Contract
IL
CONTRATTO
A
TERMINE
E
DI
SOMMINISTRAZIONE DOPO IL DECRETO
DIGNITÀ
SOMMARIO
INTRODUZIONE
IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO
- La durata massima del contratto a termine e le ragioni giustificative (art. 19, co. 1, D.Lgs. 81/2015)
- Deroghe alla durata massima del contratto a termine e successione di più contratti a termine, anche in somministrazione (art. 19, co. 2 e 3, D.Lgs 81/2015)
- Proroghe e rinnovi (art. 21, co. 01, 1, D.Lgs 81/2015)
- Forma scritta del termine
- Limiti numerici al contratto a termine, anche in sommatoria con contratti di somministrazione (art. 23 D.Lgs 81/2015)
- Continuazione del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine (art. 22, co. 1 e 2, D.Lgs. 81/2015)
- Termine di impugnazione del contratto a termine e trasformazione del contratto a tempo indeterminato (art. 28 D.Lgs. 81/2015)
- Contributo addizionale (art. 2, co. 28, L. 92/2012)
IL CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE A TEMPO DETERMINATO
- La durata massima del contratto di somministrazione e tempo determinato e le ragioni giustificative (art. 34, co. 2, D.Lgs. 81/2015)
- Proroghe e rinnovi (art. 34, co. 2, D.Lgs. 81/2015)
- Numero massimo di lavoratori somministrati (art. 31, co. 2 D.Lgs. 81/2015)
- Continuazione del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine (art. 22 D.Lgs. 81/2015)
- Somministrazione fraudolenta (art. 38 bis D.Lgs. 81/2015)
- Somministrazione irregolare (art. 38 D.Lgs. 81/2015)
- Termine di impugnazione del contratto di somministrazione (art. 39 D.Lgs. 81/2015)
- Contributo addizionale (art. 2, co. 28, L. 92/2012)
INTRODUZIONE
Il D.L. 12 luglio 2018, n. 87 (c.d. Decreto Dignità) e la successiva legge di conversione (L. 9 agosto 2018, n. 96) hanno inciso in maniera significativa sulla disciplina dei contratti a tempo determinato e della somministrazione di lavoro di cui al D.Lgs. 81/2015.
Pertanto, di seguito verrà esaminata la disciplina vigente a far data dal 1° novembre 2018, riportando altresì l’interpretazione di alcuni istituti fornita dal Ministero del Lavoro con circolare n. 17/2018 del 31.10.2018.
Con il dichiarato obiettivo di combattere il precariato, il legislatore ha profondamente modificato il quadro normativo concernente il rapporto di lavoro a tempo determinato, disciplinato dagli art. da 19 a 29 del D.Lgs. 81/2015.
La durata massima del contratto a termine e le ragioni giustificative (art. 19, co. 1, D.Lgs. 81/2015)
Il contratto a termine non può avere una durata superiore a 12 mesi. Detta soglia, tuttavia, è può essere superata fino a un massimo di 24 mesi, solo in presenza di specifiche ragioni giustificative (non derogabili dalla contrattazione collettiva), ossia:
- esigenze, temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria dell’impresa ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori;
- esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.
I contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (secondo la definizione degli stessi contenuta all’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015) potranno continuare a prevedere una durata diversa, anche superiore, rispetto al nuovo limite massimo dei 24 mesi.
Il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 17/2018 del 31.10.2018, ha chiarito che le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima del 14 luglio 2018, che - facendo riferimento al previgente quadro normativo - abbiano previsto una durata massima dei contratti a termine pari o superiore ai 36 mesi, mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo.
Il decreto-legge n. 87, nell’introdurre le condizioni innanzi richiamate, non ha invece attribuito alla contrattazione collettiva alcuna facoltà di intervenire sul nuovo regime delle condizioni.
L’assenza della causale, dunque, riguarda soltanto il primo contratto a termine purché lo stesso abbia una durata fino a 12 mesi, anche raggiungibili attraverso una o più proroghe. Diversamente, una durata maggiore necessiterà dell’apposizione della causale.
