ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
DOTTORATO IN
STATO, PERSONA E SERVIZI NELL’ORDINAMENTO EUROPEO E INTERNAZIONALE
curriculum Diritto civile; ambito Obbligazioni, contratti e responsabilità civile Ciclo XXVIII
Settore concorsuale di afferenza: 12/A1 – Diritto Privato Settore scientifico disciplinare: IUS/01 – Diritto Privato
SOPRAVVENIENZE CONTRATTUALI
Il mantenimento dei contratti di durata
tra diritto nazionale e prospettive di evoluzione europea
Presentata da Xxxxxx xx Xxxxxxxxx
Coordinatore Dottorato Xx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxx
Relatore
Xx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx
Esame finale anno 2016
«dileguato il sogno, che fece dell’uomo l’imperatore dell’universo e vide nella terra la prima sede del mondo,
intorno a cui si aggiravano il sole e le stelle,
persero la maestà terrestre e l’umana in un col trono l’impero, e la potenza dell’uomo sulle forze della natura
non apparve maggiore che l’importanza del nostro Globo, impercettibile a petto degli astri innumerevoli e sterminati, che popolano il firmamento»1
1 GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel moderno diritto italiano esposta con la scorta della dottrina e della giurisprudenza, Torino, rist. 1927 (ed. originale 1876-87), pp. 207 s.
INDICE
Abbreviazioni ricorrenti
p. 11
ABSTRACT
p. 13
I. SOPRAVVENIENZE CONTRATTUALI E CONTRATTI DI DURATA NELL’ORDINAMENTO ITALIANO: ALLA RICERCA DI UN RIMEDIO GENERALE MANUTENTIVO
p. 21
1. Le sopravvenienze contrattuali nel diritto italiano, tra fattispecie codificate e ipotesi atipiche.
p. 22
1.1. – Impossibilità sopravvenuta della prestazione: la dialettica tra l’esigibilità della prestazione e l’interesse del creditore all’adempimento.
p. 22
1.2 – L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione nei contratti a prestazioni corrispettive: caratteri e limiti del rimedio di cui all’art. 1467 c.c.
p. 27
1.3 – Il venir meno della presupposizione come ipotesi atipica di sopravvenienza contrattuale.
p. 32
1.4 – L’ipotesi di lavoro e i criteri direttivi nello studio dei rimedi alle sopravvenienze contrattuali.
p. 37
2. Il contratto di durata: la rilevanza dei caratteri strutturali e degli interessi sottesi nella fase esecutiva.
p. 40
2.1 – Il fattore tempo come elemento qualificante, sotto il profilo causale, dei contratti di durata.
p. 40
2.2 – La valutazione soggettiva dell’operazione economica e l’influenza dei costi transattivi sulla determinazione dell’equilibrio tra le prestazioni.
p. 45
2.3 – L’esecuzione del contratto di durata e il ruolo del parametro della buone fede (o correttezza).
p. 52
3. Sopravvenienze e rimedi: verso la configurazione di un rimedio manutentivo di ordine generale.
p. 57
3.1 – L’emersione dell’interesse alla conservazione dei contratti di durata esposti a sopravvenienze nell’ambito dei regolamenti contrattuali e delle discipline di settore, quale fondamento della configurazione di un rimedio manutentivo di ordine generale.
p. 57
3.2 – Il rimedio manutentivo di ordine generale tra ipotesi interpretative e operatività della regola dell’art. 1467 c.c.
p. 64
4. Il dovere di rinegoziare: principi ispiratori, struttura e meccanismo applicativo.
p. 72
4.1 – Il dovere di rinegoziare nella dialettica tra autonomia privata e giustizia contrattuale.
p. 72
4.2 – Gli obblighi delle parti in vista del mantenimento del contratto.
p. 82
4.3 – Il meccanismo di applicazione del rimedio manutentivo.
p. 89
II. LE CARATTERISTICHE STRUTTURALI DEI CONTRATTI DI DURATA E L’ADEGUATEZZA DEI RIMEDI PER IL GOVERNO DELLE SOPRAVVENIENZE NELLA PROSPETTIVA DELL’ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO
p. 101
1. Premessa: il rapporto dialogico tra regole del mercato e norme giuridiche nella ricerca di un rimedio manutentivo.
p. 102
2. L’incompletezza contrattuale nella sua rilevanza economica: dal modello astratto della contrattazione verso il realismo delle premesse.
p. 108
3. L’incompletezza dei contratti di durata: da ipotesi eccezionale a elemento strutturale della fattispecie.
p. 116
4. La selezione dei rimedi in vista del mantenimento del contratto: prospettive di approccio, regole di default e rinegoziazione, nel governo delle sopravvenienze contrattuali.
p. 131
4.1 – Gli ambiti e le prospettive di operatività dei rimedi legali, in rapporto al libero esercizio dell’autonomia negoziale.
p. 132
4.2 – Funzione di incentivo e adeguatezza del rimedio nella scelta tra
tutela risarcitoria e tutela inibitoria.
p. 138
4.3 – La rinegoziazione e il ruolo della default rule nella costruzione di un meccanismo rimediale tendenzialmente manutentivo.
p. 144
III. LE SOPRAVVENIENZE CONTRATTUALI NEI PROGETTI DI ARMONIZZAZIONE DEL DIRITTO DEI CONTRATTI
p. 157
1. Premessa: le dottrine dello squilibrio negoziale e il ruolo della buona fede.
p. 158
2. I progetti di armonizzazione del diritto dei contratti e il modello rimediale per il governo delle sopravvenienze contrattuali.
p. 164
3. La buona fede, l’autonomia privata e l’intervento regolatore tra modello consensualistico e modello conservativo.
p. 175
3.1 – L’incompletezza contrattuale e la funzione del dovere di buona fede.
p. 175
3.2 – Gli spazi di un intervento regolatore e l’opportunità di introdurre una default rule.
p. 182
3.3 – Il dovere di rinegoziazione tra modello consensualistico e modello conservativo.
p. 186
4. Il giudizio di efficienza delle soluzioni adottate nei progetti di armonizzazione del diritto dei contratti.
p. 194
IV. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
p. 215
Bibliografia
p. 237
Appendice giurisprudenziale
p. 255
ABBREVIAZIONI RICORRENTI
art. | = | Articolo |
artt. | = | Articoli |
C. | = | Corte di cassazione (civile) |
c.c. | = | Codice civile |
C. cost. | = | Corte costituzionale |
CEC | = | Avant-projet de Code européen des contrats |
cfr. | = | Confronta |
co. | = | Comma |
Cost. | = | Costituzione della Repubblica italiana |
d.l. | = | Decreto legge |
d.lgs. | = | Decreto legislativo |
DCFR | = | Draft Common Frame of Reference |
es. | = | Esempio |
ICC | = | International Chamber of Commerce |
l. | = | Legge |
n. | = | Numero |
nt. | = | Nota |
PECL | = | Principles of European Contract Law |
RPECL | = | Revised Principles of European Contract Law |
s. | = | Seguente (pagina) |
ss. | = | Seguenti (pagine) |
T. | = | Tribunale |
u.c. | = | Ultimo comma |
UPICC | = | Unidroit Principles of International |
Commercial Contracts | ||
v. | = | Vedi |
vs. | = | Versus |
ABSTRACT
Il presente lavoro prende in esame il tema delle sopravvenienze contrattuali e, segnatamente, indaga la configurabilità di un rimedio manutentivo per i contratti cosiddetti di durata esposti a sopravvenienze perturbative.
Lo studio è condotto in una triplice prospettiva: quella del diritto nazionale, quella dell’analisi economica del diritto e quella dell’armonizzazione del diritto europeo (e internazionale) dei contratti.
Anzitutto, vengono prese in esame le soluzioni apprestate dall’ordinamento italiano. In questa prima fase, attraverso la ricerca e l’analisi delle soluzioni normative predisposte per le ipotesi – generali e speciali – in cui il legislatore è chiamato a disciplinare il concreto sviluppo dei rapporti contrattuali di durata, vengono poste le basi per individuare gli indici di sensibilità che il nostro ordinamento manifesta nei confronti delle caratteristiche proprie di questi particolari contratti. In essi, la durata sposta il baricentro dalla fase statico-genetica – regolata dalle norme in tema di validità del contratto
– a quella dinamico-attuativa, nella quale l’esecuzione del rapporto si dispiega. In altri termini, il fattore tempo si presenta come elemento qualificante, sotto il profilo causale, del contratto di durata. Tale caratteristica si riflette sul piano della disciplina dell’esecuzione del contratto che, estendendosi nel tempo, può essere influenzata da eventi non presi in considerazione delle parti all’atto della stipula.
Dunque, il legislatore si è preoccupato di dettare discipline che intendono attuare una ripartizione del rischio delle sopravvenienze: su tutte, quella dell’art. 1467 c.c., chiamata a dialogare con le clausole generali – in particolare, la buona fede o correttezza – che il codice fissa, anche con riguardo all’esecuzione del contratto.
Il rimedio generale per l’eccessiva onerosità sopravvenuta, seppur dimostra l’attenzione riservata dal legislatore al problema delle sopravvenienze contrattuali, mantiene tuttavia un’impostazione di carattere ablativo: conduce, cioè, a rimuovere il contratto esposto a sopravvenienze ovvero a imporlo, nella sua letterale cogenza, al debitore della prestazione, lasciando in subordine l’ipotesi di un suo adeguamento, mediante l’offerta di riconduzione a equità.
Tuttavia, in tempi recenti, autorevole dottrina ha posto in luce come l’interpretazione dell’art. 1467 x.x. x, xx xxxxxxxx, xx xxxxxxxx xxxxxxx xx problema del governo delle sopravvenienze contrattuali, sia suscettibile di essere ripensato, in un’ottica che abbracci, oltre alle norme del codice, le clausole generali (quali ventili dei principi costituzionali destinati a operare anche nell’ambito dei rapporti tra privati) e un’analisi empirica volta a considerare specificamente i caratteri propri della contrattazione di durata, come modello che si discosta sensibilmente da quello della contrattazione istantanea, che è alla base dell’impostazione del codice civile.
L’analisi delle dinamiche formative dei rapporti di durata consente di far emergere i peculiari interessi che le parti perseguono mediante
la contrattazione, ponendone in luce lo stretto rapporto con il carattere necessariamente solidaristico-cooperativo della relazione di durata. In altri termini, proprio la necessità di legarsi in un rapporto che presenta un rischio intrinseco di subire alterazioni – segnatamente sotto il profilo economico – spinge le parti, nel determinare l’equilibrio tra le reciproche prestazioni, da un lato, a tenere in considerazione l’opportunità di evitare gli eccessivi costi transattivi necessari a predeterminare un ampio spettro di ipotesi di sopravvenienze, dall’altro, a fare affidamento sul canone della buona fede nell’esecuzione del contratto come strumento per conseguire il risultato perseguito mediante l’operazione economica posta in essere. È proprio questo interesse fondamentale che si pone alla base della ricerca di un rimedio manutentivo, qualificabile come dovere di rinegoziare il contratto esposto a sopravvenienze perturbative, al fine di ricondurre il rapporto tra le prestazioni nell’ambito dell’alea
normale del contratto medesimo.
La prima fase della ricerca si conclude, dunque, tratteggiando i principi ispiratori, la struttura e il meccanismo applicativo di un simile rimedio, che si estrinseca in una ricollocazione sistematica dell’art. 1467 c.c., che passa dall’essere norma rimediale di livello primario a clausola di salvaguardia contro l’abuso dei diritti che le parti possono vantare, a seguito dell’abbattersi delle sopravvenienze sul rapporto, nella fase di rinegoziazione del medesimo, in adempimento al generale dovere di attivarsi per tutelare il reciproco interesse alla
prosecuzione del rapporto, quale espressione del più generale dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.
Tale dovere di rinegoziazione, presidiato dalla clausola generale di buona fede e dall’applicabilità residuale del rimedio ablativo di cui all’art. 1467 c.c., consente di configurare una ipotesi di responsabilità contrattuale da inadempimento del dovere medesimo (cosiddetta culpa in recontrahendo), fonte di un diritto al risarcimento del danno quantificabile in ragione della maggiore onerosità assunta dalla prestazione e dell’art. 1227 c.c., espressione di un favore per l’atteggiamento di cooperazione tra debitore e creditore.
Tale preliminare approdo non esaurisce, tuttavia, l’esame delle ipotesi di rimedi manutentivi configurabili. Segnatamente, si rileva un crescente interesse, nella discussione dei giuristi, per rimedi che coinvolgano direttamente e in un ruolo di primissimo piano l’operato di un terzo, quale è il giudice, chiamato a intervenire sul contratto al fine di modificarlo, riequilibrandolo, per mantenerlo in vita.
Una simile impostazione emerge chiaramente nei progetti di armonizzazione del diritto dei contratti che hanno visto la luce in ambito europeo e internazionale e si lega inscindibilmente con le considerazioni evolute in ordine ai caratteri strutturali delle relazioni negoziali di durata e alla peculiarità degli interessi espressi dai soggetti in esse coinvolti.
Per approfondire dette specificità, la seconda parte della ricerca si rivolge all’analisi economica del diritto, quale disciplina utile a
enucleare, in concreto, gli elementi caratterizzanti la contrattazione di durata.
Dialogando con le norme giuridiche, i principi di analisi economica del diritto consentono di analizzare più nello specifico problematiche quali l’incompletezza contrattuale, la razionalità limitata e la non onniscienza degli operatori economici. Lo studio di simili problematiche – anche con il supporto dell’elaborazione giurisprudenziale che se ne è avuta in ambito anglosassone – è di estremo interesse, per il giurista, in quanto, consentendo di recuperare un adeguato grado di realismo delle premesse, conduce a considerare l’incompletezza dei contratti di durata (e dunque la possibilità che essi siano colpiti da sopravvenienze perturbative non adeguatamente prese in considerazione dagli stipulanti) quale elemento strutturale della fattispecie e non quale mera manifestazione patologica del rapporto.
Tali considerazioni si riflettono, poi, sul piano dei rimedi, i quali, sempre nella prospettiva dell’analisi economica del diritto, possono costituire utili incentivi per favorire comportamenti responsabili e corretti delle parti.
La fase conclusiva della seconda parte indaga, dunque, quale sia il rimedio più adeguato ed efficiente, per il governo delle sopravvenienze contrattuali, prendendo a riferimento sia la tutela risarcitoria, sia quella giudiziale, sia quella volta a lasciare all’autonomia privata, chiamata nuovamente a esprimersi, nella
rinegoziazione, il compito di decidere la sorte del contratto. Il tutto, tenendo in considerazione il rilievo della tecnica normativa di volta in volta prescelta, nel rapporto tra disciplina imperativa e default rule.
Infine, nella terza parte, vengono presi in esame, più da vicino, i progetti di armonizzazione del diritto dei contratti cui si è già accennato. Tali progetti suscitano un particolare interesse in quanto promanano da istituzioni che, perseguendo un’opera di armonizzazione del diritto, sono chiamate a farei conti, da un lato, con differenti tradizioni giuridiche, dall’altro, con le esigenze pratiche che emergono dal mercato, anch’esso sulla via dell’armonizzazione.
Nell’esame delle regole dettate in tali sedi, vengono recuperati tanto il discorso sui principi generali che governano l’espressione dell’autonomia contrattuale, quanto quello sull’analisi economica delle soluzioni via via prospettate. Il risultato è la conferma della centralità di entrambi i predetti approcci (giuridico ed economico) nella formazione delle future regole comuni.
