l'area delimitata non deve scendere indicativamente sotto i 40.000 m2 ad eccezione dei casi in cui esistano evidenti discontinuità morfologiche del territorio (argini, crinali, mura, ecc.) che ne giustifichino l'adozione, dal punto di vista dell'abbattimento del rumore rispetto alle zone adiacenti.
2.4. E' stabilito il divieto di accostamento diretto di aree, anche appartenenti a Comuni confinanti, che differiscano di più di una classe (a parte casi giustificati da discontinuità morfologiche); per rispettare tale vincolo si potranno introdurre delle fasce di rispetto degradanti; tale approccio si presta ai casi in cui sia credibile una riduzione progressiva della rumorosità nelle zone circostanti l'area da tutelare.
2.5. La possibilità di lasciare sulla carta il salto di zona (con conseguente piano di risanamento) si rende invece necessaria quando l'area da tutelare e la principale sorgente di rumore sono contigue per cui le uniche possibilità di risolvere il conflitto sono affidate o alla rilocalizzazione di uno dei due vincoli, o alla creazione di una discontinuità morfologica (barriere) tale da consentire il salto di classe.
3. Modalità di stesura della zonizzazione
3.1. La stesura della zonizzazione prevede molti elementi discrezionali; comunque si possono individuare alcune tappe tecnicamente necessarie, oltre che per l'esecuzione di un lavoro corretto, anche per garantire la trasparenza delle decisioni assunte.
3.2. Fase I: Acquisizione informazioni
3.2.1. Ai fini della corretta stesura del piano di zonizzazione dovranno essere acquisiti tutti gli atti di governo del territorio che hanno ricaduta in questo ambito (il P.R.G. e sue varianti, piano urbano del traffico dove previsto, eventuali aree sottoposte a vincoli urbanistici ed ambientali, per le zone di confine le zonizzazioni già realizzate dai Comuni confinanti, dislocazione delle infrastrutture ferroviarie e stradali e dati di traffico, dislocazione di recettori sensibili...).
3.2.2. Per comuni con nucleo urbano molto esteso potrà essere utile reperire anche informazioni più dettagliate su densità popolazione, presenza di attività commerciali, artigianali, poli di attrazione.
3.3. Fase II: Predisposizione bozza di zonizzazione
3.3.1. La seconda fase operativa consiste nel riportare sulla carta le informazioni acquisite e soprattutto quegli elementi che si ritiene debbano essere considerati fissi, cioè quegli elementi che sicuramente il P.R.G. non modificherà in tempi brevi o comunque quegli elementi per cui è già stata fatta una motivata scelta di classificazione e dai quali conseguono dirette implicazioni dal punto di vista della pianificazione acustica.
3.3.2. Da un punto di vista strettamente metodologico, è consigliabile iniziare con la definizione delle zone particolarmente protette (classe I) e di quelle a più alto rischio (classi V e VI), in quanto più facilmente identificabili in base alle particolari caratteristiche di fruizione del territorio o a specifiche indicazioni di Piano Regolatore, per poi proseguire con l'assegnazione delle classi II, III e IV e con la classificazione della viabilità
3.3.3. Pertanto si può proporre la seguente metodologia:
a) si analizza a scopo conoscitivo il P.R.G., il suo stato di attuazione ed ogni altra informazione utile sul territorio in esame e si verifica la corrispondenza tra destinazione urbanistica e destinazioni d'uso effettive;
b) si individuano alcune localizzazioni particolari, quali le zone industriali, gli ospedali, le scuole, i parchi e si ipotizzano le classi I, V e VI;
c) i recettori sensibili individuati nella fase di ricognizione come bisognosi di particolare tutela, andranno comunque classificati in una classe compresa tra la I e la III;
d) saranno classificate in classe V le aree occupate dalle zone industriali dove non è previsto l'insediamento di impianti a ciclo continuo;
e) saranno invece classificate in classe VI le aree destinate ad essere esclusivamente industriali e prive di abitazioni (si può ammettere in tali aree la presenza di abitazioni occupate dal personale di custodia o dai proprietari e dalle relative famiglie; dovranno essere previste per tali abitazioni delle prescrizioni riguardanti i loro requisiti acustici e posti dei vincoli sulla destinazione d'uso di queste abitazioni, di modo che non possano essere separati come proprietà dal resto della fabbrica);
f) si porranno in classe IV le aree da destinarsi a spettacolo a carattere temporaneo, ovvero mobile, ovvero all'aperto e le aree occupate dalle seguenti infrastrutture (in funzione della loro dimensione): stadi ed impianti sportivi; stazioni ferroviarie e centri smistamento merci; i depositi e le stazioni degli autobus urbani ed extraurbani; si porranno in classe IV altresì le aree in prossimità di strade di grande scorrimento e le aree in prossimità di infrastrutture stradali e ferroviarie secondo quanto riportato nel paragrafo "note alla classificazione della viabilità";
g) per le aree intermedie (classi II, III e IV) si cercherà di assegnare una classe, considerando i sotto riportati criteri particolari di classificazione; saranno classificati almeno in classe III i centri storici con presenza di attività commerciali ed artigianali anche se pedonalizzati;
si sovrapporrà una griglia con la classificazione della viabilità principale e le relative fasce di competenza, tenendo conto di quanto indicato nel paragrafo "note alla classificazione della viabilità";
h) si effettuerà infine l'aggregazione delle aree omogenee e l'analisi critica dello schema di zonizzazione che emerge, come descritto nel seguente paragrafo.
3.4. Fase III: analisi critica della zonizzazione acustica e verifica tecnica
3.4.1. A questo punto comincia la fase di ottimizzazione sulla base di considerazioni oggettive sul comportamento del rumore in ambiente esterno e le volontà politiche dell'amministrazione.
3.4.2. Una volta riportate sulla carta le "aree vincolanti" si dovranno dimensionare le zone nelle quali sono incluse e definire la ripartizione complessiva del territorio. Sarà opportuno in questa fase acquisire dei dati acustici relativi al territorio, evitando per quanto possibile le mappature e
realizzando invece indagini fonometriche sorgenti-orientate, intese come accertamenti tecnici mirati: si porrà tra l'altro il problema di stabilire come ed in quale misura posizionare delle aree in una zona diversa da quella inizialmente ipotizzata con lo scopo di rispettare i vincoli e principi generali; è possibile, per esempio, che sia stata assegnata una zona V ad un'area già urbanizzata, con insediamenti industriali e/o artigianali, che il P.R.G. individua come area industriale, ma che per tipologia e caratteristiche costruttive degli opifici sia tale da rispettare sempre i limiti di rumore imposti dalla zona IV; in questo caso è facoltà dell'amministrazione imporre il limite più restrittivo della zona IV al fine di mantenere la situazione ottimale creatasi senza concedere licenze al degrado.
3.4.3. Nella predisposizione della bozza di zonizzazione si potrebbe ottenere una zonizzazione a "macchia di leopardo", ossia caratterizzata da una suddivisione del territorio in un numero elevato di zone; al fine di superare tale inconveniente, come accennato in precedenza, si deve provvedere all'aggregazione di aree limitrofe, cercando di ottenere zone più vaste possibile senza però che questo comporti l'innalzamento artificioso della classe; le eventuali misure di rumore già effettuate sul territorio potranno essere utili per verificare se vi siano aree nelle quali i valori misurati consentano l'assegnazione di una zona acustica di livello inferiore rispetto a quella ipotizzata. Analogamente la classificazione della viabilità principale, sovrapposta allo schema di zonizzazione e l'inserimento delle fasce di rispetto può dare origine ad aree comprese tra le fasce di rispetto di strade diverse di scarsa significatività in quanto a superficie; è pertanto opportuno inglobare tali aree nelle zone limitrofe.