A tale riguardo è utile evidenziare che, con la circolare n. 17/2018 del 31.10.2018, il Ministero del Lavoro ricorda che anche nelle ipotesi in cui non è richiesto al datore di lavoro di indicare le motivazioni introdotte dal decreto-legge n. 87, le stesse dovranno essere comunque indicate per
usufruire dei benefici previsti da altre disposizioni di legge (ad esempio per gli sgravi contributivi di cui all’articolo 4, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001, riconosciuti ai datori di lavoro che assumono a tempo determinato in sostituzione di lavorartici e lavoratori in congedo).
Il ricorso al contratto a termine di durata superiore a 12 mesi è consentito in presenza di “esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori”. Stando al dato testuale della norma, si ritiene che la soglia dei 12 mesi possa essere superata soltanto in presenza di situazioni “straordinarie”, quali ad esempio lo sviluppo di una nuova linea di produzione, ovvero eventi meteorologici straordinari che incidono sulle strutture aziendali, ecc..
L’altra causale, invece, fa riferimento alle “esigenze di sostituzione di altri lavoratori”. In tal caso, pertanto, l’apposizione di un termine di durata superiore a 12 mesi sarà possibile in caso di sostituzioni del lavoratore per maternità, malattia, infortunio e ferie. Non sarà, comunque, possibile superare la soglia dei 24 mesi, pena la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, anche in sommatoria con precedenti contratti, pur avvenuti in somministrazione, riferibili a mansioni espletate nel livello della stessa categoria legale di inquadramento.
Di più difficile interpretazione è, infine, la terza causale, laddove fa riferimento ad “esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria”. Xx invero, i tre requisiti - che, stando al dato normativo, sembrerebbero dover ricorrere congiuntamente - pongono l’interprete dinanzi a diversi interrogativi: come verrà valutata la significatività dell’incremento? Si pensi, ad esempio, ad una commessa rispetto alla quale il cliente richieda una maggiore fornitura in corso d’opera. Ed ancora, chi potrà dire con certezza se un incremento dell’attività sia effettivamente non programmabile e significativo? Tali incertezze, dovute evidentemente alla genericità del testo normativo, non faranno altro che alimentare il contenzioso, con la conseguenza che ciascun giudice fornirà la propria interpretazione sulla base del singolo caso.
Ciò presumibilmente porterà le aziende a prediligere la stipulazione di contratti a termine di durata non superiore a dodici mesi, onde evitare possibili contenziosi concernenti l’interpretazione delle causali apposte al contratto. Quanto sopra potrebbe essere ancor più vero se si considera che, in assenza della causale, ovvero qualora il giudice non la ritenesse sussistente, il contratto a termine si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi.
Da ultimo, si osserva che il legislatore ha esonerato il datore dall’obbligo di apporre la causale in caso di contratto a termine stipulato per attività stagionali, al quale non si applica neppure il limite massimo di durata di 24 mesi.
Deroghe alla durata massima del contratto a termine e successione di più contratti a termine, anche in somministrazione (art. 19, co. 2 e 3, D.Lgs 81/2015)
Il limite massimo d 24 mesi può essere derogato sia dalla contrattazione collettiva, anche aziendale, sia con la stipulazione di un ulteriore contratto a termine avanti ad un funzionario
dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro per un periodo di ulteriori dodici mesi. Anche in tale ultimo caso andrà indicata la causale in quanto la legge non esonera il datore di lavoro da tale obbligo (cfr. Circolare Ministero del Lavoro n. 17/2018 del 31.10.2018
Da segnalare, altresì, che la soglia dei 24 mesi trova applicazione anche nell’ipotesi di successione di più contratti a termine con lo stesso datore di lavoro per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro. Tale limite di 24 mesi si applica, altresì, nell’ipotesi di sommatoria tra contratto a termine e contratto di somministrazione a tempo determinato aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale con il medesimo datore di lavoro.
Nel caso in cui il limite massimo di 24 mesi venga superato per effetto di un unico contratto a termine, ovvero di una successione di contratti a termine, anche in sommatoria con contatti di somministrazione, il rapporto di lavoro si trasforma a tempo indeterminato dalla data in cui è avvenuto tale superamento.
Xxxxxxxx e rinnovi (art. 21, co. 01, 1, D.Lgs 81/2015)
Nuovi limiti sono stati introdotti dal legislatore anche in materia di proroghe e rinnovi del contratto a termine.
