FINANZIARIA”
“L’intermediazione
FINANZIARIA”
Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxxx De Xxxxxx
Indice
2.4 IL LEASING DI RITORNO (LEASE-BACK). 9
4 LA CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI 14
5 LE CARTE DI CREDITO. LA MONETA ELETTRONICA 17
5.1 LE CARIE DI CREDITO: NOZIONE. TIPI. 17
5.2 LE CARTE DI CREDITO TRILATERALI. 17
1 Premessa.
In questo capitolo sono trattate alcune operazioni di natura finanziaria in larga parte sconosciute all'epoca della codificazione del 1942, ma che col tempo hanno acquistato notevole rilievo economico sollecitando una specifica disciplina a tutt'oggi solo in parte realizzata: leasing, factoring, carte di credito, emissione di moneta elettronica, credito al consumo, cartolarizzazione dei crediti. Sono queste attività ed operazioni finanziarie che presentano una duplice caratteristica, rilevante soprattutto ai fini della disciplina pubblicistica.
Si tratta di attività ed operazioni prevalentemente svolte da imprese bancarie, ma non riservate per legge alle stesse. Si tratta inoltre di attività che le banche di regola svolgono indirettamente attraverso la creazione di società controllate che operano in ciascuno di tali settori. Tali società concorrono perciò a formare con la società bancaria che le controlla un gruppo creditizio; sono conseguentemente soggette alla vigilanza informativa e regolamentare della Banca d'Italia (art. 65 ss. Tub) e nei loro confronti trova applicazione la speciale disciplina prevista per la crisi del gruppo bancario (art. 98 ss. Tub).
La specificità delle attività in considerazione e la circostanza che esse sono svolte anche da intermediari non bancari, in passato non assoggettati ad alcun controllo, hanno poi fatto emergere in tempi recenti la necessità di una disciplina pubblicistica di settore. Da qui l'emanazione, a partire dagli inizi degli anni novanta, di una serie di provvedimenti dai quali è emersa l'ulteriore distinzione di fondo fra: a) attività (non bancaria) di intermediazione finanziaria; b) attività di intermediazione mobiliare. Di quest'ultima ci occuperemo in seguito.
Quanto all'attività di intermediazione finanziaria non bancaria, la relativa disciplina pubblicistica, ispirata anche dalla finalità di prevenire l'utilizzo del sistema finanziario per operazioni di riciclaggio di denaro proveniente da reati, è oggi confluita, con modifiche, negli artt. 106-114 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, approvato con il d.lgs. 1-9- 1993, n. 385 (Tub). Tale disciplina si applica alle attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi (art. 106, 1° comma) ed ha carattere residuale. Riguarda cioè le imprese, come quelle non facenti parte di un gruppo bancario, che non siano già soggette a forme di vigilanza equivalente sull'attività finanziaria svolta (art. 114, 2° comma). In tal caso vanno osservate le seguenti regole.
L'esercizio nei confronti del pubblico di una o più delle attività sopra indicate è riservato agli intermediari iscritti in un apposito elenco generale tenuto dall'Ufficio italiano cambi (Uic), il quale dà comunicazione dell''iscrizione alla Banca d'Italia ed alla Consob (art. 106, 1° e 5° comma).
Per ottenere l'iscrizione nell'albo gli intermediari devono avere la forma di società di capitali o di società cooperative; devono avere come oggetto esclusivo lo svolgimento di attività finanziaria; il capitale sociale versato non può essere inferiore a cinque volte il capitale minimo previsto per la costituzione delle società per azioni (art. 106, 3° comma).
I soci, le cui quote di partecipazione superano i limiti determinati dal Ministro dell'economia e delle finanze, devono avere particolari requisiti di onorabilità (art. 108). Requisiti di onorabilità, di professionalità e di indipendenza sono prescritti anche per amministratori, sindaci, e direttori generali di tali società (art. 109).
Le società iscritte nell'elenco generale sono sottoposte a controllo da parte dell'Uic, per verificare il permanere delle condizioni richieste per l'iscrizione.
Gli intermediari di maggior rilievo, individuati con criteri oggettivi de- terminati dal Ministro dell'economia e delle finanze «riferibili all'attività svolta, alla dimensione e al rapporto tra indebitamento e patrimonio», sono tenuti ad iscriversi anche in un apposito elenco speciale tenuto dalla Banca d'Italia e sono assoggettati a più penetranti controlli. Devono infatti attenersi alle disposizioni emanate dalla Banca d'Italia «aventi ad oggetto l'adeguatezza patrimoniale e il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni, l'organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni, nonché l'informativa da rendere al pubblico sulle predette materie» e sono sottoposti alla vigilanza esclusiva della stessa (art. 107, modificato dal d.l. 27-12-2006, n. 297, convertito in legge 23-2-2007, n. 15).