3.4.4. Si dovrà inoltre procedere all'armonizzazione dei casi nei quali le destinazioni d'uso del territorio siano tali da portare naturalmente ad una classificazione con salti di limite maggiori di 5 dB. In queste situazioni si aprono due possibilità:
a) definire una o più zone intermedie tra le due che creino un degradamento progressivo dei limiti dalla zona rumorosa a quella tutelata. Ovviamente tali zone non avranno una corrispondenza con le caratteristiche urbanistiche dell'area sottostante, ma serviranno ad individuare un progressivo inasprirsi dei limiti che comporta un allontanamento delle zone nelle quali è consentito introdurre sorgenti rumorose dall'area più tutelata. Nel fare questa operazione sarà necessario scegliere tra la possibilità di inserire limiti più restrittivi in un area urbanisticamente "rumorosa" e la rinuncia alla tutela di una parte dell'area "silenziosa";
b) lasciare sulla carta il "salto di zona" e definire contestualmente la necessità di approvare un piano di risanamento con le modalità ed i tempi della normativa regionale sul rumore.
3.4.4.1. La prima soluzione si presta nei casi in cui sia credibile una progressiva riduzione della rumorosità nelle zone circostanti l'area da tutelare.
3.4.4.2. La seconda soluzione invece è necessaria quando l'area da tutelare e la principale sorgente di rumore sono contigue (ad esempio ospedale che si affaccia su una strada a grande traffico), per cui le uniche possibilità di risolvere il conflitto sono affidate o alla rilocalizzazione di uno dei due vincoli (deviazione della strada, costruzione nuovo ospedale) o alla creazione di una barriera tale da consentire il salto di classe.
4. Criteri particolari di classificazione
4.1. Classe I - Aree particolarmente protette
4.1.1. Rientrano in questa classe le aree nelle quali la quiete rappresenta un elemento di base per la loro utilizzazione: aree ospedaliere, scolastiche, aree destinate al riposo ed allo svago, aree residenziali rurali, aree di particolare interesse urbanistico, parchi pubblici, ecc.
4.1.2. I limiti proposti per questa zona sono assai difficilmente compatibili con qualunque tipo di attività minimamente rumorosa.
4.1.3. I piani regolatori generalmente prevedono per le aree a destinazione residenziale particolari vincoli per la creazione di aree di verde attrezzato e di quartiere e la creazione, in alcuni casi, di grandi zone destinate a parco urbano, intese come aree verdi a servizio dell'intero sistema urbano. La classificazione di tali aree come aree particolarmente protette deve essere fatta solo se si intende salvaguardarne un uso esclusivamente "naturalistico"; la presenza nei parchi di attività ricreative o sportive o di piccoli servizi (quali bar, posteggi, ecc.), non è compatibile con i limiti previsti per le aree particolarmente protette. Per i parchi sufficientemente estesi si può procedere ad una classificazione differenziata in base alla reale destinazione delle varie parti di questi.
4.1.4. La classificazione di scuole e ospedali come aree particolarmente protette è da intendersi riportata a titolo esemplificativo dal Decreto e non tassativo, pertanto la si adotterà soltanto ove questa sia effettivamente necessaria al funzionamento di queste strutture; ad esempio qualora l'estensione delle aree non sia tale da configurare tali edifici come veri e propri poli scolastici o ospedalieri in cui siano proponibili interventi specifici in esterno, si ritiene opportuno classificare
i singoli edifici e le loro aree di pertinenza di modeste dimensioni in modo analogo alle aree circostanti interessate dalla viabilità, mantenendo comunque la possibilità di raggiungere più elevati livelli di comfort acustico nelle strutture più sensibili a mezzo di interventi passivi sugli stessi edifici.
4.1.5. Altrimenti, le aree da tutelare possono mantenere comunque la propria classe rendendo così necessari degli interventi di bonifica.
4.1.6. Per aree residenziali rurali si devono intendere i piccoli centri delle frazioni solo residenziali non appartenenti ad aree in cui vengono utilizzate macchine operatrici.
4.1.7. Per aree di particolare interesse urbanistico si devono intendere quelle aree di particolare interesse storico ed architettonico in cui la quiete sia ritenuta dall'Amministrazione Comunale un elemento essenziale per la loro fruizione. Non è da intendersi che tutto il centro storico debba rientrare automaticamente in tale definizione, così come possono invece rientrarvi anche zone collocate al di fuori di questo.
4.2. Classe II - Aree destinate ad uso prevalentemente residenziale
4.2.1. Rientrano in questa classe le aree urbane interessate prevalentemente da traffico veicolare locale, con bassa densità di popolazione, con limitata presenza di attività commerciali ed assenza di attività industriali ed artigianali.
4.2.2. La definizione di residenziale riportata dal Decreto non deve confondersi con quella riportata negli attuali piani regolatori, in quanto, tra l'altro, questi non tengono conto della rete viaria che interessa tali zone.
4.2.3. Rientrano in tale classe le aree prive quasi totalmente di attività commerciali, servizi, ecc. e destinate soltanto alla funzione abitativa, purché sufficientemente distanti dalle principali direttrici di traffico, le zone della città che abbiano avuto una sistemazione urbanistica a priorità pedonale, con limitata presenza di piccoli esercizi commerciali o servizi.
4.2.4. Non sarà possibile comprendervi le zone residenziali di progetto né le zone prevalentemente residenziali di completamento se al loro interno sono consentite attività artigianali. Vista l'elevata densità della popolazione, nonché l'elevata presenza di attività commerciali e uffici, non sarà', in generale, possibile inserire in questa classe i centri storici, salvo quanto sopra detto per le aree di particolare interesse urbanistico.
4.2.5. Le zone alberghiere non potranno far parte di questa classe se situate in zone a media o alta densità di popolazione o comunque interessate da fattori ostativi quali traffico intenso, ecc.; i campeggi sembrano invece trovare nella Classe II la loro collocazione migliore.
4.3. Classe III - Aree di tipo misto
4.3.1. Rientrano in questa classe le aree urbane interessate da traffico veicolare locale o di attraversamento, con media densità di popolazione con presenza di attività commerciali, uffici, con limitata presenza di attività artigianali e con assenza di attività industriali; aree rurali interessate da attività che impiegano macchine operatrici.
4.3.2. Rientrano in questa classe quasi tutte le zone residenziali e commerciali (negozi e uffici) dei centri urbani, le aree ed i borghi rurali, purché non si trovino in prossimità di strade di grande comunicazione o di linee ferroviarie.
Attività derivanti da insediamenti zootecnici rilevanti o da impianti di trasformazione del prodotto agricolo (caseifici, cantine, ecc.) sono da ritenersi a tutti gli effetti come attività produttive e quindi la loro presenza classifica la zona relativa in una delle classi successive.
4.4. Classe IV - Aree di intensa attività umana
4.4.1. Rientrano in questa classe le aree urbane interessate da intenso traffico autoveicolare, con alta densità di popolazione, con elevata presenza di attività commerciali e uffici, con presenza di attività artigianali; le aree in prossimità di strade di grande comunicazione e di linee ferroviarie; le aree portuali; le aree con limitata presenza di piccole industrie.
Questa classe rappresenta la classe più alta che si può assegnare ad un territorio in relazione all'inquinamento da mezzi di trasporto. E' del resto ormai noto che in molti centri urbani ed in prossimità di grandi arterie di comunicazione i livelli sonori riscontrati sono superiori, soprattutto in periodo notturno, ai limiti stabiliti nel Decreto per tale classe di destinazione d'uso del territorio. Tali aree dovranno quindi essere oggetto di adeguati piani di risanamento.
4.4.2. Rientrano in questa classe le zone ferroviarie, le fasce di rispetto stradale, le zone per attrezzature tecniche, nonché le zone artigianali di progetto. Le zone industriali di completamento potranno rientrarvi solo nel caso di limitata presenza di piccole industrie. Zone interessate da insediamenti industriali e caratterizzate da scarsità di popolazione dovranno essere collocate nella Classe V. In aree di questa classe in nessun caso dovranno essere inserite grandi industrie.
4.4.3. Rientrano pure in questa classe la maggior parte delle aree urbane, per la vicinanza a strade di grande comunicazione e/o per l'elevata densità di popolazione e/o per l'elevata presenza di attività commerciali ,uffici, attività artigianali.
4.5. Classe V - Aree prevalentemente industriali
4.5.1. Rientrano in questa classe le aree interessate da insediamenti industriali e con scarsità di abitazioni.
4.5.2. Differisce dalla classe successiva, per quanto riguarda i limiti esterni, solo per l'abbassamento del limite notturno, ma la differenza sostanziale è che qui le abitazioni sono protette dal criterio differenziale; questo può comportare che il limite effettivo sulla facciata delle abitazioni scenda di giorno fino a 55 - 60 dB(A) e di notte a 45 - 50 dB(A), contro i 60 - 70 dB(A) del limite di zona.