La nuova disciplina consente che il contratto a termine possa essere prorogato fino ad un massimo di quattro volte (non modificabile da una norma di natura contrattuale) nell’arco temporale dei ventiquattro mesi. Una modifica del numero di proroghe potrebbe essere consentita attraverso un contratto di prossimità (art. 8 L. 148/2011 di conversione del decreto legge 138/2011), sempre che sussista uno dei presupposti di cui al citato art. 8 (i.e. maggiore occupazione, emersione del lavoro irregolare, incrementi di competitività e di salario, ecc.).
Se con la proroga viene superato il periodo di 12 mesi (entro tale periodo, si ricorda, non occorre indicare alcuna causale), il datore di lavoro dovrà specificare la causale che lo ha indotto alla proroga del contratto.
Qualora, invece, il numero delle proroghe sia superiore a quattro, il rapporto di lavoro si trasforma a tempo indeterminato a partire dalla data di decorrenza della quinta proroga.
Da segnalare che, come chiarito dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 17/2018, la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine, fatta eccezione per la necessità di prorogarne la durata entro il termine di scadenza. Pertanto, non è possibile prorogare un contratto a tempo determinato modificandone la motivazione, in quanto ciò darebbe luogo ad un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, anche se ciò avviene senza soluzione di continuità con il precedente rapporto.
Quanto ai rinnovi, il contratto a termine può essere rinnovato soltanto in presenza di una delle causali sopra indicate. Ciò sta a significare che il rinnovo (anche il primo, a prescindere dalla durata complessiva di tutti i contratti a termine intercorsi tra le parti) dovrà contenere la causale,
pena la trasformazione del contratto a tempo indeterminato. Pertanto, un lavoratore che ha svolto tre mesi di lavoro a termine presso un’azienda, potrà stipulare, dopo la cessazione del rapporto e fermo restando il periodo di “stop and go”, un nuovo contratto a temine solo in presenza di una delle situazioni eccezionali sopra ricordate.
Si ricade nell’ipotesi del rinnovo qualora un nuovo contratto a termine decorra dopo la scadenza del precedente contratto (cfr. Ministero del Lavoro, Circolare n. 17/2018 del 31.10.2018).
I limiti relativi alle proroghe ed ai rinnovi non si applicano alle c.d. “start up innovative” previste dall’art. 25 della legge n. 221/2012 per il periodo di quattro anni dalla costituzione o per il più limitato arco temporale previsto dal comma 3 dell’art. 25 per le società già costituite.
Forma scritta del termine
L’art. 19, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2015 ha eliminato il riferimento alla possibilità che il termine debba risultare “direttamente o indirettamente” da atto scritto, con la conseguenza che è stata esclusa la possibilità di desumere da elementi esterni al contratto la data di scadenza, ferma restando, in ogni caso, la possibilità che, in specifiche situazioni, il termine del rapporto di lavoro possa continuare a desumersi indirettamente in funzione della specifica motivazione che ha dato luogo all’assunzione, come in caso di sostituzione della lavoratrice in maternità di cui non è possibile conoscere, ex ante, l’esatta data di rientro al lavoro. Il tutto, sempre nel rispetto del termine massimo di 24 mesi.
Limiti numerici al contratto a termine, anche in sommatoria con contratti di somministrazione (art. 23 D.Lgs 81/2015)
Il numero massimo di lavoratori a tempo determinato utilizzabili presso l’azienda non può essere superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5.
Inoltre, il legislatore ha introdotto una precisazione in relazione ai limiti numerici qualora il datore di lavoro abbia in corso sia contratti a termine che lavoratori in somministrazione a tempo determinato. In particolare, è stato previsto che, salva diversa disposizione dei contratti collettivi (che possono derogare sia in eccesso che in difetto), il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine e con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere il 30% del numero dei lavoratori in forza a tempo indeterminato al 1 gennaio dell’anno a cui si riferiscono le assunzioni (con arrotondamento all’unità superiore in caso di percentuale superiore allo 0,5). In caso di inizio di attività in corso d’anno il numero percentuale si calcola sui lavoratori in forza a tempo indeterminato al momento della stipula del contratto.