Specificamente regolata è anche l'attività di mediazione o di consulenza nella concessione di finanziamenti da parte di banche o di intermediari finanziari. Al fine di prevenire il fenomeno dell'usura, tale attività è stata riservata ai soggetti, in possesso dei requisiti di onorabilità previsti per gli intermediari finanziari, iscritti in un apposito albo istituito presso l'Uic (art. 16, legge 108/1996 e d.p.r. 28-7-2000, n. 287).
Ciò fissato, passiamo ad esaminare i profili di diritto privato delle principali operazioni di intermediazione finanziaria: leasing, factoring, carte di credito, emissione di moneta elettronica e credito al consumo. Operazioni che sono tutte assoggettate, al pari di quelle di mediazione creditizia, alla disciplina generale di trasparenza precedentemente esposta per i contratti bancari .
2.1 Tipologia.
2 Il leasing
Il leasing (o locazione finanziaria) è una nuova tecnica contrattuale nata per soddisfare una specifica esigenza delle imprese: quella di disporre dei beni strumentali necessari per l'attività produttiva (macchinari, impianti, attrezzature sofisticate) senza essere costrette ad immobilizzare ingenti capitali per l'acquisto.
Naturalmente, l'imprenditore dispone di altre vie per soddisfare tale esigenza: può prendere in locazione o in affitto il bene, acquistarlo a rate, ottenere un finanziamento bancario per l'acquisto in contanti. Si tratta però di alternative non sempre praticabili e comunque costose o poco con- venienti. Chi fabbrica macchinari di regola li vende e non li affitta perché deve rapidamente recuperare i capitali investiti. L'acquisto a rate non sempre è conveniente, dato che una volta finito il pagamento ci si può ritrovare proprietari di un macchinario privo di valore in seguito a logorio od obsolescenza. Il ricorso al finanziamento bancario per l'acquisto immediato è costoso e non sempre risponde allo scopo, dato che ciò che interessa non è tanto la proprietà del bene quanto la disponibilità dello stesso per un periodo più o meno lungo. Ed allora? Allora è nato il leasing. Un contratto che intercorre fra un'impresa finanziaria specializzata (la società di leasing) e chi ha bisogno di beni strumentali per la propria impresa. Un contratto che non è locazione, non è vendita a rate, non è mutuo o finanziamento bancario, ma una combinazione originale di elementi propri di tali contratti nata dalla pratica degli affari per dare una risposta nuova e più funzionale alle esigenze di chi utilizza, ma anche di chi produce, beni strumentali soggetti ad obsolescenza tecnologica.
Nonostante l'ampia diffusione, il leasing è ancora oggi un contratto privo di specifica disciplina legale, anche se ha raggiunto un sufficiente grado di standardizzazione attraverso la consueta tecnica dei contratti tipo predisposti dalle imprese di leasing.
Al riguardo è però necessaria una duplice avvertenza.
Il successo del leasing, anche per le agevolazioni fiscali di cui gode, ne ha notevolmente ampliato l'ambito di utilizzazione. Accanto al leasing avente ad oggetto beni strumentali di impresa (leasing di impresa) si è infatti largamente sviluppato il leasing di beni di consumo durevoli quali automobili ed elettrodomestici (leasing di consumo) ed il leasing di beni immobili (stabilimenti industriali o studi professionali). Al leasing ricorrono inoltre non solo gli imprenditori ma anche i professionisti, per le agevolazioni tributarie di cui anche questi ultimi possono godere.
Inoltre e soprattutto il leasing si è articolato in tre tecniche operative notevolmente diverse fra loro: leasing finanziario, leasing operativo e lease-back (o leasing di ritorno).
Come spesso accade per i contratti non ancora codificati, la formula leasing racchiude perciò esperienze contrattuali eterogenee per finalità e struttura, che pongono di conseguenza problemi non omogenei di inquadramento e di disciplina. Il leasing finanziario (di beni strumentali, di consumo e immobiliare) è comunque la forma più diffusa e caratteristica
.
2.2 Il leasing finanziario.
Il leasing finanziario è concluso nell'ambito di un'operazione trilaterale alla quale partecipano la società di leasing (concedente), l'impresa interessata all'utilizzo del bene (utilizzatore) ed un'impresa che produce o distribuisce il bene stesso (fornitore).
L'impresa di leasing acquista dal fornitore il bene desiderato dall'utilizzatore e lo cede in godimento a questi stipulando un contratto (il contratto di leasing) che presenta i seguenti dati caratterizzanti:
1. il godimento è concesso per un periodo di tempo determinato che nel (solo) leasing di beni strumentali tende a coincidere con la vita tecnica del bene;
2. come corrispettivo del godimento l'utilizzatore deve corrispondere un canone periodico, di regola più elevato di un comune canone di locazione;
3. all'utilizzatore è riconosciuta la facoltà di acquistare la proprietà del bene alla scadenza del contratto pagando un prezzo predeterminato; prezzo di regola modesto per i beni strumentali, più consistente invece per i beni di consumo durevoli (autoveicoli).