4.5.3. E' quindi necessario stabilire delle precise zone di rispetto tra le industrie della zona e le prime abitazioni onde evitare di vanificare nei fatti le opportunità consentite dalla collocazione in zone industriali delle aziende (vedi i criteri generali per la zonizzazione sopra riportati). Tali zone di rispetto dovranno essere dimensionate tenendo conto delle dimensioni delle sorgenti coinvolte e delle caratteristiche di propagazione del rumore (morfologia del suolo, ecc.).
4.6. Classe VI - Aree esclusivamente industriali
4.6.1. Rientrano in questa classe le aree esclusivamente interessate da attività industriali e prive di insediamenti abitativi. Risulta piuttosto difficile pensare ad aree industriali prive di insediamenti abitativi, almeno per quanto riguarda il significato comune del termine "insediamento abitativo". Questo può comportare o l'inesistenza reale della Classe VI, oppure nel caso in cui si ammetta l'esistenza di insediamenti abitativi in Classe VI, l'impossibilità di tutelare efficacemente dal disturbo chi abita (e lavora) in tale classe, giacché per essa non si applica il criterio differenziale.
4.6.2. Si propone dunque di considerare in modo più elastico l'affermazione "e prive di insediamenti abitativi" ammettendo la coesistenza in tali aree delle abitazioni occupate da personale con funzioni di custodia (e dalle relative famiglie). Risulta pertanto opportuno prevedere la possibilità di prescrivere per i locali situati in tali aree e non adibiti ad attività industriali:
a) precisi vincoli urbanistici sulla destinazione d'uso di tali locali; ad es. locali unifamiliari, proprietà indivisibile da quella della relativa fabbrica;
b) indicazioni sui requisiti minimi di isolamento acustico dei locali stessi.
5. Note all'individuazione delle zone in classe II, III e IV
5.1. In conseguenza della distribuzione casuale delle sorgenti sonore negli ambiti urbani più densamente edificati, risulta in generale più complessa l'individuazione delle classi II, III e IV a causa dell'assenza di nette demarcazioni tra aree con differente destinazione d'uso.
5.2. Per le classificazioni di queste aree si possono utilizzare due approcci metodologici: qualitativo e quantitativo.
5.2.1. Il metodo qualitativo sfrutta l'indeterminatezza dei criteri contenuti nella legislazione nazionale in materia, introducendo fin dalla fase di elaborazione di bozze di zonizzazione, la volontà politica comunale nell'individuazione di queste aree.
5.2.2. Nel metodo quantitativo invece gli indirizzi comunali sono posposti ad una fase successiva, utilizzando un metodo basato su indici oggettivi per elaborare una bozza di suddivisione del territorio.
5.3. Il metodo utilizzato deve comunque essere calato nelle singole realtà comunali, ad esempio l'utilità del metodo quantitativo appare più evidente solo nei Comuni dove la compenetrazione tra le varie classi può maggiormente sfuggire ad un'analisi qualitativa, in particolare per l'estensione del nucleo urbano.
5.4. Nelle analisi di tipo quantitativo occorre tenere conto:
a) la densità della popolazione;
b) la presenza di attività commerciali ed uffici;
c) la presenza di attività artigianali o di piccole industrie;
d) il volume ed eventualmente la tipologia del traffico veicolare presente;
e) l'esistenza di servizi e di attrezzature.
5.5. In questo approccio viene proposto che, per ciascun parametro, vengano definite classi di variabilità (per esempio bassa, media, elevata densità) a cui sono associati dei punteggi.
5.6. Per ciascuna unità in cui è suddiviso il territorio per la valutazione, vengono calcolati i quattro parametri ed i valori dei corrispondenti punteggi; la somma dei punteggi consente quindi l'assegnazione della classe II, III o IV all'area in esame. In genere, in questa fase vengono anche stabiliti dei criteri per eliminare le micro-suddivisioni del territorio in zone differenti.
5.7. Si raccomanda sempre un'analisi critica del risultato della somma dei punteggi, in particolare nel caso
di assenza o bassa densità di popolazione residente, poiché potrebbe essere opportuna una classificazione differente.
6. Note alla classificazione della viabilità stradale e ferroviaria
6.1. Il rumore stradale e ferroviario è oggetto di specifici Regolamenti di disciplina, previsti dall'art.11 della legge n. 447/1995, al momento non ancora emanati; si può fare riferimento alle loro bozze, disponibili ormai in forma semi-definitiva, per illustrarne l'impianto generale e discuterne l'influenza che potranno avere sulle procedure di zonizzazione.
I Regolamenti di disciplina prevedono, allo stato attuale, delle fasce fiancheggianti le infrastrutture (carreggiate o binari), dette "fasce di pertinenza", di ampiezza variabile a seconda del genere e della categoria dell'infrastruttura stradale come individuata nel D.Lvo 30/4/92 n. 285, oppure per ferrovie con velocità di progetto inferiore o superiore ai 200 km/h (60 m o 20 m per lato a secondo del tipo di strada, 100 m o 180 m per lato a secondo della velocità di progetto dell'infrastruttura ferroviaria).
6.2. Per tali fasce di pertinenza vengono stabiliti dei valori limite di immissione, riferiti alla sola rumorosità prodotta dal traffico sull'infrastruttura medesima; tali valori limite sono differenziati, secondo le categorie sopra citate, per periodo diurno o notturno, e per infrastruttura in esercizio o di nuova costruzione.
6.3. Sempre con riferimento alle attuali bozze di decreti, le fasce di pertinenza non sono elementi della zonizzazione acustica del territorio: esse si sovrappongono alla zonizzazione realizzata secondo i criteri di cui ai paragrafi precedenti, venendo a costituire in pratica delle "fasce di esenzione" relative alla sola rumorosità prodotta dal traffico stradale o ferroviario sull'arteria a cui si riferiscono, rispetto al limite di zona locale, che dovrà invece essere rispettato dall'insieme di tutte le altre sorgenti che interessano detta zona.
6.4. Non vi è alcuna indicazione che il confine della fascia di pertinenza debba coincidere con un confine di zona. Ad oggi, però, i Regolamenti di disciplina in bozza vincolano l'appartenenza del territorio, a partire dal confine esterno delle fasce di pertinenza, da dove il rumore prodotto dall'infrastruttura del traffico contribuisce insieme con le altre sorgenti al livello complessivo della rumorosità immessa, ad una ben definita classe di rumore: IV o superiore, oppure III o superiore per le infrastrutture stradali in funzione della tipologia, IV o superiore per le ferrovie. Inoltre, per le aree non ancora edificate interessate dall'attraversamento di linee ferroviarie, le fasce di pertinenza non potranno essere adibite agli usi previsti per le classi I, II, III e IV, con l'esclusione delle aree rurali, prive di insediamenti abitativi, interessate da attività che impiegano macchine operatrici. Per quello che riguarda le infrastrutture del traffico, è importante infine osservare che le strade di quartiere o locali sono considerate parte integrante dell'area di appartenenza ai fini della classificazione acustica, ovvero, per esse non si ha fascia di pertinenza.
6.5. Tutti questi vincoli possono influenzare in modo considerevole la zonizzazione, oltreché, nel caso delle ferrovie di nuova costruzione, la stessa destinazione d'uso del territorio. Occorre tuttavia attendere l'emanazione dei Regolamenti di disciplina per ulteriori, più circostanziate osservazioni; è già evidente da tali proposte la volontà della nuova normativa di sottolineare il ruolo di fondamentale importanza delle infrastrutture di trasporto riconoscendo di fatto delle "fasce di esenzione" per il solo rumore da esse prodotto e vincolando la zonizzazione comunale nelle zone confinanti con tali fasce dalla zona IV o superiore.
