Responsabilità professionale Quadri Direttivi e Funzionari
Responsabilità professionale Quadri Direttivi e Funzionari
Credito e Assicurativi
INDICE
1. Responsabilità contrattuale derivante dal rapporto di lavoro subordinato 5
1.1. Il fondamento della responsabilità contrattuale e dei poteri del datore. 5
1.2. Potere disciplinare e provvedimenti esperibili dal datore. 6
1.3. Gli obblighi del lavoratore nella disciplina civilistica. 6
1.3.1. Gli obblighi e i divieti nel settore del credito e nel settore assicurativo 8
1.4. Gli obblighi dell’impresa e i limiti al potere datoriale. 9
1.4.1. Formazione e sviluppo professionale dei quadri direttivi. 9
1.4.2. Formazione e sviluppo professionale dei funzionari assicurativi. 10
1.5. Provvedimenti disciplinari nel settore del credito e nel settore assicurativo 11
1.6. Casistica giurisprudenziale. 12
1.7. Procedura sanzionatoria: diritti del lavoratore e obblighi del datore. 15
1.7.1. Disposizioni speciali previste dal CCNL del settore assicurativo 18
1.7.1.1. Commissione paritetica nel settore assicurativo 18
2. Responsabilità extracontrattuale. 19
2.1. Elementi dell’atto illecito 20
2.2. Responsabilità patrimoniale. 24
2.3. Differenze tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. 26
2.4. Responsabilità civile verso terzi: responsabilità solidale fra datore e dipendente 27
2.5. Obblighi assicurativi nel settore del credito 30
3. La responsabilità professionale nell’ordinamento penale. 31
3.1. Riciclaggio: la normativa di riferimento 31
3.2. Normativa comunitaria. 32
3.2.1. Gli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria 33
3.2.2. Esenzione dagli obblighi. 34
3.2.3. Obblighi rafforzati. 35
3.2.4. Persone politicamente esposte. 35
3.2.5. Trasferimento di fondi. 37
3.3.1. Il riciclaggio e l’autoriciclaggio nel codice penale. 39
3.3.2. La normativa nel decreto antiriciclaggio 40
3.3.2.2. Unità di informazione finanziaria. 42
3.3.2.3. Destinatari della normativa. 43
3.3.2.4. Controlli semplificati e controlli rafforzati. 51
3.3.2.5. Obblighi di registrazione. 54
3.3.2.6. Segnalazione all’UIF in caso di operazioni sospette 55
3.3.2.7. Limitazioni all'uso del contante 56
3.4. Altre fattispecie penalmente rilevanti. 60
3.4.2. Appropriazione indebita. 66
4. Tutele del lavoratore in caso di sottoposizione a processo penale nel settore del credito 69
4.1. Tutela per fatti commessi nell’esercizio delle funzioni nel settore del credito 70
4.3. Responsabilità Civile o penale connessa alla prestazione nel settore assicurativo 71
5. Responsabilità amministrativa. 72
5.4. Le sanzioni amministrative in generale. 77
5.5. Obbligo e diritto di regresso 79
5.6. Le sanzioni alla banca e ai dipendenti nel Testo Unico Bancario 81
5.7. Le sanzioni nel Testo Unico della Finanza 86
5.8. Le sanzioni nel Codice delle Assicurazioni Private. 88
5.8.1. Destinatari delle sanzioni amministrative pecuniarie 89
6. Approfondimento sulla disciplina in tema di obblighi incombenti sui lavoratori e sulla normativa prevista in tema di sistemi interni di segnalazione delle violazioni (whistleblowing). 90
6.1. Il recepimento della normativa nel Testo Unico Bancario. 91
6.2. Il recepimento della normativa nel Testo Unico Finanziario 94
1. Responsabilità contrattuale derivante dal rapporto di lavoro subordinato.
Nel diritto civile, la responsabilità professionale dei dipendenti si distingue in responsabilità contrattuale e extracontrattuale. Il primo ambito di responsabilità deriva dal rapporto di lavoro subordinato tra datore e dipendente che, trattandosi di rapporto contrattuale, comporta il necessario rispetto della normativa legislativa e regolamentare in tema di rapporto di lavoro, tanto da parte del lavoratore quanto da parte del datore di lavoro.
Il contratto di lavoro subordinato, infatti, obbliga entrambe le parti al rispetto della disciplina in tema di doveri ed obblighi dettata dalla legislazione ordinaria e dalla contrattazione collettiva di settore.
1.1. Il fondamento della responsabilità contrattuale e dei poteri del datore.
Nell’ambito del rapporto di lavoro, la posizione subordinata del dipendente nei confronti del datore di lavoro si esplicita con la sussistenza della responsabilità contrattuale in capo al lavoratore in caso di inosservanza dei doveri previsti dalla legge e dal contratto.
Il fondamento giuridico del potere direttivo del datore di lavoro è insito nel rapporto contrattuale di lavoro subordinato.
E’ infatti il codice civile a dare fondamento al rapporto di subordinazione gerarchica del dipendente e, allo stesso tempo, dal momento della nascita del rapporto contrattuale, a identificare quest’ultimo con colui che si obbliga a svolgere la propria prestazione lavorativa sotto il potere direttivo del datore di lavoro a fronte di una retribuzione.
Art. 2086 c.c.
L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori
Art. 2094 c.c.
È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.
L’esistenza della superiorità gerarchica e del potere organizzativo-direttivo in capo al datore di lavoro giustificano perciò la possibilità di quest’ultimo di pretendere dal lavoratore il rispetto degli obblighi che derivano dalla legge e dalla contrattazione collettiva, giustificando anche la previsione del potere disciplinare del datore che, come vedremo più avanti, non è, tuttavia, priva e di limiti.
1.2. Potere disciplinare e provvedimenti esperibili dal datore.
Il potere disciplinare riconosciuto al datore di lavoro trova la sua giustificazione in quanto conseguenza diretta del suo potere organizzativo e direttivo esercitato nell’interesse dell’impresa. La fonte normativa del potere disciplinare si trova nel codice civile.
Art. 2106 c.c.
L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione.
Come si vedrà meglio più avanti, l’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro è sottoposto a limiti sostanziali e procedurali derivanti dalla legge (tra cui lo Statuto dei lavoratori) e dalla contrattazione collettiva nazionale.
1.3. Gli obblighi del lavoratore nella disciplina civilistica.
Il rapporto contrattuale tra dipendente e datore di lavoro comporta l’assunzione di doveri ed obblighi da parte di entrambe le parti. Il lavoratore si impegna da subito a prestare, in condizione di subordinazione gerarchica, la propria attività lavorativa nel rispetto della disciplina legale, vincolandosi ad usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione che si trova a svolgere (utilizzando tutte le accortezze necessarie e seguendo le linee guida e le regole fornitegli, osservando le disposizioni impartite dal datore e tenendo quei comportamenti necessari al mantenimento del rapporto fiduciario con l’impresa.
Art. 2104 c.c. - Diligenza del lavoratore
Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale.
Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.
Art. 2105 c.c. - Obbligo di fedeltà
Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio .
Come si evince dalla lettura delle norme del codice civile, la normativa generale sugli obblighi gravanti sui lavoratori risulta fortemente generica, non accennando in nessun modo ad obblighi specifici. Il motivo della genericità delle disposizioni è la necessità che le stesse possano indirizzare in via generale le regole più specifiche che andranno a disciplinare le diverse fattispecie concrete lavorative.
Ciò detto, vi è la necessità di evidenziare che la normativa generica deve necessariamente essere integrata con le disposizioni che riguardano specificamente i diversi settori dell’attività lavorativa e le disposizioni previste dalla contrattazione collettiva nazionale.
Nel dovere di diligenza previsto dall’art. 2104 del codice civile bisogna infatti far rientrare tutte quelle
disposizioni di settore che devono necessariamente guidare l’attività specifica nel nostro caso del settore bancario e di quello assicurativo.
In seguito tratteremo i diversi aspetti della responsabilità professionale, ma si tenga presente che la responsabilità contrattuale e, di conseguenza, il potere disciplinare del datore di lavoro nei confronti del lavoratore può essere esercitato per sanzionare tutte le violazioni commesse dai dipendenti, a prescindere dall’accertamento della esistenza di violazione comportanti sanzioni civili, penali o amministrative. In altre parole, i diversi ambiti della responsabilità non sono tra loro necessariamente complementari, potendo ad esempio coesistere o meno la responsabilità penale, patrimoniale e contrattuale verso il datore di lavoro, con la responsabilità professionale la cui violazione implica esclusivamente l’applicabilità di sanzioni disciplinari sul dipendente.
Come vedremo tra poco, anche nella contrattazione collettiva si trovano, accanto a previsioni e obblighi specifici dei dipendenti, formule particolarmente generiche che necessitano dell’integrazione con le diverse normative di settore (ad es. rispetto della privacy dei clienti, normativa civile e penale nazionale, direttive amministrative delle autorità indipendenti).
1.3.1. Gli obblighi e i divieti nel settore del credito e nel settore assicurativo.
Accanto agli obblighi legislativi, la normativa sugli obblighi del lavoratore nei confronti del datore viene integrata dalla contrattazione collettiva, che, riguardando specificatamente l’ambito lavorativo del settore, da una parte stabilisce le condotte che il lavoratore è tenuto ad osservare e, dall’altra, elenca una serie di divieti specifici per i dipendenti di quel settore.
Settore del credito Obblighi del lavoratore
• Tenere una condotta informata ai principi di disciplina, dignità e moralità.
• Dare all’impresa una collaborazione attiva ed intensa
• Rispettare il segreto d’ufficio
• Giustificare senza ritardo le assenze
• Comunicare le modifiche del proprio domicilio o residenza
• Dare comunicazione all’impresa
a) della propria sottoposizione ad indagini preliminari
b) della propria sottoposizione all’azione penale per reato che comporti pena detentiva
c) dell’aver ricevuto l’informazione di garanzia
Divieti per il lavoratore
• Prestare a terzi la propria attività, salvo autorizzazione dell’impresa
• Svolgere attività contrarie o incompatibili con gli interessi dell’impresa
• Fare operazioni di borsa su strumenti finanziari derivati
• Allontanarsi arbitrariamente dal servizio
• Entrare o trattenersi nei locali fuori dell’orario normale, salve le ragioni di servizio
Settore assicurativo Obblighi del lavoratore
• Obbligo di fattiva collaborazione
• Tenere una condotta informata ai principi di disciplina
• Dare comunicazione immediata nel caso di assenze per malattia, infortunio o forza maggiore
• Dare comunicazione immediata all’ufficio del personale degli infortuni sul lavoro
• Rispettare il segreto d’ufficio
• Avere, normalmente, residenza nella località o zona dove presta servizio
• Comunicare il proprio indirizzo di abitazione e eventuali mutamenti
• Dare immediata notizia all’impresa della propria sottoposizione a procedimento penale per reato non colposo
Divieti per il lavoratore
• Assumere occupazioni con rapporto di lavora subordinato alle dipendenze di terzi, salva autorizzazione aziendale
• Svolgere attività contrarie agli interessi dell’impresa
• Svolgere attività incompatibili con i doveri dell’ufficio
• Entrare o trattenersi nei locali fuori dell’orario normale, salve le ragioni di servizio o disposizione della direzione
1.4. Gli obblighi dell’impresa e i limiti al potere datoriale.
Se, come abbiamo visto, la disciplina legale intende tutelare il potere organizzativo-direttivo dell’imprenditore, quest’ultimo nell’esercitare le proprie prerogative deve a sua volta rispettare una serie di disposizioni dettate per operare un bilanciamento di interessi delle rispettive parti contrattuali e tutelare la posizione più debole dei lavoratori.
Trattandosi di aspetti che riguardano da vicino il rapporto lavorativo e attengono alle caratteristiche specifiche della singola attività lavorativa, la normativa di riferimento viene, ancora una volta, stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale che si occupa di dare concretezza al dovere di cooperazione con i dipendenti in applicazione dei principi di correttezza e buona fede che contraddistinguono qualsiasi rapporto contrattuale.
Specificatamente per il settore del credito, il CCNL1 prevede che l’impresa debba porre i lavoratori in condizione di conoscere le procedure di lavoro predisposte dall’impresa con riferimento specifico alle mansioni svolte. L’illustrazione delle procedure ai lavoratori deve avvenire durante l’orario di lavoro, mediante apposite riunioni nell’ambito dei servizi o uffici alle cui attività le procedure si riferiscono nelle strutture aziendali.
E’ del tutto evidente che la collaborazione del datore di lavoro risulta un passaggio assolutamente necessario al fine di evitare che, a causa di carenze nella organizzazione aziendale, i lavoratori si trovino a commettere errori che possano determinare l’esercizio di azioni di responsabilità nei loro confronti seppur illegittimamente.
Quanto sopra ben si attaglia anche alla materia della formazione e dello sviluppo professionale, che rappresentano una fase fondamentale ai fini della prevenzione delle possibili mancanze, con riferimento alle attività svolte dai dipendenti, una costante e seria formazione previene il rischio di mancanze e alleggerisce le responsabilità in un clima di vera collaborazione e fiducia reciproca. E’ ancora una volta la contrattazione collettiva nazionale a dettare la normativa sul tema che, tenuto conto delle funzioni e dei profili di responsabilità, dedica disposizioni specifiche sia nel settore del credito che nel settore assicurativo.
1.4.1. Formazione e sviluppo professionale dei quadri direttivi.
Secondo quanto previsto dal CCNL2 del credito:
“Lo sviluppo professionale in questa area è finalizzato alla individuazione da parte dell’impresa di figure professionali – correlate ai diversi livelli di responsabilità – sia nelle attività espletabili nell’ambito delle strutture centrali che nella rete commerciale”
In particolare, è specifico compito dell’impresa fornire una formazione coerente rispetto ai ruoli di riferimento, con particolare attenzione:
• Allo sviluppo delle competenze gestionali
• Allo sviluppo delle competenze di coordinamento
• Allo sviluppo delle competenze di attuazione integrata dei processi produttivi e/o organizzativi
1 Art. 38, commi 3 e 4, CCNL ABI 31/03/2015 e artt. 63 e 104 CCNL BBC 30/06/2014.
2 Art. 86, CCNL ABI 31/03/2015
1.4.2. Formazione e sviluppo professionale dei funzionari assicurativi.
Nel settore assicurativo3, l’impresa ha il compito di curare in modo particolare l’aggiornamento professionale dei funzionari in relazione alle loro responsabilità. E’ evidente che l’aggiornamento e la formazione professionale rispondano, da un lato, alle esigenze dei lavoratori, ma, dall’altro alle esigenze produttivo/organizzative dell’impresa.
Infatti, con specifico riferimento alla formazione dei funzionari, il CCNL prevede che l’impresa debba operare in modo da rispondere a due esigenze:
• L’esigenza dell’impresa, “relativamente a ciò che questa ritiene che in via immediata i Funzionari debbano assorbire ed acquisire in aderenza agli obiettivi aziendali del momento”
• L’esigenza dei funzionari, “relativamente ai temi di più ampio respiro che possano a questi interessare, in una visione prospettica legata alla loro utilizzazione in ruoli più elevati, anche nell’ambito dei mutamenti della realtà sociale, economica e politica influenti sull’attività assicurativa”
Con specifico riferimento all’importanza del ruolo dei funzionari a livello aziendale e dei loro profili di responsabilità, la contrattazione collettiva stabilisce che l’impresa organizzi una volta l’anno un incontro con i propri funzionari nel corso del quale verranno fornite le informazioni riconducibili ai loro ruoli e professionalità.
3 Artt. 137, 138 e 139, CCNL ANIA 17/09/2007
1.5. Provvedimenti disciplinari nel settore del credito e nel settore assicurativo.4
Il contratto collettivo del credito dedica una normativa specifica all’individuazione delle sanzioni disciplinari che possono essere comminate dal datore di lavoro e i criteri che lo stesso deve applicare nel disporne l’applicazione nei confronti dei dipendenti. Anche il CCNL del settore assicurativo dedica una serie di articoli ai provvedimenti disciplinari, riproducendo pressoché la medesima disciplina prevista per il settore del credito. I provvedimenti disciplinari possono essere così schematizzati.
Provvedimenti disciplinari
applicabili
Il rimprovero verbale
Il rimprovero scritto;
Se sia richiesto dalla natura della mancanza o dalla necessità di accertamenti,
l’impresa può disporre, in via cautelativa In attesa di deliberare il definitivo provvedimento disciplinare,
La sospensione dal servizio e dal trattamento economico per un periodo non superiore a 10 giorni
Il licenziamento per giustificato motivo
Il licenziamento per giusta causa
L’allontanamento temporaneo dei lavoratori dal servizio per il tempo strettamente necessario.
Il CCNL del settore del credito specifica che i provvedimenti disciplinari vengono irrogati in relazione alla gravità o alla recidività della mancanza o al grado della colpa, mentre la contrattazione del settore assicurativo fa esclusivo generico riferimento alla gravità della mancanza, mancando gli altri due criteri. Inoltre, in relazione alla sospensione temporanea dal servizio, la contrattazione collettiva del settore assicurativo fa salva la corresponsione ai lavoratori degli eventuali emolumenti.
4 Art. 44, CCNL ABI 31/03/2015, art. 44, 76 e 77, CCNL BCC 30/06/2014 e Artt. 26, 27, 75, e 76, CCNL ANIA 17/09/2007.
1.6. Casistica giurisprudenziale.
La genericità dei doveri stabiliti nei confronti dei dipendenti può essere integrata attraverso l’analisi della casistica e dell’interpretazione giurisprudenziale di diverse fattispecie concretamente verificatesi.
In relazione al dovere di diligenza e di fedeltà del lavoratore, ad esempio, vogliamo evidenziare come spesso le iniziative dei lavoratori, se contrarie alle disposizioni aziendali, possono da sole bastare a ledere il rapporto di fiducia con l’azienda.
E’ il caso di un dipendente che, effettuando arbitrarie operazioni sui depositi di ignari correntisti senza procurare però nessun danno e rimborsando immediatamente i diretti interessati, ha subìto il licenziamento da parte dell’azienda. Spiega la Suprema Corte di Cassazione che, in questo caso, non solo viene compromesso il rapporto di fiducia tra banca e cliente ma ad essere compromesso è altresì lo stesso rapporto di fiducia tra banca e dipendente:
Cass. Civ., sez. lav., n. 6901/2016 – Licenziamento per violazione del dovere di diligenza
Arbitrarie operazioni sui depositi di ignari correntisti ne ledono la fiducia verso l'istituto di credito, indipendentemente dal fatto che ognuno di essi sia stato poi rimborsato o dall'esistenza e dall'entità d'un qualche danno concreto: il vulnus nei rapporti fra clienti e banca consiste nel fatto che i primi si sentiranno esposti al rischio che anche in futuro avvengano sui propri c/c operazioni non autorizzate.
Cass. Civ., sez. lav., n. 6901/2016 – Licenziamento per violazione del dovere di diligenza
Si tratta d'un modus operandi che, pur nella migliore delle ipotesi (cioè anche in quella accolta dalla gravata pronuncia), evidenzia una totale indifferenza verso i propri doveri da parte del dipendente, il che mina quell'affidamento sul futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa che costituisce il nucleo irriducibile dell'elemento fiduciario del rapporto in questione.
Non è pensabile che in organizzazioni complesse come gli istituti di credito, che hanno il compito precipuo di custodire i risparmi della clientela e di gestirli secondo le istruzioni ricevute, un singolo dipendente possa scegliere se, come e a carico di chi far fronte ad ipotetici ammanchi.
Compromesso definitivamente il rapporto fiduciario a causa del comportamento non rispettoso dei suoi doveri da parte del dipendente, l’istituto potrà legittimamente procedere al licenziamento disciplinare dello stesso.
Nel medesimo caso giurisprudenziale, inoltre, il dipendente licenziato richiedeva l’annullamento del licenziamento da parte del giudice in quanto in analoghe situazioni il datore di lavoro aveva adottato esclusivamente sanzioni conservative e meno gravi nei confronti di altri dipendenti. Con riguardo a tale argomentazione difensiva si riporta la giurisprudenza della Corte di Cassazione richiamata dalla sentenza.
Cass. Civ., sez. lav., n. 16682/2015 – Parità di trattamento tra dipendenti
E' per di più da rammentare che nel rapporto di lavoro di diritto privato non vige un generalizzato principio di eguaglianza che imponga al datore una parità di trattamento dei suoi dipendenti, nè l'eventuale disparità costituisce un vizio invalidante (L. n. 300 del 1970, ex art. 15), ove non si accompagni ad un motivo di discriminazione razziale, sindacale, politica o religiosa.
Ancora, in relazione al dovere di diligenza del lavoratore, la Corte di Cassazione è ferma nel ritenere che l’analisi del grado di diligenza vada valutato alla luce del contenuto oggettivo della prestazione.
Cass. Civ., sez. lav., n. 22965/2013 – Diligenza
Può dunque affermarsi che il grado di diligenza richiesto per la prestazione lavorativa va valutato alla luce del contenuto oggettivo della prestazione e non della rappresentazione soggettiva che di essa possa avere il prestatore. Così può non essere indifferente il mancato raggiungimento del risultato atteso, laddove risulti che il lavoratore non ha fatto tutto il possibile per conformare l'esecuzione dei propri compiti al livello di diligenza richiesto dalla natura delle mansioni affidategli, da correlare all'interesse dell'impresa, ossia alle particolari esigenze dell'organizzazione in cui la prestazione si inserisce.
Sotto altro profilo, bisogna evidenziare come spesso la giurisprudenza abbia il compito di interpretare le disposizioni legislative e contrattuali con lo scopo di garantire l’effettività della tutela dei diritti del lavoratore contro arbitrarie applicazioni di sanzioni disciplinari da parte del datore di lavoro.
Con riferimento all’obbligo di comunicazione delle vicende penali riguardanti i dipendenti, si riporta, ad esempio, un caso giurisprudenziale riguardante il licenziamento del dipendente per inadempimento dei doveri di diligenza e fedeltà (artt. 2104 e 2105 c.c). Nel caso di specie la Banca, nonostante il dipendente avesse rispettato l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento penale a suo carico, contestava la mancata comunicazione da parte del dipendente dell’impugnazione della sentenza di primo grado da parte del pubblico ministero. Di seguito la pronuncia della Corte di Cassazione:
Cass. Civ., sez. lav., n. 13049/2016 – Obbligo di comunicazione all’azienda delle vicende penali
Pertanto, ai fini dell'assolvimento del predetto obbligo, è sufficiente che il dipendente dia puntuale ed immediata notizia al datore di lavoro dell'esistenza di indagini penali preliminari nei suoi confronti o dell'inizio del procedimento penale a suo carico o della ricezione dell'informazione di garanzia, per cui ogni altra pretesa di adempimento di comunicazione che non rientri in quelle sopra previste resta fuori della prescrizione contrattuale in esame e non può essere fatta oggetto di contestazione disciplinare.
Infine si vuole riportare un altro caso di licenziamento disciplinare dovuto dalla violazione della normativa interna da parte del lavoratore, rientrante, come detto, nella violazione del dovere di diligenza nello svolgimento della prestazione lavorativa. In particolare si tratta del caso in cui il dipendente, quadro responsabile di banca, non ottemperi all’obbligo di svolgere accertamenti supplementari nella concessione di affidamenti. Di seguito la massima e l’estratto della sentenza.
