LA MORA DEL DEBITORE E LA DIRETTIVA 2011/7/UE
LA MORA DEL DEBITORE E LA DIRETTIVA 2011/7/UE
§ INDICE
§ INTRODUZIONE
PARTE PRIMA
CAPITOLO I
LA DISCIPLINA DELL’OBBLIGAZIONE
TRA ELEMENTI COSTITUTIVI E PRINCIPI CODICISTICI
1.0. L’obbligazione: definizione e disciplina
1.1. Il «creditore» ed il «debitore»: articolazione ed astrattezza del rapporto giuridico
1.2. I principi codicistici della diligenza e della buona fede contrattuale nell’ambito della c.d. «cooperazione giuridica»
1.3. L’adempimento e l’inadempimento: esecuzione del rapporto obbligatorio
1.4. La mora debendi ed il ritardo nell’adempimento
1.5. Responsabilità contrattuale per inadempimento: l’art. 1223 c.c.
1.6. Profili generali sul risarcimento del danno
CAPITOLO II
LE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE IN PARTICOLARE. L’ADEMPIMENTO E L’INADEMPIMENTO: RILEVANZA E CONSEGUENZE GIURIDICHE
2.1. Tipi e modelli di obbligazioni: le obbligazioni pecuniarie in particolare
2.2. La mora debendi alla luce della rilevanza dell’interesse creditorio e del termine di adempimento
2.3. L’adempimento e le sue diverse articolazioni: adempimento tempestivo e adempimento tardivo
2.4. Segue: Configurabilità del ritardo nell’adempimento e sua incidenza all’interno del rapporto obbligatorio
2.5. Le pronunce della giurisprudenza (anche comunitaria) sulla nozione di
«ritardo»
2.6. L'art. 1223 c.c. sulla «responsabilità contrattuale» per inadempimento
2.7. Profili generali sul risarcimento del danno e sull’obbligazione risarcitoria quale alternativa modalità di estinzione delle obbligazioni
2.8. Sul principio di ragionevolezza applicato nella determinazione dell’obbligazione risarcitoria
CAPITOLO III
L’INADEMPIMENTO NELLA DISCIPLINA DELLE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE
3.1. La fattispecie dell’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie all’interno del Codice Civile e della Legislazione speciale: quali mutamenti in tema di interessi moratori?
3.2. Risarcimento del danno da «svalutazione monetaria» quale risarcimento del danno da inadempimento delle obbligazioni pecuniarie?
3.3. Disciplina, funzione e applicazione degli interessi di mora
3.4. Gli interessi moratori nella nuova disciplina: quali i riflessi nell'àmbito delle transazioni commerciali
PARTE SECONDA
Premessa
CAPITOLO IV
I RIMEDI GIURISDIZIONALI CONTRO I RITARDI DI PAGAMENTO
NELLE TRANSAZIONI COMMERCIALI NELLA PROSPETTIVA DEL DIRITTO EUROPEO
4.1. Un quadro d'insieme: la lotta contro i ritardi di pagamento nella prospettiva del c.d.
«Small Business Act»
4.2. La prima direttiva 2000/35/CE. Ratio ed obiettivi
4.3. La seconda direttiva 2011/7/UE: i motivi del cambiamento e quali modifiche
4.4. Una sintesi sui fondamentali istituti di contrasto introdotti
CAPITOLO V
LA LOTTA CONTRO I RITARDI DI PAGAMENTO NELLA DISCIPLINA ITALIANA DI RECEPIMENTO
5.1. I principali problemi interpretativi:
5.a). Àmbito di applicazione
5. 2. Le definizioni nella nuova normativa
5.3. Gli interessi moratori
5.4. Gli accordi «iniqui» ed il potere del Giudice
5.4. a) L'art. 7 del D. Lgs. 231/2002
5.4. b) L'art. 7 del D. Lgs. 192/2012
5.5. Il risarcimento dei costi di recupero
5.6. Sui rimedi giurisdizionali contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: in particolare il procedimento europeo di ingiunzione, disciplinato dal Regolamento CE n. 1896/2006
CAPITOLO VI
IL FENOMENO DEI RITARDI DI PAGAMENTO
6.1. Uno sguardo d'insieme: i dati dell'Italia e degli altri Stati membri dell'UE
a) l'ordinamento anglosassone: cenni storici ed evoluzione normativa
b) l'ordinamento spagnolo
CAPITOLO VII
CONCLUSIONI
§ APPENDICE
1. Direttiva 2000/35/Ce. 2. D. Lgs. 231 del 2002.
3. Direttiva 2011/7/Ue, del 16.02.2011, del Parlamento Europeo e del Consiglio (G.U. L. n. 48 del 23 febbraio 2011)
4. D. Lgs. n. 192/2012.
5. Schema riassuntivo delle modifiche.
§ BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
L’elaborato ha come campo di indagine l’istituto della mora del debitore e la nuova Direttiva 2011/7/UE che ha apportato significative modifiche sull’attuale assetto del rapporto obbligatorio, così come disciplinato all’interno del nostro Codice Civile.
Dapprima, il capitolo I è dedicato alla disciplina dell’obbligazione: successivamente alla sua definizione, l’attenzione è stata posta - in particolar modo - sui suoi elementi costitutivi al fine di comprendere come, all’interno della medesima, ruolo essenziale riveste la c.d. «cooperazione giuridica» tra creditore e debitore.
Questi ultimi sono, infatti, i protagonisti principali del rapporto obbligatorio; è la loro condotta che determina l’adempimento o l’inadempimento dello stesso.
Profili sui quali si sofferma invece il capitolo II che – facendo riferimento in particolare alle obbligazioni pecuniarie sulle quali dapprima è intervenuto il D. Lgs. 231/2002, modificato e sostituito dal D. Lgs. 192/2012 - altresì affronta la tematica della rilevanza dell’interesse creditorio; congiuntamente a quella dell’inadempimento (al cui interno rientra anche il «tardivo adempimento»).
Segue alla premessa normativa l’approfondimento sulla rilevante riforma intervenuta in materia di obbligazioni pecuniarie. Si tratta del D. Lgs. 231/2002 che, disciplinando appositamente la lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, è andato ad incidere sui profili sostanziali della generale disciplina del rapporto obbligatorio.
Si pensi ad esempio alla imputabilità dell’inadempimento, ai termini di pagamento nonché agli interessi di mora1.
Per non dimenticare poi la differenziazione dalla stessa operata tra transazioni commerciali tra imprese e transazioni commerciali tra imprese e Pubbliche Amministrazioni – cui il capitolo IV è dedicato.
In un’ottica di fondo in cui la finalità del D. Lgs. in esame è quella di impedire che le Pmi si trovino ancor più deboli all’interno del mercato giuridico in cui operano vuoi per la prassi diffusa dei ritardi di pagamenti nell’àmbito delle obbligazioni pecuniarie, vuoi per la crisi economico - finanziaria che soprattutto
1 In tema di interessi di mora, si veda, tra molti: X. XXXXXXXX, La disciplina degli interessi di mora e la normativa sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Strumentario Avvocati, 2010, 7-8, pp. 3-10.
in tempi recenti ne ha accresciuto le dimensioni ed accelerato la crescita.
Gli ultimi capitoli, infine, si incentrano sulle recenti modifiche apportate al D. Lgs. 231/2002, la cui disciplina è stata notevolmente riformata con l’emanazione in àmbito europeo della Direttiva 2011/7 ed il suo conseguente Decreto attuativo2 (D. Lgs. 192/2012).
Quest’ultimo, infatti, ha come obiettivo quello di rendere ancor più incisivo la lotta contro i ritardi di pagamento, il cui fenomeno negli ultimi anni è andato sempre più diffondendosi.
Il capitolo VI, invece, offre un esame comparato con gli altri Stati membri al fine di osservare se e con quali modalità la recente direttiva trova attuazione non solo nel nostro ordinamento giuridico.
Dal raffronto emerge chiaramente che, confermando quanto già in Inghilterra lo
«Small Business Act» aveva prospettato, in Italia il recepimento della direttiva è avvenuto in largo anticipo rispetto al termine iniziale.
E con essa rilevanti sono state le modifiche introdotte con il D. Lgs. 192/2012 vuoi sotto il profilo degli interessi moratori, vuoi per quanto attiene i termini di pagamento. Ma anche, infine, per quanto concerne la previsione della riserva di proprietà, del risarcimento dei costi di recupero nonché della disciplina delle clausole gravemente inique.
In conclusione, è proprio grazie alla comparazione con gli altri Paesi membri dell’Unione Europea che i giuristi, la giurisprudenza di merito e di legittimità, nonché gli studiosi del diritto, possono oggi interrogarsi sulla prospettiva che la nuova direttiva intenderà adottare e conseguentemente domandarsi anche quali saranno, dunque, i «nuovi» rimedi giurisdizionali.
Se e come saranno effettivamente in grado di ridurre il fenomeno dei ritardi di pagamento; alla luce anche dei problemi applicativi che inevitabilmente ogni nuova normativa determina.
2 Sulle modifiche al precedente D. Lgs. del 2002 e sulla atttuale normativa si sofferma X. XXXXXXX, Xxxxx contro i ritardi di pagamento nelle transazioni. Il nuovo decreto legislativo di modifica del d.lgs. 9 ottobre
CAPITOLO I
LA DISCIPLINA DELL’OBBLIGAZIONE
TRA ELEMENTI COSTITUTIVI E PRINCIPI CODICISTICI
1.0. L’obbligazione: definizione e disciplina
Fondamentale importanza rivestono, nell’àmbito delle relazioni patrimoniali, le
«obbligazioni».
«Il rapporto obbligatorio3 ha infatti assunto nel diritto patrimoniale moderno un ruolo tale da farlo assurgere a modello “tipico” di quel fenomeno – il rapporto giuridico – ancora oggi posto da una parte degli studiosi al centro delle relazioni giuridiche e dell’intera vita del diritto»4.
Autorevoli studiosi si sono soffermati sulla definizione: già Kuntze5 considerava l’obbligazione quale «creazione propria del genio romano», mentre X. Xxxxx0 ne contestava la derivazione romana.
Quella per la quale «Obligatio est iuris vinculum, quo necessitate adstringimur alicuius solvendae secundum nostrae civitatis iura»7.
«Il rapporto giuridico […] compare quale nozione base della costruzione teorica del diritto privato patrimoniale, ad esempio nel pensiero di Xxxxxxx0, e segnatamente come una proiezione della capacità di dominio sulle cose assegnata alla volontà individuale; come espressione, anzi, del “dominio parziale su atti altrui, pel quale diviene possibile e si attua quell’insieme di rapporti che noi chiamiamo commercio”»9.
«Chiamasi obbligazione il rapporto giuridico patrimoniale in forza del quale una persona ( che dicesi debitore ) è vincolata ad una prestazione verso altra persona
3 Sulla nozione di rapporto obbligatorio, antecedente all’attuale codice civile, si veda, tra tanti: X. XXXXXX,
Delle obbligazioni. Lezioni raccolte da Deiana, Torino, 1939; F. XXXXXXXX XXXXXX, Obbligazioni, (Parte generale), Lezioni redatte da Xxxxxxx Xxxxxxxxxx (Anno accademico 1903-1904) 2ª Ed., Roma, 1908. Si veda, invece, per la letteratura successiva all’introduzione del codice civile: X. XXXXX, Diritto delle obbligazioni, Torino, 1950; X. XXXXXXXX, Obbligazioni (nozioni generali), in Enc. dir. Milano, 1979; A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, Comm. del cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna – Xxxx, 0000.
4 U. BRECCIA – X. XXXXXXXXXX – F. D. BUSNELLI – X. XXXXXXXX – X.XXXXXX – M. L. LOI – X. XXXXXXXXXX – X.
XXXXXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXX, Diritto Privato, Parte Prima, Torino, Utet, 2003, p. 368.
5 X. XXXX XXXXXX, Die Obligationem in röm. und heut. Recht, Xxxxxxx, Xxxxxxx, 0000.
6 X. XXXXX, Obbligazioni (diritto civile), in Dig. It. (diretto da X. XXXXXXXX), Vol. XVI, Torino, Utet, 1905- 1910, p. 592.
7 Inst. 3. 13 pr. V Gai. 0.00.xx..
8 F. G. XXXXXXX, Das Obligationenrecht als teil des heutingen römischen Rechts, Berlin, 1851-1859.
9 X. XXXXXXX, Le istituzioni del diritto privato contemporaneo, Seconda edizione, Ristampa, Napoli, Jovene editore, 2010, p. 80.
( che dicesi creditore )»10.
La centralità della «prestazione» del debitore è l’elemento principale sul quale si sofferma l’attenzione della dottrina italiana, all’interno della quale nettamente si contrapposero, da un lato, posizioni classiche personaliste e dall’altro posizioni tradizionali.
Xxxxxxx Xxxxxx00, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx00, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx-Xxxxxx00 e Xxxxxxxx Xxxxxxxx furono, tra i tanti, i più importanti seguaci delle prime; mentre, nelle seconde Xxxxxxxxx Xxxxxxx00, Xxxxxxxx Xxxxxxx00, Xxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx de Xxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxx furono i principali esponenti.
Il legislatore del 1942 colloca, all’interno del Libro IV del codice civile, la disciplina delle «obbligazioni», ossia dei rapporti che intercorrono tra il creditore ed il debitore.
In esso «L’obbligazione diviene una figura concettualmente autonoma a prescindere dagli atti o fatti da cui essa scaturisce […]16».
00 X. XXXXXXX xxxxxxxx così le obbligazioni nel suo Corso su Le obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, Athenaeum, 1915. E sempre sul concetto rapporto obbligatorio si esprime anche C. M. BIANCA, in Diritto civile, IV, L’obbligazione, pubblicato in Milano nel 1991.
11 Tra i studiosi illustri della Scuola personalista troviamo X. XXXXXX. L’autore, in Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, Firenze, Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxx Editori Librai, Vol. I, 1976, pp. 13-14, definisce l’obbligazione come «vincolo di diritto fra due o più persone determinate, in virtù del qual vincolo, quella fra esse persone che riveste la qualità di creditore gode della facoltà di esigere che l’altra, il debitore dia, faccia o non faccia qualche cosa […] Quattro requisiti essenziali […] concorrono a costituire l’obbligazione: 1º un vincolo di diritto; 2º un subbietto attivo del diritto; 3º un subbietto passivo; 4º un fatto, o comunque voglia chiamarsi, una prestazione o un servizio che costituisca l’oggetto della obbligazione».
12 X. XXXXXXXXX, Diritto delle obbligazioni. Lezioni di diritto civile (Raccolte da Rubilli A. e Gianturco L.), Napoli, Xxxxx Xxxxxx Editore, 1904. L’autore, nelle pp. 7-13, definisce l’obbligazione come «rapporto giuridico, tra un subbietto attivo (creditore) e un subbietto passivo (debitore), il cui contenuto consiste in una prestazione positiva (dare o fare) o in una prestazione negativa (non facere)».
13 F. XXXXXXXX XXXXXX, Obbligazioni (Parte generale), Lezioni redatte da Xxxxxxx Xxxxxxxxxx (Anno accademico 1903-1904), 2ª Ed., Roma, 1908, p. 195: «Secondo il nostro concetto, l’obbligazione è un rapporto per la prestazione e alla prestazione. Guardando infatti alla prestazione dal lato attivo, vediamo che la pretesa del creditore si dirige alla prestazione, per avere la quale egli ha creato il rapporto obbligatorio; dal canto suo il debitore è costretto alla prestazione e a tale scopo egli s’è inteso obbligare. Questo nostro concetto risulta direttamente dalla stessa definizione di Xxxxx, combinata con quella che il Xxxxxx dava del diritto personale […] Xxxxx “Ius in personam est facultas competeus personae in personam ut haec aliquid dare vel facere tenetur”[…]».
14 F. FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, Vol. I, Xxxxxxxx generali, Parte I, Il diritto-i soggetti-le cose, Roma, Athenaeum, 1921, p. 376, dove si legge che l’obbligazione: «è un vincolo giuridico di carattere patrimoniale in forza del quale una persona ha diritto di esigere da un’altra una determinata prestazione» e che «“il diritto di obbligazione” dirigendosi “solo verso la persona del debitore […] è il diritto tipico relativo” che serve “a procurare il godimento di un bene che si aspetta” e “consiste nel poter esigere da altri la soddisfazione di un interesse economico, nel diritto ad ottenere una prestazione dal debitore”». L’Autore, nella medesima opera, aggiunge che: «Il creditore giunge al bene attraverso l’obbligato. La sostanza dell'’obbligazione infatti consiste nel dovere di questa persona […] il debitore ha la necessità giuridica d’adempierla esattamente, altrimenti risponde col suo patrimonio. Dietro il diritto d’esigere del creditore sta il diritto d’aggressione forzata dei beni dell'’obbligato. Peraltro, la persona del debitore non è nella sua totalità sottoposta alla signoria del creditore, ma in singole direzioni e lati: la sua libertà è sacrificata solo in tanto che riguarda la prestazione, ma egli rimane integro come soggetto giuridico».
15 X. XXXXXXX, in Le obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, Athenaeum, 1915, p. 23, dove si legge che: «nelle obbligazioni l’utilità cui mira il creditore gli dev’essere procurata dall’ opera di un’altra persona, cioè dalla prestazione del debitore. C’è dunque nell’obbligazione un elemento di più, cioè la persona del debitore, che funge da intermediario fra il titolare del diritto e l’oggetto a cui questo si indirizza».
16 X. XXXX, Le obbligazioni. Diritto sostanziale e processuale, Xxxx X, Caratteri generali, adempimento, inadempimento, Xxxxxxx editore, Roma, 12-13 maggio 2008.
E di essa il legislatore privilegia gli aspetti concreti di disciplina, sebbene non ne offra una espressa definizione all'interno del codice.
Purtuttavia, quest’ultima è ricavabile dalla nozione di «obbligo» quale situazione giuridica di svantaggio di un soggetto tenuto ad assumere un comportamento attivo od omissivo al fine di soddisfare l’interesse di un altro soggetto, denominato «creditore»17.
Quindi, nella dogmatica giuridica, la categoria «astratta» della obbligazione si produce sulla base della sequenza «libertà individuale - necessità di cooperazione18 - rapporto obbligatorio».
Il rapporto obbligatorio sussiste se ed in quanto sussiste una relazione intercorrente tra una situazione di svantaggio dell’obbligato, la cui cooperazione risulta indispensabile al fine di soddisfare l’interesse creditorio, ed una situazione giuridica di vantaggio, concretizzantesi nella facoltà di pretesa che consente al titolare di attivarsi per l’ottenimento della prestazione dovuta.
Anche ad avviso di Xxxxxxx «L’ “obbligazione” (da ob – ligare = “legare per”) è il vincolo giuridico per cui un soggetto debitore - è tenuto ad attuare un determinato comportamento – prestazione – a pro d’un altro soggetto – creditore” ove domina un dovere a carattere patrimoniale19 […]».
La definizione dell’obbligazione come «obbligo a contenuto patrimoniale» non appare però soddisfacente poiché di essa assume rilevante importanza anche il profilo della dinamicità.
Secondo l’orientamento di X. Xxxxx, infatti, all’interno del vincolo obbligatorio si realizza una confluenza del debito con la responsabilità20 che consente perciò di definire l’obbligazione quale «rapporto giuridico patrimoniale fra due persone,
17 Sulla relazione tra i due soggetti, quale elemento fondamentale del rapporto obbligatorio, si veda, in dottrina: X. XXXXXXX, Istituzioni di diritto civile, Milano, 1942; X. XXXXXX, Le nozioni fondamentali di diritto civile, Torino, 1958; F. MESSINESO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1957.
18 In merito alla nozione di «cooperazione» si osservi X. XXXXXXXXXX., in Studi di diritto civile, Roma, Athenaeum, 1916, I, pp. 525 – 617: «Cooperazione si ha, secondo me, non soltanto quando taluno opera per il raggiungimento di un fine altrui (per la soddisfazione di un bisogno altrui), ma in genere quanto taluno presta ad un altro perché questi soddisfi i propri bisogni, mezzi, che sono a disposizione di lui per il soddisfacimento dei bisogni suoi, cioè lascia impiegare da un altro per il raggiungimento di un suo fine i mezzi, che potrebbero esclusivamente impiegare per il raggiungimento di un fine proprio. Così il concetto di cooperazione implica da parte del cooperante piuttosto una attitudine passiva che una attitudine attiva; agisce chi si serve dei mezzi altrui, patisce chi gli consente che se ne serva ».
Sulla cooperazione si vedano, inoltre: X. XXXXXX, Xxxx accipiendi e cooperazione del creditore all'adempimento: principi tradizionali e recenti applicazioni, in Responsabilità civile e previdenza, 2012, 2, pp. 377-412; C.J. DORE, Riflessioni sulla natura giuridica della cooperazione del destinatario della prestazione oggetto del rapporto obbligatorio, in Rivista giuridica sarda, 2010, 1/1, pp. 25-37.
19 X. XXXXXXX, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Vol. II, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 1955, in partic. pp. 1 e 116.
20 Al proposito si veda: X. XXXXX, Diritto delle obbligazioni, Utet, 1950, dove l’autore ritiene necessario superare le ricostruzioni pandettistiche che costruivano l’obbligazione come scissione di debito e responsabilità.
in forza del quale, l’una (il debitore) è responsabile di fronte all’altra (il creditore) del verificarsi di un evento determinato (positivo o negativo), che, di regola è da lei dovuto (= prestazione)21».
Dinamicità che in Betti, dunque, è rinvenibile nella responsabilità quale «stato potenziale (stato di pericolo pel responsabile): uno stato cioè di cui le conseguenze giuridiche non sono realizzabili senz’altro, immediatamente, sin dal suo sorgere […]22».
Un profilo comune pare potersi affermare.
La presenza del creditore e del debitore; la pretesa, quale situazione giuridica, nel primo e la situazione di svantaggio nel secondo; la relazione funzionale e necessaria tra essi intercorrenti; nonché la necessità di cooperazione, costituiscono elementi caratterizzanti il diritto delle obbligazioni vuoi degli orientamenti dottrinali sin qui osservati vuoi dell'attuale fonte normativa.
Anche se, a ben guardare, al codice civile dobbiamo il merito di aver introdotto significative innovazioni soprattutto in merito alla fase «esecutiva» del rapporto obbligatorio, ovvero attinenti la sua corretta attuazione (art. 1175 c.c.); la vincolante attuazione dei «doveri morali o sociali» (art. 2034 c.c.) ed, infine, al principio di presunzione di solidarietà tra condebitori (art. 1294 c.c.) nell’attuazione del vincolo giuridico.
1.1. Il «creditore» ed il «debitore»: articolazione ed astrattezza del rapporto giuridico
«L’obbligazione, da questo punto di vista, può definirsi come un fascio di obblighi e di diritti reciproci, oppure più esattamente “un rapporto di cooperazione tra due situazioni giuridiche soggettive, o due soggetti”23».
Come sopra osservato, la presenza del «creditore» e del «debitore» caratterizza il vincolo obbligatorio, indipendentemente dalla fonte da cui esso origina, e la relazione che tra essi si instaura è una relazione funzionale e necessaria.
Ovvero, l’obbligo «gravante» nella sfera giuridica del debitore è posto in funzione del soddisfacimento del «credito» del creditore.
I soggetti del rapporto obbligatorio devono essere distinti. Essi sono
21 X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni (Struttura dei rapporti d’obbligazione), Vol. II, Milano, Xxxxxxx, 1953, p. 60.
22 X. XXXXX., op. ult. cit., pp. 32-35.
23 X. XXXXXXXXXXXXX – X. XXXXXXX, Le obbligazioni, Dogana (Repubblica di San Marino), Maggioli editore, 2008, p. 50.
normalmente individuati, ovvero individuati nella loro identità, anche se detta identificazione può derivare da indici esterni di carattere naturale o volontario24, da un presupposto legale25, nonché avendo riguardo alla titolarità di certi diritti26. Sul ruolo che il soggetto riveste all’interno del rapporto obbligatorio si sono, negli anni, registrate due teorie: la prima, c.d. «teoria della essenzialità27», che considera la figura del soggetto fondamentale; la seconda, c.d. «di non essenzialità28», che ritiene, invece, che detto soggetto non assuma un ruolo di essenziale importanza all’interno del vincolo obbligatorio.
Le situazioni giuridiche di cui sono titolari il singolo creditore ed il singolo debitore, in una configurazione semplice del vincolo obbligatorio – poiché tale configurazione può anche presentarsi soggettivamente complessa -, si pongono su un medesimo piano, ed oltreché costituire momenti essenziali del rapporto obbligatorio, determinano un’influenza reciproca.
Il rapporto obbligatorio si articola, perciò, sulla base di un modello paritetico: il diritto di credito, infatti, non sussiste fintantoché non sussiste una obbligazione; ed una obbligazione, viceversa, non può esistere se non esiste un diritto di credito.
Creditore non è unicamente e necessariamente il soggetto economicamente «più forte»: sempre più ampia diviene la categoria di «debitore» poiché sempre più numerosi divengono i rapporti «non volontari».
Mentre, infatti, la categoria negoziale si caratterizza per il precipuo rilievo attribuito alla autodeterminazione privata, il vincolo giuridico è connotato da astrattezza.
Da intendersi quest’ultima quale «indifferenza verso un tipo particolare di rapporto (di scambio) o di soggetti del rapporto, così come la forma teorica del ‘soggetto’ è indifferente rispetto ai diversi soggetti reali del commercio
24 Un esempio può ben essere rappresentato dalla fattispecie di cui all’art. 1401 c.c. (riserva di nomina del contraente), in cui: «nel momento della conclusione del contratto una parte può riservarsi la facoltà di nominare successivamente la persona che deve acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto stesso».
25 Detto presupposto può riferirsi, ad esempio, alla qualità di proprietario o di titolare di altro diritto reale di godimento su un bene immobile.
26 Si fa riferimento, a tal proposito, alle cc.dd. obbligazioni propter rem, ovvero di obbligazioni nelle quali la titolarità del diritto sulla cosa è un necessario presupposto legale di identificazione della titolarità del debito.
27 Questa teoria opera un richiamo all’art. 1253 c.c. (il quale stabilisce che, quando la qualità di debitore e di creditore si riuniscono nella stessa persona, l’obbligazione si estingue) al fine di confermare la tesi per la quale i soggetti del rapporto obbligatorio saranno, di regola, almeno due.
28 Tale teoria, seppur minoritaria, è stata sostenuta da XXXXXXXXX, PERLINGIERI che hanno fatto riferimento, invece, alle disposizioni di cui agli articoli 1254 e 1255, in tema rispettivamente di confusione rispetto ai terzi («la confusione non opera in pregiudizio rispetto ai terzi […]») e di riunione della qualità di fideiussore e di debitore.
giuridico, o come il ‘negozio’ è indifferente rispetto ai singoli contratti o atti giuridici»29.
L’astrattezza del rapporto obbligatorio è garantita dal requisito della patrimonialità: la prestazione oggetto di obbligazione ha contenuto patrimoniale, ovvero è suscettibile di valutazione economica, e consente di attribuire al rapporto obbligatorio una pluralità di funzioni socio – economiche: obbligazione quale strumento di organizzazione dei rapporti distributivi ed attributivi di ricchezza, quale strumento di reintegrazione dei diritti violati a seguito di un comportamento illecito, nonché obbligazione la cui fonte risiede nella legge.
Nonostante la molteplicità delle funzioni di cui sopra, il carattere patrimoniale della prestazione deve riferirsi inevitabilmente al mezzo con il quale l’interesse del creditore trova soddisfazione.
Ed è proprio tale carattere che consente di distinguere l’obbligazione in senso tecnico da altri obblighi giuridici, quali il diritto potestativo, l’onere ed il dovere. Infatti, mentre l’obbligo è specifico e determina l’adozione da parte del soggetto di un comportamento individuato e determinato30, il dovere giuridico è generico e può trovare estrinsecazione in forme diverse.
Ulteriore elemento «costitutivo» del rapporto obbligatorio è la prestazione.
La prestazione consiste nel comportamento che il debitore deve tenere in funzione del soddisfacimento dell’interesse31 del creditore, e la sua regolare attuazione fa conseguire a quest’ultimo un bene o, più in generale, una utilità o un risultato. Essa deve avere carattere patrimoniale.
Patrimonialità che, come emerge della Relazione al Re del codice civile, oltre che fungere da limite all’autonomia privata, viene connessa da autorevole dottrina al principio del risarcimento del danno.
L’attuale codice civile ha accolto la tradizione risalente alla versione codicistica del 1865, per la quale le obbligazioni vengono distinte nelle tre categorie di
29 X. XXXXXXX, Le istituzioni del diritto privato contemporaneo, Seconda edizione, Ristampa, Napoli, Jovene editore, 2010, p. 81.
30 In merito a tale distinzione la dottrina non è uniforme. Molti autori ritengono che la diversità delle due situazioni giuridiche risieda in altri presupposti, configuranti il dovere giuridico come comportamento di gravante sulla generalità dei consociati.
31 Ai sensi dell'’art. 1174 c.c. la prestazione del debitore deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale del creditore. In senso opposto si veda ad esempio X. XXXXXXX, Del pagamento con surrogazione, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 1988.
obbligazioni di dare32, obbligazioni di fare33 e di non fare34, nonostante esso abbia eliminato ogni riferimento alla categoria del dare per consentire, invece, l’introduzione del concetto di prestazione che ben può consistere anche nel trasferimento della proprietà o di un altro diritto.
Rientrano, infine, nel concetto di prestazione tutte le attività che appaiono necessarie in funzione del risultato utile per il creditore, anche se non previste esplicitamente.
In riferimento a questo ultimo profilo, merita ricordare come sulla nozione di
«utilità» la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi in numerose occasioni, anche alla luce del fatto che proprio in relazione alle risorse cc.dd. «immateriali» il problema della patrimonialità nella sua concretezza ha manifestato l'esigenza di trovare soluzione. Si pensi, ad esempio, al know-how, il cui contratto di cessione35 è stato ritenuto valido, consentendo così al principio di patrimonialità di trovare ampio sviluppo, ed alla prestazione di un servizio, il cui carattere patrimoniale viene accertato mediante la suscettibilità di valutazione economica.
1.2. I principi codicistici della diligenza e della buona fede contrattuale nell’ambito della c.d. «cooperazione giuridica»
Il Libro IV del c.c., nel disciplinare le «obbligazioni in generale», dedica espressamente al principio della correttezza e della diligenza le previsioni contenute negli articoli 1175 e 1176, norme generali che regolano la cooperazione tra il creditore ed il debitore e che governano il loro comportamento.
Il principio della correttezza è disciplinato dall’art. 1175 c.c. che così afferma:
«il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della
32 Nelle prestazioni di dare rientrano sia le prestazioni di consegnare, non produttive di effetti traslativi, sia le prestazioni che consistono nel trasferimento della proprietà o di altri diritti e che realizzano un effetto traslativo. Tra le obbligazioni di dare devono comprendersi anche le obbligazioni di garanzia, disciplinate dall’art. 1179 c.c., che così recita: «chi è tenuto a dare una garanzia senza che ne siano determinati il modo e la forma, può prestare a sua scelta un’idonea garanzia reale o personale, ovvero altra sufficiente cautela».
33 Nelle prestazioni di fare vengono ricomprese tutte le obbligazioni aventi ad oggetto il compimento di un’attività diversa dalla consegna. A tal proposito, si è soliti distinguere le obbligazioni di fare infungibili, nelle quali la prestazione è inseparabile dalla persona del debitore, dalle obbligazioni fungibili dove invece l’obbligazione non è intuitu personae.
34 Tali prestazioni sono denominate «negative» poiché il comportamento del debitore consiste in una astensione. Tipici esempi sono il divieto di concorrenza ex art. 2557 x.x. xxxxxx x’xxxxxxxxxxxxx, xx xxx. 0000 x.x., xx xxxxxx il contratto senza il consenso del locatore.
35 Si vedano, a titolo esemplificativo: X. XXXXXXX, «Know how e nuovo bilancio: appostazione alla voce brevetti o alla voce concessioni?», in Impresa n. 10/1992; X. XXXXXXXXXXX, Contratti di cessione e di uso know how e concorrenza sleale, in Contratto e Impresa, 2007,pp. 4-5; G. RESTA, Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Xxxxxxx Kluwer Italia, Milano, 2011. Per quanto attiene la giurisprudenza di legittimità: Cass. n. 1456/2013 e 5678/2013; n. 20422/2012 e 16641/2012.
correttezza»36.
Esso è inevitabilmente connesso con la disposizione di cui all’art. 1375 c.c., per la quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.
Applicando il principio della correttezza, il legislatore intende evitare che una parte possa pregiudicare l’assetto di interessi cui l’obbligazione è strumentale.
In tale direzione, infatti, deve leggersi la sentenza n. 22819 del 10.11.201037 della Corte di Cassazione, con la quale la medesima conferma la sentenza di merito di condanna di un Istituto di credito al risarcimento del danno per violazione del dovere di protezione38 del proprio cliente. Ad avviso della Suprema Corte i principi di correttezza39 e buona fede devono essere intesi, infatti, in senso oggettivo poiché enunciano un dovere di solidarietà40 che è in grado già di per sé di imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra. Ciò a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge.
In conclusione, dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere
- secondo l'orientamento giurisprudenziale - un danno risarcibile41.