7. Elaborati per la zonizzazione acustica
7.1. L'elaborato finale contenente la zonizzazione acustica è rappresentato da una cartografia di scala opportuna, con la suddivisione del territorio nelle zone definite dalla legge n. 447/95, e da una relazione tecnica descrittiva che illustri le scelte tecniche e politiche adottate e le eventuali precisazioni ed integrazioni, riferite alle specificità locali, rispetto a quanto riportato nella Legge quadro sull'inquinamento acustico e nelle normative regionali
7.2. La zonizzazione acustica deve essere presentata in scala 1:10.000 per tutto il territorio comunale, scendendo più in dettaglio (scala 1:5.000 o anche 1:2.000) solo per le parti più densamente urbanizzate o per piccoli Comuni.
7.3. Indicazioni in merito alla rappresentazione grafica delle sei tipologie di zone sono contenute nelle linee guida della regione Toscana [5] che prevedeva la seguente simbologia:
- Classe
- Colore
- Tratteggio
I
verde quadrati
II
rosa croci
III
bianco
nessun tratteggio
IV
giallo
grigio uniforme
V
xxxxxxx xxxxxxx
VI
arancione Righe inclinate
ALLEGATO J
INDICAZIONI PER LE AREE COMPRESE NELLA "CARTA DELLA NATURA"
area 1 - Praterie di vetta X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx
1. Per quest'area, in considerazione della sua collocazione all'interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, valgono le norme di salvaguardia attualmente in vigore.
area 2 - Valle Santa
1. Sono da promuovere, anche tramite incentivi, le azioni volte al mantenimento delle tradizionali attività agro-silvo-pastorali.
2. E' necessario limitare la tendenza alla riforestazione, pertanto non sono permessi nuovi rimboschimenti; da tale divieto sono esclusi gli impianti di arboricoltura da legno in aree agricole e i rimboschimenti realizzati per il rinsaldamento di scarpate e aree in frana.
0.Xx incoraggiato il mantenimento delle selve castanili, in quanto il castagneto da frutto è un importante habitat per molte specie di uccelli forestali (picchi, rapaci notturni), oltre che un elemento storico del paesaggio.
4. Gli interventi che interessino le formazioni di vegetazione ripariale devono tenere conto della peculiarità di tale formazione.
5. Gli strumenti urbanistici comunali terranno conto della necessità di limitare l'impianto di nuove infrastrutture e fabbricati permettendo, però, di utilizzare e ammodernare quelli esistenti, in modo da garantire la permanenza delle attività umane, necessarie per il mantenimento dei valori naturalistici individuati.
6. E' di particolare importanza la limitazione dell'attività venatoria nell'area di crinale in quanto corridoio di congiunzione tra il Parco Nazionale e la R.N. Xxxx Xxxxx del Tevere; si rimanda alla pianificazione di settore per la definizione delle misure da adottare e degli ambiti di applicazione.
area 3 - Foresta della Verna
1. Per questa area, in considerazione della sua collocazione all'interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna valgono le norme di salvaguardia attualmente in vigore.
area 4 - Monte Nero e area 5 - Xxxx Xxxxx del Tevere
1. Per le parti di queste aree che ricadono nella Riserva Naturale Regionale, si applica quanto disposto dall'art.38 delle norme del P.T.C..
2. Gli strumenti urbanistici dei comuni interessati terranno conto della necessità di limitare l'impianto di nuove infrastrutture e fabbricati in modo, però, da permettere di utilizzare e ammodernare quelli esistenti per il mantenimento dei valori naturalistici individuati.
3. Sono da incentivare le attività agro-silvo-pastorali tradizionali necessarie al mantenimento dell'area a mosaico ambientale formato da alternanze di boschi, arbusteti, praterie e coltivi, che si situa nelle porzioni poste alle quote più basse.
4. Gli interventi selvicolturali sono sottoposti all'osservanza di specifiche indicazioni emanate dalla Provincia in particolare per le formazioni del tilio-acerion e agli ambienti ripariali, volte a mantenere le specie forestali che caratterizzano questi habitat.
5. Negli ambienti forestali posti alle quote più elevate, vanno attuate forme di gestione che favoriscano la sostituzione degli impianti artificiali con boschi naturali e la presenza dell'abete bianco all'interno delle faggete.
area 6 - Pratieghi
1. Non sono da consentire forme di utilizzazione che prevedano il mantenimento del bosco ceduo; sono da permettere, invece, forme di utilizzazione che prevedano un passaggio, anche graduale, alla fustaia comprendenti azioni di protezione delle specie forestali di maggior pregio ed in particolare del taxus baccata.
area 7 e Area 8 - Sasso di Xxxxxx e Simoncello
1. Per le parti di queste aree che ricadono nella Riserva Naturale Regionale, si applica quanto disposto dall'art. 38 delle norme del P.T.C...
2. I sistemi ambientali che caratterizzano l'area del Sasso di Xxxxxx derivano prevalentemente dall'attività antropica, e la loro conservazione dipende dal mantenimento e dalla regolamentazione di quest'attività. Sono da promuovere quelle azioni che garantiscono la permanenza nell'area dell'attività zootecnica, dalla cui presenza dipende, da un lato, la conservazione del manto erboso nelle praterie sommitali, e dall'altro il proseguimento delle attività agricole alle quote inferiori.
3. Vanno ricercate tutte le soluzioni per limitare l'attività del poligono militare a livelli compatibili con le finalità della Riserva.
area 0 - Xxxxx Xxxxxxx
1. Al fine di evitare la scomparsa degli ambienti non forestali, che ospitano buona parte delle emergenze zoologiche e floristico-vegetazionali da salvaguardare, è da consentire la realizzazione di nuovi rimboschimenti limitatamente agli impianti necessari per il rinsaldamento di scarpate e aree in frana.
2. Sono da promuovere, anche tramite incentivi, le azioni volte al mantenimento delle tradizionali attività agro-silvo-pastorali.
area 10 - Bosco di Montalto
1. Per le parti di queste aree che ricadono nella Riserva Naturale Regionale, si applica quanto disposto dall'art. 38 delle norme del P.T.C...
2. Non sono da consentire forme di utilizzazione che prevedano il mantenimento del bosco ceduo; sono da consentire, invece, forme di utilizzazione che prevedano un passaggio, anche graduale, alla fustaia comprendenti azioni di protezione delle specie forestali di maggior pregio ed in particolare del taxus baccata.
area 11 e Area 12 - Alpe della Luna
1. Per le parti di queste aree che ricadono nella Riserva Naturale Regionale, si applica quanto disposto dall'art. 38 delle norme del P.T.C...
2. Per tutelare la naturalità complessiva dell'area non sono da permettere interventi a forte impatto ambientale. Particolare attenzione, comunque, dovrà essere riservata, in futuro, alle emergenze di tipo puntiforme. In particolare, per quanto concerne la vegetazione della vetta, dovrà essere attentamente valutato l'impatto, oggi crescente, delle attività turistico-ricreative e, se necessario, si dovranno predisporre specifiche misure di tutela.
3. Per il mantenimento dei valori naturalistici individuati, gli strumenti urbanistici dei comuni interessati prevederanno limitazioni all'impianto di nuove infrastrutture e fabbricati in modo, però, da permettere di utilizzare e ammodernare quelli esistenti.
4. Sono da promuovere, anche tramite incentivi, le azioni necessarie al mantenimento delle scarse superfici ad ambienti non forestali (praterie, arbusteti e coltivi) soprattutto nelle aree a mosaico ambientale formato da alternanze di boschi, arbusteti e ambienti a prateria e coltivo.
area 14 - Invaso di Montedoglio
1. In accordo con le amministrazioni comunali interessate sono da promuovere le azioni necessarie a minimizzare gli inconvenienti dovuti alla continua variazione del livello delle acque.
2. Per limitare e controllare i danni provocati dai fattori inquinanti deve essere regolamentato l'uso di agenti chimici in agricoltura (fertilizzanti e pesticidi), mentre vanno verificati gli scarichi civili e industriali che interessano l'area.
3. Gli strumenti urbanistici comunali provvederanno a vincolare quegli elementi ambientali e paesistici (siepi, alberature, ecc.), che contribuiscono ad elevare la diversità ambientale con specifiche norme per la loro conservazione.