MASSIMA – Cass. Civ., sez. lav., n. 16860/2012 – Obblighi di accertamento
E' legittimo il licenziamento disciplinare adottato nei confronti di un quadro responsabile di banca, che ha concesso aumenti di affidamento a clienti, senza assumere necessarie ed opportune informazioni sulla reale situazione finanziaria degli stessi; vieppiù se già si erano manifestati sintomi di inaffidabilità e se dal semplice esame degli estratti conto emergevano tali elementi di difficoltà.
Cass. Civ., sez. lav., n. 16860/2012 – Obblighi di accertamento
Nella specie, la Corte territoriale ha adeguatamente motivato il proprio convincimento osservando che, come risultava dagli accertamenti del consulente tecnico d'ufficio, il ricorrente aveva deliberato la concessione degli affidamenti supplementari senza svolgere tutti i necessari accertamenti sulla reale situazione finanziaria dei richiedenti e sulle garanzie prestate a fronte delle loro richieste, pur in presenza di "sintomi negativi" e di "eventi pregiudizievoli" (così definiti dalla normativa interna) facilmente riscontrabili da un semplice esame degli estratti conto degli stessi richiedenti. Lo stesso ricorrente aveva affermato di aver operato "a sistemazione di utilizzi già consentiti impropriamente dalla filiale", dimostrando così di aver avuto piena consapevolezza della irregolarità di tali operazioni. Nè il B. poteva invocare, a sua discolpa, un difetto di adeguata informazione da parte del direttore della filiale, giacchè proprio la presenza delle pregresse rilevanti esposizioni debitorie delle società richiedenti doveva imporgli l'adozione di una diversa condotta, e cioè "quella di richiedere maggiori informazioni sulla reale situazione finanziaria delle predette società e sulle garanzie dalle stesse prestate a fronte delle richieste di affidamenti in esame".
1.7. Procedura sanzionatoria: diritti del lavoratore e obblighi del datore.
Come accennato, la procedura sanzionatoria per l’esercizio del potere disciplinare del datore deve essere informata ai principi e ai criteri stabiliti sia a livello legislativo che a livello contrattuale.
Lo “Statuto dei lavoratori” si occupa di disporre la normativa generale applicabile ai rapporti di lavoro subordinato, stabilendo una serie di tutele a favore del lavoratore che spesso si traducono in limiti nei confronti del datore di lavoro.
Dal punto di vista dei diritti del lavoratore, la procedura può essere così schematizzata:
Il lavoratore, ricevuta la contestazione, potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato per fornire le sue giustificazioni
Art. 7, L. 300/1970
Diritti del lavoratore
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.
Promozione di un collegio di conciliazione ed arbitrato
La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio
il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto
Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio
Come sopra evidenziato, accanto a specifici diritti riconosciuti ai lavoratori sottoposti al procedimento disciplinare, la normativa prevede anche una serie di obblighi nei confronti del datore di lavoro per dare concretezza alle tutele previste a favore dei lavoratori.
Lo “Statuto dei lavoratori”, sempre all’art. 7, fissa i principi generali in relazione agli obblighi del datore in tema di procedure disciplinari:
• portare a conoscenza dei dipendenti il codice disciplinare aziendale contenente:
a) le norme disciplinari relative alle sanzioni
b) le norme disciplinari relative alle infrazioni
c) le norme disciplinari relative alle procedure di contestazione
• obbligo di contestazione al lavoratore e garanzia del suo diritto difesa
• divieto di sanzioni disciplinari che comportino mutamento definitivo del rapporto di lavoro
• limiti per la quantificazione di eventuali multe
• limite temporale per l’applicazione dei provvedimenti più gravi del rimprovero verbale
Di seguito la normativa generale completa in tema di obblighi del datore nel procedimento sanzionatorio
OBBLIGHI DEL DATORE NEL PROCEDIMENTO SANZIONATORIO
Art. 7, commi 1,2,4 e 5, L. 300/1970
1. Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può
essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano
2. Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.
4. Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.
5. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere
applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.
Per quanto riguarda l’obbligo di affissione del codice disciplinare ai fini della legittimità del licenziamento, la Corte di Cassazione precisa che
Cass. Civ., sez. lav., n. 22626/2013 – Affissione del codice disciplinare
Ai fini della validità del licenziamento intimato per ragioni disciplinari non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare, in presenza della violazione di norme di legge e comunque di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione
Continua poi la Corte specificando che
Cass. Civ., sez. lav., n. 22626/2013 – Affissione del codice disciplinare
Ritiene questa Corte, in applicazione del suddetto principio, al quale si intende dare continuità, che mentre alcune condotte del direttore di filiale, quali l'accettazione distinte e documenti con firme non corrispondenti al c.d. specimen, o la mancata effettuazione delle registrazioni antiriciclaggio, ex sè, contrastano con il c.d. minimo etico o con norme penali, altre, come nel caso di specie, connesse alle possibili modalità di applicazione di alcuni istituti bancari, ad es. con riguardo ai termini di valutazione del rischio di illiquidità, possono integrare o collidere con mere prassi, non integranti usi normativi o negoziali, variabili nel tempo in ragione di congiunture economiche e di mercato, assunte dall'Istituto di credito, con la conseguente necessità della conoscibilità delle relative condotte ritenute illegittime dal datore di lavoro, mediante l'affissione del codice disciplinare.
In tema di diritti del lavoratore bisogna aggiungere il principio dell’immediatezza della contestazione che, seppur valutata in senso relativo, non può avvenire dopo un termine eccessivamente lungo. Nel caso che si porta ad esempio, la dipendente veniva licenziata per violazioni commesse più di un anno prima dell’irrogazione della massima sanzione espulsiva (licenziamento) da parte del datore di lavoro. In questo caso recentemente la Corte di Cassazione ricorda che:
Cass. Civ., sez. lav., n. 2902/2015 – Tempestività della contestazione
Deve infatti rimarcarsi che in materia di licenziamento disciplinare, il principio dell'immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall'altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore - in relazione al carattere facoltativo dell'esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede - sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile. Nè può ritenersi che l'applicazione in senso relativo del principio di immediatezza possa svuotare di efficacia il principio medesimo, dovendosi reputare che, tra l'interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini per acquisire ulteriori elementi a conforto della colpevolezza e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, prevalga la posizione di quest'ultimo, tutelata "ex lege", senza che abbia valore giustificativo, a tale fine, la complessità dell'organizzazione aziendale.
1.7.1. Disposizioni speciali previste dal CCNL del settore assicurativo.
Il CCNL del settore assicurativo fissa una serie di regole specifiche in relazione al procedimento sanzionatorio. In particolare:
• in caso di rimprovero scritto o sospensione temporanea, viene prevista la possibilità per il lavoratore di presentare le proprie difese, anche tramite l’associazione sindacale, entro il termine di 15 giorni, prevedendo quindi una dilazione notevole rispetto la disciplina generale prevista dallo “Statuto dei lavoratori”. La decisione sull’adozione dell’eventuale provvedimento disciplinare sarà comunicata al lavoratore entro i successivi 15 giorni oppure entro 15 giorni dal ricevimento delle eventuali difese scritte presentate dal lavoratore, che potrà essere ulteriormente prorogato in caso di esigenze derivanti dalla difficoltà di valutazione delle difese fornite dal lavoratore (per un massimo di ulteriori 15 giorni)5
• in caso di sospensione temporanea, viene previsto che il relativo provvedimento debba essere comunicato per iscritto all’organizzazione sindacale alla quale il lavoratore aderisca6
1.7.1.1. Commissione paritetica nel settore assicurativo.
Con specifico riferimento ai funzionari iscritti ad una delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale7, viene prevista la possibilità di richiedere, entro 5 giorni dalla contestazione dei fatti, la costituzione di un’apposita Commissione paritetica che esprima il proprio parere sulla questione. Della Commissione faranno parte dei rappresentanti dell’azienda (per un massimo di 2) e altrettanti rappresentanti sindacali a difesa del lavoratore. Xxxxx ferma la possibilità per l’impresa di adottare comunque il provvedimento disciplinare del quale dovrà dare comunicazione all’interessato.
5 Art. 28, CCNL ANIA 17/09/2007.
6 Art. 77, CCNL ANIA 17/09/2007.
7 Art. 132, CCNL ANIA 17/09/2007.
2. Responsabilità extracontrattuale.
Art. 2043 c.c.
Qualsiasi fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
Come vediamo le obbligazioni possono nascere anche da atti illeciti. Questo vuol dire che qualora si commetta un atto contrario alla legge nasce l’obbligo di risarcire il danno.
L’articolo 2043 del Codice civile è la norma cardine del sistema della responsabilità extracontrattuale e definisce illecito “qualsiasi fatto, doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto.”
Quindi solo il fatto ingiusto o come si vuol dire contra ius genera l’obbligo di risarcire il danno derivatone. La dottrina tradizionale individua il danno ingiusto risarcibile nella sola lesione dei diritti soggettivi assoluti, questi ultimi sono quei diritti che non abbisognano di riconoscimento o collaborazione da parte di alcuno, che imponendosi erga omnes legittimano la pretesa, da parte di chiunque, di essere rispettati. La dottrina più moderna d’altra parte ha ampliato il riconoscimento ad altre situazioni ritenendole meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento italiano. Nuovi modelli di risarcimento del danno, come quello biologico, sono stati elaborati alla luce dei principi costituzionali di solidarietà, eguaglianza e sicurezza sociale.
La giurisprudenza ha ammesso, alla luce dei principi costituzionali, la risarcibilità del danno legata alla lesione di un diritto di credito da parte di un terzo, nella particolare ipotesi i cui quest’ultimo abbia impedito con il proprio comportamento l’adempimento dell’obbligazione del debitore, liberato quindi dall’impossibilità oggettiva d’adempiere.
Anche a delle posizioni giuridiche è poi stato riconosciuto l’obbligo di risarcimento del danno in caso di comportamenti illeciti. Questo perché pur non avendo lo stesso carattere dei diritti soggettivi le posizioni giuridiche sono state ritenute meritevoli di tutela con la stessa dignità di un diritto soggettivo. Tra queste il diritto all’identità personale, diritto alla riservatezza, del diritto d’integrità patrimoniale e della libera determinazione negoziale.
La tutela risarcitoria si è estesa fino a farvi rientrare il danno dato da lesione di una legittima aspettativa o
della perdita di chance.
Con la sentenza 22 luglio 1999, n. 500 le sezioni unite hanno esteso la nozione di danno ingiusto risarcibile anche agli interessi legittimi, normalmente vantati dal soggetto nei confronti di una pubblica amministrazione, questo però solo lì dove venga leso un “bene della vita” meritevole di tutela da parte dell’ordinamento e solamente se questo è correlato all’interesse legittimo.
Si noti che a differenza dell’illecito penale l’illecito civile viene represso allo scopo di risarcire i danni che vengono sofferti da un singolo, non si fa qui riferimento a finalità di ordine superiore. L’illecito penale è, poi, tipico mentre quello civile è atipico perché comprende tutte le condotte umane che possono cagionare un danno ingiusto. Infine i presupposti o per l’imputabilità civile e penale sono profondamente diversi.
2.1. Elementi dell’atto illecito.
L’atto illecito si compone di due elementi:
• Elemento soggettivo (colpevolezza: dolo e colpa di chi è capace di intendere e volere)
• Elemento oggettivo (fatto che cagiona il danno ingiusto)
2.1.1. Elemento soggettivo.
Elemento soggettivo
Dolo
1439 c.c.
Inosservanza di leggi, regolamenti,
ordini o discipline
Colpa specifica
Quando si ha intenzione di violare un
dovere giuridico, quando la trasgressione è volontaria.
Colpa
Negligenza: la mancanza di prudenza,
appunto, che potrebbe causare danni a se o ad altri.
Sempre esclusa
Colpa generica
Imperizia: quando si omette il
compimento di un’azione che
dovrebbe essere doverosa
Se in presenza di
forza maggiore e caso fortuito
Imprudenza: mancanza di abilità e
competenza nello svolgimento dei propri compiti professionali
Nell’ambito della colpa assume particolare rilevanza la valutazione del suo grado, dovendosi distinguere la colpa ordinaria e la colpa grave. Tale distinzione è di importanza fondamentale poichè esistono delle ipotesi in cui la responsabilità di un soggetto può essere affermata solo se lo stesso abbia commesso il fatto per dolo o colpa grave.
Il limite della colpa grave è dato dal fatto che «la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà», che, quindi, esulano dalla prassi o dalla comune esperienza.
Di seguito sono riportati alcuni articoli del codice civile con specifico riferimento all’attività bancaria e assicurativa.
Art. 1713 c.c. – Obbligo di rendiconto
Il mandatario deve rendere al mandante il conto del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato.
La dispensa preventiva dall'obbligo di rendiconto non ha effetto nei casi in cui il mandatario deve rispondere
per dolo o per colpa grave.
Art. 1836, comma 1, c.c. – Legittimazione del possessore
Se il libretto di deposito è pagabile al portatore, la banca che senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti del possessore è liberata, anche se questi non è il depositante.
Art. 1889, commi 1 e 2, c.c. – Polizze all’ordine e al portatore
Se la polizza di assicurazione è all'ordine o al portatore, il suo trasferimento importa trasferimento del credito verso l'assicuratore, con gli effetti della cessione.
Tuttavia l'assicuratore è liberato se senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti del giratario o del portatore della polizza, anche se questi non è l'assicurato.
Art. 1892, comma 1, c.c. – Dichiarazioni inesatte e reticenze con dolo o colpa grave
Le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, relative a circostanze tali che l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del contratto quando il contraente ha agito con dolo o con colpa grave.
Dalla formulazione normativa è possibile comprendere la rilevanza della differenza tra dolo e colpa (in tutte le sue forme), prevedendosi norme specifiche sul tema che prevedono anche sanzioni applicabili solo in presenza del dolo o della colpa in sue specifiche manifestazioni (es. colpa grave).
Inoltre, deve tenersi in considerazione che la distinzione in base al grado di colpevolezza è centrale nella normativa in tema di obblighi assicurativi e tutela del dipendente per la responsabilità civile prevista dalla contrattazione collettiva nazionale e della quale ci occuperemo più avanti.
Nella casistica giurisprudenziale vi sono numerose sentenze che hanno lo scopo di fornire l’interpretazione delle diverse nozioni giuridiche della c.d. colpa generica. Per chiarire la portata dell’elemento della negligenza, una delle estrinsecazioni soggettive che caratterizzano la presenza della colpa, si riporta di seguito un caso analizzato dalla giurisprudenza.
Cass. Civ., sez. lav., n. 21437/2011 – Violazione per negligenza
la B. era la responsabile della sala contazione e che il licenziamento era avvenuto a seguito di un'ulteriore diversa contestazione disciplinare del 2-7-2002, con la quale le era stato addebitato, oltre all'omessa segnalazione che l'impianto di videoregistrazione presentava delle zone d'ombra nei punti di apertura e richiusura dei plichi di denaro, la mancata redazione di verbali di constatazione di differenze valori nonchè l'istruzione ai dipendenti di depositare le eccedenze - non denunciate e senza annotazione della provenienza - in un cassetto della sua scrivania personale, in modo da coprire eventuali ammanchi con tali eccedenze
Sulla legittimità e l’esistenza della negligenza così si pronuncia la Corte
Cass. Civ., sez. lav., n. 21437/2011 – Violazione per negligenza
per quanto in particolare "attiene alla mancata verbalizzazione delle eccedenze di valori riscontrate ed alla loro conservazione in un cassetto aperto alla portata di tutti" la Corte di merito, alla luce delle stesse ammissioni contenute nella lettera di giustificazione, ha confermato la "risolutiva gravità del fatto, anche nell'ipotesi, meramente colposa, che la B. si sia limitata a tacere su di una circostanza di cui non poteva non essere a conoscenza", nella sua qualità e nello svolgimento delle sue mansioni
2.1.2. Elemento oggettivo.
Come abbiamo accennato in precedenza, il secondo elemento dell’atto/fatto illecito che caratterizza la responsabilità extracontrattuale è l’elemento oggettivo, che si sostanzia nel fatto che cagiona un danno ingiusto. Per danno ingiusto si intende qualsiasi danno che derivi dalla violazione del diritto, che sia causato dal soggetto senza alcuna giustificazione che ne possa escludere la colpevolezza (ad es. legittima difesa o stato di necessità.
Comportamento
Attivo
dal quale il soggetto avrebbe dovuto
astenersi
Omissivo
cioè l’astensione dal
dovere giuridico di agire
Nesso di causalità
L’evento dannoso deve essere
una conseguenza giuridica
immediata e diretta del comportamento del soggetto
Per esempio, la condotta attiva si avrà nel caso in cui venga violato un comando: l’agente pone in essere una condotta attiva colposa omettendo di adottare quella diligente. In questo caso, per verificare la responsabilità in capo al singolo si dovrà dimostrare che l’evento non si sarebbe verificato nel caso in cui l’agente non avesse commesso la violazione.
La condotta omissiva si verifica invece, ad esempio, nel caso in cui l’agente violi un divieto, ovvero quando l’agente omette la condotta dovuta. Si pensi al caso in cui il dipendente apra una casetta di sicurezza senza autorizzazione.
Per quanto riguarda il nesso di causalità, il soggetto è responsabile solo laddove l’evento dannoso è causalmente riconducibile alla sua condotta attiva od omissiva, allorché il danno si verifichi secondo l’ordine naturale delle cose e non è il prodotto di circostanze eccezionali. La causalità può essere di tipo materiale o di tipo giuridico, quest’ultima è una creazione dell’ordinamento che prevede un nesso tra due azioni.
2.2. Responsabilità patrimoniale.
Art. 1218 c.c.
Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Come la maggior parte dei rapporti contrattuali, anche il rapporto di lavoro subordinato soggiace alla disciplina generale prevista dal codice civile in tema di rispetto delle obbligazioni e, in particolare, di corretto adempimento della prestazione. Allo stesso modo, risulta applicabile al rapporto lavorativo anche la disciplina sulle conseguenze patrimoniali derivanti dall’inesatto adempimento della prestazione lavorativa. Infatti, nel caso in cui si venga a determinare un danno nei confronti dell’azienda del datore di lavoro, dovuto al mancato rispetto delle regole di diligenza dettate per le particolari mansioni svolte dai lavoratori, l’azienda avrà il diritto di richiedere il risarcimento del danno direttamente a chi quel danno l’ha causato.
La responsabilità patrimoniale del dipendente può dipendere sia dalla violazione degli obblighi contrattuali (responsabilità contrattuale) che dalla violazione di diritti che ha determinato un danno ingiusto (responsabilità extracontrattuale). Ovviamente, l’identificazione di quale tipo di responsabilità si risponda dipende dalla valutazione del caso concreto e da quali obblighi siano stati effettivamente disattesi.
Cass. Civ., sez. lav., n. 22965/2013 – Responsabilità patrimoniale
L'inosservanza dei doveri di diligenza comporta non solo l'applicazione di eventuali sanzioni disciplinari, ma anche l'obbligo del risarcimento del danno cagionato all'azienda per responsabilità contrattuale. Tuttavia, poichè non è possibile addossare al lavoratore subordinato una responsabilità che costituisca assunzione del rischio proprio dell'attività svolta dall’imprenditore, l'indagine relativa deve essere diretta ad accertare se l'evento dannoso subito dall'azienda sia correlato ad una condotta colposa del prestatore d'opera, se cioè si sia in presenza di un casus culpa determinatus ricollegabile, sulla base di un rapporto di causalità, ad una condotta colposa del dipendente sotto i profili della negligenza, dell'imprudenza o della violazione di specifici obblighi contrattuali o istruzioni legittimamente impartitegli dal datore di lavoro. Come criterio direttivo di tale indagine non può assumersi il parametro generale e costante della diligenza dell'uomo medio, ma occorre, invece, valutare la diligenza del dipendente in riferimento sia alla sua qualifica professionale sia alla natura delle incombenze affidategli, ed alle particolari difficoltà presentate dall'espletamento di queste.
A scopo esemplificativo dei principi di responsabilità patrimoniale nei confronti della società, si riporta una sentenza emblematica relativa al caso di un dirigente chiamato in causa dall’istituto per colpevole inadempimento all’obbligo di diligenza di cui all’art. 2104 c.c. e per l’illecito sanzionabile ex art. 2043 c.c. La violazione del soggetto consisteva nell’aver concesso esuberi di fido non autorizzati ad un cliente.
Il Tribunale, sulla base della valutazione dei fatti condannò il soggetto al pagamento di un’ingente somma di denaro, costringendo il dirigente a ricorrere in Cassazione (si noti che il Tribunale, nel caso di specie, fungeva da giudice dell’appello). La Suprema Corte, lungi dal contestare nel merito le statuizioni del Tribunale si è espressa nei termini che seguono.
Cass. Civ., sez. lav., n. 394/2009 – Responsabilità patrimoniale
Disposta dal tribunale consulenza tecnico - contabile, la causa è stata decisa con la sentenza definitiva n. 22127 del 16 luglio 2004, con la quale A.F . , nel rigetto dell'appello incidentale e nell'accoglimento di quello principale, è stato condannato al pagamento della somma di Euro 45.144.909,00, oltre rivalutazione monetaria dall'I luglio 2003 ed interessi legali sulla somma rivalutata sino al soddisfo, oltre alle spese di tutti i procedimenti cautelari e di merito.
Cass. Civ., sez. lav., n. 394/2009 – Responsabilità patrimoniale
Va innanzi tutto ribadito, come principio di diritto, che la violazione da parte del lavoratore degli obblighi di fedeltà e diligenza comporta, oltre all'applicabilità di sanzioni disciplinari, anche l'insorgere del diritto al risarcimento del danno (ex plurimis Cass. sez. Lav . , 26 giugno 2000, n. 8702); obblighi questi che sono particolarmente accentuati nel caso in cui il dipendente abbia la qualifica di dirigente che lo pone in un diretto e stretto rapporto di collaborazione con il datore di lavoro.
Cass. Civ., sez. lav., n. 394/2009 – Responsabilità patrimoniale
In applicazione di questi principi correttamente il tribunale, quale giudice d'appello, ha verificato in concreto la sussistenza della violazione dell'obbligo di diligenza da parte dell' A., dirigente con mansioni di direttore della filiale di (OMISSIS) e, con tipica valutazione di merito non censurabile in Cassazione perché assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, è pervenuto al convincimento che dalla documentazione prodotta in causa emergeva con sufficiente chiarezza la responsabilità dell' A. nella creazione di una abnorme esposizione nei confronti del (OMISSIS) .
2.3. Differenze tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
Capacità di intendere e di volere
Responsabilità contrattuale Xxxxxxxxxx la capacità di agire, che si acquista con la maggiore età e si mantiene fino alla dichiarazione di incapacità o al decesso .
Responsabilità extracontrattuale Xxxxxxxxxx la capacità di intendere e di volere, come al momento in cui si commette l’illecito
Onere della prova
Responsabilità contrattuale
La prova dell’adempimento grava sul debitore .
