Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento di Storia e Filosofia del diritto e Diritto Canonico
Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento di Storia e Filosofia del diritto e Diritto Canonico
SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN GIURISPRUDENZA INDIRIZZO UNICO
XXIV CICLO
L’UTILITAS CONTRAHENTIUM NEI CONTRATTI REALI GRATUITI IN DIRITTO ROMANO CLASSICO: UN MODELLO DI RESPONSABILITÀ
Direttore della Scuola: Xx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxx
Supervisore: Xx.xx Xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx
Dottoranda: Xxxxxxxxx Xxxxxxxx
INDICE SOMMARIO
INTRODUZIONE 1
CAPITOLO PRIMO
INQUADRAMENTO SISTEMATICO E AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’UTILITAS CONTRAHENTIUM 6
1. L’utilitas contrahentium 6
2. Collocazione cronologica dell’utilitas contrahentium 9
3. Correlazione tra utilità e gratuità 11
4. Correlazione tra utilità e buona fede 12
5. L’incidenza dell’utilitas contrahentium sul regime della responsabilità contrattuale
........................................................................................................................................ 15
CAPITOLO SECONDO
I CONTRATTI REALI GRATUITI NEL DIRITTO ROMANO CLASSICO: COMODATO E DEPOSITO 18
1. I contratti gratuiti nel diritto romano classico 18
2. Il comodato 22
3. Il deposito 26
4. Caratteristiche comuni ai contratti di comodato e deposito: la realità 30
4.1. Segue: la rilevanza della consegna 33
5. Segue: la gratuità 35
6. Segue: la bilateralità imperfetta 36
7. Segue: la duplicità formulare 37
CAPITOLO TERZO
L’UTILITAS CONTRAHENTIUM NELLA COLLATIO LEGUM MOSAICARUM ET ROMANARUM E NEL DIGESTO 43
1. Coll. 10.2.1-7 (Mod. 2 differ.): l’utilitas come regula 43
1.1. Segue: e le problematiche ad essa connesse 46
2. Il canone dell’utilitas in D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.) 49
3. D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.) e Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.): maestro e allievo a confronto 52
4. Segue: divergenze tra D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.) e Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.)
........................................................................................................................................ 54
5. Segue: e analogie. A) I criteri di imputazione della responsabilità del comodatario in D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.) e in Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.) 56
5.1. Segue: B) Il legame tra l’utilitas contrahentium e i bonae fidei iudicia 61
6. Correlazione tra utilità e contractus bonae fidei in D. 30.108.12 (Afric. 5 quaest.) 62
7. Raffronto tra Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.) e D. 30.108.12 (Afric. 5 quaest.) 65
8. Comparazione tra Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.) e D. 50.17.23 (Ulp. 29 ad Sab.) 66
9. Gli altri testi nei quali l’utilitas contrahentium funge da criterio per la determinazione della responsabilità delle parti 70
10. Considerazioni di sintesi 73
CAPITOLO QUARTO
L’UTILITAS CONTRAHENTIUM NELLE FONTI GAIANE 77
1. Le prime dirette attestazioni del canone dell’interesse dei contraenti quale criterio in grado di influenzare il regime della responsabilità: Gai 3.205-206 77
1.1. Segue: Gai 3.207 79
2. Il diverso atteggiarsi della custodia nei contratti di comodato e deposito 81
3. Gli altri passi gaiani nei quali si fa applicazione del criterio dell’interesse dei contraenti: D. 13.6.18 pr. (Gai 9 ad ed. prov.) 83
3.1. Segue: e D. 44.7.1.4-5 (Gai 2 aur.) 85
4. Cenni sul contenuto del praestare del comodatario in Gaio 88
5. Riflessioni conclusive 90
CAPITOLO QUINTO
L’UTILITAS CONTRAHENTIUM E I CRITERI DI IMPUTAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ NEI CONTRATTI DI COMODATO E DEPOSITO NELL’ORDINAMENTO VIGENTE 93
1. L’area della gratuità contrattuale nel diritto vigente 93
2. Correlazione tra gratuità e realità 95
3. La disciplina delle obbligazioni e della responsabilità del comodatario nel codice civile 96
4. La disciplina delle obbligazioni e della responsabilità del depositario nel codice civile
...................................................................................................................................... 101
5. L’incidenza dell’utilitas contrahentium sul regime odierno della responsabilità nei contratti di comodato e deposito 104
CONCLUSIONI 108
INDICE DELLE FONTI 112
BIBLIOGRAFIA 118
INTRODUZIONE
Scopo immediato della presente ricerca è quello di indagare l’incidenza del criterio dell’utilitas contrahentium sul regime della responsabilità nei contratti reali gratuiti di comodato e deposito, nell’intento di contribuire alla ricostruzione storico-giuridica dell’utilitas contrahentium nel diritto romano classico, attraverso l’analisi delle fonti classiche e, ove occorra, postclassiche in materia1.
La tematica in questione presenta molteplici profili di interesse, sia per il contesto entro cui essa si sviluppa, che è quello, assai indagato dalla dottrina romanistica, della responsabilità contrattuale, sia per la sussistenza di una serie di problematiche alla stessa collegate non ancora risolte in modo univoco dagli studiosi, i quali, come si vedrà, dimostrano in più occasioni di essere ben lontani dal raggiungimento di una communis opinio.
L’indagine verrà condotta con riferimento ai contratti gratuiti, oltre che reali – e quindi, fondamentalmente, ai contratti di comodato e deposito – in quanto, proprio in questo campo, come vedremo, l’operatività del criterio dell’utilitas contrahentium si manifesta nella maniera più chiara.
Nonostante in dottrina si sia parlato di una crisi che la regola dell’utilitas contrahentium avrebbe sofferto a partire dal giusnaturalismo2, la considerazione dell’utilitas appare senz’altro sottesa alle norme del codice civile del 1865: in
1 L’utilitas, intesa quale criterio per l’individuazione della responsabilità contrattuale – l’utilitas contrahentium, appunto –, rappresenta uno dei significati che il termine assume nelle fonti giuridiche romane, entro le quali esso gode di un largo e diversificato utilizzo. Sui diversi impieghi del termine nelle fonti si rimanda a F.B. XXXXXX, Intorno al concetto dell’‘utile’ e le sue applicazioni nel diritto romano, Xxxxxx - Xxxxxx - Xxxx, 0000; nonché, più di recente, X. XXXXXXX, D. 1.3.13. Pedio, Ulpiano e la ‘lex contractus’, in Labeo, XLIII, 1997, 240 ss.; X. XXXXXX, Le discours juridique et moral d’‘utilitas’ à Rome, in SDHI, LXV, 1999, 239 ss.; X. XXXXXXX, Ricerche sulla ‘utilitas’ nel pensiero dei giuristi romani, Torino, 2002, 10.
2 X. XXXXXXXXX, Il criterio dell’‘utilitas contrahentium’ e il suo superamento nell’età del giusnaturalismo, in ‘Fides Humanitas Ius’. Studii X. Xxxxxxx, V, Napoli, 2007, 3087 ss. Contra X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’. Note minime su una ‘regula’ che ‘cacciata dalla porta rientrò dalla finestra’, in Modelli teorici e metodologici nella storia del diritto privato, a cura di
X. Xxxxx, III, Napoli, 2008, 310 s., secondo il quale una crisi ci fu, ma fu soprattutto la crisi della dottrina della tripartizione della colpa (in lata, levis e levissima), elaborata a partire dalla stagione dei glossatori e imperante ancora nei trattati di Xxxxxxx, mentre non risultò scalfito il fondamento concettuale su cui poggiava tale dottrina, ossia la regola dell’utilitas.
particolare, all’art. 1810, dettato in materia di comodato, che addossava al comodatario la responsabilità per il perimento fortuito della cosa comodata; nonché all’art. 1224, a proposito della diligenza del buon padre di famiglia da seguire nell’adempimento delle obbligazioni, il quale esonerava il depositario dall’osservanza della regola poco prima enunciata, rinviando all’art. 1843 – secondo cui il depositario, nel custodire la cosa depositata, deve usare la stessa diligenza che usa nel custodire le cose proprie – e manifestando così il chiaro intento di voler diminuire la responsabilità del depositario3.
Anche nel sistema italiano vigente, del resto, è proprio nelle norme che regolano la responsabilità del depositario e del comodatario che troviamo traccia dell’utilitas. Così essa, come si dirà, è riecheggiata chiaramente nell’art. 1768, comma 2, cod. civ., secondo cui la responsabilità per colpa del depositario è valutata con minor rigore se il deposito è gratuito; e, ancora, nell’art. 1805, comma 1, cod. civ., che estende la responsabilità del comodatario al caso fortuito, assoggettandolo così a una responsabilità più gravosa rispetto a quella che incombe sul debitore ordinario4.
La scelta di circoscrivere l’area della ricerca ai contratti gratuiti è dettata dal fatto che, almeno secondo una parte della dottrina, sussisterebbe un collegamento originario tra l’utilitas e la gratuità. L’idea dell’utilità sarebbe nata proprio nell’ambito dei contratti gratuiti, i quali, dunque, costituirebbero il punto di vista privilegiato per approfondire la tematica in questione5. Molto significativa, a questo riguardo, risulta essere, del resto, l’individuazione dell’ambito di operatività dell’utilitas anzitutto con riferimento ai contratti (a titolo gratuito) di comodato e deposito nel testo, fondamentale in materia, della Collatio legum Mosaicarum et Romanarum, tratto dalle Differentiae di Erennio Modestino6.
3 Sul contenuto delle norme del codice civile del 1865, si rinvia al cap. V, § 5.
4 Sul punto si xxxx xxxxx, xxx. X, §§ 0 xx.
0 Xx veda, al riguardo, X. XXXXXX, Xxxxxxxx en droit romain. Etude d’histoire et d’ethnologie juridique, Bruxelles, 1962, 325 ss., per il quale l’utilitas, almeno fino al III sec. d.C., era applicata soltanto ai contratti gratuiti. Il tema è toccato, da ultimo, da X. XXXXXXXX, Gratuità e responsabilità contrattuale, in Scambio e gratuità. Confini e contenuti dell’area contrattuale, a cura di X. Xxxxxxxx, Padova, 2011, 34 ss.
6 Si tratta di Coll. 10.2.1-3, sul quale si xxxx xxxxx, xxx. XXX, §§ 0 xx.
Xx avrà modo di mostrare che proprio dall’esame di queste tipologie contrattuali e, soprattutto, dal loro confronto, è possibile comprendere fino in fondo come il diverso atteggiarsi dell’utilitas sia in grado di modificare il regime della responsabilità nei contratti reali gratuiti. Non è trascurabile, infatti, il legame imprescindibile della tematica in questione con l’evolversi del sistema della responsabilità contrattuale nel diritto privato romano.
Grazie all’analisi dei testi gaiani, in cui si fa applicazione del criterio dell’interesse dei contraenti quale parametro in grado di incidere sul regime della responsabilità nei contratti reali gratuiti (Gai 3.205-207, D. 13.6.18 pr. e D. 44.7.1.5)7, sarà possibile mettere in luce come in essi il canone dell’interesse non sia mai espresso in termini di utilitas, che compare per la prima volta nei passi di Xxxxxxxxx e di Ulpiano (si tratta, rispettivamente, di Coll. 10.2.1-3 e D. 13.6.5.2- 3), ma vi si faccia riferimento attraverso l’uso di parole diverse, come commodum in Gai 3.206, o gratia in D. 13.6.18 pr. e in D. 44.7.1.5. Si tratterà, dunque, di vedere se il dato letterale possa avere un peso nella ricostruzione della teoria dell’utilitas e se di quest’ultima possa davvero parlarsi, al più, soltanto a partire dall’età tardoclassica, grazie ai contributi di Xxxxxxx e Xxxxxxxxx.
Un ulteriore profilo, connesso alla questione da ultimo evidenziata, che potrà essere meglio compreso attraverso l’analisi approfondita delle fonti, è quello relativo alla funzione dell’utilitas, se essa cioè debba essere intesa come motivazione posteriore alla regula sulla responsabilità8 o come principio avente diretto valore normativo9.
Verrà, inoltre, dedicata una particolare attenzione alla dibattuta questione riguardante il collegamento del criterio dell’utilitas contrahentium ai giudizi di
7 All’esame delle fonti gaiane, nelle quali si fa applicazione del canone dell’interesse dei contraenti, è dedicato il cap. IV.
8 Cfr. X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’ in D. 50.17.23. Ricerche sulla responsabilità contrattuale, I, Bari, 1984, 123 ss.
9 Cfr. X. XX XXXXXXXX, A proposito della pretesa contrapposizione concettuale tra ‘dolus’ e ‘bona fides’ nel linguaggio dei giuristi, in Atti del seminario sulla problematica contrattuale in diritto romano, Milano, 7-9 aprile 1987, II, Milano, 1990, 147 ss., e X. XXXXX, Spunti per una indagine dei criteri della responsabilità contrattuale in diritto postclassico, in Atti del II Convegno sulla Problematica Contrattuale in Diritto Romano (Milano, 11-12 maggio 1995). In onore di X. Xxxx’Xxx, Milano, 1998, 456, i quali ritengono che il criterio fondato sulla ripartizione dei vantaggi tra i contraenti non venisse in gioco solo per giustificare a posteriori un regime di responsabilità già costruito.
buona fede, in relazione ai quali esso avrebbe trovato, secondo una parte della dottrina, esclusiva applicazione, sulla base dell’osservazione per cui tutti i rapporti di cui le fonti conservano una traccia dell’applicazione dell’utilitas rientrano nel novero dei iudicia bonae fidei10. Si tratta, a ben vedere, di un problema che coinvolge il rapporto stesso tra bona fides, utilitas e regime della responsabilità, e che porta a sua volta a ridiscutere il ruolo giocato dal principio dell’utilitas nell’ambito della disciplina classica della responsabilità: posto che il regime della responsabilità deriva dall’evoluzione sul piano processuale delle formule relative ai singoli rapporti – si noti che tanto il comodato quanto il deposito risultano essere muniti, a partire dall’età classica, anche di una formula in ius (ex fide bona) che va ad affiancare quella in factum11 –, ci si è chiesti se e in che modo l’utilitas, che ha riguardo all’interesse sostanziale delle parti al contratto, possa avervi inciso.
Un’altra problematica, strettamente connessa a quest’ultima, è quella relativa al momento in cui l’utilitas sia divenuta regola generale di valutazione della responsabilità, che una parte della dottrina fa coincidere con il superamento del processo formulare12.
La panoramica fin qui condotta sull’elaborazione della regula dell’utilitas contrahentium e sulle problematiche che ruotano intorno alla stessa mostra come
10 Ravvisano un collegamento tra utilitas e giudizi di buona fede F. PASTORI, Commodato Contratto Responsabilità, Milano, 1986, 286, nt. 35; X. XX XXXXXXXX, A proposito della pretesa contrapposizione concettuale tra ‘dolus’ e ‘bona fides’, cit., 146; P. VOCI, ‘Diligentia’, ‘custodia’, ‘culpa’: i dati fondamentali, in XXXX, XXX, 0000, 29 ss., ora in Ultimi studi di diritto romano, a cura di X. Xxxxxxx, Napoli, 2007, 135 ss., cui si riferiscono le successive citazioni; X. XXXXXXXX, Il socio d’opera in diritto romano. Conferimenti e responsabilità, Padova, 1997, 227; ID., ‘Utilitas contrahentium’, cit., 283 s.; ID., Diritto romano e diritti europei. Continuità e discontinuità nelle figure giuridiche, Bologna, 2010, 55 ss. In precedenza, in senso contrario, X. XXXXX, Xxxx’età dei giudizii di buona fede di comodato e di pegno, in Studi in onore di X. Xxxxx per il XXV anno del suo insegnamento, VI, Napoli, 1906, 333 ss., ora in Scritti vari di diritto romano, Torino, 1952, 348 ss., cui si riferiscono le successive citazioni. Secondo X. XXXXXX, Il sistema romano dei contratti!, Torino, 1950, 259, quello dell’utilitas è un criterio concreto ed elastico che talvolta viene collegato ai giudizi di buona fede, sebbene la sua applicazione travalichi sia il loro ambito, sia il campo strettamente contrattuale.
11 Gai 4.47: sed ex quibusdam causis praetor et in ius et in factum conceptas formulas proponit, veluti depositi et commodati.
12 Così F. PASTORI, Commodato, cit., 286, nt. 35, e X. XXXXX, Spunti, cit., 456 s. Contra P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 139 ss., secondo cui i compilatori giustinianei non mostrano interesse per il criterio dell’utilitas, non più ricordato nel testo fondamentale D. 50.17.23 (sul quale si veda infra, cap. III, § 8).
l’argomento sia pervaso di svariate incertezze concettuali, di numerosi dubbi dottrinali, nonché di questioni ancora irrisolte, meritevoli di essere ulteriormente approfondite.
Ebbene, si tratta di una tematica trasversale che, come abbiamo visto, si colloca all’interno di un orizzonte più ampio – quello della responsabilità contrattuale nel diritto privato romano – anch’esso costellato di punti controversi.
Sulla base di quanto detto, pertanto, l’obiettivo che si intende perseguire è quello di svolgere una ricerca sulle origini dell’utilitas contrahentium al fine di approfondire l’incidenza della stessa sul sistema della responsabilità contrattuale, all’interno di un’evoluzione storica che vede un reciproco implicarsi dell’una e dell’altra; oltre a ciò, si ritiene che un’indagine siffatta possa contribuire a una migliore comprensione del modello generale della responsabilità nei contratti reali gratuiti – comodato e deposito in primis – entro il quale, come già evidenziato in apertura, si trova tuttora traccia della regula romanistica dell’utilitas.
CAPITOLO PRIMO
INQUADRAMENTO SISTEMATICO E AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’UTILITAS CONTRAHENTIUM
SOMMARIO: 1. L’utilitas contrahentium. – 2. Collocazione cronologica dell’utilitas contrahentium. – 3. Correlazione tra utilità e gratuità. – 4. Correlazione tra utilità e buona fede. – 5. L’incidenza dell’utilitas contrahentium sul regime della responsabilità contrattuale.
1. L’‘utilitas contrahentium’.
Con l’espressione utilitas contrahentium – da riferire all’ambito negoziale, quale criterio per l’individuazione del tipo di responsabilità contrattuale – si intende l’utilità, cioè l’interesse, il vantaggio, il profitto che le parti contraenti ricavano dal contratto.
La terminologia adoperata dalla dottrina per designare l’utilitas contrahentium è varia, sebbene il significato ad essa attribuito dai prudentes sia sostanzialmente univoco: essa è stata considerata talvolta come un principio1, una massima, o un criterio, talaltra come una regola, ovvero come una regula2.
1 Cfr. X. XXXXXX, Das Utilitätsprinzip als Grund der Abstufung bei der Vertragshaftung im klassischen römischen Recht, in Festgabe Xxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 235 ss.; ID., Die Konträrklagen und das Utilitätsprinzip, in ZSS, XXXVIII, 1917, 73 ss.; ID., Die Haftung für Verschulden bei kontraktsähnlichen und deliktsähnlichen Shuldverhältnissen, in ZSS, XXXIX, 1918, 172 ss.
2 L’utilitas contrahentium è definita espressamente come regula in Coll. 10.2.2, del quale ci si occuperà nel cap. III, §§ 1 ss. Altri due testi fondamentali in materia sono D. 50.17.1 (Xxxx. 16 ad Plaut.): regula est, quae rem quae est breviter enarrat. Non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat. Per regulam igitur brevis rerum narratio traditur, et, ut ait Sabinus, quasi causae coniectio est, quae simul cum in aliquo vitiata est, perdit officium suum, dal quale emerge che la regula è regola casistica, che non contiene principi astratti da cui dedurre il diritto, ma serve piuttosto ad orientare i prudentes alla soluzione del singolo caso, e D. 50.17.23, sul quale si veda infra, cap. III, § 8. Sul significato tecnico del termine e sul problema della normatività delle regulae si vedano X. XXXXX, ‘Regulae iuris’. From juristic Rules to Legal Maxims, Xxxxxxxxx, 1966, 67 ss. e 105 ss.; X. XXXXX, Contributo allo studio del metodo casistico nel diritto romano,
Come vedremo, sono numerose le fonti3, giustinianee e pregiustinianee, che presentano il canone dell’interesse come criterio base per la determinazione dei gradi di responsabilità contrattuale delle parti nei diversi rapporti obbligatori4.
Sulla base di tale principio i giuristi romani graduavano la responsabilità per inadempimento degli obbligati in relazione all’utilitas che di volta in volta essi avrebbero percepito dal contratto5: così se l’obligatio fosse sorta nell’esclusivo interesse del creditore, come nel deposito, il debitore avrebbe risposto soltanto per inadempimento doloso; se fosse sorta nell’interesse di entrambe le parti, come nella vendita e nella locazione, il debitore avrebbe risposto sia per colpa che per dolo; infine, se l’obbligazione fosse sorta nell’esclusivo interesse del debitore, come nel comodato, il medesimo avrebbe risposto, oltre che per dolo e colpa, anche per custodia e addirittura per caso fortuito, qualora ben potendo salvare la cosa ricevuta in uso avesse preferito salvare la propria6.
Secondo tale criterio, quindi, la misura della responsabilità del debitore viene calcolata in proporzione al vantaggio che quest’ultimo trae dal negozio posto in essere. Essa sarà più lieve se il debitore non riceve alcuna utilità dal negozio; più onerosa, invece, se il medesimo trae un vantaggio7.
Proprio in questa regola è da ravvisare l’origine della tripartizione – elaborata a partire dalla stagione dei glossatori e imperante ancora nei trattati di Xxxxxxx – della colpa in lata, levis e levissima, con la conseguenza che risponde a titolo di
Milano, 1976, 110 ss.; ID., La giurisprudenza nel sistema delle fonti del diritto romano. Xxxxx xx xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 130 ss.; X. XXXXXX, Sul significato del normativismo e delle codificazioni nell’esperienza giuridica romana, in La certezza del diritto nell’esperienza giuridica romana. Atti del convegno, Pavia, 26-27 aprile 1985, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Padova, 1987, 5 ss. Sull’opportunità di mantenere distinti, a proposito dell’utilitas contrahentium, i concetti di regula e principio si veda, di recente, X. XXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’ e sinallagma, in La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, a cura di X. Xxxxxxxx, II, Padova, 2007, 225 s.
3 Si vedano, solo per citare le principali, Gai 3.206-207; Coll. 10.2.1-3; I. 3.14.2; D. 13.6.5.2-
3; D. 13.6.18 pr.; D. 44.7.1.5; D. 50.17.23.
4 Si tenga presente che il criterio dell’utilitas contrahentium opera anche in rapporto ai casi di responsabilità originati da atti leciti non contrattuali. Si veda, per una precisazione circa la distinzione tra responsabilità contrattuale e responsabilità da fatto lecito, C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità nel diritto privato romano. Materiali per un xxxxx xx xxxxxxx xxxxxx, Xxxxxxx, 0000, 6.
5 X. XXXXXXXXX, Il criterio dell’‘utilitas contrahentium’, cit., 3087.
6 Si veda D. 13.6.5.2-5 su cui infra, cap. III, §§ 2 ss.
7 X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 277.
xxxx e culpa lata chi dal contratto non trae alcun vantaggio; risponde invece di culpa levis e levissima (quest’ultima avvicinabile nella sostanza alla custodia), rispettivamente, colui che riceve dal contratto un vantaggio comune alla controparte o esclusivo8. Senza volerci qui addentrare sugli sviluppi e sulle critiche di cui fu oggetto la dottrina della tripartizione della colpa, fino alla crisi della stessa a partire dal giusnaturalismo9, è stato detto che tale dottrina – che poggiava sul criterio dell’utilitas contrahentium – costituì l’«asse portante della responsabilità contrattuale fino alle codificazioni»10: l’idea di graduare la responsabilità del debitore in considerazione del vantaggio che il medesimo traeva dal negozio posto in essere, infatti, fu sempre tenuta ferma come fondamentale.
Si noti che, tra i criteri di imputazione dell’inadempimento menzionati – che trovavano applicazione rispetto ai rapporti obbligatori per i quali erano previsti giudizi di buona fede – il dolo e la colpa sono tradizionalmente considerati a carattere soggettivo11; la custodia si reputa, invece, almeno secondo l’opinione dominante, di indole prevalentemente o esclusivamente oggettiva12. Mentre allora
– in sintesi – per dolo deve intendersi la volontarietà del comportamento e,
8 Per la tradizione di studi che, a partire dai glossatori, vide unanimi i giuristi della tradizione romanistica nella tripartizione della colpa in lata, levis e levissima, si veda X. XXXXXXXXX, Il criterio dell’‘utilitas contrahentium’, cit., 3087 ss., nonché ID., La ‘diligentia quam suis’ del depositario dal diritto romano alle codificazioni nazionali. Casi e questioni di diritto civile nella prospettiva storico-comparatistica, Milano, 2006, passim. Si veda, inoltre, X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 287 ss.
9 X. XXXXXXXXX, Il criterio dell’‘utilitas contrahentium’, cit., 3089, inferisce da tale crisi l’«abbandono repentino, da parte dei codici ottocenteschi, di un criterio-guida come quello dell’utilitas contrahentium, indiscusso per secoli nella dottrina del diritto comune». Secondo X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 310 s., invece, la crisi della dottrina della tripartizione della colpa non scalfì il fondamento concettuale su cui poggiava tale dottrina, ossia la regola dell’utilitas contrahentium.
10 In questo senso I. BIROCCHI - X. XXXXXXXX, voce Responsabilità contrattuale (dir. interm.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1064.
11 X. XXXXXXXXX, voce Colpa. Colpa civile (dir. rom. e interm.), in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 519 ss.; F. CASAVOLA, voce Dolo (dir. rom.), in Noviss. dig. it., VI, Torino, 1960, 147 ss.;
X. XXXXX, La responsabilità contrattuale nel diritto romano classico e nel diritto giustinianeo, in Diritto romano e terzo millennio. Radici e prospettive dell’esperienza giuridica contemporanea. Relazioni del convegno internazionale di diritto romano. Copanello, 3-7 giugno 2000, a cura di X. Xxxxxxx, Napoli, 2004, 141 ss.
12 X. XXXXXXXXX, voce ‘Custodia’ (dir. rom.), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 562 s. Ritiene che un discorso sulla responsabilità basato sulle nozioni di responsabilità soggettiva e oggettiva risulti equivoco, C.A. XXXXXXX, Ricerche sulla responsabilità contrattuale nel diritto romano, I, Milano, 1966, 17 ss.; ID., Per lo studio della responsabilità per colpa nel diritto romano classico, Milano, 1969, 7 ss.; ID., Una casistica della colpa contrattuale, in SDHI, LVIII, 1992, 413 ss.; ID., Sul problema della responsabilità, cit., 68 ss.
insieme, dell’evento dannoso provocato, e per colpa, fondamentalmente, il comportamento negligente o imprudente, la custodia postula che la prestazione sia divenuta impossibile per un qualsiasi evento che sfugga alla possibilità di controllo, compreso il furto del bene, salvo però, a partire dal I secolo d.C., il caso della sottrazione violenta del bene stesso e altre ipotesi di forza maggiore13.
2. Collocazione cronologica dell’‘utilitas contrahentium’.
La questione relativa alla collocazione cronologica dell’utilitas contrahentium è molto discussa in dottrina. Alcuni autori ritengono che essa fosse utilizzata per determinare il parametro di imputabilità dell’inadempimento già dalla giurisprudenza classica14, o addirittura da quella repubblicana15. Per altri si tratterebbe, invece, di un’elaborazione postclassica16. Secondo taluni, infine, la regula dell’utilitas, pur riconoscendo che essa non era del tutto sconosciuta ai
13 X. XXXXXXXXX, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 662 ss.; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato romano4, Torino, 1993, 601 ss.; X. XXXXXXX, Istituzioni di diritto romano!, Palermo, 2006, 422 ss.
14 Così X. XXXXX, Sull’età dei giudizii di buona fede, cit., 76 ss.; ID., ‘Obligatio’, ‘obligare’, ‘obligari’ nei testi della giurisprudenza classica e del tempo di Xxxxxxxxxxx, in Studi in onore di X. Xxxxxxxx, III, Milano, 1930, 523, nt. 77. Si vedano, inoltre, X. XXXXXX, Das Utilitätsprinzip, cit.,
235 ss.; ID., Die Konträrklagen und das Utilitätsprinzip, cit., 73 ss.; X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale in diritto romano", Napoli, 1958, 54, limitatamente al deposito e al comodato; X. XXXXX, Imputabilità dell’inadempimento dell’obbligazione in diritto romano, Roma, 1958, 73 e 107 ss.; ID., Istituzioni di diritto romano, II, Padova, 1962, 377 ss.; X. XXXXXX, Xxxxxxxx, cit., 325 ss.; F. PASTORI, Commodato, cit., 286, nt. 35; X. XXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 664 s.
15 In tal senso C.A. XXXXXXX, Ricerche sulla responsabilità, cit., 133, il quale sembra però aver mutato opinione nel successivo ID., Sul problema della responsabilità, cit., 163, in cui esclude che il giurista repubblicano si ponesse «prospettive di giustificazioni comparative basate sull’utilitas contrahentium»; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 176; X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 286 s.; ID., Diritto romano, cit., 61 s.
16 Cfr. X. XXXXXX, ‘Diligentia’, in ZSS, XLV, 1925, 312 s., il quale giudica interpolati tutti i passi in cui il principio di utilità appare pienamente costruito; X. XXXXXXXX, Haftungsformen des römischen Gesellschaftsrechts, in ZSS, LIV, 1934, 57 ss.; ID., Textstufen klassischer Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx, 0000, 218 s.; X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens im römischen Haftungsrecht, in ZSS, LXXIII, 1956, 97 s.; A. PERNICE, Labeo, römisches Privatrecht im ersten Jarhrhundert der Kaiserzeit 2.2/1, Aalen, 1963, 149 s., che formula dubbi sull’autenticità dei testi nei quali la teoria dell’utilità si presenta generalizzata; X. XXXXX, Xxx xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, X, Xxxxxxx, 0000, 512; II, Xxxxxxx, 0000, 346.
classici, avrebbe trovato una piena concettualizzazione, divenendo così di generale applicazione, solo nel diritto postclassico e, in particolare, giustinianeo17. Oggetto di dibattito, inoltre, è la specifica questione riguardante il momento storico in cui si sarebbe realizzato il passaggio dall’utilitas contrahentis, intesa come interesse unilaterale, dell’uno o dell’altro contraente, alla costituzione del rapporto obbligatorio, all’utilitas contrahentium, da intendersi come concezione
basata sul concorso di interessi.
Così, secondo Nörr la formulazione originaria del criterio dell’utilitas in materia di responsabilità era in termini di unilateralità dell’interesse: i giuristi risolvevano i problemi della responsabilità valutando se alla costituzione del rapporto obbligatorio avesse prevalentemente interesse l’uno o l’altro contraente. L’autore, dunque, ritiene che il criterio dell’interesse bilaterale abbia origine postclassica, individuando tra la metà del III e l’inizio del IV secolo d.C. il momento del passaggio dal criterio dell’interesse unilaterale a quello del concorso di interessi18.
Al contrario, Xxxxx fissa già nell’età classica il momento di tale passaggio19. L’autore, pur ammettendo che in ordine di tempo le ipotesi che si presentarono per prime all’attenzione dei giuristi furono sempre ipotesi di interesse unilaterale, quindi esclusivo, riteneva non estranea ai classici l’ipotesi del concorso degli interessi di entrambe le parti quale criterio decisivo per giudicare dell’imputabilità dell’inadempimento in una serie di rapporti, come il deposito retribuito e il comodato anomalo20.
00 X.X. XX XXXXXXXX, Xx responsabilità contrattuale nel diritto romano dalle origini a tutta l’età postclassica, Bari, 1994, 297, nt. 13; X. XXXXX, Spunti, cit., 457, per la quale l’utilitas contrahentium, sebbene sorta «nelle età precedenti quale ratio giustificatrice delle scelte formulari, si emancipa dalla formula processuale e diviene criterio generale di valutazione della responsabilità contrattuale, […] in connessione con l’introduzione e la successiva estensione della cognitio extra ordinem»; X. XXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 234, secondo cui l’utilitas contrahentium, da criterio di decisione genuinamente classico divenne, nel periodo postclassico, principio generale e normativo.