4. Gli strumenti urbanistici comunali provvedono a definire i limiti per le attività ricreative sul lago in modo da evitare il danneggiamento della vegetazione igrofila, favorire il suo sviluppo e ridurre il disturbo per le specie animali attuali favorendo il possibile insediamento di nuove specie.
area 13, 15 e 16 - Alpe di Catenaia e Monti Rognosi
1. Per le parti di queste aree che ricadono nella Riserva Naturale Regionale, si applica quanto disposto dall'art. 38 delle norme del P.T.C...
2. E' sottoposta a particolare protezione la vegetazione su ofioliti; sono da promuovere le azioni necessarie alla sua conservazione e vieta qualsiasi intervento che possa pregiudicare la loro attuale consistenza.
3. In tutta l'area non sono da consentire attività estrattive.
4. Gli strumenti urbanistici comunali si adeguano per limitare la realizzazione di nuovi edifici e infrastrutture a quelle compatibili con l'attuale livello di naturalità dell'area.
5. Non sono da permettere nuovi rimboschimenti ad esclusione di quelli necessari al consolidamento di scarpate e aree in frana. Nei nuovi e recenti popolamenti forestali vanno gradualmente rimosse le conifere a vantaggio delle latifoglie di specie autoctone.
6. La conservazione dei prati cacuminali (nardeti) è di estrema importanza in considerazione della loro rarità e della loro classificazione quale habitat prioritario in base alla Direttiva 92/43/CEE. Sono da promuovere ed incentivare le attività di pascolo nei nardeti per la loro conservazione. Nei Monti Rognosi va garantita la conservazione delle cenosi di serpentinofite anche favorendo il ripristino del pascolamento caprino, o di altre forme di gestione che impediscano la naturale, per quanto lenta, colonizzazione del bosco. Nelle aree caratterizzate da affioramenti ofiolitici è vietata la realizzazione di nuovi rimboschimenti compreso il ripristino di quelli con fallanze superiori al 30%.
7. Per le aree forestali, ed in particolare per le faggete, sono da preferirsi, ove le condizioni pedoclimatiche lo consentano, interventi di avviamento all'alto fusto. Gli esemplari annosi delle
specie arboree vanno conservati.
8. Nelle coltivazioni legnose si deve procedere con la graduale eliminazione e sostituzione delle specie esotiche con specie autoctone, soprattutto di latifoglie, per rendere queste comunità più naturali, stabili nel tempo, capaci di rinnovazione autonoma e con una maggiore efficacia nella copertura del suolo.
9. I comuni interessati provvedono a regolamentare le attività ricreative ed escursionistiche che si svolgono all'interno dell'area ed in particolare il transito con mezzi a motore nelle aree boscate.
10. Va incoraggiato il mantenimento delle selve castanili, in quanto il castagneto da frutto è un importante habitat per molte specie di uccelli forestali (picchi, rapaci notturni), oltre che un elemento storico del paesaggio.
11. Vanno ridefinite le azioni di controllo degli scarichi industriali e la regolamentazione delle attività sia nuove che già esistenti ai fini di diminuire l'impatto ambientale delle attività industriali.
area 17 - Praterie del Pratomagno, area 18 - Betulla del Pratomagno e area 19 - Pratomagno
1. Per la conservazione del mosaico di crinale costituito da praterie e arbusteti, sono da promuovere tutte le azioni necessarie alla regolamentazione del flusso turistico. A tale scopo non è da permettere la realizzazione di nuova viabilità; i comuni e le comunità montane interessate provvedono a ridurre gli interventi sulla viabilità limitandosi al mantenimento di quella esistente ed a regolamentare il transito dei mezzi a motore per una loro drastica riduzione.
2. Sono da favorire il mantenimento e la diversificazione dell'attività di pascolamento, opportunamente regolamentata, ed adottare le misure necessarie.
3. Per quanto riguarda l'area 18, in relazione all'importante stazione di betula pendula, sono da ammettere solo interventi selvicolturali volti alla conservazione della specie ostacolando lo sviluppo di specie arboree competitive con la betulla ed in grado di ricostituire un bosco chiuso.
4. Sono da promuovere forme di incentivazione per una razionale ripresa dell'utilizzazione dell'erica scoparia per la produzione di scope, in modo da consentire un ottimale mantenimento di questo habitat.
5. Gli interventi sulla vegetazione devono tener conto della conservazione dei vaccinieti e dei nardeti; a tale scopo non sono permessi interventi che possano ridurne le superfici.
6. Gli esemplari annosi delle specie arboree sono da conservare.
7. Va incoraggiato il mantenimento delle selve castanili, in quanto il castagneto da frutto è un importante habitat per molte specie di uccelli forestali (picchi, rapaci notturni), oltre che un elemento storico del paesaggio.
8. Per le aree forestali, ed in particolare per le faggete, sono da preferirsi, ove le condizioni pedoclimatiche lo consentano, interventi di avviamento all'alto fusto.
9. Nelle coltivazioni legnose si deve procedere con la graduale eliminazione e sostituzione delle specie esotiche con specie autoctone, soprattutto di latifoglie.
10. Si riconosce la necessità di ridurre gli emungimenti dai corsi d'acqua, soprattutto nei periodi estivi, e pertanto si dovrà provvedere ad una loro nuova regolamentazione.
11. E' di particolare importanza l'estensione della regolamentazione dell'attività venatoria a tutta l'area di crinale; si rimanda alla pianificazione di settore la valutazione e la definizione delle misure da adottare e degli ambiti di applicazione.
area 20 - Brughiere di M. Acuto e Xxxxxxxx x xxxx 00 - Xxxxxxxxx xx Xxxxxx Xxxxx
1. Per quest'area valgono le indicazioni previste per le aree 17 e 19 con esclusione delle misure di limitazione del prelievo venatorio.
2. Sono da adottare concrete azioni di conservazione delle praterie secondarie dei festuco-brometea, anche ai fini del mantenimento della maggiore biodiversità possibile, attraverso l'istituzione di saltuarie pratiche agricole od azioni di decespugliamento, collegate alla gestione generale di quest'area.
area 22 - "Le Balze" del Valdarno
1. Trattandosi di un'area ricadente interamente nell'A.N.P.I.L. omonima, recentemente istituita, si applica quanto disposto dall'art. 39 delle norme del P.T.C.. In attesa della definitiva istituzione dell'area protetta si applicano le direttive di cui ai punti seguenti.
2. La gestione dell'area deve essere finalizzata alla conservazione del paesaggio caratterizzato dalla componente geomorfologica delle balze e dei pilastri di erosione.
3. Sono fatte salve le previsioni per le zone omogenee presenti negli strumenti urbanistici vigenti alla data della istituzione dell'A.N.P.I.L., a condizione che in fase attuativa vengano messi in atto tutti gli accorgimenti necessari per realizzare gli interventi urbanistici e architettonici con modalità compatibili con i caratteri e gli obiettivi dell'area protetta.
4. Sono da vietare:
a) l'apertura di nuove strade, fatta salva la tipologia campestre in terra battuta e manto in ghiaia e fatti salvi casi particolari che saranno oggetto di proposta e approfondimento nell'ambito del Piano Strutturale e di valutazione da parte della Provincia;
b) i movimenti di terra che modifichino i profili dei terreni sommitali e al piede;
c) la demolizione anche parziale delle formazioni verticali;
d) la modifica alla forma dei campi, alla rete scolante (se non per introdurre miglioramenti ambientali e a condizione che non alterino la struttura generale originaria), dei terrazzamenti e dei ciglionamenti, la sostituzione delle colture tradizionali.
5. Sono da tutelare le colture arboree esistenti; nuovi indirizzi colturali sono ammessi negli appezzamenti già destinati a seminativo.
6. Sono da ammettere nuovi annessi agricoli solo in prossimità dei complessi rurali esistenti. La ristrutturazione e l'ampliamento degli edifici rurali esistenti sono da ammettere a seguito della classificazione degli stessi in base anche al loro valore architettonico ed ambientale, al fine di individuare e salvaguardare i caratteri architettonici di pregio con esclusione della ristrutturazione urbanistica. E' altresì da ammettere la possibilità di creare spazi e attrezzature per attività ricreative in ambito rurale, producendo, in fase attuativa, normative specifiche per ridurre l'impatto visivo e morfologico.