Responsabilità extracontrattuale
La prova è a carico del danneggiato che è tenuto a provare il nesso causale, il dolo e la colpa e il danno
Prescrizione
Responsabilità contrattuale
il diritto si prescrive nel termine ordinario di dieci anni.
Responsabilità extracontrattuale
il diritto si prescrive, di regola, in cinque anni.
Danni risarcibili
Responsabilità contrattuale
Se l inadempimento è colposo e non doloso , è limitato ai soli danni che erano prevedibili.
Responsabilità extracontrattuale
Sono risarcibili tutti i danni che siano conseguenza immediata e diretta della condotta.
Come già anticipato, si deve tenere in considerazione che la responsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale possono coesistere e ciò accade nell’ipotesi in cui un medesimo comportamento comporti allo stesso tempo un inadempimento contrattuale e una lesione di un diritto protetto dalla legge.
2.4. Responsabilità civile verso terzi: responsabilità solidale fra datore e dipendente.
Normalmente, la legge prevede che a rispondere dell’obbligazione di risarcire un danno sia solo colui che ha commesso il fatto. Non mancano però ipotesi in cui, soprattutto per rafforzare la tutela dei danneggiati, è prevista la responsabilità di un soggetto diverso dall’autore del fatto dannoso, accanto, ed in casi estremi senza, la responsabilità di quest’ultimo. Al datore di lavoro non è concessa prova liberatoria egli, infatti, è garante anche della correttezza dell’agire dei propri dipendenti.
Art.2049 – Responsabilità dei padroni e dei committenti
I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
Ai fini dell’applicabilità della responsabilità del datore secondo quanto previsto dall’art. 2049 del codice civile è necessario che sussista il nesso di “occasionalità necessaria”, definito dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione nei termini che seguono
MASSIMA – Cass. Civ., sez. VI, n. 20924/2015 – Nesso di occasionalità necessaria
La responsabilità indiretta di cui all'art. 2049 c.c. per il fatto dannoso commesso da un dipendente postula l'esistenza di un nesso di "occasionalità necessaria" tra l'illecito e il rapporto di lavoro che vincola i due soggetti, nel senso che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo. [...]
Cass. Civ., sez. VI, n. 20924/2015 – Nesso di occasionalità necessaria
La corte d'appello, incontestato il fatto che la Ge. , sulla base di un rapporto di lavoro con Alleanza, all'interno dei locali di Alleanza abbia fatto sottoscrivere ai ricorrenti due proposte contrattuali provenienti da Alleanza ed abbia incassato rilasciandone quietanze prodotte in giudizio i rispettivi premi, ha considerato dirimente che l'importo riscosso non sia mai arrivato nella disponibilità della società. Ha preso quindi in considerazione, per escludere la responsabilità della società di assicurazioni, un elemento estraneo alla fattispecie che sarebbe stata oggetto del suo accertamento (ovvero la verifica della sussistenza del nesso di occasionalità necessaria tra il ruolo svolto dalla Ge. all'interno di Alleanza e la consumazione da parte sua dell'illecito) atteso che non si procede nei confronti della società addebitandole in proprio di essersi impossessata del denaro altrui e che proprio il fatto di essersi impossessata del denaro versato dai ricorrenti, anzichè versarlo come avrebbe dovuto nella casse della società integra l'illecito della dipendente verso i terzi (ed è al contempo fonte di responsabilità contrattuale della stessa verso il suo datore di lavoro).
Il rapporto di “occasionalità necessaria” si ravvisa “quando l'attività svolta dal lavoratore abbia determinato, nella sua estrinsecazione, una situazione tale da agevolare, o comunque rendere possibile, il fatto illecito, anche se, nella condotta delittuosa, il dipendente abbia superato i limiti delle incombenze connesse alle mansioni attribuitegli”8, anche se il dipendente abbia agito in via autonoma, o abbia ecceduto i limiti della propria attività in trasgressione degli ordini ricevuti.
Per il settore del credito, la contrattazione collettiva nazionale si è fatta carico di prevedere una normativa a tutela del lavoratore in ordine alla possibilità di dover risarcire in sede civile i danni derivanti dalle sue condotte.
Nell’ambito del procedimento penale, oltre alle contestazioni relative alla normativa di riferimento, esiste la possibilità che il soggetto direttamente danneggiato dalla condotta delittuosa si possa costituire parte civile per l’ottenimento del risarcimento del danno. In questo caso, il CCNL del credito stabilisce che gli oneri relativi al risarcimento sono a carico dell’impresa9. La tutela prevista rimane anche in caso di cessazione del rapporto, sempreché si tratti di fatti accaduti nel corso del rapporto stesso.
Per il settore assicurativo, analoghe previsioni, ma non del tutto identiche, sono previste a favore dei funzionari nella relativa parte speciale del CCNL10.
In particolare, la contrattazione collettiva prevede che, sempre per fatti commessi all’esercizio delle
8 Cass. Pen., sez. II, n. 694/2000. “Nella fattispecie, relativa a impiegato di banca condannato per aver raggirato un cliente attraverso la falsificazione delle attestazioni bancarie sull'acquisto di titoli, la Corte ha ritenuto sussistente la responsabilità dell'Istituto di credito poiché l'azione criminosa era risultata riferibile alle funzioni legittimamente esercitato all'interno dell'organizzazione dell'ufficio da parte dell'imputato, il quale dei compiti attribuitigli si era giovato al fine di trarre in inganno la vittima, contando proprio sull'affidamento da quest'ultima riposto nell'operato di un soggetto inserito nella organizzazione della banca”
9 Art. 42, comma 4, CCNL ABI 31/03/2015.
10 Art. 95, CCNL ANIA 17/09/2007.
funzioni, la responsabilità civile verso terzi è a carico dell’impresa. Il limite alla responsabilità esclusiva dell’azienda si ritrova nel grado della colpevolezza del soggetto che ha commesso la violazione: se il soggetto abbia violato le disposizioni con dolo e colpa grave viene meno la tutela dell’ascrivibilità all’impresa della responsabilità civile verso terzi. Come per il settore del credito, la normativa vale anche in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro, sempreché si tratti di fatti accaduti nel corso del rapporto stesso.
2.5. Obblighi assicurativi nel settore del credito.
Per quanto riguarda la responsabilità civile verso terzi, il legislatore ha previsto, fin dal lontano 1985, l’obbligo a carico del datore di lavoro di assicurare i quadri.
Art. 5, L. 190/1985
Il datore di lavoro è tenuto ad assicurare il quadro intermedio contro il rischio di responsabilità civile verso terzi conseguente a colpa nello svolgimento delle proprie mansioni contrattuali. La stessa assicurazione deve essere stipulata dal datore di lavoro in favore di tutti i propri dipendenti che, a causa del tipo di mansioni svolte, sono particolarmente esposti al rischio di responsabilità civile verso terzi.
L’obbligo assicurativo è stato recepito dalla contrattazione collettiva nazionale11, estendendo la copertura assicurativa a tutti i lavoratori che siano esposti a rischi e responsabilità paragonabili a quelli derivanti dalle mansioni svolte dai quadri direttivi.
Una differenza rilevante tra la contrattazione collettiva e la legislazione nazionale sembra rinvenirsi con riguardo al grado della colpa. Mentre la legge si limita a far riferimento genericamente alla colpa, il CCNL esclude la validità dell’assicurazione sia nel caso del dolo che della colpa grave, restringendo l’ambito di tutela previsto dalla legge.
11 Art. 43, CCNL ABI 31/03/2015 e art. 43, CCNL BCC 30/06/2014
3. La responsabilità professionale nell’ordinamento penale.
3.1. Riciclaggio: la normativa di riferimento.
Il contrasto alle attività di riciclaggio rappresenta senza dubbio uno dei mezzi principali con cui portare avanti il contrasto alle attività criminali organizzate. Di conseguenza, una normativa altamente dettagliata come quella presente a livello comunitario rappresenta un tassello fondamentale nel raggiungimento di tale obiettivo per due ragioni fondamentali: in primis, poiché la previsione normativa rappresenta l’unico mezzo in grado di bandire specifici comportamenti e decretarne l’illiceità; in secundis, l’intento di una normativa tanto dettagliata ricalca anche un evidente scopo formativo del personale impiegato nel settore creditizio. In tal modo, infatti, si riuscirà a prevenire in maniera più profonda un fenomeno tanto capillare quanto mutevole come quello del riciclaggio. La normativa comunitaria si articola in direttive e regolamenti: le prime con un’efficacia indiretta nei confronti degli operatori del settore creditizio (in quanto destinate agli Stati membri, chiamati a loro volta a dargli applicazione); i secondi, invece, con efficacia diretta al pari della legge nazionale. Il contenuto di tali normative spazia dagli obblighi formali a quelli sostanziali in capo agli operatori del settore creditizio, bancario e assicurativo.
La normativa in tema si articola su diversi livelli, a seconda delle fonti di riferimento. Infatti, l'intera materia prende avvio dalla disciplina comunitaria contenuta nelle direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE, che avevano come scopo quello di decretare una normativa di riferimento il più possibile comune a tutti i Paesi europei per combattere un fenomeno tanto diffuso quanto transnazionale come quello del riciclaggio di denaro e capitali. Tuttavia, le disposizioni di cui sopra saranno sostituite, nel corso del prossimo anno, da quelle contenute nella direttiva 2015/849/CE.
A livello nazionale, invece, la normativa di riferimento si articola su due diverse direttive a livello penale: il codice penale (con gli artt. 648 bis c.p. e 648 ter c.p. rispettivamente rubricati "riciclaggio" e "autoriciclaggio") e il ben più dettagliato D.Lgs. 231/2007, che detta l'intera normativa di settore sul contrasto al riciclaggio recependo da un lato i contenuti delle direttive europee di cui sopra, e dall'altro dotandoli di particolare efficacia cogente attraverso la previsione di sanzioni penali nel caso di un loro inadempimento.
3.2. Normativa comunitaria.
La direttiva 2005/60/CE rappresenta senza dubbio il punto iniziale dell'evoluzione della normativa volta al contrasto del fenomeno del riciclaggio. Essa identifica come attività12 in grado di integrare la condotta illecita di riciclaggio:
• La conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni.
• L'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività.
• L'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività.
• La partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione.
I soggetti che possono rendersi responsabili vengono individuati per categorie e definiti in maniera esaustiva dalla direttiva in esame13.
Alcune categorie di liberi professionisti iscritti ai relativi albi professionali
Destinatari
Lavoratori dipendenti di enti che operano nel settore creditizio e finanziario
Nell'ambito del settore finanziario vengono fatti rientrare sia i dipendenti delle imprese assicurative, sia gli
intermediari assicurativi14.
12 Art. 1, Dir. 2005/60/CE.
13 Artt. 2 e 3, Dir. 2005/60/CE.
14 Art.3, comma 1, n. 2, Lett. b) e e).
3.2.1. Gli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria.
Essi, pur avendo come destinatari finali gli operatori dei settori economici coinvolti, sono in realtà rivolti agli Stati membri dell'UE, sui quali grava l'onere di recepirli e renderli efficaci e cogenti all'interno dei rispettivi ordinamenti. Ciononostante, la normativa in questione appare evidentemente pensata per essere destinata direttamente ai soggetti che operano nei settori economici indicati. La prova di ciò è data dal fatto che gli obblighi esposti nella normativa riguardino direttamente le attività lavorative e imprenditoriali degli enti coinvolti.
Gli obblighi esposti si esplicano principalmente negli obblighi di controllo della clientela. Essi devono trovare attuazione15 nei seguenti casi:
• Quando instaurano rapporti d'affari.
• Quando eseguono transazioni occasionali il cui importo sia pari o superiore a 15000 euro, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con un'operazione unica o con diverse operazioni che appaiono collegate.
• Quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile.
• Quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull'adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell'identificazione di un cliente.
Nel dettaglio, il contenuto di tali obblighi si articola con l'identificazione del cliente
Chiarire la natura del rapporto
in essere
Identificazione
del
cliente
Oltre la verifica
dell’identità, è necessario
Chiarire lo scopo del rapporto in
essere
Eseguire un controllo costante
per tutta la durata del rapporto
15 Art. 7, Dir. 2005/60/CE
3.2.2. Esenzione dagli obblighi.
Sussistono anche dei casi in cui, per la peculiarità della situazione, l'obbligo di controllo viene meno a causa di specifiche esenzioni16 previste dalla direttiva:
• Se il cliente è un ente creditizio o finanziario soggetto alla direttiva, oppure un ente creditizio o finanziario situato in un paese terzo, che imponga obblighi equivalenti a quelli previsti dalla direttiva e preveda il controllo del rispetto di tali obblighi;
• gli Stati membri possono autorizzare gli enti e le persone soggetti alla direttiva a non applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela, in relazione:
a) alle società quotate i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato ai sensi della direttiva 2004/39/CE in uno o più Stati membri e alle società quotate di paesi terzi che sono soggette ad obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria;
b) ai titolari effettivi di conti xxxxxxxxxx gestiti da notai o altri liberi professionisti legali di uno Stato membro o di un paese terzo, purché siano soggetti ad obblighi in materia di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo conformi agli standard internazionali e al controllo del rispetto di tali obblighi e purché le informazioni sull'identità del titolare effettivo siano accessibili, a richiesta, agli enti che operano quali enti di deposito dei conti collettivi;
c) alle autorità pubbliche nazionali; o a qualunque altro cliente caratterizzato da uno scarso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo che soddisfi i criteri tecnici stabiliti a norma dell'articolo 40, paragrafo 1, lettera b).
16 Art. 11, Dir. 2005/60/CE.
3.2.3. Obblighi rafforzati.
Vi sono, invece, dei casi in cui l'obbligo di identificazione risulta rafforzato17 sulla base della sussistenza (effettiva o presunta) di elevati fattori di rischio di contagio delle operazioni con finalità di riciclaggio o di finanziamento di attività terroristiche.
Qualora, invece, il cliente non fosse fisicamente presente per permettere l'espletamento di tali procedure la direttiva prevede specifici mezzi a disposizione degli operatori dei settori coinvolti per ottemperare alle prescrizioni normative:
• garantire l'accertamento dell'identità del cliente tramite documenti, dati o informazioni supplementari;
• adottare misure supplementari per la verifica o la certificazione dei documenti forniti o richiedere di una certificazione di conferma di un ente creditizio o finanziario soggetto alla presente direttiva;
• garantire che il primo pagamento relativo all'operazione sia effettuato tramite un conto intestato al cliente presso un ente creditizio;
Nel caso in cui, invece, si abbia a che fare con conti di corrispondenza con enti corrispondenti di enti di Paesi terzi vengono dettate alcune misure peculiari di controllo, come la raccolta di informazioni sull'ente stesso per comprenderne natura e attività, la valutazione dei controlli antiriciclaggio a cui l'ente è sottoposto, la necessaria presenza di un'autorizzazione dirigenziale per l'apertura di nuovi conti per corrispondenza e, infine, precisare in forma scritta le responsabilità di ogni ente coinvolto.
3.2.4. Persone politicamente esposte.
La direttiva 2006/70/CE, invece, si presenta come norma di mera attuazione della precedente, con la predisposizione di particolari normative di integrazione alla direttiva precedentemente richiamata. In particolare, viene data una piena definizione delle persone politicamente esposte18 (soggetti nei cui confronti gli obblighi di controllo risultano indeboliti a causa della carica rivestita o del ruolo svolto in peculiari istituzioni). Di seguito riportiamo alcuni requisiti per l’individuazione, volti a identificare principalmente autorità o organismi pubblici:
• l cliente ha occupato funzioni pubbliche conformemente al trattato sull'Unione europea, ai trattati sulle Comunità europee o al diritto derivato della Comunità europea;
• L'identità del cliente è pubblicamente disponibile, trasparente e certa;
Le attività del cliente, così come le sue pratiche contabili, sono trasparenti;
• Il cliente rende conto o a un'istituzione comunitaria o alle autorità di uno Stato membro, ovvero esistono procedure di controlli e contrappesi che assicurano la verifica dell'attività del cliente.
17 Art. 13, Dir. 2005/60/CE.
18 Art. 3, Dir. 2006/70/CE.
È possibile, inoltre, rendere un soggetto che non rientri nel novero degli enti pubblici una persona politicamente esposta per iniziativa di uno Stato membro, a causa del basso rischio di riciclaggio che essi siano in grado di presentare. Per farlo, bisognerà tastare l'esistenza dei requisiti elencati:
• Il cliente è un'entità che esercita attività finanziarie che esulano dall'ambito di applicazione dell'articolo 2 della direttiva 2005/60/CE, ma alle quali la legislazione nazionale ha esteso le obbligazioni di detta direttiva, a norma dell'articolo 4 della stessa;
• L'identità del cliente è pubblicamente disponibile, trasparente e certa;
• In base al diritto nazionale, il cliente deve ottenere un'autorizzazione per esercitare le attività finanziarie e l'autorizzazione può essere rifiutata se le autorità competenti non ritengono provate la competenza e l'onorabilità delle persone che dirigono o dirigeranno effettivamente l'attività di tale entità o del suo titolare effettivo;
• Il cliente è soggetto a controllo, ai sensi dell'articolo 37, paragrafo 3, della direttiva 2005/60/CE, da parte delle autorità competenti per quanto riguarda l'osservanza della legislazione nazionale di attuazione di detta direttiva e, ove applicabile, degli obblighi aggiuntivi previsti dalla legislazione nazionale;
• La mancata osservanza degli obblighi di cui alla lettera a) da parte del cliente è soggetta a sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, compresa la possibilità di adeguate misure amministrative o l'imposizione di sanzioni amministrative;
3.2.5. Trasferimento di fondi.
Il regolamento 2015/847/CE assolve a funzioni di raccordo e integrazione di quanto previsto all'interno della normativa antiriciclaggio di matrice comunitaria, attraverso delle prescrizioni di carattere formale con cui regolamentare il trasferimento di fondi19, ad eccezione di quelli effettuati mediante carta di pagamento, strumenti di moneta elettronica o telefoni cellulari (a patto che il dispositivo sia utilizzato esclusivamente per il pagamento di beni o servizi o che i dati identificativi dello stesso accompagnino tutte le operazioni in cui sia coinvolto).
Per regolamentare tale attività, il regolamento prescrive una serie di attività e controlli volti a rendere l'identificazione dei soggetti e dei capitali circolanti più semplice e immediata. Di conseguenza, saranno sempre necessari (al fine di garantire l'esito positivo del trasferimento di fondi mediante bonifico):
Elementi necessari
Numero conto di
pagamento
Nome dell’ordinante
Dati anagrafici e
codice identificazione del cliente
Nome e numero di
conto del beneficiario
Spetterà al prestatore di servizi (impiegato di banca o di
un ente finanziario) verificare la sussistenza di tali requisiti e la loro veridicità e accuratezza.
Le procedure sottese al trasferimento di fondi cambiano anche a seconda della destinazione del trasferimento stesso. Infatti, per i trasferimenti all'interno dell'UE si fa riferimento all'art. 5 del regolamento; invece, per i trasferimenti diretti a destinatari extra UE si deve far riferimento all'art. 6.
19 Art. 3, Reg. 2015/847/CE.
Qualora, invece, il trasferimento sia stato iniziato senza la soddisfazione degli obblighi previsti dalla normativa stessa si applicano delle contromisure efficaci, con il monitoraggio a posteriori o in tempo reale delle attività per i casi di:
• Trasferimenti di fondi ove il prestatore di servizi di pagamento dell'ordinante sia stabilito nell'Unione, i dati informativi di cui all'articolo 5;
• Trasferimenti di fondi ove il prestatore di servizi di pagamento dell'ordinante sia stabilito fuori dell'Unione, i dati informativi di cui all'articolo 4, paragrafi 1 e 2;
• Trasferimenti raggruppati, ove il prestatore di servizi di pagamento dell'ordinante sia stabilito fuori dell'Unione, i dati informativi di cui all'articolo 4, paragrafi 1 e 2, in relazione a tale file di raggruppamento.
Nel momento in cui il prestatore di servizi si ritrovi dinanzi ad un caso di operazione priva dei dati richiesti dalla normativa sarà tenuto ad "applicare procedure efficaci basate sul rischio, ivi comprese le procedure calibrate in funzione dei rischi di cui all'articolo 13 della direttiva (UE) 2015/849, per stabilire se eseguire, rifiutare o sospendere un trasferimento di fondi non accompagnato dai dati informativi richiesti completi relativi all'ordinante e al beneficiario e le opportune misure da adottare" (art. 8, comma I).
Qualora il prestatore si renda conto che i dati richiesti siano mancanti o indisponibili sarà chiamato a rifiutare il trasferimento o, in alternativa, richiedere i dati prescritti prima o dopo l'avvenuto trasferimento20.
Qualora l'adempimento degli obblighi informativi previsti dalla normativa venga sistematicamente disatteso da parte del prestatore, l'altro prestatore sarà tenuto dapprima a inoltrare reclami e diffide formali, e poi a rifiutare future operazioni di trasferimento o, addirittura, di porre fine ai propri rapporti professionali con lo stesso (art. 8, comma II). All'adempimento di tali obblighi è correlato anche quello di tempestiva informazione sulle operazioni sospette alla UIF (Unità informativa finanziaria, introdotta dalla direttiva 2015/849/CE) di riferimento.
Tutti gli obblighi prescritti, qualora disattesi, danno vita alla comminazione di sanzioni, la cui natura è originariamente prevista in via puramente amministrativa in sede comunitaria ma senza la preclusione per gli Stati membri di inasprimento mediante l'adozione di specifiche misure penali21.
20 Art. 8, comma 1, par. 2, Reg. 2015/847/CE.
21 Art. 17, Reg. 2015/847/CE.
3.3. Normativa nazionale.
3.3.1. Il riciclaggio e l’autoriciclaggio nel codice penale.
Il codice penale tratta del riciclaggio e dell'autoriciclaggio. La disposizione sul riciclaggio si inserisce nel solco delle medesime condotte sancite da parte della normativa comunitaria, seppur con un grado di dettaglio molto minore.
Art. 648-bis c.p. - Riciclaggio
Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 euro a 25.000 euro.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.
La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.
Nel caso dell’autoriciclaggio, invece, si assiste all'introduzione di una nuova fattispecie, che si differenzia dalla precedente a causa del rapporto direttamente consequenziale fra crimine commesso e profitto investito e riutilizzato. Di conseguenza, mentre il riciclaggio punisce le condotte volte a reintrodurre nel sistema dell'economia legale i profitti e i capitali provenienti da crimini non necessariamente compiuti dallo stesso soggetto che attua il riciclaggio, nel caso dell'autoriciclaggio, il soggetto che tiene le condotte previste è lo stesso che ha compiuto il crimine da cui deriva la somma che si intende ripulire.
Art. 648-ter1 commi 1,2 e 3 c.p. - Autoriciclaggio
Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa
Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.
Art. 648-ter1, commi 4,5,6 e 7 c.p. - Autoriciclaggio
Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell'esercizio di un'attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l'individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.