18 Cfr. X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 81 ss.
19 Cfr. X. XXXXX, Imputabilità, cit., 99 ss.; ID., Istituzioni, cit., 378, nt. 7.
20 X. XXXXX, Imputabilità, cit., 99 ss. e 105 ss.; ID., Istituzioni, cit., 378 e 386.
Quel che è certo è che i giuristi impiegarono il criterio dell’interesse per la prima volta in relazione ai contratti di comodato e deposito21, i quali costituiscono pertanto un punto di osservazione privilegiato per condurre un’indagine sull’utilitas.
3. Correlazione tra utilità e gratuità.
La circostanza per cui la menzione dell’utilitas faccia il suo ingresso per la prima volta in relazione ai contratti di comodato e deposito, entrambi gratuiti, ha portato la dottrina a ravvisare un legame tra l’utilità e la gratuità.
In particolare Xxxxxx, posta una correlazione tra unilateralità e gratuità da un lato e sinallagmaticità e onerosità dall’altro, sosteneva che la ‘theorié de l’utilité’ fino al III secolo d.C. valesse esclusivamente per i contratti gratuiti e che soltanto in un momento successivo, posteriore alla Collatio legum Mosaicarum et Romanarum, essa fu estesa ai contratti sinallagmatici (e onerosi), ai quali tuttavia mal si adattava. L’applicazione del criterio dell’utilitas contrahentium, infatti, dovrebbe comportare un sistema di responsabilità contrattuale organizzato in base a uno schema ternario, secondo cui: se l’obligatio sia sorta nell’esclusivo interesse del creditore, il debitore risponderà soltanto per dolo; se sia sorta nell’interesse di entrambe le parti, il debitore sarà tenuto a rispondere sia per colpa che per dolo; infine, se l’obbligazione sia sorta nell’esclusivo interesse del debitore, il medesimo sarà chiamato a rispondere secondo il più rigoroso parametro della custodia. Il sistema della responsabilità accolto dai compilatori giustinianei, invece, è a base binaria: dolo, nei contratti ove il vantaggio è tutto del creditore; colpa, nei contratti in cui il vantaggio è del debitore e in quelli a titolo oneroso22.
21 Lo attestano le fonti: Gai 3.206; D. 13.6.18 pr.; D. 44.7.1.5. Inoltre, sia D. 13.6.5.2 che Coll.
10.2.1 muovono dalla comparazione tra deposito e comodato.
22 X. XXXXXX, Gratuité, cit., 325 ss. Si vedano, inoltre, sul punto X. XXXXXXX-XXXX, La società in diritto romano, Napoli, 1965, 189 s.; X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 310 ss. Torna sulla problematica, più di recente, X. XXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 229 ss. Sul collegamento tra utilità e gratuità si veda, da ultimo, X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 34 ss.
Una conferma inequivocabile del collegamento tra l’utilità e la gratuità, del resto, proviene dalle stesse fonti, che attestano come di utilitas si discorra proprio in relazione ai contratti gratuiti.
Così in Coll. 10.2.1-3, testo fondamentale in materia, come vedremo23, l’ambito di operatività dell’utilitas risulta essere individuato anzitutto con riferimento ai contratti (a titolo gratuito) di comodato e deposito.
Xxxxxx, la gratuità della prestazione di uno dei contraenti determina quale conseguenza che, unitamente all’applicazione del canone dell’utilitas contrahentium e per effetto della stessa, il quantum di responsabilità addossato al debitore possa subire un sensibile alleggerimento. Emblematico a tale riguardo risulta essere il caso del depositario, descritto in Gai 3.20724: la sua responsabilità è circoscritta al dolo perché il medesimo presta gratuitamente il suo servizio, non ricevendo alcun interesse dal contratto.
Viceversa, nel comodato, l’operatività dell’utilitas contrahentium comporta un aggravamento della responsabilità del comodatario, che è chiamato a rispondere per custodia in ragione del vantaggio che ricava dall’uso gratuito della cosa (Gai 3.206)25.
4. Correlazione tra utilità e buona fede.
Si è osservato in dottrina che i rapporti (non solo i contratti) di cui le fonti conservano una traccia dell’applicazione dell’utilitas rientrano nel novero dei iudicia bonae fidei26.
In particolare, i rapporti obbligatori elencati in Coll. 10.2.1-3 e in D. 13.6.5.2- 3, dei quali ci si occuperà nel seguito27 in quanto fonti di fondamentale rilevanza per la nostra indagine, danno tutti luogo a giudizi di buona fede; inoltre, D.
23 Si xxxx xxxxx, xxx. XXX, §§ 0 xx.
00 Xx cui si veda infra, cap. IV, § 1.1.
25 Su cui si veda infra, cap. IV, § 1.
26 Così X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 283 s. Per un elenco delle figure giuridiche coinvolte si veda P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 175 s.
27 Si xxxx, xxxxxxxxxxxxxxx, xxxxx, xxx. XXX, §§ 0 xx. x §§ 0 ss.
30.108.1228 stabilisce un collegamento diretto tra contractus bonae fidei e utilitas. Ci si è chiesti, pertanto, se l’utilitas sia un criterio formatosi a proposito dei bonae fidei iudicia.
Ebbene, la questione riguardante il collegamento del criterio dell’utilitas contrahentium ai bonae fidei iudicia, in relazione ai quali esso avrebbe trovato, secondo alcuni, esclusiva applicazione, è ampiamente dibattuta in dottrina29. Si tratta di un problema molto vasto, che coinvolge il rapporto stesso tra bona fides, utilitas e regime della responsabilità, e che porta a discutere su altre questioni della medesima ampiezza. Si pensi alla problematica concernente il ruolo giocato dal principio dell’utilitas nell’ambito della disciplina classica della responsabilità: posto che il regime della responsabilità deriva dall’evoluzione sul piano processuale delle formule (in ius e in factum) relative ai singoli rapporti, ci si è chiesti se e in che modo l’utilitas, che ha riguardo all’interesse sostanziale delle parti al contratto, possa avervi inciso.
A tale proposito è stato osservato che l’ordinamento dei classici «sembra decisamente influenzato dalla struttura della formula relativa ai singoli rapporti: per tal modo il criterio della utilitas contrahentium, se effettivamente vi ha avuto parte, non può non essere annoverato tra i fattori mediati di graduazione, fra quelli cioè che avrebbero potuto influire sulla impostazione della formula relativa ai singoli rapporti presi in considerazione»30.
Sulla scorta di tali osservazioni si è giunti ad affermare la presenza di una concorrenza di principi: quello della buona fede e quello dell’utilitas
28 Su cui infra, cap. III, §§ 7 s.
29 Ravvisano un collegamento tra utilitas e giudizi di buona fede F. PASTORI, Commodato, cit., 286, nt. 35; X. XX XXXXXXXX, A proposito della pretesa contrapposizione concettuale tra ‘dolus’ e ‘bona fides’, cit., 146; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 135 ss.; X. XXXXXXXX, Il socio d’opera, cit., 227; ID., ‘Utilitas contrahentium’, cit., 283 ss.; X. XXXXX, Spunti, cit., 454 ss. In senso contrario, X. XXXXX, Sull’età dei giudizii di buona fede, cit., 76 ss.; X. XXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 250, la quale ritiene che bona fides e utilitas siano elementi collegati, ma autonomi. Secondo X. XXXXXX, Il sistema romano, cit., 259, quello dell’utilitas è un criterio che talvolta viene collegato ai giudizi di buona fede, sebbene la sua applicazione travalichi sia il loro ambito, sia il campo strettamente contrattuale.
30 Sul punto F.M. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattuale nel sistema della grande compilazione, I, Bari, 1981, 64, nt. 3.
contrahentium. Ma il primo, connesso allo schema formulare, si modifica in dipendenza del secondo essendone, al contempo, motivo di emersione31.
A questo riguardo risultano essere particolarmente significative le considerazioni di De Xxxxxxxx, il quale, in riferimento alla responsabilità del depositario, osserva: «non è dunque il contenuto della fides bona a imporre, in generale, la limitazione al dolo della responsabilità del depositario, ma l’utilitas contrahentium che caratterizza il rapporto quale principio vivo e operante, piuttosto che mera giustificazione formale del regime della responsabilità: tant’è che, quando si modifica il grado di utilità che l’una e l’altra parte possono reciprocamente ottenere dal negozio, la fides bona permette e addirittura esige un diverso criterio valutativo dell’inadempimento»32.
È stato precisato, ulteriormente, che se è pur vero che la buona fede sembra ispirare la regola dell’utilitas, comunque «a fondamento della necessità di fissare una retta proporzione fra l’onere e l’utile sotto il profilo economico nell’ambito della responsabilità contrattuale», vi sarebbe, «in una visione più generale, il concetto di aequitas»33.
Al contrario vi è chi ritiene, muovendo dal presupposto per cui bona fides e utilitas siano elementi pur sempre collegati ma autonomi, che l’utilitas non rappresenti «una concretizzazione della buona fede, né la reinterpretazione in chiave sostanziale di un concetto proprio della tecnica formulare»34. Si tratterebbe semplicemente di un criterio che talvolta i giuristi applicano anche nell’ambito dei giudizi di buona fede.
Vi è anche chi sostiene, in maniera piuttosto netta, che il criterio dell’utilitas contrahentium sarebbe stato elaborato in età postclassica, in netta opposizione con l’antico principio della buona fede35.
31 X. XXXXX, Spunti, cit., 455.
00 X. XX XXXXXXXX, A proposito della pretesa contrapposizione concettuale tra ‘dolus’ e ‘bona fides’, cit., 165.
33 X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 285.
34 X. XXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 250 s.
35 Cfr. X. XXXXXXX-XXXX, La società, cit., 189, secondo il quale tale operazione avrebbe avuto la finalità di estendere il concetto di colpa, unitamente al dolo, al maggior numero di contratti.
5. L’incidenza dell’‘utilitas contrahentium’ sul regime della responsabilità contrattuale.
Le considerazioni sinora svolte mostrano come la giurisprudenza non fosse insensibile di fronte all’evidente differenza di posizioni esistente tra il debitore che non traeva vantaggio dal rapporto obbligatorio e quello che, viceversa, ne traeva l’intero commodum. Il che risulta confermato dal fatto che già nelle Istituzioni di Xxxx, ad esempio, la responsabilità per custodia del comodatario e di alcuni conduttori d’opera era ricollegata al vantaggio che questi traevano dal contratto36.
È stato di recente sottolineato, in maniera significativa, come il canone dell’utilitas contrahentium, per poter sfociare nell’individuazione del criterio di imputazione della responsabilità da applicare al caso concreto, imponesse di considerare la vicenda contrattuale nella sua globalità. «Si tratta, cioè, di un canone che, tenendo a esempio il deposito o il comodato, non consentiva di limitare l’indagine a quello che, in presunta consonanza con il linguaggio dei prudentes, viene tuttora chiamato l’elemento obbligante, ossia alla consegna della cosa, ma costringeva ad allargare l’orizzonte dell’analisi, così da comprendervi l’accordo che vivificava la consegna stessa, dandole un senso. Se, rispetto al deposito, in base al principio dell’utilitas contrahentium si può sostenere, come sostenevano i classici, che il depositario rispondeva per dolo perché non riceveva alcun vantaggio, ciò implica che si guardava ben oltre l’elemento obbligante, fino a raggiungere l’accordo, idoneo a illuminare la ragione della consegna della cosa, fatta appunto dal depositante al depositario perché costui la custodisse gratuitamente e temporaneamente nell’interesse del primo. E analogamente è a dirsi per il comodato, essendo l’accordo che sorreggeva la consegna della cosa dal comodante al comodatario a spiegare il suo perché e a giustificare, sulla scorta del principio dell’utilitas contrahentium, la responsabilità per custodia del comodatario»37.
36 Si vedano Gai 3.205-206, su cui infra, cap. IV, § 1.
37 Così X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 37.
La dottrina, peraltro, è pressoché unanime nel riconoscere la sussistenza di un legame tra l’utilitas e il regime della responsabilità. Come si vedrà, i prudentes, grazie al carattere flessibile della buona fede, capace di definire di volta in volta in ciascun rapporto la struttura negoziale e di configurare la responsabilità dei contraenti38, potevano graduare diversamente la misura della responsabilità delle parti, pur in relazione al medesimo tipo contrattuale, qualora il criterio dell’utilitas giustificasse la diversa soluzione. Rimane, tuttavia, oggetto di dibattito la questione relativa al momento in cui l’utilitas – criterio «concreto ed elastico»39, collegato ai giudizi di buona fede – sia divenuta regola generale di valutazione della responsabilità, che una parte della dottrina fa coincidere con il superamento del processo formulare40.
In particolare, si sottolinea che nei singoli contratti la responsabilità si sarebbe venuta fissando in misura varia a seconda delle circostanze del caso e che, solo in un secondo momento, i giuristi avrebbero tentato di ricondurre le diverse ipotesi sotto un unico principio, quello appunto dell’utilitas contrahentium, attraverso una generalizzazione però imperfetta41, alludendo con ciò in primis al già più volte menzionato Xxxx. 10.2.1-342.
Xxxxxx, se alla classificazione proposta dalla Collatio si è giunti con ogni probabilità, come vedremo, attraverso un’attenta considerazione delle fattispecie classiche rispetto alle quali il rapporto dedotto in giudizio era valutato secondo il parametro della bona fides, non mi pare verosimile che il criterio dell’utilitas contrahentium rappresentasse solo una giustificazione a posteriori di un regime di
38 Si veda, per tutti, X. XXXXXX, ‘Fides bona’. Studi sulla buona fede, in Pubbl. Univ. di Pisa, LVIII, 1975, 12 ss. Sul ruolo svolto dalla fides bona nell’elaborazione giurisprudenziale dei criteri di responsabilità per inadempimento si veda X. XXXXXXXX, ‘Fides bona’ e ‘societas’: una riflessione, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di X. Xxxxxxx (Padova - Venezia - Treviso, 14-15-16 giugno 2001), a cura di X. Xxxxxxxx, III, Padova, 2003, 373 e nt. 44.
39 X. XXXXXX, Il sistema romano, cit., 259.
40 Così F. PASTORI, Commodato, cit., 286, nt. 35, e X. XXXXX, Spunti, cit., 456 s. Contra P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 139 ss., secondo cui i compilatori giustinianei non mostrano interesse per il criterio dell’utilitas, non più ricordato nel testo fondamentale D. 50.17.23 (si veda infra, cap. III,
§ 8).
41 X. XXXXXXX, Contributi alla storia del contratto di deposito nel diritto romano, in Scritti giuridici, II, Studii sul diritto romano delle obbligazioni, a cura di E. Albertario, Milano, 1922, 96.
42 Sul quale si veda infra, cap. III, §§ 1 ss.
responsabilità già costituitosi precedentemente e in maniera indipendente, né, pertanto, che il medesimo si sia affermato soltanto in concomitanza con il superamento del processo per formulas e la correlativa prevalenza della cognitio extra ordinem.
CAPITOLO SECONDO
I CONTRATTI REALI GRATUITI NEL DIRITTO ROMANO CLASSICO: COMODATO
E DEPOSITO
SOMMARIO: 1. I contratti gratuiti nel diritto romano classico. – 2. Il comodato. – 3. Il deposito. – 4. Caratteristiche comuni ai contratti di comodato e deposito: la realità. – 4.1. Segue: la rilevanza della consegna. – 5. Segue: la gratuità. – 6. Segue: la bilateralità imperfetta. – 7. Segue: la duplicità formulare.
1. I contratti gratuiti nel diritto romano classico.
Come già evidenziato, l’ambito entro il quale si sviluppa la presente ricerca è essenzialmente quello dei contratti (gratuiti e reali) di comodato e deposito, essendo proprio questo il campo nel quale l’operatività del criterio dell’utilitas contrahentium si manifesta nella maniera più chiara.
Ebbene, si intende portare sin d’ora l’attenzione sull’elemento della gratuità in quanto, come vedremo, la circostanza per cui la menzione dell’utilitas faccia il suo ingresso per la prima volta in relazione ai contratti di comodato e deposito, entrambi gratuiti, ha indotto una parte della dottrina a ravvisare un legame tra l’utilità e la gratuità1.
Per tale ragione, pare opportuno delineare anzitutto un quadro di sintesi dei contratti gratuiti nel diritto romano classico, per poi soffermarsi ad esaminare comodato e deposito, nei loro tratti essenziali, al fine di meglio circoscrivere i confini entro i quali ci si muoverà.
1 X. XXXXXX, Gratuité, cit., 325 ss.
Premesso che è ancora oggi viva la discussione intorno al significato attribuito dai prudentes al termine contractus2, secondo l’insegnamento della moderna romanistica è possibile distinguere, sin dall’epoca del principato, tra contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito: nei primi, entrambe le parti si procurano un vantaggio mediante equivalente; nei secondi, invece, una sola delle parti risulta essere avvantaggiata senza equivalente3. Queste definizioni ricalcano il dettato dell’art. 1101 del codice civile del 1865 il quale, con una formulazione molto semplice, prevedeva che erano a titolo oneroso quei contratti nei quali ciascuna delle parti intendeva procurarsi un vantaggio mediante equivalente; erano a titolo gratuito quelli in cui una delle parti voleva procurare un vantaggio all’altra senza equivalente. Nel codice del 1942, invece, manca una definizione di queste due categorie, ma nonostante questo la distinzione tra contratti onerosi e gratuiti rimane tuttora fondamentale, se si consideri che la responsabilità del mandatario (art. 1710 c.c.) o del depositario (art. 1768 c.c.) per le obbligazioni derivanti dall’incarico assunto è attenuata se il contratto (di mandato o deposito) è a titolo gratuito4.
La contrapposizione fra negozi – categoria che, come noto, è comprensiva anche dei contratti – a titolo oneroso e a titolo gratuito è generalmente accolta dalla manualistica5, pur nella consapevolezza che le diverse classificazioni che si usano comunemente in materia contrattuale sono moderne, sebbene traggano origine dalla riflessione compiuta dalla dottrina intermedia e pandettistica6. Dunque, nei negozi giuridici a titolo oneroso ciascuna parte consegue un
2 Si vedano, per tutti, i contributi raccolti in AA.VV., Le dottrine del contratto nella giurisprudenza romana, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2006, nonché più di recente X. XXXXXXX, L’idea di contratto nel pensiero giuridico romano, in La nozione di contratto nella prospettiva storico-comparatistica. Materiali didattici, a cura di X. Xxxxxx, Padova, 2010, 1 ss.
3 Così X. XXXXXX, Il sistema romano, cit., 233.
4 Per un approfondimento sulla nozione e sulle differenti classificazioni di contratto nel diritto vigente si veda X. XXXXXX, La nozione di contratto nel codice civile italiano, in La nozione di contratto, cit., 167 ss.
5 A. BURDESE, Manuale, cit., 185; X. XXXXXXX, Istituzioni, cit., 127.
6 In tal senso X. XXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 537. Si tenga presente che, come avverte X. XXXXX, Metodo casistico e sistema prudenziale. Ricerche, Padova, 2006, 36, spesso «le concettualizzazioni e le astrazioni di tipo sistematico […] sono state riproiettate all’indietro sulle stesse fonti romane, oscurandone la comprensione». Tuttavia, «il rifiuto del modello pandettistico non significa il rifiuto della concettualizzazione giuridica, anche se di diverso tipo».
vantaggio dietro corrispettivo; in quelli a titolo gratuito, nei quali si fanno rientrare anche gli atti di liberalità, una parte (o il destinatario) consegue un vantaggio senza corrispettivo.
Si è evidenziato come tutti i contratti bilaterali siano a titolo oneroso, mentre i contratti unilaterali e quelli bilaterali imperfetti siano, di regola, a titolo gratuito. È doverosa, tuttavia, la precisazione che la distinzione tra contratti a titolo oneroso e gratuito può applicarsi ai contratti causali, ma non a quelli astratti, come la stipulatio, sebbene quest’ultima sia un contratto unilaterale. In relazione ai contratti astratti, infatti, è la conventio sottostante a poter essere definita a titolo oneroso o gratuito7.
Ciò posto, rientrano tra i contratti essenzialmente gratuiti, accanto al comodato e al deposito – per la cui trattazione si rinvia ai paragrafi seguenti – il mutuo e il mandato.
Il mutuo condivide con il comodato e il deposito il carattere della realità, perfezionandosi con la datio della res8. Esso può essere definito come il contratto reale e unilaterale con il quale una parte (mutuante) consegna una somma di denaro o altre cose fungibili all’altra (mutuatario), che si impegna a restituire il cd. tantundem eiusdem generis et qualitatis9. Il debitore cioè era tenuto a restituire l’equivalente di quanto ricevuto, senza che su di lui gravasse l’obbligo di pagare gli interessi (usurae): di qui la gratuità del contratto. Il mutuante/creditore avrebbe potuto esigere gli interessi solo attraverso la conclusione di un’apposita stipulatio usurarum con il mutuatario/debitore, con la quale quest’ultimo contestualmente al mutuo prometteva le usurae pretese dal creditore. Non avrebbe invece esplicato alcuna efficacia la semplice pattuizione di interessi, posto che i patti aggiunti ai
7 X. XXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 539.
8 Il mutuo è qualificato come reale in Gai 3.90-91, nonché in D. 44.7.1.2-6, in cui viene menzionato tra le obligationes re contractae insieme al comodato, al deposito e al pegno.
9 Cfr. Gai 3.90: re contrahitur obligatio veluti mutui datione; mutui autem datio proprie in his rebus contingit, quae res pondere, numero, mensura constant, qualis est pecunia numerata, vinum, oleum, frumentum, aes, argentum, aurum; quas res aut numerando aut metiendo aut pendendo in hoc damus, ut accipientium fiant et quandoque nobis non eaedem, sed aliae eiusdem naturae reddantur. Unde etiam mutuum appellatum est, quia quod ita tibi a me datum est, ex meo tuum fit;
D. 12.1.2 pr. (Xxxx 28 ad ed.): mutuum damus recepturi non eandem speciem quam dedimus (alioquin commodatum erit aut depositum), sed idem genus: nam si aliud genus, veluti ut pro tritico vinum recipiamus, non erit mutuum.
negozi dai quali nascevano azioni di stretto diritto come il mutuo – nel quale era concessa al mutuante la condictio per la ripetizione del dato – erano tutelati solo in via di exceptio, mentre nel nostro caso il creditore, per esigere gli interessi, avrebbe avuto bisogno di un’azione. Pertanto, il contratto di mutuo di per sé era gratuito, e tale gratuità dipendeva da ragioni tecniche10.
Il prestito poteva configurarsi come oneroso sul piano giuridico solo con riguardo a una specie particolare di mutuo: il fenus nauticum o pecunia traiecticia. Si tratta di un prestito marittimo nel quale il mutuatario era tenuto anche al pagamento degli interessi, nella misura concordata con il mutuante e generalmente piuttosto elevata, in considerazione del fatto che il rischio del perimento, durante il viaggio, del denaro dato in prestito era a carico del mutuante, in deroga al principio res perit domino11.
Il mandato, contratto invece consensuale12, presenta, similmente al comodato e al deposito, il requisito della bilateralità imperfetta13. Si tratta del contratto mediante il quale un soggetto (mandante) conferisce un incarico – tale incarico può essere di svariata natura, di solito giuridica, consistendo per lo più nella conclusione di negozi giuridici o di atti processuali, ma anche di fatto, potendo consistere nella prestazione di attività di natura intellettuale, la quale diviene remunerabile solo nella tarda età classica – ad un altro soggetto (mandatario), che si impegna ad eseguirlo gratuitamente, salvo aver diritto verso il mandante al rimborso delle spese e dei danni incontrati nella gestione14. Dal mandato non nasce, per il mandante, l’obbligo di retribuire il mandatario per l’incarico svolto: caratteristica essenziale del mandato infatti è la sua gratuità15. Nasce, invece, in
10 Si vedano sul mutuo, nella manualistica, X. XXXXXXX, Manuale, cit., 426 ss., e X. XXXXXXX, Istituzioni, cit., 437 ss.
11 Sul fenus nauticum si vedano D. 22.2.1; D. 22.2.5.1; D. 22.2.6-7.
12 Come risulta da Gai 3.135: consensu fiunt obligationes in emptionibus et venditionibus, locationibus conductionibus, societatibus, mandatis.
13 Non sono mancati, tuttavia, autori che hanno ritenuto di classificare il mandato tra i contratti bilaterali perfetti. Sul dibattito intorno alla configurazione del mandato quale contratto perfettamente o imperfettamente bilaterale si veda, da ultimo, X. XXXXX, Il mandato romano tra bilateralità perfetta e imperfetta, in Scambio e gratuità, cit., 331 ss., che propende per la tesi che riconosce al mandato la natura di contratto bilaterale perfetto.
14 X. XXXXXXX, Manuale, cit., 476 ss., e X. XXXXXXX, Istituzioni, cit., 476 ss.
15 Cfr. Gai 3.162: in summa sciendum est, quotiens faciendum aliquid gratis dederim, quo nomine si mercedem statuissem, locatio et conductio contraheretur, mandati esse actionem, veluti
capo al mandante, oltre all’obbligo di assumere nella propria sfera giuridica le conseguenze della gestione del mandatario (che abbia agito nei limiti dell’incarico ricevuto), quello di rifondergli ogni spesa o danno incontrati nell’esecuzione dell’incarico16.
Non rientra tra i contratti gratuiti del diritto romano classico la donazione, non essendo essa conosciuta nell’esperienza romana come contratto tipico, quale risulta attualmente definita dall’art. 769 c.c., che la riconduce alla più generale categoria del contratto. La causa donandi, ossia l’intento pratico del disponente volto ad attuare un’attribuzione senza corrispettivo – che veniva effettuata tramite un negozio astratto, con efficacia reale (mancipatio o in iure cessio) od obbligatoria (stipulatio) o a causa variabile (traditio) –, infatti, non integra una funzione socio-economica protetta in quanto tale17. Pertanto, come è stato sottolineato, la conventio alla base di una stipulatio sorretta da una causa donandi si colloca entro il campo della gratuità, ma non assurge alla dignità di contratto18.
Inoltre, è da escludere che i prudentes ravvisassero la presenza della causa donandi nei contratti gratuiti sopra menzionati, tutti dotati di una causa propria. La causa donandi poteva invero ricorrere solo se il negozio utilizzato per la sua realizzazione avesse dato luogo a un’attribuzione del diritto, nei confronti del donatario, «definitiva e non collegata funzionalmente ad un corrispettivo»19. Ebbene, un’attribuzione di questo genere non è ravvisabile nei contratti di mutuo, comodato, deposito e mandato, mancando in ogni caso del requisito della definitività.
2. Il comodato.
si fulloni polienda curandave vestimenta dederim aut sarcinatori sarcienda; nonché D. 17.1.1.4 (Xxxx. 32 ad ed.): mandatum nisi gratuitum nullum est: nam originem ex officio atque amicitia trahit, contrarium ergo est officio merces: interveniente enim pecunia res ad locationem et conductionem potius respicit.
16 D. 17.1.12.9; D. 17.1.26.7; D. 17.1.27.4.
17 X. XXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 772 ss.
18 Così X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 33.
19 X. XXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 772 ss.
Il comodato viene comunemente definito come il contratto con il quale un soggetto (comodante) trasferisce ad un altro (comodatario) la detenzione di una cosa infungibile e di regola inconsumabile (fa eccezione il cd. comodato ad pompam vel ostentationem, avente per oggetto beni consumabili), affinché il comodatario usi gratuitamente la cosa, con l’obbligo di restituirla.
Perfezionandosi con la consegna della cosa, si suole includere il comodato nell’ambito dei contratti reali, come del resto fanno esplicitamente, sulle orme delle Res cottidianae, le Istituzioni di Giustiniano20.
Esso, inoltre, è classificato entro la categoria – delineata, tuttavia, soltanto dalla dottrina moderna – dei contratti bilaterali imperfetti, poiché da esso sorgono normalmente obbligazioni a carico del comodatario. Sul comodante possono gravare solo obblighi eventuali diretti al risarcimento dei danni causati al comodatario dalla cosa, o al rimborso delle spese (straordinarie) che il comodatario abbia dovuto sostenere per la conservazione della cosa stessa21.
L’oggetto del contratto è costituito, per lo più, da cose mobili, compresi schiavi e animali, ma si ammise che potessero darsi in comodato anche gli immobili, e così è nel diritto giustinianeo22.
La gratuità è elemento essenziale del comodato, con la conseguenza che, ove fosse pattuito un corrispettivo per l’uso, si avrebbe il diverso contratto di locazione-conduzione, nel caso in cui la pattuizione abbia per oggetto una somma di denaro, ovvero un contratto innominato, qualora sia previsto un altro corrispettivo23.
20 I. 3.14.2; cfr. D. 44.7.1.3-4.
21 Cfr. Coll. 10.2.5: […] is cui res commodata est inprobe cibariorum exactionem intendit. Impensas tamen necessarias iure persequitur, quas forte in aegrum vel alias laborantem inpenderit; D. 13.6.18.2 (Gai ad. ed. prov.): possunt iustae causae intervenire, ex quibus cum eo qui commodasset agi deberet: veluti de impensis in valetudinem servi factis quaeve post fugam requirendi reducendique eius causa factae essent: nam cibariorum impensae naturali scilicet ratione ad eum pertinent, qui utendum accepisset. Sed et id, quod de impensis valetudinis aut fugae xxxxxxx, ad maiores impensas pertinere debet: modica enim impendia verius est, ut sicuti cibariorum ad eundem pertineant.
22 D. 13.6.1.1.
23 I. 3.14.2; D. 13.6.5.12 (Ulp. 28 ad ed.): xxx xxxx xxxx, ut creditori tuo pignori dares: dedisti: non repigneras, ut xxxx xxxxxx. Labeo ait commodati actionem locum habere, quod ego puto verum esse, nisi merces intervenit: tunc enim vel in factum vel ex locato conducto agendum erit.
Il comodatario è tenuto a restituire la cosa quando ne abbia cessato l’uso o al termine stabilito contrattualmente24, nelle stesse condizioni in cui la stessa gli era stata consegnata25. A tale riguardo, emerge dalle fonti26 ed è pacifico in dottrina27 che il comodatario non può fare della cosa un uso diverso da quello in vista del quale la medesima gli venne concessa, altrimenti commetterebbe furto.
L’obbligo del comodatario è sanzionato, a partire dalla tarda Repubblica, dall’actio commodati, azione pretoria in factum28, diretta alla restituzione della cosa comodata e di quanto ad essa inerente29. In età classica, si affianca all’azione pretoria un’actio commodati civile, la quale è inclusa, nel diritto giustinianeo, tra le azioni di buona fede30. Nel diritto classico, dunque, l’azione presentava il fenomeno della duplicità formulare – sul quale ci si soffermerà nel seguito31 –, essendo proposte nell’editto tanto una formula in factum, quanto una formula in ius di buona fede, come del resto avveniva anche per il deposito32.
24 I. 3.14.2; cfr. D. 44.7.1.3.
25 D. 13.6.3.1.
26 Gai 3.196: […] et si quis utendam rem acceperit xxxxxx in alium usum transtulerit, furti obligatur, veluti si quis argentum utendum acceperit, quasi amicos ad cenam invitaturus, et id peregre secum tulerit, aut si quis equum gestandi gratia commodatum xxxxxxx aliquo duxerit, quod veteres scripserunt de eo, qui in aciem perduxisset; si vedano anche D. 13.6.5.8 e D. 47.2.77 pr.
27 Si vedano, per limitarci alla manualistica, X. XXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 548; A. BURDESE, Manuale, cit., 436; P. VOCI, Istituzioni di diritto romano, Milano, 2004, 436, nt. 6; X. XXXXXXX, Istituzioni, cit., 446.