Pur con le inevitabili differenze, le soluzioni elaborate in sede sovranazionale rispondono a un modello unitario, nel quale, ove il contratto sia esposto agli effetti perturbativi di una sopravvenienza imprevista, al di fuori del controllo e della sfera di rischio (espressamente delimitata) della parte pregiudicata, tanto da risultare alterato l’equilibrio fondamentale del rapporto (per l’eccessiva onerosità o l’eccessivo svilimento di una prestazione), le parti sono tenute a rinegoziare l’accordo, su iniziativa del debitore della
prestazione afflitta (che deve dimostrare la sussistenza dei requisiti per l’accesso al rimedio), secondo buona fede, al fine di ricondurre il disequilibrio nell’ambito dell’alea normale. In caso di fallimento della negoziazione (o trascorso un termine ragionevole senza che si sia raggiunto un accordo), le parti possono adire il giudice, il quale, valutate le caratteristiche della relazione contrattuale e tenute in considerazione le nuove circostanze, può sciogliere il contratto, dettando termini e condizioni dello scioglimento, ovvero modificarlo, al fine di ricondurlo a equilibrio (entro l’alea normale), sanzionando, anche mediante la condanna al risarcimento del danno, eventuali comportamenti contrari a buona fede e correttezza (opportunismo) tenuti da ciascuna parte in sede di rinegoziazione (o per impedire che essa potesse svolgersi).
Un simile modello, a prima vista, parrebbe radicalmente in contrasto con l’impostazione propria del nostro ordinamento. In realtà, esso si fonda su principi noti all’esperienza giuridica italiana ed espressi nelle norme del nostro Paese; inoltre, risponde a esigenze avvertite dai privati in relazione agli strumenti (quali la contrattazione di durata) che essi continuano a prescegliere per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela. Piuttosto, la questione problematica pare porsi sul piano dell’approccio interpretativo da assumere per affrontare il problema del governo delle sopravvenienze: collocandosi nella prospettiva del sistema del codice civile (modellato sul contratto di scambio istantaneo ma sensibile alla peculiarità della contrattazione
di durata), è più difficile intravedere quelle soluzioni interpretative che il recupero di un adeguato grado di realismo delle premesse suggerisce come fisiologica disciplina destinata ad aderire alle peculiari problematiche che la contrattazione di durata presenta. Sotto questo profilo, le soluzioni interpretative proposte con riguardo all’ordinamento italiano, nella prima parte della ricerca, rivelano non poche assonanze con quelle in via di formazione in ambito sovranazionale, analizzate nella terza parte.
In conclusione, la ricerca ci restituisce un’immagine delle sopravvenienze contrattuali quale fattispecie problematica fisiologicamente inscritta nella struttura di una categoria di contratti (quelli di durata, per l’appunto) che impone la ricerca di rimedi secondo il paradigma della loro adeguatezza a considerare i caratteri delle relazioni contrattuali medesime e a tutelare gli interessi che i privati, mediante queste, intendono legittimamente soddisfare. In particolare, la strutturazione di un rimedio di tipo manutentivo, a supporto di uno strumento economico (il contratto di durata) di primario rilievo, si presenta come esigenza ineludibile. In tal senso, il discorso sui principi fondativi del diritto dei contratti, nel suo costante dialogo con le regole del mercato, e sulle intuizioni che l’analisi economica del diritto è in grado di suggerire all’interprete consente a quest’ultimo di tratteggiare soluzioni innovative e di spiegare quelle che già stanno prendendo forma, oltre i confini degli ordinamenti nazionali.
I
SOPRAVVENIENZE CONTRATTUALI E CONTRATTI DI DURATA NELL’ORDINAMENTO ITALIANO: ALLA RICERCA DI UN RIMEDIO GENERALE MANUTENTIVO
1. LE SOPRAVVENIENZE CONTRATTUALI NEL DIRITTO ITALIANO, TRA FATTISPECIE CODIFICATE E IPOTESI ATIPICHE.
1.1 – IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA DELLA PRESTAZIONE: LA DIALETTICA TRA L’ESIGIBILITÀ DELLA PRESTAZIONE E L’INTERESSE DEL CREDITORE ALL’ADEMPIMENTO. Il codice civile italiano detta una disciplina generale delle sopravvenienze disponendo, con riguardo alla singola obbligazione, che quando una prestazione diviene impossibile per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue e il debitore è liberato (art. 1256, co. 1, c.c.). Nel caso di impossibilità parziale, quest’ultimo si libera con l’esecuzione della parte di prestazione che è rimasta possibile (art. 1258, co. 1, c.c.).
Dette norme, che il codice presenta, come detto, nell’ambito della disciplina generale delle obbligazioni, paiono fondarsi su una concezione oggettivistica della prestazione, incentrata sui suoi caratteri intrinseci e sull’incidenza che le sopravvenienze hanno su di essi. Tuttavia, a conferma della vocazione contrattuale della disciplina in discorso e della necessità – avvertita dal legislatore del codice – di tenere in considerazione l’equilibrio del rapporto obbligatorio e l’equità sostanziale del medesimo, l’interesse delle parti e, segnatamente, del creditore della prestazione colpita dalla sopravvenienza non può dirsi del tutto trascurato, come dimostra il disposto dell’art. 1256, co. 2, c.c. Infatti, nella disciplina della temporanea impossibilità della prestazione, si prevede che la
responsabilità per il ritardo derivante dalla sopravvenuta impossibilità non è ascrivibile al debitore, ma comporta l’estinzione dell’obbligazione allorché l’impossibilità perduri fino a che, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non possa più ritenersi obbligato ovvero il creditore non abbia più interesse al conseguimento della prestazione.
Le regole di cui si è detto si riflettono sulla disciplina dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, la quale completa il quadro normativo, prendendo in considerazione gli effetti che l’esposizione della prestazione a sopravvenienze produce sulla controprestazione, allorché, quindi, l’interesse del creditore della prestazione interessata dalla sopravvenienza non si esaurisce in quello al risarcimento del danno per la mancata esecuzione di questa. Così, l’impossibilità totale della prestazione rende inesigibile la controprestazione non ancora eseguita e indebita quella eventualmente già eseguita, che deve essere restituita secondo le norme relative alla ripetizione di indebito (art. 1463 c.c.). Ma il problema dell’allocazione del rischio connesso alle sopravvenienze impeditive viene in rilievo anche nel caso dell’impossibilità per il debitore di eseguire la prestazione, imputabile al creditore, come si è verificato nei casi in cui, in forza di sconvolgimenti geopolitici, il creditore si sia visto vincolato da un
embargo commerciale2. In tali ipotesi appare coerente dare un’applicazione per così dire inversa all’art. 1463 c.c., consentendo la risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive accompagnata dal risarcimento dei danni in favore del debitore pregiudicato3.
Diversamente, l’impossibilità parziale della prestazione conferisce alla controparte contrattuale il diritto a una corrispondente riduzione della prestazione dalla stessa dovuta e la facoltà di recedere dal contratto, ove non residui, in capo alla medesima parte, un interesse apprezzabile all’adempimento parziale (art. 1464 c.c.). In altri termini, il creditore della prestazione colpita dalla sopravvenienza può, alternativamente, esigere una riduzione della controprestazione da prestare, ovvero esercitare il diritto potestativo di recesso, laddove non abbia interesse all’adempimento parziale. Tale diritto potestativo, tuttavia, deve essere misurato alla luce del criterio oggettivo della buona fede nell’esecuzione del contratto, di cui si dirà più ampiamente in seguito, per verificare se il suo esercizio possa valere ad estinguere il rapporto con effetto liberatorio (art. 1375)4.
2 T. Genova, 11 luglio 1996, in Contratto e impresa, 1997, p. 115, nota di Rolli; T. Trento, 10 dicembre 1992, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I,
p. 853, nota di Xxxxxx.
3 PANARELLO, Impossibilità sopravvenuta e strumenti di distribuzione del rischio: il rimedio della risoluzione e le clausole di deroga, in Sopravvenienze e dinamiche di riequilibrio tra controllo e gestione del rapporto contrattuale, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, 2003, p. 23. 4 PANARELLO, Impossibilità sopravvenuta e strumenti di distribuzione del rischio: il rimedio della risoluzione e le clausole di deroga, cit., p. 37.
In tutti i casi sin qui considerati, dunque, è prescritta la liberazione
– totale o parziale – del debitore della prestazione afflitta dalla sopravvenienza dall’obbligo risarcitorio derivante dall’inadempimento dell’obbligazione, apprestandosi, di contro, rimedi volti a garantire l’equilibrio contrattuale, salvaguardando le ragioni del creditore.
Detto meccanismo opera a fronte dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, non imputabile al debitore, la quale impossibilità deve intendersi in senso oggettivo – essa non rileva, cioè, se riguarda solo quel dato debitore – ma non assoluto, inerendo non tanto e non solo all’impedimento naturalistico invincibile, bensì all’inesigibilità dell’impegno necessario al debitore per vincere l’impedimento alla corretta esecuzione della prestazione, da valutarsi nel rapporto economico tra mezzi e fini proprio dell’obbligazione di specie5. Occorre precisare tale concetto di inesigibilità della prestazione, onde evitare confusione con l’inesigibilità della prestazione oggetto di un’obbligazione sottoposta a termine non scaduto (art. 1185 c.c.), ovvero relativamente alla quale concorrano circostanze che attribuiscono al debitore un’eccezione dilatoria (es. art. 1460 c.c.). Nell’accezione qua considerata, l’inesigibilità si determina allorché la sopravvenienza renda l’esecuzione della prestazione contraria a un interesse del debitore da considerarsi preminente – nella scala dei valori protetti dall’ordinamento – rispetto a quello del creditore
5 XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, vol. I, IVA ed., Padova, 2004, p. 63.
all’adempimento; dunque, essa non va ricondotta agli impedimenti oggettivi della prestazione, ma costituisce un’autonoma causa esimente derivante dal divieto di abuso del diritto quale espressione del principio di correttezza (art. 1175 c.c.), assimilabile all’impossibilità solo negli effetti6, che si giustifica in quanto «al di là dell’esigibile diventa superfluo porre un problema di responsabilità, poiché sarebbe cessato il diritto e la persistente pretesa del creditore sarebbe abuso del diritto»7.
La disciplina dell’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore costituisce, dunque, un meccanismo normativo di allocazione del rischio, senza che venga in rilievo la responsabilità della parte impossibilitata né quella della controparte, liberata dall’obbligo di eseguire la controprestazione. Tale meccanismo opera sui due differenti piani dell’obbligazione (artt. 1256, 1258 c.c.) e del contratto a prestazioni corrispettive (artt. 1463, 1464 c.c.), nel qual caso, all’effetto liberatorio per il debitore, si cumula l’effetto risolutorio. Esso esprime la reazione dell’ordinamento all’alterazione dell’equilibrio iniziale del programma negoziale, in un’ottica di tutela del sinallagma funzionale, quale espressione dell’interdipendenza delle prestazioni nell’attuazione della causa concreta del contratto8.
6 MENGONI, voce Responsabilità contrattuale (dir. vig.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, pp. 1089 s.
7 XXXXXXXX, L’abuso del diritto, in Riv dir. civ., 1965, p. 276.
8 PANARELLO, Impossibilità sopravvenuta e strumenti di distribuzione del rischio: il rimedio della risoluzione e le clausole di deroga, cit., p. 26.
1.2 – L’ECCESSIVA ONEROSITÀ SOPRAVVENUTA DELLA PRESTAZIONE NEI CONTRATTI A PRESTAZIONI CORRISPETTIVE: CARATTERI E LIMITI DEL RIMEDIO DI CUI ALL’ART. 1467 C.C. Da modello dell’impossibilità si discosta la disciplina del codice in materia di eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, nei contratti a prestazioni corrispettive a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita. In questo tipo di sopravvenienza contrattuale, che deve essere determinata da eventi straordinari e imprevedibili non rientranti nell’alea normale del contratto, la prestazione divenuta eccessivamente onerosa rimane possibile e vincolante per il debitore, al quale è tuttavia consentito di domandare la risoluzione del contratto; risoluzione che la controparte può evitare offrendo di ricondurre l’accordo a equità, mediante una modificazione delle sue condizioni (art. 1467 c.c.). Per il caso di contratto in cui una sola parte abbia assunto obbligazioni nei confronti dell’altra, alla prima è data la possibilità di chiedere direttamente la riduzione della propria prestazione, ovvero una modificazione delle modalità di esecuzione della stessa, sempre al fine di ricondurre l’accordo a equità (art. 1468 c.c.).
In queste ipotesi, il fatto che la prestazione sia afflitta dalla sopravvenienza non determina la liberazione del debitore, né consente al creditore, autonomamente, di invocare i rimedi visti in precedenza a tutela delle propri ragioni. La disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta richiede la cooperazione tra debitore e creditore, al fine
di mantenere in vita l’originario accordo, modificandone le condizioni, consentendone altrimenti la risoluzione.
Tale disciplina, introdotta con il codice del 1942, fornisce ai contraenti strumenti di gestione del rischio delle sopravvenienze, elidendo il principio della vincolatività del contratto a tutela della regolare funzionalità del sinallagma e in vista della realizzazione del programma contrattuale. Nel caso dei contratti a prestazioni corrispettive (art. 1467), a ciò si giunge mediante la dialettica tra rimedio risolutorio e offerta di riconduzione a equità; nel caso, invece, di contratti con obbligazioni a carico di una sola parte (art. 1468 c.c.), nei quali il rimedio risolutorio offrirebbe una opportunistica via di scioglimento dall’accordo alla parte svantaggiata dalla sopravvenienza, il rimedio prescelto è quello del diritto a conseguire una riduzione della prestazione o una modificazione delle modalità esecutive9. Il sistema dettato dal codice civile può essere giustificato sia nella prospettiva della inattuabilità della prestazione da parte del debitore, se non a costo di un eccessivo sacrificio, sia in quella della tutela dell’equilibrio delle prestazioni, nell’ambito del sinallagma negoziale: il dato fondante può essere individuato, comunque, nella reazione predisposta, in relazione alle differenti fattispecie (contratti corrispettivi e non), a fronte di «un aggravio dell’impegno economico
9 LO XXXXX, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468 c.c., in Sopravvenienze e dinamiche di riequilibrio tra controllo e gestione del rapporto contrattuale, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, 2003, pp. 121 s.
dedotto nell’affare, che supera il margine di rischio tipicamente connesso all’operazione compiuta»10, in termini non compatibili con l’assetto del rapporto e la distribuzione del rischio prefigurati dalle parti in sede di stipula dell’accordo.
Nondimeno, il rimedio generale della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, evitabile mediante offerta di riconduzione a equità (art. 1467 c.c.), presenta alcuni limiti intrinseci e strutturali, i quali rischiano di renderlo inidoneo a offrire, da solo, soluzione alle ipotesi variegate di alterazione dell’equilibrio sinallagmatico dovuto all’insorgere di sopravvenienze contrattuali. Tali limiti possono essere individuati, fondamentalmente, nell’insussistenza di un diritto della parte colpita dalla sopravvenienza – e di un correlato obbligo della controparte – alla rinegoziazione dell’accordo, potendo questa unicamente chiederne la risoluzione; per altri versi, la (mera) facoltà di formulare un’offerta di riconduzione a equità è conferita alla parte che, essendo avvantaggiata dalla sopravvenienza, ha meno interesse a riequilibrare il rapporto e, comunque, può esercitare detta facoltà in una posizione contrattuale rafforzata proprio dagli effetti pregiudizievoli che la controparte subisce in ragione della sopravvenienza11. Inoltre, la disciplina codicistica in tema di
10 LO XXXXX, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468 x.x., xxx., x. 000.
11 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, in Sopravvenienze e
impossibilità sopravvenuta nei contratti a prestazioni corrispettive è derogabile dalle parti che, introducendo nel regolamento contrattuale patti specifici – quali clausole di irresolubilità, di assunzione del rischio del factum principis o del caso fortuito, di inversione del rischio, ovvero di esclusione del diritto di recesso – possono intervenire sulla ripartizione del rischio connesso all’eventualità di sopravvenienze impeditive, mantenendo in vita il contratto. Tali deroghe possono incidere sulla struttura del contratto, modificandone lo schema tipico fino a renderlo intrinsecamente aleatorio; per tali motivi, è opportuno e consueto che a detti patti si accompagnino clausole di riequilibrio del rapporto, che ne ripristinino il carattere commutativo, vuoi prevedendo l’esecuzione per equivalente della prestazione divenuta impossibile, vuoi imponendo un obbligo reciproco di rinegoziazione a fronte della sopravvenienza impeditiva, anche al fine di rendere più coerenti con l’equilibrio degli interessi i rimedi compensativi eventualmente adottati12.