Il rispetto delle regole della correttezza, perciò, obbliga il creditore a non rendere la prestazione «più disagevole o gravosa di quanto secondo buona fede possa attendersi42», trovando l’impegno solidaristico di cui sopra un limite precipuo nell’interesse proprio del soggetto «tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli
36 Detta norma ha subito una rilevante modifica con il D. Lgs. 287/1944 che ha soppresso il riferimento alla
«solidarietà corporativa» presente nel testo originale. Sulla solidarietà corporativa, infatti, si sono soffermati vari Autori: X. XXXXXXXXX, in L’ordinamento corporativo e il codice civile, in Riv. dir. comm., 1942 e C. A. XXXXXXX, in L’adempimento delle obbligazioni, in Tratt. di dir. Priv. X. XXXXXXXX, Xxxxxx, 0000.
U. BRECCIA, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1968; X. XXXXXX, La regola della correttezza e l’attuazione del rapporto obbligatorio, in Studi sulla buona fede, Milano, 1975;
X. XXXXXXX – X. X'XXXXXX, Xxxxx fede, in Enc. giur., Treccani, Roma, 1988 e X. XXXXXXXX, Buona fede obbiettiva e abuso del diritto, in Riv. trim., 1971, invece, sottolineano l'equiparazione del principio di correttezza al generale concetto di buona fede. Sulla cui evoluzione storica si legga CORRADINI, Il criterio della buona fede e la scienza del diritto privato, Milano, 1970, pp. 87 e ss. e sulla distinzione rispetto alla correttezza si veda X. XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, Prolegomeni: funzione economico – sociale dei rapporti d’obbligazione, Milano, 1953.
37 Detta pronuncia trova conferma in Cass. 27-10-2006, n. 23273 e Cass. Sez. Un. 25-11-2008, n. 28056.
38 Tale fattispecie trova giustificazione nel principio per il quale la buona fede oggettiva è divenuta con il tempo fonte di ulteriori obblighi rispetto a quelli assunti espressamente, quali ad esempio gli obblighi di protezione, la cui lesione determinerebbe il concorso tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale. In tal senso si veda, infatti, C. M. BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni. Art. 1218-1229, in Commentario del codice civile, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Zanichelli Editore – Soc. Ed. Foro Italiano, Bologna - Roma, 2ª ed., 1979, p. 80.
39 Emblematico in materia di dovere di correttezza appare il caso Fiuggi, deciso dalla Cass. civ., Sez. I, con la sentenza 20 aprile 1994, n. 3775, in Giust. Civ., I, 1994, 2159, con nota adesiva di M. R. XXXXXXX.
40 Si veda in tal senso, Cass. civ., Sez. III, sentenza n. 13345/2006; Id., Sez. II, sentenza 12644/2007; nonché Cass. civ., Sez. Un., sentenza n. 23726/2007.
41 Per una lettura della pronuncia si legga: Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, 00/00/0000, n. 22189 in Resp. civ. e prev., 2011, fascicolo n. 2, p. 336. Di medesimo avviso alla suddetta pronuncia è anche l'Autore X. XXXXXX, L’offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Milano, 1947, pp. 78 e ss..
42 Cass. 1-3-2000, n. 2252, rv. 534492.
atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico […]43».
Su questo principio la dottrina ha avuto modo di soffermarsi, individuando, appunto, tra gli obblighi gravanti sul creditore, la cooperazione all’adempimento da parte del debitore come obbligo fondamentale, nonostante altro autorevole orientamento ravvisi in esso una mera facoltà od un semplice onere.
In relazione al principio della «cooperazione giuridica» vengono a formarsi, dunque, differenti indirizzi giuridici.
Un primo indirizzo44 ritiene essenziale l’interesse del creditore all’interno del rapporto obbligatorio, tanto da escludere in capo allo stesso qualsiasi forma di obbligo di cooperazione.
Esso, però, è certamente criticabile, al pari dell’altro orientamento dottrinale che riconosce, invece, nel dovere di cooperazione un mero onere45 a carico del creditore.
Ed anche questa teoria però è soggetta a critica poiché, essendo l’onere una situazione giuridica soggettiva utile al perseguimento di un interesse proprio, manca di attribuire rilevanza alle esigenze debitorie.
Perdipiù, qualora il comportamento del creditore si concretizzasse effettivamente in un onere, la previsione di cui all’art. 1207 c.c. – che pone a carico del creditore che non coopera con il debitore un obbligo di risarcimento del danno – verrebbe meno, con la conseguenza che un onere al cui inadempimento derivi un obbligo di tal genere «imporrebbe di dover concludere o per una qualificazione di obbligo oppure per un significato affatto atecnico nel quale assumere il risarcimento46».
Una tesi intermedia, infine, non individua nella cooperazione né un vero e proprio obbligo né un vero e proprio onere.
Xxxxx richiama in campo la c.d. figura dell' «obbligazione senza prestazione»47, sostanziandosi in un generale obbligo di condotta riconducibile nei principi delineati con gli articoli 1175 e 1375 c.c..
43 Cass. 30-7-2004, n. 14605, rv. 57510.
44 Di tale avviso è X. XXXXXXX, La teoria generale delle obbligazioni, Xxxxxxx editore, 1963, p. 863.
45 A favore della prima teoria si vedano: C. M. BIANCA, Diritto civile, L’obbligazione, IV, Milano, 1991, p. 378; X. XXXXXXXX, La cooperazione del creditore all’adempimento, Milano, 1964, p. 56 e X. XXXXXX, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, Il comportamento del creditore, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da CICU – MESSINEO, Milano, 1974, pp. 48 e ss.
46 In X. XXXXXX, Interessi del debitore e adempimento, ESI, Napoli, 1995, p. 278.
47 Si veda, a tal proposito, X. XXXXXXXXXX, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in Le ragioni del diritto. Scritti in onore di X. Xxxxxxx, I, Diritto civile, Milano, 1995, pp. 147 e ss.
Xxxx, dunque, ravvisarsi nella cooperazione un vero e proprio obbligo, poiché l’inosservanza da parte del creditore è capace di produrre una lesione dell’affidamento riposto dal debitore circa la durata e le modalità del vincolo giuridico.
Ciò addirittura potrebbe determinare – come tuttavia non avviene - l’affermarsi della nuova disciplina del favor debitoris, che troverebbe ancoraggio nelle previsioni contenute negli articoli 1184 e 1286 c.c..
Venendo poi al principio della diligenza, occorre sin da subito rilevare come la norma di cui all’art. 1176 c.c. non può utilizzarsi per identificare il contenuto di un’obbligazione, bensì per individuare gli accorgimenti ed i mezzi nell’adempimento di essa48.
La diligenza indica la perizia, la sollecitudine, nonché l’impegno che il debitore pone in essere al fine di eseguire esattamente la prestazione dedotta in obbligazione, non potendo essa, dunque, identificarsi con la mera «buona volontà».
La disposizione deve poi necessariamente essere suddivisa, così come la lettura normativa della stessa impone di fare, in due parti: l’una, generale, quale principio generale che il debitore deve seguire nell’adempimento della propria obbligazione; l’altra, più specifica e particolareggiata, dedicata alle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale.
Nell’un caso, infatti, al debitore è richiesta la diligenza del «buon padre di famiglia49», parametro in base al quale viene commisurata la diligenza nell’attuazione del vincolo obbligatorio.
La diligenza di cui al Iº comma costituisce, così, un canone di comportamento, la misura dello sforzo che il debitore, inteso quale «uomo medio50», deve compiere al fine di adempiere alla propria obbligazione.
Diverso è, invece, il criterio di diligenza del IIº comma della medesima disposizione. Esso, in tal caso, fa riferimento alla natura dell'attività esercitata cui deve aversi riguardo soltanto nell’adempimento di obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività professionale.
In esse l’inadempimento del professionista non può desumersi ipso facto, ma
48 Principio affermato dalla Corte di Cassazione, con la sent. n. 1560/1998.
49 Cass. 11/1/51, n. 49: «Il buon padre di famiglia non è soltanto la figura del c.d. uomo medio, ma è il modello di cittadino avveduto, che vive in un determinato ambiente sociale, secondo i tempi, le abitudini, i rapporti economici e il clima storico-politico».
50 La formula di cui all’art. 1176 c.c. è stata ripresa dall’art. 1224 del codice civile del 1865, in cui per
«buon padre di famiglia» si faceva riferimento ad un uomo pieno di conoscenze e di esperienza. Con le successive elaborazioni tale criterio è divenuto sinonimo di «mediocrità».
«deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed, in particolare, del dovere della diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del tradizionale criterio della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, secondo comma, cod. civ., parametro da cui commisurarsi alla natura dell’attività esercitata […]51».
Mentre il principio di cui all’art. 1176 c.c. concerne soltanto la condotta del debitore, la correttezza - identificata sostanzialmente con la buona fede oggettiva
- costituisce, invece, parametro di valutazione del comportamento di entrambi i soggetti del rapporto obbligatorio.
Il principio della correttezza ed il principio della diligenza costituiscono, pertanto, le regole fondamentali riferibili al rapporto obbligatorio.
Essi costituiscono momenti indispensabili all’interno del rapporto obbligatorio: l’assenza di uno di essi fa sì che il vincolo obbligatorio non si consideri attuato, nonostante il creditore possa trovare soddisfazione in altre modalità ed il debitore possa considerarsi liberato dalla sua obbligazione.
In particolare, al principio della buona fede Xxxxxxxxx guardava quale «regola aurea del rapporto obbligatorio», nonché, riprendendo quanto affermato da Xxxxxxx, quale «uno dei polmoni del diritto positivo»52.
Che, ad avviso di una isolata opinione di giuristi, è capace anche di costituire la fonte di obblighi integrativi, detti anche «di protezione»53.
Per non dimenticare poi Xxx Xxxxxx, per il quale lo stesso principio «esplica la sua rilevanza soltanto nella fase di attuazione del rapporto obbligatorio» e pertanto «non è suscettibile di determinazione aprioristica», imponendo al giudice di valutare il comportamento del debitore e del creditore anche «sotto l’angolo visuale della sua congruità rispetto a certe esigenze, che le circostanze del caso possono rivelare»54.
1.3. L’adempimento e l’inadempimento: esecuzione del rapporto obbligatorio
51 In tal senso si pronuncia la Cassazione con la sentenza n. 583 del 13/1/2005.
52 X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1991.
53 X. XXXXX, Le obbligazioni senza prestazione, in Xxxxxxxx L., (a cura di), La struttura e l'adempimento, nel Trattato delle obbligazioni, diretto da Xxxxxxxx X. - Talamanca M., Padova, 2010; X. XXXXXXXXXX C., Obblighi di protezione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, XXI; C. W. XXXXXXX, Norme di protezione, obblighi del traffico, doveri di protezione, in Riv. dir. priv., 1983; X. XXXXXXX, Commento sub art. 1175 c.c., in CUFFARO V., Delle obbligazioni, nel Commentario del Cod. civ. diretto da Xxxxxxxxx X., Milano, 2012.
54 X. XXXXXX, L'attuazione del rapporto obbligatorio: il comportamento del debitore, Milano, Tratt. dir. civ. diretto da Xxxx - Xxxxxxxx, XX, 0000, p. 19.
L’attuazione del rapporto obbligatorio si concretizza nella esecuzione materiale delle prestazioni oggetto della pretesa creditoria e del comportamento dovuto dal debitore.
Essa costituisce parte centrale della c.d. «fase fisiologica» del vincolo giuridico, alla quale sono riferibili non solo le regole della correttezza e della diligenza nel senso sopra analizzato, ma anche quelle disciplinate dagli articoli 1177 e seguenti del c.c., relative alle modalità oggettive di adempimento ed alle condotte che debitore e creditore devono osservare nell’attuare il vincolo giuridico.
Sono proprio questi elementi che consentono, dunque, di distinguere l’adempimento, quale causa estintiva dell’obbligazione e l’inadempimento, quale mancato o inesatto adempimento della prestazione.
Dal punto di vista funzionale, l’adempimento consente un contemperamento tra l’interesse del creditore ad ottenere soddisfazione del proprio credito e l’interesse del debitore ad ottenere la liberazione dal vincolo giuridico55.
Il nostro codice civile non offre una definizione di «adempimento», alla quale è giunta la dottrina mediante tre approcci differenti.
Il primo, storico56, opera un ancoraggio al diritto romano, in cui il vincolo giuridico sussistente tra creditore e debitore poteva venir meno solo mediante l’atto formale della solutio.
Il secondo approccio, etimologico57, ritiene che l’adempimento coincida con il tenere da parte del debitore una condotta corrispondente a quella imposta da una norma.
Infine, l’approccio sistematico opera un rinvio all’art. 1218 c.c. in tema di responsabilità del debitore, ed afferma che il debitore, a contrariis, è adempiente tutte le volte in cui esegue la prestazione in maniera esatta58.
A tal proposito, appare inevitabile porre attenzione sul comportamento che il creditore deve tenere, al fine di consentire l’esatto adempimento del rapporto obbligatorio.
55 L'interesse del debitore alla liberazione risiederebbe nella ratio della norma di cui all'art. 1206 c.c., la cui conseguenza sarebbe appunto l'estizione dell'obbligazione secondo, come anche, X. XXXXXX, in L’adempimento indiretto del debito altrui. Disposizione “novativa” del credito ed estinzione dell'’obbligazione, Napoli, 1968, p. 17.
56 X. XXXXXXXXXX – G. DE MARZO , Manuale di diritto civile, II, Le obbligazioni, Xxxxxxx editore, 2007, p. 263.
57 X. XXXXX, Manuale di diritto civile, Cedam editore, 2009, p. 383.
58 Tale impostazione può essere desunta tra i molti: G. OSTI, Scritti giuridici, 1, Milano, 1975; ID, Deviazioni dottrinali in tema di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
Egli esercita la sua pretesa con la richiesta di adempimento59 e con il ricevimento della prestazione.
Il creditore può normalmente esigere la prestazione alla scadenza del termine60 stabilito per l’adempimento; tuttavia, quest’ultimo può essere richiesto prima della scadenza in presenza di termine stabilito a favore del creditore od immediatamente, qualora non sia stato fissato né sia determinabile alcun xxxxxxx00.
Nel caso di ricevimento della prestazione, l’estinzione del rapporto obbligatorio si verifica nel momento in cui la prestazione è esatta, ovvero conforme, per quantità e qualità, a quanto previsto nel titolo.
Il creditore è legittimato, ai sensi dell’art. 1181 c.c., a rifiutare un adempimento parziale, anche se la prestazione è divisibile, salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente; esso non è neppure tenuto a ricevere una prestazione qualitativamente inesatta62.
Qualora, invece, lo stesso rifiuti di ricevere una prestazione esatta63, ovvero non compia quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere la propria obbligazione, l’ordinamento, mediante l’istituto della mora del creditore, consente al debitore di liberarsi attraverso modalità diverse dall’adempimento, disciplinate dagli articoli 1206 – 1217 c.c..
Il rifiuto del creditore è giustificato solo se sussiste un motivo legittimo, intendendosi per esso una ragione inerente alla sfera del creditore; affinché, infatti, possa verificarsi la mora del creditore64 occorre che il debitore proceda
59 Alla richiesta di adempimento possono essere attribuite diverse funzioni: quella di stimolare il debitore affinché esegua tempestivamente la prestazione, intimando o diffidando il debitore ad adempiere o quella di consentire anche di impedire l’automatico effetto risolutivo nei contratti a prestazioni corrispettive.
Essa deve avere la forma scritta ed al momento della richiesta di adempimento il creditore deve essere pienamente capace di agire, mentre è sufficiente la capacità di agire relativa quando la richiesta di adempimento concerne la riscossione di frutti.
60 Il termine costituisce un limite all’esercizio del diritto del creditore, che potrebbe così effettuare una richiesta fatta «ora per allora», ovvero la richiesta potrebbe essere inoltrata in un momento anteriore all’esigibilità della prestazione.
61 La suestesa fattispecie è disciplinata dall’art. 1183, I° comma c.c..
62 L’inesattezza può riguardare la funzionalità della prestazione o l’essenza della stessa. Accanto ad esse può poi verificarsi una ipotesi di irregolarità, ex art. 1192 c.c., poiché il debitore potrebbe, ad esempio, eseguire il pagamento con cose di proprietà di terzi oppure con cose cui lo stesso non poteva disporre.
63 Diversamente avviene nel caso di assegno bancario e di cambiale poiché al portatore di detti titoli è preclusa la possibilità, ai sensi degli articoli 37, II° c. del r.d. 1736 del 1933 e 45, II° c. del r.d. 1669 del 1933, di rifiutare un adempimento parziale.
64 Sulla mora credendi si sono soffermati, tra gli altri, X. XXXXX, La mora del creditore, Catania, 1905; X.
XXXXXXXX, Della mora del creditore, Artt. 1206-1217, in Comm. cod. Civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna – Roma, 1973; X. XXXXXXXX, Mora del creditore, in Enc. dir., Milano, 1976; X. XXXXXXXXX XXXX, Mora del creditore, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990; X. XXXXXXXXX, Mora del creditore, in Nuovo dig. it.;
X. XXXXXXXXX, Mora del creditore, in Tratt. dir. priv., Xxxxxxxx, Torino, 1984; X. XXXXXX, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, Il comportamento del creditore, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da CICU – MESSINEO, Milano, 1974; X. XXXXXXX (a cura di), Della mora del creditore - artt. 1173 -1217, in
all’offerta65 della prestazione secondo le modalità indicate negli articoli 120866, 120967, 121668 e 121769 del codice civile.
Affinché si producano gli effetti della mora, decorrenti dal momento in cui è stata fatta l’offerta, è necessario che essa venga accettata senza riserve dal creditore oppure convalidata.
L’adempimento, dunque, si concretizza nella esatta esecuzione della prestazione dovuta da parte del debitore che, perciò, svolge un’attività materiale70 conforme a quanto stabilito nel titolo.
In altre parole, l’adempimento può costituire atto giuridico in senso stretto ma può anche assumere la struttura dell’atto di autonomia privata, nelle ipotesi per le quali la prestazione consiste nella stipulazione del contratto.
Per quanto attiene alle modalità oggettive dell’adempimento, occorre ricordare come esso debba essere eseguito dal debitore al momento della richiesta del creditore - se il termine non è stabilito - oppure alla scadenza del termine; mentre, nel caso di fissazione di un termine opera la previsione di cui all’art. 118471 c.c..
65 La regolare attuazione del rapporto obbligatorio si realizza nel momento in cui la prestazione è esattamente adempiuta dal debitore, anche se non può escludersi che sia un soggetto terzo estraneo al debitore ad offrire la prestazione in sostituzione di quest’ultimo. Ed in tali fattispecie l’art. 1180 c.c. stabilisce che il creditore può rifiutare l’adempimento del terzo solo se la prestazione è oggettivamente o anche soggettivamente infungibile. La prestazione effettuata dal terzo soddisfa l’interesse del creditore ma non comporta necessariamente l’estinzione dell'obbligazione.
Sulla figura dell’«adempimento del terzo» gli studiosi si sono a lungo soffermati poiché di significativo peso si sono dimostrate le difficoltà di qualificazione dell'atto di adempimento.
66 L’art. 1208 c.c. disciplina i «requisiti per la validità dell'’offerta» e stabilisce che: «affinché l'offerta sia valida è necessario: 1) che sia fatta al creditore capace di ricevere o a chi ha la facoltà di ricevere per lui;
2) che sia fatta da persona che può validamente adempiere; 3) che comprenda la totalità della somma o delle cose dovute, dei frutti o degli interessi e delle spese liquide, e una somma per le spese non liquide, con riserva di un supplemento, se è necessario; 4) che il termine sia scaduto, se stipulato in favore del creditore; 5) che si sia verificata la condizione dalla quale dipende l’obbligazione; 6) che l’offerta sia fatta alla persona del creditore o nel suo domicilio; 7) che l’offerta sia fatta da un ufficiale pubblico a ciò autorizzato. Il debitore può subordinare l'offerta al consenso del creditore necessario per liberare i beni dalle garanzie reali o da altri vincoli che comunque ne limitino la disponibilità».
67 L’art. 1209 c.c. disciplina l’offerta reale e l’offerta per intimazione. La prima si ha nel caso di obbligazione avente ad oggetto denaro, titoli di credito, ovvero cose mobili da consegnare al domicilio del creditore.
L’offerta per intimazione si realizza, invece, se oggetto di obbligazione sono cose mobili da consegnare in luogo diverso: in tal caso, l’offerta consiste nell’intimazione fatta al creditore di riceverle.
68 La disposizione di cui all’art. 1216 c.c., rubricato «intimazione di ricevere la consegna di un immobile» indica le modalità con cui l'intimazione deve essere fatta - nella forma prescritta dal II° comma dell'art. 1209 c.c. - e, nel caso specifico della consegna di un bene immobile, l'offerta consiste nella intimazione al creditore di prenderne possesso.
69 L’art. 1217 c.c., disciplinando le «obbligazioni di fare», individua, invece, le modalità di costituzione in mora mediante l'intimazione - nelle forme di uso - di ricevere la prestazione o di compiere gli atti che sono necessari per rendere possibile la prestazione di fare.
70 In tal senso può dirsi che il comportamento del debitore è dovuto o necessitato e la mancata attuazione del rapporto obbligatorio da parte dello stesso farà sorgere una responsabilità contrattuale o per inadempimento.
71 Il termine, in tal caso, potrà essere posto a favore del debitore, a favore del creditore o a favore di entrambi. Se esso è fissato a favore del primo, posto che il termine si presume a favore del debitore se non fissato in favore del creditore o di entrambi, il creditore non potrà né rifiutare la prestazione né pretendere un adempimento anticipato. Se il termine, invece, è fissato a favore del creditore, questi potrà esigere la prestazione prima della scadenza, ma potrà anche legittimamente rifiutare un adempimento anticipato.
In merito, invece, al luogo di adempimento della prestazione, esso, ai sensi di quanto sancito dall’art. 118272 c.c., solitamente è determinato dal creditore e dal debitore; ed ove il titolo non stabilisca alcunché in merito ad esso, occorrerà riferirsi agli usi di carattere normativo nonché alla natura della prestazione o ad altre circostanze.
Le modalità soggettive di adempimento sono, invece, disciplinate dagli articoli 118873, 118974 e 119075 del codice civile.
Come osservato nel paragrafo precedente, la cooperazione76 giuridica assume ruolo rilevante anche, e soprattutto, nella fase esecutiva del rapporto obbligatorio.
La stessa può, infatti, risultare necessaria per consentire l’adempimento del debitore, con sua conseguente liberazione dal vincolo.
Diverse poi saranno le conseguenze del comportamento del creditore.
A tal proposito, la disposizione di cui all’art. 1206 c.c. costituisce la norma di apertura della Sezione III del Titolo I del Libro IV del codice civile, dedicata alla
«mora del creditore».
Detta norma, posta al fine di evitare che il creditore riversi sul debitore costi e rischi del ritardo nell’adempimento, dispone le condizioni in presenza delle quali
che la prestazione sia eseguita non prima della scadenza del termine, e possono rifiutare un adempimento anticipato. Vi è poi la previsione dell’art. 1186 del codice civile che disciplina la decadenza del beneficio del termine stabilito a favore del debitore, con la conseguenza che il creditore può immediatamente esigere la prestazione, nei casi in cui il debitore diviene insolvente; quando esso diminuisce, per fatto proprio, le garanzie che aveva prestato o quando non offre le garanzie che aveva promesso.
72 Tale disposizione prevede, al II° comma, che l’adempimento di una obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata deve avvenire nel luogo dove la cosa si trovava al momento in cui è sorta l’obbligazione; il III° comma della medesima disposizione prevede quale luogo di adempimento il domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza, per le obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro (c.d. obbligazioni «portables»); mentre, in ogni altro caso, ai sensi del IV° comma dell’art. 1182 c.c., l’obbligazione va adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza (c.d. obbligazione
«quérable»).
73 L’art. 1188 c.c., nel disciplinare il destinatario del pagamento, individua in esso (I° comma) il creditore o suo rappresentante, ovvero la persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverlo. Nel secondo comma precisa poi che il pagamento effettuato a chi non era legittimato a riceverlo libera il debitore solo se il creditore ne ha approfittato o lo ha ratificato.
74 L’art. 1189 c.c. disciplina, infine, il «pagamento al creditore apparente». Qualora il debitore abbia effettuato il pagamento in favore di chi appare legittimato a riceverlo secondo circostanze univiche solo se prova di essere stato in buona fede può considerarsi liberato dall'obbligazione. La restituzione verso il creditore da parte di chi ha ricevuto il pagamento avverrà poi in base alle regole stabilite per la ripetizione dell'indebito.
75 In merito al «pagamento al creditore incapace», l'art. 1190 c.c. dispone che il debitore non è liberato in caso di pagamento fatto a creditore incapace di riceverlo, a meno che non sia in grado di provare che il pagamento è stato rivolto a vantaggio dell'incapace.
76 Con la sentenza n. 809 del 1986 la Corte di Cassazione ha osservato in merito alla nozione di
«cooperazione» che: «il dovere del creditore di cooperare, se necessario, in relazione alla natura della prestazione, all’adempimento del debitore, non costituisce vera e propria obbligazione del creditore nei confronti di quest’ultimo, ma si configura, invece, come un mero dovere strumentale rispetto all’adempimento stesso, senza che per esonerarsi dalle conseguenze della violazione del suddetto dovere il creditore possa invocare l’impossibilità sopravvenuta per causa a lui non imputabile a norma dell'art.
si verifica la mora del creditore: «il creditore è in mora77 quando, senza motivo legittimo, non riceve il pagamento offertogli nei modi indicati dagli articoli seguenti o non compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l’obbligazione».
Gli effetti della mora del creditore sono disciplinati dall’art. 1207 c.c., il quale dispone, al Iº comma che: « […] è a suo carico l’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore. Non sono più dovuti gli interessi né i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore».
Il terzo effetto produttivo, infine, obbliga il creditore al risarcimento dei danni derivanti dalla sua mora ed a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.
Ancora una volta dunque, occorre ribadire come la disciplina sulla mora consente di contemperare le esigenze del debitore diligente con quelle del creditore non cooperativo, in maniera tale da soddisfare l’interesse specifico di ciascuno di essi.
Veniamo adesso all’analisi della disciplina dell’inadempimento e della responsabilità.
Il regime generale di responsabilità previsto dall’ordinamento italiano viene posto dal legislatore italiano con l’obiettivo di rimediare a fatti o comportamenti del debitore lesivi dei diritti del creditore.
Con il termine «inadempimento78» si fa riferimento alla mancata o inesatta attuazione della prestazione da parte del debitore.
L’art. 1218 c.c., dedicato appunto alla «responsabilità del debitore», si riferisce sia all’inadempimento totale (mancata esecuzione), sia all’inesatta79, parziale o tardiva esecuzione della prestazione.
Sempre detta norma contiene due principi in tema di responsabilità contrattuale:
1) il debitore è tenuto al risarcimento del danno in caso di mancata o di inesatta
77 La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 505 del 1965 ha osservato come «a norma degli artt. 1206 e segg. cod. civ. deve escludersi che possa sussistere una mora del creditore anteriore al giorno dell'’offerta compiuta ai sensi dell'art. 1208 e segg. cod. civ.» e con la sent. n. 3843 del 1969, si è pronunciata in merito alla costituzione in mora: «ai fini della costituzione in mora del creditore, non vale il principio dies interpellat pro homine, dettato per la mora del debitore».
78 Cass. sentenza n. 88/1960: «L’inadempimento, sia esso definitivo o temporaneo, totale o parziale, presuppone sempre una prestazione “dovuta” di un debitore, cioè l’esistenza di un’obbligazione, di un debito certo ed incontroverso nel suo titolo, ancorché incerto nel suo ammontare. L’incertezza sull’an debeatur, risolvendosi in incertezza sull’esistenza stessa dell'obbligazione, importa la giuridica impossibilità di configurare una prestazione “dovuta”, e quindi, un inadempimento o una mora solvendi».
79 Inesatta è la prestazione qualitativamente e quantitativamente difettosa; quella eseguita in luogo diverso da quello pattuito o normativamente previsto oppure consegnando cose di cui il debitore non poteva disporre; quella eseguita tardivamente nonché quella eseguita a creditore incapace di riceverla. In relazione alla distinzione «inadempimento» e «inesatto adempimento», la Corte di Cassazione, con la sentenza n.
esecuzione della prestazione dovuta;
2) il debitore non è responsabile qualora provi che l’interesse del creditore è rimasto insoddisfatto per la sopravvenuta impossibilità80 della prestazione e che tale impossibilità non derivi da causa a lui non imputabile81.
L’applicazione della disposizione in oggetto costituisce, dunque, il risultato di un giudizio complesso poiché il giudice dovrà, dapprima, procedere ad una ricostruzione del rapporto obbligatorio, determinare poi il contenuto della prestazione ed avere, infine, riguardo alla diligenza osservata dal debitore.
La buona fede/correttezza costituisce, ancora una volta, criterio principale nella valutazione dei comportamenti reciproci tenuti dal creditore e dal debitore nello svolgimento dell’attività obbligatoria, tenuto conto anche degli elementi specifici del caso.
1.4. La mora debendi ed il ritardo nell’adempimento
Una particolare ipotesi di inadempimento è costituita dal ritardo nell’adempimento, fattispecie nella quale la tutela giuridica nei confronti del creditore si sostanzia nella disciplina della mora del debitore82, volta a determinare una anticipata tutela nei confronti del creditore.
La situazione del ritardo nell’adempimento trova collocazione nell’art. 1218 c.c., norma che inevitabilmente deve coordinarsi con la previsione del successivo art.
80 Nel caso in cui l’impossibilità si specifichi con riguardo alla concreta individuazione dell'obbligo assunto dal debitore, occorrerà analizzare le diverse tipologie di prestazioni.
Nelle obbligazioni di dare una cosa determinata solo nel genere, il principio «genus non perit» deve essere applicato alla concretezza del singolo rapporto, con la conseguenza che rimarrà sempre la possibilità di operare una valutazione del contegno dei soggetti del rapporto obbligatorio in termini di correttezza.
Nelle obbligazioni di consegnare una cosa specifica il problema si pone sull’imputabilità o meno al debitore della causa della impossibilità.
Nelle obbligazioni di fare, invece, sarà il titolo a specificare la portata dell'obbligo assunto dal debitore ed a stabilire quali sono i mezzi con i quali il debitore deve adempiere.
Nelle obbligazioni di non fare, infine, il giudizio di impossibilità non imputabile è configurabile e non può essere esclusa una valutazione di inesigibilità della prestazione.
81 Il principio di cui sopra può definirsi «negativo» nel senso che affinché il debitore si liberi da responsabilità non sarà sufficiente per esso dimostrare di essere stato diligente, ma dovrà dare specifica dimostrazione della causa specifica che non ha consentito l’adempimento e della conseguente non imputabilità di essa alla sua condotta. L’onere della prova ex art. 2697 c.c. sarà, dunque, così distribuito: il creditore che agisce in giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni dovrà provare il fatto costitutivo del suo diritto, mentre spetterà al debitore dimostrare quanto sopra.
82 Della mora del debitore si sono occupati, tra tanti Autori: X. XXXXXXXX, La costituzione in mora del debitore, Milano, 1968; X. XXXXXX – X. XXXXXXXXX XXXX, Xxxx accipiendi e mora debendi, Milano, 1975; X. XXXXXXXXXX, L’inadempimento, Milano, 1975; X. XXXXXXXXX, Inadempimento e mora del debitore, in Cod. civ. Commentario Xxxxxxxxxxx, Milano, 1987; X. XXXXXXXXX, La costituzione in mora del debitore, Milano, 1957;
X. XXXXXXXXX, Il maggiore danno da "mora debendi" nelle obbligazioni pecuniarie, in La Responsabilità Civile, 2009, 2, pp. 141-150; X. XXXXXXXXX, Indempimento e mora del debitore, 2ª ed., Xxxxxxx, Milano, 2006;
X. XXXXXXXX, La diffida ad adempiere, in Il diritto privato oggi, serie a cura di Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx editore, Milano, 2007, p- 215; X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile. Volume secondo, Terza edizione, Xxxxxxx Kluwer, Cedam, Milanofori Assago (MI), 2015.
1219 c.c..
Quest’ultimo afferma, al Iº comma, che la costituzione in mora del debitore avviene mendiante intimazione o richiesta fatta per iscritto. Da questo momento, dunque, il creditore assegna al debitore un termine per adempiere, decorso il quale lo stesso vedrà applicarsi i rimedi propri dell’inadempimento.
I casi in cui la costituzione in mora non si renderà necessaria vengono individuati dal IIº comma dell’art. 1219 c.c. nel debito derivante da fatto illecito; nella dichiarazione per iscritto del debitore di non voler eseguire l’obbligazione e nella scadenza del termine, qualora la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore.
La conseguenza più significativa della mora debendi83 consiste nel passaggio - o trasferimento - del rischio dal creditore al debitore in mora, il quale sarà tenuto, indipendentemente da inadempimento qualificato o meno, al risarcimento del danno.
Il debitore non può considerarsi, infatti, liberato dall'obbligazione assunta per l’impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, qualora non provi che l’oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore.
Tale prova è preclusa, invece, al debitore quando la prestazione è costituita dalla consegna di una cosa illecitamente sottratta: in tal caso, all’obbligazione di restituire il valore della cosa deve aggiungersi quella relativa al risarcimento dei danni.
L’art. 1224 c.c. regolamenta un ulteriore effetto della disciplina della mora nell’àmbito delle obbligazioni pecuniarie, consistente nella corresponsione degli interessi84, aspetto al quale sarà dedicato in proseguio apposita trattazione.