28 Cfr. D. 13.6.1 pr. (Ulp. 28 ad ed.): ait praetor: quod quis commodasse dicetur, de eo iudicium dabo.
29 Cfr. D. 13.6.5.9 (Ulp. 28 ad ed.): usque adeo autem diligentia in re commodata praestanda est, ut etiam in ea, quae sequitur rem commodatam, praestari debeat: ut puta equam tibi commodavi, quam pullus comitabatur: etiam pulli te custodiam praestare debere veteres responderunt.
30 I. 4.6.28; D. 13.6.3.2.
31 Si veda infra, § 7.
32 Gai 4.47, invero, riporta il testo delle due formule del deposito, limitandosi, quanto al comodato, a sancire che esse sono simili a quelle del deposito: illa enim formula, quae ita concepta est: iudex esto. Quod A. Xxxxxxx apud N. Negidium mensam argenteam deposuit, qua de re agitur, quidquid ob eam rem N. Negidium A. Agerio dare facere oportet ex fide bona, eius iudex
N. Negidium X. Xxxxxx condemnato [nr]; si non paret absolvito, in ius concepta est. Ait illa formula, quae ita concepta est: iudex esto. Si paret A. Agerium apud N. Negidium mensam argenteam deposuisse eamque dolo malo N. Negidii A. Agerio redditam non esse, quanti ea res erit, tantam pecuniam iudex N. Negidium A. Agerio condemnato; si non paret absolvito, in factum concepta est. Similes etiam commodati formulae sunt. Le formule del comodato sono state dunque ricostruite dagli studiosi sulla base di quelle del deposito, essendo queste ultime le sole delle quali ci è giunta testimonianza. In particolare, il tenore della formula in ius doveva essere il seguente: iudex esto. Quod X. Xxxxxxx X. Xxxxxxx rem qua de agitur commodavit, qua de re agitur, quidquid ob eam rem N. Negidium A. Agerio dare facere oportet ex fide bona, eius iudex N. Negidium A. Agerio condemnato [nr]; si non paret absolvito. Quanto alla formula in factum, eliminando
La responsabilità del comodatario è di regola commisurata alla colpa33 e alla custodia34, in vista dell’utilità che egli trae dal contratto. Si noti che il parametro della colpa, che viene qui in considerazione, non coincide con la diligenza del bonus pater familias, ma con una (più grave) exacta o exactissima diligentia custodiendae rei35, ovvero una diligentia diligentissimi patris familias36, la quale incontra il solo limite del caso fortuito e della forza maggiore37. Qualora, invece, il contratto sia concluso nell’interesse del comodante, il comodatario risponde solo nei limiti del dolo38.
È da escludere, almeno secondo l’insegnamento istituzionale, che il comodatario, in età classica, soggiacesse all’obbligo di custodia: egli infatti non è tenuto, come il depositario, a prestare un’attività materiale di custodia, ma è ‘responsabile’ per custodia, ossia risponde del perimento della cosa con i soli limiti del caso fortuito e della forza maggiore. E ciò in ragione del fatto che il contratto è concluso esclusivamente nella sua utilitas. Tale costruzione della
l’inciso dolo malo e sostituendo commodasse a deposuisse, essa è stata così ricostruita: iudex esto. Si paret A. Agerium X. Xxxxxxx rem qua de agitur commodasse eamque A. Agerio redditam non esse, quanti ea res erit, tantam pecuniam iudex N. Negidium A. Agerio condemnato; si non paret absolvito. Per la ricostruzione della formula in ius del comodato, si vedano X. XXXXX, Das ‘Edictum perpetuum’. Ein Versuch zu seiner Wiederherstellung!, Leipzig, 1927, 253, e X. XXXXXXXXX, Le formule del processo privato romano. Per la didattica delle Istituzioni di diritto romano", Padova, 1999, 52. Per la ricostruzione della formula in factum, X. XXXXX, Das ‘Edictum’, cit., 252; X. XXXXXXXXX, Le formule, cit., 66.
33 D. 13.6.5.3 (Ulp. 28 ad ed.): commodatum autem plerumque solam utilitatem continet eius cui commodatur, et ideo verior est Xxxxxx Xxxxx sententia existimantis et culpam praestandam et diligentiam et, si forte res aestimata data sit, omne periculum praestandum ab eo, qui aestimationem se praestaturum recepit.
34 Gai 3.205-206: item si fullo polienda curandave aut sarcinator sarcienda vestimenta mercede certa acceperit eaque furto amiserit, ipse furti habet actionem, non dominus, quia domini nihil interest ea non periisse, cum iudicio locati a fullone aut sarcinatore suum consequi possit […] 206. Quae de fullone aut sarcinatore xxxxxxx, eadem transferemus et ad eum, cui rem commodavimus. Nam ut illi mercedem capiendo custodiam praestant, ita hic quoque utendi commodum percipiendo similiter necesse habet custodiam praestare.
35 I. 3.14.2; D. 44.7.1.4.
36 D. 13.6.18 pr. (Gai 9 ad ed. prov.): in rebus commodatis talis diligentia praestanda est, qualem quisque diligentissimus pater familias suis rebus adhibet, ita ut tantum eos casus non praestet, quibus resisti non possit, veluti mortes servorum quae sine dolo et culpa eius accidunt, latronum hostiumve incursus, piratarum insidias, naufragium, incendium, fugas servorum qui custodiri non solent […].
37 I. 3.14.2; D. 13.6.5.3-4; D. 13.6.18 pr.; D. 44.7.1.4.
38 Le fattispecie nelle quali la responsabilità del comodatario è eccezionalmente limitata al dolo sono prospettate in D. 13.6.5.10 (Ulp. 28 ad ed.): interdum plane dolum solum in re commodata qui rogavit praestabit, ut puta si quis ita convenit: vel si sua dumtaxat causa commodavit, sponsae forte suae vel uxori, quo honestius culta ad se deduceretur, vel si quis ludos edens praetor scaenicis commodavit, vel ipsi praetori quis ultro commodavit.
custodia come responsabilità senza colpa – cui si contrappone quella della custodia come diligentia in custodiendo39 – emergerebbe chiaramente in Gai 3.205-20640.
Gli eventuali obblighi del comodante sono sanzionati da actio commodati contraria, con la quale il comodatario può ottenere sia il rimborso delle spese necessarie, sia il risarcimento dei danni causatigli dalla cosa comodata41.
Ulteriori rimedi concessi al comodatario per far valere le proprie ragioni sono: lo ius ritentionis, in virtù del quale il comodatario, convenuto per la restituzione della cosa, può trattenerla fino a quando non sia stato rimborsato delle spese necessarie incontrate per la conservazione della stessa42; e la compensazione – la quale in diritto classico era peculiare ai giudizi di buona fede43 –, che il medesimo può opporre, ove sia convenuto, quando abbia diritto a un indennizzo. Codesti rimedi hanno una sfera di applicazione più limitata rispetto all’actio commodati contraria, presupponendo entrambi che il comodatario sia convenuto in giudizio.
3. Il deposito.
Il deposito è un contratto reale, come il comodato, che si conclude tramite consegna di una cosa mobile da un soggetto (deponente) ad un altro soggetto (depositario), con assunzione da parte di quest’ultimo dell’obbligo di custodire gratuitamente la cosa per restituirla al deponente a richiesta o entro un dato termine.
Con il termine depositum si indica tanto il contratto quanto l’oggetto del medesimo, ossia la cosa depositata, cui si riferisce la stessa definizione ulpianea
39 Reputa, tuttavia, C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 70, che le due costruzioni della custodia come responsabilità senza colpa e come diligentia in custodiendo, sebbene profondamente diverse, non corrispondano a due regimi pratici diversi. Si tratta di due costruzioni dello stesso criterio sostanziale di responsabilità.
40 La problematica verrà affrontata infra, cap. IV, §§ 1 ss.
41 D. 13.6.5.8; D. 13.6.17.2-4; D. 13.6.21 pr.; D. 13.6.22.
42 D. 47.2.15.2; D. 47.2.60.
43 L’elenco dei giudizi di buona fede compare nelle Istituzioni (Gai 4.61-63), laddove Gaio tratta appunto della compensazione.
contenuta in D. 16.3.1 pr.44. L’atto della consegna per custodia è indicato, oltre che con il verbo deponere, con commendare45 o con custodiendum o servandum dare46.
La consegna è traslativa della mera detenzione della cosa47, con la conseguenza che il contratto può essere validamente concluso anche da chi non abbia la proprietà della cosa e nemmeno il possesso; è sufficiente che il deponente ne abbia la materiale disponibilità, anche come mero detentore di cosa altrui48.
La cosa oggetto del contratto deve essere mobile e di regola infungibile ovvero, se fungibile, deve essere individualizzata in modo tale da permetterne l’identificazione al fine della restituzione della stessa in specie e non in genere (è il caso della pecunia in sacculo signata).
Come il comodato, anche il deposito è annoverabile tra i contratti bilaterali imperfetti, sorgendo dal medesimo obbligazioni a carico del depositario e solo eventualmente del deponente. Su quest’ultimo possono, pertanto, gravare solo obblighi eventuali diretti al risarcimento dei danni causati al depositario dalla cosa ricevuta in deposito, o al rimborso delle spese sostenute dal depositario per la conservazione della cosa stessa.
Similmente al comodato, inoltre, elemento essenziale del deposito è la gratuità: risulta chiaramente dalle fonti come il contratto in esame non comporti alcuna utilitas per il depositario; la pattuizione di un corrispettivo per la custodia genera infatti un rapporto di locatio-conductio, qualora il compenso consista in
44 D. 16.3.1 pr. (Ulp. 30 ad ed.): depositum est, quod custodiendum alicui datum est, dictum ex eo quod ponitur: praepositio enim de auget depositum, ut ostendat totum fidei eius commissum, quod ad custodiam rei pertinet. Sul significato della parola depositum, la quale indica la cosa che viene affidata ad altri, non già il rapporto negoziale, X. XXXXX, Corso di diritto romano. Il deposito, Milano, 1946, 1; X. XXXXXXX, Las formulas de la ‘actio depositi’, in SDHI, XXVIII, 1962, 243. Sul passo si vedano, inoltre, A. METRO, L’obbligazione di custodire nel diritto romano, Milano, 1966, 102, 129 s. e 143; X. XXXXXXXX, Il deposito nella problematica della giurisprudenza romana, Milano, 1976, 107 s.; X. XXXXXX, El déposito, in Derecho romano de obligaciones. Homenaje al profesor X.X. Murga Gener cur X. Xxxxxxx, Madrid, 1994, 257 ss.; C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 72. È escluso che il depositario possa usare la cosa, nel qual caso egli commetterebbe furto, cfr. Gai 3.196: si quis re, quae apud eum deposita sit, utatur, furtum committit.
45 D. 50.16.186 (Ulp. 30 ad ed.): commendare nihil aliud est quam deponere.
46 D. 16.3.1.8-11.
47 D. 16.3.17.1.
48 Coll. 10.7.1: deponere possumus apud alium id quod nostri iuris est vel alieni.
una somma di denaro, ovvero un contratto innominato, se il compenso consista nella prestazione di un servizio49. Solo in diritto giustinianeo l’elemento della gratuità cessa di essere considerato essenziale al deposito.
Emerge dalle fonti50, e così è ripetuto nella generalità dei manuali51, che il depositario è tenuto a custodire gratuitamente la cosa depositata, senza usarla, e a restituirla, a richiesta o entro un dato termine. Quelli di custodia e di restituzione sono normalmente qualificati quali ‘obblighi’ fondamentali del depositario, anche se non è mancato chi ha negato la possibilità di configurare un’‘obbligazione’ di custodia a carico del depositario52. Contro questa tesi si è osservato, però, che la custodia costituisce la causa del deposito53 e che «l’imposizione al depositario del solo obbligo di restituzione non sarebbe sufficiente a realizzare l’interesse, la
49 I. 3.26.13: ut generaliter dixerimus: quibus xxxxxxx, sine mercede suscepto officio, mandati aut depositi contrahitur negotium, his casibus, interveniente mercede, locatio et conductio contrahi intellegitur; D. 16.3.1.8-9 (Ulp. 30 ad ed.): si vestimenta servanda balneatori data perierunt, si quidem nullam mercedem servandorum vestimentorum accepit, depositi eum teneri et dolum dumtaxat praestare debere puto: quod si accepit, ex conducto. 9. Si quis servum custodiendum coniecerit forte in pistrinum, si quidem merces intervenit custodiae, puto esse actionem adversus pistrinarium ex conducto: si vero mercedem accipiebam ego pro hoc servo, quem in pistrinum accipiebat, ex locato me agere posse: quod si operae eius servi cum custodia pensabantur, quasi genus locati et conducti intervenit, sed quia pecunia non datur, praescriptis verbis datur actio: si vero nihil aliud quam cibaria praestabat nec de operis quicquam convenit, depositi actio est.
50 Si veda D. 16.3.1 pr., per il quale si rimanda supra, nt. 44.
51 Si vedano, per tutti, X. XXXXXXX, Manuale, cit., 432 ss., e X. XXXXXXX, Istituzioni, cit., 440 ss.
52 Questa l’opinione di X. XXXXXXXXX, Ricerche sul deposito irregolare in diritto romano, in BIDR, IL-L, 1947, 128, secondo cui «dal deposito non nasce, in diritto romano, alcuna obbligazione di custodire la cosa, ma solo quella di restituirla a richiesta […]; il depositario non è tenuto ad alcuna attività, e ciò si rispecchia nel fatto che la responsabilità sua è limitata al dolo», nonché ID., voce Deposito (dir. rom.), in Noviss. dig. it., V, Torino, 1960, 496, in cui l’autore ignora, tra gli obblighi del depositario, quello di custodire la cosa. Nello stesso senso X. XXXXXXX, Contributi, cit., 72, secondo cui «l’obbligo fondamentale che il depositario si assume, e che costituisce per così dire l’essenza del rapporto, è quello della restituzione». Anche nella dottrina civilistica non sono mancati autori che hanno ritenuto che caratteristica del deposito non sarebbe l’obbligazione di custodire, bensì l’obbligazione da parte del depositario di detenere la cosa in nome e per conto del deponente: così X. XXXXXXX, Custodia e deposito, Napoli, 1958, 255 ss.; ovvero che hanno configurato la custodia da un punto di vista strumentale, come dovere di protezione od obbligo integrativo: così X. XXXXXXX, Obbligazioni ‘di risultato’ e obbligazioni ‘di mezzi’, in Riv. dir. comm., 1954, I, 378, e X. XXXXXXX, Osservazioni in tema di ‘doveri di protezione’, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, 1342 ss.
53 Questa la tesi tradizionale della dottrina civilistica – che pone l’obbligazione di restituzione su un piano di subordinazione rispetto all’obbligazione di custodire – su cui si vedano, per tutti, X. XX XXXXXXX, voce Deposito (dir. civ.), in Noviss. dig. it., V, Torino, 1960, 513; X. XXXXXXXXXXX
- G.B. PORTALE, voce Deposito (dir. vig.), in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 236 ss., e, più di recente, F. XXXXXX, Il deposito, in Trattato della responsabilità contrattuale a cura di X. Xxxxxxxxx, II, Padova, 2009, 334 ss.
funzione, lo scopo di custodia e a differenziare quindi il nostro da tutti gli altri contratti comportanti un obbligo di restituzione»54.
L’obbligazione del depositario non si considera adempiuta si res deposita deterior reddatur55. Insieme alla cosa devono essere consegnati al deponente i relativi frutti e ogni altro eventuale incremento56.
La tutela giuridica del deposito è attuata in età decemvirale attraverso la concessione di un’azione penale in duplum57. In concomitanza con l’avvento della procedura formulare, il pretore concede un’azione in simplum, l’actio depositi58. Si tratta di un’actio in factum, diretta alla restituzione della cosa depositata e di quanto essa abbia nel frattempo prodotto, che sanziona una responsabilità meramente dolosa59 e importa l’infamia del condannato60. La responsabilità del depositario è limitata al dolo quia nulla utilitas eius versatur apud quem deponitur61. Viceversa, si è detto, a proposito del comodato, come la responsabilità del comodatario sia più gravosa, essendo di regola estesa alla colpa62 e alla custodia63, proprio in vista dell’utilità che il medesimo trae dal
54 A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 133 s.
55 D. 16.3.1.16.
56 D. 16.3.1.24.
57 Coll. 10.7.1: ex causa depositi lege XII Tabularum in duplum actio datur.
58 Gai 4.47: […] ait illa formula, quae ita concepta est: iudex esto. Si paret A. Agerium apud
N. Negidium mensam argenteam deposuisse eamque dolo malo N. Negidii A. Agerio redditam non esse, quanti ea res erit, tantam pecuniam iudex N. Negidium A. Agerio condemnato; si non paret absolvito, in factum concepta est.
59 Gai 3.207: sed is, apud quem res deposita est, custodiam non praestat, tantumque in eo obnoxius est, si quid ipse dolo fecerit; Xxxx. Sent. 2.12.6: ob res depositas dolus tantum praestari solet; Coll. 10.2.1: qui vero depositi convenitur, de dolo, non etiam de culpa condemnandus est […] in depositi vero causa sola deponentis utilitas vertitur et ibi dolus tantum praestatur.
60 Gai 4.182: quibusdam iudiciis damnati ignominiosi fiunt, veluti […] depositi; Coll. 10.2.4: depositi damnatus infamis est; D. 3.2.1 (Iul. 1 ad ed.): praetoris verba dicunt: infamia notatur qui […] depositi suo nomine non contrario iudicio damnatus erit.
61 D. 13.6.5.2 (Ulp. 28 ad ed.): nunc videndum est, quid veniat in commodati actione, utrum dolus an et culpa an vero et omne periculum. Et quidem in contractibus interdum dolum solum, interdum et culpam praestamus: dolum in deposito: nam quia nulla utilitas eius versatur apud quem deponitur, merito dolus praestatur solus: nisi forte et merces accessit (tunc enim, ut est et constitutum, etiam culpa exhibetur) aut si hoc ab initio convenit, ut et culpam et periculum praestet is penes quem deponitur. Sed ubi utriusque utilitas vertitur, ut in empto, ut in locato, ut in dote, ut in pignore, ut in societate, et dolus et culpa praestatur. Il passo, unitamente al successivo
D. 13.6.5.3, incentrato sul principio di utilità e pertanto fondamentale ai nostri fini, verrà esaminato nel prosieguo (cap. III, §§ 2 ss.).
62 D. 13.6.5.3.
63 Gai 3.206.
contratto. Il comodato, infatti, è concluso a vantaggio del comodatario; nel deposito, invece, l’utilitas è riscontrabile in capo al deponente.
In età classica, all’azione pretoria si affianca un’azione civile e di buona fede64, che sostanzialmente non differisce nel regime rispetto alla prima, salvo per un’estensione dei limiti di responsabilità del depositario, il quale diviene responsabile anche a titolo di colpa quando, ad esempio, si sia spontaneamente offerto di ricevere la cosa in deposito65. Nel diritto classico, dunque, si registra la coesistenza delle due formule, civile e pretoria: l’actio depositi presenta, similmente all’actio commodati, il fenomeno della duplicità formulare, essendo proposte nell’editto tanto una formula in factum, quanto una formula in ius di buona fede.
Il diritto giustinianeo conosce una sola actio depositi, di buona fede, che sanziona di regola la responsabilità del depositario nei limiti del dolo e della colpa grave66. Gli obblighi eventuali del deponente sono sanzionati da actio depositi contraria.
4. Caratteristiche comuni ai contratti di comodato e deposito: la realità.
I contratti di comodato e deposito hanno in comune anzitutto il carattere della realità, perfezionandosi entrambi con la consegna della res.
Dall’esame delle fonti, tuttavia, emerge come le Istituzioni di Xxxx non annoverino tali contratti tra le obligationes re contractae67. Solo in un secondo momento, nelle Res cottidianae – nel testo fornitoci dal Digesto68 – e nelle Istituzioni di Xxxxxxxxxxx, compaiono tra le obligationes re contractae il comodato
64 Gai 4.47: illa enim formula, quae ita concepta est: iudex esto. Quod A. Xxxxxxx apud N. Negidium mensam argenteam deposuit, qua de re agitur, quidquid ob eam rem N. Negidium A. Agerio dare facere oportet ex fide bona, eius iudex N. Negidium A. Agerio condemnato [nr]; si non paret absolvito, in ius concepta est.
65 D. 16.3.1.35 (Ulp. 30 ad ed.): […] si se quis deposito obtulit, idem Xxxxxxxx scribit periculo se depositi illigasse.
66 D. 44.7.1.5 (Gai 2 aur.): […] neglegentiae vero nomine ideo non tenetur, quia qui neglegenti amico rem custodiendam committit, de se queri debet. Magnam tamen neglegentiam placuit in doli crimine cadere.
67 Gai 3.90-91.
68 D. 44.7.1.3-6.
e il deposito, oltre al pegno, accanto al mutuo69. Viene così colmata la lacuna presente nelle Istituzioni gaiane.
Quanto al comodato, si è ritenuto che la sua mancata inclusione entro le obligationes re contractae nelle Istituzioni gaiane – tra le quali il giurista annovera solo il mutuo e il pagamento dell’indebito – derivi dal fatto che Gaio si sia limitato a riprodurre la quadripartizione elaborata da Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, con gli esempi da lui menzionati, senza aggiungervi nulla di nuovo70. Ebbene, quest’ultimo non poteva ancora includere il comodato tra le obligationes re contractae: se è vero, infatti, che egli si occupò dei problemi relativi al comodato, soprattutto in rapporto al furto71, è dubbio che il medesimo conoscesse già l’actio commodati e la relativa formula.
Si noti che la concessione pretoria dell’actio commodati in factum (prima decretale, poi edittale) si fa risalire, non senza incertezze, da taluni intorno alla metà del I secolo a.C., da altri alla fine del II secolo a.C. (l’actio commodati in ius è collocata, invece, tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C.)72. L’età che intercorre tra Xxxxxx Xxxxx e Xxxxxxx – che fu il primo grande commentatore dell’editto e si occupò largamente del comodato, come emerge dalle numerose citazioni che si leggono nel commentario di Ulpiano – è appunto l’età in cui il nucleo dell’editto si viene formando.
69 I. 3.14.2-4.
70 Si veda, per tutti, X. XXXXXXXXXX, voce Comodato (dir. rom.), in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 986.
71 Si vedano D. 13.1.16; D. 13.6.3 pr.-6; D. 13.6.23; D. 47.2.77 pr.
72 Sulla datazione delle due formule e sui motivi che determinarono la necessità della formula in ius si vedano in dottrina X. XXXXXXX, Storia e teoria del contratto di commodato nel diritto romano, in Opere, III, Studi vari di diritto romano e moderno, a cura di E. Albertario, Milano, 1929, 81 ss.; F. PASTORI, Il commodato nel diritto romano. Contributi allo studio della responsabilità contrattuale, Milano, 1954, 60 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Comodato (dir. rom.), in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 986 ss.; X. XXXXXXX, La pretendida ‘formula in ius’ del comodato en el Edicto pretorio, in RIDA, XXIX, 1982, 235 ss.; X. XXXXXXX, Spunti critici per una storia del ‘commodatum’, Milano, 1983, 86 ss.; ID., voce Comodato nel diritto romano, in Dig. disc. priv. - Sez. civ., III, Torino, 1988, 32; C.M. TARDIVO, Studi sul ‘commodatum’, in AG, CCIV, 1984, 225 ss.; X. XXXXXX, Il comodato, in Derecho romano de obligaciones. Homenaje al profesor X.X. Murga Gener cur X. Xxxxxxx, Madrid, 1994, 308 ss. Mi sia consentito, inoltre, rinviare a B. VERONESE, Buona fede e duplicità delle tutele processuali nei contratti di deposito e comodato, in ‘Actio in rem’ e ‘actio in personam’. In ricordo di X. Xxxxxxxxx, a cura di X. Xxxxxxxx, II, Padova, 2011, 263 ss.
È stato, peraltro, evidenziato come il comparire dell’actio commodati (in factum) nell’epoca sopra indicata non significhi che prima di tale momento il comodato fosse completamente fuori dal mondo del diritto e privo di tutela giuridica. Come istituto della vita sociale, il prestito d’uso è certamente molto antico73, e si è ritenuto in dottrina che il precedente immediato dell’actio commodati fosse la condictio furtiva74.
Il fatto che la sedes materiae della trattazione del comodato – come del resto avviene per il deposito – sia rappresentata dai commentari ad edictum, mostra che ci troviamo al cospetto di un istituto di origine pretoria. Pertanto, la protezione giuridica autonoma del comodato si deve al pretore, come avverte lo stesso Xxxxxxx riferendo le parole della relativa clausola edittale: quod quis commodasse dicetur, de eo iudicium dabo75.
Quanto al deposito, alla sua inclusione tra le figure tipiche in cui re contrahitur obligatio sarebbe stata di ostacolo, oltre alla natura penale e non contrattuale dell’originaria tutela – rispetto alla quale si dubita se essa sia da configurare come un’azione autonoma o come un caso di applicazione dell’actio furti76 –, anche la nozione tecnica della datio rei, estesa alle ipotesi di semplice consegna di una res, fonte dell’obbligo di restituzione, contestualmente al riconoscimento del deposito quale contratto nominato77. Lo sviluppo della tutela giuridica del deposito come negotium, munito di azione contrattuale, si verificò, come sopra visto, solo nel periodo della procedura formulare, grazie alla concessione dell’actio depositi in factum da parte del pretore. In un secondo momento, presumibilmente intorno alla seconda metà del I secolo a.C., il depositum fu riconosciuto e configurato dalla giurisprudenza come vero e proprio contratto obbligatorio iuris civilis. In conseguenza di questo ulteriore sviluppo, fu
73 Oltre agli esempi di comodato che si rinvengono già nelle commedie di Xxxxxx, il testo giuridico più antico a noi noto nel quale si parla di comodato è un passo di Xxxxxx Xxxxx (tratto dai XVIII libri iuris civilis), tramandatoci da Gellio, nel quale Xxxxxx Xxxxx parla di utendum dare e non di commodare (Gell. 6.15.2): quod cui servandum datum est, si id usus est, sive quod utendum accepit, ad aliam rem atque accepit usus est, furti se obligavit.
74 In tal senso X. XXXXXXXXX, voce Comodato, cit., 985.
75 D. 13.6.1 pr.
76 Cfr. Gell. 6.15.2.
77 Per tutti, X. XXXXXX, voce Deposito (storia), in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 213.
inserita nell’editto la formula in ius ex fide bona, accanto a quella in factum concepta78.
4.1. Segue: la rilevanza della consegna.
Secondo l’impostazione tradizionale, dunque, nei contratti di comodato e deposito la consegna è vista quale elemento che, determinando il perfezionamento del contratto, crea l’obbligazione a carico del comodatario e del depositario, rispettivamente, di restituire la cosa una volta cessato l’uso o al termine stabilito contrattualmente, nelle stesse condizioni in cui la stessa era stata consegnata, e di custodire gratuitamente la res, per poi restituirla a richiesta o entro un dato termine.
Ebbene, a tale riguardo, ci si è chiesi in dottrina se davvero la consegna creasse l’obbligazione, o non fosse piuttosto vista «quale elemento in grado di rendere rilevante sub specie iuris un rapporto complesso, già socialmente significativo»79. In quest’ottica, la consegna rappresenterebbe l’indice che l’accordo tra i soggetti che l’avessero prevista – con lo scopo di consentire al depositario di custodire temporaneamente e gratuitamente la cosa (nel caso del deposito) e di permettere al comodatario di utilizzarla per un certo tempo (nel caso del comodato) – «meritava di entrare a pieno titolo nel mondo del diritto». La consegna, in altri termini, «giuridicizzava un rapporto», senza che obbligasse di per sé. Ad obbligare, infatti, era «l’accordo cui la consegna si collegava, dal quale si evinceva l’assetto di interessi voluto dalle parti e grazie al quale era dato capire a vantaggio di chi andasse l’operazione negoziale vista nella sua
78 Quanto alla collocazione temporale delle formule del deposito, che si fa coincidere in via approssimativa rispettivamente nella prima e nella seconda metà del I secolo a.C., e alle ragioni che fanno propendere per la priorità storica della formula in factum, si vedano X. XXXXXXX, Contributi, cit., 27 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Deposito, cit., 496; X. XXXXXXX, Las formulas, cit., 234 ss.; X. XXXXXX, voce Deposito, cit., 212 s.; X. XXXXXXXX, Il deposito, cit., 83 ss.; X. XXXXX, voce Deposito nel diritto romano, medievale e moderno, in Dig. disc. priv. - Sez. civ., V, Torino, 1989, 219 s. Sui motivi che determinarono la necessità della formula in ius si veda, da ultimo, X. XXXXXXXX, Buona fede e duplicità delle tutele processuali, cit., 253 ss.
79 X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 38.
interezza»80. L’elemento della consegna costituiva, si è detto, il «segno» in base al quale un rapporto governato da regole del costume faceva il suo ingresso nell’area del diritto: «una volta che il segno c’era, entrava nel mondo del diritto l’intero rapporto, intessuto dell’accordo, della consegna, dell’obbligo di restituzione»81.
E così, con riferimento al comodato – ma lo stesso discorso può farsi per il deposito –, «l’accordo in forza del quale Xxxxx prometteva a Xxxx di concedergli in godimento gratuito e per un certo tempo una cosa innescava un rapporto che si situava nel pregiuridico, fino a quando non fosse intervenuta la consegna del bene. Certo l’ometterla poteva comportare una qualche riprovazione sul piano delle relazioni interpersonali, ma nulla più. Eseguita che fosse, l’intero rapporto, quale si snodava a partire dall’accordo, era però attratto nell’orbita del diritto, dove trovava un’adeguata azione, diretta e contraria (civile e di buona fede, in aggiunta a quella più antica pretoria con formula in factum), volta a tutelarlo»82.
Inoltre, sempre con riferimento al comodato, ci si è chiesti se, una volta avvenuta la consegna della cosa perché quest’ultima fosse utilizzata dal comodatario, le parti potessero decidere di mantenere la loro relazione sul solo versante dell’amicitia, senza far sorgere alcun vincolo giuridico, o se invece le obbligazioni contrattuali tipiche del comodato sorgessero automaticamente, per effetto della datio. Orbene, è stato precisato che tale eventualità per le parti di escludere il sorgere del vincolo giuridico – eventualità che sarebbe da scartare laddove si aderisse all’impostazione per cui nel diritto romano classico, salvo che nelle obligationes consensu contractae, i contratti si perfezionavano con la sola integrazione degli elementi strutturali caratteristici di ogni figura contrattuale (pronuncia di verba, datio rei, scrittura), rimanendo irrilevanti il consenso delle parti e l’accordo sullo scopo del negozio – sarebbe da reputare ammissibile, valorizzando la circostanza per cui «in epoca classica i giuristi romani, per la conclusione del contratto, attribuivano rilevanza anche al consenso delle parti». Proprio dal rilievo assunto dal consenso delle parti in sede perfezionamento del rapporto contrattuale potrebbe allora trarsi, quale conseguenza, quella per cui era
80 X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 39.
81 X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 41.
82 X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 41 s.
consentito alle parti di «sottoporre la dazione in uso della cosa unicamente al sistema di appartenenza dell’amicizia»83.
5. Segue: la gratuità.
Un’ulteriore caratteristica comune ai contratti di comodato e deposito, dei quali rappresenta elemento essenziale, almeno con riferimento al regime classico, è la gratuità.
I contratti a titolo gratuito – che sin dall’epoca del principato si contrappongono ai contratti a titolo oneroso, nei quali entrambe le parti si procurano un vantaggio mediante equivalente – sono quelli in cui una sola delle parti risulta essere avvantaggiata senza equivalente84. Si è evidenziato come tutti i contratti bilaterali siano a titolo oneroso, mentre i contratti unilaterali e quelli bilaterali imperfetti – come appunto il comodato e il deposito – siano, di regola, a titolo gratuito85.
Per quanto riguarda il comodato, infatti, già si è detto che ove fosse pattuito un corrispettivo per l’uso, si avrebbe un diverso contratto: in particolare, sarebbe configurabile un contratto di locazione-conduzione, nel caso in cui la pattuizione avesse ad oggetto una somma di denaro, ovvero un contratto innominato, laddove fosse previsto un altro corrispettivo86.