Emerge così netta la differenza rispetto alla vendita con riserva di proprietà. Chi acquista a rate diventa automaticamente proprietario col pagamento dell'ultima rata. Nel leasing invece alla fine del contratto l'utilizzatore può scegliere se acquistare il bene, restituirlo o rinnovare il contratto; inoltre nel primo caso deve pagare uno specifico corrispettivo.
Il leasing, d'altro canto, si differenzia significativamente anche dalla locazione ed in particolare dalla locazione con patto di futuro acquisto della proprietà (art. 1526, 3° comma) in quanto, con apposite clausole, l'impresa di leasing pone a carico dell'utilizzatore tutti i rischi connessi al godimento del bene. Si prevede infatti che:
a) l'utilizzatore è tenuto a pagare i canoni pattuiti anche in caso di mancata o ritardata consegna del bene da parte dei fornitore;
b) in deroga agli artt. 1578 e 1579, l'utilizzatore non può invocare la garanzia per vizi nei confronti del concedente, anche se gli stessi rendono del tutto impossibile il godimento;
c) in deroga all'art. 1588, l'utilizzatore è responsabile per la perdita o il perimento del bene anche se dovuti a causa a lui non imputabile, sicché dovrà corrispondere i canoni residui anche se ha cessato di godere del bene.
Sono queste, clausole ispirate dall'esigenza di assicurare all'impresa di leasing il recupero di quanto pagato al fornitore per l'acquisto del bene e perciò ritenute valide, anche perché nei primi due casi all'utilizzatore è riconosciuto il diritto di esercitare nei confronti del fornitore le azioni che spettano al concedente.
L'aspetto più delicato della disciplina convenzionale del leasing finanziario è comunque costituito dalle clausole che regolano la risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore. È infatti previsto che l'impresa di leasing:
ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto anche in caso di mancato pagamento di un solo canone, quale ne sia l'ammontare;
ha diritto di trattenere integralmente i canoni riscossi, salvo il risarcimento dei danni ulteriori; danni che in passato venivano di frequente predeterminati nell'ammontare dei canoni residui e del prezzo di opzione.
Sono queste clausole che derogano vistosamente alla disciplina, certamente inderogabile, della vendita con riserva di proprietà (artt. 1525 e 1526), parzialmente applicabile anche alla locazione con patto di futuro acquisto della proprietà (art. 1526, 3° comma).
La validità della seconda clausola (deroga all'art. 1526) è stata tuttavia contestata da parte della dottrina e della giurisprudenza di merito sostenendosi che il leasing finanziario è riducibile nello schema della vendita con riserva di proprietà o della locazione, ovvero che l'art. 1526 è comunque applicabile per analogia. E stata all'opposto difesa da chi ritiene che si è in presenza di un contratto di credito o, comunque, di un contratto atipico di finanziamento; ed in quest'ultimo senso si era orientata in passato la Cassazione.
La verità è tuttavia che il diritto del concedente di trattenere i canoni riscossi e di pretendere quelli ancora dovuti risulta soluzione sostanzialmente equa nel leasing di beni strumentali di impresa. Alla scadenza del contratto, di regola coincidente con la vita economica del bene, questi hanno quasi sempre un valore residuo minimo (perciò il prezzo di opzione è basso) ed il pagamento
integrale dei canoni si giustifica con l'esigenza di assicurare al concedente il recupero del finanziamento con gli interessi, dato che poco o nulla potrà recuperare dalla rivendita del bene di cui è restato proprietario.
La situazione muta invece radicalmente nel leasing di beni di consumo durevoli (ad esempio, autoveicoli) o nel leasing immobiliare. In tal caso non vi è coincidenza fra durata del leasing e durata del bene, che perciò conserva un valore finale non trascurabile, superiore al prezzo di opzione (autoveicoli) o addirittura superiore a quello iniziale (immobili). Il bene è inoltre agevolmente vendibile a terzi. In questi casi perciò l'acquisizione integrale dei canoni (scaduti e non) e la vendita a terzi del bene concesso in leasing possono far incassare al concedente ben più di quanto avrebbe riscosso con la regolare esecuzione del contratto.
In altri termini c'è leasing e leasing e ciò che può risultare equo per il leasing di beni strumentali non lo è per le altre forme di leasing. Merita perciò di essere sostanzialmente condivisa la distinzione introdotta dalla Cassazione fra leasing tradizionale o di godimento (beni strumentali di impresa) e leasing impuro o traslativo (beni di consumo durevoli). Nel primo sottotipo l'art. 1526 non è applicabile e perciò l'impresa di leasing può senz'altro trattenere i canoni riscossi ed esigere a titolo di risarcimento danni i canoni ulteriori ed il prezzo di opzione. Nel secondo sottotipo, ferma restando la qualificazione del leasing come contratto atipico, deve invece applicarsi per analogia l'art. 1526: l'utilizzatore dovrà perciò corrispondere solo un equo compenso per l'uso ed il risarcimento dei danni nella misura quantificata dal giudice.