Ipotesi non codificata ma speculare alla fattispecie dell’eccessiva onerosità sopravvenuta è quella dello svilimento della controprestazione, che si verifica allorché l’equilibrio sinallagmatico è frustrato da una diminuzione di valore della prestazione di cui la parte è creditrice tale da rendere inesigibile la prestazione dovuta da
dinamiche di riequilibrio tra controllo e gestione del rapporto contrattuale, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, 2003, pp. 503 ss.
12 PANARELLO, Impossibilità sopravvenuta e strumenti di distribuzione del rischio: il rimedio della risoluzione e le clausole di deroga, cit., pp. 40 ss.
quest’ultima o indebita quella dalla medesima prestata. Proprio il carattere speculare di cui si è detto suggerisce di disciplinare la fattispecie in discorso ricorrendo a un’applicazione dell’art. 1467 c.c. riformulato ponendosi nella prospettiva del creditore e consentendo a quest’ultimo di risolvere il contratto (salvo il caso di offerta di sua riconduzione ad equità) a condizione che la controprestazione svilitasi non sia stata eseguita in suo favore13.
In seguito, saranno ulteriormente approfondite le questioni relative alla configurazione di un generale rimedio manutentivo che consenta l’adeguamento dei contratti di durata esposti a sopravvenienze. Ciò che può porsi in luce, all’esito di questa breve rassegna di norme, è che il sistema dei rimedi delineato dal codice civile, muovendo dalla fattispecie dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione per giungere, attraverso l’ipotesi della risoluzione per inadempimento, a quella dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, testimonia la consapevolezza del legislatore circa la necessità di fornire un sistema rimediale calibrato sull’esigenza del contraente che, nelle differenti ipotesi, viene in rilievo. Così, questi potrà orientarsi tra le richiamate norme a seconda che si venga a trovare di fronte a un pregiudizio macroscopico del sinallagma negoziale derivante da causa imputabile (inadempimento) o meno (impossibilità sopravvenuta) al debitore, ovvero a un pregiudizio relativo, apprezzabile solo in rapporto
13 AL MUREDEN, Le sopravvenienze contrattuali tra lacune normative e ricostruzioni degli interpreti, Padova, 2004, p. 69.
all’interesse concreto delle parti allo scambio delle prestazioni, il cui equilibrio originario sia stato frustrato dalla sopravvenienza14.
1.3 – IL VENIR MENO DELLA PRESUPPOSIZIONE COME IPOTESI ATIPICA DI SOPRAVVENIENZA CONTRATTUALE. Fra le ipotesi di sopravvenienze non codificate rientra altresì la figura del venir meno della presupposizione, la quale riguarda il valore dell’equilibrio contrattuale in una prospettiva più soggettivistica.
Basandosi su di una concezione volontaristica del contratto per offrire soluzione alle problematiche di conflitto tra circostanze ed esecuzione della prestazione, la dottrina della presupposizione, nella sua forma primigenia, individuò un limite alla volontà dichiarata contrattualmente in quelle supposizioni relative a circostanze influenti sul contratto che fossero state determinanti per la conclusione dell’affare, che considerò giuridicamente rilevanti qualificandole come condizioni inespresse. Detta teoria ha successivamente conosciuto un’evoluzione che ha portato a riconoscere il diritto di recesso al contraente danneggiato dall’insussistenza o cessazione di quelle circostanze sulle quali – per
14 XXXXXXX, voce Eccessiva onerosità, in Nss. D. I., VI, 1960, p. 332.
una rappresentazione mentale comune alle parti ovvero individuale ma comunque nota alla controparte – si fosse fondato il consenso15.
La precisazione inerente il carattere comune della rappresentazione mentale (o la sua conoscenza da parte dell’altro contraente) si è resa necessaria, giacché affrontare il problema delle sopravvenienze contrattuali ricorrendo alla dottrina in esame reca con sé il rischio di considerare giuridicamente rilevanti circostanze non contemplate nelle clausole contrattuali in quanto non prese in considerazione dai contraenti, condizionando l’adempimento a interessi non contrattualmente rilevanti, in termini incompatibili con la tutela del legittimo affidamento della controparte contrattuale, così minando in radice l’utilità concreta della stessa dottrina. Tuttavia, la considerazione del presupposto in parola non risolve adeguatamente il problema del contemperamento degli opposti interessi delle parti contrattuali, poiché, da un lato, la conoscenza delle rappresentazioni mentali determinanti le altrui decisioni non può comportare l’assunzione del rischio delle circostanze che potrebbero deluderle, dovendosi collocare più adeguatamente la problematica in esame sul piano della responsabilità contrattuale16.
Per altri versi, le incertezze sono riemerse allorché si sono poste le questioni della collocazione sistematica della teoria della
15 BESSONE, X’XXXXXX, voce Presupposizione, in Enciclopedia del diritto,
XXXV, Milano, 1986, pp. 327 e 333.
16 BESSONE, X’XXXXXX, voce Presupposizione, cit., p. 336.
presupposizione e delle conseguenze giuridiche del suo venir meno, in un’ottica di distribuzione del rischio del verificarsi delle sopravvenienze. In tale contesto, i tentativi di legare la figura della presupposizione al concetto di causa come strumento per la soluzione delle problematiche relative alla realizzazione degli scopi e al soddisfacimento degli interessi delle parti, hanno finito per comprimerne eccessivamente l’ambito di operatività. Infatti, il riferimento alla causa da un lato espone alle incertezze terminologiche e argomentative che ne hanno deviata la qualificazione – non senza esitazioni – da funzione economico-sociale del contratto a causa concreta rappresentativa della sintesi degli interessi individuali delle parti17; dall’altro, in ossequio al dogma dell’irrilevanza dei motivi, impedisce di considerare meritevoli di tutela tutti quegli interessi che, pur senza inerire alla causa, non costituiscano mere rappresentazioni mentali, bensì elementi significativi dell’assetto economico contrattuale18. Inoltre, tale qualificazione della presupposizione si riflette inevitabilmente sul piano delle conseguenze dell’accertamento del suo venir meno, determinando la nullità del contratto esposto a sopravvenienze, così risultandone sacrificati tanto il residuo interesse contrattuale delle parti quanto il valore della sicurezza nei traffici commerciali.
17 MAGGIOLO, Presupposizione e premesse del contratto, in Giust. civ.,
2014, p. 875.
18 XXXXXXX, X’XXXXXX, voce Presupposizione, cit., p. 327.
Neppure può accettarsi l’avvicinamento della presupposizione all’errore quale vizio della volontà, non rinvenendosi una ratio sovrapponibile relativamente alle due figure, l’una volta a preservare l’equilibrio contrattuale nella fase esecutiva, l’altra incidente sulla fase genetica del contratto, a tutela della libera espressione della volontà negoziale, attuata peraltro circoscrivendo entro ipotesi tassative la possibilità di annullare l’accordo (art. 1429 c.c.)19.
Quanto, infine, all’art. 1467 c.c., occorre precisare che detta norma è dettata esclusivamente in riferimento ad avvenimenti straordinari e imprevedibili, ricavandosene che la relativa disciplina non può trovare applicazione anche in relazione alle molte sopravvenienze prevedibili, ciò non escludendo, tuttavia, la possibilità di considerare altrimenti rilevanti anche tali ipotesi20.
L’inquadramento più coerente dal punto di vista sistematico pare essere quello che mette in relazione la figura della presupposizione con la clausola generale di buona fede quale strumento di governo delle sopravvenienze e di integrazione del contratto, dando applicazione, per l’ipotesi del suo venir meno, al regime degli effetti della risoluzione.
Il legame tra criterio di buona fede e integrazione del contratto viene in luce facendo rientrare il primo, come enunciato fra l’altro dall’art. 1375 c.c., nell’ambito di quanto previsto dall’art. 1374 c.c., da
19 BESSONE, X’XXXXXX, voce Presupposizione, cit., p. 340.
20 BESSONE, X’XXXXXX, voce Presupposizione, cit., p. 340.
intendersi nel senso che il contratto obbliga le parti anche alle conseguenze che derivano da quanto in esso previsto alla luce del criterio legale della buona fede21.
Avuto riguardo al tipo contrattuale prescelto dalle parti (o a quello cui si siano le medesime ispirate concludendo un contratto atipico) per determinare la fisiologica distribuzione del rischio delle sopravvenienze tra le stesse, la valutazione di compatibilità tra le circostanze sopravvenute e l’adempimento della prestazione avrà ad oggetto l’equilibrio economico del rapporto, secondo correttezza (della pretesa o del rifiuto della prestazione) e normalità (rispetto al comune comportamento degli operatori e alle circostanze del caso di specie). Alla valutazione di incompatibilità il giudice farà pertanto seguire la risoluzione del contratto e conseguentemente – non essendo il sistema degli artt. 1458, 2033 e 2041 c.c. adeguato al fine di salvaguardare l’equilibrio economico – procederà a distribuire i pregiudizi derivanti dal venir meno dell’accordo secondo buona fede, nel senso sin qui chiarito22.
Tuttavia, la difficoltà di valutare la concreta incidenza delle circostanze che determinino la risoluzione, nella sfera economica dei contraenti, specialmente ove legati da accordi di durata, evidenzia
21 RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, rist. integrata, Milano, 2004, pp. 111 ss.; Cass. civ., 24 aprile 1981, n. 2452, in Foro it., 1982, I,
p. 34, nota di Xxxxxxxxxxx.
22 XXXXXXX, X’XXXXXX, voce Presupposizione, cit., p. 344 e 346.
come dalla soluzione proposta possano comunque derivare rilevanti pregiudizi per ciascuna parte, individuabili sia nella perdita dell’utilità perseguita tramite il contratto terminato, sia nei costi di sua esecuzione, sia, infine, in quelli di nuova contrattazione23.
1.4 – L’IPOTESI DI LAVORO E I CRITERI DIRETTIVI NELLO STUDIO DEI RIMEDI ALLE SOPRAVVENIENZE CONTRATTUALI. Le considerazioni in precedenza evolute in ordine ai limiti intrinseci della disciplina normativa in tema di sopravvenienze – in uno con l’analisi che seguirà relativamente al fenomeno giuridico ed economico dei contratti cosiddetti di durata e alla tutelabilità dell’interesse specifico al compimento delle operazioni economiche complesse a essi sottese – rendono opportuno valutare se non sia possibile ovvero preferibile fornire alle parti e agli interpreti strumenti rimediali ulteriori – rispetto a quelli “classici” di tipo ablativo – in grado di incentivare, sanzionando i comportamenti opportunistici, il mantenimento dell’accordo esposto alle sopravvenienze, riducendo lo squilibrio da queste ultime indotto tra le prestazioni nella fase esecutiva. Nel farlo, occorre bilanciare l’interesse all’adeguamento (e mantenimento) del contratto con quello alla sua esecuzione alle condizioni originarie, salvaguardando la libertà contrattuale delle parti.
23 BESSONE, X’XXXXXX, voce Presupposizione, cit., p. 345.
A tali fini e all’esito di questa panoramica introduttiva, sarà utile ricorrere a una concezione empirica delle sopravvenienze contrattuali come fenomeno rilevante per il diritto, la quale consenta di individuarne le differenti manifestazioni e di muoversi tra di esse sotto la guida di regole generali comuni desumibili dall’osservazione delle singole fattispecie (impossibilità sopravvenuta, eccessiva onerosità sopravvenuta e venir meno della presupposizione). In termini preliminari e sintetici24, possono individuarsi i criteri utili a selezionare le sopravvenienze rilevanti ai fini di studio. Il perimetro di riferimento può essere, così, circoscritto fissando le regole generali della inesecuzione della prestazione afflitta dalla sopravvenienza (questa rileva solo se interessa un'attribuzione che deve essere ancora eseguita); della irrilevanza delle sopravvenienze autoindotte (la parte che ha concorso a determinare un mutamento della situazione di fatto sulla base della quale il contratto fu concluso non può addurre tale sopravvenienza al fine di sottrarsi al dovere di adempimento); e dell'incidenza della mora sul rischio delle sopravvenienze, nel senso che la parte costituita in mora non può addurre la sopravvenienza al fine di sottrarsi al dovere di adempimento, salvo che esigenze di equità emergenti dalle circostanze del caso concreto rendano preferibile addossare alla parte che ha semplicemente tardato (senza messa in mora) a eseguire la prestazione le conseguenze
24 Cfr. amplius, AL MUREDEN, Le sopravvenienze contrattuali tra lacune normative e ricostruzioni degli interpreti, cit., passim.
pregiudizievoli della sopravvenienza nel frattempo prodottasi a suo danno25.
25 Cass. civ., 17 giugno 1983, n. 4177, in Rep. Giur. it., 1983, voce
Obbligazioni e contratti, n. 421.
2. IL CONTRATTO DI DURATA: LA RILEVANZA DEI CARATTERI STRUTTURALI E DEGLI INTERESSI SOTTESI NELLA FASE ESECUTIVA.
2.1 – IL FATTORE TEMPO COME ELEMENTO QUALIFICANTE, SOTTO IL PROFILO CAUSALE, DEI CONTRATTI DI DURATA. L’esigenza di delineare strumenti rimediali in grado di assicurare il mantenimento dei contratti esposti alle sopravvenienze emerge da un’attenta analisi della fenomenologia contrattuale che si esprime nell’età contemporanea, laddove – perlomeno in una branca significativa del mercato – alla contrattazione individuale e istantanea, assunta come modello dal codice civile, si è sostituita una contrattazione di tipo prevalentemente imprenditoriale e professionale, caratterizzata dalla durata delle relazioni negoziali e dell’importanza degli investimenti posti in essere in vista e in occasione delle negoziazioni, che vengono remunerati nel corso dello svolgimento del rapporto. In questo tipo di contrattazioni, risulta valorizzata la dimensione effettuale dell’esecuzione del contratto, rispetto a quella volontaristico- strutturale della sua conclusione26.
Sulla base di tali premesse, può proporsi una prima delimitazione dell’oggetto della presente indagine, che si concentrerà sul fenomeno dei contratti di durata o a lungo termine.
26 LO XXXXX, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468 x.x., xxx., xx. 000 x.
Xxxxx xxxxxxxx esprime l’interesse dei contraenti a pianificare la loro attività economica, instaurando una relazione contrattuale27, e si traduce, sul piano giuridico, nella centralità del momento dinamico- esecutivo del rapporto obbligatorio, rispetto a quello formativo, fondamentale nel discorso intorno ai contratti di scambio a effetti istantanei, sui quali è in larga parte modellata la disciplina codicistica generale dei contratti. In concreto, la relazione contrattuale di durata non si esprime, necessariamente, mediante la conclusione di un solo contratto, ben potendo articolarsi anche nella sottoscrizione di differenti contratti, tutti tesi alla realizzazione della medesima operazione economica complessa. Ciò che rileva, al fine dell’inquadramento tematico qua proposto, è che anche qualora le parti intendessero realizzare l’operazione economica mediante una successione di differenti contratti tra loro collegati, «l’interesse dedotto in contratto rimarrebbe unitario, nonostante la struttura negoziale del procedimento possa articolarsi nella conclusione di un contratto iniziale e di successivi contratti relativi a singoli elementi del rapporto»28. Anche la più recente giurisprudenza è ricorsa, del resto,
27 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
Napoli, 1996, p. 1.
28 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 86.
alla teoria del collegamento negoziale per dare applicazione, in simili fattispecie, al rimedio manutentivo della rinegoziazione29.