3.3.2. La normativa nel decreto antiriciclaggio.
Nel decreto antiriciclaggio, ovvero il Decreto Legislativo 231 del 2007, è contenuta la normativa specifica di riferimento per l’attività di prevenzione e contrasto del riciclaggio. Infatti, recependo le disposizioni contenute nella direttiva 2005/60/CE, essa garantisce al nostro Paese un vero e proprio “codice” di norme dedicate al perseguimento del riciclaggio, con definizioni molto precise e dettagliate oltre che una vasta gamma di sanzioni poste a completamento del panorama normativo vigente.
Essa, per lunghi tratti, si traduce in una vera e propria riproposizione del contenuto della direttiva 2005/60/CE.
L'identificazione delle condotte avviene, anche in questo caso, in maniera analitica e precisa. Esse, infatti, si identificano come segue.
• la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni;
• l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
• l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
• la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione.
È inoltre interessante notare che per l'individuazione dell'elemento soggettivo del reato il legislatore prevede la possibilità di fare affidamento su un meccanismo di presunzioni basate su fatti obiettivi22,
22 Art.2, comma 3, D.Lgs. 231/2007.
rendendo di conseguenza il compito degli organi inquirenti più semplice e rispondendo al tempo stesso all'esigenza di una risposta il più possibile rapida e decisa ad un fenomeno di per sé estremamente fluido e mutevole.
3.3.2.1. Gli obblighi.
A testimonianza, inoltre, del ruolo centrale del prestatore di servizi nello svolgimento di tale attività di contrasto vi è l'obbligo di collaborazione dello stesso con le autorità competenti allo svolgimento di tali controlli. Ciò responsabilizza enormemente il prestatore di servizi che non è quindi chiamato unicamente ad un'applicazione passiva delle procedure previste in via legislativa e interna all'ente, ma anche ad una collaborazione attiva fondata sulla necessaria vigilanza perpetua sullo svolgimento di tali operazioni. Gli altri obblighi possono essere così schematizzati23.
Obblighi
Adeguata verifica della
clientela
Segnalazione delle operazioni
sospette
Conservazione dei documenti
Controllo interno
Garanzia dell’osservanza delle
disposizioni pertinenti
Comunicazione per prevenire
e impedire operazioni di riciclaggio o finanziamento
del terrorismo
Valutazione e gestione del
rischio
Al comma III del medesimo articolo, inoltre, si predispone una presunzione di proporzionalità delle misure e degli obblighi previsti da parte del legislatore. Mediante tale clausola il legislatore rende più snello l'operato degli operatori coinvolti e, soprattutto, sottrae al sindacato di merito del giudice la scelta dei
23 Art. 3, D.Lgs. 231/2007.
mezzi repressivi a disposizione dei soggetti coinvolti nella normativa, rendendo così più stabile e certa l'azione repressiva.
3.3.2.2. Unità di informazione finanziaria.
Al fianco dei prestatori di servizi la normativa pone una specifica autorità amministrativa (la cui introduzione è dovuta alla direttiva 2015/849/CE) denominata Unità di informazione finanziaria (UIF). Essa assolve diversi compiti, come, ad esempio, la ricezione delle segnalazioni di operazioni sospette o l’emanazione di istruzioni relative alle segnalazioni stesse.
• Analizza i flussi finanziari al fine di individuare e prevenire fenomeni di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo;
•
•
Riceve le segnalazioni di operazioni sospette di cui all'articolo 41 e ne effettua l'analisi finanziaria;
Acquisisce ulteriori dati e informazioni, finalizzati allo svolgimento delle proprie funzioni
istituzionali, presso i soggetti tenuti alle segnalazioni di operazioni sospette di cui all'articolo 41;
•
•
Riceve le comunicazioni dei dati aggregati di cui all'articolo 40;
Si avvale dei dati contenuti nell'anagrafe dei conti e dei depositi di cui all'articolo 20, comma 4,
della legge 30 dicembre 1991, n. 413, e nell'anagrafe tributaria di cui all'articolo 37 del decreto- legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;
• In materia di segnalazione di operazioni sospette, emana istruzioni da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana sui dati e le informazioni che devono essere contenuti nelle segnalazioni di cui all'articolo 41.
Grazie a tali attività, la UIF è in grado di elaborare modelli e schemi rappresentativi di comportamenti anomali, analizza e studia comportamenti anomali, richiedere la sospensione di operazioni anomale o sospette in collaborazione con il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, la DIA (Direzione investigativa antimafia) oppure l'autorità giudiziaria24.
24 Art. 6, comma 7, X.Xxx. 231/2007.
3.3.2.3. Destinatari della normativa.
La platea dei destinatari delle norme in esame è molto vasta, ed è desumibile dall’analisi della disciplina del decreto antiriciclaggio25.
• Banche
• Poste italiane S.p.A.
• Imprese assicurative
• Agenti di cambio
• Istituti di moneta elettronica
• Istituti di pagamento
• Società di gestione accentrata di strumenti finanziari
• Società di gestione di mercati regolamentati di strumenti finanziari
• Soggetti che gestiscono strutture per la negoziazione di strumenti finanziari e di fondi interbancari;
• Società di gestione dei servizi di liquidazione delle operazioni su strumenti finanziari
• Cassa depositi e prestiti
• Società fiduciarie
• Soggetti che esercitano a livello professionale l’attività di cambiavalute
• Promotori finanziari
• Intermediari assicurativi
• Particolari categorie di liberi professionisti, come avvocati, notai, consulenti del lavoro e commercialisti regolarmente iscritti ai rispettivi albi professionali.
Il contenuto effettivo degli obblighi di controllo è molto variegato e sottoposto ad una regolamentazione estremamente puntuale.
Il decreto legislativo, infatti, individua in maniera precisa tutte le situazioni in cui l'esercizio di tali adempimenti risulta obbligatorio e inderogabile, con il riferimento ai casi in cui26:
• Vi sia l'instaurazione di un rapporto continuativo;
• Si eseguano operazioni occasionali disposte dai clienti che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una operazione unica o con più operazioni che appaiono tra di loro collegate per realizzare un'operazione frazionata;
• Vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile;
• Sussistano dubbi sulla veridicità o sull'adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell'identificazione di un cliente.
25 Artt. 10, 11, 12 e 13, D.Lgs 231/2007.
26 Art. 15, D.Lgs. 231/2007.
Tali obblighi devono essere osservati anche quando i prestatori agiscano da semplici intermediari.
Gli obblighi di adeguata verifica della clientela sono osservati altresì nei casi in cui le banche, gli istituti di moneta elettronica, gli istituti di pagamento e le Poste Italiane S.p.A. agiscano da tramite o siano comunque parte nel trasferimento di denaro contante o titoli al portatore, in euro o valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, di importo complessivamente pari o superiore a 15.000 euro.
La sussistenza di un interesse diretto all'operazione è, perciò, del tutto irrilevante ai fini dell'applicazione della normativa. Nel concreto, tuttavia, i soggetti destinatari della norma sono chiamati a comportarsi secondo lo schema che segue27:
Identificare il cliente sulla base
di fonti affidabili e indipendenti
Identificare l’eventuale titolare
effettivo e verificarne l’identità
Soggetti destinatari
devono
Ottenere informazioni sulla
natura del rapporto in essere
Ottenere informazioni sullo
scopo del rapporto in essere
Svolgere un controllo costante
nel corso del rapporto
L’identificazione e la verifica dei dati di cliente e eventuale titolare effettivo deve avvenire prima dell'instaurazione del rapporto continuativo o, in alternativa, al momento del conferimento dell'incarico. Nel caso in cui, invece, il cliente sia una persona giuridica dovrà essere verificata la sussistenza del potere di rappresentanza28 in capo al soggetto con cui il prestatore sarà chiamato a prestare la propria attività.
L'identificazione impone inoltre:
• l'adozione di misure adeguate e commisurate alla situazione di rischio29 per comprendere a pieno la situazione del cliente stesso.
È però indispensabile tenere a mente che l'utilizzo delle procedure previste dal decreto legislativo non è concepito in maniera statica e fissa, ma dinamica. Ciò significa che le procedure adottate per l'assolvimento di tali obblighi cambieranno a seconda del grado di rischio associato ad ogni cliente,
27 Art. 18, D.Lgs. 321/2007.
28 Art. 19, comma 1, lett. a), X.Xxx. 321/2007.
29 art. 19, comma 1, lett. b), D.Lgs. 231/2007.
ponendo quindi come unico parametro per l'irrigidimento o meno di tali controlli proprio il fattore di
rischio che deve essere fatto oggetto di attente valutazioni da parte del soggetto30.
Tuttavia, per rendere più agevole l'identificazione del grado di rischio associato, la legge fornisce specifici parametri e requisiti in base ai quali è possibile orientare le proprie scelte, come:
La sua natura giuridica
Con riferimento al cliente
L’attività prevalentemente svolta
Il comportamento tenuto durante il rapporto
area geografica di residenza o sede del cliente o della controparte
Tipologia
Modalità di svolgimento
Con riferimento
all’operazione, rapporto continuativo o
prestazione
Frequenza e durata
Ragionevolezza
Area geografica di destinazione
del prodotto
Ammontare
30 Art. 20, D.Lgs. 231/2007.
Nel caso in cui il prestatore di servizi non si riveli in grado di assolvere all'adempimento degli obblighi prescritti dalla legge penderà sulla sua attività l'obbligo di astensione, che risulterà vincolante sia nel caso in cui la prestazione non sia ancora stata effettuata31, sia qualora la prestazione sia già in corso d'opera32.
• Se la prestazione non è ancora stata effettuata: il prestatore sarà obbligato ad astenersi dall'avviare qualsiasi rapporto continuativo o prestazione di carattere professionale e, contestualmente, sarà chiamato a valutare la necessità di inoltrare una segnalazione alla UIF.
• Se la prestazione è in corso d’opera: il prestatore sarà tenuto a restituire gli importi eventualmente versati per l'esecuzione della prestazione al cliente mediante bonifico, motivando tale azione con la causale che indichi esplicitamente l'impossibilità di adempiere agli obblighi prescritti dalla legge. Qualora invece l'operazione non sia rifiutabile o sottoponibile ad interruzioni per prescrizioni legislative, il prestatore sarà obbligato a procedere ad adeguata segnalazione alla UIF.
Per quanto riguarda gli obblighi di identificazione, si riporta un interessante pronuncia penale della Corte di Cassazione. Nel caso specifico, si contesta il mancato rispetto degli obblighi di adeguata verifica della clientela in relazione all’istaurazione di un rapporto continuativo.
Cass. Pen., sez. IV., n. 46415/2015 – Violazione obbligo di identificazione
Tra gli obblighi previsti l'art. 18, rubricato obblighi di adeguata verifica individua tutti quegli obblighi che concernono l'identificazione del cliente e del titolare effettivo della prestazione (per tale dovendosi intendere la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o controllano il cliente persona giuridica, nonchè la persona fisica per conto della quale è realizzata un'operazione o un'attività). Tale obbligo si estende, inoltre, alla verifica dello scopo e della natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale, controllo che deve essere costantemente compiuto per tutta la durata del rapporto.
31 Art. 23, D.Lgs. 231/2007.
32 Art. 23, D.Lgs. 231/2007.
Cass. Pen., sez. IV., n. 46415/2015 – Violazione obbligo di identificazione
L'art. 23, contempla un obbligo di astensione: qualora non sia possibile adempiere gli obblighi di verifica suddetti, è fatto divieto di instaurare il rapporto continuativo o la prestazione professionale con il cliente.
Ai sensi dell'art. 36 vi sono poi obblighi di registrazione e conservazione, con riferimento ai documenti ed alle informazioni acquisite per assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela. L'obbligo di conservazione impone di conservare per 10 anni alcuni documenti relativi all'adeguata verifica e le scritture e le registrazioni relative alle prestazioni professionali. L'obbligo di registrazione, cui è comunque collegato un obbligo di conservazione decennale, riguarda una serie di dati relativi al cliente, alla prestazione, ai mezzi di pagamento, e deve essere adempiuto entro 30 giorni dal compimento della operazione o dall'accettazione dell'incarico; per adempiere alle modalità di registrazione i soggetti obbligati possono avvalersi di un archivio informatico o più semplicemente, del registro della clientela.
Cass. Pen., sez. IV., n. 46415/2015 – Violazione obbligo di identificazione
Il D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 1, dispone che - salvo che il fatto non costituisca un più grave reato - i professionisti (come anche tutti gli altri soggetti in capo ai quali grava l'obbligo di identificazione del cliente) sono puniti con la pena pecuniaria della multa da 2.600 a 13.000 Euro quando contravvengono alle disposizioni relative agli obblighi di identificazione contenuti nel Titolo II, Capo I. [...]
Xxxxxx, pare indubbio che per il ruolo e l'attività svolta C. G. e P.S. rientrino per esplicita disposizione di legge tra i soggetti destinatari della normativa antiriciclaggio. Il X.Xxx. n. 51 del 2007, art. 11, comma 1, richiamato dall'art. 15 contestato, inserisce infatti Poste italiane S.p.A. tra gli intermediari finanziari cui la normativa, tra gli altri, è rivolta. E nemmeno paiono esservi dubbi che, ai fini dell'integrazione del reato de quo, in punto di elemento soggettivo, sia sufficiente il dolo generico, che consiste nella mera coscienza e volontà di contravvenire alle prescrizioni in materia di verifica della clientela.
Tale pronuncia si colloca in una posizione di particolare rilevanza, a causa del suo carattere esplicativo e della portata innovativa del precetto di diritto che in essa viene stabilito. Infatti, dapprima la Suprema Corte si premura di spiegare (seppur in maniera alquanto sintetica) gli obblighi e le prescrizioni contenute nel d. lgs 231/2007, in particolare facendo riferimento alle disposizioni ex artt. 18, 23 e 36 (obblighi di identificazione del cliente, di astensione dallo svolgimento delle procedure di identificazione stesse e, infine, di registrazione delle informazioni recepite).
La Suprema Corte prosegue analizzando la rilevanza e le valutazioni compiute dai giudici di merito riguardo all’elemento soggettivo, ovvero all’esistenza nel caso di specie del dolo generico (necessario per giudicare sulla colpevolezza degli imputati.
Cass. Pen., sez. IV., n. 46415/2015 – Violazione obbligo di identificazione
6. La Corte territoriale, perviene, tuttavia, in relazione alle imputate C. e P., all'esclusione del dolo sul presupposto che "manca la prova certa in ordine all'elemento soggettivo".
Ciò in quanto, si legge nella sentenza impugnata, "le due imputate conoscevano la I. come professionista accreditata nella zona e si sono fidate della stessa per la istruttoria delle pratiche concernenti i finanziamenti".
"E' indubbia la irregolarità della loro condotta", aggiungono i giudici del gravame del merito "atteso, che incombeva su di loro l'obbligo della esatta e personale identificazione dei soggetti richiedenti il finanziamento e che avevano poi ottenuto le somme di danaro (...) tuttavia, nel caso di specie le due funzionane addette hanno confidato sulla conoscenza e sulla credibilità di cui godeva la I., che si presentava con tutta la documentazione necessaria per la erogazione del prestito, avendo a disposizione i documenti identificativi dei propri clienti".
"Si era creata una situazione di affidabilità da parte della I. presso altri soggetti di cui la donna ebbe ad approfittare - concludono i giudici fiorentini - e neppure può ipotizzarsi un accordo delittuoso tra l'imputata principale e le altre due appellanti, come peraltro escluso anche dalle dichiarazioni della I., di talchè, di fronte ad un quadro probatorio connotato dalla incertezza circa la volontarietà delle condotte poste in essere dalla P. e dalla C., le due imputate devono essere assolte perchè il fatto non costituisce reato".
Ebbene, appare di tutta evidenza che una motivazione siffatta è illogica e contraddittoria.
Essendo riconosciuta l’irregolarità della condotta, la Corte di Cassazione ritiene illogica e contraddittoria la motivazione addotta dal giudice di merito con riguardo alla insussistenza del dolo in capo agli imputati.
Per motivare le sue valutazione, la Corte continua come segue.
Cass. Pen., sez. IV., n. 46415/2015 – Violazione obbligo di identificazione
Avuto riguardo al dolo generico richiesto dal reato in contestazione la Corte territoriale motiva, infatti, circa l'esistenza dello stesso laddove afferma a proposito della C. e della P. che "è indubbia la irregolarità della loro condotta (...) atteso, che incombeva su di loro l'obbligo della esatta e personale identificazione dei soggetti richiedenti il finanziamento e che avevano poi ottenuto le somme di danaro".
I giudici del gravame del merito, in altri termini, non mettono in dubbio che la P. e la C. fossero ben consapevoli che il loro dovere di ufficio era quello di identificare, ai sensi del D.Lgs. n. 55 del 2007, art. 18, il titolare effettivo della prestazione. E, evidentemente, che lo hanno disatteso.
Quella che viene definita "irregolarità" è l'"in sè" della normativa antiriciclaggio, che prescrive a soggetti che si trovino ad essere intermediari di danaro, obblighi particolarmente rigorosi in relazione all'identificazione dei soggetti che partecipino a transazioni come quelle poste in essere dalla I..
La normativa ha il precipuo scopo di rendere identificabili i soggetti che muovano capitali e, al tempo stesso, nasce anche per impedire, creando un ostacolo da parte di chi riceve il danaro, comportamenti fraudolenti in cui si spenda il nome altrui come quelli posti in essere dall'imputata principale di questo processo.
Nella del testo della pronuncia, i giudici di legittimità danno un’interpretazione abbastanza letterale e rigida dell’obbligo di identificazione gravante in capo ai soggetti destinatari della norma. Infatti, nonostante il fatto che il soggetto autore dell’operazione sospetta fosse ben conosciuto da parte delle impiegate delle Poste, nulla rendeva plausibile l’applicazione dell’astensione dallo svolgimento delle procedure di identificazione sulla base di una semplice conoscenza personale o, tantomeno, di un semplice rapporto di fiducia pregresso. Di conseguenza, alla luce di tali valutazioni, le impiegate sono considerate responsabili di una condotta irregolare, in aperta violazione della normativa antiriciclaggio, sostenuta dall’elemento soggettivo del dolo generico: infatti, a causa della conoscenza pregressa del soggetto autore della condotta di riciclaggio, le impiegate hanno volontariamente omesso di dare seguito alle procedure prescritte dalla legge, contravvenendo agli obblighi da essa imposti.
Nella pronuncia che segue, si assiste ad una condanna per omessa raccolta e fornitura di informazioni ai soggetti incaricati dalla legge degli intermediari finanziari sammarinesi che, pur agendo per conto di terzi (i propri clienti), non hanno adempiuto agli obblighi di raccolta di informazioni per la lotta al riciclaggio.
Cass. Pen., sez. II, n. 18141/2015 – Violazione obbligo di identificazione
I ricorrenti sono chiamati a rispondere del reato previsto dal D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 55, comma 2, per avere omesso di indicare, [...], le generalità del soggetto per conto del quale effettuavano operazioni in Italia a seguito di richiesta dei predetti soggetti finanziari destinatari degli obblighi di adeguata verifica della clientela. L'art. 21 del decreto cit. prevede infatti che i clienti devono fornire, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni necessarie e aggiornate per consentire ai soggetti destinatari del decreto di adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela. Ai fini dell'identificazione del titolare effettivo, i clienti devono fornire per iscritto, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni necessarie e aggiornate delle quali siano a conoscenza. E' evidente che nel caso di specie sono contestate omissioni relative ad operazioni effettuate in Italia. Si tratta di un reato omissivo istantaneo che si consuma nel luogo in cui la comunicazione si sarebbe dovuta fare e quindi nel caso in esame nel territorio italiano.
A tal proposito è interessante sottolineare il carattere di reato omissivo istantaneo che deriva dall’art. 55, comma II, d. lgs. 231/2007. Infatti, secondo tale lettura, la consumazione e il perfezionamento della condotta illecita da parte dei soggetti autori del comportamenti delittuoso si manifesteranno già a partire dal momento esatto in cui il soggetto obbligato a fornire le dovute informazioni non abbia assolto a tale obbligo, anche in tal caso indipendentemente dall’esito dell’operazione contestata. Inoltre, è necessario sottolineare come la responsabilità per la condotta incriminata non sussista solo nel caso in cui le informazioni non vengano fornite direttamente da parte del beneficiario economico dell’operazione, ma anche per coloro che agiscano da semplici intermediari a causa di uno specifico rapporto professionale o lavorativo.
3.3.2.4. Controlli semplificati e controlli rafforzati.
Come detto, gli obblighi posti in capo ai soggetti destinatari della norma sono elastici nelle loro modalità di attuazione. Un'ulteriore dimostrazione di ciò si riscontra nelle disposizioni riguardanti i controlli semplificati e rafforzati.
Il prestatore avrà l'obbligo di predisporre controlli della clientela in via semplificata33 facendo riferimento a delle specifiche casistiche caratterizzate dalla sussistenza di particolari profili soggettivi, come:
• Poste italiane S.p.A.;
• Banche
• Imprese di assicurazione
• Gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento
• gli istituti di pagamento;
• le SIM, le SGR e le SICAV
• le imprese di assicurazione che operano in Italia nei rami di cui all'articolo 2, comma 1, del CAP;
• gli agenti di cambio;
• le società che svolgono il servizio di riscossione dei tributi;
• gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107 del TUB;]
• gli intermediari finanziari iscritti nell'albo previsto dall'articolo 106 del TUB (3);
• le società fiduciarie di cui all' articolo 199, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;
• Le succursali insediate in Italia dei soggetti indicati alle lettere precedenti aventi sede legale in uno Stato estero
• Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.
• i soggetti disciplinati dagli articoli 111 e 112 del TUB (esercenti microcredito e altri soggetti operanti nell'attività di concessione di finanziamenti)
• un ente creditizio o finanziario comunitario soggetto alla direttiva;
• un ente creditizio o finanziario situato in uno Stato extracomunitario, che imponga obblighi equivalenti a quelli previsti dalla direttiva e preveda il controllo del rispetto di tali obblighi.
• una società o un altro organismo quotato i cui strumenti finanziari sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato ai sensi della direttiva 2004/39/CE in uno o più Stati membri, ovvero una società o un altro organismo quotato di Stato estero soggetto ad obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitari
33 Art. 25, D.Lgs. 231/2007.
Non si richiede in nessun modo l'adempimento degli obblighi precedentemente previsti qualora il cliente sia identificato con un ufficio della Pubblica Amministrazione o un organismo o istituzione facente parte dell'UE in base ai Trattati34.