Allo stesso modo, la pattuizione di un corrispettivo in favore del depositario per la custodia della cosa genera un rapporto di locatio-conductio, qualora il compenso consista in una somma di denaro, ovvero un contratto innominato, se il compenso consista nella prestazione di un servizio87.
83 X. XXXXXXX, ‘Amicitia’ e doveri giuridici, in ‘Homo’, ‘caput’, ‘persona’. La costruzione giuridica dell’identità nell’esperienza romana. Dall’epoca di Plauto a Ulpiano, a cura di X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxx, Pavia, 2010, 734 s.
84 Così X. XXXXXX, Il sistema romano, cit., 233.
85 X. XXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 537 ss.
86 Si vedano in proposito I. 3.14.2 e D. 13.6.5.12, su cui supra, nt. 23.
87 Così I. 3.26.13 e D. 16.3.1.8-9, su cui supra, nt. 49. Anche D. 13.6.5.2 (Ulp. 28 ad ed.), sul quale ci si soffermerà nel seguito (cap. III, §§ 2 ss.), afferma che la responsabilità del depositario è limitata al dolo quia nulla utilitas eius versatur apud quem deponitur.
6. Segue: la bilateralità imperfetta.
I contratti bilaterali imperfetti costituiscono una categoria che si colloca in una posizione intermedia tra i contratti unilaterali, dai quali sorgono obbligazioni a carico di una sola parte, e quelli bilaterali, dai quali sorgono obbligazioni a carico di entrambe le parti.
Orbene, il comodato e il deposito si fanno comunemente rientrare tra i contratti bilaterali imperfetti, ossia tra quei contratti caratterizzati dal sorgere di obblighi per una sola delle parti, pur potendosi determinare, in presenza di talune circostanze, la nascita di obbligazioni anche in capo alla controparte. Così, mentre il comodatario e il depositario restano immediatamente, per effetto della conclusione del contratto, obbligati alla restituzione delle cose ricevute in comodato e in deposito, il sorgere di obbligazioni a carico del comodante e del deponente, per il risarcimento dei danni subiti dalla controparte o il rimborso delle spese da quest’ultima sostenute, è solo eventuale.
Il fenomeno della bilateralità imperfetta si estende ad abbracciare, oltre che determinati contratti, anche atti leciti non contrattuali produttivi di obbligazione; esso si riscontra, in particolare, in due gruppi di ipotesi: da un lato, nei casi di comodato, deposito, pegno e fiducia; dall’altro, in ipotesi di tutela e, almeno per diritto giustinianeo, di negotiorum gestio e mandato. Nel primo gruppo di ipotesi l’obbligo principale è essenzialmente volto alla restituzione; nel secondo alla gestione di affari; in entrambi, poi, può nascere un obbligo corrispettivo avente ad oggetto appunto il risarcimento di danni o il rimborso di spese, rispettivamente subiti e sopportate in relazione alla cosa da restituire, ovvero all’affare da gestire88. Il mezzo processuale con il quale far valere in giudizio tali contropretese, originariamente in via meramente riconvenzionale, ma già in età classica anche in via autonoma89, è designato nelle fonti come iudicium contrarium o actio contraria.
88 X. XXXXXXX, Manuale, cit., 424.
89 D. 13.7.8 pr. (Pomp. 35 ad. Sab.): si necessarias impensas fecerim in servum aut in fundum, quem pignoris causa acceperim, non tantum retentionem, sed etiam contrariam pigneraticiam actionem habebo […]; D. 47.2.60 (Iul. 3 ex minic.): […] si impensas necessarias in rem
Ebbene, aderendo all’impostazione in precedenza illustrata secondo cui il vero ruolo della consegna nell’ambito dei contratti gratuiti e reali, quali appunto il comodato e il deposito, è quello non già di determinare semplicemente il sorgere dell’obbligo di restituzione della res (in capo al comodatario e al depositario), bensì di fungere da indice dell’ingresso nell’area del giuridico di un rapporto governato da regole del costume90, allora non stupisce affatto, come è stato rilevato, che si configurasse come contrattuale anche la responsabilità del comodante e del deponente. La responsabilità in cui incorreva il soggetto che aveva eseguito la consegna, per le spese sopportate e i danni subiti dalla controparte, era di natura identica a quella che gravava sulla parte tenuta alla restituzione. La stessa denominazione dell’azione concessa al comodatario e al depositario per ottenere il rimborso delle spese sostenute o il rimborso dei danni subiti, in ragione della detenzione della res oggetto del contratto, la cd. actio contraria, del resto, suffraga tali considerazioni. L’azione a tutela del comodatario e del depositario era un’azione che le stesse fonti denominano contraria rispetto a quella directa, a tutela del comodante e del deponente e volta alla restituzione della cosa91.
7. Segue: la duplicità formulare.
Un altro requisito proprio dei contratti in esame è rappresentato dalla circostanza per cui tanto il comodato quanto il deposito risultano essere muniti, a partire dall’età classica, anche di una formula in ius (ex fide bona) che si affianca così a quella in factum, senza sostituirla. Si tratta del fenomeno che va sotto il nome di duplicità formulare.
Ebbene, al fine di individuare i rapporti contrattuali nei quali, stando alle fonti classiche, è ravvisabile tale duplicità formulare, ovvero la coesistenza delle tutele civile (in ius) e pretoria (in factum) è indispensabile prendere le mosse dal libro
commodatam fecerat, interfuit eius potius per retentionem eas servare quam ultro commodati agere […].
90 Si veda supra, § 4.1.
91 Sul punto X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 80 s.
IV delle Institutiones di Xxxx nel quale il giurista, dopo aver distinto tra formulae in ius conceptae (Gai 4.4592) e in factum conceptae (Gai 4.4693) – «come una categoria che sembrerebbe destinata a ricomprendere, in una dicotomia esaustiva, tutte le possibili formulae»94 – aggiunge in 4.47: sed ex quibusdam causis praetor et in ius et in factum conceptas formulas proponit, veluti depositi et commodati.
Dall’ultimo frammento citato risulta che in determinate ipotesi il pretore promette formule concepite sia in diritto che in fatto, come (veluti) quelle di deposito e comodato.
Gai 4.47 prosegue poi riportando il testo delle due formule del deposito e limitandosi, quanto al comodato, a sancire che esse sono simili a quelle del deposito95: illa enim formula, quae ita concepta est: iudex esto. Quod A. Agerius
92 Gai 4.45: sed eas quidem formulas, in quibus de iure quaeritur, in ius conceptas vocamus, quales sunt, quibus intendimus nostrum esse aliquid ex iure Quiritium aut nobis dari oportere aut pro fure damnum decidi oportere; sunt et aliae, in quibus iuris civilis intentio est.
93 Gai 4.46: ceteras vero in factum conceptas vocamus, id est, in quibus nulla talis intentio concepta est, sed initio formulae nominato eo, quod factum est, adiciuntur ea verba, per quae iudici damnandi absolvendive potestas datur [...] et denique innumerabiles eius modi aliae formulae in albo proponuntur.
94 X. XXXXXXXXX, voce Processo civile (dir. rom.), in Enc. dir., XXXVI, Milano, 1987, 54. L’autore evidenzia come la contrapposizione tra formulae in ius conceptae e in factum conceptae abbia «un carattere prevalentemente formale, al livello, cioè, delle espressioni adoperate nelle formulae configurate nel contesto della giurisdizione pretoria. Nelle formulae in ius conceptae, infatti, attraverso l’indicazione dell’aspetto effettuale non si poteva non attingere, mediatamente, il fatto costitutivo degli effetti stessi, e cioè quello che era versato, direttamente, nelle intentiones in factum conceptae delle azioni onorarie così costruite: ed il giudice, che doveva stabilire l’esistenza di un diritto soggettivo, esistente sul piano del ius civile, non poteva esimersi dall’accertare i fatti costitutivi dello stesso secondo la disciplina civilistica. D’altro canto non può negarsi che nelle formulae in factum conceptae i verba condemnationis fossero direttamente collegati, nelle due alternative che essi prevedevano, al risultato della verifica fatta dal iudex sui fatti dedotti nell’intentio: questo non significa, però, che attraverso questo meccanismo formale non si venisse ad individuare, sul piano sostanziale, una situazione soggettiva giuridicamente protetta […]. Non si vuole, con ciò, negare che la diversa struttura della formula e il differente riferimento all’uno od all’altro dei sistemi giuridici che regolavano le fattispecie non influissero sull’attività interpretativa dei prudentes e ne condizionassero eventualmente i risultati: ma è questo un campo d’indagine non ancora sufficientemente frequentato» (p. 54, nt. 388).
95 Sul significato di similes si rimanda, da ultimo, a X. XXXXXXXX, ‘Ex fide bona’ nella formula del comodato, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di X. Xxxxxxx (Padova - Venezia - Treviso, 14-15-16 giugno 2001), a cura di X. Xxxxxxxx, IV, Padova, 2003, 459 s., il quale osserva come Gaio parli di similitudine e non di identità, essendo deposito e comodato differenti anzitutto sotto il profilo della responsabilità, che nel comodato è estesa alla custodia. Questa circostanza, unitamente alla non menzione del comodato nell’elenco dei giudizi di buona fede contenuto in Gai 4.62, su cui si veda infra, nt. 102, ha ingenerato il dubbio che il comodato non avesse, a differenza del deposito, la formula in ius concepta ex fide bona. La conclusione dell’autore, del tutto condivisibile, è nel senso che se nella formula in ius del comodato «non si
apud N. Negidium mensam argenteam deposuit, qua de re agitur, quidquid ob eam rem N. Negidium A. Agerio dare facere oportet ex fide bona, eius iudex N. Negidium A. Agerio condemnato [nr]; si non paret absolvito, in ius concepta est. Ait illa formula, quae ita concepta est: iudex esto. Si paret A. Agerium apud N. Negidium mensam argenteam deposuisse eamque dolo malo N. Negidii A. Agerio redditam non esse, quanti ea res erit, tantam pecuniam iudex N. Negidium A. Agerio condemnato; si non paret absolvito, in factum concepta est. Similes etiam commodati formulae sunt.
Le formule del comodato sono state dunque ricostruite dagli studiosi sulla base di quelle del deposito, essendo queste ultime le sole delle quali ci è giunta testimonianza. In particolare, il tenore della formula in ius doveva essere il seguente96: iudex esto. Quod X. Xxxxxxx X. Xxxxxxx rem qua de agitur commodavit, qua de re agitur, quidquid ob eam rem N. Negidium A. Agerio dare facere oportet ex fide bona, eius iudex N. Negidium A. Agerio condemnato [nr]; si non paret absolvito.
Quanto alla formula in factum, eliminando l’inciso dolo malo e sostituendo commodasse a deposuisse, essa è stata così ricostruita97: iudex esto. Si paret A. Agerium X. Xxxxxxx rem qua de agitur commodasse eamque A. Agerio redditam non esse, quanti ea res erit, tantam pecuniam iudex N. Negidium A. Agerio condemnato; si non paret absolvito.
Stando alla testimonianza di Xxxx, pertanto, parrebbe potersi concludere nel senso che i contratti nei quali è ravvisabile la duplicità formulare nel periodo classico siano il deposito e il comodato. Tuttavia, si è posto in dottrina un problema relativo all’interpretazione del termine veluti, contenuto in Gai 4.47, rispetto al quale ci si è interrogati se esso abbia una valenza tassativa e significhi ‘ossia’, oppure esemplificativa e significhi ‘come’, nel qual caso si potrebbe pensare ad altri rapporti, oltre il deposito e il comodato, la cui tutela presenterebbe
rinvenisse la clausola ex bona fide, sarebbe del tutto impossibile reputarla simile alla formula del deposito».
96 Per la ricostruzione della formula in ius del comodato si vedano X. XXXXX, Das ‘Edictum’, cit., 253, e X. XXXXXXXXX, Le formule, cit., 52.
97 Per la ricostruzione della formula in factum, X. XXXXX, Das ‘Edictum’, cit., 252; X. XXXXXXXXX, Le formule, cit., 66.
il fenomeno della duplicità formulare, come il pegno98, la fiducia99, la negotiorum gestio100, mentre maggiori dubbi si nutrono per il mandato101.
Comunque sia, dalle fonti gaiane esaminate la duplicità risulta con certezza solo per i contratti di deposito e comodato, entrambi reali, gratuiti, bilaterali
98 La dottrina ad oggi maggioritaria esclude che possa parlarsi già in età classica di una tutela di buona fede, ritenendo che almeno fino alla tarda epoca classica vi fosse per il pegno solo una formula in factum. In questo senso, X. XXXXXX, ‘Iudicia bonae fidei’, in XXXX, XXX, Xxxxxxx, 0000, 233; X. XXXXX, Sull’accessorietà del pegno. Studi di diritto romano, Macerata, 1930, 17 ss.;
A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 181; X. XXXXXXX, voce Pegno (dir. rom.), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 673, il quale constata la difficoltà di stabilire con certezza se sul finire dell’età classica, accanto alle formulae in factum delle actiones pigneraticiae directa e contraria, sia stata concessa una formula in ius concepta ex fide bona; F. PASTORI, Gli istituti romanistici come storia e vita del diritto, Milano, 1992, 915 ss.; X. XX XXXXXXXX, ‘Pignus’, in Derecho romano de obligaciones. Homenaje al profesor X.X. Murga Gener cur X. Xxxxxxx, Madrid, 1994, 369 ss.; X. XXXXXXX, Istituzioni, cit., 448. Contra X. XXXXX, Sull’età dei giudizii di buona fede, cit., 63 ss.; X. XXXXXXX, Contributi, cit., 3.
99 L’opinione dominante è nel senso che la fiducia avesse una sola formula facente riferimento alla buona fede. Così X. XXXXXX, Appunti sulla formula dell’‘actio fiduciae’, in Ann. Xxxxxxxx, XXX, 1929, 81 ss.; ID., voce Fiducia (dir. rom.), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, 387; X. XXXXXXX, voce Fiducia, in Noviss. dig. it., VII, Torino, 1957, 296; X. XXXXXXX, Apuntes sobre la ‘actio fiduciae’, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di X. Xxxxxxx (Padova - Venezia - Treviso, 14-15-16 giugno 2001), a cura di X. Xxxxxxxx, III, Padova, 2003, 49 ss.
000 X. XXXXXXX-XXXX, Xx mandato in diritto romano, Napoli, 1949, 29 ss., ritiene molto probabile l’esistenza di due formule per la negotiorum gestio. Anche X. XXXXXXX, voce Gestione di affari altrui (storia), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 637 ss., propende per la persistenza della duplicità formulare in diritto classico. Si vedano, inoltre, X. XXXXX, La gestione d’affari nel diritto romano, in Derecho romano de obligaciones, cit., 664 ss.; X. XXXXXXXXXX, La ‘negotiorum gestio’. Corso esegetico di diritto romano, I, Struttura, origini, azioni, Torino, 1997, 137 ss.; X. XXXXXXX, Ricerche in tema di ‘negotiorum gestio’, I, Azione pretoria ed azione civile, Napoli, 1999, 421 ss., secondo cui entrambe le formule esistevano già nel I secolo a.C. Secondo X. XXXXXXX, Manuale, cit., 495, la negotiorum gestio avrebbe trovato originario riconoscimento intorno alla fine del II secolo a.C., ad opera del pretore, tramite proposizione di actiones in factum limitate al caso di gestione degli affari dell’assente o del morto. A tale tutela pretoria dovette affiancarsi, intorno alla metà del I secolo a.C., una tutela civile, attuata tramite creazione di actiones in ius ex fide bona, con formula concepita in termini più comprensivi, tali da permettere di abbracciare ogni ipotesi di negotiorum gestio che non rientrasse in figure già riconosciute dal diritto. X. XXXXXXX, Istituzioni, cit., 490 s., sottolinea invece come le più antiche actiones negotiorum gestorum, delle quali abbiamo notizia dall’ultima età repubblicana, fossero di buona fede e riguardassero solo la gestione del procurator omnium bonorum. Per i casi di gestione spontanea, dapprima di singoli affari di assenti e persone defunte, poi anche di altri, il pretore introdusse, ancora in età repubblicana, altre actiones negotiorum gestorum, diretta e contraria, che non erano di buona fede, ma in factum. Quel che accadde in età classica non è chiaro; il risultato, comunque, fu quello di attribuire la natura di buona fede alle azioni negotiorum gestorum.
101 In favore della natura di buona fede dell’actio mandati sin dal suo sorgere si vedano, per tutti, X. XXXXXXX, voce Mandato (storia), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, 310 ss.; X. XXXXXXX, Manuale, cit., 479; X. XXXXXXX, Istituzioni, cit., 477.
imperfetti e muniti, a partire dall’età classica, anche di una formula in ius – ex fide bona102 – che affianca quella in factum.
Dunque, tanto il deposito quanto il comodato si caratterizzano per la comparsa della formula in ius, contenente l’oportere ex fide bona, accanto alla formula in factum, a cui rimane affiancata, senza soppiantarla. La dottrina moderna è unanime103 nel riconoscere la priorità dell’actio in factum rispetto a quella in ius, tanto per il deposito104, quanto per il comodato105.
102 Per la ricostruzione dell’elenco dei bonae fidei iudicia, non si può prescindere dalla testimonianza che per il diritto classico viene da Gai 4.62: sunt autem bonae fidei iudicia haec: ex empto vendito, locato conducto, negotiorum gestorum, mandati, depositi, fiduciae, pro socio, tutelae, rei uxoriae. L’elenco gaiano dei giudizi di buona fede – che contempla: compravendita, locazione-conduzione, gestione d’affari altrui, mandato, deposito, fiducia, società, tutela, dote – di gran lunga più corto rispetto all’omologo giustinianeo (contenuto in I. 4.6.28), non menziona né il comodato, né il pegno, né il precario. Questa circostanza però non può farci dubitare del fatto che Xxxx conoscesse la tutela di buona fede per il comodato, il quale sicuramente presentava già all’epoca di Gaio la caratteristica duplicità formulare (lo stesso giurista, in Gai 4.47, ci avverte di come le formule del comodato siano simili a quelle del deposito), per cui la dottrina maggioritaria ritiene che accanto all’actio in factum si trovasse un’actio in ius ex fide bona. Per il dibattito in ordine alla problematica in questione si rimanda, di recente, a X. XXXXXXXX, ‘Ex fide’, cit., 455 ss., a cui si aggiungano X. XXXXXX, ‘Iudicia’, cit., 259 ss.; X. XXXXX, Sull’età dei giudizii di buona fede, cit., 61 ss.; F. PASTORI, Il commodato nel diritto romano. Contributi, cit., 56 ss.; X. XXXXXXXXX, Le consensualisme dans l’Edit du préteur, Paris, 1958, 103; C.A. MASCHI, La categoria dei contratti reali. Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxx, Xxxxxx, 0000, 218 ss.; X. XXXXXXX, La pretendida ‘formula in ius’, cit., 235 ss.; C.M. TARDIVO, Studi, cit., 240 ss.; X. XXXXXX, L’obligation de garde. Essai sur la responsabilité contractuelle en droit romain, Bruxelles, 1987, 316 ss.; X. XXXXXX, Il comodato, cit., 310 ss. Si veda, inoltre, X. XXXXXXXXX, voce Comodato, cit., 983, nt. 27, il quale osserva come nel manoscritto veronese, dopo rei uxoriae vi sia una lacuna. Mettendo in parallelo questo testo con I. 4.6.28, in cui compare anche il comodato, l’autore ritiene che l’elenco dei giudizi di buona fede di Gaio si chiudesse proprio con la menzione del comodato. Tra i sostenitori della tesi per cui l’actio commodati in ius non conteneva la clausola ex fide bona si vedano X. XXXX, Zur Lehre von den sogennanten ‘actiones arbitrariae’, in ZSS, XXXVI, 1915, 1 ss.; ID., Die Konkurrenz der Aktionen und Personen im klassischen römischen Recht, II, Berlin, 1922, 52 ss.; X. XXXXX, ‘Oportere’ und ‘ius civile’, in ZSS, LXXXIII, 1966, 30 ss.; ID., ‘Restituere’ als Xxxxxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000, 54 s.; ID., Das römische Privatrecht, I, cit.,
534. Nega l’esistenza della formula in ius concepta nell’editto pretorio A. D’ORS, Observaciones sobre el ‘Edictum de rebus creditis’, in SDHI, XIX, 1953, 181 ss.; ID., ‘Creditum’ y ‘contractus’, in ZSS, LXXIV, 1957, 76 ss.; ID., A propos de l’‘actio commodati’, in Iura, XXXIV, 1983, 90 s.; ID., Una nuova sfida contro la credibilità d’una ‘actio commodati in ius’, in Iura, XLIV, 1993, 165 s. Secondo X. XXXXX, Spunti, cit., 446, nt. 23, «relativamente al commodato la comprovata esistenza nell’età del Principato della formula in ius di buona fede non consente di qualificare il nostro contratto quale contratto di buona fede, attesa la permanenza e la piena operatività della formula in factum concepta».
103 L’ultimo autorevole sostenitore della opposta opinione secondo cui la formula in factum sarebbe sorta posteriormente alla formula in ius, per colmarne le lacune, è X. XXXXXXX, Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxxxx, XX, Xxxxxxx, 0000, 601 ss.
104 Quanto alla collocazione temporale delle formule del deposito, che si fa coincidere in via approssimativa rispettivamente nella prima e nella seconda metà del I secolo a.C., e alle ragioni che fanno propendere per la priorità storica della formula in factum, si vedano X. XXXXXXX, Contributi, cit., 27 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Deposito, cit., 496; X. XXXXXXX, Las formulas, cit., 234
ss.; X. XXXXXX, voce Deposito, cit., 212 s.; X. XXXXXXXX, Il deposito, cit., 83 ss.; X. XXXXX, voce Deposito nel diritto romano, medievale e moderno, cit., 219 s. Sui motivi che determinarono la necessità della formula in ius si veda, da ultimo, X. XXXXXXXX, Buona fede e duplicità delle tutele processuali, cit., 253 ss.
105 La concessione pretoria dell’actio commodati in factum (prima decretale, poi edittale) si fa risalire, non senza incertezze, da taluni intorno alla metà del I secolo a.C., da altri alla fine del II secolo a.C.; l’actio commodati in ius è collocata tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C. Sulla datazione delle due formule e sui motivi che determinarono la necessità della formula in ius si vedano in dottrina X. XXXXXXX, Storia e teoria del contratto di commodato, cit., 81 ss.; F. XXXXXXX, Il commodato, cit., 60 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Comodato, cit., 986 ss.; X. XXXXXXX, La pretendida ‘formula’, cit., 235 ss.; X. XXXXXXX, Xxxxxx critici, cit., 86 ss.; ID., voce Comodato nel diritto romano, cit., 32; C.M. TARDIVO, Studi, cit., 225 ss.; X. XXXXXX, Il comodato, cit., 308 ss.; B. VERONESE, Buona fede e duplicità delle tutele processuali, cit., 263 ss.
CAPITOLO TERZO
L’UTILITAS CONTRAHENTIUM NELLA COLLATIO LEGUM MOSAICARUM ET
ROMANARUM E NEL DIGESTO
SOMMARIO: 1. Coll. 10.2.1-7 (Mod. 2 differ.): l’utilitas come regula. – 1.1. Segue: e le problematiche ad essa connesse. – 2. Il canone dell’utilitas in D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.). – 3. D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.) e Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2
differ.): maestro e allievo a confronto. – 4. Segue: divergenze tra D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.) e Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.). – 5. Segue: e analogie. A) I criteri di imputazione della responsabilità del comodatario in D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.) e in Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.). – 5.1. Segue: B) Il legame tra l’utilitas contrahentium e i bonae fidei iudicia. – 6. Correlazione tra utilità e contractus bonae fidei in D. 30.108.12 (Afric. 5 quaest.). – 7. Raffronto tra Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.) e D. 30.108.12 (Afric. 5 quaest.). – 8. Comparazione tra Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.) e D. 50.17.23 (Ulp. 29 ad Sab.). – 9. Gli altri testi nei quali l’utilitas contrahentium funge da criterio per la determinazione della responsabilità delle parti. – 10. Considerazioni di sintesi.
1. Coll. 10.2.1-7 (Mod. 2 differ.): l’‘utilitas’ come ‘regula’.
Come già in precedenza evidenziato, l’utilitas contrahentium occupa un posto di fondamentale rilievo nell’ambito delle problematiche relative alla responsabilità del contraente a titolo gratuito. Essa è stata considerata dalla dottrina talvolta come un principio, una massima, o un criterio, talaltra come una regola, ovvero come una regula1.
1 Sul punto si rimanda al cap. I, § 1.
Il testo che consacra l’utilitas a livello di regula viene individuato nel passo, assai noto e ampiamente esaminato dagli studiosi2, della Collatio legum Mosaicarum et Romanarum3 tratto dalle Differentiae4 di Xxxxxxx Xxxxxxxxx:
Coll. 10.2.1-7 (Mod. 2 differ.): commodati iudicio conventus et culpam praestare cogitur: qui vero depositi convenitur, de dolo, non etiam de culpa condemnandus est. Commodati enim contractu, quia utriusque contrahentis utilitas intervenit, utrumque praestatur: in depositi vero causa sola deponentis utilitas vertitur et ibi dolus tantum praestatur. 2. Sed in ceteris quoque partibus iuris ista regula custoditur: sic enim et in fiduciae iudicium et in actionem rei uxoriae dolus et culpa deducitur, quia utriusque contrahentis utilitas intervenit. 3. In mandati vero iudicium dolus, non etiam culpa deducitur. Quamvis singulariter denotare liceat in tutelae iudicium utrumque deduci, cum solius pupilli, non etiam tutoris utilitas in administratione versetur. 4. Depositi damnatus infamis est: qui vero commodati damnatur, non fit infamis: alter enim propter dolum, alter propter culpam condemnatur. 5. Actione depositi conventus cibariorum nomine apud eundem iudicem utiliter experitur: at is cui res commodata est inprobe cibariorum exactionem intendit. Impensas tamen necessarias iure persequitur, quas forte in aegrum vel alias laborantem inpenderit. 6. Res deposita si subripiatur, dominus dumtaxat habet furti actionem, quamvis eius apud quem res deposita est intersit ob inpensas in rem factas rem retinere. Is vero cui res commodata sit furti experiri debebit, si modo solvendo fuerit. 7. Actio commodati semper in simplum competit, depositi vero nonnumquam in duplum, scilicet si ruinae vel naufragii vel incendii aut tumultus causa res deponatur.
2 Per un’approfondita analisi del contenuto del testo si vedano, per tutti, X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 107 ss., e C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 154 ss.
3 L’opera, come noto, è di incerta datazione: per una rassegna delle varie ipotesi avanzate in proposito si veda X. XXXXXX XXXXX, L’età della ‘Lex Dei’, Napoli, 1992, 11 ss., il quale ritiene che la redazione originaria risalga all’età dioclezianea, ma l’opera sarebbe stata riedita nell’età di Xxxxxxxx XX, dopo la pubblicazione del Codice Teodosiano.
4 I Libri differentiarum appartenevano a un genere letterario scarsamente casistico e basato su statuizioni astratte e di principio, spesso in forma di massime: cfr. X. XXXXX, Lezioni di storia del diritto romano, Bologna, 2000, 388.
Dalla lettura del passo – collocato sotto il titolo de deposito vel commodato del secondo liber differentiarum5 di Modestino – si coglie come esso sia diretto ad enumerare le differenze tra le due tipologie contrattuali prese in considerazione.
In particolare, il § 1 riguarda il diverso grado di imputazione della responsabilità per inadempimento: nel deposito, in cui l’utilità è in capo al solo deponente, si risponde unicamente per dolo, nel comodato viceversa si risponde anche per colpa, poiché è presente un vantaggio di entrambi i contraenti; i §§ 2 e 3 enunciano rispettivamente la regula dell’utilitas quale regola generale (§ 2) e un’eccezione alla stessa in tema di tutela, per cui il tutor risponde per dolo e per colpa nonostante il vantaggio sia del solo pupillo (§ 3); il § 4 tratta del carattere infamante della condanna del depositario, in contrapposizione al carattere non infamante di quella del comodatario; il § 5 concerne il diritto ad ottenere il rimborso dei cibaria, accordato al depositario, ma non al comodatario, salvo che per le spese necessarie; il § 6 verte sulla legittimazione attiva all’actio furti, riconosciuta solo al comodatario; infine, il § 7 conclude la disamina delle differentiae tra i due istituti illustrando il carattere in simplum della condanna del comodatario, a fronte di quella in duplum propria del cd. deposito necessario.
Orbene, una parte della dottrina ha osservato come il carattere digressivo dei paragrafi 2 e 3 mal si concilii entro il contesto espositivo del passo il quale, nei restanti paragrafi (1, 4, 5, 6, 7), enuncia cinque differentiae tra deposito e comodato, distribuendone una per paragrafo6. Tali considerazioni hanno indotto alcuni autori a ritenere che i §§ 2 e 3 non apparterrebbero al testo originale di Xxxxxxxxx, ma sarebbero stati inseriti successivamente dall’autore o dall’editore della Collatio7. Per contro, è stato più di recente, e condivisibilmente, sostenuto che non vi sono elementi sufficienti per provare che i paragrafi in questione costituiscano un’aggiunta posteriore8.
5 X. XXXXX, ‘Palingenesia iuris civilis’, I, Xxxxxxx, 0000, 702, nt. 2.
6 Cfr. C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 169 s.
7 In questo senso X. XXXXXX, Xxxxxxxx, cit., 347, secondo cui nel testo di Xxxxxxxxx il § 4 doveva seguire immediatamente il § 1.
8 Si veda ampiamente X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’: Modestino e Coll. 10.2, in
Xxxxx, X, 0000, 92 ss.
Volendo ora soffermarsi sulla parte del testo che ai nostri fini maggiormente interessa, ossia i §§ 1 e 2, da essi emerge che la diversa responsabilità (per dolo o per colpa) del debitore inadempiente è collegata al quantum di utilità, cioè al vantaggio, che egli trae dal contratto. Con la conseguenza che il debitore sarà chiamato a rispondere per dolo e colpa se riceve un vantaggio dal contratto (come accade nel comodato), viceversa, laddove egli non ricavi alcuna utilità dal contratto (come nel deposito), sarà chiamato a rispondere solo per dolo.
In altri termini, l’utilitas assurge a regula da tenere sempre presente quando si discorre di responsabilità – infatti, in ceteris quoque partibus iuris ista regula custoditur (§ 2) e, quindi, il suo ambito di operatività si estende anche al di là dei contratti reali di deposito e comodato con riferimento ai quali essa è stata, poco sopra, enunciata, ma pur sempre, a mio avviso, entro rapporti obbligatori a titolo gratuito9 – cosicché la sua ravvisabilità nella fattispecie concreta è in grado di comportare un aggravamento della responsabilità del debitore.
1.1. Segue: e le problematiche ad essa connesse.
Ebbene, il passo della Collatio in esame – il quale, per usare le parole di Xxxxxxx, «ha sempre lasciato perplessi gli esegeti, ed ha dettato pagine di letteratura che a loro volta lasciano perplessi i lettori»10 – apre una serie di dubbi interpretativi.
In primo luogo, un problema assolutamente fondamentale, dal quale non si può prescindere, e nell’ambito del quale la discussione è ancora aperta, è quello relativo all’autenticità del testo, in particolare dei §§ 1-3. Il distacco dell’excursus
9 Come osservato da X. XXXXXXXX, Il socio d’opera, cit., 223 s., l’uso dell’indefinito ceterae consente di ritenere che l’idea dell’autore della Collatio fosse quella di estendere l’operatività del criterio dell’utilitas contrahentium a tutte le parti rimanenti del diritto, ossia anche al di là dei contratti di deposito e comodato. In senso contrario all’onnicomprensività di ceterae si veda X. XXXXX, La responsabilità del creditore pignoratizio nel diritto romano classico, in Studi in onore di X. Xxxxxxxx, IV, Milano, 1983, 615, nt. 108. X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 107 ss., identifica le altre parti del diritto con i contratti in generale. Sottolinea, in maniera condivisibile, X. XXXXX, Spunti, cit., 454, che il richiamo alle altre parti del diritto non vuole significare che in tutti i contratti gli unici criteri di imputazione della responsabilità fossero il dolo e la colpa. Si tenga presente, infatti, l’insegnamento di D. 50.17.1 (Xxxx. 16 ad Plaut.): […] non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat […].