Questo indirizzo è stato, sia pure parzialmente, recepito dalle imprese di leasing. In molti dei contratti tipo più recenti si prevede infatti che l'utilizzatore ha diritto alla restituzione del ricavato della vendita del bene, dedotto quanto ancora dovuto per le rate a scadere. Anche perché, per il leasing di beni di consumo è forte il dubbio che la delineata regolamentazione convenzionale si ponga in contrasto con la disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori e sia perciò da considerare nulla ex art. 36 cod. cons.
Una speciale disciplina è stata infine introdotta nel 2006 per regolare gli effetti del fallimento sui contratti di leasing finanziario pendenti. Le nuove regole, sia pur superando la tradizionale distinzione fra leasing traslativo e leasing di godimento, perseguono il duplice obiettivo di salvaguardare il giusto interesse del concedente al recupero del finanziamento, ma anche di evitare ingiustificati arricchimenti da parte dello stesso.
In caso di fallimento dell'utilizzatore, infatti, si applica la regola generale secondo cui il contratto rimane sospeso finché il curatore non decide se subentrarvi o risolverlo; quando invece è
disposto l'esercizio provvisorio dell'impresa durante il fallimento, il contratto continua ad avere ese- cuzione salvo che il curatore decida altrimenti.
Il subentro del curatore nel rapporto contrattuale comporta che il concedente diventa creditore della massa, e quindi va soddisfatto in prededuzione rispetto agli altri creditori concorrenti.
Se il curatore opta invece per lo scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene. Può trattenere i canoni già riscossi, che non sono soggetti a revocatoria se pagati nei termini d'uso. Può inoltre insinuarsi al passivo per il credito vantato alla data del falli- mento, decurtato di quanto (eventualmente) ricavato mediante una nuova allocazione del bene. Qualora infatti il concedente riesca a trovare una nuova collocazione del bene a valori di mercato (ad esempio, vendendolo o concedendolo in leasing) può trattenere dal ricavato la somma corri- spondente al proprio credito residuo in linea capitale, e dovrà restituire al fallimento l'eccedenza.
Più semplice è la disciplina per il caso di fallimento del concedente: il contratto prosegue automaticamente e l'utilizzatore conserva la facoltà di acquistare il bene alla scadenza, previo pagamento dei canoni e del prezzo pattuito (art. 12-quater 1. fall., modificato dal d.lgs. 169/2007).
2.3 Il leasing operativo.
Minori problemi solleva il leasing operativo, detto anche leasing diretto del produttore. In questo tipo di leasing i beni sono concessi in godimento direttamente dal produttore, che si obbliga anche a fornire una serie di servizi collaterali (assistenza, manutenzione, ecc.).
Il leasing operativo ha in genere per oggetto beni strumentali standardizzati, quali macchine fotocopiatrici o calcolatori elettronici. La durata del contratto è più breve della vita economica del bene ed i canoni sono commisurati al suo valore di uso.
Si ritiene perciò che il contratto rientri nello schema della locazione e resti assoggettato alla relativa disciplina inderogabile, compreso l'art. 1526 qualora sia prevista un'opzione di acquisto alla scadenza del contratto.
2.4 Il leasing di ritorno (lease-back).
Nel leasing di ritorno (lease-back) un imprenditore vende propri beni (mobili, immobili o anche l'intero complesso aziendale) ad una società di leasing che ne paga il prezzo. Nel contempo, quest'ultima stipula col venditore un contratto di leasing avente ad oggetto gli stessi beni. Questi
restano perciò nella disponibilità del venditore, che pagherà i canoni di leasing e potrà riacquistarli alla scadenza esercitando la relativa opzione.
Il lease-back può quindi costituire un utile strumento di finanziamento alternativo per un imprenditore che si trova in temporanee difficoltà economiche.
La liceità dell'operazione è stata però contestata. Si è infatti osservato che il lease-back è assimilabile alla vendita a scopo di garanzia (vendo un bene al mio creditore col patto che questo me lo restituirà solo se e quando avrò estinto il mio debito); vendita che secondo i più recenti orientamenti della giurisprudenza ricade nel divieto di patto commissorio (art. 2744)16. Se ne è dedotto che anche il lease-back è nullo per violazione del divieto di patto commissorio.
Si è però convincentemente replicato che:
• il lease-back non è identificabile con la vendita a scopo di garanzia, perché nel primo manca un credito preesistente da garantire e soprattutto perché il bene resta nella disponibilità del venditore, sicché funzione complessiva dell'operazione non è solo quella di rafforzare la garanzia del creditore;
• la ragione del divieto di patto commissorio è quella di impedire che il debitore sia costretto a concedere in garanzia beni di valore superiore al credito concessogli, mentre nel leasing di ritorno l'importo del credito garantito (ammontare dei canoni dovuti) è di regola proporzionato al valore del bene trasferito in proprietà all'impresa di leasing.