Inoltre, i motivi di esclusione dell'obbligo di applicazione della normativa in esame possono derivare anche da profili oggettivi legati alla natura della prestazione, come:
• Contratti di assicurazione-vita, il cui premio annuale non ecceda i 1.000 euro o il cui premio unico sia di importo non superiore a 2.500 euro;
• Forme pensionistiche complementari disciplinate dal decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, a condizione che esse non prevedano clausole di riscatto diverse da quelle di cui all'articolo 14 del medesimo decreto e che non possano servire da garanzia per un prestito al di fuori delle ipotesi previste dalla normativa vigente;
• Regimi di pensione obbligatoria e complementare o sistemi simili che versino prestazioni di pensione, per i quali i contributi siano versati tramite deduzione dal reddito e le cui regole non permettano ai beneficiari, se non dopo il decesso del titolare, di trasferire i propri diritti;
• Moneta elettronica quale definita nell' articolo 1, comma 2, lettera h-ter), del TUB, nel caso in cui, se il dispositivo non e' ricaricabile, l'importo massimo memorizzato sul dispositivo non ecceda 250 euro, oppure nel caso in cui, se il dispositivo e' ricaricabile, sia imposto un limite di 2.500 euro sull'importo totale trattato in un anno civile, fatta eccezione per i casi in cui un importo pari o superiore a 1.000 euro sia rimborsato al detentore nello stesso anno civile ai sensi dell' articolo 11 della direttiva 2009/110/CE ovvero sia effettuata una transazione superiore a 1.000 euro, ai sensi dell' articolo 3, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1781/2006 . Per quanto concerne le operazioni di pagamento nazionali il limite di 250 euro di cui alla presente lettera e' aumentato a 500 euro (4);
• Qualunque altro prodotto o transazione caratterizzato da uno basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo che soddisfi i criteri tecnici stabiliti dalla Commissione europea a norma dell'articolo 40, paragrafo 1, lettera b), della direttiva, se autorizzato dal Ministro dell'economia e delle finanze con le modalità di cui all'articolo 26.
Parallelamente ai casi di indebolimento dei controlli obbligatori, vi sono dei casi in cui la legge prescrive la messa in opera di controlli rafforzati35, a causa dell'elevato fattore di rischio connaturato alle casistiche dedotte nella norma. Nel caso in cui il cliente non sia fisicamente presente al momento dell'inizio della prestazione o del rapporto continuativo è richiesto di accertare l'identità del cliente mediante documenti e informazioni ausiliarie, adottare misure supplementari per la verifica o la certificazione dei documenti forniti e assicurarsi che il primo pagamento relativo all'operazione sia effettuato tramite un conto intestato al cliente presso un ente creditizio.
34 Art. 25, D.Lgs. 231/2007.
35 Art. 28, D.Lgs. 231/2007.
Qualora invece vi sia corrispondenza con gli enti corrispondenti di Stati extracomunitari, i soggetti obbligati dovranno:
• raccogliere sull'ente creditizio corrispondente informazioni sufficienti per comprendere pienamente la natura delle sue attività e per determinare, sulla base di pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, la sua reputazione e la qualità della vigilanza cui è soggetto;
• valutare la qualità dei controlli in materia di contrasto al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo cui l'ente corrispondente è soggetto;
• ottenere l'autorizzazione del Direttore generale, di suo incaricato ovvero di un soggetto che svolge una funzione equivalente prima di aprire nuovi conti di corrispondenza;
•
•
definire in forma scritta i termini dell'accordo con l'ente corrispondente e i rispettivi obblighi;
assicurarsi che l'ente di credito corrispondente abbia verificato l'identità dei clienti che hanno un
accesso diretto ai conti di passaggio, che abbia costantemente assolto gli obblighi di adeguata verifica della clientela e che, su richiesta, possa fornire all'intermediario finanziario controparte i dati del cliente e del titolare effettivo ottenuti a seguito dell'assolvimento di tali obblighi.
3.3.2.5. Obblighi di registrazione.
In seguito all'adempimento dell'obbligo di identificazione della clientela dovrà essere adempiuto anche quello di registrazione della stessa36. Esso si giustifica con la necessità di rendere più immediata e certa la lotta al fenomeno del riciclaggio rendendo possibile la creazione di una sorta di database da parte delle autorità competenti con cui effettuare analisi e confronti su operazioni future che presentino elevati fattori di rischio (art. 36, comma I).
L'oggetto di siffatto obbligo riguarda:
• Con riferimento ai rapporti continuativi ed alla prestazione professionale: la data di instaurazione, i dati identificativi del cliente e del titolare effettivo, unitamente alle generalità dei delegati a operare per conto del titolare del rapporto e il codice del rapporto ove previsto;
• Con riferimento a tutte le operazioni di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che si tratti di un'operazione unica o di piu' operazioni che appaiono tra di loro collegate per realizzare un'operazione frazionata: la data, la causale, l'importo, la tipologia dell'operazione, i mezzi di pagamento e i dati identificativi del soggetto che effettua l'operazione e del soggetto per conto del quale eventualmente opera.
• Gli intermediari di cui all'articolo 11, comma 1, registrano con le modalita' indicate nel presente capo e conservano per un periodo di dieci anni anche le operazioni di importo inferiore a 15.000 euro in relazione alle quali gli agenti di cui all'articolo 11, comma 3, lettera d), sono tenuti ad osservare gli obblighi di adeguata verifica della clientela ai sensi dell'articolo 15, comma 4.
Tale obbligo di registrazione deve trovare attuazione in un termine certo, che è identificato in 30 giorni dal compimento dell'operazione o, più in generale, nel più breve tempo possibile.
Inoltre, per quanto concerne i soggetti rientranti nella categoria degli intermediari finanziari ai sensi dell'art. 11, comma I (eccezion fatta per agenti di cambio, società di riscossione dei tributi e le società fiduciarie alla legge 23 novembre 1939, n. 1966 ad eccezione di quelle di cui all'articolo 199, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58) la legge prescrive l'obbligo di trasmissione di dati aggregati a cadenza mensile nei confronti delle autorità deputate alla supervisione dei traffici di capitali, ai sensi dell'art. 40 del presente decreto.
36 Art. 36, D.Lgs. 231/2007
3.3.2.6. Segnalazione all’UIF in caso di operazioni sospette.
Nel caso in cui il prestatore di servizi si imbatta in un'operazione inquinata da intenti di riciclaggio o sospetta per tali motivi sarà obbligato a segnalare alla UIF l'operazione incriminata.
Tale obbligo scatterà in tutti i casi in cui il prestatore abbia anche il sospetto o motivi ragionevoli per ritenere che siano in corso o siano state compiute operazioni illecite. Tale caratteristica è desunta dall'entità, la natura e qualsiasi altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate37. Fra le tante opzioni possibili, inoltre, il ricorso eccessivo all'uso del contante viene indicato dal legislatore come segno idoneo a generare sospetto38. Inoltre:
• La segnalazione va effettuata senza ritardo
• I prestatori saranno tenuti ad astenersi dal compimento dell'operazione fino a quando la segnalazione non verrà inoltrata.
Ogni categoria di soggetti destinatari degli obblighi fissati in sede di d. lgs 231/2007 è chiamata ad assolvere l'adempimento di tali obblighi mediante modalità peculiari sancite di volta in volta dalla legge.
Nel caso degli appartenenti a banche, assicurazioni e enti di credito si deve far riferimento a quanto definito nell'art. 42. Ma, oltre al rispetto delle modalità prescritte, la legge sancisce in capo agli obbligati anche
• L'obbligo di riservatezza (art. 45). Tale obbligo implica l'adozione, da parte degli enti, di adeguate misure volte a garantire l'anonimato del dipendente che effettui la segnalazione, sancendo una responsabilità diretta per la tutela e salvaguardia dei dati direttamente in capo al titolare dell'attività o al legale rappresentante (art. 45, comma I). Ciò non impedisce che lo stesso dipendente possa essere contattato ulteriormente da UIF, Guardia di Finanza o DIA per la richiesta di informazioni supplementari (art. 45, comma 3).
• L'obbligo di evitare comunicazioni sulla segnalazione effettuata, se non nei confronti di chiunque ne sia già a conoscenza (art. 46).
37 Art. 41, D.Lgs. 231/2007.
38 Il contenuto delle segnalazioni è regolato approfonditamente dalla normativa dall'art. 6, comma VI, lett. E-bis.
3.3.2.7. Limitazioni all'uso del contante
La limitazione nell'uso del contante rappresenta senza dubbio una delle misure più conosciute e praticate nella lotta al riciclaggio. Essa si giustifica nell'esigenza di tracciare i capitali durante la loro intera esistenza, in ogni fase della loro circolazione fin dalla nascita. Ciò infatti permette di individuare immediatamente se la somma è contaminata o meno da un eventuale illecito.
Il decreto antiriciclaggio vieta il trasferimento di denaro contante o libretti di deposito bancari o postali con un valore superiore a 3000€. Tale divieto non è aggirabile mediante l'uso di pagamenti frazionati in maniera artificiosa39.
L'unico modo per effettuare trasferimenti di valori eccedenti tali soglia è quello di affidarsi a banche, Poste italiane, istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento. Il trasferimento di contanti di cui al comma I deve, inoltre, essere oggetto di specifica accettazione da parte degli stessi intermediari40. Solo l'accettazione da parte degli intermediari produce l'effetto di estinzione dell'obbligazione debitoria in capo al debitore. Inoltre l'articolo in questione prevede anche specifiche disposizioni per l'emissione di assegni bancari e postali41.
Nel caso di libretti di deposito bancari o postali il saldo non può essere pari o superiore a 2500€42 e, in caso di trasferimento di questi ultimi, dovrà darsi adeguata comunicazione scritta delle generalità del cessionario, la sua accettazione e la data del trasferimento43. Viene invece vietata in maniera tassativa l'apertura di conti e libretti anonimi44.
L'obbligo di comunicazione non si esaurisce con la segnalazione inoltrata alla UIF, ma sarà integrato anche dall'obbligo di comunicazione al Ministero dell'Economia e delle Finanze45 nel caso in cui vengano a conoscenza di violazioni di quanto sancito all'interno dell'art. 49, con l'obbligo che ricade direttamente in capo alla banca o alle poste qualora l'oggetto della violazione sia la disciplina dei libretti di deposito46.
39 Art. 49, comma 1, D.Lgs. 231/2007.
40 Art. 49 comma 2, D.Lgs. 231/2007.
41 Art. 49, commi 4-10, D.Lgs. 231/2007.
42 Art. 49, comma 12, D.Lgs. 231/2007.
43 Art. 49, comma 14, D.Lgs. 231/2007.
44 Art. 50, D.Lgs. 231/2007.
45 Art. 51, D.Lgs. 231/2007.
46 Art. 51, comma 2, D.Lgs. 231/2007.
3.3.2.8. Sanzioni.
Per quanto concerne le sanzioni derivanti dalla violazione degli obblighi fino ad ora descritti si deve far riferimento all'art. 55 del d. lgs 231/2007, che determina come segue le sanzioni penali per le violazioni corrisposte:
Art. 55, commi 1-8, D.Lgs. 231/2007
1. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque contravviene alle disposizioni contenute nel Titolo II, Capo I, concernenti l'obbligo di identificazione, è punito con la multa da 2.600 a
13.000 euro.
2. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, l'esecutore dell'operazione che omette di indicare le generalità del soggetto per conto del quale eventualmente esegue l'operazione o le indica false è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa da 500 a 5.000 euro.
3. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, l'esecutore dell'operazione che non fornisce informazioni sullo scopo e sulla natura prevista dal rapporto continuativo o dalla prestazione professionale o le fornisce false è punito con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l'ammenda da
5.000 a 50.000 euro.
4. Chi, essendovi tenuto, omette di effettuare la registrazione di cui all'articolo 36, ovvero la effettua in modo tardivo o incompleto è punito con la multa da 2.600 a 13.000 euro.
5. Chi, essendovi tenuto, omette di effettuare la comunicazione di cui all'articolo 52, comma 2, è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa da 100 a 1.000 euro.
6. Qualora gli obblighi di identificazione e registrazione siano assolti avvalendosi di mezzi fraudolenti, idonei ad ostacolare l'individuazione del soggetto che ha effettuato l'operazione, la sanzione di cui ai commi 1, 2 e 4 è raddoppiata.
7. Qualora i soggetti di cui all'articolo 11, commi 1, lettera h), e 3, lettere c) e d), omettano di eseguire la comunicazione prevista dall'articolo 36, comma 4, o la eseguano tardivamente o in maniera incompleta, si applica la sanzione di cui al comma 4.
8. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chi, essendovi tenuto, viola i divieti di comunicazione di cui agli articoli 46, comma 1, e 48, comma 4, è punito con l'arresto da sei mesi a un anno o con l'ammenda da 5.000 a 50.000 euro.
Art. 55, commi 9-9 ter, X.Xxx. 231/2007
9. Chiunque, al fine di trarne profitto per sè o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 euro. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sè o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonchè ordini di pagamento prodotti con essi.
9-bis. Per le violazioni delle disposizioni di cui all'articolo 131-ter del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonche' per le gravi e reiterate violazioni delle disposizioni di cui ai commi 1 e 4 del presente articolo e' ordinata, nei confronti degli agenti in attivita' finanziaria che prestano servizi di pagamento attraverso il servizio di rimessa di denaro di cui all'del articolo 1, comma 1, lettera n), decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, la confisca degli strumenti che sono serviti a commettere il reato. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per il delitto di cui al comma 9 e' ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonche' del profitto o del prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non e' possibile, la confisca di beni, somme di denaro e altre utilita' di cui il reo ha la disponibilita' per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto.
9-ter. Gli strumenti sequestrati ai fini della confisca di cui al comma 9-bis nel xxxxx xxxxx xxxxxxxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx, sono affidati dall' Autorita' giudiziaria agli organi di polizia che ne facciano richiesta.
Tale disposizione sancisce le sanzioni con effetti penali (come la detenzione e l'arresto) per la violazione degli obblighi più rilevanti (come quello di segnalazione di attività sospette o l'omissione dei controlli sulla clientela), senza tralasciare le sanzioni a carattere pecuniario.
Le violazioni di carattere minore sono invece sanzionate mediante la comminazione di semplici sanzioni pecuniarie, così come sancito dall'art. 57.
La pronuncia che segue, riafferma un orientamento ben consolidato in seno alla Suprema Corte in base a cui la possibilità di integrare una condotta affine alla fattispecie di riciclaggio si deve riscontrare anche nell’indebito utilizzo di carte di credito e mezzi di moneta elettronica (art. 55, comma IX, d. lgs. 321/2007), indipendentemente dal buon esito dell’operazione fraudolenta messa in atto. Ciò poichè, secondo un’interpretazione anche in questo caso abbastanza letterale e rigida della normativa, non sarà rilevante l’esito finale dell’operazione per integrare la condotta illecita, che si configura così come un reato di mera condotta e non di scopo.
Cass. Pen., sez. Fer., n. 45946/2011 - Indebito utilizzo di carte di credito e moneta elettronica
Con riferimento al motivo sub d) questa Corte ha già individuato un principio ermeneutico, datato e ripetuto, al quale si ritiene di doversi rifare che, secondo cui l'indebita utilizzazione, a fini di profitto, della carta di credito o del documento analogo, da parte di chi non ne sia titolare, integra il reato di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9, indipendentemente dal conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine (Sentenza N. 44362 del 0000 Xx. 000000; sentenza N. 42888 del 0000 Xx. 000000; sentenza N. 22902 del 2001 Rv. 218873) e comunque, alla luce dell'insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. Un. 28.3.2001, n. 22902).
3.4. Altre fattispecie penalmente rilevanti.
La responsabilità penale che può ricadere in capo all'operatore del settore creditizio non si limita alla sola normativa volta al contrasto del fenomeno di riciclaggio, ma anche ad altre fattispecie previste nel nostro ordinamento come l'usura e l'appropriazione indebita.
3.4.1. L’usura.
L'usura è regolamentata come segue dal nostro codice penale.
Art. 644 c.p. - Usura
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000.
Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.
La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.
Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.
Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà:
1) se il colpevole ha agito nell'esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare;
2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari;
3) se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;
4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale;
5) se il reato è commesso da una persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l'esecuzione.
Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri
Oltre alla descrizione della condotta, l'articolo in esame fornisce anche diversi spunti di riflessione, soprattutto in merito all'operato dei dipendenti e degli operatori del settore creditizio. A tal riguardo è necessario porre l'accento su due fattispecie fondamentali:
• La punibilità di chi intermedia per assicurare a un terzo degli interessi usurari
• La circostanza aggravante rappresentata dallo svolgimento di attività bancaria e di intermediazione.
Nel primo caso la disposizione rappresenta il modo con cui è possibile punire anche coloro che si limitino ad intermediare per la predisposizione degli interessi usurari senza che ne ricevano un vantaggio personale o un profitto diretto. Il secondo caso, invece, rappresenta una scelta di politica legislativa e criminale portata avanti dal legislatore per salvaguardare la legalità e la trasparenza che devono sempre dominare lo svolgimento di un'attività tanto sensibile e delicata come quella bancaria.
Sulla base di tali disposizioni si è discusso molto sulla possibilità di ritenere responsabili i direttori di filiale per l'applicazione all'interno dei contratti di mutui di tassi di interesse al di sopra della soglia legalmente consentita.
Tale vicenda ha richiesto l'intervento della giurisprudenza, come nella sentenza che segue.
Cass. Pen., sez. II., n. 12028/2010 – Usura
Con la L. 7 marzo 1996, n. 108, il legislatore ha novellato il reato di usura di cui all'art. 644 c.p., delineando una disciplina in chiave tendenzialmente oggettiva che fa perno su un rapporto di sproporzione fra le prestazioni, predeterminato attraverso una procedura amministrativa.
In linea generale il reato di usura comune si configura per l'oggettivo superamento del tasso-soglia degli interessi, indipendentemente dalla condizione della persona offesa, salvo che non si verifichi comunque un abuso delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria della vittima.
Ove non venga in considerazione l'abuso della situazione di bisogno, l'elemento oggettivo del reato di usura è integrato dall'obiettivo superamento del tasso-soglia degli interessi.
Il superamento del tasso soglia, determinato secondo la procedura amministrativa prevista dalla legge, comporta, infatti, una presunzione legale di usurarietà degli interessi.
Più specificamente il comma 3 dell'art. 644 c.p. prevede che: "la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari.
A norma della L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4: "il limite previsto dall'art. 644 c.p., comma 3 oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante
Nella pronuncia in esame, la Suprema Corte analizza dapprima brevemente i tratti distintivi del reato di usura così come previsto in seguito alle numerose riforme legislative intervenute nel corso degli ultimi anni. In particolare si sancisce l'elemento su cui si fonda la possibilità di ravvisare la condotta illecita, cioè la sproporzione fra interessi praticati e capitale elargito a qualsiasi titolo. Inoltre, la sussistenza dell'usura scatterà ogniqualvolta vi sia il superamento del tasso di interessi sancito in via legale, disponendo così un reato di carattere quasi meramente oggettivo (la cui possibilità di verificarsi è cioè legata principalmente al verificarsi di un fatto oggettivo, e non anche alla volontà del soggetto agente).
Addirittura tale nozione viene avvalorata dalla previsione di una presunzione legale (meccanismo con cui non è necessario provare la sussistenza di una determinata fattispecie poiché essa è desumibile in re ipsa) di sussistenza della condotta illecita.
Cass. Pen., sez. II., n. 12028/2010 – Xxxxx e commissione di massimo scoperto
In sostanza la legge ha previsto una procedura amministrativa volta a rilevare in modo oggettivo il livello medio dei tassi d'interesse praticato dalle banche e dagli altri intermediari finanziari autorizzati, ancorando il disvalore sociale collegato al concetto di usura al superamento di tale livello-soglia, aumentato della metà.
Di conseguenza la norma di cui all'art. 644 c.p. si presenta come una norma penale parzialmente in bianco, in quanto per determinare il contenuto concreto del precetto penale è necessario fare riferimento ai risultati di una complessa procedura amministrativa.
Tale passaggio assume estrema rilevanza, in quanto attraverso la definizione di norma penale parzialmente in bianco (una norma cioè che non risulta completa nella sua compilazione, ma che per essere applicabile deve necessariamente fare riferimento ad un'altra non di carattere penale) si rendono estremamente rilevanti anche ai fini penali tutti quegli atti che, in ottemperanza alle disposizioni di legge sulla determinazione degli interessi, vengono emanati dalle autorità individuate dalla legge (Banca d'Italia) a tal proposito. Ciò finisce ovviamente per ampliare la platea di soggetti su cui può ricadere la responsabilità per il compimento di tale fattispecie. Inoltre, così come stabilito dalla sentenza in esame, rientra all'interno degli interessi il cui ammontare può incidere sul carattere usurario della prestazione anche la commissione di massimo scoperto (CMS), che non potrà così essere considerabile come sciolta da tale responsabilità.
Cass. Pen., sez. II., n. 12028/2010 – Xxxxx e commissione di massimo scoperto
Questo Xxxxxxxx ritiene che il chiaro tenore letterale dell'art. 644 c.p., comma 4 (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito.
Tra essi rientra indubbiamente la Commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all'erogazione del credito, giacchè ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l'onere, a cui l'intermediatario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente.
Ciò comporta che, nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto, ove praticata.
Tale interpretazione risulta avvalorata dalla normativa successivamente intervenuta in materia di contratti bancari.
In un’altra sentenza della Cassazione penale in tema di usura i giudici si occupano dell’efficacia vincolante o meno delle circolari o direttive illegittime della Banca d’Italia.
Cass. Pen., sez. II., n. 46669/2011 – Efficacia provvedimenti illegittimi della Banca d’Italia
Le circolari e le istruzioni della Banca d'Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d'Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell'elemento oggettivo. Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell'ambiente del commercio che non presenta in se particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito. La materia penale è dominata esclusivamente dalla legge e la legittimità si verifica solo mediante il confronto con la norma di legge.
Seppur espressamente previste da parte della legge, le circolari e gli atti di interpretazione emanati dalla banca d'Italia non possono sostituirsi alla legge. Di conseguenza, anche qualora l'istituto di credito determini una prassi rispondente ad un tale atto di carattere erroneo, ciò non riuscirà a rendere idoneo il comportamento e a scusarlo, causando comunque la commissione di un reato, ribadendo così l'applicazione del principio di legalità.
Cass. Pen., sez. II., n. 46669/2011 – Efficacia provvedimenti illegittimi della Banca d’Italia
Rileva questa Corte che i presidenti dei consigli di amministrazione delle banche interessate non possono invocare l'inevitabilità dell'errore sulla legge penale l'art. 5 c.p.) svolgendo attività in uno specifico settore rispetto al quale gli organi di vertice hanno il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente, essendo loro attribuiti, dai relativi statuti, poteri in materia di erogazione del credito, rientranti nell'ambito dei più generali poteri di indirizzo dell'impresa, sussistendo in capo agli stessi una posizione di garanzia essendo gli interessi protetti dalla norma incriminatrice soggetti alla sfera d'azione e di potenziale controllo dei presidenti e legali rappresentanti dei tre istituti di credito. La specifica competenza degli imputati che connota o deve, comunque, connotare gli organi di vertice della banca, consente di individuare negli stessi i garanti primari della corretta osservanza delle disposizioni di legge in tema di usura, indipendentemente dalla suddivisione dei compiti all'interno dell'istituto che non esonera i vertici dall'obbligo di vigilanza e controllo della osservanza delle disposizioni di leggi, segnatamente in tema di superamento del tasso soglia.
Tale passaggio risulta assolutamente focale nella spiegazione dell'iter giurisprudenziale sulla vicenda: infatti, secondo quanto sancito dalla Corte di Cassazione, non sarà possibile esonerare gli organi apicali degli enti creditizi sulla base di una presunta ignoranza dei comportamenti e delle politiche adottate nei vari settori dell'ente. Ciò poiché, a detta della Suprema Corte, essi rivestono ruoli di garanzia per l'osservanza delle disposizioni legislative in tema di usura, non potendo così fare affidamento su alcuna forma di giustificazione dovuta a specifiche ripartizioni di competenze.