Come si è detto, le caratteristiche dei contratti riconducibili alla categoria in discorso attraggono l’attenzione dell’interprete sulla fase
– che si protrae fisiologicamente nel tempo – nella quale il contratto dispiega i propri effetti, sulla base della dichiarazione di volontà resa contrattualmente dalle parti, in sede di stipula. Tale considerazione consente di precisare ulteriormente i termini del discorso. Infatti, mentre la disciplina della struttura del contratto esprime il giudizio dell’ordinamento sulla sua validità – secondo un criterio formale di completezza e strutturale di liceità –, la disciplina della sua funzione attiene alla verifica del rispetto del regolamento degli interessi divisato dalle parti, nel dispiegarsi degli effetti del contratto stesso30. Tale verifica, in ragione della durata prolungata della fase esecutiva, attiene il rapporto tra due parametri di riferimento: l’uno (fisso) dato dall’equilibrio delle prestazioni (sintesi degli interessi) emergente dal regolamento contrattuale originario; l’altro (suscettibile di mutamenti più o meno prevedibili) costituito dalle variazioni che detto equilibrio venga a subire nel tempo. Può, dunque, configurarsi una categoria di contratti “aperti”, nei quali il tempo viene in considerazione non tanto
29 XXXXX, Collegamento negoziale e obbligo di rinegoziazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, p. 122.
30 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., pp. 164 s.
come ciò che separa l’attuazione dalla conclusione del contratto, quanto piuttosto come l’elemento caratterizzante lo sviluppo – appunto – continuativo dell’attività dei contraenti, secondo un paradigma atipico cooperativo, necessariamente ordinato alla valorizzazione degli obblighi di correttezza e buona fede nella fase esecutiva del contratto31. Come si avrà modo di chiarire, più nel dettaglio, in seguito, l’interprete, avendo riguardo alle peculiarità caratterizzanti il modello della contrattazione di durata, potrà cogliere l’emersione – dal generale obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) – di istanze di natura cooperativa e collaborativa delle parti, per la realizzazione dell’interesse comune al raggiungimento del risultato in vista del quale hanno scelto di impegnarsi in un contratto a esecuzione prolungata nel tempo32.
Ciò che è opportuno fissare, sin da subito, discorrendo della portata qualificante del fattore tempo, in relazione agli accordi di cui si è detto, è che «la connotazione temporale assume carattere causale del contratto, al punto da legittimare la convinzione che la durata del contratto individuerebbe il tipo»33, cosicché gli interessi delle parti
31 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 152.
32 BALESTRA, Introduzione al diritto dei contratti, Bologna, 2015, p. 147. 33 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 82; LO XXXXX, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468
x.x., xxx., x. 000; SPANGARO, L’equilibrio del contratto tra parità negoziale e nuove funzionalizzazioni, Torino, 2014, p. 113.
espressi nel regolamento contrattuale dovranno essere (ri)valutati avendo sempre quale parametro di riferimento la durata del contratto. In altri termini, «il tempo concorre a determinare la struttura del rapporto, ponendosi quale nota individuatrice della prestazione, che si attua attraverso un adempimento continuato, adeguando il mezzo giuridico all’interesse da tutelare»34. Come si è rilevato, «l’attività in quanto legata, per sua intima natura, all’elemento della durata, risulta modellata attraverso il contratto, dal quale trae consistenza nonché elementi di regolamentazione sotto il profilo organizzativo»35.
Queste preliminari considerazioni consentono di affermare che i contratti a esecuzione differita, continuata o periodica, sinteticamente definibili come contratti di durata, si caratterizzano per la connaturale presenza di un intervallo temporale tra il momento in cui sorge il rapporto e quello in cui il medesimo viene compiutamente eseguito. Tale caratteristica li espone al rischio che sopraggiungano imprevisti mutamenti dello stato di fatto che le parti avevano preso a riferimento al momento della conclusione del contratto, i quali determinino un significativo squilibrio economico nel rapporto tra le prestazioni divisato dai contraenti. Si tratta di fattori obiettivi che rendono inattuale il contenuto del contratto – che resta pienamente valido ed efficace, ma la cui esecuzione determinerebbe risultati concreti non conformi all’equilibrio degli interessi trasfuso nell’originario
34 SANGIORGI, Rapporti di durata e recesso ad nutum, Milano, 1965, p. 19.
35 BALESTRA, Introduzione al diritto dei contratti, cit., p. 12.
programma negoziale – rispetto ai quali è ipotizzabile un rimedio legale manutentivo definibile come adeguamento del rapporto36.
2.2 – LA VALUTAZIONE SOGGETTIVA DELL’OPERAZIONE ECONOMICA E L’INFLUENZA DEI COSTI TRANSATTIVI SULLA DETERMINAZIONE DELL’EQUILIBRIO TRA LE PRESTAZIONI. Seppur in termini generali, si è già avuto modo di sottolineare il rilievo economico delle sopravvenienze contrattuali che affliggano il contratto di durata: questi accadimenti alterano l’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni, sotto il profilo economico. Si è anche posto in luce come il fattore tempo – ovverosia, più in particolare, il carattere fisiologicamente durevole e prolungato della fase esecutiva del rapporto – svolga un ruolo determinante nella qualificazione della categoria in discorso. Ciò comporta che il rischio di un’alterazione dell’equilibrio originariamente stabilito tra le prestazioni alla cui esecuzione le parti si sono vincolate è maggiore, nell’ambito di questo particolare tipo di contrattazione, di quanto non lo sia – o lo si avverta – nella contrattazione cosiddetta istantanea, laddove la valutazione soggettiva dell’equivalenza delle prestazioni è operata, in larghissima parte, nella fase precontrattuale.
Tali considerazioni consentono di porre in luce un ulteriore elemento caratterizzante della fattispecie in discorso. Infatti, i contratti di durata sono stipulati sulla base di un’analisi costi-benefici che
36 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., pp. 493 e 496.
ciascuna delle parti conduce al tempo della conclusione, valutando il proprio interesse alla realizzazione, in astratto, dello scambio, pur nella consapevolezza che detta analisi potrebbe essere messa in discussione al momento in cui detto interesse diverrà concreto, indirizzandosi all’attuazione dello scambio medesimo37. In un tale contesto, la previsione contrattuale di uno o più strumenti rimediali potrebbe rivelarsi eccessivamente costosa, sia per le conoscenze tecniche che detta attività richiede, sia per il fisiologico carattere imprevisto e, in larga parte, imprevedibile delle sopravvenienze contrattuali. Ciò spiega perché, nella contrattazione finalizzata alla conclusione di un accordo di durata, assumano un’importanza preponderante i costi legati all’accesso alle informazioni necessarie – parte delle quali sono disponibili, mentre altre sono, come detto, oggetto di mere previsioni sulla futura fase di esecuzione del rapporto
– e allo svolgimento delle trattative, cui si sostituiscono, successivamente, quelli relativi al controllo sull’esecuzione del rapporto. Per altri versi, il rilievo di detti costi è accresciuto dalla considerazione che gli investimenti posti in essere in vista dell’instaurazione di una relazione contrattuale complessa e durevole nel tempo si presentano tendenzialmente inconvertibili, data la loro
37 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 507.
specificità (cosiddetti investimenti idiosincratici)38. Tali considerazioni, che saranno specificamente approfondite, in una prospettiva di analisi economica del diritto, nel prossimo capitolo, consentono di tratteggiare le ragioni dell’incertezza caratterizzante la contrattazione di lungo periodo, sia nella fase genetica, sia in quella esecutiva.
Tuttavia, come si è rilevato, la contrattazione di durata si presenta come fenomeno economico caratterizzante importanti segmenti della moderna economia di mercato. Gli operatori economici, pur consapevoli delle intrinseche asperità di tale contrattazione, concludono sovente contratti di durata; e alla conclusione pervengono anche allorché le parti – o una di esse – non possano o non vogliano sopportare i costi transattivi connessi all’individuazione di meccanismi o criteri di riparto delle conseguenze economiche derivanti dalle eventuali sopravvenienze. Entrambi i contraenti – ovvero quello che sarebbe in grado o potrebbe pretendere di affrontare detta preliminare attività – valutano, cioè, preponderante l’interesse alla realizzazione dell’operazione economica, rispetto alla quale è fondamentale raggiungere un accordo che consenta di dare inizio alla relazione contrattuale, ponendo in secondo piano l’interesse alla completezza della regolamentazione contrattuale. Ciò consente di
38 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 29.
deviare leggermente la nostra attenzione dal piano dei costi a quello dei valori.
Potremmo, infatti, affermare che, negli accordi caratterizzati dalla continuità della relazione contrattuale tra le parti, alla predeterminazione specifica e completa dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto – propria dei contratti a effetti istantanei – si sostituisce il valore giuridico della solidarietà fondata sul reciproco affidamento, in termini affini – seppur non analoghi – ai vincoli instaurati dai contratti associativi. Ciò in quanto le tipologie di cui si discorre non costituiscono operazioni economiche isolate, che trovano nel mercato esclusivamente il proprio contesto, bensì contribuiscono esse stesse alla creazione del mercato medesimo, realizzando l’interesse comune degli operatori economici (essenzialmente imprenditori, ma non solo) in esso coinvolti39. Tali caratteri fondanti della categoria spiegano perché essa si componga di modelli per propria natura flessibili, anche in ragione della tendenziale insostituibilità – se non a costo di perdere ingenti investimenti – della controparte coinvolta nella relazione contrattuale di durata e degli alti costi transattivi connessi alla predeterminazione degli eventi perturbativi dell’equilibrio economico del rapporto.
Quanto sin qui osservato merita una precisazione. Il contratto di durata o a lungo termine resta pur sempre un contratto di scambio,
39 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., pp. 56 e 58.
nel quale confluiscono interessi contrapposti, alla cui soddisfazione è strumentale l’effettuazione dello scambio, che realizza l’assetto patrimoniale conseguente alla commutazione sinallagmatica. Vi è, dunque, una netta differenziazione del modello da quello dei contratti associativi: il mantenimento dell’accordo si giustifica solo in vista del raggiungimento del fine ultimo dello scambio economico. Pertanto, limitare l’applicazione del rimedio manutentivo ai soli contratti relazionali fra operatori specializzati costituirebbe una restrizione arbitraria dell’ambito di operatività dei rimedi individuabili, a discapito di chi concluda solo occasionalmente contratti a lungo termine, senza effettuare investimenti caratterizzati da un alto grado di specificità e non funzionalizzati ad alimentare il mercato di riferimento40. Xxxxxxxxx, osservando la realtà economica contemporanea, va riconosciuta la marcata diversità che distingue il contratto della quotidianità da quello teso alla realizzazione di una complessa operazione economica; diversità che si articola sul piano della rilevanza degli interessi regolamentati, della complessità delle fasi prodromiche alla conclusione del contratto, nonché dell’analiticità dei contenuti41.
Il dato interessante da fissare, in questa fase, è che l’autonomia contrattuale delle parti che intendano concludere un contratto di
40 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 532.
41 BALESTRA, Introduzione al diritto dei contratti, cit., p. 18.
durata si esprime pienamente nella rinuncia – fondata sull’affidamento che ciascun contraente fa sull’altrui esecuzione secondo buona fede – a prevedere meccanismi specifici (del resto, spesso, imprevedibili) di allocazione del rischio delle sopravvenienze. Ovviamente, tali considerazioni valgono esclusivamente in relazione a quegli eventi perturbativi che sospingano lo squilibrio sinallagmatico al di là del limite dato dall’alea normale del contratto di cui trattasi; ne risulterebbe, altrimenti, vulnerato il principio concorrenziale – caratterizzante il libero mercato – che consente a chi concluda buoni affari di arricchirsi, mentre non giustifica la previsione di tutele per chi si vincoli a un’operazione negoziale semplicemente sconveniente. Fatte queste precisazioni e senza trascurare – né reprimere – la componente egoistica del soggetto che operi nel libero mercato, deve comunque riconoscersi che un esercizio profittevole della libertà di iniziativa economica privata richiede comunque un sacrificio, in concreto, di parte delle proprie aspirazioni individualistiche, in funzione della conservazione delle relazioni dalle quali dipende la stessa esistenza di ciascuno all’interno della comunità42. È, del resto, la stessa Carta fondamentale a vincolare la libera iniziativa economica al rispetto dei valori dell’utilità sociale,
della sicurezza e della dignità umana (art. 41 Cost.).
42 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 65.
Riportando il discorso sul piano dei costi connessi alla contrattazione di durata, deve ribadirsi un dato consuntivo: la mancata previsione contrattuale di strumenti per il governo delle sopravvenienze nella fase attuativa del rapporto di lungo periodo non significa che le parti abbiano escluso l’applicazione di rimedi manutentivi che consentano di preservare il contratto e di portare a compimento l’operazione economica. Al contrario – e sempre che i contraenti non abbiano escluso detta eventualità –, l’aver contrattato pur nella consapevolezza che l’instaurata relazione contrattuale di durata sia suscettibile di essere influenzata – sino a stravolgere l’equilibrio economico dello scambio – da eventi imprevedibili, testimonia come, nella figurata scala degli interessi, le parti abbiano collocato in posizione di indiscutibile rilievo quello alla realizzazione della specifica operazione economica, come detto confidando nell’altrui buona fede quale espressione del dovere di solidarietà. Per tali motivi, appare preferibile ricostruire un sistema legale di rimedi manutentivi che possa essere attivato all’evenienza, in assenza di una disciplina specifica normativa ovvero pattizia, per preservare – ove persistente – l’interesse comune alla realizzazione dell’operazione economica, mediante l’esecuzione satisfattiva del contratto.
In ciò, a ben vedere, si ravvisa la stessa ratio delle clausole di rinegoziazione, fonti convenzionali dell’obbligo di cooperare in buona fede per l’adeguamento – in vista della realizzazione del risultato finale – del contratto esposto alle sopravvenienze generalmente intese,
stante la scarsa convenienza – in termini di costi transattivi – di predisporre una «formula di allocazione dell’alea degli sviluppi futuri il più possibile univoca e quindi sicura»43.
2.3 – L’ESECUZIONE DEL CONTRATTO DI DURATA E IL RUOLO DEL PARAMETRO DELLA BUONE FEDE (O CORRETTEZZA). Nel tratteggiare i caratteri della categoria dei contratti di durata, individuandone gli elementi strutturali sotto il profilo economico e giuridico, si è già avuto modo di fare riferimento al parametro della buona fede nella fase esecutiva quale espressione del principio di solidarietà sociale. Tale stretta relazione tra gli elementi caratteristici della contrattazione di durata e la funzione della buona fede in senso oggettivo – o correttezza, ritenendo le due clausole generali espressive di regole di condotta coincidenti44 – è significativa e non casuale. Infatti, la ricerca volta a circoscrivere l’ambito di operatività di un obbligo di fonte legale di rinegoziare, secondo buona fede, i termini del contratto di durata esposto a sopravvenienze perturbative deve essere condotta tenendo in primaria considerazione i caratteri peculiari del rapporto contrattuale a lungo termine che da esso scaturisce. Nell’ambito di tali contratti, come si è detto, stante gli elevati costi transattivi derivanti da un’ipotetica – e comunque incerta negli esiti – predeterminazione
43 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 213.