7. Alla base dei pilastri non sono da consentire:
a) ampliamenti dei coltivi;
b) il ripristino delle coltivazioni su superfici abbandonate da almeno tre anni;
c) ulteriori trasformazioni di aree agricole tradizionali, di tipo estensivo con siepi e alberature, in aree agricole intensive e ad elevata meccanizzazione.
8. Al fine di una riqualificazione naturalistica dell'area gli interventi di miglioramento delle formazioni forestali devono prevedere preferibilmente: l'avviamento all'alto fusto, la piantumazione di specie autoctone, la conservazione dei relitti boschi mesoigrofili con farnia e le azioni di controllo dell'espansione e della presenza di specie arboree di sostituzione di scarso significato naturalistico ed in particolare della robinia pseudoacacia.
area 23 - Bosco di sughera di Traiana
1. Sono da prevedere le azioni necessarie alla conservazione di questa preziosa stazione relitta di sughera.
2. Per la conservazione dell'habitat si provvederà ad individuare una fascia di rispetto per evitare danneggiamenti ad opera dei mezzi agricoli e garantire il mantenimento della specie.
3. Per garantire la conservazione dell'habitat e della specie gli interventi di utilizzazione e colturali sono sottoposti a specifica autorizzazione rilasciata dalla Provincia che provvederà ad impartire le necessarie prescrizioni e ad effettuare il controllo sulle operazioni.
area 24 -Bosco di Renacci
1. Sono da prevedere le azioni necessarie alla conservazione ed al miglioramento ecologico del bosco di farnia maturo.
2. Per la conservazione dell'habitat si provvederà ad individuare una fascia di rispetto per evitare danneggiamenti ad opera dei mezzi agricoli e garantire il mantenimento della specie.
3. Per garantire la conservazione dell'habitat e della specie gli interventi di utilizzazione e colturali sono sottoposti a specifica autorizzazione rilasciata dalla Provincia che provvederà ad impartire le necessarie prescrizioni e ad effettuare il controllo sulle operazioni.
4. Non sono da consentire forme di utilizzazione che prevedano il mantenimento del bosco ceduo; sono permesse, invece, forme di utilizzazione che prevedano un passaggio, anche graduale, alla fustaia, il controllo e la riduzione delle infestanti esotiche ed in particolare della robinia pseudoacacia.
5.Gli emungimenti nei periodi estivi devono essere sottoposti a controllo e riduzione per il mantenimento degli ambienti umidi e la conservazione delle formazioni e phragmites australis.
6.Le aree agricole contermini sono sottoposte a limitazioni nell'impiego di fitofarmaci secondo modalità da definire nella disciplina di settore.
7.I comuni provvederanno al controllo su eventuali scarichi abusivi di materiali inerti.
area 25 - Castelnuovo dei Sabbioni
1.Sono da promuovere interventi di riqualificazione complessiva per migliorare le formazioni igrofile presenti lungo le sponde, spesso danneggiate da continui interventi di movimentazione legate ad operazioni di miniera e dall'estrema variabilità del livello delle acque.
0.Xx quest'area è di particolare importanza la limitazione e regolamentazione dell'attività venatoria; si rimanda alla pianificazione di settore la valutazione e la definizione delle misure da adottare e degli ambiti di applicazione.
area 26 - Pinetum di Moncioni
1.Trattandosi di un'area ricadente interamente nell'A.N.P.I.L. omonima, si applica quanto disposto dall'art. 39 delle norme del P.T.C..
0.Xx gestione dell'area è finalizzata alla conservazione dell'arboreto monumentale e della struttura di giardino storico.
3.Occorre promuovere la realizzazione dei lavori di restauro, consolidamento e manutenzione
dell'area proseguendo le azioni già intraprese. Sempre in funzione di tali risorse sono da valutare le possibilità di un arricchimento della collezione di specie botaniche sulla base di un progetto specifico.
area 27 - Bosco di Sargiano
1.Trattandosi di un'area ricadente interamente nell'A.N.P.I.L. omonima, si applica quanto disposto dall'art. 39 delle norme del P.T.C..
2.Sono da prevedere le azioni necessarie alla conservazione ed al miglioramento ecologico del bosco di rovere.
Per garantire la conservazione della specie gli interventi di utilizzazione e colturali sono sottoposti a specifica autorizzazione rilasciata dalla Provincia che provvederà ad impartire le necessarie prescrizioni e ad effettuare il controllo sulle operazioni.
3.Per la conservazione e il potenziamento della presenza di quercus petraea nell'area non sono permessi interventi di ceduazioni con esclusione di quelli effettuati a scopo fitosanitario; sulla cenosi vanno realizzati interventi che ottengano: il graduale avviamento dei soprassuoli ad alto fusto, il controllo sulla diffusione di specie esotiche, in particolare la robinia pseudoacacia, e la prevenzione degli incendi.
area 28 - Alpe di Poti
1.Non è permessa la realizzazione di nuova viabilità; i Comuni provvederanno a ridurre gli interventi sulla viabilità limitandosi al mantenimento di quella esistente ed a regolamentare il transito dei mezzi a motore per una loro drastica riduzione.
2.Gli esemplari annosi delle specie arboree vanno conservati.
0.Xx incoraggiato il mantenimento delle selve castanili, in quanto il castagneto da frutto è un importante habitat per molte specie di uccelli forestali (picchi, rapaci notturni), oltre che un elemento storico del paesaggio.
4.Per le aree forestali sono da preferirsi, ove le condizioni pedoclimatiche lo consentano, interventi di avviamento all'alto fusto.
5.Nelle coltivazioni legnose si deve procedere con la graduale eliminazione e sostituzione delle specie esotiche con specie autoctone, soprattutto di latifoglie.
0.Xx fine della conservazione dinamica degli arbusteti a dominanza di cytisus scoparius ed erica scoparia, sono da promuovere forme di incentivazione per una razionale ripresa dell'utilizzazione dell'erica scoparia per la produzione di scope, in modo da consentire un ottimale mantenimento di questo habitat.
area 00 - Xxxxx Xxxxxx
1.Non è permessa la realizzazione di nuova viabilità; i comuni provvederanno a ridurre gli interventi sulla viabilità limitandosi al mantenimento di quella esistente ed a regolamentare il transito dei mezzi a motore per una loro drastica riduzione.
2.Gli esemplari annosi delle specie arboree vanno conservati.
0.Xx incoraggiato il mantenimento delle selve castanili, in quanto il castagneto da frutto è un importante habitat per molte specie di uccelli forestali (picchi, rapaci notturni), oltre che un elemento storico del paesaggio.
4.Per le aree forestali sono da preferirsi, ove le condizioni pedoclimatiche lo consentano, interventi di avviamento all'alto fusto.
5.Nelle coltivazioni legnose si deve procedere con la graduale eliminazione e sostituzione delle specie esotiche con specie autoctone, soprattutto di latifoglie.
0.Xx fine della conservazione dinamica degli arbusteti a dominanza di cytisus scoparius ed erica scoparia, sono da promuovere forme di incentivazione per una razionale ripresa dell'utilizzazione dell'erica scoparia per la produzione di scope, in modo da consentire un ottimale mantenimento di questo habitat.
area 30 - Colmata di Brolio
1.Gli emungimenti nei periodi estivi devono essere sottoposti a controllo e riduzione per il mantenimento degli ambienti umidi e la conservazione delle formazioni a phragmites australis.
2.Le aree agricole contermini sono sottoposte a limitazioni nell'impiego di fitofarmaci secondo modalità da definire nella disciplina di settore.
3.Non sono ammessi interventi di impermeabilizzazione dei corsi d'acqua ad eccezione di quelli previsti nel contesto di progetti organici di controllo dei deflussi o quando tali tecnologie risultano indispensabili per la soluzione di problemi localizzati.
4.Sono da promuovere le azioni necessarie al coordinamento degli Enti che operano sui canali e corsi d'acqua che attraversano l'area per il mantenimento delle peculiarità naturalistiche.