Cass. Pen., sez. II., n. 46669/2011 – Efficacia provvedimenti illegittimi della Banca d’Italia
Tuttavia, il mancato controllo e vigilanza su specifiche questioni concernenti l'erogazione del credito, quali la determinazione del tasso di usura, rientrando tra le funzioni specifiche delle banche, sono ricompresi nell'alveo di competenza degli organi di vertice, indipendentemente dal decentramento di tali funzioni a altri organismi sottordinati e interni alla banca, con possibilità di affermare, in caso di omissione di controllo, in quest'ultimo caso, quantomeno la corresponsabilità, sotto il profilo penale di tali organi verticistici, ricadendo tale omissione nella sfera di azione dell'art. 40 c.p., comma 2, secondo cui "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo". E' attribuibile ai presidenti degli istituti bancari e dei relativi consigli di amministrazione una c.d. "posizione di garanzia", in quanto la formale rappresentanza dell'istituto bancario, se non accompagnata da poteri di decisione o gestione operativa, appare totalmente priva di significato nell'ottica della tutela di interessi che ricevono protezione penale.
Cass. Pen., sez. II., n. 46669/2011 – Efficacia provvedimenti illegittimi della Banca d’Italia
Si deve quindi affermare che i presidenti delle banche, quali persone fisiche, siano garanti agli effetti penali, cioè tenuti a rendere operativa una posizione di garanzia, che, in ultima analisi, fa capo all'ente, centro d'imputazione dell'attività di erogazione del credito nell'ambito della quale ben può essere ravvisata la violazione del precetto penale anche in capo ai predetti organi. Tale rilievo è valido anche nel caso in cui non risultino attribuite, dalla legge o dagli statuti dei singoli enti, specifiche attribuzioni ad altro organo, senza possibilità di interferenze da parte di altri organismi, ancorchè posti in posizione apicale rispetto all'organo subordinato competente per determinate materie, in un'ottica monistica, in cui anche la gestione operativa dell'istituto spetta al consiglio di amministrazione. Anche nel caso in cui, in base a norme statutarie, l'azienda sia stata suddivisa in distinti settori e servizi, così come avviene solitamente nelle banche di notevoli dimensioni con l'istituzione di una direzione generale a cui vengono affidati specifici compiti, e a cui siano stati preposti soggetti qualificati idonei, con poteri e autonomia per la gestione di determinati affari, può ravvisarsi una responsabilità penale nei confronti del presidente del consiglio di amministrazione o dei suoi componenti, in virtù dei poteri di indirizzo e coordinamento e, più in generale "di garanzia", a tutela dell'osservanza delle norme di legge.
Tale pronuncia assume una rilevanza fondamentale in quanto, contrariamente a quanto accade di solito nel diritto penale, statuisce la sussistenza di una responsabilità per colpa per una fattispecie che di per sé non la prevede in capo ai soggetti che ricoprono posizioni apicali nell'azienda, in ragione di una loro specifica posizione di garanzia prevista dalla legge.
3.4.2. Appropriazione indebita.
Art. 646 c.p. – Appropriazione indebita
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1.032 euro.
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.
Si procede d'ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell'articolo 61.
Il reato di appropriazione indebita si basa sulla predisposizione di una condotta di appropriazione di una cosa mobile altrui. Non si riscontrerà, di conseguenza, la condotta illecita in esame qualora l'oggetto dell'appropriazione sia un bene immobile. Altri elementi fondamentali per la comprensione della fattispecie in esame sono il carattere di reato comune (dovuto al fatto che tale illecito sia contestabile nei confronti di chiunque, a patto che abbia compiuto la condotta incriminata e indipendentemente dalla qualifica del soggetto agente) e l'elemento soggettivo di dolo specifico richiesto. Infatti, affinchè la condotta in esame sia penalmente rilevante non basterà dimostrare la sussistenza della mera azione di appropriazione, ma sarà necessario provare anche la sussistenza di un fine di arricchimento o generazione di un profitto per sé o per un terzo. Di conseguenza, qualora si dimostri che il fine del soggetto autore della condotta incriminata non fosse quello di arricchirsi o percepire tale profitto, il reato non sarà contestabile, non bastando la mera volontà appropriativa.
Le applicazioni che si possono riscontrare di tale fattispecie di reato da parte della giurisprudenza sono molteplici, dovute alla poliedricità della sua condotta. Per quanto riguarda alcuni comportamenti tipici del settore bancario e finanziario, fra tutti spicca la concessione di credito nei confronti di un soggetto che non dia adeguate garanzie. È il caso descritto nella sentenza di seguito.
Cass. Pen., sez. II, n. 4983/2015 – Appropriazione indebita
Ne consegue che qualora il direttore di un istituto bancario, in collusione con un cliente ed omettendo i doverosi controlli interni, metta a disposizione dello stesso somme di danaro, accreditando sul di lui conto o pagando direttamente assegni privi di provvista, si deve ritenere consumato il delitto di appropriazione indebita e non quello di truffa, in quanto la qualità di direttore consente all'agente un'ampia e materiale disponibilità delle somme depositate in banca, rispetto alle quali, con l'attribuzione diretta o l'accreditamento al terzo egli si comporta "uti dominus"
Siffatto orientamento si spiega sulla base del ruolo di garanzia riconosciuto nei confronti del direttore bancario che, avendo la disponibilità materiale dei soldi affidati all'istituto da parte dei correntisti, non può disporre dei fondi della banca come se ne fosse il proprietario legittimo, contravvenendo quindi al suo obbligo di "custode" e garante della correttezza delle operazioni. Tale statuizione vale sia per i direttori più apicali, sia per i direttori di filiale, facendo riferimento a un generico ruolo di garanzia.
Cass. Pen., sez. II, n. 4983/2015 – Appropriazione indebita
A nulla rileva, quindi, il fatto evidenziato nell'impugnata sentenza che non risulti provata una "usurpazione" da parte della direttrice della banca dei poteri di competenza degli organi di amministrazione della stessa, ben potendosi realizzare tale fatto nel momento in cui la direttrice stessa, con la propria azione ha comunque consentito l'erogazione a qualsivoglia titolo al cliente che non ne aveva diritto (ed in collusione con lo stesso) di somme di denaro della banca. Come è noto, nell'ambito della distinzione tra il reato di truffa e quello di appropriazione indebita, questa Corte ha avuto già modo di evidenziare che "sussiste il delitto di truffa e non quello di appropriazione indebita quando l'artificio e il raggiro risultino necessari alla appropriazione" (Cass. Sez. 2, sent. n. 35798 del 18/06/2013, dep. 30/08/2013, Rv. 257340), ma non è questa la situazione verificatasi nel caso in esame apparendo corretto ritenere, come evidenziato dal Pubblico Ministero ricorrente che le false fatture de quibus in realtà non servivano a "truffare" la banca quanto solo a coprire le operazioni di finanziamento
Altro spunto di riflessione interessante è anche dato dalla mancanza di necessità di provare l'effettiva usurpazione dei poteri di gestione diretta delle somme a disposizione dell'istituto di credito da parte della direttrice. Infatti, pur giacendo tali competenze nelle mani degli organi di amministrazione della banca, la predisposizione di un'operazione di questo tipo dimostra de facto l'utilizzo delle mansioni a scopi illeciti, senza la necessità di un'apposita investitura formale.
Infine, altro argomento rilevante è la differenza fra truffa e appropriazione indebita che non sempre riesce ad essere ben distinguibile. Nella pronuncia in esame, tuttavia, la Suprema Corte fornisce una spiegazione abbastanza chiara del carattere di necessità degli artifizi e raggiri per la messa in atto di una condotta fraudolenta. Nel caso di specie, invece, la condotta non è caratterizzata da elementi di raggiri, se non negli intenti che non rilevano in tal caso ai fini della classificazione della fattispecie.
Nella sentenza che segue, i giudice Supremo ci permette di identificare il confine tra appropriazione indebita e furto aggravato.
Cass. Pen., sez. II, n. 28786/2015 – Appropriazione indebita
Il R. ed il F., in concorso fra loro e con FE.An., con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, nelle rispettive qualità, il R. di responsabile operativo della filiale (OMISSIS) della banca CARIME S.p.A., il F. ed il FE. di agenti operativi presso la medesima filiale con mansioni di cassieri, rinnovando in assenza del titolare originario libretti di deposito a risparmio nominativi ed al portatore accesi presso la filiale e successivamente procedendo indebitamente ad estinguerli, si appropriavano al fine di procurarsi un ingiusto profitto della somma complessiva di Euro 5.000.
Il fatto descritto nella citazione della sentenza in esame veniva in origine inquadrato dai giudici di merito come furto aggravato (art. 624 c.p. aggravato in base all'art. 61, comma I, n. 11), poiché si riteneva che il bancario che si appropriava delle somme indebitamente venisse in possesso di beni altrui, la cui proprietà rimaneva pur sempre in capo al correntista che disponeva l'operazione. In realtà, dopo un'attenta analisi giurisprudenziale della Corte di Cassazione, la fattispecie corretta per la descrizione della condotta in esame è quella di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) poiché le somme di cui il correntista dispone ricadono nella titolarità della banca, con ciò obbligando di conseguenza i propri dipendenti alla loro custodia e salvaguardia. L'applicazione dell'aggravante ex art. 61 c.p., comma I, n. 11, invece, deriva dall'aver svolto tale attività illecita facendo leva su attribuzioni di competenze tipiche della propria posizione lavorativa e nello svolgimento di mansioni d'ufficio.
Cass. Pen., sez. II, n. 28786/2015 – Appropriazione indebita
In linea con tali affermazioni del tutto condivisibili si colloca, d'altra parte, anche quell'orientamento secondo il quale - a prescindere dalla problematica connessa alla qualificazione soggettiva dell'agente, che qui non rileva - ha ritenuto che il dipendente di Poste Italiane S.p.A. che svolga attività di tipo bancario (cosiddetto "bancoposta") non riveste la qualità di persona incaricata di pubblico servizio; con la conseguenza che l'appropriazione di somme dei risparmiatori commessa con abuso del ruolo integra il reato di appropriazione indebita e non quello di peculato.
Infine, va chiarito anche che, nonostante l'appartenenza a un organo di partecipazione statale, i dipendenti di Poste italiane S.p.A. non rivestono la qualifica di incaricato di pubblico servizio nell'assolvimento dei doveri derivanti dall'attività bancaria svolta da quest'ultima e, come tali, non potranno essere passibili di peculato (art. 314 c.p.), in quanto reato proprio riservato ai soli pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.
4. Tutele del lavoratore in caso di sottoposizione a processo penale nel settore del credito.
Nel caso in cui il lavoratore venga sottoposto a indagini o processo penale, il CCNL prevede delle apposite garanzie a suo favore volte ad evitare comportamenti pregiudizievoli da parte dell'impresa. In particolare, il lavoratore venuto a conoscenza di un'indagine a suo carico o di un giudizio (compreso il ricevimento dell’informazione di garanzia) a suo danno dovrà obbligatoriamente avvertire l'impresa47.
Il CCNL inoltre prevede una serie di regole nei confronti del datore di lavoro.
Il datore di lavoro
Deve
Ai fini del licenziamento, comunicare in via scritta al lavoratore interessato la volontà di rinviare la valutazione dei fatti ad un momento successivo del procedimento penale in corso
Può
Può disporre l’allontanamento del lavoratore per motivi cautelari, dandone al lavoratore comunicazione per iscritto
L’allontanamento non può durare può del tempo necessario e non può mai superare il momento in cui la sentenza del giudice penale diviene definitiva
Tuttavia tale allontanamento non va confuso con il licenziamento. Infatti, per tutto il periodo di allontanamento disposto, il lavoratore colpito da tale misura conserverà il proprio posto di lavoro con il relativo compenso, oltre che non vedersi intaccato il relativo periodo di comporto (dovendosi considerare l'intera durata di tale allontanamento come periodo attivo del lavoratore).
4.1. Tutela per fatti commessi nell’esercizio delle funzioni nel settore del credito.
Le tutele di cui può godere il lavoratore colpito da procedimenti penali non hanno solo un impatto interno all'azienda e alla propria dimensione lavorativa, ma anche esterno48.
L'articolo in esame fissa una serie di tutele a favore del lavoratore sottoposto a processo penale, tutte finalizzate a proteggerlo da eventuali richieste patrimoniali esterne. Infatti, il CCNL stabilisce che, qualora le vicende e i provvedimenti penali riguardino fatti commessi nell’esercizio delle sue funzioni
• Se il lavoratore viene sottoposto a sanzioni pecuniarie giudiziali queste saranno a carico dell'azienda, a patto che le condotte per cui il lavoratore venga condannato non siano state già regolate da regolamenti aziendali disattesi dallo stesso, o che siano in palese conflitto con gli interessi dell'azienda.
• In generale, le eventuali sanzioni pecuniarie e le spese giudiziali, comprese quelle di assistenza legale, sono a carico dell’impresa.
• Il lavoratore può comunque farsi assistere da un avvocato di sua fiducia.
Inoltre, se il lavoratore si trovi a subire una limitazione della libertà personale:
• Conserverà il proprio posto di lavoro, con diritto alla retribuzione.
• Vedrà sostenuta dall'azienda l'intera spesa per eventuali risarcimenti del danno richiesti in sede civile a suo danno.
• Resta ferma la possibilità di cessazione del rapporto di lavoro imputabile a causa diversa.
Infine, è da notare come le tutele in esame non cessino i propri effetti con la cessazione del rapporto di lavoro, ma si estenderanno anche al di là di essa con per tutti i casi in cui oggetto della contestazione in capo al lavoratore siano comportamenti avvenuti durante la vigenza dello stesso.
Nei casi di cui ai comma precedenti, resta esclusa la applicabilità delle disposizioni contenute nei comma da 2 a 7 dell’art. 41.
4.3. Responsabilità Civile o penale connessa alla prestazione nel settore assicurativo.
Anche i lavoratori del settore assicurativo49 godono di un apposito regime di tutela per le ipotesi di responsabilità civile e penale derivanti dall'esercizio di attività connesse alle loro mansioni. Per la maggior parte il dato testuale della norma ricalca quello sancito all'interno del CCNL ABI di cui sopra. Sussistono tuttavia alcune differenze, come:
• limitazione nella libertà di scelta del difensore (che va concordata con l'azienda)
• il carattere meramente indennitario della somma che l'azienda è tenuta ad elargire nei confronti del lavoratore che si decide di allontanare (a differenza del CCNL ABI in cui, invece, viene previsto il mantenimento del trattamento retributivo ordinario).
• La limitazione di tale meccanismo di tutela per i casi in cui si riscontri il dolo o la colpa grave nella condotta del lavoratore.
Tale disciplina trova applicazione anche per il personale che opera mediante canali telefonici (call center)
grazie al combinato disposto degli artt. 165 e 167 CCNL ANIA 2007, ma non per i dirigenti.
49 Art. 95, CCNL ANIA 17/09/2007.
5. Responsabilità amministrativa.
Art. 41 Cost
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Per analizzare la responsabilità amministrativa in ambito di responsabilità professionale appare necessario “partire” dall’art. 41 della nostra Carta Costituzionale, specialmente al suo 3° comma. Esso definisce il principio secondo il quale la legge e lo Stato, nel rispetto della libertà economica privata, possano prevedere controlli e programmi tali da limitarne la manifestazione, per raggiungere, mediante questa opera di indirizzo e coordinamento tra pubblico e privato, i fini sociali.
Per tale motivo lo Stato, pur riconoscendo la libertà di iniziativa di mercato, realizza un’attività di osservazione e vigilanza, mediante la normativizzazione delle regole di condotta obbligatorie per tutti gli operatori di quel mercato e istituendo Organi di vigilanza che abbiano il compito di controllare, regolare e, in determinati casi, sanzionare.
Per quel che attiene ciò di cui ci occupiamo sono 3 gli organi di vigilanza che operano come “guardiani” del mercato di riferimento:
Autorità di vigilanza
IVASS
Consob
Banca d’Italia
Quale fonte principale di legge interna, spesso modificata anche dal recepimento della disciplina europea inerente il mercato finanziario, del credito e assicurativo, il nostro ordinamento poggia su due fondamentali testi unici, che recepiscono la normativa comunitaria: il TUB (Testo unico bancario) e il TUF (Testo unico finanziario).
Tali norme oltre a disciplinare nello specifico le funzioni dei 3 organi di controllo e vigilanza sopra elencati, disciplinano in maniera specifica tutti i comportamenti contra legem e le relative sanzioni, demandando di fatto ai 3 organi testè citati l’emanazione di provvedimenti (regolamenti, circolari, linee guida, ecc.) atti a definire nello specifico le modalità di attività cui gli enti di riferimento privati devono rispettare.
5.1. Banca d’Italia.
Art. 4 - TUB
1. La Banca d'Italia, nell'esercizio delle funzioni di vigilanza, formula le proposte per le deliberazioni di competenza del CICR previste nel titolo II [e nell'art. 107]. La Banca d'Italia, inoltre, emana regolamenti nei casi previsti dalla legge, impartisce istruzioni e adotta i provvedimenti di carattere particolare di sua competenza.
2. La Banca d'Italia determina e rende pubblici previamente i principi e i criteri dell'attività di vigilanza.
3. La Banca d'Italia, fermi restando i diversi termini fissati da disposizioni di legge, stabilisce i termini per provvedere, individua il responsabile del procedimento, indica i motivi delle decisioni e pubblica i provvedimenti aventi carattere generale. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241, [intendendosi attribuiti al Governatore della Banca d'Italia i poteri per l'adozione degli atti amministrativi generali previsti da dette disposizioni].
4. La Banca d'Italia pubblica annualmente una relazione sull'attività di vigilanza.
4-bis. Nell'esercizio delle funzioni previste dal presente decreto legislativo, alla Banca d'Italia, ai componenti dei suoi organi nonchè ai suoi dipendenti si applica l'articolo 24, comma 6-bis, della legge 28 dicembre 2005, n. 262.
Nell’alveo delle attività di vigilanza che svolge la Banca d’Italia, in costante coordinamento con gli altri organi (CONSOB e IVASS) quelle che rilevano ai fini del seguente documento sicuramente sono il contrasto al fenomeno del riciclaggio del denaro e al finanziamento al terrorismo, la regolamentazione in favore della trasparenza informativa tra intermediari e clienti e infine il contrasto all’usura.
Banca d’Italia
-credito-
Contrasto all’usura
Trasparenza informativa
Antiriciclaggio
5.2. Consob.
Art. 5 - TUF
1. La vigilanza sulle attività disciplinate dalla presente parte ha per obiettivi:
a) la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario;
b) la tutela degli investitori;
c) la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario;
d) la competitività del sistema finanziario;
e) l'osservanza delle disposizioni in materia finanziaria. […]
3. Per il perseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, la Consob è competente per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti.
4. La Banca d'Italia e la Consob esercitano i poteri di vigilanza nei confronti dei soggetti abilitati; ciascuna vigila sull'osservanza delle disposizioni legislative e regolamentari secondo le competenze definite dai commi 2 e 3.
Art. 6 - TUF
1. Nell'esercizio delle funzioni di vigilanza regolamentare, la Banca d'Italia e la Consob osservano i
seguenti principi:
a) valorizzazione dell'autonomia decisionale dei soggetti abilitati;
b) proporzionalità, intesa come criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari;
c) riconoscimento del carattere internazionale del mercato finanziario e salvaguardia della posizione competitiva dell'industria italiana;
d) agevolazione dell'innovazione e della concorrenza.
3. La Banca d'Italia e la Consob comunicano al Ministero dell'economia e delle finanze le disposizioni regolamentari recanti gli obblighi aggiuntivi di cui al comma 02 ai fini della loro notifica alla Commissione europea.
3.2. La Consob, sentita la Banca d'Italia, tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l'esperienza professionale dei medesimi, disciplina con regolamento gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di:
a) trasparenza, ivi inclusi:
1) gli obblighi informativi nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento, nonchè della gestione collettiva del risparmio, con particolare riferimento al grado di rischiosità di ciascun tipo specifico di prodotto finanziario e delle gestioni di portafogli offerti, all'impresa e ai servizi prestati, alla salvaguardia degli strumenti finanziari o delle disponibilità liquide detenuti dall'impresa, ai costi, agli incentivi e alle strategie di esecuzione degli ordini;
2) le modalità e i criteri da adottare nella diffusione di comunicazioni pubblicitarie e promozionali e di ricerche in materia di investimenti;
3) gli obblighi di comunicazione ai clienti relativi all'esecuzione degli ordini, alla gestione di portafogli, alle operazioni con passività potenziali e ai rendiconti di strumenti finanziari o delle disponibilità liquide dei clienti detenuti dall'impresa;
3-bis) gli obblighi informativi nei confronti degli investitori dei FIA italiani, dei FIA UE e dei FIA non UE;
b) correttezza dei comportamenti, ivi inclusi:
1) gli obblighi di acquisizione di informazioni dai clienti o dai potenziali clienti ai fini della valutazione di adeguatezza o di appropriatezza delle operazioni o dei servizi forniti;
2) le misure per eseguire gli ordini alle condizioni più favorevoli per i clienti;
3) gli obblighi in materia di gestione degli ordini;
4) l'obbligo di assicurare che la gestione di portafogli si svolga con modalità aderenti alle specifiche esigenze dei singoli investitori e che quella su base collettiva avvenga nel rispetto degli obiettivi di investimento dell'OICR;
5) le condizioni alle quali possono essere corrisposti o percepiti incentivi.
Se l’attività di vigilanza di Banca d’Italia si occupa prevalentemente di vigilare sulle operazioni bancarie e del credito, la Consob esplica il proprio potere di vigilanza prevalentemente nel settore finanziario. Tale attività, soprattutto ai fini di questo documento, va evidenziata sul tema della trasparenza informativa nel settore finanziario. All’art. 6 del TUF, come sopra citato, vengono citate le specifiche attività di vigilanza nel settore finanziario che la Consob realizza, tutte potenzialmente soggette a violazione da parte dei singoli dipendenti (Quadri funzionari) e che, in virtù del potere regolamentare riconosciuto alla stessa Consob, potrebbe ingenerare una sanzione amministrativa nei confronti della Banca.
Trasparenza informativa
Consob
- strumenti finanziari -
Correttezza comportamenti
5.3. Ivass.
Art. 4-sexies - TUF
1. La Consob e l'IVASS sono le autorita' nazionali competenti designate ai sensi dell'articolo 4, numero 8), del regolamento (UE) n. 1286/2014 ai fini della vigilanza sul rispetto degli obblighi che il medesimo regolamento (UE) n. 1286/2014 impone agli ideatori di PRIIP e alle persone che forniscono consulenza sui PRIIP o vendono i PRIIP [prodotti di investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati], anche mediante i rispettivi poteri di xxxxxxxxx, d'indagine e sanzionatori, secondo le rispettive attribuzioni e conformemente a quanto disposto dal presente articolo.