10 Cfr. C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 156.
di Modestino dall’orientamento classico, per quanto concerne il ruolo fondamentale riservato alla culpa, infatti, ha indotto taluni a dubitare della sua genuinità. Così, la dottrina maggioritaria reputa il passo significativamente ‘ritoccato’ dall’autore della Collatio, il quale avrebbe eliminato il riferimento alla custodia, ritenendola compresa nella colpa11. Al contrario, vi è chi ne difende la sostanziale genuinità12.
L’importanza della problematica in esame è evidente: l’adesione a una tesi piuttosto che all’altra, infatti, determina una diversa presa di posizione circa l’attribuibilità o meno a Modestino della paternità del frammento e, conseguentemente, la possibilità di collocare già in età classica, anziché in quella postclassica, l’affermarsi della culpa quale criterio diretto di imputazione della responsabilità, in cui resterebbe assorbita la custodia. L’excursus di Xxxxxxxxx, indicando unicamente il dolo e la colpa quali criteri di imputazione della responsabilità del debitore, viene infatti considerato quale testimonianza del passaggio dall’impostazione della responsabilità contrattuale in termini oggettivi alla sua considerazione in termini soggettivi13.
In secondo luogo, nel testo della Collatio i criteri di imputazione della responsabilità risultano essere ancorati a uno schema binario (dolo-colpa), laddove, invece, a ben vedere, l’applicazione della regula dell’utilitas contrahentium dovrebbe comportare l’adozione di uno schema ternario, a seconda
11 Si veda C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 170 s. Anche X. XXXXXXX- XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 54 s., sembra escludere l’autenticità del brano, evidenziando tuttavia come nulla possa affermarsi di preciso sul punto.
12 Cfr. F.M. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 313, il quale evidenzia che il pensiero di Xxxxxxxxx al riguardo trova piena rispondenza nelle costituzioni imperiali del suo tempo. A queste ultime conclusioni era giunto anche X. XXXXXXXX, La genèse du Digeste, du Code et des Institutes de Xxxxxxxxx, Paris, 1952, 135 e 143 ss., il quale aveva ritenuto il passo assolutamente genuino sul presupposto che la Collatio abbia conservato i testi nella loro versione pura, nonché X. XXXXXXXXX, voce Comodato, cit., 989 s., il quale esclude che il testo in esame abbia subito alterazioni, tanto ad opera dell’autore della Collatio, quanto in età posteriore.
13 Per un quadro sul dibattito dottrinale riguardante la configurazione della responsabilità contrattuale nel diritto romano classico in termini oggettivi ovvero soggettivi, si veda C.A. XXXXXXX, Una casistica della colpa, cit., 413 ss.; X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’ e la responsabilità contrattuale in diritto romano (II sec. a.C. - II sec. d.C.), Milano, 1995, 29 ss.; X. XXXXXX, Responsabilité objective et subjective en droit romain. Questions de terminologie et de méthode, in TR, LVIII, 1990, 345 ss., il quale sottolinea la necessità, per meglio intendere le fonti romane, di un superamento dell’antinomia concettuale tra responsabilità oggettiva e soggettiva. Si veda, inoltre, sul punto F.M. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 319 s.
che l’utilitas sia esclusivamente del debitore, del creditore, ovvero di entrambe le parti14. Tuttavia, è discusso in dottrina se lo schema ternario sia stato conosciuto nella storia del diritto romano e qui si innesta, dunque, un’ulteriore divergenza di opinioni tra chi risponde in senso affermativo alla questione15 e coloro che propendono, invece, per uno schema binario16.
Un ulteriore nodo problematico è quello relativo all’ambito di applicazione (originario e successivo) dell’utilitas quale giustificazione della regula di cui il passo è testimonianza, che vede contrapporsi, da un lato, la tesi che propende per una portata illimitata della stessa17, dall’altro, la tesi di coloro per i quali il criterio dell’utilitas contrahentium, avendo tratto la sua origine dalla comparazione tra deposito e comodato, sembra genuino solo nel confronto tra queste due tipologie contrattuali18.
Infine, si noti fin d’ora la singolarità dell’affermazione – che balza agli occhi come uno sproposito, e sulla quale ci si soffermerà più approfonditamente nel § 3
– per cui nell’ambito del comodato utriusque contrahentis utilitas intervenit,
14 Cfr. X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 310 ss.
15 Si veda C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 160 ss., il quale ha ravvisato lo schema ternario in D. 13.6.5.2-3.
16 In tal senso X. XXXXXXX-XXXX, La società, cit., 189 s., secondo cui l’applicazione dell’utilitas contrahentium comporterebbe una responsabilità per dolo nei contratti in cui il vantaggio è esclusivamente del creditore, e una responsabilità per colpa nei contratti in cui il vantaggio è del debitore, nonché nei contratti a titolo oneroso, e X. XXXXXX, Gratuité, cit., 336 ss., per il quale, essendo l’utilitas un principio classico applicato soltanto ai contratti gratuiti, un sistema binario per l’imputazione della responsabilità – dolo e custodia, ovvero dolo e colpa – doveva essere sufficiente. Secondo l’autore, l’inadeguatezza di tale sistema si sarebbe manifestata con il tentativo dei compilatori giustinianei di estendere l’applicazione del principio ai contratti a titolo oneroso.
00 Xxx. X. XXXXXX, Xxx Utilitätsprinzip, cit., 235 ss., che, tuttavia, sembra ‘correggere il tiro’ negli studi successivi: ID., Die Konträrklagen und das Utilitätsprinzip, cit., 73 ss., e ID., Die Haftung für Verschulden, cit., 172 ss.; X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 133 ss., che considera i contratti di deposito e comodato quali punti di partenza per l’applicazione della regola sulla responsabilità e vede nell’utilitas il principio elaborato dai giuristi per estendere la regola anche oltre quei confini.
18 In tal senso X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 54. Si vedano anche X. XXXXXXX, Contributi, cit., 96; X. XXXXX, ‘Obligatio’, ‘obligare’, ‘obligari’ nei testi della giurisprudenza classica e del tempo di Xxxxxxxxxxx, in Studi in onore di X. Xxxxxxxx, XXX, Xxxxxx, 0000, 523, nt. 77; X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 70 ss., che sottolinea l’originaria connessione della regula con la responsabilità per custodia; X. XXXXXX, Xxxxxxxx, cit., 342, secondo cui la «théorie de l’utilité» fino al III sec. d.C. era applicata solo ai contratti gratuiti e, forse, solo ad alcuni di essi; X. XXXXX, Das römische Privatrecht, cit., 512.
attraverso la quale si giustifica l’estensione della responsabilità del comodatario alla colpa.
2. Il canone dell’‘utilitas’ in D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.).
Al fine di meglio comprendere il testo della Collatio sopra riportato, nonché di cogliere le possibili dissonanze in esso presenti, tali da svelare eventuali interventi (postclassici) manipolativi del passo di Modestino ivi contenuto, risulta indispensabile una sua comparazione con il seguente passo ulpianeo, tratto dai commentari ad edictum:
D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.): nunc videndum est, quid veniat in commodati actione, utrum dolus an et culpa an vero et omne periculum. Et quidem in contractibus interdum dolum solum, interdum et culpam praestamus: dolum in deposito: nam quia nulla utilitas eius versatur apud quem deponitur, merito dolus praestatur solus: nisi forte et merces accessit (tunc enim, ut est et constitutum, etiam culpa exhibetur) aut si hoc ab initio convenit, ut et culpam et periculum praestet is penes quem deponitur. Sed ubi utriusque utilitas vertitur, ut in empto, ut in locato, ut in dote, ut in pignore, ut in societate, et dolus et culpa praestatur.
3. Commodatum autem plerumque solam utilitatem continet eius cui commodatur, et ideo verior est Quinti Mucii sententia existimantis et culpam praestandam et diligentiam et, si forte res aestimata data sit, omne periculum praestandum ab eo, qui aestimationem se praestaturum recepit.
Il passo, che tratta della responsabilità del comodatario, è incentrato sul principio di utilità, ossia sulla considerazione dell’interesse delle parti al contratto, e mostra chiaramente (§ 3) che la situazione normale (plerumque) nel comodato è quella in cui il contratto sia concluso nell’interesse del solo comodatario (solam utilitatem continet eius cui commodatur). Ulpiano, quindi, risolve il problema della responsabilità del comodatario, prospettato in apertura (§ 2), aderendo all’opinione del giurista repubblicano Xxxxxx Xxxxx, il quale nella sua sententia
avrebbe indicato culpa et diligentia come normali contenuti del praestare del comodatario19.
In particolare, nel § 2, il giurista xxxxxxxxx individua due fondamentali criteri di imputazione della responsabilità sulla base della specifica articolazione, nei diversi assetti negoziali, dell’utilitas contrahentium: dolo e colpa; criteri surrogabili, in particolari ipotesi (deroga convenzionale: § 2; res aestimata: § 3), dal periculum.
Xxxxxx, il § 2 non appare in realtà genuino, sia nella parte in cui prevede la possibilità per i contraenti di pattuire un compenso per il depositario, il quale verrebbe perciò a rispondere anche per colpa, in quanto se così fosse non si avrebbe più deposito ma locazione20; sia in merito alla precisazione per cui la responsabilità del depositario potrebbe essere estesa fino alla culpa o anche al periculum mediante un patto aggiunto, la quale precisazione appare difficilmente attribuibile ad Ulpiano, in quanto «una tale variazione nel regime della
19 Sul rapporto tra regola ulpianea e sententia muciana si veda X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 189 ss., che reputa genuino il richiamo a culpam et diligentiam nella sententia del giurista repubblicano; in tal senso già X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 213, il quale – muovendo dalla pretesa derivazione del comodato dalla fiducia – ritiene che Xxxxxx Xxxxx avrebbe esaminato il rapporto tra comodatario e comodante non dal punto di vista dell’utilità contrattuale, ma da quello dell’obbligo fiduciario che imponeva sia di non tenere atteggiamenti negativi (culpa), sia di impegnarsi per la realizzazione degli scopi contrattuali (diligentia) sui quali il comodante aveva fatto affidamento. In senso opposto G.I. LUZZATTO, Caso fortuito e forza maggiore come limite alla responsabilità contrattuale, I. La responsabilità per custodia, Milano, 1938, 82 ss.; X. XXXXX, ‘Periculum’. Problema del rischio contrattuale in diritto romano classico e giustinianeo, in Studi in onore di X. xx Xxxxxxxxx, X, Xxxxxx, 0000, 150; ID., Imputabilità, cit., 84;
F. PASTORI, Il commodato in diritto romano, Milano, 1995, 315; e, da ultimo, X. XXXXX, Spunti, cit., 466, per i quali è da sostituire custodiam a culpam et diligentiam.
20 Sul punto C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 160, il quale evidenzia come questa parte della frase contenga un «banale errore», infatti, «si merces accessit ad un deposito, il contratto non sarebbe più deposito ma locatio». Si vedano, per i sospetti di interpolazione relativi all’inciso nisi forte - deponitur, X. XXXXXXXXXX, Studi di diritto romano, IV, Milano, 1946, 251; X. XXXXX, Sull’età dei giudizii di buona fede, cit., 78, nt. 32; X. XXXX, Weströmischen Vulgarrecht. Das Obligationenrecht, Weimar, 1956, 173 s.; X. XXXXXX, Gratuité, cit., 62 ss.; X. XXXXXX, voce Deposito, cit., 215, per il quale «la seconda parte del passo, da nisi forte et merces accessit è una sicura interpolazione compilatoria»; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 173, il quale denuncia l’innegabile disorganicità e incompletezza della versione compilatoria; X. XXXXX, La definizione della ‘locatio conductio’. Giurisprudenza romana e tradizione romanistica, Napoli, 1999, 274; A. METRO, La plurisecolare vicenda del deposito retribuito, in Studi in onore di X. Xxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 796. La dottrina prevalente è, dunque, dell’avviso di considerare alterata questa parte del testo. Solo nel diritto giustinianeo, infatti, l’elemento della gratuità cessa di essere considerato come essenziale al deposito e si arriva ad ammettere la validità della convenzione in forza della quale il deponente si impegni a versare al depositario un modico compenso.
responsabilità non obbedisce alla legge dell’‘Utilitätsprinzip’»21, su cui il passo ulpianeo in questione è incentrato.
Si reputa, poi, non genuina la locuzione in contractibus, sul presupposto che, tanto qui come in D. 50.17.23, dello stesso Xxxxxxx, invece di contractus si parlasse di xxxxxxx00.
Infine, anche l’elenco ut in empto, ut in locato, ut in dote, ut in pignore, ut in societate sarebbe da considerare senz’altro compilatorio23.
Nel § 3, sulla scia di Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx sviluppa l’analisi della responsabilità contrattuale con specifico riguardo all’actio commodati. Il paragrafo è molto significativo ai nostri fini sotto diversi profili.
Anzitutto, esso attesta il ruolo parametrico svolto dall’actio commodati nella riflessione giurisprudenziale sulla responsabilità contrattuale24.
In secondo luogo, il frammento consente di ricondurre al pensiero di Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx l’origine di un orientamento giurisprudenziale consolidatosi al tempo di Ulpiano, circostanza quest’ultima che sarebbe desumibile dall’espressione verior est25.
Inoltre, la citazione di Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx prova che le linee essenziali della responsabilità del comodatario erano state tracciate ancor prima della concessione dell’actio in ius26.
Infine, il brano attesterebbe che la responsabilità del comodatario è sempre stata, sin dagli inizi, ancorata a criteri soggettivi di imputazione: dolo, colpa, assunzione pattizia del rischio27.
21 Così C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 160. Giudica la «precisazione piuttosto sproporzionata rispetto al tutto» P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 173. Dubita della classicità dei testi contenuti nel Digesto nei quali, in tema di deposito, si fa riferimento alla culpa, tra cui appunto D. 13.6.5.2, X. XXXXXXX, Di un discusso riferimento alla ‘culpa’ in tema di deposito, in Atti del seminario sulla problematica contrattuale in diritto romano (Milano, 7-9 aprile 1987), I, Milano, 1988, 210.
22 Si veda, in tal senso, X. XXXXX, Sull’età dei giudizii di buona fede, cit., 77, nt. 31.
00 Xxx. X. XXXXXXXXXX, Studi di diritto romano, cit., 251; X. XXXXX, Sull’età dei giudizii di buona fede, cit., 76 ss.
24 X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 168 ss.
25 In questo senso X. XXXXXX, Xx comodato, cit., 322; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 140.
26 Così X. XXXXXX, Il comodato, cit., 322.
27 X. XXXXXX, Il comodato, cit., 322.
3. D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.) e Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.): maestro e allievo a confronto.
Ebbene D. 13.6.5.2-3, sopra esaminato, doveva essere senz’altro conosciuto da Xxxxxxxxx, allievo di Xxxxxxx, motivo per cui risulterebbe inspiegabile che il giurista, in Coll. 10.2.1, abbia potuto giustificare l’estensione della responsabilità del comodatario alla colpa – rispetto alla responsabilità per il solo dolo del depositario – facendo leva sul fatto che nel comodato utriusque contrahentis utilitas intervenit. È fuor di dubbio, allora, che si sia in presenza di una forzatura, che porta a una falsa affermazione. Caratteristica peculiare del contratto di comodato, infatti, è il fatto di essere concluso gratuitamente a favore del comodatario, senza che sia ravvisabile un interesse del comodante, salvo alcuni casi eccezionali, menzionati in D. 13.6.5.10 (Ulp. 28 ad ed.)28 e in D. 13.6.18 pr. (Gai 9 ad ed. prov.)29, in cui può sussistere un interesse di quest’ultimo.
Per tale ragione, la dottrina pressoché unanime concorda nel ritenere che il passo di Xxxxxxxxx abbia subito un’alterazione ad opera dell’autore della Collatio30.
28 Su D. 13.6.5.10 (Ulp. 28 ad ed.): interdum plane dolum solum in re commodata qui rogavit praestabit, ut puta si quis ita convenit: vel si sua dumtaxat causa commodavit, sponsae forte suae vel uxori, quo honestius culta ad se deduceretur, vel si quis ludos edens praetor scaenicis commodavit, vel ipsi praetori quis ultro commodavit, si vedano X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 78 ss.; X. XXXXX, Imputabilità, cit., 87 ss.; X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 216 ss. Sono tre le fattispecie descritte nel passo, nelle quali la responsabilità del comodatario è limitata al dolo, in considerazione del fatto che la res è stata comodata nell’esclusivo interesse del comodante: quella del prestito alla fidanzata o alla moglie perché si rechi più elegante dal futuro sposo o dal marito/comodante; quella del prestito fatto dal pretore, che stia organizzando una rappresentazione, a degli attori; quella del prestito fatto da un terzo al pretore al medesimo scopo.
29 D. 13.6.18 pr. (Gai 9 ad ed. prov.): […] haec ita, si dumtaxat accipientis gratia commodata sit res, at si utriusque, veluti si communem amicum ad cenam invitaverimus tuque eius rei curam suscepisses et ego tibi argentum commodaverim, scriptum quidem apud quosdam invenio, quasi dolum tantum praestare debeas […], su cui infra, cap. IV, § 3.
30 Sul punto X. XXXXXXX, Textkritische Studien zum römischen Obligationenrecht, I. Über die Haftung für ‘custodia’, II. ‘Periculum est emptoris’, in ZSS, XL, 1919, 222; X. XXXXXXX, Recensione a F. PASTORI, Il commodato nel diritto romano, in Iura, VI, 1955, 264; X. XXXX, Weströmisches Vulgarrecht, cit., 163; X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 92 s.;
X. XXXXX, Imputabilità, cit., 58; C.A. MASCHI, La categoria dei contratti reali, cit., 181; F. PASTORI, Xxxxxxxxx, cit., 305; C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 156; X. XXXXX, Spunti, cit., 448; X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 101. In senso contrario X. XXXXXXX, Contributi, cit., 96, che imputa allo stesso Xxxxxxxxx un’inadeguata formulazione del suo pensiero. P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 135, propone di inserire in Coll. 10.2.1 tra quia e
L’interpolazione subita da Coll. 10.2.1, sopra evidenziata, è stata variamente spiegata.
Così, secondo Xxxxxxx, nell’impianto originario del testo, l’inciso di Xxxxxxxxx avrebbe fatto riferimento alla specifica ipotesi del comodato concluso nell’interesse di entrambi i contraenti. Il compilatore della Collatio, dunque, avrebbe estrapolato l’inciso, generalizzandolo31.
Per Xxxxxxx, invece, essa deriverebbe dall’incompresa autonomia della custodia, quale criterio di valutazione della responsabilità del comodatario, da parte dell’autore della Collatio. Quest’ultimo avrebbe eliminato dall’enunciato di Xxxxxxxxx il riferimento alla custodia – originariamente menzionata non solo nel testo della Collatio, ma anche nel passo ulpianeo D. 13.6.5.2-3, a sua volta interpolato – ritenendola compresa nella culpa. A questo punto, stabilito che il comodatario risponde per dolo e colpa, posto che per il principio dell’utilitas si incorre nella responsabilità per dolo e colpa se l’interesse è distribuito tra le parti, ne deriva che il comodato rientra in questo genere di contratti, nei quali utriusque contrahentis utilitas intervenit32.
A mio avviso, l’incongruenza dell’affermazione contenuta nel passo in esame sottende l’incomprensione del criterio dell’utilitas da parte dell’autore della Collatio. E ciò potrebbe leggersi a favore della tesi per cui l’utilitas sarebbe una regola largamente applicata dalla giurisprudenza classica – ma già conosciuta dai giuristi della tarda repubblica, come Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, il cui pensiero è riportato da Xxxxxxx in D. 13.6.5.3 – la cui enunciazione compiuta, come vedremo, è destinata progressivamente a dissolversi nelle epoche successive33.
utriusque le parole vel solius accipientis vel, al fine di integrare quella che ritiene essere una lacuna del passo.
31 Cfr. F. PASTORI, Commodato, cit., 306 ss.
32 Si veda C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 169 ss. In senso critico X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 103, nt. 62.
33 Il fatto che il criterio dell’utilitas contrahentium sia ricordato nelle Istituzioni di Xxxxxxxxxxx in via del tutto incidentale in un solo passaggio, relativo al pignus – si tratta di I. 3.14.4: creditor quoque qui pignus accepit re obligatur, qui et ipse de ea ipsa re quam accepit restituenda tenetur actione pigneraticia. Sed quia pignus utriusque gratia datur, et debitoris, quo magis ei pecunia crederetur, et creditoris, quo magis ei in tuto sit creditum, placuit sufficere, quod ad eam rem custodiendam exactam diligentiam adhiberet: quam si praestiterit et aliquo fortuito casu rem amiserit, securum esse nec impediri creditum petere –, unitamente alla mancanza di qualsivoglia riferimento al medesimo in D. 50.17.23, su cui infra, § 8, sono stati interpretati come sintomi del
Ciò si spiegherebbe con il venir meno della necessità di questo criterio sostanziale, da mettere in relazione all’emersione, sul piano processuale, dei giudizi di buona fede.
4. Segue: divergenze tra D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.) e Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.).
Tra il testo di Xxxxxxx e quello di Xxxxxxxxx sussiste una significativa divergenza di fondo, consistente nella diversa ispirazione che guida le relative opere dei giuristi: quella di Xxxxxxxxx è volta a evidenziare le differenze tra singoli rapporti obbligatori, quella di Xxxxxxx, invece, è un commento del testo edittale.
In particolare, D. 13.6.5.2 costituisce una digressione di carattere generale con cui Xxxxxxx dava inizio al commento dell’intentio della formula in ius, di buona fede, dell’actio commodati34. Mentre, allora, nel brano di Xxxxxxxxx è
«l’enunciazione del criterio dell’utilitas contrahentium tra comodatario o depositario del § 1 a fungere da modello della “regula”», nel testo ulpianeo l’utilitas contrahentium è il criterio che regge l’impianto classificatorio dei contractus35.
Proprio il carattere flessibile della buona fede, capace di definire di volta in volta in ciascun rapporto la struttura negoziale e di configurare la responsabilità dei contraenti36, consentiva ai prudentes di graduare diversamente la misura della responsabilità delle parti, pur in relazione al medesimo tipo contrattuale, qualora ovviamente il criterio dell’utilitas giustificasse la diversa soluzione. E questo è per l’appunto il caso del comodato il quale talvolta poteva essere concluso nel prevalente o addirittura unico interesse del comodante, con la conseguenza che la
disinteresse dei compilatori giustinianei per l’utilitas. Sul punto X. XXXXXX, Xxxxxxxx, cit., 351 s.; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 173 ss.; X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 287.
34 Questa la supposizione di X. XXXXX, ‘Palingenesia’, II, cit., 580, nt. 6.
00 Xxx. X. XXXXXXXX, Xx socio d’opera, cit., 226; condivide tale assunto X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 107.
36 Sul ruolo rivestito dalla fides bona nell’elaborazione giurisprudenziale dei criteri di responsabilità per inadempimento si vedano X. XXXXXX, ‘Fides bona’, cit., 12 ss., nonché, più di recente, X . XXXXXXXX, ‘Fides bona’ e ‘societas’, cit., 373 e nt. 44.
responsabilità del comodatario, invece che essere estesa alla custodia, rimaneva circoscritta al solo dolo37. Ciò accadeva ad esempio, stando a D. 13.6.5.10, nel caso in cui il comodante avesse dato in prestito alcunché alla sua promessa sposa, affinché questa gli fosse condotta in casa adornata con maggior dignità, o nel caso in cui il pretore, allestendo dei giochi, avesse prestato qualcosa a degli attori, per rendere più decorosa la scena e più apprezzabile la rappresentazione38; o ancora, come emerge da D. 13.6.18 pr., qualora fosse stata comodata dell’argenteria per una cena a cui avrebbe preso parte un amico comune al comodante e al comodatario39.
Del resto, come già si è avuto modo di evidenziare40, il canone dell’utilitas contrahentium, per poter sfociare nell’individuazione del criterio di imputazione della responsabilità da applicare al caso concreto, imponeva di considerare la vicenda contrattuale nella sua globalità. Si trattava, cioè, di un canone che, lungi dal limitare l’indagine a quello che viene tuttora chiamato l’elemento obbligante, ossia alla consegna della cosa, «costringeva ad allargare l’orizzonte dell’analisi, così da comprendervi l’accordo che vivificava la consegna stessa, dandole un senso»41. Dunque, con riferimento al comodato, era l’accordo che sorreggeva la consegna della cosa dal comodante al comodatario a giustificare, sulla scorta del principio dell’utilitas contrahentium, la responsabilità per custodia del comodatario. Se quest’ultimo, nei casi eccezionali contemplati in D. 13.6.5.10, era tenuto nei limiti del dolo, «ciò dipendeva dal peso decisivo attribuito da Xxxxxxx, autore del frammento, all’accordo intervenuto con il comodante […] desumendosi da esso, ovvero […] dall’assetto di interessi perseguito dalle parti e rischiarato dall’accordo, che il comodato andava a vantaggio del comodante»42.
Un’analoga considerazione dell’accordo delle parti alla base della consegna della res si aveva nel deposito: se, in base al principio dell’utilitas contrahentium,
37 Così X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 284. Sul punto, inoltre, X. XXXXX,
Imputabilità, cit., 75.
38 Cfr. X. XXXXX, Imputabilità, cit., 75 s. Su D. 13.6.5.10 si veda supra, § 3, nt. 28.
39 Su D. 13.6.18 pr. si veda supra, § 3, nonché infra, cap. IV, § 3.
40 Si veda supra, cap. I, § 5.
41 Così X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 37.
42 X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 37 s.
si può sostenere che il depositario rispondeva per dolo perché non riceveva alcun vantaggio dal contratto, ciò implica che «si guardava ben oltre l’elemento obbligante, fino a raggiungere l’accordo, idoneo a illuminare la ragione della consegna della cosa, fatta appunto dal depositante al depositario perché costui la custodisse gratuitamente e temporaneamente nell’interesse del primo»43.
Si noti, infine, come il discorso sulla responsabilità, nei due passi a confronto, si ponga su piani differenti, atteso che il brano di Xxxxxxxxx si riferirebbe ai iudicia e non ai contractus44. Come abbiamo già visto, e si avrà modo di precisarlo ulteriormente nel prosieguo, del resto, tutti i rapporti, non solo i contratti, di cui le fonti conservano una traccia dell’applicazione dell’utilitas rientrano nel novero dei iudicia bonae fidei.
È stato notato che proprio la mancanza di omogeneità tra il passo di Modestino, che fa riferimento ai iudicia, e quello di Xxxxxxx, che parla di contractus, renderebbe più evidente l’esistenza di una regula in età severiana45.
5. Segue: e analogie. A) I criteri di imputazione della responsabilità del comodatario in D. 13.6.5.2-3 (Ulp. 28 ad ed.) e in Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.).
È interessante notare che sia Coll. 10.2.1 che D. 13.6.5.3, prevedono una responsabilità del comodatario per dolo e colpa – affiancata quest’ultima dalla diligentia nel passo ulpianeo – senza menzionare la custodia. Ciò risulta essere quanto meno strano dal momento che, essendo Xxxxxxxxx e Xxxxxxx due giuristi classici, ci si attenderebbe indicato nella custodia, anziché nella colpa, il criterio di imputazione della responsabilità del comodatario, in conformità con il rilievo che in età classica viene attribuito alla custodia quale forma di negligenza obiettivamente valutata, che prescinde da un’indagine soggettiva della
43 X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 37.
44 X. XXXXX, Spunti, cit., 447 s., tuttavia, sottolinea che in Coll. 10.2.1-3 il giurista oscilla tra la prospettiva processuale e il piano sostanziale.
45 Così X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 114 ss.
responsabilità46. Anche su questo punto, pertanto, si è ingenerato un dibattito dottrinale che, ancora una volta, non ha raggiunto una soluzione univoca.
Così, se da un lato la sussunzione della custodia nella diligentia exactissima in custodiendo è considerata opera dei giustinianei47, o delle scuole postclassiche48, dall’altro non si esclude che la reinterpretazione della custodia in termini di diligentia in custodiendo possa essere attribuita alla giurisprudenza tardoclassica, lasciando aperta la possibilità che lo stesso Xxxxxxxxx abbia sostituito la menzione della culpa a quella della custodia49.
La difficoltà è essenzialmente quella di individuare le linee evolutive che dal factum debitoris, ampliato in prosieguo di tempo ai parametri del dolo e della custodia, hanno condotto al sistema giustinianeo fondato sulla culpa/neglegentia quale figura paradigmatica di responsabilità50.
Il passaggio dalla regola classica della fattispecie dell’inadempimento al sistema di attribuzione della responsabilità recepito da Xxxxxxxxxxx è stato avvertito in dottrina come una frattura, che spezza la continuità evolutiva della
46 Si vedano, per tutti, X. XXXXXX, ‘Diligentia’, cit., 266 ss.; G.I. LUZZATTO, Spunti critici in tema di responsabilità contrattuale, in BIDR, LXIII, 1960, 47 ss.; X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 92 ss.; X. XXXXXXXXX, voce ‘Custodia’, cit., 562.
47 Cfr. F. XXXXXXX, Xxxxxxxxx, cit., 280 ss.; ID., Il commodato, cit., 207 ss.
48 Cfr. X. XXXXXXX, Recensione a F. XXXXXXX, Il commodato, cit., 263 s.; X. XXXXXX, ‘Diligentia’, cit., 270 ss.; X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 92 ss.; X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 97 ss.; A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 150 ss.; ID., ‘Custodiam prestare’, in Labeo, XIII, 1967, 60 ss.; X. XXXXXXXX, Recensione a X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’ in D. 50.17.23. Ricerche sulla responsabilità contrattuale, in ZSS, CV, 1988, 870; C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 80 s. e 156 ss.
49 Così X. XXXXXXXXXX, ‘Custodia’ and ‘culpa’, in ZSS, LXXXIX, 1972, 206 s.; C.M. XXXXXXX, Studi, cit., 286; X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 220; ID., Criteri di imputazione della responsabilità contrattuale e ‘bona fides’: brevi riflessioni sulle fonti romane e sul codice civile italiano, in Studi in onore di X. Xxxxxxxx, VI, 1989, 314. Sul punto anche X. XXXXXXXXX, voce Comodato, cit., 988, secondo il quale la responsabilità per colpa risale già all’epoca classica. Essa sarebbe stata delineata dalla giurisprudenza a fronte della formula in ius di buona fede, laddove la responsabilità per custodia sarebbe stata in armonia solo con la formula in factum. L’autore, dunque, individua, per lo stesso contratto, due tipi di responsabilità in connessione con la duplicità della formula. In tal senso altresì X.X. XXXXXXX, Une opposition peu connue entre Xxxxxxxxx et Xxxxxxxxxx, in Studi in onore di X. Xxxxx, III, Milano, 1962, 293 ss., il quale, notando la coincidenza tra Coll. 10.2.1 e D. 13.6.5.3 quanto ai criteri di imputazione della responsabilità del comodatario, ritiene poco interessante il dibattito intorno all’utriusque contrahentis utilitas.
50 Così I. DE FALCO, ‘Diligentiam praestare’. Ricerche sull’emersione dell’inadempimento colposo delle ‘obligationes’, Napoli, 1991, 13 s.
materia51. Questa tesi trae argomenti, ritenuti decisivi, nell’assunto per il quale le uniche figure di responsabilità esistite in diritto classico sarebbero state il dolo e la custodia, a nulla rilevando, ai fini del superamento di tale binomio, l’esistenza del criterio normativo della bona fides quale fondamento di una vasta categoria di azioni, posto che la buona fede non sarebbe altro che l’esatta antitesi del dolo52.