5.Non è consentita la realizzazione di nuovi allevamenti suinicoli; il potenziamento di tali impianti va limitato ad interventi di razionalizzazione e ottimizzazione anche al fine di migliorare il controllo degli scarichi derivanti da tale attività.
area 31 - Vasche dello Zuccherificio di Castiglion Fiorentino
1.Gli strumenti urbanistici comunali si adeguano per limitare l'edificazione all'interno dell'area in modo da permettere il mantenimento dell'attuale livello di naturalità comprendente la conservazione delle cenosi igrofile, in particolare le formazioni a phragmites australis, e la presenza ed eventuale nidificazione delle numerose specie di avifauna che frequentano l'area.
2 In tale contesto sono da promuovere la definizione e l'attuazione delle azioni necessarie al mantenimento delle caratteristiche prioritarie di questo habitat ricercando a tal fine, per quanto possibile, il coinvolgimento delle proprietà e il coordinando delle attività produttive che insistono sull'area.
area 00 - Xxxxx Xxxxxxx
1.Non è permessa la realizzazione di nuova viabilità; i comuni provvedono a ridurre gli interventi sulla viabilità limitandosi al mantenimento di quella esistente ed a regolamentare il transito dei mezzi a motore per una loro drastica riduzione.
2.Gli esemplari annosi delle specie arboree vanno conservati.
0.Xx incoraggiato il mantenimento delle selve castanili, in quanto il castagneto da frutto è un importante habitat per molte specie di uccelli forestali (picchi, rapaci notturni), oltre che un elemento storico del paesaggio.
4.Per le aree forestali sono da preferirsi, ove le condizioni pedoclimatiche lo consentano, interventi di avviamento all'alto fusto.
5.Nelle coltivazioni legnose si deve procedere con la graduale eliminazione e sostituzione delle specie esotiche con specie autoctone, soprattutto di latifoglie.
0.Xx fine della conservazione dinamica degli arbusteti a dominanza di cytisus scoparius ed erica scoparia, sono da promuovere forme di incentivazione per una razionale ripresa dell'utilizzazione dell'erica scoparia per la produzione di scope, in modo da consentire un ottimale mantenimento di questo habitat.
0.Xx considerazione dell'importanza avifaunistica dell'area gli interventi da realizzare nell'area del Monte Ginezzo devono essere finalizzati alla conservazione degli ambienti a maggiore valenza ornitologica, quali gli arbusteti e i castagneti da frutto.
ALLEGATO K
INDICAZIONI PER LE VALUTAZIONI DI CUI ALL'ART. 46 DELLE NORME DEL P.T.C.
PREMESSA
Si forniscono ai competenti uffici provinciali e comunali alcune indicazioni sui contenuti delle valutazioni di cui all’art. 46 delle norme del P.T.C..
Le valutazioni che sono da applicarsi nella formazione e per l’approvazione dei piani di settore provinciali e comunali e nella formazione ed approvazione dei piani strutturali comunali sono organizzate per categoria di azioni di trasformazione e precisamente:
• Cat. A: comprende le dotazioni dei sistemi infrastrutturali di competenza provinciale e dei servizi di competenza sovracomunale; la valutazione di queste azioni di trasformazione è di competenza della Provincia. Questa categoria si articola in due sottocategorie e precisamente:
• Cat. A1: comprende le infrastrutture di competenza della Provincia inserite nei piani di settore provinciali
• Cat. A2: comprende i servizi sovracomunali di competenza provinciale
• Cat. B: comprende tutte le azioni di trasformazione che richiedono nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali (art. 5, comma 4 L. R. n. 5/1995); la valutazione di queste azioni di trasformazione è di competenza dei Comuni.
• Cat. C: comprende tutti i nuovi insediamenti e tutti gli interventi di sostituzione dei tessuti insediativi esistenti (art. 5, comma 5 della L.R. n. 5/1995); la valutazione di queste azioni di trasformazione è di competenza dei Comuni.
• Cat. D: comprende tutti i piani attuativi indicati nel P.R.G.C., quando non disposto diversamente dal Piano Strutturale; la valutazione di queste azioni di trasformazione è di competenza dei Comuni.
• Cat. E: comprende tutti i programmi integrati d’intervento; la valutazione di queste azioni di trasformazione è di competenza dei Comuni.
Nel seguito, per ciascuna categoria, sono indicate le procedure consigliate per la valutazione.
• CATEGORIA A1:
- Infrastrutture di competenza della Provincia inserite nei piani di settore provinciali -
COMPITO DELLA VALUTAZIONE:
verificare la compatibilità dell’azione di trasformazione con le risorse essenziali del territorio.
TIPO DI VALUTAZIONE RICHIESTO:
valutazione di compatibilità con le risorse essenziali del territorio e individuazione delle eventuali misure di mitigazione.
TECNICA DI VALUTAZIONE DA APPLICARE:
valutazione degli effetti ambientali; valutazione degli effetti sul paesaggio.
RISORSE ESSENZIALI DA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE:
stabilite volta per volta nel piano di settore o, in mancanza dal Nucleo Tecnico di Valutazione della Provincia.
CRITERI DI GIUDIZIO:
l’azione di trasformazione è ammissibile se è compatibile con le risorse essenziali prese in considerazione ivi comprese le opere di mitigazione.
AMBITO DI VALUTAZIONE:
concordato con il Nucleo Tecnico di Valutazione della Provincia.
PROCEDURA DI VALUTAZIONE
sarà applicato l'art. 32 della LR n. 5/95, comma 1, lettere da a) ad f) seguendo la procedura indicata all’art. 46 delle norme, integrato dalla valutazione degli effetti sul paesaggio; le valutazioni su indicate dovranno essere effettuate contestualmente alle valutazioni tecniche effettuate in sede di formazione del relativo piano di settore e in collaborazione con gli uffici competenti.
NOTE
la valutazione in oggetto ha lo scopo di evidenziare l’impatto dell’azione di trasformazione nel suo complesso sulle risorse essenziali e quindi non deve essere confusa con le valutazioni di efficacia e di efficienza o V.I.A. propri dell’opera o delle opere che compongono l’azione di trasformazione, di competenza dei relativi piani di settore.
• CATEGORIA A2:
- Servizi sovracomunali di competenza provinciale -
COMPITO DELLA VALUTAZIONE:
verificare la compatibilità dell’azione di trasformazione con le risorse essenziali del territorio.
TIPO DI VALUTAZIONE RICHIESTO:
valutazione di compatibilità con le risorse essenziali del territorio e individuazione delle eventuali misure di mitigazione.
TECNICA DI VALUTAZIONE DA APPLICARE:
valutazione degli effetti ambientali;
valutazione degli effetti sul paesaggio nei casi in cui l’azione di trasformazione abbia un impatto rilevante su questa risorsa.
RISORSE ESSENZIALI DA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE:
stabilite volta per volta nel piano di settore o, in mancanza dal Nucleo Tecnico di Valutazione della Provincia.
CRITERI DI GIUDIZIO:
l’azione di trasformazione è ammissibile se è compatibile con le risorse essenziali prese in considerazione ivi comprese le opere di mitigazione.
AMBITO DI VALUTAZIONE:
concordato con il Nucleo Tecnico di valutazione della Provincia.
PROCEDURA DI VALUTAZIONE
sarà applicato l'art. 32 della LR n. 5/95, comma 1, lettere da a) ad f) seguendo la procedura indicata all’art. 46 delle norme, integrato dalla valutazione degli effetti sul paesaggio; le valutazioni su indicate dovranno essere effettuate contestualmente alle valutazioni tecniche effettuate in sede di formazione del relativo piano di settore e in collaborazione con gli uffici competenti.
NOTE
la valutazione in oggetto ha lo scopo di evidenziare l’impatto dell’azione di trasformazione nel suo complesso sulle risorse essenziali e quindi non deve essere confusa con le valutazioni di efficacia e di efficienza o V.I.A propri dell’opera o delle opere che compongono l’azione di trasformazione, di competenza dei relativi piani di settore.
• CATEGORIA B:
- Tutte le azioni di trasformazione che richiedono nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali (art. 5, comma 4, LR n. 5/95) -
COMPITO DELLA VALUTAZIONE:
verificare la non sussistenza di alternative di riuso e riorganizzazione e verificare gli effetti di riqualificazione e di prevenzione del degrado ambientale.