3. Ai fini di cui al comma 1, l'IVASS e' l'autorita' competente:
a) ad assicurare l'osservanza degli obblighi posti dal regolamento (UE) n. 1286/2014 agli ideatori di PRIIP e alle persone che forniscono consulenza sui PRIIP, o vendono i PRIIP, nel caso di prodotti distribuiti dagli intermediari assicurativi di cui all'articolo 109, comma 2, lettere a) e b) del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, dagli altri soggetti di cui questi intermediari assicurativi eventualmente si avvalgono iscritti nella sezione del registro di cui alla lettera e) dell'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e dai soggetti iscritti nella sezione del registro di cui alla lettera c) dell'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209;
b) a esercitare, con riferimento ai prodotti di investimento assicurativo commercializzati, distribuiti o venduti in Italia, oppure a partire dall'Italia, l'attività di monitoraggio e i poteri di cui agli articoli 15, paragrafo 2, 17 e 18, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1286/2014 per quanto riguarda la tutela degli investitori o l'integrità e l'ordinato funzionamento dei mercati nel caso di prodotti distribuiti dagli intermediari assicurativi di cui all'articolo 109, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, dagli altri soggetti di cui questi intermediari assicurativi eventualmente si avvalgono iscritti nella sezione del registro di cui alla lettera e) dell'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e dai soggetti iscritti nella sezione del registro di cui alla lettera c) dell'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209;
c) a esercitare con riferimento ai prodotti di investimento assicurativo commercializzati, distribuiti o venduti in Italia, oppure a partire dall'Italia, l'attività di monitoraggio e i poteri di cui agli articoli 15, paragrafo 2, 17 e 18, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1286/2014 con riguardo ai profili attinenti alla stabilità del sistema finanziario e assicurativo o di una sua parte, nonché per quanto riguarda i rischi inerenti alla stabilità delle imprese di assicurazione nei confronti delle imprese di assicurazione medesime.
Per quanto attiene ai prodotti assicurativi l’Organo di vigilanza specifico è l’IVASS, la quale procede alla regolamentazione di settore, nel rispetto della normativa europea e italiana, e alla vigilanza con conseguente potere sanzionatorio in caso di violazione degli obblighi da parte degli intermediari assicurativi. Anche in questo caso è previsto uno specifico coordinamento con la CONSOB inerente
l’accesso alla documentazione informativa, essendo settori spesso assolti dagli intermediari in via cumulativa.
Trasparenza informativa
IVASS
- strumenti assicurativi -
Correttezza comportamenti
5.4. Le sanzioni amministrative in generale.
Conseguenza immediata del potere di vigilanza, riconosciuta ai tre organi sopra illustrati, è il potere sanzionatorio, frutto di un immediato riconoscimento al potere pubblico (amministrativo) di regolamentare i rapporti nei settori economici di riferimento e, pertanto, di poter agire in via “punitiva” in caso di violazioni.
Gli stessi TUB (TITOLO VIII) e TUF prevedono tale funzione riconosciuta agli Organi elencati in riferimento ai loro settori. Le fonti normative che possono essere violate sono, in primis, gli stessi due Testi Unici, in secundis, le norme comunitarie e le stesse regolamentazioni degli Organi di Vigilanza.
Le sanzioni possono essere dirette all’istituto di credito o intermediario finanziario, oppure direttamente e personalmente al soggetto che le ha violate.
Tali sanzioni amministrative seguono alcuni principi generali che devono essere sempre comunque rispettati:
Tassatività dei poteri
Gli Organi di vigilanza possono irrogare sanzioni solo ove la legge lo riconosca. Potranno comunque coadiuvare gli Organi sanzionatori nei procedimenti per violazioni ulteriori in caso di necessità o su richiesta degli stessi organi.
Trasparenza e limiti
L’attività amministrativa in genere deve essere trasparente. E’ sempre permesso agli aventi diritto o
interesse, destinatari dell’azione di vigilanza, l’accesso agli atti amministrativi. E’ limitato l’accesso a terze parti o agli stessi destinatari in caso di indagini penali.
Proporzionalità
Tutti i provvedimenti sanzionatori devono tener conto del “livello di violazione” accertato, in riferimento al grado di sanzione comminata. Le sanzioni, soprattutto quelle pecuniarie, vengono per tal motivo fissate in un range di minimo e massimo. E’ ovviamente previsto l’obbligo di motivazione, stante a giustificare la scelta di un livello di sanzione piuttosto che un altro.
Contraddittorio
Stante anche la rilevanza delle sanzioni che possono essere comminate (sia a livello economico che di immagine) nei confronti di soggetti privati, nella fase di accertamento della violazione e quella successiva all’emanazione del provvedimento sanzionatorio, è sempre ammesso l’accesso agli “atti di indagine” e al deposito di memorie e/o osservazioni difensive, al fine di dare comunque in ogni caso il diritto di difesa al destinatario dell’indagine o del provvedimento.
Separazione fase istruttoria da decisione
Al fine di garantire una terzietà dell’Organo in fase decisionale, il compito relativo alle indagini sarà sempre demandato a un organo diverso da quello cui è demandato il compito di decidere sulla sanzione. Tale separazione non solo si realizza avuto riguardo alle persone fisiche cui sono demandati i rispettivi compiti, ma soprattutto nelle procedure interne, al fine di garantire la effettiva terzietà del giudice.
Controllo giurisdizionale
Ogni provvedimento amministrativo, anche quello sanzionatorio, è soggetto al controllo giurisdizionale, come anche affermato nella nostra Costituzione. Gixxxxx xncaricato è il Giudice amministrativo.
5.5. Obbligo e diritto di regresso.
Art. 195 - TUF
1. Le sanzioni amministrative previste nel presente titolo sono applicate dalla Banca d'Italia o dalla Consob, secondo le rispettive competenze, con provvedimento motivato, previa contestazione degli addebiti agli interessati, da effettuarsi entro centottanta giorni dall'accertamento ovvero entro trecentosessanta giorni se l'interessato risiede o ha la sede all'estero. I soggetti interessati possono, entro trenta giorni dalla contestazione, presentare deduzioni e chiedere un'audizione personale in sede di istruttoria, cui possono partecipare anche con l'assistenza di un avvocato (2).
4. Avverso il provvedimento che applica la sanzione è ammesso ricorso alla corte d'appello del luogo in cui ha sede la società o l'ente cui appartiene l'autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, del luogo in cui la violazione e' stata commessa. Il ricorso è notificato, a pena di decadenza, all'Autorità che ha emesso il provvedimento nel termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato, ovvero sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero, ed è depositato in cancelleria, unitamente ai documenti offerti in comunicazione, nel termine perentorio di trenta giorni dalla notifica.
[9. Le società e gli enti ai quali appartengono gli autori delle violazioni rispondono, in solido con questi, del pagamento della sanzione e delle spese di pubblicità previste dal secondo periodo del comma 3 e sono tenuti ad esercitare il diritto di regresso verso i responsabili] [abrogato]
Il comma 9, art. 195 TUF, come sopra riportato, è stato abrogato dal D.Lgs 72/2015. Per tutti i procedimenti precedenti al 12/6/2015 (data di entrata in vigore del suddetto D.Lgs. e di abrogazione della norma) vale comunque la responsabilità solidale tra intermediario e professionista/dipendente autore della violazione. In tal caso era previsto un vero e proprio obbligo dell’azione di regresso nei confronti dell’autore della violazione da parte della società o ente di appartenenza.
Con l’entrata in vigore del D.lgs. 72/2015, è stato modificato l’intero apparato sanzionatorio, prevedendo una maggior specificità di sanzioni anche personali e limitando la possibilità di azione di regresso alla sola azione prevista dalla disciplina legale ex codice civile.
Art. 1228 c.c.
Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.
Art. 2049 c.c.
I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
Sul tema è fondamentale partire dal principio generale secondo il quale l’azienda è sempre responsabile per gli inadempimenti dei suoi dipendenti.
Infatti, gli effetti del comportamento dei dipendenti ricadono sul principale ove tra l’illecito e il rapporto di lavoro sussista quel nesso di occasionalità necessaria che si riscontra ogni volta che le mansioni del dipendente abbiano reso possibile o agevolato la sua condotta, e quindi anche nel caso che egli agisca autonomamente per l’incarico ad esso assegnato, o persino al di fuori dei limiti ad esso concessi o contrariamente agli ordini impartiti, sempre e comunque se identificata l’azione illecita come compiuta nello svolgimento delle sue mansioni.
5.6. Le sanzioni alla banca e ai dipendenti nel Testo Unico Bancario
Art. 144,comma 1, lett. a), TUB
1. Nei confronti delle banche, degli intermediari finanziari, delle rispettive capogruppo, degli istituti di moneta elettronica, degli istituti di pagamento e dei soggetti ai quali sono state esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti, nonché di quelli incaricati della revisione legale dei conti, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 30.000 fino al 10 per cento del fatturato, per le seguenti violazioni:
a) inosservanza degli articoli 18, comma 4, 26, 28, comma 2-ter, 34, comma 2, 35, 49, 51, 52, 52-bis ,53, 53-bis, 53-ter, 54, 55, 61 comma 5, 64, commi 2 e 4, 66, 67, 67-ter, 68, 69-quater, 69-quinquies, 69-octies, 69novies, 69-sexiesdecies, 69-noviesdecies, 69-vicies-semel, 108, 109, comma 3, 110 in relazione agli articoli 26, 52, 61, comma 5, 64, commi 2 e 4, 114-quinquies.1, 114-quinquies.2, 114-quinquies.3, in relazione agli articoli 26 e 52, 114-octies, 114-undecies in relazione agli articoli 26 e 52, 114-duodecies, 114-terdecies, 114-quaterdecies, 129, comma 1, 145, comma 3, 146, comma 2, 147, o delle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie;
L’articolo in commento disciplina specifiche sanzioni di tipo amministrativo che vengono comminate alle banche, agli intermediari finanziari, ai capogruppo delle banche, agli istituti di moneta elettronica, agli istituti di pagamento e ai soggetti ai quali sono state esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti, nonché di quelli incaricati della revisione legale dei conti. Tali sanzioni variano dall’importo di
30.000 fino al 10 per cento del fatturato per violazioni di molteplici disposizioni di legge, tra le quali quelle riguardanti:
• Le attività di vigilanza ispettiva, informativa, regolamentare della Banca d’Italia;
• L’idoneità dei requisiti per lo svolgimento delle funzioni affidate, relativi alla professionalità, onorabilità e indipendenza, correttezza e competenza;
• Il diritto al rimborso delle azioni nei casi di recesso limitato dalla stessa Banca d’Italia;
• La residenza dei soci delle banche di credito cooperativo;
• L’autorizzazione della Banca d’Italia all’emissione di assegni circolari e altri assegni ad essi assimilabili o equiparabili;
• Le procedure di segnalazione delle violazioni delle norme riguardanti l’attività bancaria;
• I poteri d’intervento della Banca d’Italia;
• Il riparto dei compiti e deleghe di funzioni;
• Il ripristino di piani di risanamento dei gruppi bancari;
• La rimozione dei componenti degli organi di amministrazione e dell’altra dirigenza in caso di grave violazione;
• L’autorizzazione e l’operatività della moneta elettronica;
• La pubblicità sui tassi d’interesse, i prezzi e le altre condizioni economiche relatività alle operazione e ai servizi offerti;
• La forma scritta e il contenuto dei contratti e la consegna di un esemplare per i clienti;
• La modifica unilaterale delle condizioni contrattuali;
• Gli obblighi precontrattuali;
• La riservatezza delle informazioni;
Rientra, ad esempio, tra gli obblighi dei soggetti interessati l’identificazione della clientela sulla base della distinzione che segue:
• Cliente al dettaglio (o retail), sono i soggetti che non possiedono le esperienze e le competenze in materia di investimento proprie dei clienti professionali e delle controparti qualificate
• Cliente professionale, è il cliente che possiede l’esperienza e la competenza necessaria per prendere le proprie decisioni in materia di investimenti valutando correttamente i rischi che assumono. La categoria dei clienti professionali è composta dai soggetti individuati espressamente dal legislatore (“clienti professionali di diritto”) e dai soggetti che richiedono di essere considerati clienti professionali, in relazione ai quali l’intermediario è tenuto ad effettuare una valutazione di carattere sostanziale delle caratteristiche del cliente e della sua idoneità ad essere classificato tra i clienti professionali (“clienti professionali su richiesta”). Una ulteriore classificazione di questa categoria può essere tra i clienti professionali “pubblici” (i governi nazionali e locali, gli enti pubblici, le Banche centrali e le istituzioni internazionali) da quelli “privati” (banche, imprese di investimento, altri istituti finanziari autorizzati o regolamentati, imprese di assicurazione, organismi di investimento collettivo e società di gestione di tali organismi, fondi pensione e società di gestione di tali fondi, i negoziatori per conto proprio di merci e strumenti derivati su merci, le imprese di grandi dimensioni che presentano, a livello di singola società, almeno due dei seguenti requisiti dimensionali:
- totale di bilancio: € 20.000.000,00;
- fatturato netto: € 40.000.000,00;
- fondi propri: € 2.000.000,00;
• Controparte qualificata (sottoinsieme dei clienti professionali). Le controparti qualificate non sono sempre tali ma lo diventano rispetto ai servizi di esecuzione di ordini e/o di negoziazione per conto proprio e/o di ricezione e trasmissione di ordini e ai relativi servizi accessori. Quindi uno stesso cliente può essere, a seconda dei servizi che l’impresa gli fornisce, una “controparte qualificata” o un “cliente professionale” Quest’ultima categoria è considerata dalla normativa la meno bisognosa di tutela.
La suddetta classificazione è funzionale all’individuazione degli obblighi informativi da assolvere. La normativa prevede degli obblighi informativi per tutte e tre le categorie di investitori come:
• La classificazione assegnata;
• Gli eventuali conflitti di interesse;
• Le commissioni pagate a terzi;
• la descrizione degli strumenti finanziari;
• la execution policy ( strategia di esecuzione);
• le informazioni sulle perdite;
Si applica la sanzione pecuniaria da € 2.580,00 a € 129.110,00 nei confronti di banche e intermediari finanziari che violano le norme previste per la valutazione della solvibilità degli enti creditizi, delle imprese di investimento e delle assicurazioni in base al reg. CE n. 1060/2009.
L’ultimo comma specifica che se il vantaggio ottenuto dall’autore della violazione come conseguenza della violazione stessa è superiore ai massimali indicati nel presente articolo, la sanzione è maggiorata fino al doppio dell’ammontare del vantaggio ottenuto purché tale ammontare sia determinabile.
Art. 144-bis, TUB
Per le violazioni previste dall’articolo 144, comma 1, lettera a), quando esse siano connotate da scarsa offensività o pericolosità, la Banca d’Italia può, in alternativa all’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, applicare nei confronti della società o dell’ente una sanzione consistente nell’ordine di eliminare le infrazioni, anche indicando le misure da adottare e il termine per l’adempimento.
Per l’inosservanza dell’ordine entro il termine stabilito, la Banca d’Italia applica le sanzioni amministrative pecuniarie previste dall’articolo 144, comma 1; l’importo delle sanzioni è aumentato sino a un terzo rispetto a quello previsto per la violazione originaria, fermi restando i massimali stabiliti dall’articolo 144”.
La Banca d’Italia ordina di eliminare le infrazioni commesse dai soggetti che svolgono attività bancarie o d’intermediazione in alternativa alle sanzioni amministrative pecuniarie, quando le violazioni sono valutate di scarsa offensività o pericolosità.
Art. 144-ter, TUB
1. Fermo restando quanto previsto per le società e gli enti nei confronti dei quali sono accertate le violazioni, per l’inosservanza delle norme richiamate dall’articolo 144, comma 1, lettera a), si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 fino a 5 milioni di euro nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo, nonché del personale, quando l’inosservanza è conseguenza della violazione di doveri propri o dell’organo di appartenenza e ricorrono una o più delle seguenti condizioni:
a) la condotta ha inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali;
b) la condotta ha contribuito a determinare la mancata ottemperanza della società o dell’ente a provvedimenti specifici adottati ai sensi degli articoli 53-bis, comma 1, lettera d), 67-ter, comma 1, lettera d), 108, comma 3, lettera d), 109, comma 3, lettera a), 114-quinquies.2, comma 3, lettera d), 114-quaterdecies, comma 3, lettera d);
c) le violazioni riguardano obblighi imposti ai sensi dell’articolo 26 o dell’articolo 53, commi 4, 4-ter, e 4-quater,ovvero obblighi in materia di remunerazione e incentivazione, quando l’esponente o il personale è la parte interessata.
2. Nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo, nonché del personale, nei casi in cui la loro condotta abbia contribuito a determinare l’inosservanza dell’ordine di cui all’articolo 144-bis da parte della società o dell’ente, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 fino a 5 milioni di euro.
3. Con il provvedimento di applicazione della sanzione, in ragione della gravità della violazione accertata e tenuto conto dei criteri stabiliti dall’articolo 144-quater, la Banca d’Italia può applicare la sanzione amministrativa accessoria dell’interdizione, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni, dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso intermediari autorizzati ai sensi del presente decreto legislativo, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, o presso fondi pensione.
4. Si applica l’articolo 144, comma 9”.
Si fa applicazione della sanzione amministrativa di € 5000 fino a 5 milioni di euro nei confronti di soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, dirigenza o di controllo, nonché del personale quando tale inosservanza discende direttamente dalla violazione dei doveri propri o dell’organo di appartenenza.
Inoltre, la Banca d’Italia può applicare la sanzione accessoria dell’interdizione per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo.
Nella determinazione delle sanzioni da applicare alle violazioni specifiche, la Banca dìItalia segui i criteri sintetizzati nello schema che segue.
Criteri per la
determinazione delle
sanzioni (art.144-quater, TUB)
Gravità e durata della
violazione
Grado di responsabilità
Capacità finanziaria del
responsabile
Entità dei vantaggi o delle
perdite
Pregiudizio cagionato a terzi
Livello di cooperazioni del
responsabile
Precedenti violazioni del
medesimo soggetto
“
Potenziali conseguenze
sistemiche della violazione
5.7. Le sanzioni nel Testo Unico della Finanza
Art. 190, TUF
1. Nei confronti dei soggetti abilitati, dei depositari e dei soggetti ai quali sono state esternalizzate funzioni operative essenziali o importanti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro trentamila fino a cinque milioni di euro, ovvero al dieci per cento del fatturato, quando tale importo è superiore a cinque milioni di euro e il fatturato è disponibile e determinabile, per la mancata osservanza degli articoli 6, 7, commi 2, 2-bis e 3, 8, commi 1 e 1-ter; 9, 10, 12, 13, comma 3, 21, 22, 24, comma 1, 25, 25-bis, commi 1 e 2, 27, commi 3 e 4, 28, comma 3, 30, commi 3, 4 e 5, 31, commi 1, 2, 5, 6 e 7, 32, comma 2, 33, comma 4, 35-bis, comma 6, 35-novies, 35-decies, 36, commi 2, 3 e 4, 37, commi 1, 2 e 3, 39, 40, commi 2, 4 e 5, 40-bis, comma 4, 40-ter, comma 4, 41, commi 2, 3 e 4, 41-bis; 41-ter, 41-quater; 42, commi 1, 3 e 4, 43, commi 2, 3, 4, 7, 8 e 9, 44, commi 1, 2, 3 e 5, 45, 46, commi 1, 3 e 4, 47, 48, 49, commi 3 e 4, 55-ter, 55-quater, 55-quinquies,65, 79-bis, 187-novies, ovvero le disposizioni generali o particolari emanate dalla Banca d'Italia o dalla Consob in base ai medesimi articoli. La stessa sanzione si applica nei confronti di società o enti in caso inosservanza delle disposizioni dell'articolo 18, comma 2, ovvero in caso di esercizio dell'attività di gestore di portale in assenza dell'iscrizione nel registro di cui all'articolo 50-quinquies.
2. La stessa sanzione prevista dal comma 1 si applica:
a) alle società di gestione del mercato, nel caso di inosservanza delle disposizioni previste dal capo I del titolo I della parte III e di quelle emanate in base ad esse;
d) agli organizzatori e agli operatori dei sistemi di scambi di fondi interbancari, ai soggetti che gestiscono sistemi multilaterali di negoziazione ed agli internalizzatori sistematici, nel caso di inosservanza delle disposizioni previste dai capi II e II-bis del titolo I della parte III e di quelle emanate in base ad esse;
f) alle imprese di assicurazione, nel caso in cui non osservino le disposizioni previste dall'articolo 25- bis, commi 1 e 2, e quelle emanate in base ad esse;
g) agli operatori ammessi alle negoziazioni nei mercati regolamentati in caso di inosservanza delle disposizioni previste dall'articolo 25, comma 3;
2-bis. La medesima sanzione prevista dal comma 1 si applica:
a) ai gestori dei fondi europei per il venture capital (EuVECA), in caso di violazione delle disposizioni previste dagli articoli 2, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 del regolamento (UE) n. 345/2013 e delle relative disposizioni attuative;
b) ai gestori dei fondi europei per l'imprenditoria sociale (EuSEF), in caso di violazione delle disposizioni previste dagli articoli 2, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 del regolamento (UE) n. 346/2013 e delle relative disposizioni attuative;
b- bis) ai gestori e ai depositari di FIA, in caso di violazione delle disposizioni del regolamento delegato (UE) n. 231/2013 della Commissione e delle relative disposizioni attuative;
b- ter) ai gestori e ai depositari di OICVM, in caso di violazione delle disposizioni del regolamento delegato (UE) n. 438/2016 della Commissione e delle relative disposizioni attuative.
Art. 190, TUF
2-ter. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro duemilacinquecento a euro centocinquantamila:
a) nei confronti di Six, imprese di investimento comunitarie con succursale in Italia, imprese di investimento extracomunitarie, intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 106 del TUB, banche italiane, banche comunitarie con succursale in Italia e banche extracomunitarie autorizzate all'esercizio dei servizi o delle attività di investimento, nonché nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione delle controparti centrali, in caso di violazione delle disposizioni previste dagli articoli 4, paragrafo 1, comma 1, e 5-bis del regolamento (CE) n. 1060/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, relativo alle agenzie di rating del credito, e delle relative disposizioni attuative;
b) nei confronti dei gestori in caso di violazione dell'articolo 35-duodecies e dell'articolo 4, paragrafo 1, comma 1, del regolamento di cui alla lettera a), e delle relative disposizioni attuative.
3. Si applica l'articolo 188, comma 2-bis.
4. Salvo quanto previsto dall'articolo 194-quinquies, alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente articolo non si applicano gli articoli 6, 10, 11 e 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689”.
A norma dell’art. 190 del TUF ai soggetti abilitati e depositari per la violazione della maggior parte degli obblighi previsti da tale articolo, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da €30.000 fino al 10 per cento del fatturato.
Si aggiunga, inoltre, che nella determinazione dell’ammontare delle sanzioni amministrative pecuniarie o della durata delle sanzioni accessorie, l’Autorità di Vigilanza deve considerare i criteri di determinazione sopra richiamati.