Per quanto attiene alle obbligazioni per le quali la mora si può configurare ex persona, si determina in esse l’effetto di interruzione del termine di prescrizione,
83 Sulla mora debendi si vedano, tra molti: X. XXXXX, La mora debendi nel sistema della responsabilità per inadempimento, in Rivista di diritto civile, 2010, 1/1, pp. 69-80; X. XXXXX, Momento della determinazione del danno e mora del debitore, in Rivista di diritto civile, 2010, 3/2, pp. 245-279; X. XXXXXXX, Spunti in tema di obbligazione negativa e mora del debitore, in Rassegna di diritto civile, 2010, 4, pp. 1205-1226.
84 Sulla natura degli interessi moratori si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9703 del 1998 (conf. Cass. n. 4359 del 1997), nella quale si legge come: «Nelle obbligazioni pecuniarie, gli interessi moratori accordati al creditore ai sensi del comma primo dell'art. 1224 cod. civ. hanno funzione risarcitoria, rappresentando il ristoro, in misura forfettariamente predeterminata, della mancata disponibilità della somma dovuta. Pertanto, qualora, in relazione alla domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno ai sensi del comma secondo del citato art. 1224 cod. civ., si provveda alla rivalutazione del credito, non possono essere pretesi gli interessi moratori sulla somma rivalutata, poiché in tal caso si verificherebbe l’effetto di far ricevere due volte al creditore la liquidazione dello stesso danno. Solo a partire dalla data della liquidazione, spettano gli interessi sull’intera somma liquidata, perché da tale momento questa costituisce un tutto inscindibile, e deve, quindi, essere considerata unitariamente».
che, ai sensi dell’art. 2943, IV° comma c.c., è operata da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore.
Nei contratti a prestazioni corrispettive, infine, la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta non può essere richiesta dal contraente – debitore in mora nell’adempimento della prestazione divenuta eccessivamente onerosa.
Tuttavia, non sempre il debitore può essere considerato in mora: si pensi a quanto dispone, infatti, l'art. 1220 c.c., per il quale «il debitore non può essere considerato in mora, se tempestivamente ha fatto offerta della prestazione dovuta anche senza osservare le forme indicate nella sezione III del precedente capo85, a meno che il creditore l’abbia rifiutata per un motivo legittimo».
Vi sono poi due specifiche situazioni giuridiche in cui la mora cessa: la prima si verifica quando il ritardo qualificato si traduce in un inadempimento definitivo; la seconda si realizza, invece, quando di fronte ad un inadempimento tardivo il debitore, oltre alla prestazione originaria, è altresì tenuto al risarcimento del danno.
La purgazione86 della mora avviene, infine, qualora il creditore, mediante un atto dispositivo, rinuncia alla mora rimettendo in termini il debitore.
1.5. Responsabilità contrattuale per inadempimento: l’art. 1223 c.c.
Come sopra osservato, assume rilevante importanza il diritto al risarcimento del danno in capo al creditore, in conseguenza della lesione del suo diritto di credito. Ciò costituisce il fulcro intorno al quale muove, appunto, la disciplina già esaminata in relazione alla previsione normativa di cui all’art. 1218 c.c.. A tal guisa, occorre però precisare che il risarcimento del danno87 de quo può trovare
85 In merito alla offerta de qua, detta anche «offerta irrituale», si è pronunciata la Corte di Cassazione la quale, con una sentenza del 1987 (n. 5710), ha rilevato come «mentre l’offerta formale della prestazione, prevista dagli artt. 1206 e seguenti del codice civile, costituisce la prima fase di un procedimento che conduce alla mora del creditore e alla liberazione del debitore dal vincolo obbligatorio, l’offerta irrituale o non formale, contemplata dall’art. 1220 cod. civ., allorquando manchi un legittimo motivo di rifiuto a riceversi la prestazione, non produce gli stessi effetti, ma è tuttavia idonea ad escludere l’inadempimento del debitore».
Con la sentenza n. 25155 del 2010 la Corte di Cassazione si è soffermata poi sui requisiti dell'’offerta non formale che: « […] esclude la mora del debitore, ai sensi dell’art. 1220 cod. civ., così preservandolo dalla responsabilità per il ritardo, solo se sia reale ed effettiva, e cioè abbia i caratteri della serietà, tempestività e completezza e consista nell’effettiva introduzione dell'oggetto della prestazione dovuta nella sfera di disponibilità del creditore nei luoghi indicati dall’art. 1182 cod. civ. per l’adempimento dell'’obbligazione, in modo che quest’ultimo possa aderirvi senza ulteriori accordi e limitarsi a ricevere la prestazione stessa». 86 Secondo Cass., sentenza 1066 del 1979.
87 Xxxxx finalità del risarcimento del danno si è espressa la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 15814 del 2008, così afferma: «Nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso né il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad
esplicazione in due forme: quella del c.d. «risarcimento in forma specifica» e quella del «risarcimento per equivalente».
Con il primo, al creditore viene attribuito un equivalente pecuniario della mancata prestazione; mentre con il secondo viene a ricostituirsi in suo favore la situazione che si sarebbe verificata a seguito di esatto adempimento.
Il debitore che non ha eseguito la prestazione oggetto di obbligazione e, perciò, non liberato, è tenuto al risarcimento del danno secondo i criteri previsti dall’art. 1223 c.c.
Detta norma, infatti, viene in considerazione relativamente alla determinazione del danno risarcibile, congiuntamente a quella di cui all’art. 1227 c.c. e 1225 c.c., in merito al c.d. giudizio di «prevedibilità».
L’art. 1223 del codice civile include nel risarcimento del danno per inadempimento88 sia la perdita subita dal creditore che il mancato guadagno, in quanto conseguenza immediata e diretta.
Dunque, esso si articola nelle tradizionali figure del danno emergente e del lucro cessante o c.d. perdita di «chance».
Detta previsione è stata posta dal legislatore italiano al fine di dare concreta attuazione al principale obiettivo intorno a cui muove il sistema della responsabilità per inadempimento, ed ovvero quello di reintegro degli assetti patrimoniali lesi dalle altrui condotte.
A tal proposito assume rilievo la fonte dalla quale deriva il diritto violato, così come assume importanza la distinzione tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale.
Quest’ultima, infatti, ha funzione conservativa ponendosi come rimedio al pregiudizio patrimoniale ed essa non vede operare il limite della prevedibilità posto dall’art. 1225 c.c. per il risarcimento del danno.
un altro; ne consegue che, pure nelle ipotesi di danno in re ipsa, in cui la presunzione si riferisce solo all’an debeatur (che presuppone soltanto l’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso in base ad una valutazione anche di probabilità o di verosimiglianza secondo l’id quod plerumque accidit) e non alla effettiva sussistenza del danno e alla sua entità materiale, permane la necessità della prova di un concreto pregiudizio economico ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione del danno per equivalente pecuniario».
Sulla finalità di ripristino del patrimonio, sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 907 del 1987 osserva come: «Il risarcimento del danno, sia esso derivante da fatto illecito extracontrattuale che da responsabilità contrattuale, è volto a ripristinare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato il fatto illecito. Né a tale principio può farsi eccezione quando, in caso di illecito aquiliano, a risarcire il danno debba essere l’assicuratore anziché il direttore responsabile. Pertanto, il relativo credito, che è di valore e non è soggetto al principio nominalistico, viene soddisfatto, indipendentemente da qualsiasi specifica istanza in tal senso dell'interessato, con una quantità di moneta che, al momento della pronuncia, abbia in concreto, secondo il motivato avviso del giudice del merito, efficacia ripristinatoria […]».
88 In riferimento al danno, si veda , ad esempio, X. XXXXX, Inadempimento e danno da ritardo tra diritto comune e diritto provato europeo, in Rivista di diritto civile, 2013, 4, pp. 827-855.
1.6. Profili generali sul risarcimento del danno
In tema di risarcimento del danno, dunque, abbiamo visto assumere rilevante importanza la previsione normativa di cui all’art. 1223 c.c..
Essa, però, come sopra accennato, deve coordinarsi anche con le successive previsioni, ed in particolare con quella di cui all’art. 1225 e con quella di cui all’art. 1227 c.c..
La prima limita, infatti, il risarcimento ai danni che potevano prevedersi al tempo in cui l’obbligazione è sorta, a condizione che l’inadempimento non dipenda da dolo89 del debitore.
Detta norma istituisce perciò un parametro oggettivo di valutazione delle situazioni e degli avvenimenti successivi alla conclusione del contratto.
La seconda norma90, invece, disciplina il «concorso del fatto colposo del creditore» ed assume significativa importanza relativamente al quantum del risarcimento.
Il Iº comma dell’art. 1227 c.c. prevede una diminuzione del risarcimento secondo la gravità della colpa e l'entità delle consueguenze, qualora a cagionare il danno sia stato il fatto colposo del creditore. Mentre, il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Dunque, la norma in esame contiene in sé due criteri: il primo, riferibile ai comportamenti colposi che il creditore ha tenuto al momento del verificarsi del danno; il secondo, riferito ad elementi deficitari già presenti al momento del verificarsi dell’inadempimento del danno.
89 In riferimento all’elemento del dolo nell’inadempimento, si veda, Cass., sentenza n. 25271/2008: «In tema di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, il dolo del debitore che, ai sensi dell'’art. 1225 cod. civ., comporta la risarcibilità anche dei danni imprevedibili al momento in cui è sorta l’obbligazione, non consiste nella coscienza e volontà di provocare tali danni, ma nella mera consapevolezza e volontarietà dell'inadempimento. Correttamente, pertanto, deve ritenersi (come rilevato dal giudice di merito nella specie) sussistente tale consapevolezza in capo al conduttore che permanga nella detenzione dell'immobile e sospenda il pagamento del canone nonostante la pronuncia di un provvedimento giudiziale di rilascio»; Cass., sentenza n. 452015/1987: «Per la configurabilità del dolo del debitore nell’adempimento ovvero nell’incompleto o inesatto adempimento della prestazione dovuta – in difetto del quale l’art. 1225 cod. civ., ponendo una eccezione alla regola generale della risarcibilità dell'intero danno, limita il risarcimento a quello che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione – è sufficiente la consapevolezza di dovere una determinata prestazione ed omettere di darvi esecuzione intenzionalmente, senza che occorra altresì il requisito della consapevolezza del danno [..]».
90 In merito alla struttura dell’art. 1227 c.c. si veda Cass., sentenza 13242/2007: «Il primo comma dell’art. 1227 c.c. concerne il concorso colposo del danneggiato nella produzione dell’evento che configura l’inadempimento, quindi, la sua cooperazione attiva, mentre, nel secondo comma, il danno è etiologicamente imputabile al danneggiante, ma le conseguenze dannose dello stesso avrebbero potuto essere impedite o attenuate da un comportamento diligente del danneggiato […]».
Infine, l’art. 1226 c.c., inteso quale norma di chiusura del sistema, dispone che:
«se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, il giudice lo liquida con valutazione equitativa».
In conclusione, dunque, nel quadro sopra delineato occorre brevemente fare riferimento alla distinzione tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, anche alla luce della diversa funzione a cui esse rispondono.
La prima, infatti, si colloca sul piano dei rimedi alla mancata realizzazione di un programma negoziale; la seconda, invece, afferisce al piano dei rimedi alla distruzione della ricchezza già acquisita dal danneggiato.
Alla responsabilità extracontrattuale non si applica il criterio della prevedibilità ex art. 1225 c.c., operando, invece, quello della causalità immediata e diretta; né occorre in esso la costituzione in mora del debitore.
CAPITOLO II
LE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE IN PARTICOLARE. L'ADEMPIMENTO E L'INADEMPIMENTO. RILEVANZA E CONSEGUENZE GIURIDICHE
2.1. Tipi e modelli di obbligazioni: le obbligazioni pecuniarie in particolare
Operato un quadro generale della disciplina delle obbligazioni, appare inevitabile esaminare nello specifico la categoria delle «obbligazioni pecuniarie», che trova collocazione, congiuntamente alle obbligazioni alternative, a quelle divisibili ed indivisibili, nonché alle obbligazioni solidali, all’interno del Capo VII del Titolo I del Libro IV del codice civile, rubricato
appunto «Di alcune specie di obbligazioni».
La disciplina generale delle obbligazioni, perciò, è capace di attribuire forma ad ogni tipo di rapporto giuridico, con il necessario limite della natura patrimoniale della prestazione.
Alle obbligazioni pecuniarie il codice civile offre - diversamente dal codice napoleonico in cui la previsione delle stesse venne del tutto omessa - apposita regolamentazione all’interno degli articoli 1277 – 1284.
Esse vengono individuate sulla base della specificità dell’oggetto della prestazione, consistente in una somma di denaro, la cui modalità di estinzione è descritta dal Iº comma dell’art. 1227 c.c. che afferma come l'estinzione dei debiti pecuniari avviene con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale.
«Le obbligazioni pecuniarie […] sono il simbolo e il modello del carattere monetario dell’economia moderna, in virtù del quale ogni tipo di transazione si presenta suscettibile di essere predeterminata in una somma di denaro, o perché originariamente ha per oggetto una somma di denaro […], o perché l’originaria prestazione, rimasta inattuata, viene convertita nell’obbligazione di pagare una somma di denaro […]91».
Il denaro rappresenta, quindi, oltre che un mezzo di scambio, anche l’unità di misura dei valori economici.
A tal proposito, dal Iº comma dell’art. 1277 c.c. si ricava il tradizionale principio nominalistico92, per il quale la moneta è presa in considerazione per il suo valore nominale nell’adempimento dei debiti pecuniari: l’estinzione dell’obbligazione pecuniaria perciò si verifica pagando alla scadenza una somma di valore nominale uguale a quella originariamente dovuta.
Esso, altresì, opera sia nel caso di svalutazione sia in quello di rivalutazione del potere di acquisto dell’unità monetaria, con la conseguenza che nel primo caso graverà sul creditore il rischio della perdita del potere d’acquisto dell’unità monetaria, mentre nel secondo caso graverà sul debitore il rischio dell’aumento del potere d’acquisto.
91 X. XXXXXXX, Le istituzioni del diritto privato contemporaneo, Seconda edizione, Ristampa, Napoli, Jovene editore, 2010, p. 123.
92 La Cass. Civ., con sentenza n. 250/1982 afferma che «Le obbligazioni pecuniarie, le quali danno luogo al cosiddetto debito di valuta, sono soggette al principio nominalistico espresso dall’art. 1227 cod. civ. e continuano ad esserlo anche dopo la scadenza, per cui la prestazione si estingue, pur dopo che il debitore sia caduto in mora, col pagamento della quantità di moneta cui essa è commisurata, anche se questa durante la mora abbia perduto parte del suo potere di acquisto per effetto della svalutazione, mentre la svalutazione stessa in sé non è un danno giuridico, ma un’evenienza che può aggravare il pregiudizio derivante al creditore dall’inadempimento».
Al fine di evitare le conseguenze connesse alle oscillazioni della moneta, nella pratica è sorta la tendenza ad inserire apposite clausole di «indicizzazione» o di
«salvaguardia»93, volte ad adeguare quanto nominalmente dovuto dal debitore al valore reale della moneta.
In materia di obbligazioni pecuniarie poi, la giurisprudenza ha consentito di operare la distinzione tra «obbligazioni di valuta» ed «obbligazioni di valore»94, intendendosi con le prime quelle obbligazioni pecuniarie che, sin dal momento della formazione del titolo, hanno ad oggetto una somma di denaro già determinata nel suo ammontare o facilmente determinabile, sulla base di elementi presenti nel titolo.
Sono obbligazioni di valore, invece, le obbligazioni che hanno originariamente ad oggetto cose diverse dal denaro95, tradotte96 successivamente in un equivalente monetario.
Per quanto attiene alle modalità di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, il IIº97comma dell'art. 1227 c.c. specifica che nel caso in cui la somma era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, quest'ultimo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima.
Pertanto, alla previsione normativa de qua le obbligazioni pecuniarie si estinguono, generalmente, con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento per il suo valore nominale.
Diversa è, invece, la disciplina applicabile nel caso in cui la somma di denaro
93 Cass., sentenza n. 4468/1985: «La clausola di indicizzazione o di salvaguardia del valore intrinseco della prestazione contrattuale, mentre rimane operativa anche dopo la pronuncia di mero accertamento del credito, che lascia impregiudicato il diritto del creditore di avvalersi della clausola fino al momento dell’adempimento o della successiva condanna al pagamento, non è più operativa quando l’ammontare del quantum sia stato determinato con sentenza di condanna della parte debitrice al pagamento di una somma di denaro corrispondente all’integrale rivalutazione del debito originario, atteso che lo scopo della detta clausola, che è quello di garantire al creditore all’atto dell’adempimento una prestazione di valore intrinseco uguale a quello pattuito, risulta già pienamente conseguito con la disposizione da parte del creditore del titolo idoneo al completo ed immediato soddisfacimento della pretesa».
94 Sulle obbligazioni di valuta e di valore, si veda A. LUMINOSO, Obbligazioni di valuta e di valore, in Rivista giuridica sarda, 2009, 3/2, pp. 825-838.
95 La Cass. Civ., con la sentenza n. 634 del 1995 si sofferma sul concetto di obbligazioni di valore, intendendo per esse quelle obbligazioni il cui oggetto diretto ed originario della prestazione consiste in una cosa diversa dal denaro, rappresentanto la moneta solo un sostitutivo di una prestazione con diverso oggetto.
96 Molte pronunce giurisprudenziali, a tal proposito, hanno precisato che sono debiti di valore quelli che si traducono in espressione monetaria per sopravvenute vicende del rapporto, ossia per la sostituzione al primitivo oggetto dell’obbligazione di una quantità di denaro che ne rappresenti l’equivalente. Tra i debiti di valuta si annoverano poi: l’obbligazione relativa alle provvigioni di un agente (artt. 1742 e 1748) o di un mediatore (artt. 1754 e 1755 c.c.); il credito del mandatario nei confronti del mandante inerente alle spese sostenute per l’esecuzione del mandato (art. 1721 c.c.). La Cassazione Civile ha poi incluso nella categoria in oggetto ulteriori tipologie di obbligazioni: l’obbligazione di risarcimento dei danni derivante da fatto illecito (sentenza n. 857/1986); l’obbligazione di risarcimento del danno derivante dall’inadempienza (sentenza n. 1298/1998 e sentenza n. 11937/1997) ed i crediti del professionista per le prestazioni erogate (sentenza n. 4018/1996).
97 Previsione introdotta a seguito dell’adozione dell’euro quale moneta unica (D. Lgs. 213/1998, spec. artt. 14-16).
non abbia detta caratteristica.
Troveranno, al proposito, applicazione le norme di cui agli articoli 1278 e 1279
c.c. per i debiti espressi in moneta estera.
In tal caso, l’art. 1278 c.c., ove non sia diversamente disposto nella convenzione, riconosce al debitore la facoltà di pagare in moneta legale, al corso del cambio nel luogo stabilito e nel giorno della scadenza.
Tale disposizione non trova però applicazione nel caso in cui la moneta non avente corso legale nello Stato è indicata con la clausola «effettivo» o «altro equivalente», a meno che alla scadenza dell’obbligazione non sia possibile procurarsi tale moneta alla scadenza dell’obbligazione.
Le parti possono, tuttavia, individuare nel titolo costitutivo del debito pezzi monetari con valore intrinseco quale oggetto della prestazione.
In tal caso opera la previsione del Iº comma dell’art. 1281 c.c., per la quale i pezzi monetari devono avere effettivo corso legale al momento in cui è sorta l’obbligazione; con la conseguenza che se poi al momento dell’adempimento la moneta è irreperibile o non ha più corso legale o ne è alterato il valore intrinseco, il pagamento deve essere effettuato con moneta corrente che, ai sensi del IIº comma della medesima disposizione, rappresenti il valore che la specie monetaria aveva al tempo dell’assunzione dell’obbligazione.
La disciplina speciale delle obbligazioni pecuniarie differisce dagli altri rapporti obbligatori essenzialmente per tre profili attinenti all’art. 1182 c.c., all’art. 1282
c.c. ed, infine, all’art. 1224.
Dedicando il successivo paragrafo all’analisi del secondo profilo - attinente alla obbligazione accessoria degli interessi - in merito al luogo dell'adempimento opera il IIIº comma dell’art. 1182 c.c. che lo individua nel domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza; la trasformazione dell’obbligazione da portable a quérable è poi consentita al debitore previa comunicazione al creditore, qualora la variazione succedanea di quel domicilio ne renda più gravoso l’adempimento.
Per quanto attiene, infine, il terzo profilo, ovvero quello relativo alla qualificazione ed alla quantificazione dei danni, l’art. 1224 c.c. detta alcune regole in merito alle modalità di corresponsione dei c.d. «interessi moratori».
Il debitore che non adempie secondo le modalità temporali stabilite nel titolo o, qualora le stesse non siano precisate, successivamente alla costituzione in mora,
è obbligato a corrispondere al creditore gli interessi legali anche se questi non erano precedentemente dovuti ed indipendentemente dalla prova di aver sofferto alcun danno.
L’art. 1224, Iº comma, c.c. dispone la corresponsione degli interessi moratori in identica misura qualora prima dell’insorgenza della mora erano dovuti interessi in misura superiore al tasso legale.
Il debitore può, tuttavia, ottenere il risarcimento nel caso in cui riesca a fornire la prova del maggio danno98; questo, invece, rimane precluso al creditore qualora le parti abbiano, ai sensi di quanto dispone l’art. 1224, IIº comma c.c., convenzionalmente pattuito la misura degli interessi moratori.
2.2. La mora debendi alla luce della rilevanza dell’interesse creditorio e del termine di adempimento
Anteriormente all’entrata in vigore della nostra Carta Costituzionale, l’interesse del creditore assumeva fondamentale rilievo nell’àmbito della disciplina del rapporto obbligatorio.
Aspetto sul quale un significativo mutamento si verificò quando «il nuovo quadro normativo successivo al 1948 impose […] un capovolgimento dell’approccio ermeneutico alla disciplina obbligatoria99».
Con la conseguenza che attualmente l'enunciato dell'art. 1174 c.c. dovrebbe essere riletto alla luce dei valori dell’uguaglianza sostanziale e della solidarietà tra i soggetti, che impongono a livello normativo una relativizzazione del vincolo obbligatorio100 e che la successiva disposizione di cui all’art. 1175101 x.x. xxxxxxxxxxx xxxxxx xxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxx caratteristico della disciplina dell’obbligazione.
98 In merito alla prova del maggior danno si vedano: Cass., S.U., sentenza n. 2368/1986; Cass., sentenza n. 2013/1990; Cass., sentenza n. 2780/1997 e Cass., sentenza n. 1878/1997.
Si vedano: A. DI MAJO, Obbligazioni pecuniarie, in Enc. Dir. XXIX, Milano, 1979; M.C. BIANCA, Diritto civile IV, L'obbligazione, Milano, 1990 iNZITARI, Moneta e valuta, in Tratt. Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000; INZITARI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. cod. civ, a cura di Scialoja - Bianca, Bologna - Roma, 2011
99 P. XXXXXXXXXX, Norme costituzionali e rapporti di diritto civile, in Rass. dir. civ., 1980, pp. 95 e ss..
100 P. XXXXXXXXXX, Le obbligazioni tra vecchi e nuovi dogmi, in Rass. dir. civ., 1989, p. 39.
101 La norma in esame impone al debitore ed al creditore di comportarsi secondo le regole della correttezza. Detto dovere è stato introdotto con il codice civile del 1942 ma, anteriormente alla riforma del 1944, era ancorato al principio della "solidarietà corporativa", sul quale si sono soffermati: X. XXXXXXXXX, L'ordinamento corporativo e il codice civile, in Riv. dir. comm., 1942, p. 374 e sul quale è avvenuta una importante riforma con il D. Lgs. 287 del 1944 che ne ha soppresso il richiamo all'interno della previsione normativa. Con ciò sottolineando come la norma sin dall'origine doveva essere concepita quale espressione del principio di buona fede (A. DI MAJO, La buona fede correttiva di regole contrattuali, in Corr. giur., 2000 e X. XXXX, La completezza del contratto: buona fede ed equità, in (a cura di) Xxxxxxxxx, Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002).
Disciplina che, dunque, proprio per la preminenza assunta dall’interesse creditorio non può che essere esaminata nella sua dinamicità; ovvero come una materia che nasce, vive, si modifica e si estingue.
L’obbligazione, infatti, concretizza «la cooperazione ed un certo suo modo di essere, sostituisce la subordinazione ed il creditore diventa titolare di obblighi generici o specifici di cooperazione all’adempimento del debitore […]102».
«Il rapporto obbligatorio non sopravvive più nella sola prospettiva del favor creditoris103» perché «è proprio l’interesse allora, la nuova chiave di lettura per lo studio dell’obbligazione e l’unico elemento capace di rifondare i singoli concetti conformemente alla realtà socio-normativa, in funzione servente a questa, così da poter comprendere ed esaltare le particolarità e le diversità tra gli istituti coinvolti nella complessa vicenda obbligatoria104».
Nell’esaminare la nozione di «interesse» appare doveroso perciò dapprima ricordarne l’evoluzione normativa.
Kelsen105 riteneva che il «diritto» fosse un insieme di comandi e non un fenomeno della vita associativa.
Egli, dunque, non aderiva all’orientamento – che in tempi recenti si faceva invece strada – secondo il quale il diritto soggettivo costituiva manifestazione della potestà personale di volere106, bensì concepiva il rapporto giuridico come relazione tra soggetto ed ordinamento.
In quel periodo, infatti, si fronteggiavano su detto argomento autorevoli giuristi: da una parte vi era chi concepiva il diritto soggettivo come potere giuridico («il diritto soggettivo è un potere giuridico che si dirige verso altri uomini»107); dall’altra vi era chi riteneva fondamentale «l’utilità che la cosa o il bene rappresenta per l’individuo: tale sarebbe la soggettivazione del bene che si traduce in interesse108».
Con il proseguio degli anni non sono poi mancati i tentativi di definire
102 P. PERLINGERI, Profili di diritto civile, Esi, 1994, p. 186.
103 X. XXXXXXX, La teoria generale delle obbligazioni, I, Le Fonti, Xxxxxxx, 1948, pp. 55 e ss..
104 X. XXXXXXXXXXX, Profili di diritto civile, cit., p. 183.
000 X. XXXXXX, Xxxxxx generale del diritto e dello Stato, Edizioni di Comunità, Milano, 1952.
106 In tal senso si esprime: X. XXXXXXXXXX, Diritto delle Pandette, trad. it., Xx Xxxxx e Bensa, Torino, 1925- 1926; nella nostra dottrina: X. XXXXXXXXXX, Lezioni di diritto processuale civile, Cedam, Padova, 1931, p. 47;
A. E. CAMMARATA, Formalismo e sapere giuridico, Xxxxxxx, Milano, 1963, pp. 345 e ss., e X. XXXXXXX,
L'oggetto dell'obbligazione, in Jus, 1952, pp. 166 e ss..
107 X. XXXXXXX, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Unione Tipografico – editrice torinese, Torino, 1958.
108 In Italia si diffonde una tesi intermedia per la quale il concetto di diritto soggettivo deve ritenersi integrato da due elementi: la signoria della volontà e l'interesse garantito. E la volontà astratta viene riconosciuta e tutelata in quanto mezzo indispensabile al raggiungimento di un fine. In tal senso X. XXXXXXXX, Sistema dei diritti pubblici subiettivi, trad. it., a cura di Xxxxxxxxxx, Società Editrice Libraria, Milano, 1912.
l’interesse con il valore che un bene assume per un certo soggetto109; oppure con la nozione di «bisogno» o «desiderio»110.
Orientamento quest’ultimo che non è scevro di critiche posto che l’interesse non può non essere esaminato nella sua accezione normativa e dato che la sua evoluzione non può non considerare gli interessi quali categorie socialmente rilevanti ed in concorso tra loro.
«Nell’attuazione del rapporto obbligatorio l’interesse meritevole diventa il criterio normativo di conformazione della condotta dovuta o autorizzata. Esso, in definitiva, non è fonte, bensì criterio di determinazione della regola vincolante nel caso concreto111».
2.3. L’adempimento e le sue diverse articolazioni: adempimento tempestivo e adempimento tardivo
Prima di soffermarci sull’aspetto «patologico» del rapporto obbligatorio occorre effettuare una breve premessa sull’adempimento quale naturale modo di estinzione delle obbligazioni.
L’adempimento, infatti, consiste nella esatta realizzazione della prestazione dovuta; si parla, a tal proposito, di «esatto adempimento»112 proprio per descrivere la condotta del debitore idonea a soddisfare l’interesse del creditore – realizzando così il programma di cui al rapporto obbligatorio ed estinguendo conseguentemente l’obbligazione.
Il concetto di «adempimento» non va però confuso con quello di
«soddisfacimento del credito» posto che l’esatta esecuzione della prestazione
109 X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx generali del diritto civile, Napoli, 1981, p. 69, ad avviso del quale il diritto soggettivo è un potere riconosciuto al singolo per la realizzazione di un suo interesse.
110 X. XXXXXX, Interesse e attività giuridica. Contributo alla teoria filosofica del diritto come fenomeno, Zanichelli, Bologna, 1909, pp. 97 e ss..
111 X. XXXXXX, Interessi del debitore e adempimento, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1995, p. 44.
112 Sulla nozione di esatto adempimento connessa con quella di interesse del creditore numerosa è la giurisprudenza di legittimità: si veda, ad esempio, tra le più importanti Cass. Civ., sez. II, sentenza n. 28057 del 2011, ove nell'individuazione dell'esatto adempimento si ritiene che il giudice debba effettuare una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti, alla luce dei fatti e delle prove inerenti il processo. Detta valutazione è rimessa all'esame del giudice del merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune d vizi logici o giuridici.
Tanto che la pronuncia si sofferma ad esaminare anche il caso in cui nei contratti sia apposta l'eccezione "inadimplenti non est adimplendum": in queste circostanze il giudice dovrà riferirsi ai principi di buona fede e correttezza, ex art. 1375 c.c. e valutare, dunque, se la condotta della parte inadempiente - avuto riguardo all'incidenza sulla funzione economico - sociale del contratto - abbia influito sull'equilibrio sinallagmatico dello stesso e abbia, perciò, legittimato - causalmente e proporzionalmente - la sospensione dell'adempimento dell'altra parte.
Sempre sul concetto di adempimento/inadempimento si pronuncia la Cass. Civ., sez. II, sent. 28647 del 2011, ove si afferma espressamente che non è richiesta la costituzone in mora del debitore ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento, posto che è sufficiente il fatto obiettivo dell'inadempimento di non scarsa importanza.
dedotta nell’obbligazione da parte del debitore costituisce sì adempimento dell’obbligazione, ma quest’ultimo può essere raggiunto anche mediante ulteriori diversi accadimenti. Si pensi ad esempio all’adempimento del terzo di cui all’art. 1180113 c.c..
Quando si parla di «adempimento», gli aspetti sui quali dobbiamo interrogarci sono molteplici: anzitutto viene in considerazione la natura giuridica.
Da un lato vi è chi ritiene esso configuri un «atto dovuto»; dall’altro vi è chi lo considera un mero «atto negoziale».
In merito poi alle modalità oggettive dell’adempimento, le stesse rappresentano le regole disciplinanti in concreto l’esecuzione della prestazione in dipendenza dell’oggetto di essa. Fondamentale importanza assumono il principio di correttezza e buona fede nonché quello della «diligenza del buon padre di famiglia» che il debitore deve utilizzare.
L’elemento soggettivo delle obbligazioni, invece, prende in considerazione la figura del debitore, del creditore nonché degli eventuali ulteriori soggetti coinvolti nel fenomeno in esame.
Venendo adesso al profilo patologico del rapporto obbligatorio, l'inadempimento114 si verifica nei casi in cui il debitore non esegue la prestazione dovuta, oppure la esegue in modo tardivo oppure, infine, l'esecuzione è inesatta per causa a lui non imputabile.
L’inadempimento imputabile – riconducibile cioè alla condotta del debitore – può assumere differenti connotazioni: può configurarsi in inadempimento definitivo o assoluto; in inadempimento relativo ( qualora l’esecuzione della prestazione viene effettuata in ritardo ) oppure, sotto il profilo quantitativo o qualitativo, in inadempimento inesatto115.
113 In merito a questa previsione si è pronunciata - di recente - la Cassazione civ., con la sentenza 2207 del 2013, ove viene attribuita una precisa rilevanza all'interesse del terzo, estesa anche all'ipotesi in cui il debitore abbia fatto opposizione. Secondo la sentenza, infatti, il rifiuto del creditore dell'adempimento da parte del terzo in presenza di opposizione del debitore non può essere contrario a buona fede, dovendo essere sempre improntato al principio di correttezza. Con la conseguenza che il giudice può entrare nel merito di detta circostanza ogni qualvolta il terzo alleghi e deduca in giudizio l'esercizio abusivo del rifiuto da parte del creditore - anche in relazione alla legittimità o meno delle ragioni dedotte dal debitore a fondamento della manifestata opposizione - che abbia così impedito allo stesso terzo di pagare in sostituzione del debitore, estinguendo l'obbligazione, in funzione della legittima tutela di propri eventuali diritti assunti come vantati nei confronti del medesimo debitore.
114 Sull'inadempimento si vedano: C.M. BIANCA, Dell'inadempimento delle obbligazioni, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja - Branca, Bologna, Roma, 1979, p. 50; C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. V, Milano, 1994, p. 82; X. XXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, t. 2, Torino, 1999, p. 1485; X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Il diritto nella giurisprudenza, a cura di X. Xxxxxx, I contratti in generale, vol. XIII, Torino, 2000, p. 78; XXXXXXXXX XXXX – BRECCIA – BUSNELLI, Istituzioni di diritto civile, tomo 3, Genova, 1989, p. 141; X. XXXXXXX, In tema di adempimento tardivo e risoluzione del contratto, in Giur. It, 1994, I, 1, p. 24.