TIPO DI VALUTAZIONE RICHIESTO:
verifica di compatibilità urbanistica tra alternative, tenendo specificamente conto del fabbisogno, dei contenuti spaziali e urbanistici, delle situazioni architettoniche esistenti, ecc.;
valutazione degli effetti ambientali; verifica di compatibilità finanziaria.
TECNICA DI VALUTAZIONE DA APPLICARE:
valutazione degli effetti ambientali; valutazione di compatibilità urbanistica;
analisi di efficienza fra le alternative urbanistiche; verifica di compatibilità finanziaria.
RISORSE ESSENZIALI DA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE:
stabilite dal Piano Strutturale, sentito il parere del Nucleo Tecnico di valutazione della Provincia.
CRITERI DI GIUDIZIO:
l’espansione è ammissibile solo se la soluzione di riuso e riorganizzazione: non risulta compatibile con corrette soluzioni urbanistiche;
è compatibile con le risorse essenziali del territorio;
se la soluzione di riuso non è finanziariamente realizzabile.
In ogni caso la soluzione espansiva deve concorrere alla riqualificazione dei sistemi insediativi e degli assetti territoriali nel loro insieme ed alla prevenzione e recupero del degrado ambientale.
AMBITO DI VALUTAZIONE:
stabilito dal Piano Strutturale sentito il parere del Nucleo Tecnico di Valutazione della Provincia.
PROCEDURA DI VALUTAZIONE:
nella valutazione dovranno essere esaminate, contemporaneamente, tanto l’alternativa di espansione che quella di riuso e riorganizzazione.
NOTE:
nessuna.
• CATEGORIA C:
- Tutti i nuovi insediamenti e tutti gli interventi di sostituzione dei tessuti insediativi esistenti (art. 5, comma 5 L.R. n. 5/95) -
COMPITO DELLA VALUTAZIONE:
verificare la dotazione dei servizi e delle infrastrutture richieste dal comma 5 dell’art. 5 della LR n.5/95.
TIPO DI VALUTAZIONE RICHIESTO:
bilancio prestazionale dei succitati servizi e opere.
TECNICA DI VALUTAZIONE DA APPLICARE:
bilancio prestazionale.
RISORSE ESSENZIALI DA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE:
nessuna.
CRITERI DI GIUDIZIO:
l’azione di trasformazione è ammissibile solo se i servizi e le opere di cui sopra sono in grado di soddisfare gli obiettivi prestazionali prestabiliti.
AMBITO D’ANALISI:
stabilito dal Piano Strutturale.
PROCEDURA DI VALUTAZIONE:
la valutazione dovrà essere effettuata in sede di Regolamento Urbanistico o Programma Integrato di Intervento; nel bilancio prestazionale dovranno essere presi in considerazione: l’approvvigionamento
idrico e la depurazione, la difesa del suolo, lo smaltimento dei rifiuti solidi, la disponibilità d’energia, la mobilità.
NOTE:
nessuna.
• CATEGORIA D:
- Tutti i piani attuativi di cui alle lettere da a) ad f) dell’art. 31 della LR n. 5/95 per i quali è richiesta la valutazione dal P.R.G.C. -
COMPITO DELLA VALUTAZIONE:
verificare la compatibilità del piano attuativo con le risorse essenziali del territorio.
TIPO DI VALUTAZIONE RICHIESTO:
valutazione degli effetti ambientali, ivi compresa l’analisi degli effetti sul paesaggio.
TECNICA DI VALUTAZIONE DA APPLICARE:
valutazione degli effetti ambientali; analisi del paesaggio.
RISORSE ESSENZIALI DA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE:
stabilite dal Piano Strutturale, sentito il parere del Nucleo Tecnico di valutazione della Provincia;
CRITERI DI GIUDIZIO:
il piano attuativo è ammissibile se è compatibile con le risorse essenziali prese in considerazione ivi comprese le opere di mitigazione.
AMBITO DI VALUTAZIONE:
stabilito dal Piano Strutturale.
PROCEDURA DI VALUTAZIONE:
sarà applicato l’art. 32 della LR n. 5/95, comma 1, lettere da a) ad f) seguendo la procedura indicata all’art. 46 delle norme.
NOTE:
questa valutazione non è da considerarsi sostitutiva di altre valutazioni indicate dal P.T.C., se applicabili.
• CATEGORIA E:
- Tutti i Programmi Integrati d’Intervento previsti dal Piano Strutturale -
COMPITO DELLA VALUTAZIONE:
valutare gli effetti del Programma Integrato di Intervento sui sistemi ambientali, insediativi e socio- economici, nonché valutarne la fattibilità economico-finanziaria.
TIPO DI VALUTAZIONE RICHIESTO:
per ogni azione di trasformazione o per ogni Piano Attuativo inserito nel Programma Integrato di Intervento:
analisi degli effetti sui sistemi ambientali; analisi degli effetti sui sistemi insediativi; valutazione economico-finanziaria;
programmazione di bilancio dell’Amministrazione comunale; programmazione di bilancio del Comune articolata in:
bilancio finanziario degli interventi di competenza comunale;
piano finanziario dell’Amministrazione comunale associato agli interventi comunali inseriti nel Programma Integrato di Intervento.
TECNICA DI VALUTAZIONE DA APPLICARE:
valutazione degli effetti ambientali, ivi compresa l’analisi del paesaggio; valutazione degli effetti insediativi;
analisi finanziaria; analisi economica;
programmazione di bilancio, del Comune, articolata in:
bilancio finanziario complessivo;
piano finanziario degli investimenti a carico dell’Amministrazione comunale.
RISORSE ESSENZIALI DA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE:
stabilite dal Piano Strutturale sentito il parere del Nucleo Tecnico di valutazione della Provincia.
CRITERI DI GIUDIZIO:
il Programma Integrato di Intervento è ammissibile se:
è compatibile con le risorse essenziali del territorio prese in considerazione, ivi comprese gli interventi di mitigazione;
se è compatibile con i sistemi ambientali presi in considerazione; è efficiente dal punto di vista finanziario ed economico-sociale;
il bilancio finanziario dell’Amministrazione comunale è in equilibrio.
AMBITO DI VALUTAZIONE:
stabilito dal Piano Strutturale, sentito il parere del Nucleo Tecnico di valutazione della Provincia.
PROCEDURA DI VALUTAZIONE:
Per la valutazione del Programma Integrato di Intervento si dovrà seguire la seguente procedura di valutazione:
per l’analisi di compatibilità ambientale sarà applicato l’art. 32 della LR n. 5/95, comma 1, lettere da a) ad f);
nell’analisi degli effetti sui sistemi insediativi si farà particolare riferimento ai contenuti delle norme del P.T.C., al piano delle funzioni e al piano del traffico;
l’analisi finanziaria dovrà comprendere l’analisi:
della domanda e dell’offerta;
la tecnologia e il piano di produzione;
il piano finanziario e le fonti di finanziamento, con particolare riferimento all’accesso al credito agevolato e ai contributi di origine pubblica (UE, nazionali, regionali, provinciali e comunali);
lo stato patrimoniale e il conto economico associati all’investimento; la redditività dell’investimento.
Il precedente punto non sarà preso in considerazione per gli investimenti in OO.PP..
Per quanto riguarda l’analisi economica, se il Piano Strutturale o il documento programmatico preliminare non richiedono espressamente l’applicazione dell’analisi costi-benefici, l’analisi economica si limiterà alla individuazione:
dei settori economici e sociali coinvolti dalla realizzazione del Programma Integrato di Intervento con individuazione degli effetti su ciascun settore;
dei soggetti direttamente interessati dalla realizzazione del Programma Integrato di Intervento, con individuazione delle ricadute positive e negative.
La programmazione finanziaria sarà articolata in:
bilancio dell’operazione, tanto complessivo che specifico dell’Amministrazione comunale, con evidenziazione dei saldi per operatore finale;
piano finanziario dell’amministrazione comunale, con evidenziazione dell’equilibrio finanziario del bilancio comunale.
NOTE:
Queste valutazioni non sono da considerarsi sostitutive di altre valutazioni indicate dal P.T.C., se applicabili; in particolare, non sostituiscono le valutazioni di cui alle precedenti categorie B e C.