5.8. Le sanzioni nel Codice delle Assicurazioni Private.
Art. 324, Codice delle assicurazioni private
L'inosservanza delle disposizioni di cui agli articoli 109, commi 4 e 6, 117, comma 1, 119, comma 2, ultimo
periodo, 120, 121, 131, 170, 182, commi 2 e 3, 183, 185, comma 1 e 191, o delle relative norme di attuazione da parte degli intermediari iscritti al registro di cui all'articolo 109 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro mille ad euro diecimila, anche se commessa da propri dipendenti o altri ausiliari.
Nei casi di particolare gravità o di ripetizione dell'illecito i limiti minimo e massimo della sanzione di cui al comma 1 sono raddoppiati.
L’articolo in commento disciplina specifiche sanzioni di tipo amministrativo, che variano da 1000,00 a 10.000,00 €, quando gli intermediari non osservino le nome:
• Sul registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi e obblighi di comunicazione;
• Sulle regole di comportamento relative alla separazione patrimoniale dei premi pagati all’intermediario e le somme destinate ai risarcimenti o ai pagamenti dovuti dalle imprese di assicurazione;
• Sui doveri e le responsabilità verso gli assicurati da parte dell’impresa di assicurazione o da parte dell’intermediario che rispondono in solido dei danni arrecati;
• Sull’informazione precontrattuale e regole di comportamento;
• Sull’informazione precontrattuale in caso di vendita a distanza;
• Sulla trasparenza dei premi e delle condizioni di contratto;
• Sul divieto di abbinamento di un contratto assicurativo subordinato alla conclusione di ulteriori contratti assicurativi, bancari o finanziari;
• Sui principi relativi alla pubblicità dei prodotti assicurativi;
• Sulle regole di comportamento
• ;Sugli obblighi d’ informazione;
• Sul potere regolamentare.
5.8.1. Destinatari delle sanzioni amministrative pecuniarie
Art. 325, Codice delle assicurazioni privat
Ad eccezione delle sanzioni di cui al capo V, irrogate nei confronti delle persone fisiche responsabili della violazione, le sanzioni pecuniarie sono applicate nei confronti delle imprese e degli intermediari responsabili della violazione.
Qualora i soggetti di cui al comma 1 dimostrino che la violazione è stata commessa da propri dipendenti o collaboratori, con abuso dei doveri di ufficio e per trarne personale vantaggio, la sanzione è comminata al dipendente o al collaboratore alla cui azione o omissione è imputabile l'infrazione. L'impresa e l'intermediario ne rispondono come responsabili civili, salvo rivalsa. 3. Le imprese rispondono in solido con l'autore della violazione nel caso in cui l'inosservanza sia stata posta in essere da soggetti ai quali siano state affidate funzioni parzialmente comprese nel ciclo operativo delle imprese di assicurazione e di riassicurazione.
Le sanzioni pecuniarie sono irrogate nei confronti delle imprese e degli intermediari che risultano responsabili delle violazioni. Nel caso in cui sia dimostrabile che la violazione sia commessa dai dipendenti dell’impresa o da altri collaboratori, con abuso dei doveri d’ufficio e per trarne vantaggio, la sanzione amministrativa è comminata al dipendente o al collaboratore: l’impresa e l’intermediario ne rispondono come responsabili civili, salvo rivalsa. Inoltre, le imprese rispondono in solido con l’autore della violazione quando l’inosservanza è stata posta in essere da soggetti ai quali sono state affidate delle funzioni assimilabili a quelle delle imprese di assicurazione e riassicurazione.
6. Approfondimento sulla disciplina in tema di obblighi incombenti sui lavoratori e sulla normativa prevista in tema di sistemi interni di segnalazione delle violazioni (whistleblowing).
Il whistleblowing è un sistema di segnalazioni, di derivazione anglosassone, che permette ad alcuni soggetti che lavorano nell’ambito di banche e intermediari finanziari, di portare alla luce comportamenti che violano la normativa di riferimento.
Gli scopi di questa nuova disciplina interna di controllo sono diversi:
• Stabilire e diffondere un senso etico comune in ambito lavorativo
• Tutelare i clienti e rinforzare il rispetto delle norme.
Il whistleblowing trae la sua fonte primaria nella normativa sovranazionale del Parlamento europeo e del Consiglio sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento.
Nello specifico, viene previsto un’apposita parte declinata “Segnalazione delle violazioni”, nella quale si trovano i richiami specifici per i singoli stati al rispetto di determinati meccanismi e procedure.
Art. 71, Dir. 2013/36/UE – Segnalazione delle violazioni
1. Gli Stati membri assicurano che le autorità competenti mettano in atto meccanismi efficaci e affidabili per incoraggiare la segnalazione alle autorità competenti di violazioni potenziali o effettive delle disposizioni nazionali di recepimento della presente direttiva e del regolamento (UE) n. 575/2013.
2. I meccanismi di cui al paragrafo 1 includono almeno:
a) procedure specifiche per il ricevimento di segnalazioni di violazioni e per il relativo seguito;
b) la protezione adeguata dei dipendenti degli enti che segnalano violazioni commesse all'interno dell'ente almeno riguardo a ritorsioni, discriminazioni o altri tipi di trattamento iniquo;
c) la protezione dei dati personali concernenti sia la persona che segnala le violazioni sia la persona fisica sospettata di essere responsabile della violazione, conformemente alla direttiva 95/46/CE;
d) norme chiare che assicurano che la riservatezza sia garantita in tutti i casi con riguardo alla persona che segnala le violazioni commesse all'interno dell'ente, salvo che la comunicazione di tali informazioni non sia richiesta dalla normativa nazionale nel contesto di ulteriori indagini o successivi procedimenti giudiziari.
3. Gli Stati membri impongono agli enti di disporre di procedure adeguate affinché i propri dipendenti possano segnalare violazioni a livello interno avvalendosi di un canale specifico, indipendente e autonomo.
Tale canale può essere fornito anche mediante dispositivi previsti dalle parti sociali. Si applica la
6.1. Il recepimento della normativa nel Testo Unico Bancario.
Il nostro ordinamento ha recepito la Direttiva tramite la Legge 7 ottobre 2014, n. 154, la quale delegava al Governo la responsabilità dell’attuazione, mediante un altro provvedimento, del contenuto della direttiva europea, definendo: il rispetto della riservatezza e della protezione dei soggetti coinvolti al fine di incentivare l’utilizzo del whistleblowing.
Per dare concreta attuazione alla normativa europea, il governo ha emanato un decreto legislativo50 che ha avuto come scopo la modifica e l’integrazione della normativa di riferimento contenuta nel TUB e nel TUF. Partendo dal TUB, si riporta di seguito la normativa attualmente in vigore
Art.52-bis, D.Lgs. 385/1993 (TUB) – Sistemi interni di segnalazione delle violazioni
1. Le banche e le relative capogruppo adottano procedure specifiche per la segnalazione al proprio interno da parte del personale di atti o fatti che possano costituire una violazione delle norme disciplinanti l’attività bancaria.
2. Le procedure di cui al comma 1 sono idonee a:
a) garantire la riservatezza dei dati personali del segnalante e del presunto responsabile della violazione, ferme restando le regole che disciplinano le indagini o i procedimenti avviati dall’autorità giudiziaria in relazione ai fatti oggetto della segnalazione;
b) tutelare adeguatamente il soggetto segnalante contro condotte ritorsive, discriminatorie o comunque sleali conseguenti la segnalazione;
c) assicurare per la segnalazione un canale specifico, indipendente e autonomo.
3. La presentazione di una segnalazione non costituisce di per sé violazione degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro.
4. La disposizione di cui all’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, non trova applicazione con riguardo all’identità del segnalante, che può essere rivelata solo con il suo consenso o quando la conoscenza sia indispensabile per la difesa del segnalato.
Appare del tutto evidente che, almeno nella forma, la disciplina prevede delle norme volte a tutelare chi procede a segnalare effettivamente le violazioni, cercando di evitare qualsiasi ritorsione nei suoi confronti a livello aziendale.
Schematicamente, le procedure che la società deve mettere a disposizione devono essere idonee a:
• Tutelare la privacy del soggetto segnalante
• Tutelare la privacy del presunto responsabile della violazione
• Prevedere canali indipendenti e autonomi per le segnalazioni
50 Il decreto legislativo n. 72/2015, entrato in vigore il 27 giugno 2015.
Nel Testo unico bancario viene enunciata anche la normativa relativa alla ricezione da parte della Banca d’Italia delle violazioni. La tutela della privacy dei soggetti coinvolti resta uno dei punti chiave che guida la normativa che non sarebbe altrimenti suscettibile di applicazione a causa della paura di ritorsioni sui dipendenti che segnalano le violazioni.
Art.52-ter, D.Lgs. 385/1993 (TUB) – Segnalazione di violazioni alla Banca d’Italia
1. La Banca d’Italia riceve, da parte del personale delle banche e delle relative capogruppo, segnalazioni che si riferiscono a violazioni riguardanti norme del titolo II e III, nonché atti dell’Unione europea direttamente applicabili nelle stesse materie.
2. La Banca d’Italia tiene conto dei criteri di cui all’articolo 52-bis, comma 2, lettere a) e b), e può stabilire condizioni, limiti e procedure per la ricezione delle segnalazioni.
3. La Banca d’Italia si avvale delle informazioni contenute nelle segnalazioni, ove rilevanti, esclusivamente nell’esercizio delle funzioni di vigilanza e per il perseguimento delle finalità previste dall’articolo 5.
4. Nel caso di accesso ai sensi degli articoli 22, e seguenti, della legge 7 agosto 1990, n. 241, l’ostensione del documento è effettuata con modalità che salvaguardino comunque la riservatezza del segnalante. Si applica l’articolo 52-bis, commi 3 e 4.
Allo scopo di dare attuazione alla normativa legislativa, la Banca d’Italia è intervenuta provvedendo all’emanazione della Circolare 285/2013 recante “Disposizioni di Vigilanza per le Banche”, in attuazione degli articoli 52bis e ter del TUB.
Nella Circolare di riferimento la BI richiede che le banche nominino un responsabile dei sistemi di segnalazione con il compito di assicurare il corretto svolgimento del procedimento, di riferire agli organi aziendali le informazioni ed eventualmente di gestire in modo diretto le fasi di: ricezione, esame e valutazione del procedimento di segnalazione.
Vi sono due possibili categorie di soggetti: colui che abbia la responsabilità di revisione interna (internal audit) o colui che abbia la responsabilità in ambito di controllo sicurezza e trasparenza (compliance). Ulteriore scelta può ricadere anche su un soggetto esterno che sia di supporto agli organi interni.
Un altro aspetto riguarda i requisiti del sistema di segnalazione, ossia l’esistenza di canali specifici, autonomi e indipendenti rispetto a quelli ordinari.
Oggetto di segnalazione, secondo il TUB, sono le violazioni delle norme disciplinanti l’attività bancaria, ossia nello specifico, l’art. 10, commi 1, 2 e 3 del TUB.
Art.10, D.Lgs. 385/1993 (TUB) – Attività bancaria
1. La raccolta di risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito costituiscono l'attività bancaria. Essa ha carattere d'impresa.
2. L'esercizio dell'attività bancaria è riservato alle banche.
3. Le banche esercitano, oltre all'attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali. Sono salve le riserve di attività previste dalla legge.
Di particolare importanza è l’individuazione di coloro che si ritengono, secondo il contenuto dell’art. 52bis, soggetti attivi nella condotta oggetto di segnalazione: “dipendenti e coloro che comunque operano sulla base di rapporti che ne determinano l’inserimento nell’organizzazione aziendale, anche in forma diversa dal rapporto di lavoro subordinato”.
Ultimo onere della banca è la determinazione di una policy adeguata
Contenuto necessario della
policy
Finalità
Destinatari
Oggetto e contenuto delle
segnalazioni
Soggetti segnalanti e le loro
tutele
Modalità di gestione della
segnalazione
Tempi e fasi del procedimento
Soggetti coinvolti nel
procedimento
Sistemi di verifiche di
conformità alla policy
modalità di comunicazione
tra gli interessati e conservazione degli atti e documenti
6.2. Il recepimento della normativa nel Testo Unico Finanziario.
Come per il Testo unico bancario, il legislatore ha modificato e integrato la normativa del Testo unico finanziario per riprodurre il sistema relativo alle segnalazione delle violazioni previsto a livello europeo.
La norma generale sui sistemi interni di segnalazione delle violazione riproduce pressochè interamente il testo della relativa disciplina contenuta nel TUB,
Trattandosi del TUF, la normativa non è destinata esclusivamente alle banche, ma a tutti i soggetti abilitati. Viene riprodotto il medesimo sistema di tutela della privacy dei soggetti coinvolti e viene delegata la redazione di un documento congiunto di attuazione da parte della Banca d’Italia e della Consob. Inoltre, contrariamente a quanto fatto per il TUB, non è stato ancora emanato un provvedimento congiunto della BI e della Consob per l’attuazione delle norme contenute nel TUF.
Art.8-bis, D.Lgs. 58/1998 (TUF) – Sistemi interni di segnalazione delle violazioni
1. I soggetti abilitati e le relative capogruppo adottano procedure specifiche per la segnalazione al proprio interno da parte del personale, di atti o fatti che possano costituire una violazione delle norme disciplinanti l'attività svolta.
2. Le procedure previste al comma 1 sono idonee a:
a) garantire la riservatezza dei dati personali del segnalante e del presunto responsabile della violazione, ferme restando le regole che disciplinano le indagini o i procedimenti avviati dall'autorità giudiziaria in relazione ai fatti oggetto della segnalazione;
b) tutelare adeguatamente il soggetto segnalante contro condotte ritorsive, discriminatorie o comunque sleali conseguenti la segnalazione;
c) assicurare per la segnalazione un canale specifico, indipendente e autonomo.
3. La presentazione di una segnalazione non costituisce di per sé violazione degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro.
4. L'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, non si applica con riguardo all'identità del segnalante, che può essere rivelata solo con il suo consenso o quando la conoscenza sia indispensabile per la difesa del segnalato.
5. La Banca d'Italia e la Consob emanano, con regolamento congiunto, le disposizioni attuative del presente articolo.
Art.8-ter, D.Lgs. 58/1998 (TUF) – Segnalazione di violazioni alla Banca d’Italia e alla Consob
1. La Banca d'Italia e la Consob ricevono, ciascuna per le materie di propria competenza, da parte del personale dei soggetti abilitati e delle relative capogruppo, segnalazioni che si riferiscono a violazioni riguardanti le norme della parte II, titolo I, II e III del presente decreto legislativo, nonché atti dell'Unione europea direttamente applicabili nelle stesse materie.
2. La Banca d'Italia e la Consob tengono conto dei criteri previsti all'articolo 8-bis, comma 2, lettere a) e b), e possono stabilire condizioni, limiti e procedure per la ricezione delle segnalazioni.
3. La Banca d'Italia e la Consob si avvalgono delle informazioni contenute nelle segnalazioni, ove rilevanti, esclusivamente nell'esercizio delle funzioni di vigilanza e per il perseguimento delle finalità previste dall'articolo 5.
4. Nel caso di accesso ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241,
7. Pressioni commerciali.
Il problema delle pressioni commerciali sui dipendenti è in crescente aumento e, in alcuni casi, ha già inciso pesantemente sul sistema di responsabilità professionale personale di quest’ultimi.
Analizzando la disciplina di riferimento, abbiamo visto che la normativa europea e la normativa nazionale di recepimento impongono il rispetto delle disposizioni sugli obblighi comportamentali nei confronti della clientela. Allo stesso modo, si è sottolineata la rilevanza della responsabilità diretta dei dipendenti nei casi di violazione di suddetta normativa. Ciò detto, è di fondamentale importanza comprendere quali siano effettivamente gli obblighi dei dipendenti nel rapporto di lavoro per evitare di incorrere in responsabilità a causa delle pressioni derivanti dalle direttive aziendali.
La disciplina sul dovere di diligenza del prestatore di lavoro impone il rispetto delle disposizioni imposte dal datore, rendendo pienamente legittima la predisposizione da parte del datore di budget aziendali di obiettivo. Ciò che però bisogna tenere in considerazione è che le caratteristiche proprie del lavoro dipendente impediscono al datore di lavoro di pretendere, come parte integrante della prestazione lavorativa, il raggiungimento degli obiettivi di budget. In altri termini, se è possibile per il datore richiedere al lavoratore dipendente di mettere a disposizione le proprie energie lavorative per raggiungere un risultato, non è altrettanto possibile richiedere che quel risultato sia raggiunto ad ogni costo.
Infatti, se così non fosse, si andrebbe a modificare l’obbligazione del lavoratore da obbligazione di mezzi, caratteristica del lavoro dipendente in obbligazione di risultato, caratteristica invece del lavoro autonomo. La disciplina relativa al lavoro subordinato non impone infatti al lavoratore il raggiungimento di un risultato quale parte integrante dell’obbligazione.
Art. 2094 c.c.
È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.
Lo stesso non può dirsi invece per le disposizioni che regolano la prestazione d’opera da parte dei lavoratori autonomi, che trova invece il suo fulcro nella necessità che gli stessi ottengano l’obiettivo pattuito con il datore di lavoro.
Art. 2222 c.c.
Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV.
Contro le considerazioni appena esposte, non vale neppure la previsione nella contrattazione collettiva51 delle disposizioni riguardanti il sistema incentivante, che, seppur legittime, non sono in grado di inserire gli obiettivi aziendali quale contenuto necessario della prestazione lavorativa La previsione di premi per il raggiungimento di determinati risultati si configura infatti come previsione unilaterale da parte del datore, non vincolando il lavoratore ai fini contrattuali.
Allo stesso tempo, però, sembra evidente che la predisposizione degli obiettivi da parte dell’azienda, data anche la rilevanza dei premi corrisposti al raggiungimento degli stessi, possa determinare delle consistenti problematiche sui lavoratori sotto diversi punti di vista.
In primo luogo, il lavoratore potrebbe sentirsi oppresso dal raggiungimento di tali obiettivi con corrispondente rischio della violazione della normativa a tutela della clientela e, altresì, corrispondente rischio di sottoposizione a responsabilità professionale personale per violazione degli obblighi legislativi e lavorativi.
Tale rischio può essere evitato imponendo al datore di lavoro di rispettare alcuni criteri nella predisposizione dei budget aziendali, attraverso la previsione di obblighi a carico del datore in tea di politiche salariali incentivanti, come è stato fatto, ad esempio, tramite il chiarimento a verbale contenuto nella contrattazione collettiva del credito.
Art. 51, CCNL ABI 31/03/2015 - CHIARIMENTO A VERBALE
Le Parti stipulanti ritengono opportuno che le imprese prevedano, nell’ambito dei sistemi incentivanti, anche obiettivi di qualità e che i sistemi incentivanti siano coerenti con i principi contenuti nella normativa comunitaria sui Mercati di Strumenti Finanziari (MiFID) e nelle disposizioni di vigilanza in tema di compliance, nonché nelle disposizioni di Banca d’Italia o dettati dalle competenti Autorità internazionali relativamente alla componente variabile dei sistemi di remunerazione.
In secondo luogo, deve essere inoltre sottolineata la rilevanza delle modalità attraverso le quali gli obiettivi di budget dovrebbero essere comunicati ai lavoratori.
Il CCNL del settore del credito impone infatti all’impresa di determinare gli elementi degli obiettivi in maniera oggettiva e trasparente, prevedendo inoltre la necessità che degli stessi sia data informazione alle associazioni sindacali prima della loro applicazione.
Non rientra sicuramente nella previsione di obiettivi oggettivi e trasparenti:
• la comunicazione di budget aziendali che non rispetti la forma scritta
• l’imposizione di direttive contrarie alla regolamentazione normativa dell’attività
• la comunicazione di budget aziendali fuori dell’orario normale di lavoro
51 Artt. 51, 52 e 53, CCNL ABI 31/03/2015 e art. 50, CCNL BCC 30/06/2014
In relazione alle politiche commerciali delle aziende, nella consapevolezza del rischio che si trovano a correre i dipendenti, la contrattazione collettiva del settore stabilisce che le imprese, nel perseguire gli obiettivi di risultato economico, pongano in essere le misure idonee a:
• favorire il rispetto di valori etici fondamentali quali la dignità, la responsabilità, la fiducia, l’integrità e la trasparenza;
• promuovere comportamenti coerenti con i principi sopra richiamati in riferimento alle attività di indirizzo, pianificazione, coordinamento e controllo delle politiche commerciali adottate, anche attraverso un’adeguata attività di informazione, formazione e sensibilizzazione;
• ricondurre ai predetti valori eventuali comportamenti difformi.
Nella sostanza, si tratta di principi ce devono guidare l’operato e l’organizzazione aziendale, anche allo scopo di prevenire che l’oppressione causata dalle pressioni commerciali incida negativamente sulla salute psico-fisica dei lavoratori.
Sotto un altro aspetto, infatti, non bisogna sottovalutare la rilevanza delle pressioni commerciali quale causa di stress nei confronti dei lavoratori, in violazione della normativa nazionale ed europea predisposta in tema di tutela della salute dei dipendenti.
Art. 2087 c.c.- Tutela delle condizioni di lavoro
L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Nell’ambito della tutela psico-fisica del lavoratore trova ormai tutela anche il danno da stress lavoro- correlato, ciò comportando la necessità che sia il datore di lavoro a prevenirne la nascita, attraverso la predisposizione di un’organizzazione aziendale adeguata e di direttive congrue e eque nei confronti dei lavoratori.
Lo stesso Decreto Legislativo sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro riconosce espressamente la categoria dello stress lavoro-correlato, dedicando apposite disposizioni nella parte relativa alla valutazione dei rischi che il datore deve predisporre.
Art. , comma 1, D.Lgs. 81/2008
1. La valutazione di cui all' articolo 17 , comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei miscele chimiche impiegate, nonche' nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 , nonche' quelli connessi alle differenze di genere, all'eta', alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro e i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, come definiti dall'articolo 89, comma 1, lettera a), del presente decreto, interessati da attivita' di scavo.
La stessa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione prevede l’imposizione al datore di lavoro determinati obblighi comportamentali nei confronti dei dipendenti.
MASSIMA – Cass. Civ., sez. lav., n. 3291/2016 – Danno da straining
Ai sensi dell'art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene" (cd. "straining"), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di "mobbing", è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno.
Cass. Civ., sez. lav., n. 3291/2016 – Danno da straining
Questo implica, [...], l'obbligo del datore di lavoro di astenersi da iniziative, scelte o comportamenti che possano ledere, già di per sè, la personalità morale del lavoratore, come l'adozione di condizioni di lavoro stressogene o non rispettose dei principi ergonomici, oltre ovviamente a comportamenti più gravi come mobbing, straining, burn out, molestie, stalking e così via, alcuni anche di possibile rilevanza penale.
Appare evidente che, oltre all’adempimento degli obblighi in tema di segnalazione delle violazioni, nel caso vi sia anche solo il sospetto di trovarsi in una delle situazioni su indicate, vi è la necessità di un immediato e diretto contatto con l’associazione sindacale di riferimento, la quale può guidare il lavoratore nella comprensione delle violazioni aziendali e nella scelta dei mezzi da utilizzare per far fronte a tali violazioni, sia a scopo preventivo, che a scopo di tutela del lavoratore a violazione già avvenuta.