In caso di violazione dei limiti percentuali di cui sopra resta esclusa la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato in quanto si applica la sola sanzione amministrativa di importo pari:
a) al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno;
b) al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno.
I predetti limiti numerici non si applicano in relazione ai contratti a tempo determinato conclusi:
a) nella fase di avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi, anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e comparti merceologici;
b) da imprese start-up innovative di cui all'articolo 25, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, per il periodo di quattro anni dalla costituzione della società ovvero per il più limitato periodo previsto dal comma 3 dell’articolo 25 per le società già costituite;
c) per lo svolgimento delle attività stagionali di cui all'articolo 21, comma 2;
d) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi o per la produzione di specifiche opere audiovisive1;
e) per sostituzione di lavoratori assenti;
f) con lavoratori di età superiore a 50 anni.
Continuazione del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine (art. 22, co. 1 e 2, D.Lgs. 81/2015)
Ferma restando la durata massima del contratto a termine ed i limiti sopra indicati, se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore.
Se, invece, il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
Termine di impugnazione del contratto a termine e trasformazione del contratto a tempo indeterminato (art. 28 D.Lgs. 81/2015)
Il legislatore ha ampliato anche il termine per l’impugnazione stragiudiziale del contratto a termine prevedendo che detta impugnazione debba avvenire nel termine di 180 giorni dalla cessazione del
contratto. Rimane invariato, invece, il successivo termine di 180 giorni per depositare il ricorso giudiziale.
Nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Detta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.
Contributo addizionale (art. 2, co. 28, L. 92/2012)
Al fine di disincentivare il ricorso al contratto di lavoro a termine il legislatore ha introdotto un contributo aggiuntivo dello 0,5% che va a cumularsi con quello già previsto dalla legge Fornero e che sarà dovuto per ogni rinnovo del contratto.
Come noto, ai contratti non a tempo indeterminato (art. 2, commi 28 e 29 della legge n. 92/2012), compresi quelli stipulati dalle c.d. “star-up innovative” e quelli “orali” fino a dodici giorni, si applica un contributo addizionale, a carico dei datori di lavoro, pari all’1,40% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, il cui scopo è quello di contribuire al finanziamento della NASPI. Con la previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 3 del D.L. n. 87/2018, il contributo dell’1,40% viene aumentato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione (fatta eccezione per il lavoro domestico). Analogo criterio di calcolo dovrà essere utilizzato per eventuali rinnovi successivi, avuto riguardo all’ultimo valore base che si sarà venuto a determinare per effetto delle maggiorazioni applicate in occasione di precedenti rinnovi (cfr. Ministero del Lavoro, Circolare n. 17/2018 del 31.10.2018).
La maggiorazione dello 0,5% non si applica in caso di proroga del contratto, in quanto la disposizione introdotta dal decreto-legge n. 87 prevede che il contributo addizionale sia aumentato solo in occasione del rinnovo.
Da segnalare, infine, che la vigente normativa (art. 2, comma 30, come interpretato dall’art. 1, comma 135, della legge n. 147/2013) prevede la possibilità di una restituzione della contribuzione aggiuntiva, in misura integrale se, alla scadenza di un contratto a termine, il rapporto viene trasformato a tempo indeterminato, ovvero in misura pro quota se la riassunzione con contratto a tempo indeterminato del lavoratore avvenga entro il termine massimo di sei mesi dalla cessazione del precedente rapporto. In questo caso la restituzione degli ultimi sei mesi non è “piena” ma vanno detratte le mensilità trascorse dalla cessazione del precedente rapporto a termine, come chiarito dall’INPS con la circolare n. 15/2014.
Con il Decreto Dignità e le successive modifiche apportate dalla legge di conversione, il legislatore è intervenuto in maniera significativa anche sulla disciplina del contratto di somministrazione a tempo determinato.
In particolare, per la somministrazione di lavoro entrano in vigore le novità introdotte per il contratto a termine riguardo alla durata massima di 24 mesi (derogabile dalla contrattazione collettiva), alle causali, alle proroghe e ai rinnovi. Restano, tuttavia, escluse per la somministrazione alcune regole incompatibili con detto rapporto, tra cui il diritto di precedenza, il limite quantitativo di contratti stipulabili e lo stop and go..