115 Si pensi alla prestazione eseguita che differisce qualitativamente da quella dovuta (ad esempio un'opera eseguita da una appaltatore in difformità rispetto al progetto).
L’inadempimento assoluto si realizza quando la prestazione non è stata eseguita ed ormai non potrà essere più avere luogo o perché l’esecuzione della prestazione è divenuta materialmente impossibile, O, ancora, perché - decorso il termine essenziale entro il quale il debitore era chiamato ad adempiere - non sussiste più un interesse del creditore alla prestazione ovvero lo stesso creditore ha agito per ottenere la risoluzione del contratto da cui scaturiva l'obbligazione rimasta inadempiuta.
Con la specificità che, in questo ultimo caso, l'inadempimento conduce soltanto al risarcimento del danno, da commisurarsi all’utilità che la prestazione esattamente eseguita avrebbe comportato per il creditore.
L’inadempimento si dirà, invece, relativo allorquando il debitore non ha ancora eseguito la prestazione ma l’adempimento, seppur in ritardo, può essere effettuato. Ecco perché, a tal proposito, emerge evidente la distinzione tra mora e semplice ritardo non qualificato; quest'ultimo, non essendo giustificato da alcun elemento, comporta l’obbligo di risarcire il danno concernente il pregiudizio per il differimento dell’esecuzione della prestazione, rimanendo pur sempre dovuta la prestazione originaria ( c.d. perpetuatio obligationis ).
2.4. Segue: configurabilità del ritardo nell’adempimento e sua incidenza all’interno del rapporto obbligatorio
Dopo aver osservato cosa avviene una volta sorta l’obbligazione, occorre domandarsi cosa, invece, succede se la prestazione non è eseguita o se non è eseguita secondo quanto promesso.
In tema di inadempimento dell’obbligazione, infatti, il Legislatore italiano espressamente disciplina la mora del debitore nel Capo III del Libro IV del c.c.; fa, invece, riferimento al «ritardo» negli articoli 1218, 1223 e 1225.
Anche in merito a detto argomento, contrastanti si sono dimostrati – nel tempo – gli orientamenti dottrinali.
Un primo aspetto di discussione attiene proprio il ritardo nell’adempimento.
Ai fini del risarcimento del danno, costituisce il semplice ritardo – senza costituzione in mora – inadempimento?.
Secondo un primo orientamento116 la richiesta formale del creditore rende
116 X. XXXXXXXXX, La costituzione in mora del debitore, Milano, 1957; X. XXXXXXXXXX, Specialità della costituzione in mora nelle obbligazioni pecuniarie della p.a., in Obbligazioni e Contratti, 2009, 11, pp. 891-
«attuale» l’obbligo del debitore, con la conseguenza che prima dell’intimazione non sussisterebbe ritardo.
Se interpretiamo questo primo filone di pensiero, la distinzione tra mora e ritardo non può, dunque, trovare fondamento nell'art. 1219 c.c. - posto che detta disposizione prevede la costituzione in mora automatica solo per le obbligazioni ivi indicate - né può essere ancorata sull'art. 1224 c.c. che, non discostandosi dall'art. 1223 c.c. il cui richiamo è effettuato dall'art. 1218 c.c., riconosce come - nel caso in cui la prestazione è eseguita con ritardo - il risarcimento del danno attiene sia il danno emergente che il lucro cessante.
Di diverso avviso chi117, invece, afferma che il ritardo si risolve nella mora, esistendo tuttavia ipotesi residuali rilevanti ex se, come ad esempio i debiti quérables ovvero portables, oppure se il creditore chiede verbalmente l’adempimento e la prestazione rimane ineseguita.
Pertanto, non richiedendo la legge per l'esercizio del diritto di credito un atto formale, appare pacifico che la mancata esecuzione della prestazione deve considerarsi inadempimento, con la conseguenza che ricadono sul debitore i rischi per l’impossibilità sopravvenuta della prestazione (ex art. 1221 c.c.) e trovano applicazione per le obbligazioni pecuniarie i principi di cui all'art. 1224 c.c..
In senso contrario118 si è ritenuto che il ritardo implichi l’obiettiva «fattispecie dell’inadempimento temporale, imputabile o no al debitore», costituendo, invece, la mora una fattispecie di ritardo imputabile al debitore.
Tuttavia, una richiesta verbale per le obbligazioni da eseguirsi al domicilio non si ritiene sufficiente poiché solo se la stessa si concretizzasse per iscritto consentirebbe al debitore di valutarne la serietà e di rendere attuale il suo obbligo119.
Pertanto, «la mora sorge per effetto della scadenza del termine, della richiesta formale del creditore, ove questa sia richiesta dalla legge, e dal dolo e dalla colpa del debitore»120.
901.
117 XXXXXXXXX XXXX, In tema di risoluzione del contratto ex art. 1453 cod. civ., di costituzione in mora e di tardivo adempimento, nota a Cass., 10 gennaio 1963, n. 30, in Foro It., 1963, I, c. 1458 e ss; X. XXXXXX, L'attuazione del rapporto obbligatorio, Appunti delle Lezioni, Milano, Xxxxxxx, 1964, pp. 149.
118 M. C. XXXXXX, Dell'inadempimento delle obbligazioni, Art. 1218 - 1229, in Comm. cod. civ., a cura di Xxxxxxxx e Branca, Libro IV. Delle obbligazioni, Bologna - Roma, Zanichelli, 1973, pp. 174 e ss.; ID, Diritto civile, 5., La responsabilità, Milano, Xxxxxxx, 1994, pp. 81 e ss..
119 X. XXXXXXX, voce «Mora del debitore», in Enc. del dir., XXVI, Milano, Xxxxxxx, 1976, p. 942.
120 M. C. XXXXXX , Diritto civile, 5, La Responsabilità, Milano, Xxxxxxx, 1994, pp. 81 e ss.; M. C. BIANCA,
Dell'inadempimento delle obbligazioni, Art. 1218 - 1229, in Comm. cod. civ., a cura di Xxxxxxxx e Branca,
Libro IV. Delle obbligazioni, Bologna - Roma, Zanichelli, 1973, pp. 174 ss.
Sulla funzione della mora121 si sono soffermati poi altri autorevoli Autori.
Ad avviso di alcuni122, infatti, la stessa sarebbe dotata di una funzione autonoma, volta a tutelare il creditore ed a produrre effetti specifici.
Quali lo spostamento a carico del debitore del rischio dell’impossibilità sopravvenuta e l’obbligo di corresponsione degli interessi di mora.
Vi è poi chi123 ritiene che il riferimento all’esperienza quotidiana sia elemento che consente di valutare opportunamente l’autonoma rilevanza del ritardo nell’adempimento.
Esaminando, cioè, il medesimo all’interno dei casi concreti in cui si realizza. Oppure, ancora, il ritardo e la mora assumono rilievo autonomo se si considera quest’ultima fatto formale – come nel capitolo I si è avuto modo di sottolineare. Perdipiù, sotto questo aspetto pacifico è l’assunto per il quale il ritardo assume funzione strumentale alla configurazione dell’inadempimento.
Costituiscono, dunque, tutti i criteri sin qui illustrati strumenti giuridici idonei ad affermare – in conclusione – che «gli interessi saranno dovuti per il semplice ritardo, anche non colpevole»124.
Rilevante importanza assume in merito agli stessi anche la giurisprudenza di legittimità.
Le numerose pronunce affermatesi sottolineano ancora una volta il generale principio per cui la costituzione in mora produce gli effetti regolati dall’art. 1219 c.c..
Questa, infatti, non coincide con il ritardo che, invece, rileva autonomamente e consente al creditore di domandare la risoluzione del contratto ovvero il pagamento della penale, oltre al risarcimento del danno per il ritardo adempimento di un’obbligazione pecuniaria, qualora il creditore non voglia o non possa ottenere la corresponsione degli interessi a norma dell’art. 1282 c.c.125.
121 In merito alla natura giuridica della costituzione in mora ci siamo già soffermati nei capitoli precedenti. Occorre ricordare che la Cass. Civ. Sez. Lavoro, con la sent. n 1618 del 1982 la definisce come mero atto giuridico recettizio, non occorrendo che vi sia una specifica volontà del creditore in ordine alla produzione degli effetti propri della mora. Da questa qualificazione giuridica discende l'inapplicabilità del rinvio ex art. 1324 c.c., norma che postula la natura negoziale dell'atto (Cass. Civ. Sez. Lavoro, sent. n. 8711 del 1993).
122 X. XXXXXXX, voce «Mora del debitore», in Enc. del dir., XXVI, Milano, Xxxxxxx, 1976, pp. 936 e ss.
123 Tra i molti: X. XXXXXXXX, Le obbligazioni, in Giur. sist. civ. comm., a cura di Bigiavi, Torino, Utet, 1992, pp. 661 e ss; X. XXXXXXXXX, voce «Mora del creditore», nel Digesto, Disc. priv., sez. civ., XI, Torino, Utet, 1994, pp. 444 e ss..
124 X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto civile, Padova, Cedam, 1993, p. 527.
125 Cass., 24 settembre 1999, n. 10511, in Giust. civ., 1999, I, c. 2929; Cass., 8 agosto 1991, n. 8623, in Rep
Foro it., 1991; Cass., 17 aprile 1970, n. 1109, in Giur. it., 1971, I, 1, c. 282; Cass., 14 febbraio 1967, n. 364,
in Giur. it., 1968, I, 1, c. 308.
2.5. Le pronunce della giurisprudenza (anche comunitaria) sulla nozione di
«ritardo»
Il principio di cui sopra costituisce il risultato finale di un percorso seguito negli anni dalla giurisprudenza che ha anche fornito diverse definizioni di ritardo.
Il cui cenno assume rilevanza soprattutto in un’ottica di comparazione con gli altri Paesi membri dell’Unione Europea.
Abbiamo sopra esaminato – nell’àmbito del nostro ordinamento – la previsione ed il contenuto dell’art. 1218 c.c. in tema di inadempimento. Aspetto che verrà nuovamente affrontato in seguito al fine di esaminare la fondamentale problematica della responsabilità contrattuale.
Vediamo adesso cosa avviene all’interno del sistema giuridico tedesco. All’interno di esso non esiste una nozione unitaria di inadempimento e/o violazione del contratto.
Vengono, bensì, presi in considerazione gli eventi che possono costituire ostacolo all’esatta esecuzione della prestazione126 contrattuale o che impediscono al creditore di realizzare il proprio interesse.
Il Legislatore tedesco parla, quindi, di unmöglichkeit e verzug per fare riferimento – rispettivamente – alla impossibilità sopravvenuta della prestazione ed al ritardo nell’esecuzione.
Nell’ordinamento tedesco, l’impossibilità oggettiva della prestazione affianca il concetto di impossibilità soggettiva (unvermögen)127, ovvero di una situazione di impossibilità riferibile alla persona del debitore: ai sensi del § 275 BGB seppur la prestazione sia impossibile per il debitore ciò non toglie che la stessa possa essere adempiuta da altri soggetti.
In conclusione: il debitore è liberato da ogni responsabilità quando l’impedimento sopravvenuto – indipendentemente dalla connotazione oggettiva o soggettiva dell’impossibilità – non è a lui imputabile; è, invece, tenuto al risarcimento del danno (§ 280 BGB) quando l’impossibilità oggettiva o soggettiva è dipesa da un evento a lui imputabile.
Proprio perché all’interno dell’ordinamento giuridico tedesco non è presente una
126 X. XXXXXXX, Esecuzione della prestazione pecuniaria a tutela del contraente creditore, in Rivista del diritto privato, 2008, 1, pp. 7-24.
127 Nell'ordinamento giuridico tedesco l'impossibilità oggettiva rende nullo il contratto con effetto liberatorio, mentre quella soggettiva non esonera il debitore da responsabilità. In questo ultimo caso, tra l'altro, nel caso in cui emerge che il debitore, al momento della conclusione del contratto, non era in grado di adempiere correttamente alla prestazione, sarà obbligato a risarcire alla controparte il danno derivante dall'inadempimento, indipendentemente dalla colpa.
regola operazionale in grado di definire quali fattispecie giuridiche rientrano nel concetto di inadempimento o di violazione del contratto, la dottrina tedesca ha elaborato la teoria della c.d. «positive Vertragsverletzung» o «violazione positiva del contratto», in base alla quale l’obbligazione contrattuale può essere violata non solo mediante il ritardo o l’omissione, bensì anche tramite un comportamento positivo che ne comporti una difettosa o cattiva esecuzione. Con la conseguenza che il creditore avrà diritto al risarcimento del danno ed il debitore sarà considerato responsabile contrattualmente anche nel caso della violazione dei «Schutzplflichten» ovvero «obblighi di protezione».
Passiamo ora ad esaminare il modello di common law.
Esso differisce molto dal sistema tedesco e da quello italo-franco, del quale tratteremo nel proseguio.
Posto che, ruotando il medesimo attorno al concetto di «promessa contrattuale»128, manca qualsiasi riferimento sia alle cause determinanti l’inesecuzione che al generale principio della colpa quale limite alla responsabilità del contraente inadempiente.
Il giudice inglese o americano, quindi, può – in presenza di un «breach of contract» - domandarsi se la violazione rientri o meno in una promessa contrattuale, costituendo la medesima un’assunzione di garanzia con la quale ciascuna parte “promette” all’altra il risultato atteso con l’accordo.
Infine, l’ordinamento francese definisce l’inadempimento dell’obbligazione quale nozione unitaria nella quale sono ricomprese sia le ipotesi di omissione totale di inadempimento o di adempimento tardivo, sia quelle di adempimento parziale e/o difettoso e/o di inadempimento di prestazioni accessorie.
Il giudice ha, quindi, il compito di valutare caso per caso l’inadempimento contrattuale e decidere, di conseguenza, sulla risoluzione.
L’art. 1184 code civil attribuisce, infatti, al contraente non inadempiente il potere di richiedere la risoluzione del contratto oppure il suo “adempimento in natura” ove possibile.
E riferisce i danni alla sola risoluzione, affermando implicitamente che qualora il contraente ottenga l’adempimento i danni risarcibili saranno solo quelli dovuti al ritardo nell’esecuzione.
La disposizione, tuttavia, deve essere integrata con gli artt. 1146 e ss. del code
128 A. DI MAJO, Responsabilità contrattuale, in Dig, IV, disc. priv., sez., civ., vol. XVII, Torino, 1998, pp. 36 e ss.
civil francese, disciplinanti in generali i danni e gli interessi derivanti dall’inadempimento delle obbligazioni.
Il Legislatore francese afferma in particolare all’art. 1147 che il debitore è tenuto al risarcimento dei danni e degli interessi sia in ragione dell’inadempimento che in ragione del ritardato adempimento; non essendo gli stessi dovuti solo se l’inadempimento derivi da “caso fortuito” o “forza maggiore”.
In conclusione, per l’ordinamento francese è liberatorio l’impedimento che configura un «obstacle imprévisibile et irrésistible»129, ovvero capace di rendere l’adempimento del debitore assolutamente impossibile.
Opinione che però con gli anni si è avvicinata a quella tipica degli ordinamenti di common law, in cui a trovare applicazione è il generale principio della responsabilità oggettiva.
2.6. L’art. 1223 c.c. sulla «responsabilità contrattuale» per inadempimento
Le fattispecie tipiche di responsabilità sono individuate dal Legislatore italiano agli articoli 1218 e 2043 c.c.; disposizioni che, quindi, individuano un “duplice canale risarcitorio”.
Il rapporto instauratosi tra danneggiato e danneggiante può, infatti, trovare fondamento in un negozio giuridico – con applicazione dell’art. 1218 c.c. ai fini del risarcimento del danno – oppure in un collegamento causale occasionale – tale da consentire l’applicazione dell’art. 2043 c.c. ai fini del risarcimento del danno extracontrattuale.
Abbiamo già avuto modo di osservare la previsione di cui all’art. 1218 c.c. soprattutto sotto il profilo dei presupposti dell’inadempimento e della prova liberatoria.
In tema di responsabilità contrattuale (si veda ad esempio Xxxx. civ., sent. n. 21140/2007) pacifico appare che spetti al danneggiato fornire la prova dell'esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore.
L’art. 1218 c.c., che pone una presunzione di colpevolezza dell’inadempimento, infatti, non modifica l’onere della prova che - allorché si tratti di accertare
129 Si veda, ad esempio, X. XXXXXXXX – X. XXXX, Introduzione al diritto comparato, vol. II - Istituti, Xxxxxxx, Milano, 1998, p. 196.
l’esistenza del danno - .incombe sulla parte che abbia agito per l’accertamento di tale inadempimento.
Per quanto attiene, invece, l’aspetto relativo alla responsabilità importante osservare come, ad avviso della Suprema Corte (Cass., civ.., sent. n. 10129/2000), la domanda di risarcimento di danni per responsabilità extracontrattuale è sicuramente diversa da quella di risarcimento di danni per responsabilità contrattuale perché dipende da elementi di fatto diversi, sia sotto il profilo oggettivo che quello soggettivo; diversa, quindi, non solo per quanto attiene all’accertamento della responsabilità ma anche per quanto riguarda la determinazione dei danni.
Determinazione che deve comunque – in caso di inadempimento o ritardato adempimento – comprendere la perdita subita dal creditore nonché il mancato guadagno.
Ciò perché il risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo nel nostro ordinamento non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma solo in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso; tra l'altro, il nostro sistema giuridico consente l’arricchimento se non sussiste una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro; con la conseguenza che, pure nelle ipotesi di danno in re ipsa - in cui la presunzione si riferisce solo all’an debeatur - permane, ad avviso del giudice (si veda, ad esempio, Cass. civ., sent. n. 15814/2008) la necessità della prova di un concreto pregiudizio economico ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione del danno per equivalente pecuniario.
2.7. Profili generali sul risarcimento del danno e sull’obbligazione risarcitoria quale alternativa modalità di estinzione delle obbligazioni
Il nostro attuale codice civile non contiene una definizione del concetto di
«danno»; si limita, invece, ad individuare i criteri finalizzati a determinare i rimedi predisposti alla tutela del soggetto leso, quali – appunto – il risarcimento. Perdipiù, sulla possibilità o meno di individuare una unitaria nozione di danno si registrano posizioni contrastanti in dottrina: da un lato vi è chi sostiene la possibilità di una siffatta operazione ermeneutica; dall’altra vi è chi, invece, ne afferma la necessaria ripartizione nelle due sottocategorie di cui sopra (danno
contrattuale e danno extracontrattuale).
Generalmente comunque il “danno” viene configurato come un fatto (giuridico) pregiudizievole, da cui deriva come effetto una reazione da parte dell’ordinamento.
Soccorrono in aiuto, a tal proposito, le codificazioni europee che, nella definizione del danno risarcibile, accolgono tutte il criterio dell’id quod interest che considera non solo il valore economico della prestazione in sé, bensì soprattutto quello che essa riveste per il creditore.
Perciò «il risarcimento è volto all’eliminazione di tutte le conseguenze dannose determinatesi nel patrimonio del creditore, ivi comprese le maggiori utilità che dalla prestazione questi avrebbe ricavato (criterio soggettivo di determinazione del danno)»130.
Sull’esistenza poi di ulteriori scopi che l’ordinamento persegue attraverso il risarcimento si sofferma soprattutto il diritto anglo-americano.
Seppur anche in esso – al pari di quanto avviene nelle codificazioni continentali
– il diritto al risarcimento è limitato dai criteri della prevedibilità e della evitabilità e la sanzione viene diversificata in relazione all’interesse non tutelato. In merito a questo aspetto, infatti, ritengono molti illustri autori che «Interesse positivo (expectation interest), interesse negativo (reliance interest) e restituzione dei profitti (restitution interest) costituiscono i tre poli di riferimento della materia risarcitoria (ferma restando la prevalenza dell’expectation interest)»131.
Tuttavia, gli ordinamenti giuridici europei prendono come riferimento esclusivo ai fini della determinazione del danno risarcibile l’aspettativa della prestazione, ovvero ciò che si attende sia la prestazione oggetto del contratto.
«E anche la selezione delle poste del danno risarcibile avviene attraverso categorie comuni alle diverse esperienze giuridiche. Anzi, è proprio in questo ambito che si registrano alcuni tra gli esempi più riusciti di circolazione dei modelli in Europa»132.
000 X.X. XXXXXXX, Xx risarcimento per equivalente e il principio della riparazione integrale, in Il risarcimento del danno contrattuale, Trattato della responsabilità contrattuale diretto da X. Xxxxxxxxx, Padova, 2009, vol. III, pp. 29 e ss; X. XXXXXXXX - M.R. XXXXXXX, Il danno contrattuale, in Il nuvo contratto, a cura di P.G. MONATERI - E .DEL PRATO - MR. MARELLA - A. SOMMA - X. XXXXXXXXXX, Bologna, 2007, pp. 1065 e ss. 131 L.L. XXXXXX - W.R. PERDUE, The Reliance Interest in Contracts Damages, 46 Yale L.J. 52 (1936-1937) e sul piano normativo § 344 Rest. 2d Contract "Purpose of Remedies"; J.M. PERILLO, Restitution in the Second Restatement of Contracts, 81 Colum. L. Rev., 37 (1981).
000 Xxxxxx x. Xxxxxxxxx, 0 Exch. 341, 156 Eng. Rep. 145 (1854); A.W.B. XXXXXXX, Innovation in Nineteenth Century Contract Law, 91 LQR 247 (1975); X. XXXXXX, Xxxxxx x. Xxxxxxxxx: A Study in the Industrialization of the Law, 4 JLS 249 (1975).
Regola comune al danno contrattuale ed al danno extracontrattuale è quella dettata dall’art. 1223133 c.c., norma che inevitabilmente deve accompagnarsi alla fondamentale importanza che assume all’interno del nostro ordinamento giuridico la previsione di cui all’art. 1453134 c.c. – disciplinante appunto la
«risolubilità del contratto per inadempimento».
Quattro sono i principi che la stessa consente di affermare:
1) in caso di inadempimento di un contratto con prestazioni corrispettive, la parte non inadempiente può chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo – in ogni caso – il risarcimento del danno;
2) la risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento;
3) l’adempimento non può chiedersi quando è stata domandata la risoluzione;
4) la parte inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione dalla data di risoluzione del contratto.
La lettura della disposizione consente, dunque, ancora una volta di affermare come l’adempimento in natura assume la priorità nel nostro ordinamento e che in materia di inadempimento la regola aurea è proprio quella del risarcimento del danno.
Dunque, il rimedio del risarcimento del danno - specificamente predisposto per i casi di inadempimento contrattuale – è comune, a tutti gli ordinamenti.
Le differenze che negli stessi si riscontrano attengono piuttosto alla priorità che un rimedio assume rispetto ad un altro.
Per quanto attiene ai sistemi di common law, ad esempio, il principale rimedio è il risarcimento del danno mentre l’esecuzione in forma specifica trova applicazione solo nel caso in cui sia insufficiente il primo.
Ovvero: la condanna alla «specific performance» si concretizza solo quando il
133 Per quanto attiene, in particolare, il lucro cessante da inadempimento contrattuale si veda Cass. civ., sent.
n. 11254 del 2011. La pronuncia in esame stabilisce, infatti, che il danno patrimoniale da mancato guadagno presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, dovensosi pertanto escludere per i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte.
134 Sul rapporto tra risoluzione per inadempimento e costituzione in mora si vedano: Cass. Civ., sent. n. 2500 del 1986, (conf. Cass. 20.07.87, n. 6362), ove emerge chiaro come la cosituzione in mora della parte inadempiente può essere necessaria per escludere - in presenza di un inadempimento temporaneo - una presunzione di tolleranza della controparte a fronte di dell'inosservanza di un termine non essenziale, mentre non è richiesta nel caso di inadempimento di tipo definitivo (salva la sua rilevanza al diverso scopo, oltre che del risarcimento del danno, dell'assunzione del rischio per la sopravvenuta impossibilità della prestazione, ai sensi dell'art. 1221 cod. Civ.).
Mentre la Cass. Civ., sent. n. 8199 del 1991, si sofferma sulla formale costituzione in mora del debitore che è prescritta dalla legge per determinati effetti, tra cui preminente è quello del carico al debitore medesimo del rischio della sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile, ma non già al fine della risoluzione del contratto per inadempimento, essendo sufficiente per ciò il fatto obiettivo dell'inadempimento di non scarsa importanza.
risarcimento del danno si presenta “inadeguato” per il creditore. Nell’ordinamento tedesco, invece, è il § 241 BGB a stabilire che il rimedio principale è l’adempimento in natura; lo stesso, infatti, deve essere richiesto tutte le volte in cui l’esecuzione materiale della prestazione è ancora possibile, residuando il rimedio del risarcimento del danno allorquando vi è impossibilità di eseguire la prestazione da parte del creditore.
Infine – sempre rimanendo all’interno dei sistemi di civil law – l’ordinamento francese assume connotati analoghi a quelli del nostro ordinamento.
L’art. 1142 code civil afferma espressamente che il diritto ad ottenere i relativi danni ed interessi sorge tutte le volte in cui le obbligazioni – di fare o non fare – sono rimaste inadempiute.
Anche qui rimane in capo alla parte non inadempiente la possibilità di scegliere tra l’adempimento in natura – ove possibile – e la risoluzione del contratto, ma detto potere deve però fare i conti con la previsione di cui sopra. Introduttiva appunto di un generale principio di incoercibilità degli obblighi di fare e non fare.
2.8. Sul principio di ragionevolezza applicato nella determinazione dell’obbligazione risarcitoria
Abbiamo già avuto modo di osservare come la disciplina dei rimedi assume fondamentale importanza all’interno del fenomeno di circolazione dei modelli.
Il nostro campo di indagine, infatti, muove intorno alla responsabilità da inadempimento delle obbligazioni; ove – appunto – le regole codicistiche da prendere in considerazione sono dettate negli artt. 1223, 1224, 1225, 1226 e
1227 c.c..
In particolare, l’art. 1224 c.c. disciplina le conseguenze in termini di mora e di maggior danno; mentre, la norma ad esso successiva – ponendo principale attenzione sul contenuto del vincolo obbligatorio – prevede, a meno che l’inadempimento sia stato frutto di dolo, il solo risarcimento dei danni prevedibili al momento in cui l’obbligazione è sorta.
Il principio della ragionevolezza, invece, va necessariamente rapportato al valore obiettivo della prestazione135 tutte le volte in cui il nostro ordinamento - dinanzi
135 Ciò deve essere necessariamente connesso con l'altrettanto fondamentale principio di proporzionalità che deve sussistere nel rapporto tra il contenuto dell'obbligazione rimasta inadempiuta e quella risarcitoria. Si pensi, a tal proposito, alla previsione di cui all'art. 1384 c.c., la quale prevede che, qualora siano state le
alle difficoltà che si presentano nel tentativo di disciplinare criteri di determinazione del danno con riferimento anche agli altri sistemi giuridici – offre una definizione di danno connessa con il mercato.
Il danno risarcibile è, in prima facie, quello astratto derivante dall’applicazione di criteri di mercato al fine del ripristino dei valori in esso scambiati.
Il creditore ha diritto al risarcimento calcolato in base al prezzo corrente o al prezzo di copertura «ragionevole»136.
«Il valore obiettivo della prestazione è per eccellenza la misura del danno che risulta dall’ordinario corso delle cose, ossia il danno che potremmo definire tipicamente regolare, prevedibile, certo. In questa luce si giustifica l’espansione del criterio del prezzo corrente o dell’acquisto sostitutivo “ragionevole”»137.
Ad esempio, il contratto concluso con un terzo ai fini della determinazione del lucro cessante è irrilevante; «il computo dei profitti mancati deve avvenire secondo “il normale corso degli eventi”; il dovere di mitigare il danno da parte del creditore deve ispirarsi a criteri di ragionevolezza»138.
È, a tal proposito, proprio il principio di contemperamento degli interessi che costituisce il principale limite alla piena risarcibilità del danno subito. Ad esso corrisponde, infatti, sul piano rimediale il richiamo alla «ragionevolezza» e
«proporzionalità» del sacrificio della sfera giuridica del debitore.
Proporzionalità tra sacrificio richiesto e sanzione per il mancato adempimento che difficilmente emerge nell'analisi tradizionale di civil law; nonostante ciò «la responsabilità contrattuale ha come proprio fondamento “uno sforzo debitorio tipico”, commisurato all'interesse creditorio, e questo principio ha importanti ricadute anche sul piano della “individuazione del danno risarcibile”»139.
parti a predeterminare convenzionalmente la misura del danno risarcibile attraverso la previsione di una clausola penale, questa potrà essere ridotta dal giudice quando risulti che la prestazione è stata in parte eseguita o che essa sua manifestamente eccessiva avuto riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento. Si vedano sul punto: Cass., Sez. Un. sent. n. 18128 del 2005, in tema di rilevabilità d'ufficio della riduzione della penale manifestamente eccessiva (in Corr. Giur. 2005, 1538, con nota di X. XX XXXX). Nello stesso senso anche Xxxx., sent. 21066 del 2006 nella quale si afferma che il potere di riduzione della penale ad equità è riconosciuto al giudice dall'art. 1384 c.c. a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento; e trattandosi di un c.d. potere - dovere, lo stesso può essere esercitato anche d'ufficio, al fine di ricondurre l'autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare effettivamente meritevole di tutela. 136 X. XXXXX – X. XXXXXXXX – X. XXXX – X. XXXXXX, Cases, Materials and Text on Contract Law, Oxford, Xxxx Publishing 2002, p. 883.
137 X. XXXXX – X. XXXXXXXX – X. XXXX – X. XXXXXX, Cases, Materials and Text on Contract Law, Oxford, Xxxx Publishing 2002, pp. 845 - 846.
138 Così dispone l'art. 9:505, Ill. 1, PDEC, e l'art. 3:705, comm. A, Ill. 1, DCFR che riportano lo stesso caso: B acquista da S una vecchia automobile per £ 750. Scopre però che sono necessari £ 1500 per renderla utilizzabile. Il valore dell'auto a seguito delle riparazioni sarebbe quello di mercato, ovvero £ 800. I danni di B sono pari a £ 800, posto che la riparazione sarebbe del tutto irragionevole.
139 A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, Xxxxxxx, 2003, p. 203.
CAPITOLO III
L'INADEMPIMENTO NELLA DISCIPLINA DELLE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE
3.1. La fattispecie dell'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie all'interno del Codice Civile e della Legislazione speciale: quali mutamenti in tema di interessi moratori?
All'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie è dedicata espressamente la norma di cui all'art. 1224 del codice civile.
La quale così dispone: «Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di denaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura. Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l'ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori».
La norma consente al creditore di essere risarcito delle conseguenze a lui derivanti da un pagamento corrisposto con ritardo140 ed, a prescindere dalla dimostrazione del danno, il Legislatore presume altresì che son dovuti gli interessi legali.
La disposizione perciò si pone in continuità con l'art. 1153 del Code Napoléon che stabiliva - nella sua originaria formulazione - il mutamento degli interessi
140 X. XXXXX, Xxxxxxx nell'adempimento delle obbligazioni pecuniarie e maggior danno dell'imprenditore, in
Responsabilità civile e previdenza, 2008, 1, pp. 124-131.
xxxxxxxx prescindendo dalla dimostrazione di un danno effettivamente subito, mentre non appare in linea con l'art. 1244 del codice albertino e con l'art. 1231 del codice civile del 1865 che - invece - riconoscevano al creditore in caso di ritardo gli interessi moratori dalla scadenza dell'obbligazione, ma espressamente escludevano il risarcimento del danno ulteriore.
Il Legislatore italiano, in conclusione, ha ammesso espressamente che il creditore può provare il "danno maggiore"; con ciò andando ad ampliare, perciò, l'àmbito della risarcibilità del pregiudizio sofferto.
Passando dalla presunzione ipso iure di cui all'art. 1224 del codice civile alla fattispecie dell'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie all'interno della Legislazione Speciale, occorre sin da subito rilevare come il sistema degli "interessi moratori" è stato utilizzato dal legislatore italiano per perseguire scopi ulteriori rispetto al mero risarcimento del danno.
Si pensi ad esempio agli articoli 33141 e ss. del D.P.R. 1063/1962, in materia di ritardi di pagamento nell'àmbito degli appalti di opera pubblica142. Normativa che è stata soppressa dall'art. 231 del D.P.R. 231/1999 e sostituita dagli articoli 30 e 31 del D.M. 145/2000143, costituenti il nuovo "Capitolato generale d'appalto
141 L'art. 33 D.P.R. 1063 del 1962 disciplina i pagamenti in acconto: «1. Nel corso dell'esecuzione dei lavori sono fatti all'appaltatore [...] pagamenti in conto del corrispettivo dell'appalto, nei termini o nelle rate stabilite dal capitolato speciale ed a misura dell'avanzamento dei lavori regolarmente eseguiti. 2. I certificati di pagamento delle rate di acconto devono essere emessi non appena sia scaduto il termine fissato nel capitolato speciale per tale emissione o appena ragiunto l'importo prescritto per ciascuna rata ed in ogni caso non oltre 15 giorni dal verificarsi delle circostanze previste nel comma precdente. 3. Sull'importo dei lavori eseguiti vengono effettuate le ritenute di legge. 4. Le somme ritenute costituiscono per l'Amministrazione una ulteriore garanzia dell'adempimento degli obblighi dell'appaltatore e sono pagate a quest'ultimo con la rata di saldo, salvo quanto è disposto negli articoli 35 e 36. Sulle somme ritenute l'Amministrazione ha gli stessi diritti che che ad essa competono sulla cauzone».