44 PATTI, Ragionevolezza e clausole generali, Milano, 2013, p. 17.
di meccanismi di allocazione del rischio economico connesso al sopraggiungere di eventi perturbativi dell’equilibrio tra le prestazioni, è presumibile che le parti, in sede di stipula, rinuncino a tale sforzo di previsione, riservando alla futura rinegoziazione di buona fede la soluzione delle problematiche scaturenti da eventuali futuri squilibri, esorbitanti dai confini dell’alea normale. Tale scelta preliminare comporta, da un lato, che alla tipologia dei contratti di durata non pare utilmente applicabile lo schema rimediale della ricostruzione – ex post
– dell’ipotetica implicita volontà originaria dei contraenti circa l’allocazione del rischio connesso agli effetti di una determinata sopravvenienza; dall’altro, che l’individuazione – sulla base della condizione delle parti al momento della stipula – di quella maggiormente in grado di sopportare il costo della sopravvenienza (il cosiddetto superior risk bearer), rischia di rivelarsi inattuale e inidonea a configurare un efficiente rimedio manutentivo. Infatti, la rinuncia a predeterminare meccanismi di allocazione del rischio, in primo luogo, impedisce di ricercare una volontà implicita – se non nel senso di aver voluto la conclusione del contratto nonostante l’incertezza –; in secondo luogo, rende del tutto arbitraria la soluzione volta ad addossare le conseguenze pregiudizievoli su uno dei contraenti, circoscrivendo oltremodo – secondo considerazioni di fondamento squisitamente economico – l’ambito di operatività dei parametri valoriali in discorso (correttezza e solidarietà). Per tali motivi, la scelta di ricercare un obbligo legale di rinegoziare secondo buona fede,
imposto alle parti dagli artt. 1175 e 1375 c.c., quale strumento giuridico di adeguamento e mantenimento dei contratti che non reggano lo stress derivante dall’evento perturbativo – per insussistenza di adeguati meccanismi compensativi legali o convenzionali, atti a rigenerare un fisiologico disequilibrio (alea normale) – si rivela funzionale «a superare le difficili ed incerte indagini sull’allocazione di rischi realisticamente mai allocati e a rimettere la vicenda negoziale nella sua sede naturale, cioè nell’ambito della trattativa tra contraenti di buona fede»45, lasciando una funzione residuale – di deterrente – alla tutela giurisdizionale.
Il rilievo predominante della fase esecutiva del rapporto di durata e la fisiologica incertezza che connota la possibilità di mantenere all’interno dell’alea contrattuale l’equilibrio economico divisato dalle parti rendono manifesta l’importanza che assume il parametro della buona fede nella disciplina della condotta dei contraenti in sede di attuazione dell’accordo. Sarebbe a dire che, nella disciplina dell’esecuzione dei contratti di durata, «il contratto (o la legge, mediata dalle disposizioni negoziali) indica l’esistenza, nonché il contenuto dell’obbligo, mentre il criterio della buona fede (ovvero della correttezza) offre lo strumento giuridico per individuare le
45 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 309.
modalità concrete dell’adempimento dell’obbligo»46. Un adempimento secondo buona fede consisterà, dunque, nell’esecuzione corrispondente all’attuazione del programma contrattuale, che si realizza conformando il proprio comportamento alle esigenze della controparte, rivalutate in relazione al tempo e ai mutamenti che esso abbia indotto sull’equilibrio delle prestazioni, secondo parametri di normalità che tengano conto della qualità dei soggetti, dell’attività economica da essi svolta e della tipologia (e disciplina legislativa) del rapporto che li lega47.
Come si è detto, le alterazioni dell’equilibrio sinallagmatico rilevanti ai fini della presente indagine sono quelle che superino l’alea normale accertabile – caso per caso – in relazione al tipo (o al non tipo) contrattuale prescelto. Ciò, come noto, può aprire la strada al ricorso ai rimedi ablativi tipizzati, quali la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta. Tuttavia, l’aver individuato la funzione qualificante dello strumento contrattuale di durata nella realizzazione del comune interesse alla esecuzione, nel corso del tempo, di un’operazione contrattuale complessa, costosa e difficilmente sostituibile – dal punto di vista sia oggettivo, sia soggettivo – sul mercato, induce una considerazione ulteriore in
46 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 355.
47 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 131.
ordine all’operatività del dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto. Ponendo, cioè, attenzione alle caratteristiche peculiari dei contratti a lungo termine e dei rapporti che ne scaturiscono, si deve precisare che l’obbligo di eseguire il contratto secondo buona fede si declina, tra l’altro, nel dovere della parte che si venga a trovare in una condizione che legittimerebbe, astrattamente, il ricorso ai classici rimedi ablativi, in alternativa al mantenimento del contratto rinegoziato (impossibilità parziale, eccessiva onerosità sopravvenuta),
«di proporre preliminarmente l’apertura della trattativa per verificare la consistenza della possibilità di adeguare il contratto e proseguire quindi l’esecuzione secondo gli interessi originari dei contraenti»48.
In ragione di tali considerazioni, l’adeguamento del contratto può essere considerato quale strumento di piena attuazione dell’autonomia contrattuale espressasi nella contrattazione di durata49, cui le parti possano ricorrere a prescindere dalla sussistenza dei requisiti idonei a dare accesso ai rimedi ablativi, ma che, in tali casi, imponga loro di fronteggiare la sopravvenienza adottando un comportamento conforme agli interessi espressi pattiziamente e, segnatamente, a quello verso la realizzazione – secondo correttezza e buona fede – dell’operazione economica divisata. Solo ove detta
48 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 399.
49 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 154.
soluzione non abbia trovato spazio e si sia, dunque, escluso il ricorso opportunistico al rimedio ablativo, tale ultima via potrà essere intrapresa; e il giudice, decidendo della sorte del contratto, potrà sanzionare eventuali comportamenti opportunistici difformi dalle regole di condotta imposte dal dovere di buona fede.
3. SOPRAVVENIENZE E RIMEDI: VERSO LA CONFIGURAZIONE DI UN RIMEDIO MANUTENTIVO DI ORDINE GENERALE.
3.1 – L’EMERSIONE DELL’INTERESSE ALLA CONSERVAZIONE DEI CONTRATTI DI DURATA ESPOSTI A SOPRAVVENIENZE, NELL’AMBITO DEI REGOLAMENTI CONTRATTUALI E DELLE DISCIPLINE DI SETTORE, QUALE
FONDAMENTO DELLA CONFIGURAZIONE DI UN RIMEDIO MANUTENTIVO DI
ORDINE GENERALE. Per affrontare specificamente il tema del dovere di negoziare, secondo buona fede, l’adeguamento del contratto di durata esposto a sopravvenienze perturbative, occorre, dapprima, prendere in rassegna gli indici della sensibilità dell’ordinamento rispetto ai caratteri dei contratti di durata e ai rimedi idonei a tutelare l’interesse verso il mantenimento di detti accordi; in seguito, è opportuno verificare che la configurazione di un rimedio manutentivo di ordine generale si presenti, nei fatti, necessaria ed opportuna, non potendosi realizzare la medesima funzione ricorrendo ai rimedi generali che il legislatore già appresta. A tali fini è opportuno ricordare che, nell’ambito della fattispecie in discorso, il presupposto di operatività
di qualsivoglia rimedio consiste nel sopravvenuto squilibrio economico tra le prestazioni dedotte in contratto, determinato da circostanze non prevedibili e, in ogni caso, non previste, che si ripercuotano sull’assetto negoziale originariamente fissato dai contraenti, pregiudicando gli interessi di una parte oltre il limite dell’alea normale. Nello specifico, la portata perturbativa della sopravvenienza contrattuale, rispetto all’interesse della parte, va valutata in termini oggettivi, distinguendo tra causa in concreto del contratto e motivi, e considerando rilevanti unicamente le ipotesi in cui la sopravvenienza frustri la possibilità di realizzare la prima50.
A fronte di tali eventi perturbativi, il rimedio manutentivo è chiamato a offrire tutela all’interesse delle parti alla realizzazione dell’operazione economica, disincentivando il ricorso opportunistico (contrario a buona fede) a rimedi che comportino il venir meno della relazione contrattuale di durata. La sussistenza di detto interesse può essere esplicitata direttamente dai contraenti, nell’esercizio dell’autonomia contrattuale; oppure può essere rilevata dal legislatore, che – discostandosi dai principi operanti nell’ambito dei contratti di scambio istantaneo – detti norme speciali volte a preservare il contratto esposto a sopravvenienze, prendendo in considerazione gli specifici caratteri della relazione di durata e gli squilibri di volta in volta considerati. Ponendo mente alla prima
50 PANARELLO, Impossibilità sopravvenuta e strumenti di distribuzione del rischio: il rimedio della risoluzione e le clausole di deroga, cit., p. 31.
ipotesi, rispondono al fine, anzitutto, i meccanismi negoziali – “riconosciuti” dal legislatore – finalizzati a devolvere la determinazione di parte del contenuto del contratto all’attività sussidiaria di un terzo (cfr. art. 1349 c.c.), i quali non solo costituiscono una chiara (nonché piena) espressione dell’autonomia contrattuale, ma testimoniano altresì la concreta sussistenza di un interesse all’esecuzione cooperativa dell’accordo, in vista del suo mantenimento51. Per altri versi, i contraenti potrebbero inserire nel contratto una specifica clausola che, in caso di sopravvenienze perturbative, li vincoli a intraprendere una rinegoziazione dell’accordo secondo buona fede, declinandola vuoi in termini generali, vuoi specificamente, mediante la predeterminazione di un meccanismo automatico di adeguamento del valore delle prestazioni penalizzate dal mutamento delle circostanze (es. clausola di indicizzazione del prezzo). A prescindere dalla precisione con cui sia dettata, la presenza di una clausola di adeguamento costituisce un chiaro indice dell’interesse delle parti alla conservazione del contratto; pertanto, ove la stessa non abbia preso specificamente in considerazione il tipo di sopravvenienza poi, in concreto, verificatasi e non consenta, pertanto, una reazione adeguata agli effetti dalla medesima indotti nel rapporto contrattuale, il rimedio generale dell’obbligo di rinegoziazione – lungi dall’essere escluso dalla
51 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., pp. 203 s.
presenza di detta clausola – deve ritenersi operante proprio per salvaguardare, in concreto, l’interesse in essa espresso dalle parti in sede di stipula52.
Ponendo mente alle discipline speciali dettate dal codice civile con riguardo ai singoli contratti e limitando l’analisi unicamente ad alcune fattispecie di interesse, l’esigenza di offrire un rimedio manutentivo, nei termini sin qui precisati, emerge con chiarezza nella disciplina dell’appalto: l’art. 1664 c.c. stabilisce, per le ipotesi di sopravvenienza ivi specificamente individuate – imprevedibile variazione dei costi oltre il decimo del prezzo, difficoltà di esecuzione (geologiche, idriche e simili) non prevedute –, un meccanismo rimediale marcatamente difforme da quello previsto dalla regola generale (art. 1467 c.c.), che subisce pertanto una deroga da parte della lex specialis. In tali ipotesi – e salva l’espressione pattizia di una comune volontà contraria –, il diritto alla revisione dei prezzi o all’equo compenso – quale elemento naturale del negozio – è assistito da una tutela di natura dispositiva, che deroga al principio generale dell’invariabilità delle condizioni contrattuali53 e mantiene in vita il contratto di durata mediante la correzione dello squilibrio sopravvenuto del rischio economico. Correzione, peraltro, limitata a quanto sufficiente a far rientrare lo
52 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 555.
53 XXXXXXXX, Commento agli artt. 1655-1664 c.c., in I singoli contratti, a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, in Commentario del codice civile, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxxx, II, Milano, 2011, pp. 108 ss.
squilibrio nell’ambito dell’alea normale (la differenza che eccede il decimo).
Anche l’analisi della disciplina del contratto di somministrazione offre interessanti spunti, soprattutto a conferma di come il legislatore
– allorché sia stato chiamato a regolamentare i singoli contratti di durata – abbia predisposto discipline consapevoli delle peculiarità strutturali ed economiche dei medesimi, nei sensi di cui si è detto. Lo stesso art. 1560 c.c., in tema di determinazione dell’entità della somministrazione, rappresenta un esempio emblematico di disciplina di un tipo contrattuale per definizione incompleto. In detta norma, trovano espressione e – al contempo – vengono contemperati in vista della corretta esecuzione del contratto, gli interessi opposti del somministrato e del somministrante. Infatti, a tutela del primo, è previsto che la determinazione dell’entità sia commisurata al suo normale fabbisogno; tuttavia, detto fabbisogno viene valutato in riferimento al tempo della conclusione del contratto, preservando, dunque, il legittimo affidamento della parte somministrante54. La consapevolezza del legislatore del codice circa le caratteristiche peculiari delle relazioni contrattuali di durata emerge altresì dall’esame della disciplina della risoluzione per inadempimento e della sospensione dell’esecuzione (artt. 1564 e 1565 c.c.): nel primo
54 XXXXXXXX, Commento agli artt. 1559-1570 c.c., in I singoli contratti, a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, in Commentario del codice civile, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxxx, I, Milano, 2011, pp. 190 ss.
caso, al fine di garantire la stabilità del rapporto a tutela dell’interesse di entrambi i contraenti, la possibilità di sciogliersi dal contratto è circoscritta alla ricorrenza dei due requisiti della notevole importanza dell’inadempimento (diversamente, cfr. art. 1455 c.c.) e della lesione della fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti; mentre, nella seconda ipotesi, a fronte di un inadempimento di lieve entità da parte del somministrato, il somministrante non può sospendere l’esecuzione se non dando un congruo preavviso55.
Nel contratto di affitto, il rapporto di corrispettività tra le prestazioni è parametrato alla produttività del bene ed è assistito, normativamente, dai rimedi di tipo conservativo di cui agli artt. 1622 e 1623 c.c. Il primo prende in considerazione le sopravvenienze interne al rapporto (perdite determinate da riparazioni, secondo la rubrica della norma) che interferiscono direttamente con la capacità del bene di servire all’uso pattuito; il secondo, invece, è volto a ripianare lo squilibrio sinallagmatico indotto da sopravvenienze esterne al rapporto (disposizioni di legge o provvedimenti autoritativi riguardanti la gestione produttiva). In entrambi i casi, è previsto il riequilibrio del rapporto mediante la riduzione o l’aumento del fitto. Invero, alle parti è data l’alternativa di risolvere il contratto; tuttavia, tale alternativa non è un rimedio altrettanto sicuro, in quanto la
55 XXXXXXXX, Commento agli artt. 1559-1570 x.x., xxx., xx. 000 xx.
xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxx xxxxx comunque essere valutata dal giudice secondo le circostanze56.
Vi sono, ovviamente, ulteriori specifiche ipotesi (cfr. ad es., la disciplina in tema di mutamento del rischio assicurato, di cui agli artt. 1897 e 1898 c.c.57), la cui trattazione può ritenersi, comunque, superflua al fine qua perseguito. Infatti, i rimedi previsti dal legislatore nell’ambito della disciplina dei singoli contratti di durata, se, da un lato, testimoniano la consapevolezza del medesimo circa la struttura di detti rapporti negoziali e il rilievo giuridico che le sopravvenienze possono assumere in seno ad essi, ispirando i meccanismi di protezione dell’equilibrio sinallagmatico di volta in volta configurati, dall’altro costituiscono ipotesi tipiche e specifiche, insuscettibili di generalizzazione, peraltro in assenza di un vuoto normativo nel sistema che, per le ipotesi non specificamente disciplinate, prevede l’applicabilità del rimedio generale della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’art. 1467 c.c.58.
56 XXXXXXX, Commento agli artt. 1615-1627 c.c., in I singoli contratti, a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, in Commentario del codice civile, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxxx, I, Milano, 2011, p. 421.
57 XXXXXXX, Commento agli artt. 1882-1932 c.c., in I singoli contratti, a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, in Commentario del codice civile, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxxx, IV, Milano, 2011, pp. 122 ss.
58 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 502.