Il lease-back non è perciò operazione che di per sé contrasta col divieto di patto commissorio; non è sempre e comunque nullo. Nullità si potrà avere solo quando in concreto risulti una palese sproporzione fra credito garantito e valore del bene trasferito in proprietà alla società di leasing. E che questa sia la soluzione corretta risulta anche dalla recente introduzione nel codice civile di una disciplina specifica per riscrizione nel bilancio del concedente dei proventi derivanti dal lease-back, così dimostrandosi che per la validità di queste operazioni non si può fare di tutta l'erba un fascio.
3.1 Il contratto.
3 Il factoring
Il factoring è una nuova tecnica contrattuale di origine statunitense sviluppatasi per rispondere alle specifiche esigenze delle imprese che effettuano continue e consistenti vendite a credito nei confronti di una clientela numerosa e diversificata. Queste imprese si trovano perciò a dover gestire una notevole massa di crediti, sopportando una serie di costi per la riscossione e l'eventuale contenzioso. Esse inoltre possono avvertire il bisogno di monetizzare anticipatamente parte dei crediti vantati. Evidenti sono poi i rischi legati alla possibile insolvenza dei debitori.
Ciascuno di questi problemi può essere ovviamente risolto separatamente: si può affidare ad un ragioniere la gestione contabile dei crediti; ad un avvocato il contenzioso per il recupero dell'insoluto; ci si può rivolgere ad una banca per la riscossione o per ottenere uno sconto (difficile però se non si tratta di crediti cambiari); si può stipulare un'assicurazione crediti contro il rischio di insolvenza. E però molto più comodo e meno costoso, soprattutto per le imprese di media e piccola dimensione, potersi rivolgere a qualcuno che sia in grado di risolvere in modo stabile ed unitario tutte queste diverse esigenze.
Sono così nate e si sono sviluppate le imprese di factoring; imprese specializzate nella gestione dei crediti di impresa e che offrono con un unico contratto di durata (il contratto di factoring) tutti i relativi servizi, che sono essenzialmente quattro: tenuta della contabilità debitori; gestione dell''incasso dei crediti e dell'eventuale contenzioso; eventuale concessione di anticipazioni sull'importo dei crediti; eventuale assunzione a proprio carico del rischio di insolvenza.
Il cliente che stipula un contratto di factoring può fruire nel tempo di tutte o solo di alcune di tali prestazioni, pagando per ciascuna un compenso predeterminato (commissioni più gli interessi sulle eventuali anticipazioni). Il tutto però sulla base di un unico contratto, che può assumere configurazioni diverse e variamente articolate nel tempo, ma che comunque si caratterizza per una propria ed unitaria funzione che impedisce di ricondurlo ad altri tipi contrattuali (mandato, mutuo, apertura di credito, sconto, assicurazione crediti).
Nella prassi operativa italiana, il contratto di factoring è stato comunque strutturato utilizzando l'istituto della cessione del credito. E proprio il profilo della cessione dei crediti di impresa a società od enti che esercitano l'attività di factoring, è stato disciplinato dalla legge 21-2-
1991, n. 52, al fine di risolvere alcuni problemi applicativi sollevati dalla disciplina di diritto comune della cessione del credito.
Nel contempo, per garantire un corretto sviluppo del settore è stata dettata una specifica disciplina pubblicistica dell'attività di factoring, il cui esercizio è oggi riservato alle banche ed agli altri intermediari finanziari disciplinati dal Tub .
3.2 La disciplina.
Come anticipato, il nucleo essenziale del contratto di factoring è costituito dall'istituto della cessione dei crediti (art. 1260 ss. cod. civ.). Più esattamente, si è in presenza di una cessione globale di crediti pecuniari futuri, verso corrispettivo. Cessione che è assoggettata alla speciale disciplina dettata dalla legge 52/1991 quando ricorrono le seguenti condizioni: il cedente è un imprenditore; i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio dell'attività di impresa; il cessionario è una banca o un intermediario finanziario il cui oggetto sociale prevede l'esercizio dell''attività di acquisto di crediti di impresa.
Pertanto, con il contratto di factoring l'imprenditore cedente (fornitore) cede in massa al factor tutti i propri crediti presenti e futuri derivanti da contratti stipulati nell'esercizio dell'impresa o anche solo quelli derivanti da determinate operazioni (ad esempio, crediti per vendite all'estero). Il factor a sua volta si obbliga a gestire e riscuotere i crediti cedutigli, dato che il contratto di factoring non si esaurisce nella sola cessione globale dei crediti ma si caratterizza per la prestazione di ulteriori servizi da parte del factor.
Superando alcune perplessità in passato manifestate, la legge 52/1991 riconosce espressamente la validità della cessione in massa di crediti futuri. Precisa però che nell'accordo di factoring deve essere specificato il (futuro) debitore ceduto e che la cessione può avere per oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo non superiore a ventiquattro mesi (art. 3).
L'accordo di cessione globale determina l'automatico trasferimento dei crediti futuri al factor man mano che gli stessi vengono ad esistenza, senza che siano necessari ulteriori specifici atti traslativi dei singoli crediti25. Il fornitore dovrà consegnare al factor tutti i documenti probatori dei crediti cedutigli e notificare al debitore l'intervenuta cessione nelle forme di diritto comune (art.