142 La disciplina in esame ha come finalità precipua quella di evitare il fenomeno diffuso della intempestiva corresponsione degli acconti in corso d'opera da parte della Pubblica Amministrazione che legittimiva la sospensione dei lavori da parte dell'impresa appaltatrice.
143 Gli articoli 30 e 31 del D.M. 145 del 2000 disciplinano rispettivamente gli interessi per ritardato pagamento e la forma e contenuto delle riserve.
L'art. 30 del DM in oggetto così recita: «1. Qualora il certificato di pagamento delle rate di acconto non sia emesso entro il termine stabilito ai sensi dell'articolo 29 per causa imputabile alla stazione spettano all'appaltatore gli interessi corrispettivi al tasso legale sulle somme dovute, fino alla data di emissione di detto certificato. Qualora il ritardo nella emissione del certificato di pagamento superi i sessanta giorni, dal giorno successivo sono sono dovuti gli interessi moratori. 2. Qualora il pagamento della rata di acconto non sia effettuato entro il termine stabilito ai sensi dell'articolo 29 per causa imputabile alla stazione appaltante spettano all'appaltatore gli interessi corrispettivi al tasso legale sulle somme dovute. Qualora il ritardo nel pagamento superi i sessanta giorni, dal giorno successivo e fino all'effettivo pagamento sono dovuti gli interessi moratori. 3. Qualora il pagamento della rata di saldo non intervenga nel termine stabilito dall'art. 29 per causa imputabile alla stazione appaltante, sono dovuti gli interessi moratori qualora il ritardo superi i sessanta giorni dal termine stesso. 4. Il saggio degli interessi di mora previsti dai commi 1, 2 e 3 è fissato ogni anno con decreto del Ministro dei lavori pubblici di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Tale misura è comprensiva del maggior danno ai sensi dell'articolo 1224, secondo comma, del codice civile».
L'art. 31 stabilisce, invece, che: «L'appaltatore è sempre tenuto ad uniformarsi alle disposizioni del direttore dei lavori, senza poter sospendere o ritardare il regolare sviluppo dei lavori, quale che sia la contestazione o la riserva che egli iscriva negli atti contabili. 2. Le riserve devono essere iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell'appalto idoneo a riceverle, successivo all'insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell'appaltatore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve devono essere iscritte anche nel registro di contabilità all'atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o
dei lavori pubblici".
O ancora, alla Direttiva 93/38/CE del 1993, inerente gli appalti dei cc.dd. "settori esclusi" ed alla Direttiva 2000/35/CE144 che ha - appunto - imposto agli Stati membri dell'Unione Europea l'introduzione di una disciplina di armonizzazione delle normative nazionali in merito alle conseguenze dell'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie - derivanti da accordi tra imprenditori o tra imprenditori e Pubbliche Amministrazioni.
Senza dimenticare, infine, l'art. 10145 del D. Lgs. 231 del 2002 che ha sostituito l'art. 3 della L. 192/1998146 (in materia di subfornitura nelle attività produttive).
al cessare del fatto pregiudizievole. Le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono si intendono abbandonate. 3. Le riserve devono essere formulate in modo specifico ed indicare con precisione le ragioni sulle quali esse si fondano. In particolare, le riserve devono contenere a pena di inammissibilità la precisa quantificazione delle somme che l'appaltatore ritiene gli siano dovute; qualora l'esplicazione e la quantificazione non siano possibili al momento della formulazione della riserva, l'appaltatore ha l'onere di provvedervi, sempre a pena di decadenza, entro il termine di quindici giorni fissato dall'articolo 165, comma 3, del regolamento».
144 X. XXXXXXXX, Direttiva 2000/35/CE sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in La Rivista del Consiglio, Ordine degli avvocati e procuratori di Milano, 2001, 1, pp. 103- 116; X. XXXXXXXX, La Direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagemento nelle transazioni commerciali, in Studium iuris, 2001, 3, pp. 259-272; X. XXXXX, L'attuazione della dir. 2000/35/Ce in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: introduzione al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (prima parte), in Responsabilità civiile e previdenza, 2003, 1, pp. 247-277.
145 L'art. 10 del D.Lgs. 231 del 2002, disciplinante le modifiche alla legge 18 giugno 1998, n. 192, così recita: «1. All'articolo 3, della legge 18 giugno 1998, n. 192, il comma 3 è così sostituito: "In caso di mancato rispetto del termine di pagamento il committente deve al subfornitore, senza bisogno di costituzione in mora, un interesse determinato in misura pari al saggio d'interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorni di calendario del semestre in questione, maggiorato di sette punti percentuali, salva la pattuizione tra le parti di interessi moratori in misura superiore e salva la prova del danno ulteriore. Il saggio di riferimento in vigore il primo giorno lavorativo della Banca centrale europea del semestre in questione si applica per i successivi sei mesi. Ove il ritardto nel pagamento ecceda di trenta giorni il termine convenuto, il committente incorre, inoltre, in una penale pari al 5 per cento dell'importo in relazione in relazione al quale non ha rispettato i termini».
146 L'art. 3 della L. 192/1998 così dispone in materia di termini di pagamento: «1. Il contratto deve fissare i termini di pagamento della subfornitura, decorrenti dal momento della consegna del bene o dal momento della comunicazione dell'avvenuta esecuzione della prestazione, e deve precisare, altresì, gli eventuali sconti in caso di pagamento anticipato rispetto alla consegna.
2. Il prezzo pattuito deve essere corrisposto in un termine che non può eccedere i sessanta giorni dal momento della consegna del bene o della comunicazione dell'avvenuta esecuzione della prestazione. Tuttavia, può essere fissato un diverso termine, non eccedente i novanta giorni, in accordi nazionali per settori e comparti specifici, sottoscritti presso il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato da tutti i soggetti competenti per settore presenti nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro in rappresentanza dei subfornitori e dei committenti. Può altresì essere fissato un diverso termine, in ogni caso non eccedente i novanta giorni, in accordi riferiti al territorio di competenza della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura presso la quale detti accordi sono sottoscritti dalle rappresentanze locali dei medesimi soggetti di cui al secondo periodo. Gli accordi di cui al presente comma devono contenere anche apposite clausole per garantire e migliorare i processi di innovazione tecnologica, di formazione professionale e di integrazione produttiva.
3. In caso di mancato rispetto del termine di pagamento il committente deve al subfornitore, senza bisogno di costituzione in mora, interessi corrispondenti al tasso ufficiale di sconto maggiorato di cinque punti percentuali, salva la pattuizione tra le parti di interessi moratori in misura superiore e salva la prova del danno ulteriore. Ove il ritardo nel pagamento ecceda i trenta giorni dal termine convenuto, il committente incorre, inoltre, in una penale pari al 5 per cento dell'importo in relazione al quale non ha rispettato i termini.
4. In ogni caso la mancata corresponsione del prezzo entro i termini pattuiticostituirà titolo per l'ottenimento di ingiunzione di pagamento provvisoriamente esecutiva ai sensi degli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile.
5. Ove vengano apportate, nel corso dell'esecuzione del rapporto, su richiesta del committente, significative modifiche e varianti che comportino comunque incrementi dei costi, il subfornitore avrà diritto ad un
Ciò detto, ritornando alla tematica degli interessi moratori cui l'art. 1224 c.c. fa riferimento occorre richiamare la significativa giurisprudenza di legittimità che su di essi ha avuto modo di pronunciarsi.
Anzitutto, la sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19499 del 16 luglio 2008 nella quale si osserva come nelle obbligazioni pecuniarie sono dovuti, dal giorno della mora, gli interessi legali ed al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l'ulteriore risarcimento. Mentre poi nelle obbligazioni di valore il giudice procede automaticamente alla rivalutazione delle somme spettanti, nelle obbligazioni di valuta si applica il principio nominalistico, ovvero il debitore è liberato pagando l'esatto ammontare "nominale" del debito.
Infine, sempre nelle prestazioni pecuniarie, al creditore non soddisfatto vengono riconosciuti solo gli interessi legali che, per altro, non possono essere liquidati d'ufficio ma devono essere oggetto di una specifica richiesta. Nel caso poi in cui sia configurabile un "maggior danno", eccedente gli interessi legali, ne deve essere fornita specifica prova: in particolare, il rischio di svalutazione assume rilievo solo come eventuale "maggior danno", per la misura che sopravanza il tasso legale. Il creditore, pertanto, attraverso un esplicito petitum e specifici elementi di prova può richiedere distintamente, il capitale originario, gli interessi legali e, con adeguati elementi di prova, il maggior danno. Quest'ultimo, viene riconosciuto esclusivamente per la parte non ricoperta dagli interessi legali.
La pronuncia in esame, dunque, pone centrale attenzione sulla tematica del riconoscimento dei «danni nelle obbligazioni pecuniarie»; ed in particolare, sul
c.d. «danno da svalutazione»147.
3.2. Risarcimento del danno da «svalutazione monetaria» quale risarcimento del danno da inadempimento delle obbligazioni pecuniarie?
Il Giudice di legittimità, nel pronunciarsi come sopra visto, offre altresì un
excursus storico inerente il tasso di inflazione.
Nel corso degli anni '70 - '80, ad esempio, si registrava un tasso legale del 5% a fronte di un'inflazione del circa 20%, notevolmente lievitato dunque rispetto al
adeguamento del prezzo anche se non esplicitamente previsto dal contratto».
147 In tema di rapporto di obbligazioni pecuniarie e svalutazione si veda, ad esempio, X. XXXXX - X. XXXXXXX,
Nelle obbligazioni pecuniarie il maggior danno è presunto: cadono le "categorie creditorie", in
Responsabilità civile e previdenziale, 2009, 9, pp. 1858-1869.
primo.
Negli anni '90 poi il Legislatore elevava al 10% il tasso legale, per poi ridurlo nel '96 al 5% e demandandone l'adeguamento al Ministro dell'Economia, sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell'anno".
Molti, dunque, i profili di novità della pronuncia: tra i quali quelli, appunto, che hanno portato i primi commentatori ad affermare che nulla sarebbe stato più come prima, per l'inadempimento di crediti di valuta afflitti da "danno da svalutazione".
L'art. 1224, II° comma, c.c. è la norma utilizzata in larga misura per identificare quest'ultimo danno.
Già in passato, la sentenza n. 5670/1978 della Corte di Cassazione ha accolto l'idea che la svalutazione monetaria costituisce, in se stessa, un danno concreto e reale anche dal punto di vista giuridico, perché si traduce in un diminuito potere di acquisto della somma che il debitore era tenuto a pagare; somma, appunto, che deve essere necessariamente rivalutata, affinché quel valore che sarebbe entrato nel patrimonio del creditore, nel caso di adempimento puntuale, mantenga il suo identico contenuto sostanziale nel momento in cui viene liquidato il risarcimento.
Alle stesse conclusioni giunse sempre la Suprema Corte con la sentenza n. 76 del 1981, ripresa dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza n. 2368 del 1986.
Ove ben è stato evidenziato che la scadenza non può produrre alcuna diretta conseguenza sull'obbligazione pecuniaria in quanto tale, rimanendo essa pur sempre assoggettata, fino al momento del pagamento, al principio nominalistico e potendosi solo ipotizzare un'obbligazione aggiuntiva, che sorge dall'inadempimento e che ha per oggetto il risarcimento del danno previsto dall'art. 1224.
Al deprezzamento monetario, dunque, può essere riconosciuta solo una indiretta rilevanza in relazione alle conseguenze pregiudizievoli che dalla stessa sono derivate al singolo creditore per non aver potuto disporre della somma nel tempo in cui avrebbe dovuto essere pagata.
Le Sezioni Unite, nella decisione del 2008, sembrano dunque non volersi discostare da tale impostazione e sottolineano, invece, come si dovrebbe parlare con maggiore esattezza di danno da intervenuta impossibilità, per fatto del
debitore, che il creditore si sottraesse agli effetti della svalutazione, spendendo o investendo il denaro non tempestivamente versatogli in impieghi con remuneratività superiore al tasso di inflazione.
Tuttavia, le medesime Sezioni Unite non hanno mancato di criticare l'orientamento diffusosi nel 1979 e nel 1986, secondo il quale il danno deve configurarsi nelle conseguenze patrimoniali derivanti dalla mancata utilizzazione della somma dovuta in dipendenza dell'inadempimento.
Per le Sezioni Unite, infatti, il danno da svalutazione è in re ipsa ed opera allo stesso modo per tutti i creditori.
Con la conseguenza che assume scarso rilievo sistematico e pratico la facoltà data al debitore, di dimostrare la concreta influenza del fenomeno inflativo.
Si verte - sempre secondo la Corte - in situazioni che recano in se stesse il germe dell'inevitabile approssimazione della statuizione giudiziale.
Il riferimento alle «presunzioni categoriali», riscontrabile nella pronuncia in esame, colloca i debiti pecuniari nello schema dei debiti di valore, vanificando l'operatività del principio nominalistico ritenuto più volte dalla Corte Costituzionale un principio ben solido.
Ecco perchè, infatti, la Suprema Corte si è pronunciata a Sezioni Unite, al fine di evitare il rischio di svuotamento dei principi generali in materia di obbligazioni pecuniarie. Rischio che deriverebbe dall'interdipendenza tra il meccanismo di categorizzazione economica e la svalutazione alla stregua di fatto notorio ex art. 115 c.p.c..
«Con la sentenza in argomento vengono perciò apportate significative modifiche ai principi giurisprudenziali dettati in passato:
• vengono abbandonati i criteri presuntivi ricollegati alle categorie dei creditori, riconoscendo, in un regime generalizzato e in via presuntiva, a qualunque creditore, il maggior danno, stabilito nella differenza fra il tasso di rendimento netto annuo dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e il tasso legale;
• vengono meglio puntualizzate le possibilità, sia del debitore che del creditore, di fornire la prova rispettivamente di un minore o maggior danno.
Il provvedimento induce apprezzabili elementi di semplificazione, riconoscendo su richiesta, in via generale e presuntiva, il maggior danno di cui all'art. 1224, comma 2 c.c. [...]. Volendo presidiare e tutelare l'ordinato svolgimento dei
rapporti economici, non si può trascurare la circostanza che l'inadempimento costituisce spesso una forma implicita di finanziamento, al quale l'operatore economico scarsamente patrimonializzato ricorre per surrogare ed integrare il ricorso al credito bancario. In tali occorrenze il beneficio conseguito dal debitore è assai più ampio di quello che la sentenza riconosce con la mora e il maggior danno [...]148».
3.3. Disciplina, funzione e applicazione degli interessi di mora
Il Legislatore italiano, come noto, riconosce con la previsione di cui all'art. 820
c.c. l'attitudine del denaro a produrre frutti civili, il cui fondamento consiste nel favorire liquidità monetaria al soggetto obbligato al pagamento.
Secondo autorevole dottrina - si veda ad esempio l'Autore Ferrara149 - gli interessi costituiscono prestazioni accessorie, omogenee rispetto alla prestazione principale, che si aggiungono ad essa per effetto del decorso del tempo e che sono commisurate ad una aliquota della stessa.
Le caratteristiche fondamentali delle obbligazioni sono dunque: l'omogeneità (o fungibilità) - che consente di definirle omogenee rispetto alle obbligazioni principali cui accedono -; proporzionalità - gli interessi sono quantificati in misura percentuale rispetto al capitale cui adducono ed il tasso o saggio di interesse può essere determinato o in via legale o in via convenzionale; periodicità - nel senso che gli interessi maturano giorno per giorno e sono dovuti in ragione del decorso del tempo - ed, infine, l'accessorietà - in merito alla quale la Suprema Corte, con la sentenza 9800 del 1991, ha affermato come la decorrenza degli interessi presuppone la nascita dell'obbligazione principale e cessa con l'estinzione di questa e non esclude, pertanto, che una volta sorto, il credito degli interessi costituisca un'obbligazione pecuniaria autonoma da quella principale.
148 X. XXXXXXXX, Obbligazioni pecuniarie: interessi legali e maggior danno. I principi posti dalla Cassazione, S.U., Civ., sentenza n. 19499 del 16 luglio 2008, in xxx.xxxxxx.xx, documento n. 182/2009; Cass., S.U., 16.7.2008, n. 19499, in Foro it., 2008, I, pp. 2786 e ss., con osservazioni di Xxxxxxxx e con note di PARDOLESI R., Debiti di valuta, «danno da svalutazione monetaria: una prospettiva finanziaria», in Corriere giur., 2008, pp. 1555 e ss., con nota di DI MAJO, Il danno da svalutazione monetaria tra prove presuntive e regole di giudizio, in Giur. it., 2009, pp. 1136 e ss.; con nota di VALORE, Le Sezioni Unite sul danno da svalutazione, in Obb. e contr., 2008, pp. 880 e ss, con nota di XXXXX, Il danno nelle obbligazioni pecuniarie: le Sezioni Unite tornano alla giurisprudenza del '78; ivi, 2009, pp. 110 e ss.; con nota di XXXXXX, Criteri ed oneri probatori per la determinazione del maggior danno da inadempimento nelle obbligazioni pecuniarie, in Giust. civ., 2008, I, pp. 2367 e ss., con nota di XXXXXXXXX, Ancora le sezioni unite sul "maggior danno": il definitivo superamento delle categorie creditorie, ed. ivi, 2009, I, pp. 1937 e ss..
149 F. FERRARA, in Il Fallimento, Milano, 1986, p. 29.
Gli interessi moratori possono essere suddivisi in relazione alla loro funzione tra interessi corrispettivi ed interessi moratori.
Gli interessi corrispettivi rappresentano il corrispettivo dovuto dal debitore per il vantaggio tratto dalla disponibilità di una somma di denaro spettante al creditore e svolgono, perciò, una funzione remuneratoria.
Gli interessi moratori, invece, rappresentano una liquidazione forfettaria minima del danno da ritardo nelle obbligazioni pecuniarie e presuppongono lo stato di mora del debitore.
La dottrina e la giurisprudenza poi affermano l'esistenza di una terza categoria di interessi, gli interessi compensativi: dovuti a titolo equitativo nei contratti di scambio e la cui finalità consiste nel compensare il creditore del mancato godimento dei frutti della cosa.
3.4. Gli interessi moratori nella Direttiva 2011/7/UE: quali riflessi nell'àmbito delle transazioni commerciali?
La Direttiva 2011/7/Ue150 e, di conseguenza il Decreto di attuazione (D. Lgs. 192/2012), il cui studio verrà analizzato nel proseguio, ha apportato rilevanti modifiche e novità proprio in tema di interessi moratori.
Per comprenderne la portata occorrerà operare la distinzione tra le due principali categorie di transazioni commerciali attorno alle quali ruota l'attuale assetto normativo.
Appare, anzitutto, pacifico l'assunto per il quale gli interessi moratori decorrono dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento; termine che, appunto, può essere legale o contrattuale.
Gli interessi legali di mora sono definiti, dalla nuova normativa, interessi ad un tasso concordato tra imprese; sono - cioè - interessi semplici di mora su base giornaliera calcolati in base al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali.
Il tasso di riferimento variabile di cui si compongono - oltre che alla
150 I. XXXXXXX (Eds.)., Xxxxxxxxx 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali del 16/02/2011, in Famiglia, Persone e Successioni, 2011, 6, pp. 477-478; X. XXXXXXXXX (Eds.)., La nuova direttiva 2011/7 in tema di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: prospettive di recepimento, in Contratto e impresa. Europa, 2011, 1, pp. 447-463; C. DI MARZIO, Direttiva 2011/7/UE sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Rivista amministrativa della Repubblica Italiana, 2011, 3-4/2, pp. 177-180; X. XXXX, La disciplina europea sui ritardi nei pagamenti, in Gionale di diritto amministrativo, 2011, 8, pp- 821-828.
maggiorazione fissa - gli interessi legali si ricava da quello applicato dalla Banca Centrale Europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali.
A tal proposito, infatti, il MEF (Ministero dell'Economia e delle Finanze) deve dare notizia del tasso di riferimento, offrendone pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre.
Ovviamente, la maggiorazione di 8 punti si applica a transazioni concluse a partire dal 1° gennaio 2013, continuando ad applicarsi la maggiorazione di 7 punti per ritardi di pagamento registrati a partire da detta data, ma conclusisi anteriormente alla medesima.
Veniamo ora all'assetto degli interessi moratori nell'àmbito dei rapporti tra Pubblica Amministrazione ed imprese.
In tal caso, gli interessi moratori dovuti in caso di ritardo sono calcolati nella misura degli interessi legali di mora.
E detta previsione non può essere derogata, posto che la deroga è ammessa solo nel caso di transazioni tra imprese.
Mentre, dunque, in vigenza della precedente normativa la libera pattuizione della misura degli interessi moratori era consentita anche in tale settore, attualmente ciò non può accadere.
Rimane, invece, la sola possibilità per i creditori della PA di rinunciare agli interessi moratori a seguito di un ritardato pagamento.
A consentirlo pare essere la stessa Xxxxxxxxx che all'interno del Considerando 16 afferma che la stessa «non dovrebbe obbligare un creditore ad esigere interessi di mora», anche se attualmente il suo Decreto di attuazione espressamente non dice nulla in merito se non lasciare ampia libertà di decisione al creditore.
Il Decreto di attuazione, anzi, sembra offrire una interpretazione non restrittiva dell'autonomia contrattuale in tema di interessi.
Altresì, il medesimo Decreto non pare derogare all'art. 1236 c.c. in materia di remissione del debito, che riconosce la legittimità della rinuncia a condizione che il creditore comunichi espressamente al debitore tale rinuncia.
Da ultimo la conferma giunge anche dalla giurisprudenza di legittimità che, in materia di appalti di lavori pubblici, non consente solo le pattuizioni preventive sulla non esigibilità degli interessi al fine di impedire che la parte contrattuale più forte - solitamente la committente - imponga nei contratti con gli appaltatori clausole di deroga al pagamento degli interessi sui lavori saldati in ritardo.
Ecco cosa avviene, invece, per gli interessi moratori nelle transazioni tra imprese.
Il Decreto attuativo della Direttiva del 2011 riconosce alle imprese la libertà di stabilire convenzionalmente il saggio degli interessi moratori, purché lo stesso non risulti gravemente iniquo in danno del creditore.
Se non vi è, dunque, un diverso accordo tra le parti, o l'accordo prevede un saggio di interessi gravemente iniquo, trovano applicazione gli interessi legali di mora.
Posto che il Legislatore intende impedire che le parti possano pattuire livelli di interessi moratori tanto bassi sino ad annullare le conseguenze dei ritardati pagamenti.
Altresì, la clausola che esclude l'applicazione di interessi di mora si considera gravemente iniqua, senza che venga ammessa prova contraria.
La presunzione di cui all'art. 7, comma III°, del Decreto è, infatti, una presunzione legale assoluta.
Di conseguenza è nulla ed il debitore non può dimostrare il contrario.
Un aspetto specifico che merita attenzione - sempre per quanto attiene gli interessi moratori - è quello attinente il regime contabile ed i profili fiscali.
Rispetto alla precedente normativa, il Decreto non ha apportato alcuna novità in detto campo.
Ad esempio, l'impostazione offerta dal Tuir (art. 56, III° comma ed art. 71, VI° comma) creava non poche difficoltà alle imprese: dette disposizioni, infatti, prevedevano che gli interessi di mora concorressero alla formazione del reddito di impresa in ragione della loro maturazione. E la loro tassazione poteva essere rinviata al momento dell'incasso.
Ciò aveva consentito, dunque, la diffusione della prassi contabile per la quale la rilevazione degli interessi moratori attivi in presenza di fondati rischi di realizzabilità veniva ad essere omessa sin dall'inizio.
Il documento contabile n. 15, infatti, prevede che quando l'incasso di interessi è dubbio, il riconoscimento dei medesimi va sospeso e quelli in precedenza rilevati vanno valutati al presumibile valore di realizzo; perdipiù, se si ritiene di continuare a riconoscerli, va allora effettuato uno stanziamento nel fondo svalutazioni crediti in relazione alla possibilità di recupero.
L'omissione, tuttavia, era consentita perché in linea con il principio di prudenza
anche se, frequentemente, in sede di controllo fiscale gli interessi di mora maturati ma non contabilizzati venivano ripresi a tassazione.
Il problema oggi, però, non si pone dato che l'art. 109, VII° comma, del TUIR stabilisce che gli interessi di mora concorrono alla formazione del reddito nell'esercizio in cui sono percepiti o corrisposti, con la conseguenza che concorrono alla formazione del reddito imponibile secondo il principio di cassa, sia per l'impresa creditrice che per quella debitrice.
Vediamo, invece, adesso il profilo concernente la rilevazione contabile.
Gli interessi di mora devono essere rilevati nelle scritture contabili e nel bilancio di esercizio in ragione della loro maturazione, secondo il criterio di competenza economica.
In particolare, gli interessi moratori maturati alla data di redazione del bilancio devono151 essere rilevati nel conto economico alla voce C) "Proventi e oneri finanziari".
Occorrerà poi rilevare nell'attivo (o nel passivo) dello stato patrimoniale il credito (o il debito) per interessi di mora.
I crediti ed i debiti di mora, una volta rilevati in bilancio, devono essere oggetto di valutazione secondo la previsione contenuta nell'art. 2426, n. 8 del codice civile: e cioè, i crediti in ragione del loro presumibile valore di realizzo, mentre i debiti dovranno essere mantenuti al loro valore nominale.
Una volta rilevato il credito per interessi di mora nell'attivo dello stato patrimoniale l'impresa creditrice che ritiene di non recuperare gli interessi di mora dovrà procedere con la svalutazione del relativo credito attraverso un accantonamento ad un "Fondo svalutazione" specifico.
Detta operazione viene, nella maggior parte dei casi, effettuata dal creditore che si trova impossibilitato o in prevedibile difficoltà a riscuotere in tutto o in parte i crediti in questione.
In conclusione: a partire dal termine fissato per il pagamento, il creditore deve contabilizzare un credito per gli interessi maturati. Secondo l'art. 2423 bis, n. 1,
c.c. la valutazione del credito verrà effettuata rilevando il valore di presumibile realizzazione.
In conformità, dunque, con il principio di prudenza.
151 A stabilirlo è il documento interpretativo 1 del principio contabile OIC n. 12 "Classificazione nel conto economico dei costi e dei ricavi".
PARTE SECONDA
Premessa
La seconda parte del presente elaborato è dedicata, rispetto alla prima incentrata al codice civile, al quadro delle direttive europee disciplinanti il fenomeno dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Il «cambio di prospettiva» è dovuto al fatto che, mentre nella prima parte si è analizzata la prospettiva della tutela individuale delle ragioni creditorie, nella seconda si analizza la prospettiva di sistema: quella che nasce dalla considerazione del ritardo nei pagamenti come fatto sociale e come problema non individuale, bensìdi mercato.
Dalla lettura delle disposizioni del codice civile emerge come la parte contrattuale considerata «forte» sia quella del creditore; la giurisprudenza spesso, infatti, si è pronunciata evidenziando come la impostazione tradizionale vedesse nel favor creditoris la dinamica intorno alla quale, peraltro, i rapporti commerciali si instauravano e si sviluppavano.
Sennonché, proprio la prassi che poi si diffuse in tema di ritardi di pagamento ha consentito un «rovesciamento» del principio tradizionale, dato che sempre più frequenti sono divenuti i casi in cui il è il creditore a lamentare un ritardo nell'adempimento di quanto allo stesso dovuto.
La parte debole, dunque, diviene il creditore, mentre il debitore effettua i pagamenti con sempre più ritardo e posticipo rispetto alle scadenze pattuite.
Tanto che, a livello comunitario, la normativa sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali viene ad essere modificata a seguito dell'emanazione della nuova direttiva del 2011, di recente attuata con la L. 192 del 2012.
Il nucleo centrale della nuova normativa perdipiù fa riferimento - rispetto alla
impostazione precedente che mirava soprattutto a disciplinare la lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni tra privati - sopratutto ai ritardi di pagamento tra imprese commerciali e imprese commerciali e privati, settore ove ancora di più il fenomeno dei ritardi di pagamento si manifesta.
Dunque, il quadro delineato nella prima parte muta notevolmente. Si osserva un rapporto obbligatorio che si modifica con il diversificarsi delle modalità di interazione tra i soggetti coinvolti.
Dalla «cooperazione giuridica» di cui all'incipit del presente elaborato si passa ad un susseguirsi di interventi normativi europei la cui ratio è quella di richiamare gli Stati membri al corretto utilizzo della cooperazione stessa, sopratutto nei rapporti commerciali. Proprio perché quello che verrà da ora in poi illustrato è un problema che concerne le dinamiche di pagamento e di cassa. Si pensi, ad esempio, al rapporto152 dell'Unione Europea del settembre 2014, ove si evidenzia come i ritardi di pagamento che si realizzano nei rapporti tra imprese e P.A. e pubbliche amministrazioni tra loro comportano conseguenze rilevanti, se si pensa che detto fenomeno non incoraggia certamente le imprese a investire nel settore pubblico e che le "morosità" che di conseguenza si realizzano si ripercuotono inevitabilmente sul tessuto sociale ove si insinuano.
Anche nell'Industry White Paper153 dell'ottobre 2014 si rileva come «In Europa, le perdite sui crediti dovute a ritardi di pagamento e insolvenze hanno raggiunto la cifra record di 360 miliardi di euro, il 3,1% del valore di tutte le transazioni commerciali. L'EPI 2014 Industry White Paper di Intrum Justitia rivela come la salute economica dell'Europa sia pesantemente influenzata dalla lotta delle aziende contro i ritardi e insolvenze di pagamento inesigibili, un fenomeno che rallenta la creazione di posti di lavoro, la crescita delle aziende e degli investimenti in tecnologia ed innovazione. Il rapporto EPI 2014 Industry Xxxxx Paper evidenzia che alcuni settori economici sono più colpiti da questa situazione rispetto ad altri».
I capitoli seguenti sviluppano, nel dettaglio, l'analisi delle direttive europee - sia nel precedente assetto che in quello riformato - ed i rimedi giurisdizionali, tra i quali molto importante è quello della nullità quale clausola di salvaguardia dei diritti ed interessi legittimi del creditore.
E proprio in questo quadro - al cui interno il legislatore guarda con molta
152 W. COLONNEL, The economic Impact of Late Payments, in European Commission, European Economy, Economy Papers, September 2014.
153 European Payment Index 2014, Industry White Paper, in Intrum Justitia , ottobre 2014.
attenzione al rimedio della nullità - importante interrogarsi sulla loro efficacia e su quali soluzioni ulteriori ogni singolo Stato membro può apportare, favorendo una generale soluzione di sistema.
Viene così fatto riferimento al potere molto più ampio del Giudice, che può pronunciarsi anche di ufficio.
Viene poi fatto anche riferimento all'inserimento nella nuova direttiva alla clausola di riserva di proprietà - quale garanzia del debito/credito - e viene anche fatto riferimento allo strumento del procedimento europeo di ingiunzione.
Non si dimentichi poi un altro aspetto fondamentale, la cui previsione è apparsa in tempi recenti e che comunque trova fondamento in un percorso già iniziato nel 2012, quando la Legge sul sovraindebitamento (legge n. 3 del 2012, c.d.
«Composizione della crisi da sovraindebitamento») ebbe modo di prevedere la possibilità per i consumatori in difficoltà di rinegoziare i propri debiti con i creditori sulla base di un piano di ristrutturazione del debito: il Piano del consumatore.
Già questa strada fece pensare ad una equiparazione tra la figura del consumatore e quella del debitore. Che se vogliamo è anche rintracciabile da ultimo nel D. L. n. 83 del 2015 (c.d. «Anti credit crunch»), in vigore dal 27 giugno 2015. Che non solo ha apportato, in primis, rilevanti novità in tema procedurale, ma ha sopratutto previsto un nuovo adempimento formale per il creditore, il quale è tenuto ad avvertire il debitore che può concludere con i creditori un accordo di composizione della crisi oppure un "piano del consumatore".
Ancora una volta, quindi, se si pensa alla tradizionale costituzione in mora automatica nella visione tradizionale e la si legge nel mutato scenario normativo
- guidato da una visione "europeizzata" degli strumenti preposti alla lotta contro i ritardi di pagamento - emerge come il quadro ancora potrà subire modifiche e mutamenti, posto che il nucleo centrale di queste tematiche è sicuramente il fattore sociale che caratterizza le transazioni commerciali in generale, e la crisi che non di rado le accompagna.
CAPITOLO IV
I RIMEDI GIURISDIZIONALI CONTRO IL RITARDO DI PAGAMENTO NELLE TRANSAZIONI COMMERCIALI NELLA PROSPETTIVA DEL DIRITTO EUROPEO
4.1. Un quadro d'insieme: la lotta contro i ritardi di pagamento nella prospettiva del c.d. «Small Business Act»
La lotta contro i ritardi di pagamento assume significativa importanza in un quadro generale di interventi a favore delle piccole e medie imprese, ovvero in un quadro ove anche all'interno del contesto normativo italiano si è cercato di trarre i benefici di uno strumento di derivazione anglosassone, quale quello dello Small Business Act - sul quale nel presente paragrafo ci soffermeremo più a lungo.
Quando si parla di «Small Business Act»154 ( o SBA ) si fa riferimento a dieci principi, articolati in diverse azioni concrete politiche e legislative, che definiscono le grandi linee a favore delle piccole medie imprese (o Pmi) e che promuovono lo spirito imprenditoriale mediante il pensiero «Think small first». Anzitutto, lo stesso ha l’obiettivo di promuovere la formazione e facilitare la creazione di nuove imprese ed il passaggio di imprese esistenti da un imprenditore ad un altro; consentire la conclusione delle procedure concorsuali o fallimentari entro un anno; rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole medie imprese e facilitare l’intervento di queste ultime agli appalti pubblici; agevolarne l’accesso al credito ed aiutarle a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico.