Al contrario, vi è chi ritiene che D. 13.6.5.3 rappresenti la prova che la responsabilità del comodatario è sempre stata, sin dagli inizi, inequivocabilmente ancorata a criteri soggettivi d’imputazione: dolo, colpa, assunzione pattizia del rischio53.
Secondo l’impostazione da ultimo illustrata – la quale valorizza, anziché ritenerli interpolati, i riferimenti alla diligenza nella custodia di cui sono pervasi i frammenti D. 13.6.5.2-1054 – si potrebbe allora affermare che, anche in diritto
51 In questo senso I. DE FALCO, ‘Diligentiam praestare’, cit., 13 s.
52 Si xxxxxx X. XXXXXX, voce Buona fede (dir. rom.), in Enc. dir., V, Milano, 1959, 663; F. CASAVOLA, voce Dolo, cit., 148 s.; G.I. LUZZATTO, Spunti, cit., 117 s.; X. XXXXXXX-XXXX,
Responsabilità contrattuale, cit., 34 ss.
53 X. XXXXXX, Il comodato, cit., 322.
54 D. 13.6.5.2-10 (Ulp. 28 ad ed.): nunc videndum est, quid veniat in commodati actione, utrum dolus an et culpa an vero et omne periculum. Et quidem in contractibus interdum dolum solum, interdum et culpam praestamus: dolum in deposito: nam quia nulla utilitas eius versatur apud quem deponitur, merito dolus praestatur solus: nisi forte et merces accessit ( tunc enim, ut est et constitutum, etiam culpa exhibetur) aut si hoc ab initio convenit, ut et culpam et periculum praestet is penes quem deponitur. Sed ubi utriusque utilitas vertitur, ut in empto, ut in locato, ut in dote, ut in pignore, ut in societate, et dolus et culpa praestatur. 3. Commodatum autem plerumque solam utilitatem continet eius cui commodatur, et ideo verior est quinti mucii sententia existimantis et culpam praestandam et diligentiam et, si forte res aestimata data sit, omne periculum praestandum ab eo, qui aestimationem se praestaturum recepit. 4. Quod vero senectute contigit vel morbo, vel vi latronum ereptum est, aut quid simile accidit, dicendum est nihil eorum esse imputandum ei qui commodatum accepit, nisi aliqua culpa interveniat. Proinde et si incendio vel ruina aliquid contigit vel aliquid damnum fatale, non tenebitur, nisi forte, cum possit res commodatas salvas facere, suas praetulit. 5. Custodiam plane commodatae rei etiam diligentem debet praestare. 6. Sed an etiam hominis commodati custodia praestetur, apud veteres dubitatum est. nam interdum et hominis custodia praestanda est, si vinctus commodatus est, vel eius aetatis, ut custodia indigeret: certe si hoc actum est, ut custodiam is qui rogavit praestet, dicendum erit praestare. 7. Sed interdum et mortis damnum ad eum qui commodatum rogavit pertinet: nam si tibi equum commodavero, ut ad villam adduceres, tu ad bellum duxeris, commodati teneberis: idem erit et in homine. Plane si sic commodavi, ut ad bellum duceres, meum erit periculum. Nam et si servum tibi tectorem commodavero et de machina ceciderit, periculum meum esse namusa ait: sed ego ita hoc verum puto, si tibi commodavi, ut et in machina operaretur: ceterum si ut de plano opus faceret, tu eum imposuisti in machina, aut si machinae culpa factum minus diligenter non ab ipso ligatae vel funium perticarumque vetustate, dico periculum, quod culpa contigit rogantis commodatum, ipsum praestare debere: nam et xxxx scripsit, si servus lapidario commodatus sub machina perierit, teneri fabrum commodati, qui neglegentius machinam colligavit. 8. Quin immo et qui alias re commodata utitur, non solum commodati, verum furti quoque tenetur, ut iulianus libro undecimo digestorum scripsit. Denique ait, si tibi codicem
classico, l’espressione custodiam praestare non alluderebbe ad una forma di responsabilità oggettiva55, bensì ad una responsabilità soggettiva, fondata sulla culpa, derivante dalla mancata osservanza dell’obbligo di diligentia56.
Ebbene, senza addentrarci ulteriormente nella configurazione della custodia nel diritto classico e nei dubbi di interpolazione che i frammenti citati (D. 13.6.5.2-10) hanno destato, si noti piuttosto come in essi Ulpiano stia procedendo all’analisi della formula in ius57. Tale precisazione è tutt’altro che irrilevante, dal momento che da più parti in dottrina si è osservato che in Roma si cominciò a
commodavero et in eo chirographum debitorem tuum cavere feceris egoque hoc interlevero, si quidem ad hoc tibi commodavero, ut caveretur tibi in eo, teneri me tibi contrario iudicio: si minus neque me certiorasti ibi chirographum esse scriptum, etiam teneris mihi, inquit, commodati: immo, ait, etiam furti, quoniam aliter re commodata usus es, quemadmodum qui equo, inquit, vel vestimento aliter quam commodatum est utitur, furti tenetur. 9. Usque adeo autem diligentia in re commodata praestanda est, ut etiam in ea, quae sequitur rem commodatam, praestari debeat: ut puta equam tibi commodavi, quam pullus comitabatur: etiam pulli te custodiam praestare debere veteres responderunt. 10. Interdum plane dolum solum in re commodata qui rogavit praestabit, ut puta si quis ita convenit: vel si sua dumtaxat causa commodavit, sponsae forte suae vel uxori, quo honestius culta ad se deduceretur, vel si quis ludos edens praetor scaenicis commodavit, vel ipsi praetori quis ultro commodavit.
55 Per tutti, X. XXXXXX, ‘Diligentia’, cit., 266 ss.; G.I. LUZZATTO, Spunti, cit., 47 ss.; X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 62 ss.; X. XXXXXXXXX, voce ‘Custodia’, cit., 562; A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 96 ss. e 150 ss.; X. XXXXXXXX, Problemi della responsabilità contrattuale, in Atti del seminario sulla problematica contrattuale in diritto romano (Milano, 7-9 aprile 1987), I, Milano, 1988, 89 ss.
56 Così X. XXXXXX, Il comodato, cit., 324. Si vedano, inoltre, tra i suoi numerosi contributi, X. XXXXXXXXXX, ‘Custodia’ and ‘culpa’, cit., 149 ss.; ID., ‘Culpa’, in SDHI, XXXVIII, 1972, 123 ss.; ID., ‘Factum debitoris’ and ‘culpa debitoris’, in TR, XLI, 1973, 59 ss.; ID., ‘Periculum’, in ZSS, XCVI, 1979, 129 ss.; ID., ‘Dolus’ in Republican Law, in BIDR, LXXXVIII, 1985, 1 s.; ID.,
‘Dolus’ in the Law of the Early Classic Period, in XXXX, XXX, 0000, 236 ss.; ID., ‘Dolus’, ‘Culpa’, ‘Custodia’ and ‘Diligentia’. Criteria of Liability or Content of Obligation, in Index, XXII, 1994, 189 ss.; X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 218 ss.; X. XXXXXX, L’obligation xx xxxxx, xxx., 000 xx.; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 103 ss., secondo cui la considerazione della custodia nelle Istituzioni di Xxxx non è contrapposta a quella contenuta nelle Istituzioni di Xxxxxxxxxxx, e «solo per petizione di principio custodia denota responsabilità oggettiva: custodia è cura attenta, non responsabilità» (p. 104); X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 175, il quale, sulla scorta di D. 13.6.5.5, ritiene che il giurista xxxxxxxxx intenda il custodiam praestare come un praestare a cui l’uomo diligens non può sottrarsi. Prende le distanze da entrambe le impostazioni, precisando che un discorso sulla responsabilità basato sulle nozioni di responsabilità soggettiva e oggettiva risulta equivoco, C.A. XXXXXXX, Ricerche sulla responsabilità, cit., 17 ss.; ID., Per lo studio della responsabilità, cit., 7 ss.; ID., Una casistica della colpa, cit., 413 ss.; ID., Sul problema della responsabilità, cit., 68 ss.
57 X. XXXXX, Das ‘Edictum’, cit., 252 ss.; C.A. MASCHI, La categoria dei contratti reali, cit., 232 s.; C.M. TARDIVO, Studi, cit., 242 s.; X. XXXXXXXXX, Le formule, cit., 52, nt. 117; P. VOCI,
‘Diligentia’, cit., 172.
parlare di diligenza e colpa, per l’appunto, nell’ambito dei rapporti di buona fede58.
Proprio sulla scorta dell’analisi dell’evoluzione del concetto di fides, dapprima, e di bona fides poi59, quale criterio informativo dei iudicia bonae fidei, sono stati apportati alcuni correttivi alla teoria per cui le uniche figure di responsabilità esistite in diritto classico sarebbero state il dolo e la custodia, a nulla rilevando, ai fini del superamento di tale binomio, l’esistenza del criterio normativo della bona fides quale fondamento di una vasta categoria di azioni, posto che la buona fede non sarebbe altro che l’esatta antitesi del dolo60. Xxxxxxxx si è sostenuto che al factum debitoris, inteso come mera riconducibilità dell’evento all’agente61, si siano aggiunti già in età preclassica e classica non solo il dolo e la custodia, intesa quest’ultima quale tecnica responsabilità obiettiva62, ma anche una responsabilità per qualsiasi comportamento contrastante con il modello di contegno della persona corretta, espresso dalla clausola formulare quidquid dare facere oportere ex fide bona, riconducibile alla culpa/neglegentia63. Del resto, dal momento che la norma di diritto sostanziale si afferma quale risultato pratico della tutela processuale64, è indubitabile un’incidenza della bona fides nell’ambito dello sviluppo dei criteri della responsabilità: il iudex era tenuto a valutare il complessivo contegno delle parti, in particolare del convenuto, sanzionando i comportamenti contrari ai doveri di correttezza nell’assunzione e nell’adempimento delle obbligazioni. È stato, del pari, osservato che la costruzione del diritto romano fu essenzialmente opera dei giuristi, non dei giudici
58 Così I. DE FALCO, ‘Diligentiam praestare’, cit., 17 ss.; X. XXXXXX, Criteri di imputazione della responsabilità, cit., 314 ss.; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 76 ss.
59 Sul passaggio da fides a bona fides si vedano, per tutti, X. XXXXXXXX, Dalla ‘fides’ alla ‘bona fides’, Milano, 1961, passim; X. XXXXXX, A proposito di ‘fides’ e ‘bona fides’ come valore normativo in Roma nei rapporti dell’ordinamento interno e internazionale, in XXXX, XXXX, 0000, 297 ss.
60 Si veda supra, nt. 52.
61 Cfr. X. XXXXXXXXXX, ‘Culpa’, cit., 123 ss.; F. PASTORI, Il commodato, cit., 397 ss.
62 In senso contrario X. XXXXXX, L’obligation de garde, cit., passim; ID., Responsabilité objective, cit., 345 ss.; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 63.
63 In tal senso si vedano X. XX XXXXXXXX, A proposito della pretesa contrapposizione concettuale tra ‘dolus’ e ‘bona fides’, cit., 146 ss.; I. DE FALCO, ‘Diligentiam praestare’, cit., 17 ss.; X. XXXXXX, Criteri di imputazione della responsabilità, cit., 314 ss.
64 Per tutti X. XXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 273 ss.
delle azioni di buona fede. Questi ultimi, di per se stessi, non erano costruttori di novità e, pertanto, se l’opera dei giudici della procedura formulare seguì linee innovative e originali ciò dipese unicamente dal fatto che essi erano, insieme ai magistrati giusdicenti, istruiti e controllati dai giuristi65.
Ciò posto, si è affermato che «la molteplicità di colorazioni della fides, in relazione ai comportamenti ed alle attività negoziali, produce, in tema di obbligazioni, una progressiva specificazione degli obblighi, un delinearsi di modelli comportamentali»66, operando per il giudice come strumento di integrazione del diritto, per i privati come mezzo per colmare le lacune del regime contrattuale, in virtù del suo rendere giuridicamente riprovevoli condotte dettate da imperitia, neglegentia, imprudentia, ignorantia.
5.1. Segue: B) Il legame tra l’‘utilitas contrahentium’ e i ‘bonae fidei iudicia’.
Un’ulteriore analogia tra i due testi in esame è ravvisabile nel fatto che, a ben vedere, i rapporti obbligatori elencati in Coll. 10.2.1-3 e in D. 13.6.5.2-3 danno tutti luogo a giudizi di buona fede, ragion per cui ci si è chiesti se l’utilitas sia un criterio formatosi a proposito dei bonae fidei iudicia. In particolare, vi è chi sostiene che i due passi configurerebbero espressamente «l’utilitas contrahentium quale criterio differenziatore della responsabilità nell’ambito dei giudizi di buona fede»67.
I termini della questione, ampiamente dibattuta in dottrina, riguardante il collegamento del criterio dell’utilitas contrahentium ai bonae fidei iudicia e le problematiche ad essa inerenti, sono già stati delineati in precedenza68. Sarà ora possibile, grazie all’ausilio delle fonti, dare prova dell’intima connessione tra l’utilitas e i giudizi di buona fede, nonostante si siano sollevate in dottrina voci di contrario avviso69.
65 Così C.A. XXXXXXX, Una casistica della colpa, cit., 431.
66 I. DE FALCO, ‘Diligentiam praestare’, cit., 18.
67 X. XXXXX, Spunti, cit., 454.
68 Si veda supra, cap. I, § 4.
69 Si vedano X. XXXXX, Sull’età dei giudizii di buona fede, cit., 76 ss., e, più di recente, X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 111 ss.; ID., ‘Utilitas contrahentium’, cit., 249 ss.
Come si è visto, il criterio che regge il grado di responsabilità nei contractus presi in considerazione da Xxxxxxx in D. 13.6.5.2-3 è quella stessa utilitas contrahentium che viene elevata da Modestino a regula in Coll. 10.2.1-3. Ebbene, l’esigenza di onnicomprensività e la struttura classificatoria che caratterizzano Coll. 10.2.1-3 sono state rinvenute, anche se in modo meno esplicito, in D. 13.6.5.2-3, rispettivamente, nell’uso generico dell’espressione in contractibus, e nella distribuzione delle singole figure contrattuali o situazioni giuridiche, che fungono da modello, secondo il criterio dell’utilitas di uno solo o di entrambi i contraenti70. Ad ogni modo, ciò che si vuole sottolineare è che in entrambi i testi il problema della responsabilità contrattuale viene affrontato con riguardo o direttamente ai bonae fidei iudicia, come in Coll. 10.2.1-3, o comunque con riferimento a contratti o situazioni giuridiche che danno luogo a giudizi di buona fede, come in D. 13.6.5.2-3.
Pertanto, nonostante manchi nei passi in esame un espresso richiamo alla bona fides, non sembra potersi per ciò solo dubitare che il criterio dell’utilitas si sia formato a proposito di tali giudizi.
6. Correlazione tra utilità e ‘contractus bonae fidei’ in D. 30.108.12 (Afric. 5 quaest.).
A conferma ulteriore del legame tra buona fede e utilità depone significativamente un passo di Africano:
D. 30.108.12 (Afric. 5 quaest.): cum quid tibi legatum fideive tuae commissum sit, ut mihi restituas, si quidem nihil praeterea ex testamento capias, dolum malum dumtaxat in exigendo eo legato, alioquin etiam culpam te mihi praestare debere existimavit: sicut in contractibus fidei bonae servatur ut, si quidem
L’opinione dominante, comunque, è nel senso di riconoscere un collegamento tra utilitas e giudizi di buona fede: così F. PASTORI, Commodato, cit., 286, nt. 35; X. XX XXXXXXXX, A proposito della pretesa contrapposizione concettuale tra ‘dolus’ e ‘bona fides’, cit., 146; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 135 ss.; X. XXXXXXXX, Il socio d’opera, cit., 227; ID., ‘Utilitas contrahentium’, cit., 283 ss.; X. XXXXX, Spunti, cit., 454 ss.
70 X. XXXXXXXX, Il socio d’opera, cit., 226 s.
utriusque contrahentis commodum versetur, etiam culpa, sin unius solius, dolus malus tantummodo praestetur.
Xxxxxxxx, cui Africano si richiama, decideva in materia di fedecommesso: come nei contratti di buona fede si risponde anche di colpa se il commodum è in capo a entrambi i contraenti, solo di dolo se è solo una parte a trarre vantaggio dal contratto, così il legatario, onerato di fedecommesso, è tenuto per dolo se non gli rimane nessun beneficio dal testamento; altrimenti per colpa.
Sebbene non compaia il termine utilitas – in luogo del quale troviamo commodum – nel frammento in questione la regola dell’utilità, che viene presentata quale regola generale, è collegata esplicitamente e in maniera diretta ai contractus fidei bonae. A differenza di Xxxx. 10.2.1-3, in questo caso l’enunciazione del principio dell’utilitas non prende le mosse dal confronto tra i contratti di comodato e deposito, ma riguarda in generale i contractus bonae fidei.
Il brano non è immune da sospetti di interpolazione: l’intera frase di chiusura è considerata sospetta per varie ragioni, tra cui appunto l’inesattezza dell’enunciazione della ‘théorie de l’utilité’71. In particolare, non solo è inesatta la limitazione della responsabilità al dolo nel caso di contratto a vantaggio di uno solo dei contraenti, posto che tale affermazione è vera solo nell’ipotesi di commodum del solo creditore (come nel caso del deposito) e non anche in quella di commodum del solo debitore, ma inesatto è del pari ritenere (come in Coll. 10.2.1-3) che si risponda per colpa laddove l’utilitas sia in capo a entrambi i contraenti, il che è smentito da quanto accade nel comodato, in cui la responsabilità del comodatario si estende alla colpa nonostante l’utilitas sia esclusivamente sua.
71 Così X. XXXXXX, Gratuité, cit., 334 s. Ritengono il passo interpolato anche X. XXXXXX, ‘Diligentia’, cit., 312; X. XXXXX, Sull’età dei giudizii di buona fede, cit., 91 s. Contra X. XXXXX, Imputabilità, cit., 48 ss., che ritiene il brano complessivamente genuino, salvo però dover sostituire iudiciis a contractibus. Si vedano, inoltre, P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 175; X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 119 ss.; ID., ‘Utilitas contrahentium’, cit., 250; X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 283 s.
Inoltre, il passo testimonierebbe l’applicazione del criterio del vantaggio in riferimento al fedecommesso, rapporto non tutelato da un giudizio di buona fede72.
L’insieme delle inesattezze sopra evidenziate ha indotto gran parte della dottrina a propendere nel senso che il periodo in questione abbia subito forti rimaneggiamenti, quanto meno allo scopo di ricondurre la soluzione casistica ad un principio generale73.
Tali rilievi, tuttavia, non inficiano l’importanza del ruolo svolto da D.
30.108.12 ai nostri fini, che è quella di mettere in diretto collegamento buona fede e utilità (utilitas o commodum, che dir si voglia). Infatti, sebbene i sospetti di interpolazione possano indurre a dubitare sul fatto di ritenere compiuta già al tempo di Xxxxxx Xxxxxxxx l’operazione concettuale di teorizzazione della regula dell’utilitas, il collegamento tra criterio dell’utilità e contractus bonae fidei, a ben vedere, non ne esce affatto smentito.
Il fatto poi che la regola del vantaggio venga applicata analogicamente al fedecommesso trova il suo fondamento nella fides, cui anche il fedecommesso si ispira74.
Dunque, dalle fonti sino ad ora esaminate pare potersi trarre una prova univoca dell’intima connessione esistente tra l’utilitas contrahentium, quale paradigma che orienta le soluzioni casistiche dei prudentes75, e i giudizi di buona fede. Infatti, come abbiamo visto, in D. 30.108.12 la regola viene osservata in tutti i contratti tutelati mediante giudizio di buona fede e da qui estesa per analogia al fedecommesso; D. 13.6.5.2-3 costituisce una digressione di carattere generale con cui Xxxxxxx dava inizio al commento dell’intentio della formula in ius, e perciò di
72 X. XXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 250.
73 Reputano il passo interpolato X. XXXXX, Sull’età dei giudizii di buona fede, cit., 91 s.; X. XXXXXX, ‘Diligentia’, cit., 312; X. XXXXX, Das römische Privatrecht, cit., 512, nt. 74; X. XXXXXX, Xxxxxxxx, cit., 334 s.; X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 119 s.; ID., ‘Utilitas contrahentium’, cit., 250. Nel senso della genuinità complessiva del passo, invece, si veda E. BETTI, Imputabilità, cit., 49 s. e 106 ss.
74 Così P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 175. Si veda, inoltre, per tutti, X. XXXXXXX, Manuale, cit., 722, secondo cui «l’efficacia del fedecommesso, almeno in origine strettamente obbligatoria, consiste nel sorgere di un obbligo dell’onerato verso il fedecommissario, […] valutabile secondo equità ad analogia delle obbligazioni sanzionate da bonae fidei iudicia».
75 Cfr. X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 283.
buona fede, dell’actio commodati; infine, in Coll. 10.2.2 Xxxxxxxxx arriva ad affermare che, oltre ai contratti di deposito e comodato, in ceteris quoque partibus iuris ista regula custoditur.
7. Raffronto tra Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.) e D. 30.108.12 (Afric. 5 quaest.).
Similmente a quanto rilevato a proposito di Xxxx. 10.2.1-3, anche in D.
30.108.12 la regola dell’utilitas sembra non essere esattamente compresa. Invero, alla base del passo di Africano pare esservi la stessa incongruenza che è stata rinvenuta alla base del passo della Collatio: in entrambi, infatti, si ritiene che la responsabilità per colpa derivi dal fatto che l’utilitas è di entrambi i contraenti; ma questo, come abbiamo visto, non è vero per il comodato in cui il comodatario risponde anche per colpa nonostante l’utilitas sia solo ed esclusivamente in capo a lui. Anche D. 30.108.12, pertanto, avrebbe subito dei rimaneggiamenti da parte di taluno che, al pari dell’autore della Collatio, non era in grado di dar conto in maniera corretta dell’operatività della regola dell’utilitas contrahentium.
Xxxxxx, l’incongruenza che accomuna i due passi in questione parrebbe derivare dal tentativo, che emerge in entrambi i casi, di generalizzazione di una regola casistica, non suscettibile di compiuta teorizzazione nei termini proposti. In altre parole, lo sforzo di ricondurre diverse ipotesi sotto un unico principio, quello appunto dell’utilitas contrahentium, sfocia inevitabilmente in una generalizzazione imperfetta76. A tale riguardo, si tenga presente, infatti, che l’ordinamento romano si caratterizza per l’approccio casistico e, conseguentemente, il diritto che ne scaturisce si identifica con un «diritto casistico», nel senso che «i principi giuridici vengono espressi dai giuristi sempre con riferimento alla prassi concreta»77; spesso, inoltre, «le concettualizzazioni e le astrazioni di tipo sistematico […] sono state riproiettate all’indietro sulle stesse fonti romane, oscurandone la comprensione»78.
76 Cfr. X. XXXXXXX, Contributi, cit., 96.
77 Si veda X. XXXXX, La giurisprudenza, cit., 8.
78 Così X. XXXXX, Metodo casistico, cit., 36.
Non si dimentichi che il termine regula, che compare in Coll. 10.2.2, ha per l’appunto il significato di regola casistica, che non contiene principi astratti da cui dedurre il diritto, ma serve piuttosto ad orientare i prudentes alla soluzione del singolo caso79.
Si noti poi, quale ulteriore analogia tra i due brani, che, al di là del diverso termine utilizzato – utilitas nel passo di Modestino e commodum in quello di Africano –, l’espressione di cui ci si serve per giustificare il differente grado di responsabilità è pressoché la medesima: utriusque contrahentis utilitas intervenit, in Coll. 10.2.2; utriusque contrahentis commodum versetur, in D. 30.108.12. Questa circostanza potrebbe essere letta come un indizio del tentativo (mal riuscito), che sembra animare entrambi i passi, di elevare a regola generale il canone dell’utilitas.
8. Comparazione tra Coll. 10.2.1-3 (Mod. 2 differ.) e D. 50.17.23 (Ulp. 29 ad Sab.).
Un altro testo ulpianeo fondamentale in materia, di cui il sopra menzionato D.
13.6.5.2-3 costituisce in un certo senso il doppio, è:
D. 50.17.23 (Ulp. 29 ad Sab.): contractus quidam dolum malum dumtaxat recipiunt, quidam et dolum et culpam. Dolum tantum depositum et precarium. Xxxxx et culpam mandatum, commodatum, venditum, pignori acceptum, locatum, item dotis datio, tutelae, negotia gesta: in his quidem et diligentia. Societas et rerum communio et xxxxx et culpam recipit. Sed haec ita, nisi quid nominatim convenit (vel plus vel minus) in singulis contractibus: nam hoc servabitur, quod initio convenit (legem enim contractus dedit), excepto eo, quod Celsus putat non valere, si convenerit ne dolus praestetur: hoc enim bonae fidei iudicio contrarium est: et ita utimur. Animalium vero casus mortesque, quae sine culpa, accidunt, fugae servorum qui custodiri non solent, rapinae, tumultus, incendis, aquarum magnitudines, impetus praedonum a nullo praestantur.
79 Si rinvia sul punto al cap. I, § 1, nt. 2.
Il frammento, tradito nel Digesto giustinianeo nel titolo dedicato alle diversae regulae iuris antiqui, costituisce la summa della dottrina della responsabilità contrattuale nel sistema della Compilazione. Si avverte, pertanto, l’importanza di un suo raffronto con il brano, quasi parallelo, di Modestino, «ai fini dello sviluppo progressivo della materia»80.
Il passo, su cui gravano sospetti di interpolazione81, offre una sistemazione classificatoria dei vari rapporti obbligatori dal punto di vista del regime della responsabilità. Esso, al pari di Coll. 10.2.1-3 e D. 13.6.5.2-3, non menziona la custodia accanto al dolus, alla culpa e alla diligentia82; in antitesi ai passi appena citati, invece, prescinde totalmente dal profilo dell’interesse, a cui non fa espresso riferimento. Inoltre, a differenza di Coll. 10.2.1-3 e similmente a D. 13.6.5.2-3 e a
D. 30.108.12, in D. 50.17.23 non si parla di iudicia, ma di contractus. Ebbene, il testo in esame può essere suddiviso in tre parti.
Nella prima (fino a culpam recepit) si tratta dei contratti nei quali è prevista una duplice responsabilità, per dolo o per colpa. Ammettono il dolo il deposito e il precario. Xxxxxxxxx anche la colpa il mandato, il comodato, la vendita, il pegno, la locazione. Qui il testo fa una pausa e dopo un item sottopone alla stessa regola la dote, la tutela, la negotiorum gestio: a tale riguardo, ci si è chiesti se l’intento fosse quello di separare i contratti in senso proprio dagli altri istituti, obbedendo a una qualche indicazione dell’originale83.
00 Xxx. X.X. XX XXXXXXXX, Xx responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 314.
81 Ritengono il frammento largamente rimaneggiato A. PERNICE, Labeo, römisches Privatrecht im ersten Xxxxxxxxxxxx xxx Xxxxxxxxxx, XX, Xxxxx, 0000, 146 ss.; X. XXXXXX, ‘Diligentia’, cit., 293 e 349; G.I. LUZZATTO, Caso fortuito e forza maggiore, cit., 85 ss.; F. PASTORI, Il commodato nel diritto romano. Contributi, cit., 303 ss.; X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 4 ss.; X. XXXXX, Imputabilità, cit., 75 ss.; F.M. DE ROBERTIS, La responsabilità del tutore nel diritto romano, Bari, 1960, 57 ss.; C.A. XXXXXXX, Per lo studio della responsabilità, cit., 18; X. XXXXXXXXXX, ‘Custodia’ and ‘culpa’, cit., 206, nt. 164. Contra X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., passim; ID., Criteri di imputazione della responsabilità, cit., 312, secondo il quale il passo in esame costituisce un excursus ulpianeo sui criteri di imputazione della responsabilità nei iudicia bonae fidei. Sul passo si vedano anche X. XXXXXXXXX, ‘Custodia’, in ZSS, LXIV, 1944, 1 ss.; H.H. XXXXXXX, Zur Lehre von der Haftung des Schuldners nach römischem Recht, in ZSS, LXV, 1947, 173 s.; X. XXXXXXXXX, ‘Custodia’ und Aktivlegitimation zur ‘actio furti’, in ZSS, LXVIII, 1951, 218 ss.; F.M. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 314 ss. e 337 ss.
82 Sui criteri di imputazione della responsabilità si veda X. XXXXXXXXXX, ‘Dolus’, ‘Culpa’, ‘Custodia’ and ‘Diligentia’, cit., 189 ss.
83 P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 174.
Segue un’annotazione: in his quidem et diligentia. Si dibatte da tempo sul significato di queste parole. Secondo un’interpretazione, sarebbe da leggere quidam invece di quidem: dei contratti enumerati, alcuni esigono diligentia (il comodato, la vendita, il pegno, la locazione, la tutela, la negotiorum gestio). Il richiamo alla diligentia non può intendersi come diligentia quam suis, poiché l’enumerazione continua ricordando la societas e la rerum communio: un richiamo alla diligentia quam suis doveva venire dopo la menzione di quelle figure84.
La seconda parte riguarda le modificazioni, per patto, del regime di responsabilità: e qui è ricordata in modo esplicito la buona fede ed è citata l’opinione di Xxxxx sul pactum de dolo non praestando.
La terza parte ricorda alcune figure di caso fortuito.
Dal confronto con Coll. 10.2.1-3, emerge che i compilatori del Digesto, in D. 50.17.23, riproducono la medesima regula di cui parla Modestino, senza fare, però, alcun richiamo al principio dell’utilitas. I motivi di tale assenza sono variamente spiegati in dottrina.
Così, secondo Tafaro essa si spiegherebbe per il fatto che l’utilitas contrahentium è una motivazione posteriore alla regula sulla responsabilità85.
Voci, invece, la ritiene un segno del disinteresse dei giustinianei per il criterio dell’utilitas86.
L’assenza di qualsivoglia riferimento all’utilitas dimostra, a mio modo di vedere, come la stessa sia ormai, forse sin già ai tempi di Xxxxxx00, un criterio ben radicato e sotteso ai discorsi sulla responsabilità, al punto da rendere superflua ogni sua espressa menzione, in particolare laddove si faccia riferimento ai contratti/giudizi di buona fede.
84 Così P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 174.
85 Cfr. X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 123 ss. Contra X. XXXXXXXX, Recensione a
X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 868 s.
86 Si veda P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 177. Contra X. XXXXX, Spunti, cit., 456 s., secondo cui il principio dell’utilità è alla base del regime giustinianeo della responsabilità contrattuale.
87 Secondo X. XXXXXX, Xxxxxxx-Fragmente in Ulpians Sabinus-Commentar, in Xxxxx, X, 0000, 250 s., la digressione in tema di responsabilità contrattuale contenuta in D. 50.17.23 potrebbe appartenere allo stesso Xxxxxx. Nello stesso senso X. XXXXXXX, I ‘libri tres iuris civilis’ di Sabino, Padova, 1983, 125; X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 287.
Trattandosi, come in precedenza evidenziato, di un criterio di applicazione casistica, poi, non può stupire il fatto che il medesimo non sia stato elevato a principio astratto dai compilatori giustinianei nel brano in esame. Si è già rilevato, infatti, che i tentativi di teorizzazione di una regola casistica come quella dell’utilitas contrahentium sono destinati a sfociare inevitabilmente in una generalizzazione imperfetta, come attestato da Coll. 10.2.1-3 e da D. 30.108.12.
Si deve ritenere, dunque, che in D. 50.17.23 il criterio dell’utilitas, benché non menzionato, per le ragioni sopra viste, sia di certo presupposto88.