1264).
La cessione avviene di regola pro solvendo: il cedente garantisce cioè, nei limiti del corrispettivo pattuito, la solvenza del debitore ceduto (art. 4 legge 52/1991). Inoltre, il relativo importo, dedotta la commissione a favore del factor, è di regola messo a disposizione del cedente solo dopo l'incasso.
Il cessionario può tuttavia rinunciare, in tutto o in parte, alla garanzia della solvenza (cessione pro soluto). In tal caso il factor assicura al fornitore il pagamento del credito anche in caso di inadempimento del debitore; ed in tale evenienza il relativo importo è messo a disposizione alcuni mesi dopo la scadenza.
Il factor può anche concedere anticipazioni sull'ammontare dei crediti ceduti (pro solvendo o pro soluto), conteggiando gli interessi per il tempo dell'anticipazione. Le anticipazioni di regola non superano una determinata percentuale del valore nominale del credito ceduto. Inoltre, se la ces- sione è pro solvendo, le stesse devono essere restituite qualora il debitore non paghi.
Una specifica disciplina (art. 5 legge 52/1991) tutela il factor contro possibili abusi del fornitore che in violazione degli accordi ceda a terzi i medesimi crediti, nonché nei confronti dei creditori del cedente, anche in caso di fallimento dello stesso.
L'opponibilità ai terzi (aventi causa, creditori e fallimento del cedente) della cessione è infatti svincolata dalla necessità della notifica giudiziale (art. 1265) quando ricorrono le seguenti condizioni: il factor ha pagato, in tutto o in parte, il corrispettivo della cessione ed il pagamento ha data certa anteriore rispettivamente al titolo di acquisto degli aventi causa del cedente, al pignoramento dei suoi creditori o al fallimento dello stesso.
Specificamente regolata è infine anche la revocatoria fallimentare dei pagamenti del
xxxxxxxx ceduto all'impresa di factoring.
4 La cartolarizzazione dei crediti
4.1 L'operazione.
La cessione globale di crediti è ancora l'istituto su cui si fonda la cartolarizzazione dei crediti, operazione da tempo diffusa in altri paesi e solo di recente disciplinata da noi con la legge 30-4-1999, n. 130.
L'operazione risponde allo scopo di facilitare lo smobilizzo di masse notevoli di crediti, anche di non agevole realizzazione, mediante l'incorporazione in titoli di credito di massa destinati ad essere per lo più sottoscritti da investitori professionali. Ciò in quanto caratteristica essenziale dell''operazione è che l'emittente i titoli risponde del pagamento degli stessi non con tutto il suo patrimonio, ma esclusivamente con il flusso finanziario (interessi e rimborsi) derivante dai crediti che sono a base dell'operazione di cartolarizzazione; crediti che nel contempo sono vincolati in via esclusiva al pagamento dei relativi titoli. Sugli investitori viene perciò a gravare il rischio dell'eventuale insolvenza dei debitori originari.
Le operazioni di cartolarizzazione sono da noi utilizzate soprattutto dalle banche per smobilizzare masse di crediti in sofferenza e sono realizzabili, in base all'esperienza straniera, secondo due modalità: a) cessione dei crediti ad una società veicolo che li acquista finanziandosi con i titoli emessi sul mercato e che vincola al pagamento degli stessi solo la massa dei crediti ceduti; b) cessione dei crediti ad un fondo comune di investimento chiuso avente per oggetto crediti.
La prima tecnica, di più agevole realizzazione, è stata prescelta come modello base dalla disciplina introdotta dalla legge 130/1999, volta non solo a consentire operazioni di cartolarizzazione senza far ricorso, come per il passato, a società veicolo costituite all'estero, ma
anche a tutelare gli investitori.
4.2 La disciplina.
I caratteri essenziali dell'operazione di cartolarizzazione dei crediti, come delineati dall'art.
1 della legge 130/1999, possono essere così fissati:
a) la cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari esistenti o futuri, eventualmente individuati in blocco, ad una società che ha per oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione;
b) l'emissione da parte di tale società (o anche di una distinta società)32 di titoli di credito destinati a finanziare l'acquisto del portafoglio crediti ceduto;
c) la destinazione esclusiva da parte della società cessionaria delle somme corrisposte dai debitori ceduti al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei relativi crediti, nonché al pagamento dei costi dell'operazione.
I titoli emessi sono espressamente qualificati come strumenti finanziari (art. 2). Se destinati ad essere collocati fra il pubblico, troverà perciò applicazione la disciplina dell'offerta al pubblico di prodotti finanziari, con conseguente obbligo della società cessionaria o della società emittente, se diversa, di redigere il prospetto informativo dell'operazione di cartolarizzazione contenente le indicazioni stabilite dalla Consob. La redazione del prospetto informativo, secondo uno schema minimo fissato per legge, è tuttavia prescritta anche quando i titoli sono destinati ad essere offerti ad investitori professionali (art. 2, 3° comma).