Sul punto, in Italia veniva emanata dal Ministero dello Sviluppo Economico il 9 settembre 2009 la direttiva «Investiamo sul rilancio dell’Italia» la cui finalità era appunto quella di attuare nel nostro ordinamento giuridico lo strumento di derivazione anglosassone.
Così il 30 novembre dello stesso anno il Consiglio dei Ministri approvava la
154 V. Comunicazione della Commissione Think Small first - A Small Business Act for Europe, COM/2008/394 def., del 25 giugno 2008.
direttiva che dava attuazione ai principi previsti nella Comunicazione della Commissione Europea contenuti nello Small Business Act.
Sino a che, nel 2011, la L. 180 ha affermato all'art. 1, I° comma, che i principi della presente legge costituiscono norme fondamentali di riforma economico- sociale della Repubblica e principi dell’ordinamento giuridico dello Stato e hanno lo scopo di garantire la piena applicazione delle comunicazione della Commissione europea COM (2008) 394, definitivo, del 25 giugno.
Alla comunicazione del 25 giugno 2008155 deve aggiungersi poi anche quella, altrettanto importante, del 26 novembre dello stesso anno.
Mentre nella prima comunicazione, la Commissione sottolineava l’esigenza di agevolare l’accesso al credito per le piccole e medie imprese e la necessità di creare un contesto giuridico ed economico che favorisse la puntualità dei pagamenti; nella seconda mirava alla riduzione degli oneri amministrativi ed alla promozione dell’imprenditorialità assicurando, in linea di principio ed al fine di alleviare i numerosi problemi di liquidità, il pagamento entro un mese delle fatture relative a forniture e servizi, ivi comprese quelle emesse in favore delle Pmi.
Gli approcci adottati dai 27 Paesi membri in merito allo Small Business Act sono diversi: ad esempio, l'Italia e l'Irlanda hanno creato veri e propri gruppi di lavoro; la Francia ha attribuito priorità solo ad alcuni principi in esso contenuti. Altri ancora, come l'Olanda ed il Regno Unito relazionano periodicamente sui risultati raggiunti presso le istituzioni europee.
Si pensi ancora all'istituzione degli Sportelli Unici cui 18 Paesi europei hanno fatto ricorso per raggiungere l'obiettivo della c.d. «impresa in un giorno».
Mentre le proposte più rilevanti per il sistema italiano delle piccole medie imprese contenute nello Small Business Act possono indicarsi in 4 macro- categorie: 1) sistema di governance e better regulation156; 2) tipologie di imprese
155 La comunicazione in oggetto è denominata «Una corsia preferenziale per la piccola impresa – Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la piccola impresa (un “Small Business Act” per l’Europa)».
156 Il sistema in esame si articola nella presentazione di un disegno di legge annuale per le Pmi all'interno della manovra annuale di bilancio; nella redazione di testi chiari e comprensibili e che detti elementi vengano utilizzati anche per la redazione dell'AIR (Analisi di Impatto della Regolamentazione); nella consultazione delle associazioni di rappresentanza prima della redazione delle proposte di legge e che i risultati della consultazione siano visibili nell'AIR; nella creazione dell'impresa in un giorno e nella creazione degli Sportelli Unici previsti dalla Direttiva Servizi; infine, nell'evitare che la Pubblica Amministrazione richieda alle imprese informazioni di cui è già in possesso o che possono essere ricavate contattando altre pubbliche amministrazioni.
o di imprenditori da sostenere157; 3) attività di impresa158 e 4) politiche per l'innovazione159.
Le politiche che il governo italiano potrebbe promuovere in sede comunitaria e recepire a livello nazionale sono sicuramente incentrate sul sistema degli
«appalti» - ove dovrebbero applicarsi le indicazioni contenute nel Codice europeo di Buone Pratiche per facilitare l'accesso delle Pmi agli appalti pubblici160 (obbligare le stazioni appaltanti a mettere a disposizione delle imprese la documentazione in formato elettronico; ridurre gli obblighi documentali per le imprese offerenti; ridurre gli oneri amministrativi ed, infine, favorire la crescita delle Pmi più efficienti)-; sul sistema dei pagamenti (l'esistenza della Direttiva 35 del 2000 non fa venir meno il fenomeno dei ritardi di pagamento che costituiscono invece un grave onere per le Pmi nei confronti delle dirette concorrenti europee) ed infine il celere recepimento da parte del governo italiano di normative tecniche comunitarie finalizzate ad una sempre più rapida risoluzione di fenomeni intracomunitari.
Detti principi - che mirano a realizzare gli ambiziosi obiettivi della strategia Europa 2020 - hanno avuto il pieno appoggio del Consiglio Europeo già nel dicembre 2008.
A tal fine, infatti, gli Stati membri dell'Unione Europea si sono impegnati a definire le misure necessarie per migliorare l'ambiente normativo, amministrativo ed economico ed a sostenere le Pmi europee, individuando le seguenti linee guida:
a) realizzare un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare in un contesto finalizzato ad attuare lo spirito imprenditoriale;
157 Si fa riferimento a: imprenditoria femminile; imprese creative, operanti in particolare nel settore di beni culturali e della moda, ed imprese turistiche. In base a questo criterio lo Small Business Act intende favorire il trasferimento di impresa ed incentivare altresì l'utilizzo del contratto di rete ex art. 1 della L. 99/2009 come strumento per superare le ridotte dimensioni di impresa del sistema italiano.
158 Per quanto riguarda l'attività di impresa, lo Small Business Act intende favorire l'accesso delle Pmi agli appalti pubblici, nel rispetto della normativa europea, in un primo tempo agli appalti banditi con comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti ed agli appalti di forniture di importo inferiore alla soglia comunitaria; promuovere la digitalizzazione della gestione degli appalti pubblici; usufruire delle deroghe temporanee alla disciplina degli aiuti di stato; verificare le misure esistenti per favorire l'accesso al credito delle Pmi; favorire il microcredito, i business angels ed il venture capital, anche attraverso programmi pubblici (come il Fondo Italiano per l'investimento delle Pmi).
159 Per quanto attiene, infine, l'ultimo aspetto lo Small Business Act si muove nel senso di: favorire l'accesso delle Pmi italiane si brevetti e ai modelli depositati; favorire la partecipazione delle Pmi ai comitati di normalizzazione e la pubblicità delle decisioni di questi organi; promuovere l'e-government e l'e-invoicing; nonchè facilitare la nascita delle Pmi nel campo dell'eco-innovazione (green economy).
160 Commissione delle Comunità Europee, Bruxelles, 25 giugno 2008, SEC (2008) 2193, Documento di lavoro dei servizi della Commissione, Codice europeo di buone pratiche per facilitare l'accesso alle Pmi agli appalti pubblici, documento consultabile in xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxx_xxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxxxxx/xxxx/xxx_xxxx_xx_xxxx_xxxxxxxxx_xx.xxx.
b) consentire agli imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l'insolvenza, una seconda possibilità;
c) formulare regole conformi al principio "pensare anzitutto in piccolo";
d) sensibilizzare le pubbliche amministrazioni alle esigenze delle PMI;
e) adeguare l'azione politica pubblica alle esigenze delle PMI sia facilitando la partecipazione delle stesse agli appalti pubblici, sia ottimizzando le occasioni degli aiuti di Stato;
f) favorire un contesto economico e giuridico in cui la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali sia il principale obiettivo dei rapporti commerciali, congiuntamente a quello di una agevolazione all'accesso al credito per le Pmi;
g) aiutare le PMI a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico;
h) promuoverne l'aggiornamento delle competenze ed ogni forma di innovazione;
i) permettere alle stesse di trasformare le sfide ambientali in opportunità;
j) ed agevolarle affinché beneficino della crescita dei mercati.
Per quanto attiene i contenuti dello SBA, importante ricordare come dopo tre anni dalla sua adozione, la Commissione ha diffuso il 23 febbraio 2011 il documento di revisione, che delinea una panoramica dei progressi compiuti finora nella sua attuazione e propone interventi in alcuni settori chiave quali:
a) accesso al credito: la finalità degli interventi di questo tipo consiste principalmente nell'adozione di un piano volto a migliorare l'accesso al credito delle Pmi, in particolare avendo riguardo ai mercati di capitale di rischio; rafforzare gli attuali sistemi di garanzia dei prestiti e rendere infine più accessibili alle Pmi i programmi di finanziamento;
b) mercato unico: sotto questo aspetto l'ipotesi di lavoro mira alla introduzione di una base imponibile consolidata comune per le società, oltre che ad introdurre misure finalizzate al recupero dei crediti tranfrontalieri. Ciò sarà possibile poi mediante la revisione del sistema di standardizzazione europeo e, in generale, del diritto contrattuale europeo, congiuntamente a strumenti ideonei ed adeguati a fornire assistenza alle Pmi nell'applicazione delle regole;
c) regolamentazione intelligente: l'obiettivo di questo intervento è anzitutto quello di migliorare la normativa europea e nazionale partendo dall'adeguamento delle medesime alla realtà delle Pmi. Ciò può avvenire facendo in modo che le aziende forniscano una sola volta le informazioni richieste dalla Pubblica
Amministrazione. Dopodiché si dovrà procedere a riformare le direttive contabili inerenti i costi annuali delle società di capitali e limitare la pratica mediante la quale gli Stati membri introducono norme aggiuntive nella legislazione direttive europee (c.d. "gold plating");
d) internazionalizzazione: su questo fronte, la Commissione europea si è impegnata sia ad adottare misure volte a sostenere le Pmi sui mercati esterni all'Ue sia a moltiplicare gli sforzi volti ad eliminare le barriere non tariffarie negli accordi di libero scambio. In un contesto generale in cui obiettivo precipuo è la limitazione delle pratiche commerciali sleali e scorrette in favore della maggiore tutela dei diritti, soprattutto quelli inerenti la proprietà intellettuale;
e) ambiente ed energia: nel marzo 2011 è stato adottato presso le piccole medie imprese il piano di azione per l'efficienza energetica. Necessario appare, infatti, che le Pmi acquisiscano consapevolezza sulle questioni ambientali ed energetiche nel loro operato, e che detto obiettivo venga sempre più rafforzato con l'adozione - ad esempio - del futuro piano di azione verde per le Pmi, per la cui elaborazione nel settembre del 2013 è stata avviata una consultazione pubblica;
f) imprenditorialità: sotto il versante della imprenditorialità, invece, la Commissione Europea si è impegnata ad adottare strumenti che facilitino il più possibile l'imprenditoria femminile, identificando migliori pratiche in materia di trasferimento di impresa e di imprese sociali, mentre gli Stati membri vengono invece invitati a promuovere anzitutto una cultura che dia una seconda chanche alle imprese a rischio e/o fallite e ad implementare, d'altro canto, le raccomandazioni dello SBA in materia di riduzione dei costi e tempi di start-up. Nel maggio del 2011, il Consiglio ha adottato le sue conclusioni sul riesame161 dello "Small Business Act", sottolineando la necessità di un approccio su misura per le Pmi europee e la necessità di dare risposta ai principali problemi da esse
161 Comunicazione della Commissione al consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Bruxelles, 23.02.2011, COM(2011) 78 definitivo, ove si legge a p. 5 che: «Tutti gli stati membri hanno riconosciuto l'importanza di una rapida attuazione dello SBA, ma i metodi adottati e i risultati ottenuti variano notevolmente secondo gli Stati membri. Quasi tutti hanno adotttato obiettivi nazionali per la riduzione degli oneri amminsitrativi, ma non tutti gli Stati membri li hanno effettivamente ridotti. Solo alcuni Stati membri hanno integrato un test PMI nel loro processo decisionale nazionale (Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Polonia, Regno Unito, Slovenia e Svezia). L'accesso al finanziamento è migliorato, ma la soluzione del problema è nelle mani degli Stati membri. In risposta alla crisi finanziaria ed economica, la maggior parte degli Stati membri hanno adottato misure per migliorare l'accesso delle PMI al finanziamento, in particolare ai prestiti bancari, tramite prestiti subordinati vantaggiosi, sistemi di garanzia dei prestiti o programmi di microcredito. Sei stati membri (Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Ungheria e più di recente la Finlandia) hanno istituito un "mediatore del credito". Dato che l'accesso al finanziamento è essenzialmente nelle mani degli Stati membri, un approccio più forte è giustificato».
affrontate, quali quelli legati all'accesso ai finanziamenti, all'accesso ai mercati e ad un contesto normativo e amministrativo semplificato, al fine di permettere loro di crescere ed essere più competitive.
La Commissione ha, inoltre, da ultimo avviato una consultazione pubblica162 su alcuni lavori preparatori in base ai quali alle quattro aree prioritarie dello SBA, ovvero il sostegno all'accesso alla finanza ed ai mercati, la riduzione degli oneri amministrativi e la promozione dell'imprenditorialità, dovrebbe esserne aggiunta una quinta: la necessità di porre rimedio alla carenza di lavoratori qualificati nell'Unione Europea. I risultati della consultazione contribuiranno all'elaborazione del Rapporto163 sullo Small Business Act, verso la cui iniziale adozione per la prima metà del 2015 vi sono state delle difficoltà164.
Uno degli aspetti di fondamentale importanza dell'operare dello Small Business Act è quello inerente le transazioni commerciali tra operatori economici o tra questi e le amministrazioni pubbliche poiché, proprio su questo fronte, è diffusa la prassi per la quale i pagamenti vengono effettuati in ritardo rispetto a quanto stabilito nelle condizioni generali del contratto o dallo stesso pattuito.
Con conseguenze negative sulla liquidità e sulla competitività delle imprese e -
162 Per una lettura dello SBA, datato dicembre 2014, si rinvia a
xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxXxxxxxxx?
id=5888&ext=pdf&name=Consultazione+SBA+Confind-ustria+position+paper+12.12.2014, in cui a p. 2 si legge che «In tale contesto si inserisce l'aggiornamento dello "Small Business Act" e la consultazione in corso lanciata per identificare priorità e strumenti di policy a supporto delle PMI e dell'imprenditorialità per il periodo che va dal 2015 al 2020. Un adeguamento necessario per mettere sempre più PMI nelle condizioni di potersi rafforzare e riuscire, così, a cogliere le nuove opportunità offerte da questa profonda trasformazione. In questo senso, Piccola Industria Confidustria concorda sul fatto che il nuovo SBA debba promuovere lo sviluppo e il cambiamento delle PMI con un insieme di interventi capaci di spingerle a investire, innovare, conquistare nuovi mercati e raggiungere, indipendentemente dal numero di addetti, la "dimensione ottimale per poter competere nel mondo e per creare una nuova occupazione e benessere in Europa. L'industria è infatti la vera chiave del rilancio economico e sono proprio le PMI quelle che possono fare la differenza nelle prospettive future dell'Europa».
163 In Rapporto 2015 Small Business Act, Ministero dello Sviluppo Economico, Direzione Generale per la Politica Industriale, la Competitività e le Piccole e Medie Imprese, Small Business Act, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xxxxxx/xxxxxxx/xxxxxxxxx/XXXXXXXX_XXX_XXXXXXXXXX.xxx, ove in riferimento particolare al nostro Paese, viene precisato che la Commissione UE effettua ogni anno una valutazione sul grado di attuazione della Comunicazione sullo SBA, mettendo a confronto le performance dei vari Paesi UE. Circa gli interventi realizzati dall'Italia negli ultimi anni, infatti, i principali risultati vengono riportati nei vari "Fact Sheet Italia", dalla cui analisi emerge che l'Italia nel periodo 2009 - 2014 (primo trimestre) ha conseguito importanti progressi nel promuovere e sostenere il sistema delle micro Pmi attraverso l'approvazione di misure ad hoc.
164 Su questo tema numerose sono state le opinioni e le notizie, quali ad esempio quella che si può leggere in xxxx://xxx.xxxx.xx/xxxxxxxxxxx/xxxxxxx/xxxxxx/0000/00/00/xxx-xxxxx-xxxxxxxx-xxx-xx-xxxxx-xx- 2015_b5176615-c3cf-405d-adc1-1725c7abcf85.html - sito consultato in data 15 febbraio 2015 - ove viene evidenziato come «La riforma di questo pacchetto legislativo, precedentemente annunciato dalla Commissione Xxxxxxx XX, è stata eliminata dalle priorità del piano di lavoro 2015 da parte della nuova Commissione Juncker. "È inutile affermare a parole l'importanza delle Pmi per la crescita, per l'innovazione e la creazione di posti di lavoro se poi non ci sono passi concreti nelle politiche di tutti i giorni", ha detto Xxxxxxx Xxxxxx, presidente Xxxxxx, che denuncia come dopo mesi di consultazioni pubbliche, la Commissione europea non abbia inlcuso questa riforma nel suo piano di lavoro annuale 2015. "È il segnale sbagliato per milioni di Pmi e artigiani in tutta Europa, sembra che la Commissione dia l'impressione che solo le grandi aziende e i grandi investimenti siano al centro delle politiche europee", ha aggiunto Xxxxxxx».
nei casi più estremi - fallimenti di aziende.
L'iniziativa dello Sba ha trovato dunque decisivo riscontro a livello nazionale. Si pensi, ad esempio, al gruppo di lavoro insediato presso il Ministero dello Sviluppo Economico (già dal 2009) costituito da associazioni di categoria delle PMI, rappresentanti delle Istituzioni nazionali maggiormente coinvolte e della Conferenza delle Regioni, nonché rappresentanze di Province, Comuni, Camere di Commercio, del sistema bancario e del CESE ed allo schema di direttiva attuativa dello SBA elaborato dal medesimo gruppo, approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 novembre 2009.
Tutti gli Stati membri hanno riconosciuto, infatti, l'importanza di una rapida attuazione dello SBA, anche se i metodi adottati ed i risultati ottenuti variano notevolmente dall'uno all'altro.
In merito ad esempio ai fallimenti dovuti ai ritardi di pagamento il Vice Presidente della Commissione Europea e commissario per le imprese e l'industria ha dichiarato che «ogni anno migliaia di PMI falliscono nella vana attesa che le loro fatture siano pagate. Il nostro impegno è quello di combattere questo malcostume, che da tempo suscita la preoccupazione delle imprese. È necessario che gli Stati membri recepiscano al più presto la direttiva sui ritardi di pagamento nei rispettivi ordinamenti nazionali. Aiutare le nostre PMI, in questi tempi di crisi economica in cui l'accesso al credito è diventato particolarmente difficile, è essenziale. È anche di vitale importanza che le imprese europee, in particolare le PMI, conoscano i loro diritti e sappiano come meglio esercitarli»165.
La Commissione Europea, infatti, in tale occasione ha ricordato come le insolvenze provocano la perdita di 450 mila posti di lavoro nell'UE ed un'esposizione debitoria complessiva pari a 23,6 miliardi di euro all'anno. Il 57% delle imprese in Europa (10% in più rispetto al 2011) dichiara di avere problemi di liquidità a causa dei ritardi nei pagamenti. Ed ogni giorno sono decine le piccole e medie imprese che in tutta Europa falliscono perché le loro fatture non vengono pagate.
Uno degli strumenti fondamentali, infatti, per lottare contro questi elementi è stata dapprima la direttiva 2000/35/Ce e successivamente la 2011/7/Ue, di modifica della prima.
L'esame delle due è contenuto nei paragrafi successivi del presente capitolo.
165 European Commission, Bruxelles, 5 ottobre 2012.
4.2. La prima direttiva 2000/35/CE. Ratio ed obiettivi
Nella prospettiva dello SBA la lotta contro i ritardi di pagamento costituisce, come già detto, elemento strategico.
Ed uno degli strumenti attraverso il quale ciò si manifesta è proprio quello della Direttiva 2000/35/Ce166 del Parlamento Europeo e del Consiglio, la prima rivolta a disciplinare la lotta contro i ritardi di pagamento167 nelle transazioni commerciali, preceduta comunque da molteplici rimedi predisposti dalla Commissione Comunità Europee finalizzati, da un lato, ad abbattere il fenomeno dei ritardi di pagamento quali fonti di pesanti oneri per le imprese creditrici e, dall'altro lato, ad evitare gli ostacoli agli scambi transfrontalieri168 derivanti appunto da detti ritardi.
Anteriormente alla emanazione della direttiva del 2000 si ricordi ad esempio come con una prima raccomandazione del 12 maggio 1995169, la Commissione CE invitava gli Stati membri ad adottare tutti quei provvedimenti giuridici e pratici necessari per far rispettare i termini di pagamento contrattuali nelle transazioni commerciali.
Proprio perché il ritardo nei pagamenti non si pone tanto come mora da colpire in sede civilistica, quanto piuttosto assume rilevanza nell'efficienza delle relazioni commerciali del mercato, compromesse dal fenomeno dei ritardi, da contrastarsi dunque a livello di singolo rapporto ma anche di mercato.
166 Sulla direttiva si veda, ad esempio, X. XXXXXXXX, La direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Studium Iuris, 2003, ove, a p. 259 si può leggere come: «[...] con la Direttiva 2000/35/CE in materia di "lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali" il legislatore comunitario è per la prima volta intervenuto su un assetto centrale del diritto delle obbligazioni al fine di tutelare i traffici commerciali e la libera concorrenza, senza trincerarsi dietro il paravento della necessità di tutelare il consumatore». Per uno sguardo comparatistico, in particolare con la Germania, si veda X. XXXXXXX XXXXXXX, L'attuazione della direttiva sui ritardi nei pagamenti. B) Germania, in Europa dir. priv., 2004, pp. 179 ss. Si vedano altresì: X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXXXXXXX, I ritardi nei pagamenti: la tutela dei creditori nelle "transazioni commerciali": aspetti civili, processuali, fiscali, contabili, Milano, Xxxxxxx, 2004 e A.M. XXXXXXXXX, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: profili sostanziali e processuali, Torino, Giappichelli, 2003.
167 X. XXXXXXXX, Xxxxxxx nei pagamenti: osservazioni a seguito del D. Lgs. 192/2012, in Nuovo notiziario giuridico, 2013, 1, pp. 27-31; X. XXXXXXXXXX, Le modifiche alla disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Il Corriere del Merito, 2013, 4, pp. 379-392.
168 A tal proposito occorre ricordare come l'art. 14 del Trattato CE stabilisce che gli operatori economici devono essere in grado di svolgere le proprie attività in tutto il mercato interno, in un contesto in cui siano garantite operazioni transfrontaliere non comportino maggiori rischi rispetto a quelle interne.
169 In G.U.C.E. n. L. 127 del 10 giugno 1995, pp. 19-22. Nei considerando della raccomandazione è possibile riscontrare ancora una volta la preoccupazione per il fenomeno dei ritardi di pagamento. La stessa si rende, infatti, necessaria ad avviso della Commissione delle Comunità Europee considerato che pesanti oneri amministrativi e finanziari gravano sulle imprese, in particolare, su quelle piccole e medie, che si è constatato un deterioramento delle prassi di pagamento nella maggior parte dei paesi della Comunità nel corso degli ultimi anni e che, infine, detto deterioramento non è imputabile solamente a fattori congiunturali, bensì riflette anche un'evoluzione strutturale dei rapporti tra imprese.
Per far ciò ogni singolo Stato membro avrebbe dovuto quindi rafforzare la trasparenza nei rapporti contrattuali; migliorare la formazione e l'informazione delle imprese; attenuare gli effetti fiscali dei ritardi di pagamento; assicurare un adeguato risarcimento nel caso in cui questi ultimi si fossero verificati; nonché garantire appropriate procedure di ricorso.
In particolare, per il solo settore degli appalti pubblici veniva previsto un termine massimo di sessanta giorni per i pagamenti; l'adozione di procedure amministrative precise e corredate di termini al fine di garantire la rapidità ottimale dei pagamenti; nonché, la previsione del pagamento degli interessi di mora imputabili agli enti appaltanti o alle imprese pubbliche contestualmente al pagamento del capitale.
L'adozione della raccomandazione, però, non migliorò affatto la situazione: all'interno della relazione conclusiva svolta dalla Commissione170 si palesò, infatti, l'idea di fissare i principi normativi in tema di ritardi di pagamento171 mediante la direttiva 2000/35/Ce, il cui iter di approvazione ha visto l'introduzione di significative modifiche rispetto alla proposta originaria della Commissione.
Il Considerando n. 12 della direttiva, nell'affermare come l'obiettivo della lotta contro i ritardi di pagamento non può essere sufficientemente realizzato se non a livello comunitario, richiede agli stati membri di ravvicinare le normative in tre àmbiti: il primo, relativo alla disciplina degli interessi moratori172; il secondo, attinente la c.d. «riserva di proprietà»173; ed il terzo, infine, avente ad oggetto le procedure di recupero dei crediti non contestati174.
L'obiettivo della direttiva del 2000 quindi è quello di consentire al legislatore comunitario di intervenire per la prima volta su un assetto centrale del diritto delle obbligazioni. Introducendo così una disciplina di grande impatto sull'autonomia privata.
Essa costituisce il frutto di un difficile compromesso tra le contrapposte istanze emerse nel lungo dibattito realizzatosi in sede di approvazione.
Con l'obiettivo di far fronte all'alto numero di insolvenze caratterizzanti le
170 Si tratta della Comunicazione 97/C216/07, pubblicata nella G.U.C.E. n. 216 del 17 luglio 1997.
171 Xxxxx tematica dei ritardi di adempimento, si vedano tra i molti: X. XXXXXXXX, Le nuove norme sui ritardi nei pagamenti ed i crediti delle imprese verso la P.A., in Nuovo dizionario giuridico, 2013, 1, pp. 12-26; ID, Le nuove norme sui ritardi nei pagamenti e sui crediti delle imprese verso la Pubblica Amministrazione (dalla direttiva europea alla legge italiana), Relazione al Convegno "Emergenza e ritardi nei pagamenti", Torino, 5 dicembre 2012, in Il diritto comunitario e gli scambi internazionali, 2013, 1-2, pp. 189-201.
172 Detta disciplina è contenuta all'interno dell'art. 3.
173 La previsione è contenuta all'interno del dettato normativo di cui all'art. 4.
174 Ad esse, invece, è dedicato l'art. 5 della direttiva in oggetto.
transazioni commerciali dell'economia europea ed al fine, altresì, di favorire la libera circolazione dei beni e dei servizi - resa difficoltosa appunto a causa dei ritardi di pagamento - la direttiva muove lungo due differenti linee.
La prima volta ad «allineare» i tempi di pagamento delle imprese e delle pubbliche amministrazioni degli Stati membri; la seconda, indirizzata a favorire il recupero dei crediti scaduti e non pagati mediante strumenti stragiudiziali e/o giudiziali.
In sintesi, con la direttiva in esame il Legislatore comunitario intende realizzare in tutti gli Stati membri misure giuridiche efficaci e dissuasive contro i ritardi di pagamento dei crediti commerciali, assicurando altresì il rispetto dei termini anche in situazioni di potenziale squilibrio contrattuale.
La direttiva, in particolare, è stata ispirata dall'esigenza di tutelare le Pmi, considerate più deboli sul piano finanziario e amministrativo.
E dall'esigenza di combattere le distorsioni della concorrenza e gli ostacoli che impediscono la creazione del mercato unico, tra i quali - appunto - i ritardi di pagamento costituiscono principale pericolo. I cui effetti possono essere sostanzialmente individuati in tre: il primo consistente nel provocare costi significativi essendo le PMI soggette alla variazione del flusso di cassa ed avendo al loro interno un numero limitato di clienti nonché essendo le spese amministrativamente di recupero dei debiti significativamente elevate; il secondo si ripercuote, invece, sugli scambi intra - comunitari poiché il rischio di ritardi nei pagamenti175 aumenta l'incertezza ed il costo delle transazioni ed il danno per l'immagine del debitore che realizza ritardi di pagamento è meno elevato nei casi in cui il creditore sia stabilito in un altro Stato membro.
Questo comporterebbe ovviamente che la competitività delle imprese europee verrebbe a subire pregiudizi di non poco conto, mentre la disoccupazione registrerebbe un significativo aumento a seguito dei fallimenti registrati dalle piccole-medie imprese.
Al fine di rilanciare perciò la competitività delle imprese europee, infine, il Parlamento Europeo ha approvato in data 20 ottobre 2010 la direttiva 2011/7/UE il cui àmbito di applicazione concerne ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale tra imprese "B2B" e tra pubbliche
175 In tema di ritardi di pagamento i primi commenti più diffusi si leggono in Annuario del contratto 2012, diretto da X. X'Xxxxxx e X. Xxxxx, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2013, p. 368 ss; x. XXXXXXXXXX, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali dopo il d.lgs. 9 novembre 2012, n. 192, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2013; X. XXXXXXXX, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in x. XXXXXXX (a cura di), Comm. cod. civ., artt. 0000 - 0000, XXX, Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 633 ss.
amministrazioni e imprese - per la consegna di merci o prestazione di servizi avverso il pagamento di un prezzo.
Il D. Lgs. 231/2002176, pubblicato in G.U. n. 249 del 23 ottobre 2002, avente ad oggetto la disciplina sul “ritardato pagamento” dà attuazione all’art. 26 della Legge Comunitaria che delegava il governo ad adottare la direttiva del 2000., Quest'ultima è stata, infatti, adottata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo in base all’art. 251 del TUE sul presupposto che una lotta efficace contro il problema dei ritardati pagamenti può avvenire soltanto a livello comunitario, poiché differenti legislazioni nazionali potrebbero alterare la concorrenza, ostacolando il mercato unico.
A tal proposito, la disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali ha lo scopo di imporre una limitazione all’autonomia privata177 tutte le volte in cui la stessa produca un accordo che si presenti come il frutto di un abuso di potere contrattuale del debitore in danno del creditore – parte economicamente debole nella normativa in esame.
Il fulcro centrale della disciplina è rappresentato dalla mora ex re, strumento finalizzato a tutelare il creditore contro il ritardato pagamento da parte del debitore, e con il quale il Legislatore dimostra di porre attenzione soprattutto in nei confronti dei comportamenti scorretti sostanziantisi in calcoli prettamente economici.
Detto fenomeno viene affrontato prescindendo dalle tradizionali questioni inerenti i profili soggettivistici coinvolti nella problematica dell’inadempimento: ovvero, gli interessi moratori decorrono per il solo fatto del ritardo imputabile.
Non avendo il Legislatore preso in considerazione figure quali l’impossibilità soggettiva o l’inesigibilità parrebbe ritenersi che il debitore, per liberarsi, possa solo provare la non imputabilità del ritardo.
In conclusione dunque, e sinteticamente, la direttiva del 2000, attuata con il D.
176 Molti gli Autori che si sono occupati della disciplina: x. XXXXXXXXXX, La nuova normativa sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, Milano, 2003; BREGOLI, La legge sui ritardi di pagamento nei contratti commerciali: prove (maldestre) di neodirigismo?, in Riv. dir. priv., 2003, pp. 715 e ss.., DE NOVA G.
- DE NOVA S., I ritardi di pagamento nei contratti commerciali (d.lgs. 9 ottobre 2000, n. 231), in Prima lettura, collana a cura di X. Xx Xxxx, Xxxxxx, 0000; XXXXXXXX - XXXXXXXX, L'attuazione della direttiva sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Contratti, 2003, pp. 308 e ss.; XXXXXXXXX, Direttiva 2000/35/CE in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Contratti, 2001, p. 313; MENGONI, La direttiva 2000/35/CE in tema di mora debendi nelle obbligazioni pecuniarie, in Eur. e dir. priv., 2001, pp. 74 e ss..
177 In senso contrario a questo orientamento si pone U. PERFETTI, L'ingiustizia del contratto, Milano, 2005, p.
227. L'autore ritiene, infatti, che non si tratti di limitazione laddove l'art. 7 viene ed essere interpretato come norma eccezionale la cui portata operativa non può essere dilatata oltre i confini che denuncia e tutte le volte in cui sia ispirata ad un obiettivo funzionalista la cui meta è "l'imposizione di garanzie di certezza dei costi e di effettività di pagamenti, strumentali ad impedire effetti distorsivi sulla concorrenza".
Lgs. 231/2002, ha dettato le regole per dirimere le controversie scaturenti nel caso di mancato pagamento tra debitori e creditori. Alla luce delle nuove norme, infatti, gli Stati membri, dovranno necessariamente assicurare il pagamento degli interessi, a decorrere dal giorno successivo alla data di scadenza, oltre a garantire uniformità di trattamento. Mentre, il creditore avrà diritto di esigere dal debitore un risarcimento per tutti i costi di recupero sostenuti, nel rispetto dei principi di trasparenza e proporzionalità del debito.
La normativa stabilisce altresì un termine massimo di 30 giorni, nel caso in cui alcuna scadenza non sia conocrdata tra le parti, per il saldo della fattura; fissa interessi di mora automatici e impone agli Stati membri di fornire al creditore un titolo esecutivo, che consenta la liquidazione entro 90 giorni di norma, nel caso in cui la medesima appunto non sia stata eseguita.
L'obiettivo della direttiva consiste nel limitare il più possibile il vizio diffuso tra le Pubbliche Amministrazioni e le aziende di ritardare sempre più il pagamento delle fatture; e questo la direttiva intende farlo prevedendo che gli interessi di mora in favore del creditore pari al tasso di riferimento della Banca centrale europea, maggiorato di 7 punti percentuali, scattano dal giorno successivo alla scadenza concordata dalle parti o, se questa non c'è, 30 giorni dopo il ricevimento della fattura, salvo diversa disposizione del contratto.
Perdipiù, il creditore ha il diritto di esigere un risarcimento ragionevole per tutti i costi sostenuti a causa del ritardo, a meno che il debitore non sia responsabile del ritardo.