Si noti che il testo in esame doveva originariamente collocarsi nei libri di Xxxxxxx ad Xxxxxxx, nell’ambito della trattazione dell’emptio-venditio, contratto tutelato da iudicium bonae fidei. E proprio la vendita costituisce l’occasione per indurre Xxxxxxx – che amplia il discorso di Xxxxxx00 – in una digressione in materia di responsabilità nell’ambito dei iudicia bonae fidei, relativamente a quelli riconosciuti tali nel III secolo d.C., con la conseguenza che se la genuinità della menzione del pegno e del precario risultano dubbie, il richiamo al comodato si giustifica pienamente per l’esistenza, a sua tutela, della formula di buona fede, ancorché affiancata alla formula in factum90.
La circostanza per cui in D. 50.17.23 non si parli di iudicia, ma di contractus, anche in relazione a fattispecie (dote, tutela, negotiorum gestio, comunione) che contratti in senso stretto non sono, né per diritto giustinianeo, né per diritto classico evoluto, ma che vengono invece ricompresi tra i bonae fidei iudicia sin dall’età tardo-repubblicana91, non fa che avvalorare ulteriormente la connessione tra utilitas e giudizi di buona fede e potrebbe, inoltre, essere letta come una conferma della riconducibilità a Sabino della digressione ivi contenuta.
88 Si vedano, in tal senso, X. XXXXXXXXX, Istituzioni, cit., 664; X. XXXXX, Spunti, cit., 454, per cui l’utilitas contrahentium è criterio discretivo sottinteso in D. 50.17.23, sicchè la ratio della scelta tra dolus e culpa va ricercata nell’utilitas contrahentium; X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 287.
89 Cfr. X. XXXXXXX, I ‘libri tres iuris civilis’, cit., 125 s.
90 Così X. XXXXX, Spunti, cit., 451.
91 X. XXXXX, Spunti, cit., 451.
9. Gli altri testi nei quali l’‘utilitas contrahentium’ funge da criterio per la determinazione della responsabilità delle parti.
Come si è visto, Coll. 10.2.1-3, D. 13.6.5.2-3, D. 30.108.12 e, infine, D.
50.17.23 rivelano, in maniera più o meno esplicita, l’impiego dell’utilitas contrahentium quale criterio che regola il quantum di responsabilità nell’ambito dei giudizi di buona fede.
Ebbene, siffatto criterio è rinvenibile anche alla base di altri testi, di cui si farà ora menzione.
Si veda, anzitutto, la parte finale di
D. 19.2.31 (Alf. 5 a Xxxx. epit.): […] nam in re, quae utriusque causa contraheretur, culpam deberi […].
Si tratta di un frammento tratto dall’epitome paolina dei Digesta di Xxxxxx, nel quale il termine res sta per negotium, come è d’uso nei contemporanei di Alfeno92.
Nonostante i sospetti di interpolazione gravanti sull’intero passo93, l’inciso in esame, considerato da taluni «di dubbia fattura»94, è stato annoverato tra i brani
92 Cfr. P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 176 e nt. 6.
93 Per l’analisi del contenuto del frammento – riguardante un caso di locazione, nel quale si discute della responsabilità contrattuale dell’armatore-conductor per il perimento della merce locatagli – e della sua autenticità, si vedano X. XX XXXXXX, Interpretazione del Fr. 31 D. 19.2 (‘Alfenus libro V Digestorum a Xxxxx Epitomatorum’), in SDHI, XII, 1946, 86 ss.; X. XXXXXXXXX, Ricerche sul deposito irregolare, cit., 87 ss.; H.H. XXXXXXX, Zur Lehre von der Haftung, cit., 197 s.; K. XXXXX, La responsabilité dans le droit romain à la fin de la République, in RIDA, III, 1949, 474 ss.; X. XXXXXXXX, Problemi della responsabilità contrattuale, cit., 152 ss.; X. XXXXX-XXXX, ‘Locatio conductio’. Eine Untersuchung zum klassischen römischen Recht, Xxxx - Xxxxxxx, 0000, 34 ss.; X. XXXXXXXX, Ricerche in tema di locazione, in BIDR, LXII, 1959, 66 ss.; X.X.X. XXXXXX, Carriage by Sea, in RIDA, VII, 1960, 497; ID., ‘Locatio-conductio’, ‘emptio-venditio’ und ‘specificatio’, in ZSS, LXXXI, 1964, 117 ss.; X. XXXXX, Slightly Different, in IURA, XII, 1961, 102 ss.; F.M. DE XXXXXXXX, D. 19.2.31 e il regime dei trasporti marittimi nell’ultima età repubblicana, in SDHI, XXXI, 1965, 99 ss.; X. XXXXXXXXXX, ‘Custodia’ and ‘culpa’, cit., 199 s.; X. XXXXXXXX, Le dépot irréguliere, in RIDA, XXI, 1974, 227 ss.; X. XXXXXXXX, Il deposito, cit., 157 ss.; X. XXXXXX, L’obligation de garde, cit., 66 ss.; X. XXXXX, Intorno alla categoria della irregolarità, in Atti del Seminario sulla problematica contrattuale, I, Milano, 1988, 219 ss.; X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 269 ss.; A. METRO, Locazione e acquisto della proprietà: la c.d. ‘locatio-conductio irregularis’, in Sem. Compl., VII, 1995, 204 ss.; X. XXXXX, La
che attestano la conoscenza del criterio dell’utilitas contrahentium già da parte dei giuristi repubblicani95.
Ulteriori tracce dell’utilitas contrahentium, quale criterio che determina la misura della responsabilità delle parti, si rinvengono in:
D. 19.5.17.2 (Ulp. 28 ad ed.): Xxxxxxxxxx libro octavo quaestionum scripsit, si rem tibi inspiciendam dedi et dicas te perdidisse, ita demum mihi praescriptis verbis actio competit, si ignorem ubi sit: nam si mihi liqueat apud te esse, furti agere possum vel condicere vel ad exhibendum agere. Secundum haec, si cui inspiciendum dedi sive ipsius causa sive utriusque, et dolum et culpam mihi praestandam esse dico propter utilitatem, periculum non: si vero mei dumtaxat causa datum est, dolum solum, quia prope depositum hoc accedit.
Nonché in:
D. 47.2.62.6 (Afric. 8 quaest.): circa commodatum autem merito aliud existimandum, videlicet quod tunc eius solius commodum, qui utendum rogaverit, versetur. Itaque eum qui commodaverit, sicut in locatione, si dolo quid fecerit non ultra pretium servi quid amissurum: quin etiam paulo remissius circa interpretationem doli mali debere nos versari, quoniam, ut dictum sit, nulla utilitas commodantis interveniat.
Quanto a D. 19.5.17.2, che tratta della responsabilità dell’inspector, si osservi come nel medesimo ricorra l’espressione utriusque causa, similmente al sopra
definizione della ‘locatio-conductio’, cit., 65 ss.; X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 123 ss.
94 Così X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 124. Sulla non autenticità dell’inciso si vedano, inoltre, X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 100 s.; X. XXXXXX, Gratuité, cit., 350.
95 Così P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 176, e X. XXXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’, cit., 287, che lo attribuiscono ad Xxxxxx. Secondo Xxxx, in particolare, Xxxxxx sta riferendo il pensiero di Xxxxxx. Contra X. XXXXX, Imputabilità, cit., 111, e, più di recente, X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 127, che propendono per la paternità paolina dell’inciso. Si mostrano dubitativi al riguardo X. XXXXXX, ‘Regula’ e ‘ius antiquum’, cit., 126, e X. XXXXX, La definizione della ‘locatio-conductio’, cit., 78, per i quali comunque le parole riportate non sono di Xxxxxx.
esaminato D. 19.2.31. Anch’esso, inoltre, non è immune da sospetti di rimaneggiamento, che riguardano però la locuzione periculum non, che chiude il discorso sui criteri di imputazione relativi al rapporto considerato, e non inficiano, pertanto, la genuinità della parte finale del testo96.
In D. 47.2.62.6 l’utilitas è menzionata in riferimento al comodato. Xxxxxxxx afferma che nel comodato – diversamente da quanto accade nel mandato e nel deposito, di cui il giurista si occupa nel paragrafo precedente97 – il commodum è del solo comodatario, con la conseguenza che la responsabilità patrimoniale del comodante, per i danni arrecati al comodatario dalla res oggetto del contratto, è limitata al valore della cosa data in comodato (nel caso di specie, al valore del servus, che si è rivelato essere fur). E ciò in considerazione del fatto che, come specifica ulteriormente il giurista – in maniera sospetta secondo taluni – nulla utilitas commodantis interveniat98. Pertanto, in applicazione del criterio
00 Xxx. X.X. XX XXXXXXXX, Xx responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 180, nt. 17. Sul passo, inoltre, H.H. XXXXXXX, Zur Lehre von der Haftung, cit., 137 s.; X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 88 s.; X. XXXXXX, Gratuité, cit., 341 ss.; X. XXXXXXXX, Il deposito, cit., 128 s.; X. XXXXXXXXXX, ‘Periculum’, cit., 163 s.; X. XXXXXX, L’obligation xx xxxxx, xxx., 000 x.
00 X. 00.0.00.0 (Xxxxx. 8 quaest.): quod vero ad mandati actionem attinet, dubitare se ait, num aeque dicendum sit omni modo damnum praestari debere, et quidem hoc amplius quam in superioribus causis servandum, ut, etiamsi ignoraverit is, qui certum hominem emi mandaverit, furem esse, nihilo minus tamen damnum decidere cogatur. Xxxxxxxxxx enim procuratorem allegare non fuisse se id damnum passurum, si id mandatum non suscepisset: idque evidentius in causa depositi apparere. Nam licet alioquin aequum videatur non oportere cuiquam plus damni per servum evenire, quam quanti ipse servus sit, multo tamen aequius esse nemini officium suum, quod eius, cum quo contraxerit, non etiam sui commodi causa susceperit, damnosum esse, et sicut in superioribus contractibus, venditione locatione pignore, dolum eius, qui sciens reticuerit, puniendum esse dictum sit, ita in his culpam eorum, quorum causa contrahatur, ipsis potius damnosam esse debere. Nam certe mandantis culpam esse, qui talem servum emi sibi mandaverit, et similiter eius qui deponat, quod non fuerit diligentior circa monendum, qualem servum deponeret.
98 Reputano l’intero testo alterato dai compilatori xxxxxxxxxxxx X. XXXXXX, Le ‘actiones noxales’ nel diritto romano classico, in AUPA, X, 1925, 136; G. PROVERA, Contributi alla teoria dei ‘iudicia contraria’, Torino, 1951, 85, nt. 13; X.X. XXXXXXX, Une opposition peu connue, cit., 287 ss.; secondo X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 120 ss., il richiamo all’utilitas commodantis è un’aggiunta giustinianea, mentre è genuino il precedente riferimento al commodum, qui utendum rogaverit. Sulla sostanziale genuinità della soluzione adottata X. XXXXX, Das römische Privatrecht, II, cit., 371, nt. 24. Sul frammento in questione si vedano anche X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 92 s.; X. XXXXX, Imputabilità, cit., 91 ss.; X. XXXXX, Fault in the Formation of Contract in Roman Law and Scots Law, Edimburgh - London, 1958, 144 s.; X. XXXXXX, Contract of Mandate in Roman Law, Oxford, 1961, 160 ss.; X. XXXXXX, Gratuité, cit., 336 ss.; X. XXXXXXXXXX, The Thievish Slave, in RIDA, XIX, 1972, 354 ss.; X. XXXXXXX, ‘Utilitas contrahentium’ e ‘in diem addictio’, in La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, a cura di X. Xxxxxxxx, II, Padova, 2007, 266.
dell’utilitas, la responsabilità del comodante, convenuto con il iudicium contrarium per i danni subiti dal comodatario, non si estende oltre il valore dello schiavo, salvo che ci sia stato dolo.
10. Considerazioni di sintesi.
L’esame delle fonti condotto sino ad ora ha permesso di ribadire come l’utilitas contrahentium sia una regola casistica, la cui enunciazione prende le mosse dai contratti gratuiti di comodato e deposito99.
Questo dato, che conferma l’esistenza dell’originario legame tra l’utilità e la gratuità, si accompagna alla circostanza, anch’essa attestata dalle fonti, per cui i rapporti ai quali l’operatività dell’utilitas viene progressivamente estesa rientrano nel novero dei iudicia bonae fidei. Come si è visto, infatti, i rapporti obbligatori elencati in Coll. 10.2.1-3 e in D. 13.6.5.2-3 danno tutti luogo a giudizi di buona fede; inoltre, D. 30.108.12 stabilisce un collegamento diretto tra contractus bonae fidei e utilitas. Proprio grazie al carattere flessibile della buona fede, i prudentes potevano graduare diversamente la misura della responsabilità delle parti, pur in relazione al medesimo tipo contrattuale, qualora il criterio dell’utilitas giustificasse la diversa soluzione100.
Le fonti analizzate ci hanno consentito di mettere in evidenza come il canone dell’utilitas fosse applicato diffusamente e con consapevolezza dai giuristi classici, che se ne servivano al fine di graduare il quantum di responsabilità dei contraenti nell’ambito dei giudizi di buona fede. Il fatto che il criterio in questione appartenga pienamente al patrimonio concettuale della giurisprudenza classica, tuttavia, non significa che il medesimo non fosse già in precedenza conosciuto e applicato. Valorizzando alcune testimonianze indirette, è stato possibile mostrare come si trattasse di un canone di cui già si servivano i giuristi repubblicani, come Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx – il cui pensiero è riportato da Xxxxxxx in D. 13.6.5.3 – e Xxxxxx Xxxx – a cui è attribuita la paternità di D. 19.2.31 –, nonché quelli del
99 Come abbiamo visto, depongono in tal senso, in particolare, Coll. 10.2.1 e D. 13.6.5.2.
100 Dell’utilitas quale criterio concreto ed elastico, collegato ai giudizi di buona fede, si è già detto ampiamente supra, §§ 5 ss., nonché nel cap. I, §§ 4 s.
primo principato, come Sabino – al quale si fa risalire il contenuto di D. 50.17.23
–.
Ne esce dunque pienamente avallata la tesi di quegli autori che ritengono che l’utilitas fosse utilizzata quale parametro per determinare il grado di imputabilità dell’inadempimento oltre che dalla giurisprudenza classica, sin già da quella repubblicana101.
L’utilitas, che per poter sfociare nell’individuazione del criterio di imputazione della responsabilità da applicare al caso concreto, impone di considerare la vicenda contrattuale nella sua globalità102, nasce come regola casistica e conserva tale natura, rifuggendo ogni tentativo di teorizzazione. Prova ne sarebbe l’incomprensione del criterio dell’utilitas nelle epoche successive: abbiamo constatato le medesime incongruenze in Coll. 10.2.1-3 e in D. 30.108.12, nei quali si scorge un tentativo di generalizzazione, che si rivela però inevitabilmente imperfetta, della regola dell’utilitas.
Non sembra potersi dire, allora, di essere al cospetto di un’elaborazione postclassica103, né di una regula che, sebbene non del tutto sconosciuta ai classici, avrebbe trovato una piena concettualizzazione, divenendo così di generale applicazione, solo nel diritto postclassico e, in particolare, giustinianeo104. La sua menzione nelle fonti, anzi, è destinata progressivamente a perdersi, come dimostrato da D. 50.17.23, in cui il criterio dell’utilitas è di certo presupposto, ma non viene menzionato. A scomparire non sarebbe la regola dell’utilitas, che rimane sempre ben presente ai giuristi e sottesa ai discorsi sulla responsabilità, ma la sua espressa enunciazione.
Questa circostanza trova spiegazione nell’emersione, sul piano processuale, dei giudizi di buona fede, il cui definitivo affermarsi comporta il venir meno della necessità di esplicitare il criterio sostanziale dell’utilitas, la cui considerazione può dirsi inglobata in quelli.
101 Sul dibattito avente ad oggetto la collocazione cronologica dell’utilitas contrahentium si veda supra, cap. I, § 2.
102 Così X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 37, su cui cap. I, § 5.
103 Si vedano, in tal senso, gli autori citati nel cap. I, § 5, sub nt. 16.
104 In tal senso, gli autori citati nel cap. I, § 5, sub nt. 17.
Nei giudizi di buona fede l’oggetto dell’accertamento del giudice è rappresentato dalla violazione, da parte del soggetto affidatario della cosa, di uno dei doveri che derivano dalla fides bona. Si tenga presente, infatti, che «il richiamo alla bona fides […] contenuto nella formula, dominava la valutazione del rapporto; la bona fides veniva assunta come norma che determinava e regolava i rapporti»105.
La clausola ex fide bona fungeva, dunque, da criterio per la determinazione del contenuto dell’oportere, e finiva così con l’assicurare giuridica protezione al regolamento negoziale concretamente posto in essere dalle parti, fissandosi come fonte di integrazione del contenuto del contratto ovvero, più specificamente, dei doveri contrattuali nell’ambito della pretesa106.
Le osservazioni svolte trovano conferma, per guardare ai contratti di deposito e comodato, nella collocazione cronologica delle rispettive formule in ius.
Posto che la dottrina moderna è unanime nel riconoscere la priorità dell’actio in factum rispetto a quella in ius, tanto per il deposito, quanto per il comodato107, la collocazione temporale dell’actio depositi in ius si fa coincidere, in via
105 X. XXXXXX, Il sistema romano, cit., 261.
106 Così X. XXXXXXXX, ‘Bona fides’ tra storia e sistema, Torino, 2004, 43 e 61. In argomento si vedano anche, entro una letteratura molto vasta, X. XXXXXX, ‘Fides’ als schöpferisches Element im römischen Schuldrecht, in Festschrift Xxxxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 1 ss.; X. XXXXXX, voce Buona fede, cit., 661 ss.; X. XXXXXXXX, Dalla ‘fides’, cit., 185 ss.; A. CARCATERRA, Intorno ai ‘bonae fidei iudicia’, Napoli, 1964, 36 ss.; nonché i numerosi contributi dottrinali, dedicati al tema della buona fede, raccolti ne Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di X. Xxxxxxx (Padova - Venezia - Treviso, 14-15-16 giugno 2001), a cura di X. Xxxxxxxx, I-IV, Padova, 2003, tra cui X. XXXXXXXXX, La ‘bona fides’ nei giuristi romani: ‘Leerformeln’ e valori dell’ordinamento, ivi, IV, 1 ss.
107 L’ultimo autorevole sostenitore della opposta opinione secondo cui la formula in factum sarebbe sorta posteriormente alla formula in ius, per colmarne le lacune, è X. XXXXXXX, Römische Rechtsgeschichte, cit., 601 ss.
approssimativa, con la seconda metà del I secolo a.C.108; l’actio commodati in ius
è collocata tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C. 109.
Xxxxxxxx, quindi, alla considerazione di D. 13.6.5.3, D. 19.2.31 e D. 50.17.23, sul presupposto della loro autenticità, ne risulta che la regola dell’utilitas è espressamente citata in D. 13.6.5.3 e in D. 19.2.31, il cui contenuto è riconducibile, come abbiamo visto, a due giuristi repubblicani (rispettivamente, Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx e Xxxxxx Xxxx), mentre non è più nominata, ma senz’altro vi è sottesa, in D. 50.17.23, la cui digressione in tema di responsabilità contrattuale potrebbe appartenere a Xxxxxx, giurista dell’età del principato. Se ne può inferire che la regola dell’utilitas fosse già ai tempi di Xxxxxx un criterio ben radicato e sotteso ai discorsi sulla responsabilità, al punto da rendere superflua ogni sua espressa menzione, in particolare laddove si faccia riferimento ai contratti/giudizi di buona fede. Proprio in questo periodo, tra la seconda metà del I secolo a.C. e l’inizio del II secolo d.C., come evidenziato, le formule in ius di buone fede, prima del deposito e poi del comodato, andranno ad affiancare quelle pretorie in factum.
108 Quanto alla collocazione temporale delle formule del deposito e alle ragioni che fanno propendere per la priorità storica della formula in factum – la quale sarebbe comparsa nella prima metà del I secolo a.C. – si vedano X. XXXXXXX, Contributi, cit., 27 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Deposito, cit., 496; X. XXXXXXX, Las formulas, cit., 234 ss.; X. XXXXXX, voce Deposito, cit., 212 s.;
X. XXXXXXXX, Il deposito, cit., 83 ss.; X. XXXXX, voce Deposito nel diritto romano, medievale e moderno, cit., 219 s. Sui motivi che determinarono la necessità della formula in ius mi sia consentito, inoltre, rinviare a B. VERONESE, Buona fede e duplicità delle tutele processuali, cit., 253 ss.
109 Sulla datazione delle due formule – la concessione pretoria dell’actio commodati in factum (prima decretale, poi edittale) si fa risalire, non senza incertezze, da taluni intorno alla metà del I secolo a.C., da altri alla fine del II secolo a.C. – e sui motivi che determinarono la necessità della formula in ius si vedano in dottrina X. XXXXXXX, Storia e teoria del contratto di commodato, cit., 81 ss.; F. XXXXXXX, Il commodato, cit., 60 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Comodato, cit., 986 ss.; X. XXXXXXX, La pretendida ‘formula in ius’, cit., 235 ss.; X. XXXXXXX, Xxxxxx critici, cit., 86 ss.; ID., voce Comodato nel diritto romano, cit., 32; C.M. TARDIVO, Studi, cit., 225 ss.; X. XXXXXX, Il comodato, cit., 308 ss.; B. VERONESE, Buona fede e duplicità delle tutele processuali, cit., 263 ss.
CAPITOLO QUARTO
L’UTILITAS CONTRAHENTIUM NELLE FONTI GAIANE
SOMMARIO: 1. Le prime dirette attestazioni del canone dell’interesse dei contraenti quale criterio in grado di influenzare il regime della responsabilità: Gai 3.205-206. – 1.1. Segue: Gai 3.207. – 2. Il diverso atteggiarsi della custodia nei contratti di comodato e deposito. – 3. Gli altri passi gaiani nei quali si fa applicazione del criterio dell’interesse dei contraenti: D. 13.6.18 pr. (Gai 9 ad ed. prov.). – 3.1. Segue: e D. 44.7.1.4-5 (Gai 2 aur.). – 4. Cenni sul contenuto del praestare del comodatario in Gaio. – 5. Riflessioni conclusive.
1. Le prime dirette attestazioni del canone dell’interesse dei contraenti quale criterio in grado di influenzare il regime della responsabilità: Gai 3.205-206.
Conclusa, a questo punto, la rassegna delle principali problematiche connesse all’utilitas contrahentium come pervenutaci nelle fonti postclassiche e in particolare giustinianee, le quali, riportando il pensiero dei giuristi classici – i quali talvolta, come abbiamo visto, ripropongono le opinioni di giuristi precedenti
–, ci hanno consentito di condurre un raffronto tra età classica e postclassica, tra dubbi di interpolazione più o meno fondati, verranno qui di seguito esaminate le prime dirette applicazioni del criterio dell’interesse in relazione alla determinazione dei parametri di imputazione della responsabilità1.
Le prime dirette testimonianze in ordine all’applicazione del criterio dell’utilitas si hanno con Gaio e sono riscontrabili, precisamente, in:
1 Ci si riferisce a Gai 3.205-207, di cui ci si occuperà in questo paragrafo e nel successivo, che sono stati definiti in dottrina come i tre passi nei quali Xxxx «ci fornisce le uniche notizie assolutamente sicure riguardo alla responsabilità classica per custodia»: così A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 147.
Gai 3.205-206: item si fullo polienda curandave aut sarcinator sarcienda vestimenta mercede certa acceperit eaque furto amiserit, ipse furti habet actionem, non dominus, quia domini nihil interest ea non periisse, cum iudicio locati a fullone aut sarcinatore suum consequi possit […] 206. Quae de fullone aut sarcinatore diximus, eadem transferemus et ad eum, cui rem commodavimus: nam ut illi mercedem capiendo custodiam praestant, ita hic utendi commodum percipiendo similiter necesse habet custodiam praestare.
Nelle sue Institutiones il giurista, trattando della legittimazione attiva all’actio furti, equipara la situazione del fullo e del sarcinator, ai quali sia stata data una res in locazione, a quella del comodatario, collegando il custodiam praestare di quest’ultimo al suo utendi commodum, ossia al vantaggio che egli ricava dall’uso della cosa.
Più in dettaglio, le fattispecie prese in considerazione in § 205 rientrano nelle locationes operis: sono i casi del lavandaio e del sarto a cui siano state date delle vesti, rispettivamente da lavare o da rammendare, dietro corrispettivo. Ebbene, se presso costoro le cose saranno rubate, essi stessi saranno legittimati a intentare l’azione di furto. Ciò in quanto il proprietario, potendo riavere il suo dal lavandaio o dal sarto attraverso l’actio locati, non ha interesse a che le cose non vadano perdute. La stessa regola trova applicazione – aggiunge il § 206 – in tema di comodato: come il lavandaio e il sarto, percependo il corrispettivo, custodiam praestant, così il comodatario, in ragione del vantaggio che ricava dall’uso della cosa, similmente deve rispondere per custodia.
Si tratta di un passo fondamentale in tema di custodia, nel quale vengono forniti, per la prima volta, da un lato, la definizione della responsabilità gravante sull’uno e l’altro dei contraenti, dall’altro, un tentativo di giustificazione della stessa, riscontrabile nel vantaggio che ciascuno trae dal contratto e consistente nel corrispettivo, per il fullo e il sarcinator, nel godimento della cosa, per il comodatario2.
2 Sull’interpretazione del testo si veda X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 62 ss., che su di esso ha costruito la dottrina della custodia come responsabilità oggettiva. Sul
1.1. Segue: Gai 3.207.
Xxxx procede al raffronto delle fattispecie sopra descritte con il deposito, in:
Gai 3.207: sed is apud quem res deposita est, custodiam non praestat tantumque in eo obnoxius est, si quid ipse dolo malo fecerit. Qua de causa si res ei subrepta fuerit, quia restituendae eius nomine depositi non tenetur nec ob id eius interest rem salvam esse, furti [itaque] agere non potest, sed ea actio domino conpetit.
La comparazione fra i tre frammenti gaiani risulta di notevole interesse, in quanto ci consente di evidenziare la differenza intercorrente tra la posizione del comodatario e quella del depositario, che, come sappiamo, sta alla base dell’elaborazione della regula dell’utilitas contrahentium.
Xxxxxx, il depositario è senz’altro un custode della cosa3. Tuttavia, is apud quem res deposita est, custodiam non praestat (§ 207). Egli cioè risponde solamente per dolo e non per custodia, a differenza del comodatario, il quale, invece, utendi commodum percipiendo […] necesse habet custodiam praestare (§ 206). La mancanza di interesse del depositario allora fa sì che, se la cosa
significato del custodiam praestare in Gaio cfr. X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit.,
486 ss. Sul passo si vedano, dal punto di vista dell’utilitas, X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 75 ss.; X. XXXXX, Imputabilità, cit., 55 ss.; X. XXXXXX, Gratuité, cit., 327 ss. Su questi paragrafi delle Institutiones si vedano anche G.I. LUZZATTO, Caso fortuito e forza maggiore, cit., 31 ss.; ID., ‘Commodati … vel contra’, in Xxxxx, XX, 0000, 360; X. XXXXXXXXX, ‘Custodia’, cit., 244 ss.; F. PASTORI, Il commodato nel diritto romano. Contributi, cit., 185 ss.; ID., Gaio e la responsabilità contrattuale, in Xxxxx, XX, 0000, 311 ss.; X. XXXXXXX, La responsabilità del commodatario nelle Istituzioni di Gaio, in Iura, VI, 1955, 139 ss.; A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 96 ss. e 146 ss.; ID., ‘Custodiam praestare’, cit., 65 ss.; X. XXXXXXXXXX, ‘Custodia’ and ‘culpa’, cit., 160 ss.; X. XXXXXX, L’obligation xx xxxxx, xxx., 000 xx.; F.M. DE XXXXXXXX, I problemi della responsabilità contrattuale nelle Istituzioni di Gaio e le lacune del manoscritto veronese, in Studi in onore di X. Xxxxxx, I, Milano, 1965, 375 ss.; ID., Sulla legittimazione attiva all’‘actio furti’, in Scritti varii di diritto romano, III, Bari, 1987, 261 ss.; ID., La responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 329 ss.; X. XXX XXX XXXXX, ‘Custodiam praestare’, cit., 67; C.M. TARDIVO, Studi sul ‘commodatum’, cit., 225 ss.; C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 70 s.; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 103 ss.
3 Si veda, a tale proposito, D. 16.3.1 pr. (Ulp. 30 ad ed.): depositum est, quod custodiendum alicui datum est, dictum ex eo quod ponitur: praepositio enim de auget depositum, ut ostendat totum fidei eius commissum, quod ad custodiam rei pertinet.
depositata presso di lui gli verrà rubata, il medesimo non potrà esperire l’actio furti, che compete in questo caso al proprietario4.
In Gai 3.207, dunque, il giurista mostra la preoccupazione di chiarire che «il custodiam praestare non è caratteristico dell’obbligo di custodire in sé e per sé, ma discende dal tipico assetto d’interessi che il negozio pone in essere»5. Risulta così giustificato il differente regime della responsabilità tra comodato e deposito: il depositario, infatti, nonostante l’obbligo di custodire la cosa sullo stesso gravante6, non ricevendo alcun interesse dal contratto, non potrà che essere chiamato a rispondere per dolo.
La custodia-vigilanza, pertanto, non comporta di per sé l’applicazione della omonima responsabilità, al punto che, come si è visto, ne resta escluso il tipico contratto di custodia, ossia il deposito7.
In dottrina ci si è serviti del passo gaiano per evidenziare come i giuristi romani, per consentire al deponente di agire (con l’actio depositi in ius ex fide bona) nei confronti del depositario, richiedessero che vi fosse un’attività di quest’ultimo, limitando la sua responsabilità a questo caso (si quid ipse dolo malo fecerit). Posta la rilevanza dell’attività custodiente del depositario, l’actio ex fide bona si presterebbe a colpire tutti i comportamenti del depositario contrari alla buona fede, fra i quali vengono in considerazione gli atti non omissivi che abbiano violato la causa custodiae che caratterizza il deposito. In altri termini, «i romani non giungono a ricomprendere nel dolo l’omissione di vigilanza sulla cosa, che ne ha reso possibile il furto o il danneggiamento, forse ritenendo prevalente la
4 Si vedano sul passo F. PASTORI, Il commodato nel diritto romano. Contributi, cit., 185 ss.; ID., Xxxx e la responsabilità, cit., 313 ss.; ID., Annotazioni sulla relazione tra contratto e responsabilità, in Studi in onore di X. Xxxxxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 618 s.; X. XXXXXXX, La responsabilità del comodatario, cit., 141 ss.; X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 75 ss.; X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 62 ss.; X. XXXXX, Imputabilità, cit., 55 ss.; A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 96 ss. e 146 ss.; ID., ‘Custodiam praestare’, cit., 65 ss.; X. XXXXXXXXXX, ‘Custodia’ and ‘culpa’, cit., 160 ss.; X. XXXXXX, L’obligation xx xxxxx, xxx., 000 xx.; X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 486 ss.; C.A. XXXXXXX, Sul problema della responsabilità, cit., 71 s.
5 Cfr. X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 488.
6 È stato precisato come quella gravante sul depositario non sia un’‘obbligazione’, avente la stessa estensione che le attribuiscono i moderni, ma piuttosto un’‘attività’ di custodia, ossia un comportamento che il depositario deve tenere secondo buona fede. Sul punto si veda infra, nt. 8.
7 Cfr. A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 103.
considerazione della utilitas contrahentium che, essendo tutta dalla parte del deponente, rende xxxxxxxx gravare eccessivamente la posizione del depositario»8.
Occorre tuttavia ricordare che, come fa notare una parte della dottrina e come già evidenziato in apertura, il passo di Gaio riguarda la legittimazione attiva all’actio furti, che il giurista collega in modo diretto al custodiam praestare. Il profilo dell’interesse ad agire, dunque, si rapporta solo indirettamente a quello dell’interesse quale criterio in grado di influenzare il regime della responsabilità9.
2. Il diverso atteggiarsi della ‘custodia’ nei contratti di comodato e deposito.
I passi gaiani esaminati nei paragrafi precedenti – i quali rivelano inequivocabilmente l’incidenza spiegata dal criterio dell’interesse nella determinazione dei parametri di imputazione della responsabilità dei contraenti – vengono comunemente invocati quali fonti preziose nell’indagine della responsabilità classica per custodia.