Nel contempo, solo quando i titoli sono offerti a investitori non professionali l'operazione di cartolarizzazione deve essere sottoposta a «valutazione del merito di credito» da parte di operatori terzi (c.d. agenzie di rating), i cui requisiti di onorabilità e di professionalità sono stabiliti dalla Consob (art. 2, 4° e 5° comma).
I titoli emessi dalla società di cartolarizzazione sono, di regola, titoli di massa che incorporano un diritto di credito e sono pertanto inquadrabili fra i titoli obbligazionari. Essi sono però integralmente sottratti alla disciplina delle obbligazioni di società (art. 5) ed in particolare ai limiti di emissione rapportati al capitale sociale, anche perché la garanzia di ciascuna emissione è costituita esclusivamente dai crediti che sono a base della corrispondente operazione di
cartolarizzazione.
Infatti, i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni. Su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei crediti stessi (art. 3, 2° comma).
Nel contempo, la posizione dei portatori dei titoli è rafforzata dalla speciale disciplina dettata per l'efficacia delle cessioni dei crediti nelle operazioni di cartolarizzazione (art. 4).
Trova infatti applicazione la disciplina di favore dettata dal Tub per la cessione a banche di rapporti giuridici individuabili in blocco. La cessione diventa perciò efficace nei confronti del debitore ceduto con la semplice pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia dell'avvenuta cessione, che determina anche il trasferimento dei privilegi e delle garanzie che assistono il credito ceduto senza bisogno di ulteriori formalità.
Inoltre, da tale data sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse solo azioni a tutela dei diritti dei portatori dei titoli e la cessione dei crediti è opponibile agli altri aventi causa e ai creditori del cedente.
Ancora, i portatori dei titoli sono pienamente tutelati in caso di fallimento dei debitori ceduti in quanto i pagamenti da questi effettuati alla società cessionaria non sono sottoposti a revocatoria fallimentare . E sono parzialmente tutelati anche in caso di fallimento del cedente poiché sono drasticamente abbreviati i termini per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare nei confronti dello stesso: rispettivamente, da un anno a sei mesi e da sei a tre mesi (art. 4, 4° comma, legge 130/1999).
5 Le carte di credito. La moneta elettronica
5.1 Le carie di credito: nozione. Tipi.
Le carte di credito sono documenti (sotto forma di tessere) che consentono al titolare di acquistare beni o servizi senza pagamento immediato del prezzo.
Esse costituiscono uno strumento convenzionale di pagamento, alternativo rispetto alla moneta ed all'uso di assegni bancari, che consente al titolare di godere anche di una breve dilazione. Diffusesi in Italia a partire dagli anni settanta, le carte di credito possono essere distinte in due grandi categorie: carte bilaterali e carte trilaterali.
Le carte di credito bilaterali sono rilasciate dalle stesse imprese fornitrici di beni o servizi (ad esempio, grandi magazzini) e consentono di effettuare acquisti in tutti i punti di vendita dell'emittente, con differimento del pagamento del prezzo. Le somme dovute sono infatti pagate periodicamente dall'acquirente, previo invio da parte del fornitore di un estratto conto con l'indicazione dell'importo dei singoli acquisti.
Più note e di gran lunga più diffuse sono le carte di credito trilaterali (ad esempio, CartaSi, Visa). Esse sono emesse da imprese (in prevalenza società di emanazione bancaria) specializzate nella gestione di tale servizio che consiste in un'attività di intermediazione nei pagamenti.
L'emittente la carta di credito paga infatti ai fornitori quanto loro dovuto dai titolari della carta per merci o servizi acquistati; a scadenze periodiche si fa poi rimborsare da questi ultimi quanto pagato ai primi per loro conto. Per il servizio reso percepisce un compenso sia dai fornitori (esercizi convenzionati) sia dagli acquirenti (titolari della carta).
5.2 Le carte di credito trilaterali.
Il meccanismo delle carte di credito trilaterali è reso possibile da una serie di convenzioni tipo che l'emittente stipula preventivamente con i fornitori (convenzione di abbonamento) e con gli utilizzatori della carta (convenzione di rilascio).
Con la convenzione di abbonamento l'esercizio convenzionato si obbliga verso l'emittente a fornire ai titolari della carta i beni e servizi richiestigli, senza pretendere il pagamento immediato. L'emittente a sua volta si obbliga a pagare al fornitore il relativo importo, decurtato di una per- centuale (disaggio) a titolo di compenso per il servizio.
Il pagamento è effettuato dietro presentazione di un documento (nota di spesa o ordine di pagamento), di regola firmato dal titolare della carta, nel quale sono riportati gli estremi dell'operazione conclusa e della carta di credito (intestazione, numero, scadenza).
Con la convenzione di rilascio il titolare della carta è legittimato, dietro pagamento di un canone annuo piuttosto modesto, ad utilizzare la stessa per effettuare acquisti presso gli esercizi convenzionati senza pagamento del prezzo.