Infine, solo per alcune categorie di contratti, gli Stati membri potranno elevare sino a 60 giorni il periodo dal quale far decorrere gli interessi, e sempre che si tratti di un termine inderogabile - con un tasso di interesse sensibilmente superiore a quello legale di mora sopra stabilito.
4.3. La seconda direttiva. Perché si cambia e che cosa
In tempi recenti la revisione della direttiva 2000/35/Ce si è resa necessaria posto che oramai i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali costituiscono pratica sempre più diffusa all'interno dell'Unione Europea.
Si è giunti infatti, in tempi recenti, all'emanazione della Direttiva 201177/Ue178
178 Con riguardo alla nuova normativa, a titolo informativo, si possono leggere molti Autori: X. XXXXXXXXX,
che, modificando ed integrando un quadro normativo considerato lacunoso in alcuni profili di dettaglio, muove dall'esigenza di rendere ancora più incisiva la lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali
Il Parlamento Europeo ed il Consiglio adottano la direttiva del 16 febbraio 2011 principalmente per «rilanciare» la competitività delle imprese europee ed al fine di contenere gli effetti che i ritardi di pagamento comportano sulle Pmi.
Il primo effetto consiste, infatti, nel provocare costi significativi essendo le piccole-medie imprese soggette alla variazione del flusso di cassa, avendo al loro interno un numero limitato di clienti ed essendo le spese amministrative di recupero dei debiti significativamente elevate.
Il secondo effetto, invece, si ripercuote sugli scambi intra - comunitari poiché il rischio di ritardi nei pagamenti179 aumenta l'incertezza ed il costo delle transazioni ed il danno per l'«immagine» del debitore che realizza ritardi di pagamento è meno elevato nei casi in cui il creditore sia stabilito in un altro Stato membro.
Perdipiù il fenomeno dei ritardi di pagamento ha assunto negli anni sempre maggiore rilevanza, sottolineando - appunto - l'acutizzarsi di significativi problemi in materia d gestione finanziaria delle imprese, di competitività e di redditività nonché di liquidità del sistema produttivo in generale.
A tal proposito si pensi, come concretamente nel mercato interno la maggior degli operatori economici forniscono merci e/o servizi ad altri operatori economici e ad amministrazioni pubbliche secondo un sistema di pagamenti differiti, che si presentano perchè non sono certo i termini contrattuali a prevalere nella condotta che pongono in essere.
Ecco che, dunque, la recente direttiva 2011/7/UE muove dall’esigenza di rendere ancora più incisiva, rispetto alla già avviata Xxxxxxxxx 2000/35/CE, la lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, realizzando - come la stessa afferma in uno dei suoi Considerando - un passaggio deciso verso la cultura dei pagamenti rapidi.
La nuova direttiva 2011/7/UE in tema di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: prospettive di recepimento, in Contr. impr., 2012, p. 443 ss; X. XXXXX XX XXXXX, Interessi dovuti e danni subiti per i ritardi di pagamento delle aziende sanitarie provinciali, in Il Civilista, 2012, fasc. 1, p. 52 ss. E X. XXXX, La disciplina europea sui ritardi dei pagamenti (Commento a direttiva 2011/7/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011), in Giornale dir. amm., 2011, p. 821 ss., .
179 In tema di ritardi di pagamento i primi commenti più diffusi si leggono in Annuario del contratto 2012, diretto da X. X'Xxxxxx e X. Xxxxx, Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, x. 000 xx; X. XXXXXXXX, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in x. XXXXXXX (a cura di), Comm. cod. civ., artt. 0000 - 0000, XXX, Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 633 ss; x. XXXXXXXXXX, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali dopo il d.lgs. 9 novembre 2012, n. 192, Giappichelli, Torino, 2013.
E intende farlo apportando, da un lato, modificazioni sostanziali alla precedente normativa; dall’altro, dettando specifiche regole in tema di transazioni tra imprese; transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni; termini di pagamento; risarcimento delle spese di recupero nonché clausole contrattuali e prassi inique.
In merito alla sua attuazione importante ricordare come il nostro Paese abbia recepito la Direttiva 2011//Ue con il D. Lgs. 192/2012180, (c.d. “Decreto”), che, entrando in vigore il 30 novembre 2012, trova applicazione per le transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1° gennaio 2013.
Rispetto alla iniziale scadenza fissata dall’Unione Europea al 16 marzo 2013, il Legislatore nazionale ha provveduto al recepimento della Direttiva 2011/7/UE con significativo anticipo al fine di far fronte alla «deriva patologica» provocata dall’ormai diffusa prassi dei ritardi di pagamento.
Il Decreto intende, quindi, favorire uno svolgimento delle attività commerciali in tutto il mercato interno scevro dai maggiori rischi caratteristici delle operazioni transfrontaliere e, avendo particolare riguardo alle micro, piccole e medie imprese, assicurare la regolarità, la rapidità e la puntualità nei pagamenti, impedendo altresì abusi della libertà contrattuale a danno del creditore.
In linea con quanto in tempi precedenti si era auspicato realizzare lo Small Business Act, alla luce di quanto altresì contenuto nelle Comunicazioni della Comissione Europea.
Un disegno normativo che, nel nostro ordinamento, attualmente si sta sviluppando anche mediante recenti legislazioni, quali ad esempio lo Statuto delle Imprese. La Legge 180 del 2011 – recante «Norme per la tutela della libertà di impresa. Statuto delle imprese» - rappresenta infatti il primo approccio italiano al c.d. «Small Business Act» europeo.
Essa assicura una serie di misure finalizzate alla valorizzazione ed alla promozione del ruolo delle micro, piccole e medie imprese nel tessuto socio- economico nazionale e comunitario.
Assumono, infatti, queste ultime ruolo centrale nell’àmbito delle iniziative
180 «Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell’art. 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180», pubblicato sulla G.U. n. 267 del 15 novembre 2012. Importante il riferimento, dunque, alla Legge 180 del 2011, che rappresenta il primo approccio italiano al
c.d. Small Business Act europeo. Fondamentale, infatti, l'art. 1 della Legge che individua nei principi della stessa norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica nonché principi dell'ordinamento giuridico dello Stato che hanno lo scopo di garantire la piena applicazionde della Comunicazione della Commissione Europea COM (2008) 394 del 25 giugno.
assunte dall’Unione Europea.
Tra le quali brevemente si rammentano: l’adozione della Carta europea per le piccole imprese nel 2000; la designazione di un rappresentante (c.d. SME Envoy) per le «PMI»; l’elaborazione di una nuova strategia per le piccole e medie imprese nel biennio 2005-2007 che culmina nel 2008 con l’approvazione dello
«SBA».
La nuova Direttiva introduce, quindi, in sostanza tre novità fondamentali: la prima consiste nella previsione di un limite di derogabilità del termine di pagamento relativamente alle transazioni con la pubblica amministrazione; il secondo inerente il saggio di interesse da applicare in caso di mora ed il terzo, ed ultimo, attinente ai lavori pubblici quale categoria contrattuale nei cui confronti viene estesa l’efficacia della medesima.
4.4. Una sintesi sui fondamentali istituti di contrasto introdotti
I più importanti aspetti innovativi della nuova direttiva possono essere sostanzialmente ricondotti in tre filoni. Il primo concerne l'introduzione di un limite181 alla derogabilità del termine di pagamento relativamente alle transazioni con la pubblica amministrazione.
Dopo aver sancito infatti il termine naturale di 30 giorni per l'effettuazione di tutti i pagamenti, la recente direttiva afferma che nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una PA le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore. E ciò può avvenire solo nei casi in cui sia la natura o l'oggetto del contratto o le circostanze esistenti al momento della sua conclusione a giustificare il periodo superiore entro il quale adempiere.
Con la precisazione che in ogni caso comunque detto termine non può essere superiore a 60 giorni.
La recente direttiva, al fine poi di evitare accordi elusivi del termine di pagamento e di incidere in maniera significativa su questo fronte, prevede altresì che nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una PA è nulla la clausola avente ad oggetto la predeterminazione o la modifica della data di ricevimento
181 La nuova disciplina, rispetto alla precedente direttiva del 2000, ha introdotto un limite molto significativo in tema di deroghe pattizie al termine di pagamento. Queste ultime consentivano nella precedente disciplina qualunque dilazione, con l'unico limite degli accordi gravemente iniqui per il creditore, da valutarsi caso per caso. La nuova dsciplina che recepisce la direttiva del 2011, invece, ha stretto le maglie di tale autonomia pattizia stabilendo in sostanza che in nessun caso potrà risultare tempestivo un pagamento effettuato dalla P.A., decorso il sessantesimo giorno dal dies a quo.
della fattura, affermando ad abundantiam che la nullità sia dichiarata d'ufficio. Sul fronte, invece, delle novità si registrano quelle fondamentali concernenti soprattutto il saggio di interesse, applicato in caso di mora.
Gli interessi moratori sono determinati, infatti, nella misura degli interessi legali di mora, il cui relativo tasso di riferimento è pubblicato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze nella Gazzetta Ufficiale nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare.
Il tasso di riferimento cui si riferisce il ritardo è così determinato182:
a) per il primo semestre dell'anno è quello in vigore il 1º gennaio di quell'anno;
b) per il secondo semestre dell'anno, è quello in vigore il 1° luglio di quell'anno. Tale tasso di interesse può essere oggetto di deroga convenzionale solamente nelle transazioni commerciali tra imprese; ciò dovrebbe consentire di escludere ogni possibilità di modifica convenzionale del tasso di mora legale nell'ambito della contrattualistica pubblica.
Infine, sul piano dell'applicazione delle nuove disposizioni al mercato dei lavori pubblici la nuova direttiva del 2011 si può affermare che, contrariamente a quanto pareva deporre espressamente l'undicesimo considerando e contrariamente a quanto invece avveniva con la direttiva 2000/35/Ce, non pare essere applicabile al settore dei lavori pubblici.
La direttiva, quindi, si è limitata a circoscrivere la propria sfera di efficacia ribadendo la tradizionale definizione di «transazioni commerciali» e riferendo ad essi quei contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.
Ma ancor più in sintesi - perché su di essi si tornerà nei paragrafi successivi - sono le tematiche delle clausole inique, i mutamenti in ordine agli interessi moratori e la previsione della clausola di riserva ad assumere fondamentale importanza.
In riferimento alla previsione delle clausola iniqua183 ed ai criteri di determinazione e diritto al risarcimento del danno, infatti, le clausole
182 Ciò rappresenta una notevole differenza rispetto alla precedente versione della normativa dato che la previsione concernente il criterio di determinazione matematica del saggio di xxxx viene del tutto eliminata. In effetti, la nuova direttiva definisce gli interessi legali di mora come interessi semplici di mora su base giornaliera, ad un tasso che è pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali; intendendosi per tasso di riferimento il tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali.
183 Tra i molti Autori in merito: X. XXXXXXXXX, Clausole gravemente inique in danno del creditore: le novità del D. Lgs. 231/2002 da una prospettiva rimediale, in I contratti, 2015, 1, 1, pp. 87-98.
contrattualmente definite dalle parti, relative alla fissazione dei termini di pagamento, alla misura dei termini di pagamento, alla misura degli interessi moratori ed al risarcimento dei costi di recupero sono sanzionabili se
«gravemente inique».
Anche se sul punto si tornerà in seguito, occorre premettere sin da subito che per far valere la nullità delle clausole non è sufficiente dimostrarne la loro iniquità perché la stessa deve essere altresì grave e presumibilmente suscettibile di arrecare danni concreti agli interessi del creditore.
Il D. Lgs. 192/2012 individua alcuni criteri di massima alla luce dei quali è possibile – anche in via giudiziale – valutare l’iniquità delle clausole contrattuali.
Il controllo equitativo esercitato ex post dovrà essere effettuato tenendo conto di tutta una serie di circostanze del caso, tra le quali sono annoverabili il grave scostamento dalla prassi commerciale; la natura della merce o del servizio oggetto del contratto; nonché l’esistenza di motivi oggettivi di deroga al saggio di interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario minimo dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero.
Ai fini dell’individuazione della soglia oltre la quale una clausola è gravemente iniqua è necessario operare una valutazione legata di volta in volta alla dinamica del singolo caso concreto e quindi all’eventuale apprezzamento che verrà effettuato in sede di sindacato giurisdizionale.
Si ricordi come la precedente previsione contenuta nell'art. 7 della Direttiva affermava l'assoluta iniquità della clausola contrattiale o della prassi escludente l'applicazione degli interessi di mora e la presunzione di iniquità di quelle clausole contrattuali o prassi escludenti, invecem il risarcimento per i costi di recupero di cui all'art. 6.
Il corrispondente art. 7, comma I°, del D. Lgs. 192/2012 attuativo della Direttiva 2011/7/Ue va oltre la dizione tradizionale che abbiamo sopra osservato nell'affermare che nel caso di clausole gravamente inique trovano applicazione due precise disposizoioni del codice civile: l'art. 1339 e 1419.
Si tratta, dunque, di una nullità184 che non colpisce l’intero contratto bensì la
184 Il legislatore ha utilizzato la nozione di "grave iniquità" contenuta nella traduzione italiana dell'art. 3 della Direttiva 2000/35/CE, non del tutto fedele rispetto alla versione inglese ("grossly unfair") ed a a quella francese ("abus manifeste"), senza far tuttavia riferimento alla nozione di "abuso" di cui al 19° Considerando della medesima Direttiva. Detto Considerando individua afferma come la direttiva dovrebbe proibire l'abuso della libertà contrattuale in danno del creditore. Nel caso, infatti, in cui un accordo abbia principalmente l'obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, o nel caso in cui l'appaltatore principale imponga ai propri fornitori o subappaltatori termini di pagamento ingiustificati
clausola nulla viene automaticamente sostituita dalla disposizione di legge.
Ma il Decreto attuativo, come rilevato nei paragrafi precedenti, è andato ben oltre, affermando al III° comma sempre dell'art. 7 che il giudice può dichiarare, anche d’ufficio, la nullità della clausola, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l'esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all'importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero.
Il Giudice, pertanto, assume un potere di rilevante intensità. Egli dovrà, da un lato, rilevare la grave iniquità della clausola prescindendo da una domanda di parte e dichiararne la nullità.
Dall’altro dovrà, poi, scegliere se applicare i «termini legali» oppure ricondurre il contratto ad equità, lasciando in vita il contratto stesso.
Questa scelta - che è il frutto di una evoluta progressiva legislazione nella quale in un primo momento erano tutelati solo i consumatori, in un secondo momento anche le imprese deboli ed, infine, direttamente il buon andamento del mercato - appare condivisibile se si tiene conto delle mutevoli e più diversificate circostanze caratterizzanti la singola vicenda contrattuale: sarà, infatti, il Giudice che – sulla base dei già visti indici del comma I° dell’art. 7 - stabilirà quale soluzione adottare per ristabilire l’equilibrio violato nella pattuizione nulla.
La presunzione totale opera, invece, a detta della riforma del 2012 per le clausole che escludono l'applicazione degli interessi di mora, da considerarsi gravemente inique senza prova contraria. Diverso, invece, la clausola che esclude il risarcimento per i costi di recupero, che si presume essere gravemente iniqua.
In particolare poi, il comma V° dell’art. 7 prevede una specifica ipotesi per i contratti in cui è parte una Pubblica Amministrazione, rispetto ai quali viene sancita la nullità della clausola che predetermina o modifica la data di ricevimento della fattura. In questo caso la nullità è altresì dichiarata di ufficio
rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi, si può ritenere che questi elementi configurino un siffatto abuso. La presente direttiva non incide sulle disposizioni nazionali relative alle modalità di conclusione dei contratti o che disciplinano la validità delle clausole contrattuali abusive nei confronti del debitore.
Per quanto attiene, in generale, la tematica della nullità delle clausole inique si vedano, ad esempio: M.C. VENUTI, Nullità della clausola e tecniche di correzione del contratto: profili della nuova disciplina dei ritardi di pagamento, Padova, Cedam, 2004; X. XXXXX, I principi Unidroit e l'eccessivo squlibrio del contenuto contrattuale (Gross disparity), in Riv. dir. priv. 1999; X. XXXX, Il codice civile europeo: "e pluribus unum", in Contr. impresa Europa, 1999.
dal giudice.
Infine, si ritiene che siano da considerarsi gravemente inique le clausole che prevedono, anche nei bandi di gara, tempi dilazionati (oltre i termini indicati dal
D. Lgs. 231/2002 come modificato dal D. Lgs. 192/2012) per il pagamento dei lavori realizzati per motivi legati all’applicazione dei vincoli di finanza pubblica, con particolare riferimento al Patto di stabilità interno.
Sulla seconda tematica inerente i mutamenti in ordine agli interessi moratori, rispetto a quanto previsto dal D. Lgs. 231 del 2002, il D. Lgs. 192/2012 non ha apportato sostanziali modifiche.
Le disposizioni del D. Lgs. 231, infatti, continuano ad applicarsi ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale ed ancora, come previsto nella versione del 2002, continua ad operare la previsione della decorrenza automatica degli interessi moratori, senza necessità della costituzione in mora.
L’art. 3 della Direttiva del 2011 elenca le condizioni in presenza delle quali opera la decorrenza di cui sopra:
- il creditore deve aver adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge;
- lo stesso deve non aver ricevuto nei termini l’importo a lui dovuto;
- il ritardo deve essere imputabile al debitore.
L’assenza dell’atto formale rappresenta un elemento sul quale, seppur già precedentemente previsto, le modifiche legislative successivamente intervenute hanno focalizzato l’attenzione.
I termini di pagamento disciplinati dall’art. 4 della Direttiva del 2011 vengono confermati dal D. Lgs. 192 del 2012185; ovvero gli interessi moratori decorrono nel termine di:
- 30 giorni dalla data di ricevimento della merce da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente (non hanno effetto sulla decorrenza le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento);
- 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta di pagamento;
- 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi,
185 X. XXXXXXXXX, Il nuovo decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Contratto e impresa. Europa, 2013, 2, pp. 985-993.
quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi:
- 30 giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità.
Di pari contenuto è, infine, la previsione dell’art. 11, comma II° del Decreto che fa salve le vigenti disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore. (favor creditoris).
In merito poi agli interessi moratori occorre procedere con ordine, differenziando la disciplina nel caso si faccia riferimento alle transazioni commerciali tra imprese da quella inerente le transazioni tra imprese e Pubblica Amministrazione.
Tuttavia, indubbio appare sottolineare come gli interessi moratori costituiscono conseguenza immediata del fenomeno dei ritardi di pagamento.
Essi, infatti, decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine (legale o contrattuale) per il pagamento.
Il creditore, ai sensi dell’art. 3 del D. Lgs. 231 del 2002, ha infatti diritto alla corresponsione degli interessi moratori. A meno che dimostri che il ritardo non sia a lui imputabile. Che, dunque, l’impossibilità della prestazione non sia determinata dalla condotta dello stesso.
Il D. Lgs. 231 del 2002 fa riferimento agli interessi moratori che possono essere o quelli contrattualmente pattuiti tra le imprese ( nei limiti previsti dall'art. 7 ed anche dall'art. 2 della Legge 108/1996 in tema di «usura» ) ovvero gli interessi legali di mora come definiti dall'art. 2, comma I°, lett. e) come interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso è pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali.
Il saggio di interesse, come individuato dall’art. 5 del D. Lgs. 231/2002, ha una natura determinata in una misura attualmente maggiore (0,75% per il primo semestre 2013 maggiorato di 8 punti percentuali) del saggio di interesse legale di cui all’articolo 1284 c.c. (2,5% per il 2013).
Occorre a tal proposito operare una distinzione: nei contratti tra imprese, le parti possono concordare un diverso tasso di interesse a condizione che lo stesso non sia gravemente iniquo per il creditore e perché risulti per iscritto.
Mentre, nei contratti tra imprese e pubbliche amministrazioni non è prevista la possibilità di derogare contrattualmente alla misura del tasso di interesse.
Per quanto attiene, infine, la previsione di una clausola di riserva della proprietà inevitabilmente ci si pone la domanda se essa rappresenti uno strumento di maggior tutela o piuttosto una inversione della figura del consumatore debole. La nuova Direttiva, sempre in un'ottica finalizzata a tutelare il recupero del credito, introduce la clausola della riserva della proprietà quale strumento che i creditori possono far valere a livello comunitario purché detta clausola sia valida ai sensi delle disposizioni nazionali applicabili secondo il diritto nazionale previsto.
L'art. 9 della Direttiva 2011/7/UE, infatti, prevede che gli Stati membri dispongano, in conformità alle disposizioni nazionali applicabili secondo il diritto internazionale privato e qualora sia stata esplicitamente concordata una clausola di riserva di proprietà tra l'acquirente e il venditore prima della consegna delle merci, che il venditore conservi il diritto di proprietà sulle merci fintanto che non siano state pagate totalmente. Ed aggiunge, al II comma, che l'adozione o il mantenimento di disposizioni relative ad anticipi già versati dal debitore spetta unicamente agli Stati membri.
Nel nostro ordinamento la c.d. «riserva di proprietà» è già nota. Si pensi, appunto, alla fattispecie di cui all'art. 1523 c.c. che consente al venditore nelle vendite a rate di inserire la presente clausola al fine di determinare il trasferimento del bene al compratore solo con il pagamento dell'ultima rata, trasferendone comunque i rischi in capo al medesimo.
Pertanto, l'acquirente potrà utilizzare il bene (non di sua proprietà) fintantoché avviene l'integrale pagamento; con la conseguenza che, se durante il tempo stabilito di maturazione delle rate cessa di di pagarne una sola niente cambia, ma se le rate insolute sono più di una il venditore dovrà comunicare al compratore la risoluzione del contratto per suo inadempimento ex art. 1526 c.c., mantenendo - tuttavia - la facoltà di poter ottenere un decreto ingiuntivo per la consegna del bene oggetto di vendita, trattenendo a titolo di indennizzo le rate pagate.
Appare logico, pertanto, ritenere che lo strumento predisposto dalla normativa comunitaria si ponga in un'ottica finalizzata ancora una volta alla tutela del consumatore debole che, nella fattispecie in esame, è rivestita dal creditore.
Il quale, a causa del diffondersi ormai della crisi economica e dei fenomeni dei ritardi, si trova esposto ad un elevato rischio tutte le volte che effettua transazioni commerciali.
Con il meccanismo della riserva, dunque, è come se si volesse "anticipare" ed avvisare il debitore delle conseguenze che si produrranno in capo alla sua sfera giuridica in caso di "patologia" del rapporto sinallagmatico.
Anche se si potrebbe pensare che, come ad esempio sopra visto, l'onere del creditore di comunicare la risoluzione al debitore potrebbe configurare un obbligo il cui contenuto potrebbe sembrare assai pregnante se si pensa che il momento storico in cui viviamo, la ormai quasi assenza di liquidità per la maggior parte delle famiglie, nonché i ritardi di pagamento che sempre più vanno ad aumentare e se, soprattutto, si pensa - perciò - che detta previsione dovrebbe trovare applicazione quasi in "automatico".
Con la inevitabile difficoltà perciò a comprendere però chi sia effettivamente il consumatore debole e chi sia invece il consumatore forte.
E senza contare infine che le garanzie che in un primo momento potrebbero essere presenti, vanno a diminuire - se non addirittura scomparire - con il passare del tempo e con il crescere della crisi.
CAP. V
LA LOTTA CONTRO I RITARDI DI PAGAMENTO NELLA DISCIPLINA ITALIANA DI RECEPIMENTO
5.1. I principali problemi interpretativi
a) Àmbito di applicazione
Il D. Lgs. 192 del 2012 (c.d. «Decreto») che introduce le modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/Ue relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011,
n. 180, disciplina nella norma di apertura - art. 1 - il suo àmbito di applicazione; ed ovvero ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale. Il II comma disciplina, per converso, l'àmbito di esclusione, ovvero le disposizioni del decreto non trovano applicazione per a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito; b) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore186.
Proprio sull'àmbito di applicazione del Decreto una nota del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti187 precisa che la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Settore legislativo del Ministro per gli affari europei, con prot. n. 2667 del 20 dicembre 2012, ha rilevato che l'ambito di applicazione del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2011/7/Ue concerne tutti i settori produttivi.
Nella nota si legge infatti che «la Presidenza ha, pertanto, precisato che, sebbene il provvedimento in parola non lo menzioni espressamente, esso deve ritenersi applicabile anche al settore edile. Ciò è stato argomentato sia sotto il
186 Questo secondo comma, rispetto al suo parallelo contenuto nel D. Lgs. 231 del 2002, ha apportato la modifica consistente nell'aver aggiunto le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito alle normali procedure concorsuali aperte a carico del debitore, probabilmente anche alla luce della recente crisi economica che tutt'oggi coinvolge numerose imprese, le quali ricorrono non di rado alle soluzioni alternative alla crisi di impresa. La previsione dell'art. 1 del D. Lgs. 231 del 2002, invece, prevedeva che:
«1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano a ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale. 2. Le disposizioni del presente decreto non trovano applicazione per: a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore; b) richieste di interessi inferiori a 5 euro; c) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, ivi compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore».
187 Si tratta della nota di cui al Protocollo n. 0001293 del 23/01/2013 in uscita indirizzata dai due Ministeri alla Ance, all'Anepa Confartigianato, alla Cna costruzioni, alla Fiai Casartigiani, alla Claai, all'Ancpl - Legacoop, alla Federlavoro e servizi confcooperative, alla Agci Pl, alla Aniem ed alla Federcostruzioni.
profilo formale, rimarcando che l'espressione "prestazione di servizi" abbraccia inevitabilmente anche i lavori, sia a livello sistematico, rilevando che la disciplina generale, di matrice sovranazionale, in tema di ritardati pagamenti, non può che prevalere su regolamentazioni nazionali con essa eventualmente confliggenti. Del resto, l'esplicita opzione per un concetto ampio di "pubblica amministrazione" di cui all'articolo 2 della predetta direttiva 2011/7/UE e la necessità, esplicitata nel considerando 14, di applicare, ai fini della direttiva medesima e per motivi di coerenza della legislazione dell'Unione Europea, la definizione di "amministrazioni aggiudicatrici" di cui alla direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, nonché il complesso dei lavori preparatori e prodromici all'adozione della direttiva sui ritardi di pagamento e le corrispondenti normative nazionali di recepimento degli altri Stati membri costituiscono tutti elementi che concorrono a far ritenere assoggettati alla normativa europea sui ritardi di pagamento anche i pagamenti di corrispettivi nell'intero settore dei pubblici appalti».
5.2. Le definizioni nella nuova normativa
Venendo adesso all'esame della direttiva, sin da subito si osserva come il suo àmbito di applicazione viene ad essere delimitato dagli articoli 1 e 2 ai soli pagamenti in denaro dedotti quale corrispettivo della vendita di merci o della prestazione di servizi in rapporti tra operatori economici, incluse le imprese di ogni tipo e le autorità pubbliche nonché i lavoratori autonomi iscritti o meno ad albi professionali188.
L'art. 2 del Decreto rimane sostanzialmente invariato rispetto alla definizione di transazione commerciale189, mentre significative modifiche vengono apportate dalla lettera b) in poi.
Per «pubblica amministrazione», infatti, ai sensi della lett. b) del Iº comma dell'art. 2, si fa riferimento alle amministrazioni di cui all'art. 3, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e ogni altro soggetto, allorquando
188 A tal proposito, infatti, il Considerando n. 14 specifica che l'applicazione della direttiva alle professioni liberali non comporta la loro assimilazione alle imprese o ad attività commerciali sotto alcun altro aspetto. 189 Detta previsione rimane invariata rispetto al D.Lgs. 231 del 2002.
svolga attività per la quale è tenuto al rispetto della disciplina di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
Proseguendo ancora, con il termine «imprenditore» (lett. c) si fa riferimento ad ogni soggetto esercente un'attività economica organizzata o una libera professione190.
La lett. d)191 definisce gli interessi moratori quali interessi legali di mora ovvero interessi ad un tasso concordato tra le imprese.
Prosegue la lett. e)192 della recente disciplina del 2012 definendo gli interessi legali di mora quali interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che è pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali, mentre la lett. f)193 definisce il tasso di riferimento quale tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali e l'importo dovuto (lett. g) fa riferimento alla somma che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine contrattuale o legale di pagamento, comprese le imposte, i dazi, le tasse o gli oneri applicabili indicati nella fattura o nella richiesta di pagamento.
In tema di responsabilità del debitore l'art. 3194 del D. Lgs. 192 del 2012 afferma che gli interessi moratori sono dovuti al creditore ai sensi degli articoli 4 e 5, a meno che il del debitore non dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
La precisazione che viene però operata all'interno dell'art. 3 assume fondamentale importanza: essa concerne, infatti, proprio il criterio di calcolo degli interessi moratori. Leggendo la disposizione in combinato disposto con la lett. g) dell'art. 2, si comprende come il Legislatore abbia voluto sottolineare la massima importanza delle voci presenti in fattura, posto che gli interessi moratori si calcolano sull'importo dovuto.
190 Detta definizione è sostanzialmente invariata rispetto alla lett. c) dell'art. 2 del D.Lgs. 231 del 2002.
191 Nel D. Lgs. 231/2002 vengono, invece definiti, i ritardi di pagamento, consistenti nell'inosservanza dei termini di pagamento contrattuali o legali.
192 Mentre nella corrispondente lett. e) del D.Lgs. 231/2002 gli interessi legali di mora, il tasso di riferimento e l'importo dovuto vengono collocati in un'unica definizione, ovvero quella di saggio di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue principali operazioni di rifinanziamento. Nel caso invece in cui un'operazione di rifinanziamento principale sia stata effettuata secondo una procedura di appalto a saggi variabile, il saggio di interesse si riferisce al saggio di interesse marginale che risulta da tale appalto e ciò riguarda anche le aggiudicazioni a saggio unico e le aggiudicazioni a saggio variabile.
193 La lettera f) del D. Lgs. 231/2002 invece rinvia per la definizione dei prodotti alimentari deteriorabili all'apposito decreto del ministro delle Attività produttive. Dunque, per prodotti alimentari deteriorabili si intendono quelli come tali definibili ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Ministro della Sanità 16 dicembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 28 dicembre 1993.
194 Detta norma è la medesima di quella corrispondente (art. 3) del D.Lgs. 231/2002.
Xxxxxxxx appare altresì che la disciplina in esame richiami espressamente quella contenuta all'interno dell'art. 1218 c.c. in tema di obbligazioni perché, come in essa, anche qui l'onere della prova di dimostrare che il ritardo di pagamento è derivato da causa a lui imputabile risiede in capo al debitore.
5.3. Gli interessi moratori
Passando poi alla «decorrenza degli interessi moratori» possiamo evidenziare una significativa novità introdotta rispetto dalla recente normativa del 2012.
L'art. 4, Iº comma del D. Lgs. 192 del 2012 sancisce, diversamente dalla precedente disciplina195, che gli interessi moratori decorrono senza la necessaria costituzione in mora dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento.
Ed il IIº196 comma della medesima disposizione, proprio in merito ai termini legali dai quali decorre la costituzione automatica, afferma nella lett. a)197 che non hanno effetto sulla decorrenza le richieste di integrazione o modifiche formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento.
Per quanrto attiene, in generale, il termine per il pagamento, essoè pari a trenta giorni e può essere calcolato in riferimento a diversi parametri, (i) dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente, oppure (ii) se quella non è certa o è anteriore a quella di ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi, da quest'ultima data.
Da precisare, altresì, che nei casi in cui la legge o il contratto prevedano la verifica o l'accettazione della conformità della merce o dei servizi il termine di pagamento si calcola dalla data di accettazione/verifica se la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è ricevuta dal debitore in un momento precedente.
Qualora, invece, siamo dinanzi a norme di legge speciali specifiche pattuizioni che non dispongono diversamente, la durata delle procedure finalizzate ad accertare la conformità della prestazion non può essere superiore a trenta giorni dal momento in cui è avvenuta la consegna della merce o la prestazione del servizio. Un termine più lungo può invece essere concordato dalle parti solo
195 Il Iº comma dell'art. 4 del D.Lgs. 231/2002 disponeva l'automatica decorrenza degli interessi moratori dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento e, nel successivo comma, precisava la non necessaria costituzione in mora.
196 Detta disposizione è sostanzialmente identica a quella corrispondente (comma II°) del D.Lgs. del 2002.
197 La previsione contenuta nella lett. a) di cui al D. Lgs. 231 del 2002 non prevede, invece, l'esclusione presente nel Decreto.
espressamente ed il patto sarà, in tal caso, da considerarsi valido purché non sia gravemente iniquo per il creditore. Detto accordo, tra l'altro, deve provarsi per iscritto.
La norma che fissa il termine di trenta giorni è derogabile posto che il termine stesso è dispositivo, ovvero ben possono essere concordati termini maggiori o minori. La deroga convenzionale sul termine del pagamento non è soggetta ad oneri di forma ai fini della validità, a meno che le parti non scelgano termini che superano i sessanta giorni. Dato che, in tale circostanza, la clausola o il patto intorno alla previsione di cui all'art 1282 c.c. operano in ragione del principio ricavabile dal IIIº comma dell'art. 1284 c.c..
Mentre è richiesta la forma scritta ad probationem con riferimento ad ogni patto o clausola che preveda un termine di pagamento inferiore a sessanta giorni, oppure compreso tra sessanta e trenta, o inferiore ancora a trenta nel caso in cui i termini risultino gravemente iniqui per il creditore.