Appare utile precisare che nessuna limitazione è stata introdotta per l’invio in missione di lavoratori assunti a tempo indeterminato dal somministratore. Pertanto, ai sensi dell’articolo 31 del D.Lgs. 81/2015, tali lavoratori possono essere inviati in missione sia a tempo indeterminato che a termine presso gli utilizzatori senza obbligo di causale o limiti di durata, rispettando i limiti percentuali stabiliti dalla medesima disposizione.
La durata massima del contratto di somministrazione e tempo determinato e le ragioni giustificative (art. 34, co. 2, D.Lgs. 81/2015)
Al rapporto tra somministratore e lavoratore si applica il limite di durata massima del contratto a termine. Come nel caso del contratto a termine, dunque, anche per la somministrazione è previsto il limite di durata di 12 mesi senza l’indicazione di alcuna causale, mentre nel caso in cui detta durata dovesse superare la soglia dei 12 mesi sarà necessario indicare una delle causali previste per il lavoro a termine.
La durata massima non potrà, in ogni caso, superare i 24 mesi, pena la conversione del rapporto a tempo indeterminato. Il limite di durata massima di 24 mesi è derogabile dalla contrattazione collettiva. Tale facoltà interessa, ovviamente, il ccnl delle agenzie per il lavoro e non quello applicato dal soggetto utilizzatore della prestazione lavorativa.
Da segnalare che, con una disposizione poco chiara (art. 2, co. 1 ter D.L. 87/2018), il legislatore ha previsto che le condizioni previste dall’art. 19, comma 1, D.Lgs 81/2015, in caso di ricorso al contratto di somministrazione, si applicano esclusivamente all’utilizzatore.
Pertanto, se la durata massima va calcolata su chi utilizza il lavoratore e non sul datore di lavoro (agenzia di somministrazione), potrebbe ritenersi che se il lavoratore termina una missione presso un determinato utilizzatore, e, successivamente, stipula con la stessa agenzia un nuovo rapporto di lavoro a tempo determinato per una missione presso un altro utilizzatore, il termine inizia a decorrere da zero.
Da segnalare che, riguardo alla durata massima, il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 17/2018 del 31.10.2018, ha precisato che il rispetto del limite massimo di 24 mesi - ovvero quello diverso
fissato dalla contrattazione collettiva - entro cui è possibile fare ricorso ad uno o più contratti a termine o di somministrazione a termine, deve essere valutato con riferimento non solo al rapporto di lavoro che il lavoratore ha avuto con il somministratore, ma anche ai rapporti con il singolo utilizzatore, dovendosi a tal fine considerare sia i periodi svolti con contratto a termine, sia quelli in cui sia stato impiegato in missione con contratto di somministrazione a termine, per lo svolgimento di mansioni dello stesso livello e categoria legale.
Ed invero, ai fini del computo dei 24 mesi si tiene conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Pertanto, detto limite di durata massima si applica nell’ipotesi di sommatoria tra contratto a termine e contratto di somministrazione a tempo determinato aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale con il medesimo datore di lavoro.
Da quanto sopra discende che, raggiunto il limite di 24 mesi, il datore di lavoro non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore per svolgere mansioni di pari livello e della medesima categoria legale.
Infine, la citata circolare n. 17/2018 del 31.10.2018 del Ministero del Lavoro chiarisce che il computo dei 24 mesi di lavoro deve tenere conto di tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione intercorsi tra le parti, ivi compresi quelli antecedenti alla data di entrata in vigore della riforma.
Altro aspetto da esaminare riguarda l’applicazione, in via esclusiva all’utilizzatore, delle causali previste dall’art. 19, comma 1, D.Lgs 81/2015, in caso di ricorso al contratto di somministrazione. Ciò dovrebbe esonerare le agenzie del lavoro dal rispetto delle condizioni da apporre al contratto con il lavoratore somministrato il quale, quindi, potrebbe essere assunto più volte per le successive missioni senza particolari problemi.