3.2 – IL RIMEDIO MANUTENTIVO DI ORDINE GENERALE TRA IPOTESI INTERPRETATIVE E OPERATIVITÀ DELLA REGOLA DELL’ART. 1467 C.C. È opportuno, a questo punto, concentrare l’attenzione, sulla ricerca di un rimedio manutentivo di ordine generale, che consenta di correggere il contratto di durata esposto a sopravvenienze, preservando l’interesse delle parti alla realizzazione dell’operazione economica. Come si è già anticipato, rispetto al richiamato fine, il meccanismo preveduto dall’art. 1467 c.c., oltre ad essere derogabile dalle parti, presenta evidenti limiti: la parte pregiudicata dagli effetti della sopravvenienza può solo chiedere la risoluzione, senza avere un diritto relativo alla rinegoziazione; la controparte ha, invece, la facoltà di formulare un’offerta modificativa, ma né vi è obbligata, né incentivata, essendo in concreto avvantaggiata dalla sopravvenienza. Ma, soprattutto, all’esito della breve rassegna svolta con riguardo ai singoli contratti di durata codificati, può ribadirsi, con maggior chiarezza, un dato consuntivo. Mentre le discipline settoriali prevedono specifici rimedi manutentivi a tutela dell’interesse al riequilibrio del rapporto esposto a sopravvenienze, in vista della sua conservazione, il rimedio generale di cui all’art. 1467 c.c. pare teso alla sua rimozione, lasciano privo di una piena e immediata tutela l’interesse all’adeguamento contrattuale. Il sistema delineato dal codice pare, dunque, incompleto, esponendo – nella dialettica tra
rimedio generale e rimedi particolari – soluzioni che rischiano di rivelarsi inattuali e contraddittorie59.
Pare, dunque, opportuno spostare l’attenzione sulla disciplina generale dei contratti, per trarre spunti utili a configurare una soluzione che ponga rimedio alla rilevata incompletezza sistematica. Occorre, a tal fine, rilevare, in prologo, che oltre alle previsioni dettate con riguardo ai singoli contratti di durata, vi sono norme di carattere generale idonee a costituire indici dell’autonoma rilevanza dell’interesse alla prosecuzione del rapporto di durata e della necessità di una sua tutela normativa. In tal senso, può richiamarsi l’art. 1464 c.c. che, come si è già visto, in caso di impossibilità parziale sopravvenuta della prestazione, ammette il recesso del creditore solo in assenza di un suo apprezzabile interesse all’adempimento parziale; mentre, per il caso di mantenimento del rapporto, gli accorda comunque il diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da lui dovuta. Tuttavia, a detta disciplina non può guardarsi per individuare un rimedio di ordine generale per riequilibrare i rapporti contrattuali esposti a sopravvenienze. Le sopravvenienze contrattuali, infatti, non determinano in ogni caso un’oggettiva impossibilità di eseguire, in tutto o in parte, il programma negoziale, ma un’impossibilità relativa – secondo il parametro soggettivo della convenienza dello scambio, in vista della realizzazione della causa
59 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 514.
concreta del contratto – di eseguirlo alle condizioni previamente determinate. Dunque, per darsi applicazione all’art. 1464 c.c. in tema di sopravvenienze contrattuali, occorrerebbe includere il rapporto commutativo (convenienza dello scambio) nell’oggetto del contratto, il che non pare ammissibile, anche in considerazione del fatto che il primo è influenzato da fattori esterni al contratto e dalle valutazioni soggettive di ciascun contraente60.
La via dell’applicazione analogica di altri rimedi di ordine generale, del pari, non si rivela soddisfacente, a testimonianza del fatto che se una soluzione di ordine generale può essere individuata rispetto al tema del governo delle sopravvenienze in un’ottica manutentiva degli accordi di durata, essa va ricercata nella dialettica tra la disciplina generale dell’esecuzione del contratto secondo il parametro della buona fede e il rimedio – anch’esso d’ordine generale – dettato dall’art. 1467 c.c.
Infatti, la ricostruzione di una disciplina rimediale per ricondurre a equilibrio il rapporto contrattuale interessato dalle sopravvenienze non pare potersi fondare sulla normativa codicistica in tema di errore, ovverosia qualificando la sopravvenienza contrattuale come vizio della volontà negoziale scaturente dalla mancata previsione dell’incidenza economica della sopravvenienza stessa sulla fase di esecuzione del contratto di durata, cui conseguirebbe il diritto della
60 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 526.
parte svantaggiata di chiedere l’annullamento del contratto, salvo che la controparte non si offra di eseguirlo conformemente al contenuto e alle modalità cui la prima avrebbe inteso concluderlo (art. 1432 c.c.). La soluzione, che comunque riproporrebbe il meccanismo sostanzialmente ablativo predisposto dall’art. 1467 c.c., rendendo la riconduzione a equità un evento meramente ipotetico, non pare adeguata a prendere in considerazione l’ampio spettro delle sopravvenienze che, in concreto, affliggono i rapporti contrattuali. Infatti, per rilevare nei sensi di cui alla richiamata disciplina, la sopravvenienza dovrebbe essere preesistente (ma ignota) rispetto alla stipulazione, dovrebbe soddisfare il requisito dell’essenzialità (art. 1429 c.c.) e, soprattutto, dovrebbe essere conosciuta o conoscibile dall’altro contraente (art. 1431 c.c.); mentre le sopravvenienze contrattuali, come comunemente intese, si caratterizzano per la loro insorgenza solo in sede di attuazione del rapporto, per la loro rilevanza prettamente economica nello squilibrare il sinallagma, nonché per il loro oggettivo carattere di imprevedibilità da parte di entrambi i contraenti. Analoghe considerazioni portano, poi, a escludere il ricorso alle affini figure dell’errore di calcolo (art. 1430 c.c.), dell’adeguamento del prezzo per la vendita di immobili a misura (art. 1537 c.c.) o nel caso di vendita di cosa parzialmente altrui (art. 1480 c.c.)61.
61 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., pp. 520 ss.
Anche la già trattata figura della presupposizione potrebbe essere richiamata quale criterio generale per disciplinare il tema delle sopravvenienze contrattuali, laddove queste, facendo venire meno un presupposto determinante nel fondare il consenso delle parti verso la conclusione e il mantenimento del vincolo contrattuale, lo rendano risolvibile per fatto non imputabile ai contraenti. Tuttavia, il rimedio in discorso è di tipo esclusivamente ablativo, sciogliendo il vincolo senza offrire tutela all’interesse all’esecuzione satisfattiva del contratto62.
Neppure gli strumenti dell’interpretazione del contratto paiono idonei ad affrontare il tema delle sopravvenienze contrattuali in un’ottica di riequilibrio del rapporto. Occorrerebbe, infatti, fondare sul principio dell’interpretazione secondo buona fede (art. 1366 c.c.) un dovere reciproco di rinegoziare le condizioni contrattuali, a partire dal quale l’interprete potrebbe dare al contratto un’interpretazione adeguatrice, volta alla sua conservazione (art. 1367 c.c.), rispondendo alla domanda: se la circostanza sopravvenuta fosse stata conosciuta dalle parti in sede di stipulazione, su quale di esse sarebbe stato addossato il rischio? Pertanto, l’attività interpretativa si risolverebbe nell’individuazione del soggetto più idoneo a sopportare detto rischio (superior risk bearer), presumendosi che le parti, nella suddetta ipotesi, avrebbero deciso di addossare il rischio della sopravvenienza a
62 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 522.
quest’ultimo. Tale soluzione si espone ai rilievi critici di cui già si è dato atto, evidenziando come la rinuncia alla predeterminazione di un meccanismo di riparto del rischio corrisponda, in realtà, a una legittima e piena manifestazione dell’autonomia contrattuale, dettata dal carattere preminente dell’interesse verso la conclusione del contratto e l’instaurazione della relazione di durata, al fine di realizzare l’operazione economica divisata e facendo affidamento sulla reciproca correttezza e solidarietà. Da un lato, dunque, la presunzione di una volontà delle parti in ordine all’allocazione del rischio potrebbe rivelarsi spesso, in concreto, fallace: infatti, la rinuncia a prevenire le numerose ipotetiche – e intrinsecamente imprevedibili – sopravvenienze, mediante complessi criteri di allocazione del rischio, può essere una scelta concorde e consapevole delle parti, che, in tal modo, rimuovono antieconomici costi transattivi. Dall’altro lato e con specifico riguardo al meccanismo interpretativo, va rilevato che l’interpretazione incontra il limite oggettivo del contenuto della dichiarazione programmatica (dato testuale); mentre le sopravvenienze contrattuali incidono sul contratto in quanto lo rendono inefficiente rispetto alla nuova situazione giuridico-economica venutasi a creare tra le parti63, occorrendo perciò procedere a una sua vera e propria revisione.
63 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., pp. 523 s.
Concentrando l’attenzione sulle conseguenze economiche delle sopravvenienze contrattuali, la situazione di vantaggio nella quale viene a trovarsi un contraente, allorché la controparte subisca gli effetti pregiudizievoli dell’evento perturbativo, potrebbe essere descritto quale arricchimento ingiustificato, in quanto l’attribuzione patrimoniale conseguente resterebbe priva di giustificazione causale: da ciò deriverebbe la possibilità di applicare l’art. 2041 c.c. alla fattispecie. Tale tesi incontra, xxxxxx, alcuni rilievi critici, in quanto, in primo luogo, imporrebbe di accettare una nozione di causa contrattuale che ricomprenda in sé anche la fase attuativa del rapporto. In secondo luogo, per tale via si perverrebbe al riconoscimento, in favore della parte svantaggiata, di un indennizzo, il quale, oltre a rischiare di non essere compiutamente compensativo del pregiudizio subito, difficilmente riuscirebbe a intervenire efficacemente nell’ambito di quei rapporti di durata che, in quanto esposti a sopravvenienze, debbono essere rivisti in profondità, incidendo, al fine del loro mantenimento, su contenuto, misura e modalità di esecuzione delle reciproche prestazioni64.
Il percorso sin qui tracciato, da un lato, ha consentito di far emergere una tensione latente verso la predisposizione di meccanismi rimediali specifici per i contratti di durata, che ne privilegino – o, meglio, ne incentivino – la conservazione; dall’altro lato, ha permesso
64 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 528.
di circoscrivere la collocazione sistematica e la portata della ricerca necessaria al fine di configurare concretamente un rimedio manutentivo di ordine generale, individuando nel parametro della buona fede nell’esecuzione del contratto e nella disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta i poli entro cui tradurre le considerazioni evolute circa la struttura dei contratti di durata e gli interessi a essi normalmente sottesi. Tale ricerca andrà condotta avendo particolare riguardo alla tutela e conservazione del principio dell’autonomia contrattuale privata, soprattutto allorché si tratti di individuare le modalità attraverso le quali l’autorità del giudice possa intervenire a sanzionare i comportamenti contrari alla buona fede. In tal senso, può sin d’ora anticiparsi che l’emersione, dall’analisi delle disposizioni dedicate dal codice civile ai contratti di durata, di un principio di preferenza – mai specificamente esplicitato
– per il mantenimento di detti accordi consentirebbe, sì, di ammettere l’intervento del giudice (a seguito del fallimento delle trattative per la rinegoziazione), circoscrivendolo tuttavia alla formulazione di una ipotesi di esito della trattativa che le parti avrebbero dovuto condurre, secondo buona fede, in considerazione di tutti gli elementi del caso concreto, al fine di riequilibrare il rapporto, consentendo la prosecuzione della sua esecuzione «nel rispetto della base economica dello scambio originariamente accettata da entrambi i contraenti»65.
65 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., pp. 16 s.
4. IL DOVERE DI RINEGOZIARE: PRINCIPI ISPIRATORI, STRUTTURA E MECCANISMO APPLICATIVO.
4.1 – IL DOVERE DI RINEGOZIARE NELLA DIALETTICA TRA AUTONOMIA PRIVATA E GIUSTIZIA CONTRATTUALE. Come si è detto, l’art. 1467 c.c. costituisce il rimedio risolutorio di ordine generale, mediante il quale l’ordinamento prende in considerazione l’ipotesi di sopravvenienza contrattuale dell’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione. Una volta sopraggiunto l’evento perturbativo, alla parte che ne sia penalizzata è concessa la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto. Ove questa non venga richiesta e ove, a seguito della relativa istanza, la controparte non attivi il meccanismo manutentivo (eventuale) di cui al comma terzo della disposizione in commento, il contraente svantaggiato resta vincolato al contratto, secondo lo condizioni concordate in sede di stipula, ma che sono divenute economicamente incongrue (eccessivamente onerose) rispetto al mutato equilibrio sinallagmatico. Il vantaggio per la controparte è di tutta evidenza ed è il frutto degli effetti prodotti sul rapporto – a sua volta scaturito da un contratto concluso nel pieno esercizio dell’autonomia negoziale – da un evento non prevedibile ed eccezionale. Si è, altresì, notato come l’ordinamento non tuteli – in linea di principio – l’interesse alla conclusione di buoni affari; in questa prospettiva, potrebbe spiegarsi la scelta del legislatore che, nel
dettare l’art. 1467 c.c., ha circoscritto all’ipotesi in cui il predetto vantaggio – e il correlato svantaggio – si riveli “eccessivo”, per eventi straordinari e imprevedibili, la possibilità di attivare il rimedio risolutorio, restando così il contraente svantaggiato in balia del volere della controparte – e della valutazione del giudice – in ordine al mantenimento o meno dell’accordo modificato (offerta di riconduzione a equità).
Rispetto a tale alternativa estrema – nella quale il contraente penalizzato dagli effetti della sopravvenienza può restare vincolato a un accordo divenuto eccessivamente oneroso, ovvero chiederne la risoluzione, esponendosi al concreto rischio di perdere gli investimenti fatti in vista della conclusione dell’accordo e della realizzazione dell’operazione economica – deve essere indagato il margine di incidenza del dovere di eseguire il contratto secondo buona fede, quale fonte di un obbligo di rinegoziare il contratto, ovvero di un intervento correttivo da parte del giudice. Il tema, come ovvio, porta alla luce la dialettica tra i valori dell’autonomia privata e della giustizia contrattuale. «La relazione tra negozio e ordinamento statale è, a ben vedere, espressione della relazione tra libertà (rappresentata dal negozio) e autorità (espressa dall’ordinamento statale); cioè tra un sistema di valori (il negozio), espressione di specifici, circoscritti e personali interessi e un sistema di valori (l’ordinamento statale), espressione di una visione generale e
totalizzante della realtà sociale»66. Il rapporto dialogico tra tali sistemi di valori è oggetto di una continua rilettura, che ha portato a sollevare notevoli profili di interesse, che in questa sede possono essere poco più che tratteggiati. Il tema del contratto giusto – impostosi alla riflessione dei civilisti, a seguito della sua emersione, in sede giurisprudenziale, quale veicolo di repressione degli squilibri contrattuali inaccettabili, in quanto contrastanti con i parametri costituzionali – ha messo in discussione sia il rapporto tra parte generale del contratto e normativa di settore (con un’espansione della seconda a discapito della prima), sia il classico parallelismo tra libero esercizio dell’autonomia privata nel momento genetico dell’accordo e intangibilità del regolamento contrattuale, sia, da ultimo, la relazione tra legge statuale e leggi di mercato67; così da indurre a prendere atto di come «il regolamento contrattuale non possa più essere appannaggio della piena ed esclusiva disponibilità dei privati, ma debba essere, attraverso un meccanismo di sganciamento dalla fonte, attratto nella disponibilità conformatrice dell’ordinamento»68.
Poste tali premesse, gli interrogativi da porre, per procedere nella ricerca, sono molteplici: l’interesse al mantenimento dell’accordo di durata è meritevole di una tutela di ordine generale? Qual è la fonte
66 XXXXX, Il negozio giuridico tra libertà e norma, XX xx., Xxxxxx, 0000, rist. corretta 1997, p. 84.
67 Lipari, Le categorie del diritto civile, Milano, 2013, pp. 157 s.
68 BALESTRA, Introduzione al diritto dei contratti, cit., p. 138.
positiva e quale la struttura di una simile tutela? E in quale posizione è opportuno collocarla rispetto al rimedio di cui all’art. 1467 c.c.?
Alla prima domanda può essere offerta risposta affermativa. Infatti, gli indici di rilevanza e i criteri di selezione degli interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322, co. 2, c.c.) appaiono mutati, nel passaggio che si determina, per tramite del canone della giustizia sostanziale, dal sistema formalistico e astratto delineato dal codice civile nel regolamentare il contratto a quello dei più recenti provvedimenti e progetti legislativi (si pensi alla disciplina dei contratti del consumatore), più attenti a considerare giuridicamente rilevanti la posizione e gli interessi espressi dalle parti con la contrattazione69. Le considerazioni evolute circa le caratteristiche strutturali dei contratti di durata e delle relazioni che ne scaturiscono inducono a ritenere meritevole di tutela l’interesse al mantenimento del contratto – adeguato all’assetto degli interessi risultante dagli effetti perturbativi della sopravvenienza – e alla realizzazione dell’operazione economica (causa concreta) che ha ispirato la sua conclusione.