Proseguendo nella lettura della norma, il D. Lgs. 192/2012, al IIIº comma dell'art. 4198, sottolinea come nelle transazioni commerciali tra imprese le parti possono anche pattuire un termine per il pagamento superiore rispetto a quello previsto dal secondo comma. Mentre, termini superiori a sessanta giorni devono essere espressamente pattuiti purché non risultino gravemente iniqui per il creditore ai sensi dell'art. 7 e la clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto.
Il comma IVº della medesima disposizione è dedicato espressamente invece alle transazioni commerciali in cui ad essere debitore è una pubblica amministrazione; in tal caso, infatti, le parti possono pattuire in maniera espressa un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma 2 solo quando ciò è giustificato dalla natura o dall'oggetto del contratto, o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. Ed in ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono comunque essere superiori a sessanta giorni. Anche in tale circostanza, la clausola relativa al termine necessita di essere provata per iscritto.
Il Vº comma della medesima disposizione, invece, prevede un raddoppio del termine per il pagamento:
a) per le imprese pubbliche che sono tenute al rispetto dei requisiti di
198 Il IIIº e IVº comma dell'art. 4 del D. Lgs. 231/2002 sono stati abrogati ad opera dell'art. 62 del D.L. n 1/2012.
trasparenza, di cui al decreto legislativo 11 novembre 2003, n. 333 e b) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine.
Prosegue il VIº e penultimo comma sottolineando che quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto, la stessa non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla consegna della merce o della prestazione del servizio, a meno che le parti non lo abbiano espressamente - per iscritto - concordato e previsto nella documentazione di gara, e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi dell'art. 7.
Il VIIº ed ultimo comma fa, infine, riferimento al pagamento dilazionato, facendo salva la facoltà delle parti di effettuare pagamenti a rate. In tali casi, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi e il risarcimento previsti dal D. Lgs. del 1992 sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi scaduti.
Proprio agli interessi moratori guarda l'art. 5199 del Decreto, dal quale si riscontra in primis che gli stessi sono determinati nella misura degli interessi legali di mora. Nelle transazioni commerciali tra imprese è invece consentito alle parti di concordare un tasso di interesse diverso, nei limiti previsti dall'articolo 7. Il tasso di riferimento viene determinato, come più volte abbiamo ricordato, per il primo semestre dell'anno cui si riferisce il ritardo, nella data del 1º luglio di quell'anno. Infatti, il IIIº comma dell'art. 5200 stabilisce che è il Ministero dell'Economia e delle Finanze a dare notizia del tasso di riferimento, curandone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare.
Sulla tematica degli interessi moratori in generale, dunque, occorre osservare che un sindacato su tale profilo (allorché gli interessi siano troppo bassi) può contrastare fenomeni di inadempimento intenzionale.
Si pensi, ad esempio, come i ritardi delle procedure di recupero sono spesso
199 Rispetto alla precedente previsione contenuta nel D. Lgs. 231, il D. Lgs. 192/2012 mette ordine non accorpando in un'unica disposizione più nozioni. L'art. 5 del D. Lgs. 231 del 2002, infatti, così disponeva:
«1. Salvo diverso accordo tra le parti, il saggio degli interessi, ai fini del presente decreto, è determinato in misura pari al saggio d'interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di 7 punti percentuali. Il saggio di riferimento in vigore il primo giorno lavorativo della Banca centrale europea del semestre in questione si applica per i successivi sei mesi. 2. Il ministero dell'Economia e delle finanze dà notizia del saggio di cui al comma 1, al netto della maggiorazione ivi prevista, curandone la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare».
200 La norma modifica il vecchio IIº comma dell'art. 5 del D. Lgs. 231/2002.
causa di un aumento della liquidità dei debitori e di depauperamento delle risorse dei creditori, e pertanto, allo scopo di garantire la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali e arginare i ritardi, viene introdotto un saggio di interessi ex lege particolarmente alto per il debitore moroso, in modo da spingerlo ad un comportamento diligente ed a rispettare i termini di pagamento pattuiti201.
5.4. Gli accordi «iniqui» ed il potere del Giudice
L'aspetto che possiamo definire "centrale" nella lotta ai ritardi di pagamento è sicuramente rappresentano dagli accordi cc. dd. iniqui e dal potere del Giudice di decidere in merito ai medesimi.
Potere che ha subito anche una rilevante modifica, se si considera lo strumento "rimediale" della nullità essere caratterizzato da peculiarità del tutto differenti nell'evoluzione della normativa, dapprima con la direttiva del 2000 e successivamente con quella del 2011.
Procedendo, infatti, con ordine è facilmente comprensibile come l'art. 7 del D. Lgs. 231/2002 e l'art. 7 del D. Lgs. 192/2012 - identici nel numero in ambo le normative - necessitano di una analisi fondata su aspetti comuni ma diversi, che li rendono appunto peculiari nella loro collocazione ed evoluzione storica e nella loro efficacia all'interno dell'ordinamento giuridico.
Occorre, quindi, procedere distinguendo la prima versione (del 2002) per poi passare a quella successiva (del 2012).
5.4. a) L'art. 7 del D. Lgs. 231/2002
201 X. XXXXX, I ritardi nei pagamenti commerciali. Commento al D. Lgs. n. 231 del 2002 come modificato dal D. Lgs. 192 n. 192 del 2012, estratto Giust. civ., Anno LXIII Fasc. 7.-8, 2013.
L'art. 7202 del decreto legislativo del 2002 commina la nullità203 di quell'accordo in ordine alla data di pagamento o alle conseguenze del ritardato pagamento che si manifesti in termini di grave iniquità in danno del creditore.
Il Giudice, accertato, tale parametro, può - anche d'ufficio - dichiarare la nullità dell'accordo e, avuto riguardo all'interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle altre circostanze di cui al comma 1, può applicare i termini legali ovvero ricondurre ad equità il contenuto dell'accordo204.
Sin dalla lettura della norma, dunque, emerge come le questioni ad essa sottese sono molteplici e tutte essenziali.
La prima riguarda il potere giurisdizionale205, nonché la sua ampiezza derivante dal potere correttivo attribuitogli anche d'ufficio - ciò consentirà infatti di soffermarsi sulla natura del rimedio giurisdizionale offerto dal Legislatore comunitario -, e la seconda riguardante la definizione di prassi commerciale "corretta" e accordo "iniquio".
In primis, dunque, questa previsione consente in sostanza di rispondere all'interrogativo sul se e sul come può il Giudice incidere sulle convenzioni private.
In questo caso il potere del Giudice si dimostra più ampio ed appare qualitativamente diverso dall'ipotesi di modifica legale del contratto, oncretizzantesi per effetto del principio di integrazione ex art. 1374 c.c., oppure dell'inserzione automatica ex art. 1339 c.c..
Ovvero, il Giudice non si limita solo a dichiarare le clausole invalide, ma può
202 Si sono soffermati sulla natura giuridica dell'art. 7 - evidenziando il fatto che essa si colloca nell'àmbito di una disciplina costituita da norme quasi totalmente dispositive -; A.M. XXXXXXXXX, L'abuso della libertà contrattuale in danno del creditore, in I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, Torino, 2006, pp. 109 e ss.. In senso contrario: X. XXXXX, La direttiva 2000/35/CE sui ritardati pagamenti e la legge comunitaria 2001 di delega al Governo per la sua attuazione, in Corr. giur., 2002, p. 806; X. XXXXX., Il d. lgs. n. 231/2002 di trasposizione della direttiva sui ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali, in Corr. giur., 2003, p. 112.; G. DE CRISTOFARO, Obbligazioni pecuniarie e contratti d'impresa: i nuovi strumenti di "lotta" contro i ritardi nel pagamento dei corrispettivi di beni e servizi, Studium iuris, 2003, pp. 11 e ss..
203 La nullità cui fa riferimento l'art. 7 è una nullità speciale con finalità protettiva - ovvero disposta nell'interesse della parte considerata per la categoria sociale cui appartiene meritevole di tutela - e parziale - cioè volta a limitare l'invalidità alle singole clausole abusive senza travolgere l'intero regolamento contrattuale che rimane, per tutto il resto, valido ed efficace. Sono di questo avviso, tra i molti: AA.VV. (a cura di Xxxxxxx), Le nullità negoziali di diritto comune, speciali e virtuali, Milano, 1998.
204 Questa previsione costituisce fondamentale novità all'interno dell'ordinamento giuridico italiano posto che una analoga possibilità per il giudice di optare per la sostituzione delle singole clausole o ricondurle ad equità non è prevista in nessuna altra precedente legge in tema di tutela della parte debole. Di tale avviso sono, ad esempio, DE MARZO, Ritardi di pagamento nei contratti tra imprese: l'attuazione della disciplina comunitaria, in Contratti, 2002, p. 1162; XXXXXXXXX, L'abuso della libertà contrattuale in danno del creditore, p. 135 parla di un'operazione di "ortopedia giudiziale" da parte del giudice; XXXXX, Il d. lgs. 231/2002 di trasposizione della direttiva sui ritardati di pagamenti nelle transazioni commerciali, in Corr. giur., 2003, p. 115.
205 C. XXXXXXXXXX, I poteri giurisdizionali nella disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 2008, 4-6/1, pp. 539-565.
anche modificarle, vincolando le parti a dare esecuzione ad un contratto da esse non voluto nella sua interezza.
Il tutto ruota, quindi, intorno alla previsione contenuta nel III° comma dell'art. 7, ove questo binomio termini legali - riconduzione ad equità è espressamente indicato.
E proprio su questo aspetto sono sorte nell'ultimo decennio numerose dispute, finalizzate ad esprimersi valutando se nel compiere questa attività - definita di
«ortopedia giudiziale»206 - il giudice debba rispettare una gerarchia tra disposizioni di legge o procedere con la reductio ad equitatem. Se, quindi, il Giudice nel dichiarare la nullità della clausola c.d iniqua applica i termini legali oppure riconduce ad equità il contenuto della medesima.
Una parte della dottrina ritiene che il Giudice debba sempre e comunque partire da una valutazione legata ai «termini legali», decidendo se essi siano o meno confacenti nel caso di specie; solo nell'ipotesi in cui le previsioni di legge siano
«inique» egli potrebbe procedere con la reductio.207
Proprio perché però la valutazione sul quando la disciplina legislativa sia da ritenersi iniqua o meno creava non pochi problemi, ancora altri Autori erano dell'idea che anche laddove la regola legale permetteva di conseguire risultati apprezzabili il Giudice avrebbe in ogni caso potuto cercare di dettare una regola diversa - di carattere quindi residuale - procedendo con la sostituzione della clausola nulla con i termini legali.208
Altro orientamento dottrinario, invece, sottolinea come i termini previsti dal D. Lgs. 231/2002 sono molto restrittivi rispetto alla prassi comune, con la conseguenza che la reductio sarebbe limitata nelle sue applicazioni concrete posto che difficile risulterebbe ritenere che il Giudice possa applicare condizioni
206 X. XXXXXXXXXXX, L'abuso di dipendenza economica tra la legge speciale e disciplina generale del contratto, in AA. VV., Xxxxxxxxxx e usura nei contratti, Padova, 2002, p. 519.
207 Sulla reductio ad aequitatem si veda, ad esempio, Cass., 18 luglio 1989, n. 3347, in Foro it., 1990, I, 565; S. D'XXXXXX, L'offerta di equa modificazione del contratto, Milano, 2006; X. XXXXXXXX e X. XXXXXX, Rescissione del contratto, in Comm. cod. civ., a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Libro Quarto - obbligazioni (artt. 1447 - 1452 c.c.) Bologna-Roma, 2005, pp. 221 e ss.; X. XXXXXXX, La rescissione del contratto, in Comm. cod. civ., diretto da X. Xxxxxxxxxxx, xxx. 0000 - 0000, Xxxxxx, 2000, pp. 95 e ss.; X. XXXXXXXX, Sulla reductio ad aequitatem del contratto rescindibile, in Giust. civ., 1979, I, pp. 1091 e ss.; X. XXXXXXXXXX, Poteri del giudice ed equità del contratto, in Contr. e impr., 1991, p. 479; X. XXXXX, Ancora sulla natura giuridica della riduzione del contratto rescindibile, in Temi, 1973, p. 6; X. XXXXXXXXXXX, Sulla riduzione ad equità del contratto rescindibile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1966, p. 1218; X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxxx, riduzione del contratto ad equità, svalutazione monetaria, in Temi, 1948, p. 37; X. XXXXXXX, Azione generale di rescissione per lesione, offerta di reductio ad aequitatem e svalutazione monetaria, in Giur. compl. cass. civ., 1948, II, p. 176; ID., Xxxxxx del giudice e offerta di reductio ad aequitatem, ivi, 1949, I, p. 99; X. XXXXXXXXXX, Ancora sull'offerta di riduzione del contratto ad equità, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, XX, x. 00; ID., Preclusione dell'offerta di riduzione del contratto ad equità, ivi, 1953, p. 108; X. XXXXXXX, L'offerta di riduzione ad equità, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1947, p. 583.
208 X. XXXXXXXXX, commento ad Art. 7 (Nullità), in X. Xx Xxxxxxxxxx (a cura di) , La disciplina dei ritardi di pagamento, in Nuove leggi civ. comm., 2004, p. 588.
di maggior favore per il creditore.209
Aldilà delle dispute, l'orientamento prevalente matura da una interpretazione non così estrema del III° comma dell'art. 7 del Decreto Legislativo, per il quale sembra dunque logico ritenere che dinanzi al Giudice si ponga l'alternativa tra disposizione legislativa - rigida e restrittiva - da un lato ed una reductio dall'altro, che costituirà elemento di contemperamento tra quanto previsto dalla legge e quanto invece previsto dalle parti. Valutando caso per caso il Giudice adotterà, in conclusione, lo strumento rimediale ritenuto più idoneo in concreto. Anche sulla natura del rimedio giudiziale di cui all'art. 7 del D. Lgs. 231/2002 non sono mancati diversi orientamenti: parte della dottrina lo ha accostato a quello della rescissione per lesione, mentre altra parte alla c.d. offerta di reductio, seppur - in questo ultimo caso - nota è la differenza tra la reductio disciplinata nel codice civile da quella prevista nei ritardi di pagamento.
Oltre a ciò, il potere correttivo del Giudice viene accostato, infine, al potere dello stesso di ridurre la clausola penale manifestamente eccessiva.
Questo perché ad avviso di detto orientamento l'integrazione interverrebbe solo nel momento fisiologico del contratto mentre la reductio in quella patologica: ovvero, in presenza di un regolamento incompleto e lacunoso il Giudice può integrare il contenuto di un atto che rimane pur sempre espressione della volontà delle parti; la reductio, invece, implicherebbe un intervento giudiziale in ordine ad un regolamento e ad elementi di esso già definiti dai contraenti, rispetto ai quali si evidenzia la necessità di una sostituzione - correzione da parte dell'ordinamento, non voluta né presupposta dalle parti.
Il ragionamento di cui sopra però e solo in parte corretto, vuoi perché vero é che il potere correttivo costituisce un'evoluzione dell'integrazione giudiziale210, vuoi perché altresì vero è che fragile è la distinzione tra momento rimediale e momento fisiologico, posto che dinanzi al Giudice si versa sempre per necessità di cose in un momento "rimediale".
In conclusione, quindi, mentre apparentemente differenti sono le funzioni dell'equità integrativa da quella correttiva - posto che, in realtà quest'ultima è soltanto più articolata e sviluppata rispetto alla prima -, totalmente diversificati sono gli effetti delle stesse.
209 Di tale avviso, ad esempio, X. XXXXXXXXXX, La nullità degli accordi «gravemente iniqui» nelle transazioni commerciali, in Contratti, 2003, p. 513 e G. DE CRISTOFARO, Obbligazioni pecuniarie e contratti d'impresa: i nuovi strumenti di "lotta" contro i ritardi di pagamento dei corrispettivi di beni e servizi, in Studium iuris, 2003, p. 13.
210 X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., p. 176.
Con la conseguenza che il potere correttivo ricondotto nell'àmbito del generale potere integrativo consente di ritenere lo strumento applicabile anche in circostanze diverse da quelle espressamente previste dalla legge ed anche dinanzi a clausole penali manifestamente eccessive, ove la reductio ad equitatem avviene, ad esempio, ad ufficio.
Ed «in entrambi i casi si ha un'esemplificazione della nuova attività "creatrice" attribuita al giudice, che ha la stessa funzione, e che sembra contenuta in norme non eccezionali (meglio, non più ritenibili eccezionali), e quindi suscettibili di applicazione analogica211».
Il secondo aspetto che sopra abbiamo accennato è inerente, invece, la definizione di accordo iniquo e di prassi commerciale corretta.
Anche su questo punto molte tesi si sono fronteggiate: quella «conservatrice», alla luce della quale la composizione di un conflitto di interessi potrebbe apparire corretta se tutelasse le aspettative che le parti si potevano ragionevolmente creare al momento della conclusione del contratto; e la tesi c.d.
«equitativa», per la quale potrebbe apparire, invece, corretta una soluzione che realizzi un equilibrio tra le posizioni delle parti.
In questo quadro di ricostruzione storica, il dato certo e reale è che il D. Lgs. 231 del 2002 ha come principale finalità quella di fronteggiare qualsiasi comportamento scorretto fondato su calcoli economici, giacché non raramente il debitore potrebbe preferire una maggiore liquidità piuttosto che il pagamento del creditore nei termini.
Ed ecco che la normativa interviene tentando anche di ridurre i tempi del processo ai sensi di quanto infatti statuisce nella norma successiva di cui all'art. 9 del D. Lgs. del 2002.
Ancora una volta, ed anche in questo caso, ciò che emerge delineando il quadro disegnato dalla direttiva 2000/35/CE ed attuato nel 2002 è che il Legislatore italiano guarda con molta attenzione all'interesse del creditore, che rappresenta il principale criterio a cui il Giudice deve attenersi ogniqualvolta si trova ad effettuare la scelta tra la sostituzione dell'accordo nullo o la riconduzione dello stesso ad equità.
211 X. XXXXXX, Il generale intervento correttivo del giudice sugli atti di autonomia privata, cit., pp. 426 e ss.;
X. XXXXXX, Il potere giudiziale di ristabilire l'equità contrattuale nelle transazioni commerciali, cit., p. 457;
M.C. VENUTI, Nullità della clausola e tecniche di correzione del contratto, cit., p. 148, secondo la quale l'art. 7 del D. Lgs. 231/2002 costituirebbe "una base normativa di riferimento per le ipotesi in cui si rende necessario (od opportuno) colmare la lacuna determinata nel negozio a seguito di comminatoria di nullità".
L'abuso della libertà contrattuale, infatti, costituisce il fulcro centrale della Direttiva del 2000 - così come vedremo anche della direttiva del 2011212.
Se si vuole, infatti, che il debitore (parte forte) non imponga termini lunghi al creditore (parte debole) occorre tutelare la libertà contrattuale, tenendo conto anche di quanto già sottolineato dal Draft Common Frame of Reference213; occorre perciò prevedere inevitabilmente che «qualsiasi clausola contrattuale o prassi che si discosti gravemente dalla corretta prassi commerciale e che sia in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza dovrebbe essere considerata iniqua per il creditore».
Per terminare, quindi, il parametro fondamentale utilizzato per scoprire l'abuso e valutare il trattamento giuridico è la prassi commerciale corretta: se è conforme alla prassi la clausola è equa; se, invece, non lo è ci troviamo dinanzi ad una clausola iniqua.
5.4. b) L'art. 7 del D. Lgs. 192/2012
Detta norma214 ha subito significative novità ed importanti modifiche rispetto al precedente assetto normativo dettato dalla direttiva del 2000 ed al suo decreto di attuazione (D. Lgs. 231/2002), sin qui analizzati.
Anzitutto, il I° comma dell'art. 7 del D. Lgs. 192/2012 identifica in maniera più precisa i confini degli accordi derogatori, ritenendo "sospette" le clausole che possono riguardare i termini di pagamento, il saggio degli interessi moratori o il risarcimento dei costi di recupero.
212 Il Considerando n. 28 della Direttiva 2011/7/UE, incentrato sull'abuso della libertà contrattuale, ben esprime la ratio e la finalità della direttiva, consistente nel proibire l'abuso della libertà contrattuale a danno del creditore. Infatti, quando una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data del periodo di pagamento, al tasso di interesse di mora o al risarcimento dei costi di recupero non è giustificata sulla base delle condizioni concesse al debitore, o abbia principalmente l'obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, si può ritenere che si configuri un siffatto abuso. A tale riguardo e conformemente al progetto accademico di quadro comune di riferimento, qualsiasi clausola contrattuale o prassi che si discosti gravemente dalla corretta prassi commerciale e sia in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza dovrebbe essere considerata iniqua per il creditore. In particolare, l'esclusione esplicita del diritto di applicare interessi di mora dovrebbe essere sempre considerata come gravemente iniqua, mentre l'esclusione del diritto al risarcimento dei costi di recupero dovrebbe essere presunta tale. La presente direttiva non dovrebbe, in ultimo, incidere sulle disposizioni nazionali relative alle modalità di conclusione dei contratti o che disciplinano la validità delle clausola contrattuali inique nei confronti del debitore.
213 Si veda, ad esempio, G. ALPA-U. PERFETTI-X. XXXXX-X. XXXXXX, Il Draft Common Frame of Reference del diritto privato europeo, Xxxxx, 2009. Sul tema si legga anche XXXXXXXXX XXX XXX, XXXX XXXXX AND XXXX XXXXXXX - XXXXX, Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law, Draft Common Frame of Reference (DCFR), Outiline Edition, European Law Publishers GmbH, Munich, 2009. Nella logica dei suoi redattori il DCFR è un testo accademico volto a favorire la conoscenza del diritto privato europeo nei singoli ordinamenti nazionali, anche in termini di formazione ed educazione giuridica, nonché a dimostrare che i diritti privati nazionali siano manifestazioni regionali di una sovrastante eredità comune europea, sostenendo il processo di unificazione attraverso l'elaborazione di regole e principi uniformi.
214 Il corrispondente art. 7 del D. Lgs. 231/2002 era rubricato "nullità parziale".
Dette clausole, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto sono nulle infatti quando risultano gravemente inique in danno del creditore ed in tal caso troveranno applicazione gli articoli 1339 e 1419, II° comma, del codice civile, con la conseguenza che il contratto resta valido per tutta la sua interezza, esclusa la clausola nulla che viene ad essere sostituita di diritto dalla disciplina legale in esame. In questo modo, quindi, torneranno a valere i termini di pagamento, i tassi ed i criteri di rimborso nonché il risarcimento disciplinati dalla normativa.
La ratio di questa previsione è quindi del tutto specifica e diversa rispetto alla versione normativa precedente.
Evocando gli articoli 1339 e 1419, II° comma, c.c. il Giudice, una volta dichiarata la nullità parziale della clausola che pattuisce un iniquo termine di pagamento, la sostituisce con il termine legalmente determinato.
Tuttavia, qualche perplessità al richiamo dell'art. 1339 c.c. sussiste posto che le disposizioni destinate ad integrare la lacuna creatasi nel regolamento contrattuale non possono essere considerate sic et simpliciter dispositive, essendo le medesime derogabili con specifica pattuizione.
Con molta probabilità le medesime sono semi-imperative, se si cambia prospettiva.
Aldilà di ciò, il dato certo rimane quello per il quale la norma derogata può tornare a colmare la lacuna creatasi a seguito della nullità del patto che ha invalidamente derogato da essa.
Le norme semi-dispositive si lasciano, dunque, derogare ed altresì vengono ad integrare la lacuna venutasi a creare con la caduta della deroga pattizia se la deroga non si salva dal controllo di validità imposto dal legislatore.
Emblematico, a tal proposito, la giurisprudenza della Corte di Giustizia con particolare riferimento al Banco Espanol de Crédito215.
In conclusione, dunque, il Giudice ha il potere di individuare - sulla base delle circostanze oggettivamente apprezzabili - un termine di pagamento diverso da quello legale.
I termini legali (dispositivi) non troveranno applicazione solo se un discostamento sarà giustificato da motivi oggettivi.
In tal caso infatti il Xxxxxxx dovrà ricondurre la deroga entro i limiti del non abuso riconducendolo nell'alveo della sostenibilità. Il ruolo del Giudice in questo
215 CGUE, 14 giugno 2012, n. C-618/2010, in Contratti, 2013, p. 16, con nota (critica) di X. X'XXXX,
Giurisprudenza comunitaria e "medesimo effetto utile per il consumatore": nullità (parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del contratto.
caso si avvicina molto a quello di un mediatore, che si limita a correggere l'abuso tutelando la ratio ispiratrice. Per assolvere questo ruolo il giudice più che a una "riduzione conservativa" ex post sarebbe preferibile ricorresse ex ante ad un controllo rigoroso della liceità della clausola derogatoria voluta dalle parti, e che provveda a salvarla ogniqualvolta, sulla base delle circostanze (oggettive) si possa rinvenire (anche solo) una ragione giustificatrice, soprattutto se la ragione giustificatrice consiste in una prassi commerciale che sorregge il termine più lungo.
Anziché però dar spazio ad un contesto incerto - che si verifichebbe con la accettazione dell'idea che il giudice nel ricostruire il regolamento menomato dia applicazione al termine definito dalla prassi commerciale, appare preferibile in questo caso un orientamento certo per il quale si ritiene che giudice, cancellata la deroga nulla, completa il contratto ricorrendo al termine legalmente identificato Anche nel caso dell'analisi della direttiva in esame, come fatto per quella precedente del 2000, occorre interrogarsi su cosa abbia inteso il legislatore comunitario significare circa le definizioni e le espressioni usate.
Cosa intende, dunque, dapprima nel riferirsi agli accordi iniqui.
Come sin qui abbiamo osservato, è colpito - secondo l'art. 7 del D. Lgs. 192/2012 - dalla sanzione della nullità l'accordo sulla data di pagamento o sulle conseguenze dei ritardi che - avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza - risulti gravemente iniquo in danno del creditore.
Il I° comma dell'art. 7 del D. Lgs. 192/2012 individua, in particolare, due tipologie di accordi derogatori iniqui, e quindi nulli: il primo è rappresentato dall'accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, ha come principale obiettivo quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore e l'accordo con il quale l'appaltatore o il subfornitore principale impone ai propri fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi. Posto che l'identificazione della nullità del primo tipo è basata sullo scopo del patto, occorre osservare come, in verità, l'accertamento dell'assenza di ragioni oggettive dovrebbe assorbire quello relativo allo scopo dell'accordo derogatorio: il Giudice può ritenere che il termine più lungo miri al solo obiettivo di
procurare al debitore liquidità aggiuntiva qualora il termine pattiziamente concordato non trovi giustificazioni sulla base dei criteri offerti dall'art. 7, I° comma del D. Lgs. 192/2012.
Nel nuovo testo della disposizione in esame, dunque, la riconduzione ad equità è scomparsa, prevalendo così la scelta del legislatore che, con lo scopo di non far prevalere un carattere di arbitrarietà, ha ritenuto sufficienti le clausole generali della buona fede e del buon costume quali riferimenti per il giudice nell'esercizio del proprio potere correttivo.
Nell'accertare la nullità delle clausola, quindi, il Giudice è guidato dal grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza e dalla esistenza di motivi oggettivo per derogare al saggio degli interessi legali di mora etc..
Vengono meno così i motivi soggettivi che potrebbero indurre il debitore ad ottenere termini più lunghi per il pagamento o conseguenze meno gravi in caso di ritardo ed il riferimento all'abuso della libertà contrattuale.
Ad abundantiam, «ci si può chiedere se la norma possa essere applicata nella situazione speculare in cui le clausole in deroga risultino gravemente inique per il debitore. In base al principio di ragionevolezza, per evitare ingiustificate disparità di trattamento, la risposta dovrebbe essere positiva, tanto più che la ratio della normativa è chiaramente quella di evitare abusi nella commercializzazione in danno della parte debole: la legge presume che il debitore sia opportunista, ma come s'è accennato potrebbe invece essere il debitore in sede di stipulazione del contratto a soffrire le imposizioni inique di un creditore forte che vuole speculare su eventuali residui esiziali216».
Anche in questo assetto normativo si riscontra il potere del Giudice di intervenire ex officio. Questi può dichiarare, anche d'ufficio, la nullità della clausola avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l'esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di
216 X. XXXXXXXX, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. tinerario di una nuova riforma, in Le Nuovi Leggi Civili Commentate, Rivista bimestrale a cura di X. Xxxx, A.M. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxx, Anno XXXVI, n. 5 Settembre - Ottobre 2013, p. 1062. Di questo avviso anche: X. XXXXXXXX, Il decreto legislativo sui ritardati pagamenti e l'impatto sul sistema, in La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2003, 1/2, pp. 57-61; E. M. XXXXXXXX, Disciplina legale del ritardo nei pagamenti e pubbliche amministrazioni, in Giurisprudenza piemontese, 2006, 3, pp. 394-402; G. DE CRISTOFARO, La disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231), in Le nuove leggi civili commentate, 2004, 3, pp. 461-464; .
mora, ai termini di pagamento o all'importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero».
Proprio su questo aspetto si soffermano il III° e IV° comma dell'art. 7 del D.Lgs. 192/2012, che pongono una presunzione di iniquità assoluta per le clausole che escludono l'applicazione degli interessi di mora - ove non è ammessa infatti prova contraria - e relativa per quelle che escludono il risarcimento dei costi di recupero. Mentre per le prime, dunque, non è ammessa prova contraria, per le seconde sì.
Infine, sempre sulla tematica dei confini dell'autonomia privata e dei poteri del Giudice si ricordi il V° ed ultimo comma della disposizione in esame che concentra la sua attenzione alle transazioni commerciali in cui ad essere debitore è la Pubblica Amministrazione - esso, infatti, dispone che in questi casi «è nulla la clausola avente ad oggetto la predeterminazione o la modifica della data di ricevimento della fattura. La nullità è dichiarata d'ufficio dal giudice» - e l'art. 4, III° comma del D. Lgs. 192/2012, che autorizza le parti a fissare un termine di pagamento superiore a quello legale, precisando che «termini superiori a sessanta giorni, purché non siano gravemente iniqui per il creditore, devono essere pattuiti espressamente».
Altresì, quando il debitore è una pubblica amministrazione (art. 4, II° comma) i termini convenzionalmente pattuiti non possono essere superiori a sessanta giorni.
5.5. Il risarcimento dei costi di recupero
L'art. 6 del Decreto apporta una significativa modifica al corrispondente art. 6 del D. Lgs. 231 del 2002217 disponendo in materia di risarcimento delle spese di recupero, al I° comma che «nei casi previsti dall'art. 3, il creditore ha diritto anche al rimborso dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrispostegli».
Aggiunge poi al comma successivo - previsione di rilevante importanza - che «al creditore spetta, senza che sia necessaria la costituzione in mora, un importo forfettario di 40 euro a titolo di risarcimento del danno. È fatta salva la prova del
217 La previsione di cui alla previgente normativa così stabiliva che il creditore aveva diritto al risarcimento dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrispostegli, salva la prova del maggior danno, ove il debitore non dimostrava che il ritardo non sia a lui imputabile. I costi, comunque corrispondenti a principi di trasparenza e di proporzionalità, potevano essere determinati anche in base ad elementi presuntivi e tenuto conto delle tariffe forensi in materia stragiudiziale.
maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza per il recupero del credito».
Sulla ratio della previsione occorre soffermarsi più a lungo. Sia all'interno del precedente D. Lgs. 231 del 2002 che all'interno dell'attuale assetto normativo218, la previsione in oggetto si pone in un'ottica finalizzata alla tutela del creditore.
Già con la Raccomandazione della Commissione del 12 maggio 1995219, che ha poi dato vita alla Direttiva 2000/35/CE, il Legislatore Europeo contemplava - all'interno dell'art. 3, lett. c) - fra le condizioni che permettevano di risarcire adeguatamente il creditore per i danni subiti a causa di un ritardo nei pagamenti da parte del debitore» il «riconoscere, oltre agli interessi di mora, il diritto ad altri risarcimenti per i danni subìti a causa del ritardo di pagamento», con riferimento particolare alle «spese di natura legale e amministrativa per il recupero dei crediti.
Anche i Considerando della Direttiva del 2000 si soffermavano, oltre che sull'agilità delle procedure, anche sul risarcimento delle spese di recupero, facendo emergere un equilibrio tra l'azione sovranazionale e quella dei singoli Stati membri.
L'Italia, a tal proposito, ha - con la Direttiva del 2000 - definito, in un certo senso, gli indici volti ad identificare il quantum delle spese di recupero mentre, invece, - con la Direttiva del 2011 - ha offerto indicazioni circa la definizione forfettaria delle spese.
Ma vediamo nel dettaglio in che cosa consiste in concreto il risarcimento delle spese di recupero.
Dapprima con l'analisi del D. Lgs. 231/2002.
L'art. 6, I° comma del Decreto in esame così dispone: «il creditore ha diritto al risarcimento dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrispostegli, salva la prova del maggior danno, ove il debitore non dimostri che il ritardo non sia a lui imputabile».
La medesima disposizione poi - per quanto attiene la determinazione dell'importo delle spese di recupero - richiamava elementi presuntivi o, ancora, le tariffe forensi in materia stragiudiziale. Ovvero, rispondendo sempre e comunque ai principi di trasparenza e proporzionalità, i costi per il risarcimento
218 F. DE STEFANO, Le modifiche del D. Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 al procedimento monitorio, in Rassegna delle locazioni e del condominio, 2003, 2, pp. 157-166.
219 Raccomandazione della Commissione, 12 maggio 1995, riguardante i termini di pagamento nelle transazioni commerciali [95/198/CE], in G.U. n. L 127 del 10 giugno 1995, pp. 19-22.