Sul punto il Ministero del Lavoro, con la citata circolare n. 17/2018, ha precisato che in caso di durata della somministrazione a termine per un periodo superiore a 12 mesi presso lo stesso utilizzatore, o di rinnovo della missione (anche in tal caso presso lo stesso utilizzatore), il contratto di lavoro stipulato dal somministratore con il lavoratore dovrà indicare una motivazione riferita alle esigenze dell’utilizzatore medesimo. Non sono cumulabili, a tale fine, i periodi svolti presso diversi utilizzatori, fermo restando il limite massimo di durata di 24 mesi del rapporto (o la diversa soglia individuata dalla contrattazione collettiva).
L’obbligo di specificare le motivazioni del ricorso alla somministrazione di lavoratori a termine sorge non soltanto quando i periodi siano riferiti al medesimo utilizzatore nello svolgimento di una missione di durata superiore a 12 mesi, ma anche qualora lo stesso utilizzatore aveva instaurato un precedente contratto di lavoro a termine con il medesimo lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria.
Pertanto, come precisato dal Ministero del Lavoro nella più volte richiamata circolare n. 17/2018:
- in caso di precedente rapporto di lavoro a termine di durata inferiore a 12 mesi, un eventuale periodo successivo di missione presso lo stesso soggetto richiede sempre l’indicazione delle motivazioni in quanto tale fattispecie è assimilabile ad un rinnovo;
- in caso di precedente rapporto di lavoro a termine di durata pari a 12 mesi, è possibile svolgere per il restante periodo e tra i medesimi soggetti una missione in somministrazione a termine, specificando una delle condizioni indicate all’articolo 19, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015;
- in caso di un periodo di missione in somministrazione a termine fino a 12 mesi, è possibile per l’utilizzatore assumere il medesimo lavoratore direttamente con un contratto a tempo determinato per una durata massima di 12 mesi indicando la relativa motivazione.
Infine, la legge non fornisce indicazioni sul soggetto tenuto ad indicare la causale ma richiede che la stessa sussista in capo all’utilizzatore e non in capo all’agenzia. Nel silenzio della legge, si suggerisce di indicare la causale sia nel contratto tra agenzia e utilizzatore sia nel contratto di lavoro.
Proroghe e rinnovi (art. 34, co. 2, D.Lgs. 81/2015)
Il contratto di somministrazione può essere prorogato fino a un massimo di 6 volte (come attualmente previsto dalla contrattazione collettiva delle agenzie di somministrazioni). Se viene superata la soglia dei 12 mesi ovvero in caso di rinnovo scatta l’obbligo di indicare la causale.
Si precisa che, considerata la tipologia di rapporto, la necessità di proroghe o rinnovi dovrà essere riferita all’utilizzatore e non all’agenzia di somministrazione.
Da quanto sopra consegue che la causale sarà necessaria in caso di rinnovo presso lo stesso utilizzatore mentre, in caso di sostituzione dell’utilizzatore, trattandosi di un nuovo rapporto, il contratto potrà essere stipulato senza l’indicazione della causale, fino alla soglia di 12 mesi. Analogo discorso vale per le proroghe che, dunque, richiederanno la causale solo al superamento della soglia di 12 mesi presso il singolo utilizzatore.
Numero massimo di lavoratori somministrati (art. 31, co. 2 D.Lgs. 81/2015)
Il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l'utilizzatore al 1° gennaio dell'anno di stipulazione dei predetti contratti, con arrotondamento del decimale all'unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5 (art. 31, co. 2, D.Lgs 81/2015).
Pertanto, volendo semplificare, una stessa impresa non può avere:
- più del 20% di lavoratori a tempo determinato;
- più del 30% di lavoratori assunti con contratto a termine e somministrati.
Tale limite può essere derogato dalla contrattazione collettiva, anche di secondo livello.
La violazione del limite del 30% comporta la costituzione diretta del rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore (art. 38, co. 2, D.Lgs 81/2015).
Xxxxx ferma la facoltà per la contrattazione collettiva di individuare percentuali diverse, per tenere conto delle esigenze dei diversi settori produttivi. In tal senso, il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 17/2018, ha precisato che i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (secondo la definizione degli stessi contenuta nell’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015) mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza del contratto collettivo, sia con riferimento ai limiti quantitativi eventualmente fissati per il ricorso al contratto a tempo determinato sia a quelli fissati per il ricorso alla somministrazione a termine.