Un simile approccio rischia di sconfinare in un asservimento del diritto alle mutevoli ragioni dell’economia, imponendo la ricerca di un dato positivo al quale ancorare le soluzioni prospettabili. Infatti, il contratto è un fenomeno giuridico che fissa i corrispettivi diritti delle
69 LO XXXXX, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468 x.x., xxx., x. 000.
parti; esso non è la mera risultante di leggi economiche, rimanendo, comunque, distinto dall’operazione economica sottostante70. Cionondimeno, l’osservazione del fenomeno economico della contrattazione di durata e delle peculiari problematiche che esso pone all’interprete è operazione imprescindibile: se, da un lato, non può concedersi che gli operatori economici «si organizzino al di fuori del diritto», in una sorta di autodisciplina degli affari, dall’altro lato la ricerca di principi giuridici atti a risolvere le problematiche in discorso
«non può ignorare il fenomeno economico, per la cui comprensione l’ordinamento fornisce tutti i necessari strumenti»71. E uno strumento particolarmente efficace, in tal senso, è rappresentato dalla possibilità di ricorrere alle clausole generali che – nell’ambito di un sistema legislativo misto, permeato di regole rigide ed elastiche – consentono di adeguare la norma giuridica all’esigenza del caso concreto, rendendola corrispondente alle nuove esigenze72.
Nell’ambito della contrattazione di durata, la dialettica tra il principio di intangibilità del contratto e la tutela dell’interesse alla sua conservazione mediante un intervento integrativo, fondato sui criteri dell’equità e della buona fede, viene in rilievo nelle ipotesi in cui – avendo il regolamento contrattuale rivelato un’irragionevolezza
70 BIANCA, Il contratto, in Diritto civile, vol. III, IIA ed., Milano, 2000, p. 27.
71 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 69.
72 XXXXX, Ragionevolezza e clausole generali, cit., p. 15.
intrinseca, in ragione delle sopravvenienze, che non sia, tuttavia, suscettibile di sfociare in un sindacato sul vizio secondo le norme codificate (intervento contro il contratto) – si renda indispensabile, al fine di portare a compimento l’operazione economica divisata dalle parti, riequilibrare la ragione dello scambio secondo il contratto73. Xxxxxxx, a tal fine, tenere distinti i profili del giudizio sulla validità del contratto e della verifica della sua corretta esecuzione. Infatti, nell’esplicazione dell’autonomia contrattuale, si transita da una fase di enunciazione programmatica degli interessi da realizzare mediante l’operazione negoziale – rimessa alla disponibilità delle parti con i soli limiti derivanti dal rispetto degli interessi tutelati dall’ordinamento – a una fase di predisposizione delle regole negoziali atte alla realizzazione di detti interessi, nella quale un intervento correttivo, integrativo o sostitutivo pare configurabile74, nel rispetto della predetta enunciazione programmatica e in vista della realizzazione degli interessi in essa espressi.
In tale prospettiva, può essere proposta un’interpretazione delle norme di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. in senso solidaristico: l’esecuzione secondo correttezza e buona fede del contratto di durata si traduce, come sarà meglio approfondito in seguito, nel dovere di
73 LO XXXXX, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468 x.x., xxx., x. 000.
00 XXXXXXXX, Introduzione al diritto dei contratti, cit., p. 49; SPANGARO, L’equilibrio del contratto tra parità negoziale e nuove funzionalizzazioni, cit., p. 8.
rinegoziare – sempre secondo buona fede – il contratto, nel caso in cui gli effetti delle sopravvenienze perturbative (non disciplinate pattiziamente) abbiano determinato uno squilibrio economico delle prestazioni che esula dall’alea normale dello specifico contratto. Le clausole di correttezza e buona fede – come detto da ritenersi espressione di un’unica regola di condotta – hanno, infatti, acquisito una precisa valenza prescrittiva, quali espressione, nell’ambito del diritto delle obbligazioni e dei contratti, del rinnovato rapporto tra il criterio direttivo della giustizia e il valore della certezza del diritto, quest’ultimo collocato in una funzione servente, quale criterio formale della regolamentazione delle relazioni sociali, comunque improntata a criteri di contemperamento di interessi e di inter-delimitazione delle sfere giuridiche soggettive75. Il rilievo giuridico della buona fede contrattuale emerge, del resto, dall’osservazione delle regole che disciplinano le relazioni contrattuali, dalla fase delle trattative sino all’esecuzione del contratto, che il legislatore ha inteso sottoporre ai principi di lealtà e correttezza76; tanto che non vi è dubbio che la “riscoperta” delle clausole generali e la loro valorizzazione nella disciplina delle moderne, complesse relazioni contrattuali abbia potuto fondarsi sul substrato predisposto dal codice civile, che ha
75 LO XXXXX, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468 x.x., xxx., xx. 000 x.
00 XXXXX, Ragionevolezza e clausole generali, cit., p. 50.
posto l’accento «sulla moralità che deve connotare ogni rapporto giuridico»77.
In ragione di tali argomentazioni, può guardarsi alle posizioni discordanti circa il carattere precettivo della clausola di buona fede che si rinvengono nella giurisprudenza di legittimità. Secondo una prima sistemazione, deve escludersi il concorso della buona fede nella formazione e integrazione del regolamento contrattuale, in quanto ipotesi integrativa non codificata (art. 1374 c.c.) che si porrebbe in contrasto con il principio dell’autonomia privata78. Di contro, si è posto in luce come il principio di buona fede trovi specificazione in un dovere di reciproca cooperazione dei contraenti, a tutela dell’interesse della controparte e del giusto equilibrio degli interessi, quale espressione del canone costituzionale della solidarietà nei rapporti tra privati, da cui risultano permeati ed eventualmente integrati il contenuto del contratto e i suoi effetti79. Tale ultima sistemazione
77 BALESTRA, Introduzione al diritto dei contratti, cit., p. 157.
78 Cass. civ., 18 luglio 1989, n. 3362, in Giust. civ., 1990, I, p. 126, nota di Senofonte; in Foro it., 1989, I, p. 2570, nota di Pardolesi, Di Majo e Mariconda; in Banca Borsa, 1989, II, p. 537; in Giur. It., 1990, I, 1, p.
1137 nota di Valignani.
79 Cass. civ., 20 aprile 1984, n. 3775, in Giust. civ., 1994, I, p. 2159, nota di Xxxxxxx; Cass. civ., 18 settembre 2009, n. 20106, in Obbl. e Contr. (on line), 2009, nota di Xxxxxx; in Xxxxxxxxx, 2009, p. 1009; Ivi, 2010, p. 5, nota di D'Amico; in Nuova Giur. Civ. Comm., 2010, 3, 1, p. 231; in Riv. Dir. Civ., 2010, 6, p. 653, nota di Xxxxxxx; in Xxxxx e Resp., 2010, p. 347, nota di Xxxxxxxxxxx; in Giur. It., 2010, p. 556, nota di Xxxxxxxxxx e Scaglione; Ivi, 2010, p. 809, nota di Salerno; in Corr. Giur., 2011, 1, p.
appare preferibile poiché, senza privare di un’adeguata tutela il valore della certezza nei rapporti tra privati di fonte contrattuale, consente di ricorrere alla clausola generale della buona fede quale tecnica di ricerca della regola del caso concreto operante – in mancanza di un modello precostituito nella fattispecie astratta – sui materiali già presenti nell’ordinamento80, anche al fine di colmare eventuali lacune normative o contrattuali. Si è, del resto, rilevato che i valori affermati nella Carta costituzionale si trasmettono concretamente alle relazioni contrattuali, da un lato, per tramite del richiamo, quale fonte di integrazione del contratto (art. 1374 c.c.), alla legge – nella quale certo rientra quella fondamentale –; dall’altro lato, in ragione dell’attività di concretizzazione delle clausole generali (su tutte, la buona fede), demandata al giudice, che si avvale stabilmente dei principi oggettivi enucleati sulla base del testo costituzionale per individuare la regola più coerente con gli interessi divisati in contratto81. Su tali basi potrà essere proseguita la ricerca, trattando più specificamente del dovere di rinegoziare, secondo buona fede, il contratto a lungo termine investito dalla sopravvenienze e di come esso si configuri e operi.
Prima di procedere, è opportuna un’ultima precisazione. Se, come detto, si potrà fare riferimento a correttezza e buone fede, riferendosi
109 nota di Xxxxxx e Xxxxxxx; in Foro It., 2010, 1, 1, p. 85, nota di Xxxxxxxx e Pardolesi; in Obbl. e Xxxxx., 2010, p. 172, nota di Orlandi. 80 XXXXX, Ragionevolezza e clausole generali, cit., p. 89.
81 BALESTRA, Introduzione al diritto dei contratti, cit., p. 47.
a un’unica regola di condotta, analoga assimilazione non può ricorrere con il termine equità. Infatti, equità e buona fede si contraddistinguono per un differente ambito di operatività, essendo la prima vincolata alla necessaria previsione normativa e costituendo la seconda, al contrario, lo strumento cui si può sempre ricorrere per filtrare valori sociali – quale è quello fondamentale della solidarietà – entro la forma giuridica, così giustificando l’intervento, altrimenti arbitrario, del potere alieno del giudice sul contratto82. Secondo la regola espressa dall’art. 1374 c.c., l’equità è fonte di integrazione del contratto unicamente nei casi in cui la legge demanda al giudice di intervenite sul regolamento contrattuale – per l’appunto – secondo equità, come avviene, ad esempio nella valutazione dell’offerta formulata ai sensi del comma terzo dell’art. 1467 c.c. (ancora, v. ad es. art. 1664, u.c., c.c.). Con riguardo all’equità, una precisazione è d’obbligo anche per chiarire la prospettiva d’analisi. Infatti, onde evitare che l’applicazione della clausola della buona fede si confonda con il giudizio di equità, dando ingresso a un inammissibile “paternalismo” giudiziario, occorre prendere sempre a riferimento, quale dato normativo di partenza, il contratto, in veste di strumento di regolazione di interessi nell’ambito di un’economia di mercato, inserendo l’atto nell’attività in cui esso vada eventualmente a collocarsi e «dando rilievo a tutte le circostanze in grado di vivificare
82 XXXXXXXXXX, L’avventura delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, I, p. 29.
gli interessi sottostanti», così ricostruendo – in via ermeneutica – la regola privata nella sua completezza83.
4.2 – GLI OBBLIGHI DELLE PARTI IN VISTA DEL MANTENIMENTO DEL CONTRATTO. La ricerca di un fondamento positivo del dovere di rinegoziare secondo buona fede il contratto esposto a sopravvenienze, nonché la correlata indagine sulla struttura e sulla collocazione sistematica di detto dovere, è, come detto, legata all’osservazione delle caratteristiche proprie della contrattazione di durata e degli interessi che la animano. A fronte di una sopravvenienza perturbativa, sorge un duplice interesse: quello al mantenimento dell’accordo e quello alla sua esecuzione alle condizioni originariamente pattuite84. Un efficace rimedio manutentivo dovrebbe salvaguardare il primo interesse, senza sacrificare irragionevolmente il secondo, ponendosi quale ulteriore strumento di espressione dell’autonomia contrattuale delle parti, senza che risulti sacrificata la libertà di ciascuna di sciogliersi da un contratto per il mantenimento del quale non nutra più – per l’appunto – alcun interesse. Discorrendo, in termini generali, di detto rimedio, abbiamo parlato di adeguamento del contratto: si rende, ora, necessaria una precisazione della portata descrittiva e definitoria di tale espressione. Generalmente intesa, essa ricomprende tutte le
83 BALESTRA, Introduzione al diritto dei contratti, cit., pp. 161, 169 e 200. 84 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 509.
vicende giuridiche modificative del rapporto contrattuale le quali, dunque, intervengono successivamente alla conclusione del contratto85; ma, ai fini della nostra indagine, andrà considerata in senso restrittivo, volendo indicare l’esito della rinegoziazione instaurata tra le parti – con l’eventuale cooperazione di un terzo (privato o giudice) –, secondo buona fede, per effetto di uno specifico dovere dettato dalla legge o dal contratto medesimo.
La fonte legale di detto dovere è stata individuata nelle norme che prescrivono l’esecuzione del contratto secondo buona fede e, nella prospettiva volta a considerare le caratteristiche strutturali della contrattazione di durata, il fine della rinegoziazione è stato individuato nella riconduzione dello squilibrio sinallagmatico indotto dalla sopravvenienza nell’alveo dell’alea contrattuale. Infatti, nel contratto di durata, il principio di proporzionalità tra diritti e obblighi viene in rilievo nella fase esecutiva del rapporto contrattuale – laddove questo sia esposto a sopravvenienze variamente considerate – quale criterio per la selezione di un rimedio che elimini le eccessive e ingiustificabili sproporzioni. Esso è suscettibile di operare in vista del mantenimento dell’accordo, in tutte quelle ipotesi in cui i rimedi ablativi tipici (es. rescissione e risoluzione per eccessiva onerosità) si rivelino inadeguati, sia fondando un vero e proprio principio generale di adeguamento del contratto, cui le parti dovrebbero attenersi nella
85 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 10.
fase esecutiva, sia consentendo un intervento correttivo del giudice che, in posizione concorrente con l’autonomia contrattuale, determini una riduzione della sproporzione tra le prestazioni86. Occorre, tuttavia, specificare ulteriormente che adeguamento del contratto non significa adesione a un criterio oggettivo (statico) di equivalenza e proporzionalità delle prestazioni; adeguare il contratto significa dare a esso un’esecuzione governata, in un’ottica cooperativa, dai principi generali di correttezza e buona fede, mediante i quali i contraenti possono rimettere in discussione l’elemento strutturale (equilibrio dinamico) del rapporto87. In quest’ottica, il rimedio della revisione esprime la propria utilità in senso teleologico, quale alternativa alla rimozione del rapporto che consente di soddisfare il programma degli interessi fissato originariamente tra le parti, mediante l’esecuzione dell’accordo mantenuto vigente tra le stesse, ricalibrando i reciproci diritti e obblighi in considerazione dello squilibrio indotto dalla sopravvenienza88.
Riassumendo: anche a fronte dei rimedi revisionali specificamente previsti dal legislatore, con riguardo a specifici tipi contrattuali, può individuarsi un obbligo generale di contrattare in buona fede la
86 LO XXXXX, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468 x.x., xxx., x. 000.
00 XXXXXXX, Xxxxxxxxxxx e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., pp. 146 s.
88 LO XXXXX, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468 x.x., xxx., x. 000.
xxxxxxxxx xxx xxxxxxxx squilibrato dalle sopravvenienze contrattuali, fondato sul dovere di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., riletti alla luce del principio solidaristico affermato nell’art. 2 Cost.89. La parte avvantaggiata dalla sopravvenienza sarebbe pertanto obbligata a rinegoziare i termini dell’accordo, in considerazione dei disequilibri indotti dalla sopravvenienza, sicché il rimedio risolutorio degraderebbe a ipotesi estrema ed eccezionale, a fronte del generale dovere di cooperare alla revisione del rapporto secondo buona fede. Tale sistemazione produce il già ricordato effetto deflativo dei costi di contrattazione, in quanto sgrava i contraenti dell’onere di allocare preventivamente – secondo criteri probabilistici e intrinsecamente incerti – il rischio delle sopravvenienze contrattuali. Secondariamente, agli interpreti sarebbe risparmiata l’opera ricostruttiva dell’ipotetica distribuzione in concreto di detto rischio, da parte dei contraenti, ove i medesimi, in sede di stipula, avessero conosciuto gli effetti che la sopravvenienza avrebbe successivamente prodotto sull’equilibrio economico del rapporto contrattuale. D’altro canto, ponendosi nella prospettiva del soggetto svantaggiato dagli effetti della sopravvenienza, può intravedersi un diritto potestativo alla revisione, cui corrisponde una posizione di soggezione della controparte contrattuale e a cui consegue una modificazione del rapporto che, senza subire alterazioni sostanziali, risulta adattato al fine di
89 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 537.
conservare e realizzare gli interessi fondamentali manifestati dai contraenti nel programma negoziale90.