L'emittente si obbliga infatti a pagare per conto del titolare gli importi corrispondenti, risultanti dalle note di spesa inviategli dagli esercizi convenzionati. Il titolare a sua volta si obbliga a rimborsare mensilmente all''emittente quanto pagato per suo conto, dietro invio dell'estratto conto del periodo. Il titolare rinuncia inoltre preventivamente a far valere nei confronti dell'emittente qualsiasi eccezione fondata sul rapporto con i fornitori (vizi della merce, ritardo nella consegna, ecc.) (art. 7 n.b.u.).
Le convenzioni di base (emittente-fornitore ed emittente-titolare) diventano operanti nel rapporto fornitore-acquirente con l'accettazione da parte del primo del regolamento del prezzo mediante carta di credito. L'ordine di pagamento impartito dal titolare all'emittente, con la sotto- scrizione della nota di spesa, attiva infatti il complesso degli effetti programmati nelle convenzioni di base e che possono essere così ricostruiti:
• l'emittente si sostituisce al titolare della carta nel pagamento del debito di questi verso il fornitore;
• il fornitore può richiedere il pagamento esclusivamente all'emittente poiché, accettando il regolamento mediante carta, rinunzia al pagamento da parte dell'acquirente;
• col pagamento l'emittente estingue il debito dell'acquirente verso il fornitore ed acquista il diritto di conteggiare al titolare della carta il pagamento eseguito per suo conto;
• il credito dell'emittente verso il titolare della carta diventa tuttavia esigibile solo a scadenze periodiche (mensilmente), per effetto del differimento pattuito con la convenzione di rilascio.
Si è quindi in presenza di una vicenda trilaterale che, secondo l'opinione preferibile, riproduce i meccanismi della delegazione di pagamento (art. 1269).
Sono così ridotti i rischi degli spostamenti materiali di danaro, con vantaggio sia per gli esercizi convenzionati sia per i titolari della carta. I primi conseguono in tempi brevi il prezzo della
merce venduta (sia pure ridotto della percentuale dovuta all'emittente) e sono affrancati dai rischi che comporta la vendita non in contanti a clienti sconosciuti. I secondi sono sollevati dal rischio di portare danaro contante con sé e godono di un breve differimento del pagamento che consente di effettuare acquisti anche se non si è in grado di pagare subito.
D'altro canto, il rischio dell'emittente di non recuperare le somme anticipate è in parte coperto dai compensi percepiti per il servizio. È inoltre ridimensionato sia dagli obblighi di comportamento imposti agli esercizi convenzionati ed ai titolari per prevenire l'uso abusivo della carta, oggi sanzionato penalmente (art. 12 legge 5-7-1991, n. 197), sia dalla rinunzia del titolare a far valere nei suoi confronti qualsiasi eccezione tratta dai rapporti col fornitore.
5.3 La moneta elettronica.
La moneta elettronica è un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell'emittente, memorizzato su un dispositivo elettronico ed accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall'emittente stesso.
La sua emissione avviene dietro versamento da parte del richiedente dell'importo corrispondente, più una commissione (fissa o in percentuale, a seconda degli accordi) per remunerare il servizio (art. 1, 2° comma, lett. h-ter, Tub). L'emittente "carica" quindi l'importo disponibile su una tessera di plastica dotata di banda magnetica o microprocessore (c.d. borsellino elettronico), mediante la quale è possibile effettuare pagamenti presso gli esercizi commerciali convenzionati. Presso questi ultimi è presente un apposito apparecchio, denominato POS (Point of Sale), in grado di leggere la carta e scalare dalla disponibilità della stessa la somma dovuta. L'esercente comunica quindi all'emittente la quantità di moneta elettronica accumulata dal POS, per ottenerne il pagamento (al netto di una commissione trattenuta dall'emittente).
Il titolare ha inoltre il diritto di ottenere dall'emittente il rimborso della moneta elettronica non utilizzata, secondo le modalità previste dal contratto (art. 114, 3° comma): ad esempio, utilizzando la carta per effettuare prelievi dagli sportelli del sistema Bancomat.
Il borsellino elettronico si differenzia dunque nettamente dalle carte di credito in quanto si tratta di una carta "prepagata". Sono così ridotti i rischi di uso abusivo della carta, dato che è possibile caricare di volta in volta sulla stessa solo la quantità di moneta elettronica necessaria per effettuare gli acquisti o le spese previsti.
In alternativa, la moneta elettronica può essere emessa senza il supporto materiale di una carta, e la relativa disponibilità viene memorizzata nel computer o nel telefono cellulare del
richiedente, sotto forma di speciali documenti informatici recanti la firma digitale dell'emittente, che possono essere trasferiti al destinatario del pagamento come se fossero "banconote elettroniche". Tale modalità di emissione viene impiegata per effettuare pagamenti via internet.
L'emissione di moneta elettronica è riservata alle banche e ad un particolare tipo di intermediari finanziari specializzati: gli istituti di moneta elettronica (IMEL), iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d'Italia e soggetti alla vigilanza della stessa (art. 114-quater).