Inoltre, il limite percentuale del 30% trova applicazione per ogni nuova assunzione a termine o in somministrazione avvenuta a partire dal 12 agosto 2018. Pertanto, qualora presso l’utilizzatore sia presente una percentuale di lavoratori, a termine e somministrati a termine con contratti stipulati in data antecedente alla data del 12 agosto 2018, superiore a quello fissato dalla legge, i rapporti in corso potranno continuare fino alla loro iniziale scadenza. In tal caso, pertanto, non sarà possibile effettuare nuove assunzioni né proroghe per i rapporti in corso fino a quando il datore di lavoro o l’utilizzatore non rientri entro i nuovi limiti.
Continuano, infine, a rimanere esclusi dall’applicazione dei predetti limiti quantitativi i lavoratori somministrati a tempo determinato che rientrino nelle categorie richiamate all’articolo 31, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 (quali, a puro titolo di esempio, disoccupati che fruiscono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, soggetti svantaggiati o molto svantaggiati).
Continuazione del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine (art. 22 D.Lgs. 81/2015)
Al contratto di somministrazione a tempo determinato è applicabile la disciplina del contratto a termine relativa agli effetti della continuazione del rapporto oltre la scadenza del termine.
Pertanto, se il rapporto di lavoro in somministrazione continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore.
Se, invece, il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si trasforma
in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
Somministrazione fraudolenta (art. 38 bis D.Lgs. 81/2015)
In sede di conversione, attraverso l’art. 38-bis del D.Lgs. n. 81/2015, il legislatore ha reintrodotto la “somministrazione fraudolenta”, che si verifica allorquando la tipologia contrattuale viene posta in essere con la volontà di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo.
Si pensi, ad esempio:
- al lavoratore che, nelle more dello “stop and go” tra due contratti a termine, presti l’attività lavorativa in forza di un contratto di somministrazione;
- al datore di lavoro che dopo aver stipulato un contratto a termine di 12 mesi senza indicazione della causale, al fine di eludere l’obbligo legale della causale, continui il rapporto di lavoro con lo stesso lavoratore in forza di un contratto di somministrazione fino a 12 mesi;
- al lavoratore somministrato che, dopo aver raggiunto presso l’utilizzatore il periodo massimo di durata del rapporto, viene spostato alle dipendenze di un’altra agenzia che lo somministra allo stesso utilizzatore, con lo scopo di azzerare il computo dell’anzianità lavorativa.
In caso di somministrazione fraudolenta, il somministratore e l’utilizzatore sono puniti con la pena dell'ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione. Tale sanzione, che riveste natura penale, si aggiunge a quella prevista dall’art. 18 del D.Lgs. 276/2003 e può essere oggetto di oblazione ai sensi dell’art. 162 c.p..
Somministrazione irregolare (art. 38 D.Lgs. 81/2015)
In assenza di forma scritta il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore.
Quando invece:
- venga superato il limite massimo di lavoratori somministrati, sia legale del 30% che contrattuale;
- la somministrazione venga realizzata nei casi espressamente vietati;
- non venga indicata nel contratto di somministrazione l’autorizzazione dell’agenzia o il numero dei lavoratori somministrati o i rischi per la sicurezza o la data di inizio/fine della somministrazione,
il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell'utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione.
Termine di impugnazione del contratto di somministrazione (art. 39 D.Lgs. 81/2015)
Il legislatore ha previsto che l’impugnazione debba avvenire nel termine di 180 giorni dalla cessazione dell’attività presso l’utilizzatore. Rimane invariato, invece, il successivo termine di 180
giorni per depositare il ricorso giudiziale.
Contributo addizionale (art. 2, co. 28, L. 92/2012)
Con la previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 3 del D.L. n. 87/2018, il contributo dell’1,40% (già previsto dalla legge 92/2012 per le assunzioni diverse da quella a tempo indeterminato) viene aumentato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.
Da ciò consegue che in caso di rinnovo di un contratto di somministrazione a termine scatta l’incremento dello 0,50%, mentre in caso di proroga del contratto, rimane ferma la contribuzione dell’1,40%.
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