Come emerso dai medesimi la custodia si atteggia in maniera completamente diversa nei contratti di comodato e deposito, assumendo un diverso significato.
Il comodatario è responsabile per custodia, in considerazione del vantaggio che il medesimo ricava dall’uso della cosa; il depositario, invece, è un custode della res, del cui perimento egli risponde nei limiti del dolo, posto che il deposito classico, essenzialmente gratuito, è concluso nell’esclusivo interesse del deponente. Mentre nel comodato, infatti, la cosa viene consegnata al comodatario per essere usata, la causa del deposito è proprio la custodia della res.
8 A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 147 ss. e, in particolare, 149, che da tali osservazioni fa discendere, conseguentemente, l’inopportunità di continuare a parlare di ‘obbligazione’ di custodire la cosa a carico del depositario, per il diritto classico, senza che ciò comunque induca a considerare come unica obbligazione del depositario quella di restituire la cosa. Per le varie opinioni sul punto si veda supra, cap. II, § 3, in particolare ntt. 52, 53 e 54.
9 Così X. XXXXXXX, Note in tema di ‘utilitas’, cit., 116, nt. 107. Anche X. XXXXXXXX, Haftungsformen, cit., 62, mostra delle perplessità circa la connessione tra actio furti, custodia e utendi commodum. Contra X. XXXXXX, ‘Periculum locatoris’. Ricerche in tema di responsabilità contrattuale, in ZSS, LXXXI, 1964, 183.
Due sono, dunque, le accezioni della custodia che se ne traggono: da un lato, essa è criterio di imputazione della responsabilità del comodatario; dall’altro, è obbligo/prestazione del depositario.
Quanto alla custodia come criterio di determinazione della responsabilità, sono essenzialmente due le posizioni assunte in dottrina sulla sua portata10: secondo la prima (quella più antica, ripresa però anche in tempi recenti), che si riallaccia alla configurazione giustinianea, la custodia non è che un tipo particolare di diligentia, quella custodiendae rei, che viene anche qualificata come exacta o exactissima, la quale rimane un criterio soggettivo di determinazione della responsabilità; la seconda, invece, individua nel concetto classico di custodia una responsabilità oggettiva.
Ebbene, abbiamo già dato conto, seppur sinteticamente, degli estremi del dibattito inerente alla configurazione della responsabilità per custodia del comodatario nel diritto classico: oggetto di discussione è se l’espressione custodiam praestare alluda ad una forma di responsabilità oggettiva, ossia di responsabilità senza colpa, oppure soggettiva, da intendersi come diligentia in custodiendo11. Dal quadro delineato emerge che, accanto a coloro che configurano in termini oggettivi la responsabilità per custodia del comodatario nel diritto classico, vi sono molti autori che, anche recentemente, hanno riscoperto la configurazione soggettiva della stessa. Così, sulla base dell’analisi delle fonti classiche – tra cui anche Gai 3.206-207 – e giustinianee in materia, si è arrivati a dire che la considerazione della custodia nelle Istituzioni di Xxxx non sarebbe contrapposta a quella contenuta nelle Istituzioni di Xxxxxxxxxxx, e «solo per petizione di principio custodia denota responsabilità oggettiva: custodia è cura attenta, non responsabilità»12.
Quanto alla custodia come obbligo/prestazione del depositario, una questione alla quale già si è fatto cenno, è se quella gravante sul depositario sia
10 Si veda, per una sintesi sul punto, X. XXXXXXXXX, voce ‘Custodia’, cit., 562 ss. Inoltre, per un quadro generale sulla contrapposizione tra responsabilità oggettiva e soggettiva, e sull’avvicendarsi delle relative posizioni in dottrina, dalla Pandettistica in poi, X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 29 ss.
11 Si veda supra, cap. II, § 2, e cap. III, § 5, in particolare ntt. 55 e 56.
12 P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 104.
effettivamente un’‘obbligazione’ o piuttosto un’‘attività’ materiale di custodia e, più in generale, entro quali limiti la custodia costituisca un obbligo per il depositario13. Così, in particolare, è stato precisato come quella gravante sul depositario non sia un’‘obbligazione’, avente la stessa estensione che le attribuiscono i moderni, ma piuttosto un’‘attività’ di custodia, ossia un comportamento che il depositario deve tenere secondo buona fede. Ne conseguirebbe l’inopportunità di continuare a parlare di ‘obbligazione’ di custodire la cosa a carico del depositario, per il diritto classico, senza con ciò arrivare però a negare ogni rilevanza all’attività custodiente, posto che l’actio in ius ex fide bona esperibile contro il depositario è idonea a colpire tutti i suoi comportamenti contrari alla buona fede, tra cui quelli (non omissivi) che abbiano violato la causa custodiae caratterizzante il contratto14.
3. Gli altri passi gaiani nei quali si fa applicazione del criterio dell’interesse dei contraenti: D. 13.6.18 pr. (Gai 9 ad ed. prov.).
Un altro passo di Xxxx che merita di essere menzionato, in relazione alla responsabilità del comodatario, è:
D. 13.6.18 pr. (Gai 9 ad ed. prov.): in rebus commodatis talis diligentia praestanda est, qualem quisque diligentissimus pater familias suis rebus adhibet, ita ut tantum eos casus non praestet, quibus resisti non possint, veluti mortes servorum quae sine dolo et culpa eius accidunt, latronum hostiumve incursus, piratarum insidias, naufragium, incendium, fugas servorum qui custodiri non solent. Quod autem de latronibus et piratis et naufragio diximus, ita scilicet accipiemus, si in hoc commodata sit alicui res, ut eam re peregre secum ferat: alioquin si cui ideo argentum commodaverim, quod is amicos ad coenam invitaturum se diceret, et id peregre secum portaverit, sine ulla dubitatione etiam piratarum et latronum et naufragii casum praestare debet. Haec ita, si dumtaxat
13 Si veda supra, § 1.1, nonché cap. II, § 3, in particolare ntt. 52, 53 e 54.
14 A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 147 ss.
accipientis gratia commodata sit res, at si utriusque, veluti si communem amicum ad xxxxxx invitaverimus tuque eius rei curam suscepisses et ego tibi argentum commodaverim, scriptum quidem apud quosdam invenio, quasi dolum tantum praestare debeas: sed videndum est, ne et culpa praestanda sit, ut ita culpae fiat aestimatio, sicut in rebus pignori datis et dotalibus aestimari solet.
Nel brano, tratto dal commento all’editto provinciale, il giurista distingue due situazioni: quella normale, in cui la cosa sia stata data in comodato unicamente nell’interesse del comodatario (accipientis gratia commodata sit res), nel qual caso egli dovrà prestare la diligentia, qualem quisque diligentissimus pater familias suis rebus adhibet; e quella in cui il comodato sia stato concluso nell’interesse di entrambi i contraenti, nel qual caso, secondo alcuni autori, la responsabilità deve intendersi limitata al dolo. L’opinione sul punto, tuttavia, non doveva essere pacifica, in quanto, subito dopo, Xxxx non esclude una responsabilità del comodatario anche per colpa (sed videndum est ne et culpa praestanda sit). Siamo, quindi, al cospetto di un esempio significativo di ius controversum15.
Ebbene, la regola generale per cui normalmente il comodatario deve prestare la diligenza che un qualunque diligentissimo padre di famiglia adibisce alle proprie cose subisce delle eccezioni.
Da un lato, infatti, il medesimo non è tenuto per i casi irresistibili ivi descritti, quali: la morte del servo avvenuta senza che vi sia stato dolo o colpa del comodatario; le incursioni dei briganti e dei nemici; le insidie dei pirati, il naufragio, l’incendio e le fughe dei servi che non si è soliti custodire. Tuttavia, come si precisa di seguito, le incursioni dei briganti, le insidie dei pirati ed il
15 Sul passo si vedano X.X. XXXXXXX, Xxx Xxxxx xxx xxx Xxxxxxx, xxx.,000 ss.; X. XXXXXXXX, La genèse du Digeste, cit., 159 ss.; C.A. XXXXXXX, Ricerche sulla responsabilità, cit., 114 ss.; ID., Sul problema della responsabilità, cit., 74 ss.; X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 81 s.; X. XXXXX, Imputabilità, cit., 100 ss.; X. XXXXXXXXXX, ‘Custodia’ and ‘culpa’, cit., 208 s.; X. XXXXXXX, Comodato e furto: spunti d’interpretazione dialettica, in Xxxxx, XXX, 0000, 174 ss.; M.J. XXXXXX XXXXXXX, El ‘Furtum usus’ del depositario y del comodatario, in Atti dell’Accademia romanistica costantiniana, IV, Perugia, 1981, 851 ss.; F.M. DE XXXXXXXX, La responsabilità contrattuale nel sistema, cit., 379 ss.; X. XXXXX, La responsabilità del creditore pignoratizio, cit., 614 s.; X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 496 ss.; P. VOCI, ‘Diligentia’, cit., 81 ss.
naufragio non liberano il comodatario che, avendo avuto in prestito la posateria d’argento solo per allestire una cena con gli amici, decida unilateralmente di portarla con sé.
Dall’altro lato, quando sia rinvenibile un reciproco interesse alla conclusione del contratto, come nel caso in cui sia stata comodata dell’argenteria per una cena a cui avrebbe preso parte un amico comune al comodante e al comodatario, quest’ultimo, almeno secondo alcuni giuristi, lungi dal diligentiam praestare, sarà chiamato a rispondere solo per dolo.
Ne esce rafforzata l’idea per cui la considerazione dell’utilitas consente ai prudentes di graduare diversamente la misura della responsabilità delle parti, pur in relazione al medesimo tipo contrattuale, grazie al carattere flessibile della buona fede16. E questo è per l’appunto il caso del comodato il quale talvolta, come nell’ipotesi che ricorre in D. 13.6.18 pr., poteva essere concluso nel prevalente o addirittura unico interesse del comodante, con la conseguenza che la responsabilità del comodatario rimaneva circoscritta al solo dolo.
Al di là delle questioni che il testo pone in relazione ai criteri di imputazione della responsabilità17, delle quali si dirà nel prosieguo, si intende evidenziare in questa sede che, anche in questo passo gaiano, come nei precedenti sopra esaminati, sussiste uno stretto collegamento tra la soluzione data, caso per caso, al problema della responsabilità del comodatario e la verifica concreta dell’interesse delle parti al contratto.
3.1. Segue: e D. 44.7.1.4-5 (Gai 2 aur.).
A Gaio appartiene anche:
16 Sul ruolo rivestito dalla fides bona nell’elaborazione giurisprudenziale dei criteri di responsabilità per inadempimento si veda supra, cap. III, §§ 5.1 s.
17 Pensano a un’interpolazione giustinianea di diligentia in luogo di custodia X. XXXXXX, Das Utilitätsprinzip, cit., 24; X. XXXXXX, ‘Diligentia’, cit., 203 ss.; X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 62 ss.; G.I. LUZZATTO, Caso fortuito e forza maggiore, cit., 117 ss.; X. XXXXXXXX, Problemi della responsabilità contrattuale, in SDHI, XX, 1954, 137 e 223 s.; X. XXXXX, Imputabilità, cit., 76 s. e 118; ID., Istituzioni, cit., 401 ss.; F. PASTORI, Il commodato, cit., 209 s. e
257 ss. Contra C.A. XXXXXXX, Ricerche sulla responsabilità, cit., 115 ss.; X. XXXXXXXX,
L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 496 ss.
D. 44.7.1.4-5 (Gai 2 aur.): et ille quidem qui mutuum accepit, si quolibet casu quod accepit amiserit, nihilo minus obligatus permanet: is vero qui utendum accepit, si maiore casu, cui humana infirmitas resistere non potest, veluti incendio ruina naufragio, rem quam accepit amiserit, securus est. Alias tamen exactissimam diligentiam custodiendae rei praestare compellitur, nec sufficit ei eandem diligentiam adhibere, quam suis rebus adhibet, si alius diligentior custodire poterit. Sed et in maioribus casibus, si culpa eius interveniat, tenetur, veluti si quasi amicos ad cenam invitaturus argentum, quod in eam rem utendum acceperit, peregre proficiscens secum portare voluerit et id aut naufragio aut praedonum hostiumve incursu amiserit. 5. Is quoque, apud quem rem aliquam deponimus, re nobis tenetur: qui et ipse de ea re quam acceperit restituenda tenetur. Sed is etiamsi neglegenter rem custoditam amiserit, securus est: quia enim non sua gratia accipit, sed eius a quo accipit, in eo solo tenetur, si quid dolo perierit: neglegentiae vero nomine ideo non tenetur, quia qui neglegenti amico rem custodiendam committit, de se queri debet. Magnam tamen neglegentiam placuit in doli crimine cadere.
Si ritiene che i due paragrafi, tratti dalle Res cottidianae, abbiano indubbiamente un nucleo classico18.
Il § 4 viene comunemente accostato al sopra esaminato D. 13.6.18 pr., nonché a I. 3.14.219, tutti dedicati alla responsabilità del comodatario per la perdita della
18 In tal senso X. XXXXXXXXX, ‘Custodia’, cit., 227; X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 76 s.; X. XXXXX-XXXX, ‘De se queri debere’. ‘Officia erga se’ und Verschulden gegen sich selbst, in Festschr. Xxxxx zum 70. Gbt., München, 1976, 246; F.M. DE XXXXXXXX, I problemi della responsabilità contrattuale, cit., 375 ss.; ID., La responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 350 ss. Sul rapporto tra le Institutiones e le Res cottidianae, e sulla paternità gaiana di queste ultime, si veda X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit.,
483 ss., e l’ampia bibliografia ivi richiamata in nt. 4. Sul passo, inoltre, X. XXXXXXXX, Depositary’s liability in Roman Law, in AG, CXC.2, 1976, 44; X. XXXXXXXXXX, ‘Dolus’ in Decisions of the Mid-classical Jurists (Xxxxxx - Xxxxxxxxx), BIDR, XXXV-XXXVI, 1993-94, 132.
19 I. 3.14.2: […] at is qui utendum accepit sane quidem exactam diligentiam custodiendae rei praestare iubetur, nec sufficit ei tantam diligentiam adhibuisse quantam suis rebus adhibere solitus est, si modo alius diligentior poterit eam rem custodire: sed propter maiorem vim maioresve casus non tenetur, si modo non huius culpa is casus intervenerit: alioquin si id quod tibi commodatum est peregre ferre tecum malueris, et vel incursu hostium praedonumve vel naufragio amiseris, dubium non est quin de restituenda ea re tenearis. Commodata autem res tunc
cosa dovuta e tutti facenti espresso riferimento a quella exacta o exactissima diligentia come contenuto del praestare del comodatario, di cui non vi è traccia in Gai 3.206.
Ebbene, i brani menzionati vengono utilizzati per rafforzare la tesi dell’incompletezza del manoscritto veronese per quanto riguarda la materia della responsabilità contrattuale20, data la presenza in essi di «residui storici inoperanti, anzi, incongrui nel loro sistema, sì da sembrarvi passati da un modello classico mal rielaborato»21. Ne consegue che Xxxx non si sarebbe affatto disinteressato dei problemi della responsabilità contrattuale, come sostenuto da una parte della dottrina22.
Il confronto fra i tre testi (D. 44.7.1.4, D. 13.6.18 pr. e I. 3.14.2) rivela una sorprendente corrispondenza tra i medesimi. Come è stato osservato, tanto nel passo delle Res cottidianae (D. 44.7.1.4), quanto in quello tratto dal commento all’editto provinciale (D. 13.6.18 pr.), come del resto anche in quello delle Istituzioni giustinianee (I. 3.14.2), il rapporto tra la regola enunciata a proposito della responsabilità del comodatario e le conseguenze che ne scaturiscono è introdotto con delle avversative (alias e xxxxxxxx). Orbene, l’uso di un’avversativa, che non meraviglia in D. 13.6.18 pr., in cui essa introduce effettivamente una limitazione alla regola appena enunciata secondo la quale gli eventi di forza maggiore liberano il comodatario, risulta invece incongrua in D.
44.7.1.4 e in I. 3.14.2, nei quali non introduce una limitazione, ma uno sviluppo di pensiero consequenziale a quanto affermato in precedenza. L’incongruenza dipenderebbe dai rimaneggiamenti a cui i due testi sono stati sottoposti, sintomo che i compilatori, lungi dall’effettuare inserimenti ex novo, si sarebbero
proprie intellegitur, si nulla mercede accepta vel constituta res tibi utenda data est. Alioquin mercede interveniente locatus tibi usus rei videtur: gratuitum enim debet esse commodatum.
20 Sul confronto tra i passi citati, che ha portato a ipotizzare una lacuna nel Gaio veronese, frutto di una soppressione riconducibile ad un trascrittore postclassico, F.M. DE XXXXXXXX, I problemi della responsabilità contrattuale, cit., 375 ss. e 392 ss.; ID., La responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 350 ss. Si veda, inoltre, X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 483 ss.
00 X.X. XX XXXXXXXX, Xx responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 350.
22 Così G.I. LUZZATTO, Caso fortuito e forza maggiore, cit., 31; ID., Spunti, cit., 53 s.; X. XXXXXXX-XXXX, La compravendita in diritto romano, Napoli, 1956, 263; ID., Responsabilità contrattuale, cit., 63.
semplicemente limitati a riaggiustare un modello classico che già poneva e sviluppava la questione della responsabilità rispetto alle singole figure contrattuali23.
Il successivo § 5 riguarda il deposito24. Qui il giurista giustifica la limitazione della responsabilità del depositario, per la perdita della cosa depositata, al dolo, ricorrendo a una terminologia che riecheggia quella utilizzata in D. 13.6.18 pr.: quia enim non sua gratia accipit, sed eius a quo accipit. La responsabilità per dolo del depositario, dunque, risulta collegata, in maniera evidente, alla mancanza per lui di un concreto vantaggio derivante dal contratto: egli, infatti, ha ricevuto la cosa a vantaggio (esclusivo) di colui che ha depositato.
4. Cenni sul contenuto del ‘praestare’ del comodatario in Gaio.
Si è visto come D. 13.6.18 pr. e D. 44.7.1.4 facciano espresso riferimento, rispettivamente, alla diligentia del diligentissimus pater familias e alla exactissima diligentia custodiendae rei come contenuti del prestare del comodatario, in ciò differenziandosi rispetto a Gai 3.206, nel quale ricorre l’espressione custodiam praestare.
Ebbene, questa circostanza ha portato la critica interpolazionistica a reputare non genuini i richiami alla diligentia di cui sono pervasi D. 13.6.18 pr. e D. 44.7.1.4, in quanto contrasterebbero con ciò che lo stesso Xxxx afferma nelle Institutiones25.
Al contrario, è stato osservato che il commento all’editto provinciale è un’opera la cui paternità gaiana non è messa in discussione26. Del pari, può dirsi ormai superata la communis opinio che riteneva le Res cottidianae un’opera postclassica27.
23 Così F.M. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 350 ss.
24 Per un confronto tra questo paragrafo e I. 3.14.3, si veda F.M. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 354.
25 Si vedano, in tal senso, gli autori richiamati sub nt. 17.
26 Sul punto X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 498.
27 Si veda supra, nt. 18, nonché infra, nt. 28.
Si deve allora chiarire se l’assenza della locuzione custodiam praestare in D.
13.6.18 pr. e in D. 44.7.1.4, la quale è altrove richiamata esplicitamente dallo stesso Xxxx (come in Gai 3.206), sia determinata da un intervento dei compilatori giustinianei, oppure abbia un preciso significato.
In quest’ultima direzione è orientata quella dottrina secondo cui le presunte contraddizioni evidenziate si spiegherebbero alla luce della differente finalità delle opere di Xxxx. Così il giurista nelle Institutiones, caratterizzate da esigenze di sintesi legate alla didattica, avrebbe consapevolmente rimandato a trattazioni meno elementari la discussione del problema concernente l’esatto significato da attribuire al custodiam praestare del comodatario28.
Vi è anche chi ha sottolineato come lo sforzo di sistematizzazione, nel tentativo di fornire «un quadro il più possibile omogeneo e riconducibile a poche e precise regole, dalle quali dedurre i principi per le soluzioni dei casi concreti», abbia portato Gaio alla maturazione di un’espressione unitaria (diligentissimus pater familias), inglobante aspetti diversi del praestare del comodatario (culpam praestare; custodiam praestare)29.
Un’altra tesi, che si è già avuto modo di riferire, è quella per cui nel manoscritto veronese vi sarebbero delle lacune, imputabili al trascrittore del medesimo, rivelate dalle incongruenze risultanti dal raffronto tra D. 13.6.18 pr.,
D. 44.7.1.4 e I. 3.14.2. I compilatori, dunque, non avrebbero effettuato inserimenti ex novo, ma si sarebbero limitati a riaggiustare un modello classico che già poneva e sviluppava la questione della responsabilità rispetto alle singole figure contrattuali30.
Ciò che rileva è che tutti gli orientamenti esposti presentano, a ben vedere, un comune denominatore, consistente nel ritenere che Xxxx avesse ben presente, sin
28 Il raffronto è condotto tra le Institutiones, il commento all’editto provinciale e le Res cottidianae. Per un’approfondita disamina dello stile e del linguaggio gaiano si veda H.L.W. XXXXXX, Überlieferung, Aufbau und Stil von ‘Gai Institutiones’, Leiden, 1981, 294 ss., il quale riconosce che la diversa finalità delle opere – considerando in particolare le Institutiones, aventi finalità didattica, e le Res cottidianae, con scopo eminentemente pratico, delle quali è confermata la paternità gaiana –, avrebbe condizionato le presunte contraddizioni di solito evidenziate.
29 Cfr. X. XXXXXXXX, L’obbligazione di ‘praestare’, cit., 502 s.
30 Si tratta dell’impostazione di F.M. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattuale nel diritto romano, cit., 350 ss., su cui supra, § 3.1.
dalle sue Institutiones, il contenuto del praestare del comodatario e lo intendesse in termini di diligentia custodiendae rei.
In quest’ottica, dunque, la custodia cui Xxxx si riferisce in 3.206, non è che un tipo particolare di diligentia, quella custodiendae rei, che verrà qualificata come diligentia del diligentissimus pater familias in D. 13.6.18 pr., nonché come exactissima in D. 44.7.1.4 e, infine, come exacta in I. 3.14.2. Ne risulterebbe allora rafforzata la tesi per cui l’espressione custodiam praestare alluderebbe, anche nel diritto classico, ad una forma di responsabilità soggettiva.
5. Riflessioni conclusive.
Dall’esame dei passi gaiani – Gai 3.205-207, D. 13.6.18 pr. e D. 44.7.1.4-5 – fin qui svolto emerge come gli stessi riguardino esclusivamente i contratti di comodato e deposito. Questa circostanza è quanto mai significativa, in quanto proprio dal confronto tra comodato e deposito prende avvio, come abbiamo visto, anche il passo tradito dalla Collatio (Coll. 10.2.1-3) nel quale, nonostante le molteplici problematiche ad esso sottese, l’utilitas è elevata a regula da tenere sempre presente quando si discorre di responsabilità. Ciò potrebbe, allora, ulteriormente avallare l’opinione di coloro che sostengono che il criterio dell’utilitas abbia tratto origine proprio dalla comparazione tra comodato e deposito31.
L’analisi di Gai 3.205-207, D. 13.6.18 pr. e D. 44.7.1.5 – testi in cui si fa applicazione del criterio dell’interesse dei contraenti quale parametro in grado di incidere sul regime della responsabilità nei contratti reali gratuiti – ci permette, inoltre, di mettere in luce un dato significativo, consistente nel fatto che il canone dell’interesse, nei brani presi in considerazione non è mai espresso in termini di utilitas, che compare per la prima volta nei passi di Modestino e di Ulpiano (si tratta, rispettivamente, di Coll. 10.2.1-3 e D. 13.6.5.2-3), a suo tempo analizzati. Questa considerazione non vuole far dubitare della ravvisabilità del criterio
31 Così X. XXXXXXX, Contributi, cit., 96; X. XXXXX, ‘Obligatio’, cit., 523, nt. 77; X. XXXX, Die Entwicklung des Utilitätsgedankens, cit., 70 ss.; X. XXXXXX, Gratuité, cit., 342; X. XXXXX, Das römische Privatrecht, cit., 512; X. XXXXXXX-XXXX, Responsabilità contrattuale, cit., 54.
dell’utilitas nei passi gaiani, ma ci consente di evidenziare il fatto che ad esso ci si sarebbe riferiti attraverso l’uso di parole diverse, come commodum in Gai 3.206, o gratia in D. 13.6.18 pr. e in D. 44.7.1.5.
A tale riguardo, non mi pare che il mero dato letterale possa avere un peso decisivo nella ricostruzione della teoria dell’utilitas, al punto da negare ogni incidenza di quest’ultima sulla determinazione dei criteri di imputazione della responsabilità contrattuale prima dall’età tardoclassica, in cui si collocano i contributi di Xxxxxxx e Xxxxxxxxx.
Del resto, attraverso la valorizzazione di alcune testimonianze indirette, in particolare quelle contenute in D. 13.6.5.3, in D. 19.2.31 e in D. 50.17.23, è stato possibile affermare che quello dell’interesse (o dell’utilitas, commodum, o gratia che dir si voglia) è un canone di cui già si servivano i giuristi repubblicani, come Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx e Xxxxxx Xxxx, e del primo principato, come Sabino32. Muovendo da tale presupposto, è da escludere, a maggior ragione, che un giurista come Xxxx non ne fosse al corrente, per il solo fatto di non menzionare esplicitamente il termine utilitas.
Questa circostanza peraltro non fa che confermare la tendenza, cui si è già accennato, per cui l’espresso riferimento all’utilitas nelle fonti è destinato progressivamente a venire meno, rimanendo però il criterio dell’interesse sempre ben presente ai giuristi e sotteso ai discorsi sulla responsabilità, al punto da rendere superflua ogni espressa menzione dell’utilitas, in particolare laddove si faccia riferimento ai contratti/giudizi di buona fede33.
Lo stesso è accaduto, lo si è visto, in D. 50.17.23, nel quale, del pari, l’utilitas non è menzionata, ma è di certo presupposta34.
Tale dato, come abbiamo detto, si spiega in relazione all’emersione, sul piano processuale, dei giudizi di buona fede – le formule in ius di buone fede del deposito e del comodato sono state collocate, rispettivamente, nella seconda metà del I secolo a.C. e tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C.35 –, il cui definitivo
32 Si veda supra, cap. III, §§ 2 s. e 8 ss.
33 Si veda supra, cap. III, §§ 8 e 10. 34 Si veda supra, cap. III, §§ 8 e 10. 35 Si veda supra, cap. III, § 10.
affermarsi comporta il venir meno della necessità di esplicitare il criterio sostanziale dell’utilitas, la cui considerazione può dirsi inglobata in quelli.
CAPITOLO QUINTO
L’UTILITAS CONTRAHENTIUM E I CRITERI DI IMPUTAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ NEI CONTRATTI DI COMODATO E DEPOSITO
NELL’ORDINAMENTO VIGENTE
SOMMARIO: 1. L’area della gratuità contrattuale nel diritto vigente. – 2. Correlazione tra gratuità e realità. – 3. La disciplina delle obbligazioni e della responsabilità del comodatario nel codice civile. – 4. La disciplina delle obbligazioni e della responsabilità del depositario nel codice civile. – 5. L’incidenza dell’utilitas contrahentium sul regime odierno della responsabilità nei contratti di comodato e deposito.
1. L’area della gratuità contrattuale nel diritto vigente.
Il tema della gratuità contrattuale è stato recentemente oggetto di attenzione da parte della dottrina, al fine di precisarne, anzitutto, gli esatti confini rispetto alle prestazioni di cortesia, da un lato, e agli atti di liberalità, dall’altro. Tale operazione di individuazione degli esatti confini dell’area della gratuità, infatti, si pone necessariamente come momento preliminare rispetto all’indagine relativa alla responsabilità dei contraenti a titolo xxxxxxxx0.
1 Si vedano A. PALAZZO, Gratuità e attuazione degli interessi, in I contratti gratuiti, a cura di
A. Palazzo e X. Xxxxxxxxx, in Trattato dei contratti diretto da X. Xxxxxxxx ed X. Xxxxxxxxx, Torino, 2008, 9 ss.; ID., La gratuità nel progetto di codice europeo dei contratti, in Studi in onore di X. Xxxx, II, Padova, 2010, 1867 ss.; X. XXXXXXXXX, Onerosità e corrispettività: dal diritto nazionale al diritto comunitario, in Europa e dir. priv., 2009, 503 ss. e, in particolare, 534 ss., per un’indagine sul fenomeno delle prestazioni cortesi nell’ambito della giurisprudenza comunitaria; X. XXXXXXXXX, Intersoggettività e gratuità nei contratti, in Riv. dir. civ., 2010, I, 373 ss.; X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 1 ss. Inoltre, sulla rilevanza giuridica delle prestazioni di cortesia, X. XXXXXXX XXXXX XXXXX, Gratuità, liberalità e solidarietà. Contributo allo studio della prestazione non onerosa, Milano, 1998, 83 ss.; X. XXXXXXXXX, Relazioni sociali, vincolo giuridico e motivo di cortesia, Napoli, 2003, 265 ss.
Ebbene – in sintesi – si è detto che, per un verso, non rientrano nell’area della gratuità contrattuale le prestazioni di cortesia, amicizia, favore o riconoscenza, perché, quand’anche effettuate in attuazione di un accordo, quest’ultimo non integrerebbe comunque gli estremi dell’accordo di cui all’art. 1321 cod. civ.; per altro verso, la gratuità si differenzia rispetto all’intento liberale in relazione all’assenza di un incremento patrimoniale che sia conseguenza di un depauperamento. Inoltre, non si può affermare che tutti i contratti che realizzano una liberalità siano gratuiti (come la donazione), ben potendo raggiungersi un intento liberale anche mediante un contratto oneroso (il caso tipico è quello della vendita per un prezzo irrisorio)2.
Ciò posto, sono definiti comunemente a titolo gratuito – in contrapposizione a quelli a titolo oneroso – quei contratti che conferiscono un bene o un servizio senza una corrispondente prestazione a carico del beneficiario. Si tenga presente, comunque, che la previsione di una prestazione secondaria a carico del beneficiario (un onere, o modus) non fa venir meno la gratuità dell’atto, costituendo una semplice limitazione del beneficio attribuito3.
La distinzione tra atti a titolo oneroso e atti a titolo gratuito è rilevante sotto molteplici profili, tra cui appunto quello della determinazione del quantum di responsabilità contrattuale: il titolo gratuito, infatti, comporta una minore responsabilità per l’inadempimento4.
Orbene, il comodato e il deposito si annoverano entro i contratti gratuiti. Il comodato è definito quale contratto «essenzialmente gratuito» (art. 1803, comma 2, cod. civ.), con la conseguenza che laddove ricorra un interesse di carattere patrimoniale del comodante, si avrà locazione5; per il deposito, invece, la gratuità
2 X. XXXXXXXX, Gratuità, cit., 3 ss.
3 Per tutti, C.M. BIANCA, Diritto civile, III. Il contratto!, Milano, 2000, 494.
4 Così C.M. XXXXXX, Dell’inadempimento delle obbligazioni!, in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna - Roma, 1979, 146.
5 La ricorrenza di un interesse del comodante non snatura il contratto di comodato, qualora tale interesse non abbia contenuto patrimoniale, ovvero, pur avendo carattere patrimoniale, costituisca un vantaggio indiretto e mediato o, comunque, un interesse secondario del concedente, il cui vantaggio non venga a trovarsi in rapporto di corrispettività con il beneficio concesso al comodatario: così Xxxx. 28 maggio 1996, n. 4912, in Mass. Giust. civ., 1996, 785; in Contratti, 1996, 570 ss., con nota di X. XXXXXX, Comodato funzionale ad una complessa operazione economica. In dottrina, nel senso che la gratuità non esclude che il concedente possa ricavare