Come si è detto, la disamina della struttura del rimedio manutentivo va di pari passo con l’indagine attorno al rapporto tra questo e il rimedio generale di cui all’art. 1467 c.c. In ragione di quanto affermato, i due rimedi possono essere osservati nella loro relazione di complementarità, consentendo di prendere in considerazione e tutelare adeguatamente tutti gli interessi che vengono in rilievo nell’ambito della relazione contrattuale di durata. Detta relazione può essere meglio specificata. Se per tutti i rapporti contrattuali di durata esiste una regola generale di adeguamento fondata sulla clausola della buona fede, ancorata al valore costituzionale della solidarietà, allora l’art. 1467 c.c. subisce una ricollocazione sistematica, passando da norma rimediale di livello primario a clausola di salvaguardia contro un abuso dei reciproci diritti scaturenti, in capo a ciascuna parte, a fronte dell’abbattersi degli effetti perturbativi della sopravvenienza sul rapporto, in vista della sua conservazione. Infatti, «il contraente svantaggiato per effetto di impreviste sopravvenienze ha diritto alla rinegoziazione, ai sensi dell’art. 1375 c.c., costituendo ciò il riflesso del dovere della controparte di attivarsi per tutelare l’interesse alla prosecuzione del rapporto; al contempo, anche in capo alla controparte viene tutelato l’interesse alla prosecuzione del rapporto,
90 LO XXXXX, Il problema del riequilibrio contrattuale e l’art. 1468 x.x., xxx., x. 000.
poiché gli è concesso di neutralizzare l’eventuale domanda giudiziale di risoluzione del contratto attraverso un’offerta di riconduzione ad equità»91, la quale, ove ritenuta congrua dal giudice, determinerà il rigetto della domanda di risoluzione, impedendosi in tal modo alla parte svantaggiata di svincolarsi opportunisticamente dal contratto. Il profilo dell’abuso del diritto, il cui rilievo si è già avuto modo di segnalare, manifesta qui una portata discretiva di fondamentale importanza, in quanto «la linea che segna la demarcazione tra libertà contrattuale e intervento riequilibrativo ben può essere rinvenuta, alla stregua della proposta ricostruttiva della dottrina, nell’abuso, inteso come utilizzo dell’autonomia contrattuale contro l’altro contraente in spregio alle regole di buona fede e correttezza, come tale configurabile ogniqualvolta, senza alcuna giustificazione oggettiva, vi sia una palese incoerenza e incongruenza tra il complessivo assetto degli interessi perseguiti e le regole contrattuali, contenenti diritti e obblighi, predisposti al fine di renderne possibile la realizzazione»92.
Il rimedio revisionale presenta, dunque, caratteri specifici che possono essere individuati, sinteticamente, in: (a) la finalità di conservare l’intendimento economico consacrato nel regolamento contrattuale, operando nell’ambito di un contratto validamente concluso e intervenendo sul rapporto contrattuale dal medesimo
91 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 539.
92 BALESTRA, Introduzione al diritto dei contratti, cit., p. 203.
scaturente; (b) la fonte legale dell’obbligo di rinegoziazione, con l’intervento giudiziale – comunque limitato dai termini del regolamento contrattuale da preservare o rimuovere – relegato a ipotesi residuale, nel caso in cui detto obbligo sia inadempiuto; (c) l’impossibilità di operare sia in presenza di una clausola specifica di allocazione del rischio della sopravvenienza, sia in presenza di un regolamento contrattuale dalle parti consapevolmente sviato dal tipo commutativo a quello naturalmente aleatorio93.
Occorre, infine, ribadire, sul punto, che l’obbligo di rinegoziare si caratterizza in senso teleologico, attenendo – come si vedrà a breve – allo svolgimento di tutti quegli atti idonei a consentire alle parti di concordare l’adeguamento del contratto, alla luce delle concrete circostanze – sopravvenute – del caso: esso può dirsi adempiuto allorché le parti abbiano cooperato nell’instaurazione e conduzione – secondo correttezza e buona fede – della trattativa funzionale alla modificazione e al mantenimento del contratto94. Tale obbligo generale è suscettibile di specifiche concretizzazioni, a seconda della prospettiva di osservazione: ponendo attenzione alla posizione del contraente svantaggiato, esso si espliciterà – ad esempio – nel dovere di informare compiutamente la controparte degli elementi
93 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 544.
94 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., pp. 343 s.
perturbativi caratterizzanti la sopravvenuta posizione negoziale pregiudizievole, in modo da consentire una partecipazione consapevole dell’altro contraente alle trattative; di contro, quest’ultimo dovrà principalmente assumere posizioni e deliberazioni congruenti con i caratteri e i contenuti dell’offerta ricevuta, evitando comportamenti opportunistici giustificati unicamente dal vantaggio economico conseguito in virtù dell’alterazione sopravvenuta dell’equilibrio sinallagmatico.
4.3 – IL MECCANISMO DI APPLICAZIONE DEL RIMEDIO MANUTENTIVO. Volendo trasporre i principi sin qui fissati sul piano della concreta operatività del rimedio manutentivo della rinegoziazione finalizzata all’adeguamento del contratto di durata colpito da sopravvenienze, occorre, anzitutto, fissare i limiti entro i quali il rimedio è destinato a trovare applicazione.
Si deve, anzitutto, precisare che, per applicare il rimedio manutentivo della rinegoziazione è sufficiente che il contratto a lungo termine sia posto in essere, a prescindere dalla circostanza che la sua esecuzione sia iniziata o meno: infatti, come si è detto, la rinegoziazione si legittima in ragione dell’autonomo rilievo dell’interesse alla conservazione del rapporto95 che, di volta in volta,
95 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., p. 563.
xxxxx i contraenti nella scelta tra il rimedio risolutorio e l’adeguamento del contratto.
Ulteriore elemento discretivo è dato dall’impatto perturbativo delle sopravvenienze che, come si è ripetuto più volte, deve essere tale da eccedere l’alea normale del contratto. Più nello specifico, l’alea normale – da accertarsi di volta in volta, secondo lo specifico schema negoziale prescelto – costituisce «l’elemento giuridico di congiunzione dell’affare, di cui il contratto è espressione, con il contesto del mercato»96 e viene in rilievo allorché circostanze sopravvenute e imprevedibili – e comunque non prevedute dalle parti che avessero codificato un’alea convenzionale –, determinino uno squilibrio del valore economico delle prestazioni, frustrando la possibilità di conseguire il risultato economico divisato mediante l’esecuzione del contratto secondo l’originario regolamento degli interessi.
Soddisfatti tali prerequisiti, a fronte dell’abbattersi dell’evento perturbativo, la sproporzione tra le prestazioni eccedente l’alea (prodotta da fattori esterni e sopravvenuti rispetto al parametro del contratto originario) determina l’insorgenza, in capo al soggetto penalizzato dalla sopravvenienza, dell’obbligo di comunicare la circostanza alla controparte, prima di eseguire la prestazione (o proseguirne l’esecuzione) e fornendo tutte le informazioni utili a dimostrare il carattere rilevante della sopravvenienza e, quindi, gli
96 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 240.
effetti di questa sulla capacità del debitore di adempiere alle originarie condizioni. In conseguenza dell’adempimento di tali obblighi preliminari, utili a dar prova della ricorrenza dei requisiti per l’attivazione del rimedio manutentivo, sorge, in capo al creditore della prestazione affetta dagli effetti perturbativi della sopravvenienza, un’obbligazione “di mezzi”, costituita dal dovere di rinegoziare secondo buona fede le condizioni del contratto, al fine di ricondurre tali effetti nell’alea normale di questo97. Nell’adempimento dell’obbligo di rinegoziare si dovrà aver riguardo al parametro della buona fede che, da un lato, offre la possibilità di riequilibrare il rapporto, reagendo alla sopravvenienza e tutelando l’interesse alla conservazione del contratto; dall’altro, impedisce di vincolare al contratto modificato il contraente che – all’esito della rinegoziazione – si troverebbe obbligato a una prestazione divenuta – proprio in virtù dell’intervenuta rinegoziazione – eccessivamente onerosa, coerentemente con il disposto di cui all’art. 1467, comma 3, c.c.
Infatti, in caso di fallimento della rinegoziazione – o di inadempimento da parte del contraente avvantaggiato dalla sopravvenienza – il contraente svantaggiato potrà comunque invocare la risoluzione per eccessiva onerosità e – in sede giudiziale – la controparte potrà formulare l’offerta che ritenga idonea a ricondurre il rapporto a equità (art. 1467, co. 3, c.c.). Mediante questo meccanismo,
97 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., pp. 556 ss.
si privilegia l’intervento delle parti – nell’esercizio della propria autonomia negoziale – per adeguare il contratto alle mutate condizioni; mentre l’intervento del giudice è lasciato in secondo piano. Ciò si spiega in ragione del fatto che le parti sono i soggetti più titolati
– per competenza specifica e conoscenza dei caratteri e delle conseguenze economiche della sopravvenienza – a intervenire sul contratto dalle stesse concluso, modificandolo; mentre, la possibilità di investire il giudice della vertenza – chiamando a decidere un soggetto meno consapevole dei presupposti e degli interessi economici che tralucono dal contratto – costituisce un disincentivo rispetto all’adozione comportamenti opportunistici in sede di rinegoziazione secondo buona fede. Il giudice potrebbe, infatti, tanto rigettare la domanda di risoluzione – valutando non sussistenti presupposti di legge (su tutti, il superamento dell’alea normale; art. 1467, co. 2, c.c.), mantenendo in vigore il contratto originario ovvero accogliendo l’eventuale domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento –, quanto accoglierla, valutando insufficiente l’offerta formulata ex art. 1467, co. 3, c.c. Non solo: egli potrebbe altresì riconoscere alla parte onerata il diritto al risarcimento del danno, a fronte di un’offerta tardiva ovvero lesiva dell’interesse dell’altra parte a conoscere tempestivamente l’intenzione di mantenere in vita il contratto, cioè frutto di un comportamento contrario a correttezza e buona fede. Una simile offerta – benché astrattamente equa – potrebbe finanche giustificare l’accoglimento della domanda di risoluzione, ove
giunga a vulnerare, in concreto, l’interesse della parte svantaggiata alla conservazione del rapporto98.
Una valutazione consapevole di tali aspetti ci viene dalla giurisprudenza nordamericana in tema di impracticability99, che ha posto in luce come le controparti contrattuali siano sempre in grado – a fronte degli effetti perturbativi delle sopravvenienze contrattuali – di negoziare i termini di riequilibrio del rapporto e mantenimento del contratto adattato alle circostanze sopravvenute, ma anche come, in assenza di un loro accordo in tal senso, l’intervento giudiziale – come detto meno efficiente – svolga la funzione di incentivare le parti stesse a intraprendere, prima di adire il giudice e, comunque, in futuro, la via dell’autonoma rinegoziazione100.
La ricollocazione sistematica dell’art. 1467 c.c., quale rimedio complementare – in posizione residuale – rispetto al generale dovere di rinegoziare secondo buona fede il contratto esposto a sopravvenienze determina, altresì, una rivalutazione del ruolo dell’offerta di equa modificazione delle condizioni contrattuali, ex art. 1467, co. 3, c.c. La ratio di tale disciplina – che offre al convenuto la
98 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 269.
99 Aluminum Co. of America vs. Essex Group Inc., United States District Court, Western District of Pennsylvania, 499F. Supp. 53, p. 72 (W.D. Pa. 1980), trad. it. in Foro it., 1981, IV, p. 363.
100 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 288.
possibilità di paralizzare la domanda di risoluzione – risiede nel favor del codice civile per la conservazione del contratto; e l’offerta così formulata si qualifica come dichiarazione negoziale unilaterale, avente causa autonoma, che può essere resa unicamente dalla parte legittimata e preclude un’iniziativa officiosa del giudice101. Essa va valutata muovendo dall’indagine sull’alea normale del contratto, che deve prendere in considerazione non solo l’assetto originario degli interessi delle parti, ma anche «l’aspetto dinamico ed attuale del contratto»102, valutando il contegno tenuto dalle parti nella sua esecuzione. In ragione di tali considerazioni, è idonea al fine di cui all’art. 1467, co. 3, c.c., l’offerta che colmi lo squilibrio economico tra le prestazioni in termini sufficienti a ricondurre detto squilibrio all’interno dell’alea normale del contratto. Tale valutazione è di fondamentale importanza, nella prospettiva del mantenimento del contratto e della possibilità di soddisfare il comune interesse delle parti per l’adempimento satisfattivo delle reciproche obbligazioni, in vista della realizzazione dell’operazione economica complessiva. Per tale motivo, il sindacato del giudice, chiamato a valutare la congruità di un’offerta formulata – genericamente ovvero specificamente – ai sensi dell’art. 1467, co. 3, c.c., deve potersi esprimere in termini
101 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., pp. 265 s.
102 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 273.
determinativi e-o integrativi del contenuto dell’offerta. Ciò, in quanto
– oltrepassando le timide aperture103 e nette chiusure104 da parte della giurisprudenza e privilegiando un’osservazione empirica dei rapporti a lungo termine e dei relativi meccanismi convenzionali di
103 Cass. civ., 18 luglio 1989, n. 3347, in Foro It., 1990, I, p. 564, nota di Xxxxxxx: « L’offerta di equa modificazione delle condizioni di un contratto divenuto eccessivamente oneroso (art. 1467, ult. comma, c.c.), è rimessa all’iniziativa della parte, mentre il giudice deve limitarsi a stabilire se le modificazioni sono idonee a normalizzare il rapporto contrattuale, senza poter integrare le eventuali deficienze della proposta o superarne la portata; tuttavia, qualora la parte, in sede di conclusioni, dichiari di offrire, a saldo del prezzo di una compravendita, una determinata somma o quella somma maggiore o minore che si ritenga equa, deve intendersi con ciò proposta una domanda subordinata di determinazione giudiziale dell’equo prezzo, in ordine alla quale il giudice, se ritiene che la somma quantificata sia inidonea a far cessare l’eccessiva onerosità, deve necessariamente pronunciarsi, integrando l’offerta sulla base degli elementi di giudizio già acquisiti al processo».
104 Cass. civ., 11 gennaio 1992, n. 247, in Giur. It., 1993, I, 1, 2018, nota di Xxxxx: «In tema di eccessiva onerosità sopravvenuta, nel caso in cui il convenuto nell’esercizio della facoltà di disporre liberamente dei propri interessi, anziché chiedere di rimettere al giudice la determinazione del contenuto delle modifiche da apportare al contratto per ricondurlo ad equità, propone egli stesso il contenuto di dette modifiche, tale proposta, ove non accettata dalla controparte, perde il carattere di proposta negoziale rivolta a quest’ultima ed assume il connotato di una specifica domanda processuale con la conseguenza, in tal caso, che il giudice ex art. 112 c.p.c. può soltanto pronunciarsi sull’efficacia di questa ad impedire l’accoglimento della contrapposta domanda di risoluzione, non anche ridurre la somma offerta dal convenuto ritenendola eccessiva, perché così facendo deciderebbe ultra petita invadendo la sfera dispositiva delle parti».
adeguamento – la soluzione prospettata consentirebbe di offrire a entrambe le parti – una volta che la volontà di mantenere in vita l’accordo si sia espressa giudizialmente – un rimedio manutentivo il più possibile efficace. Entrambe, infatti, beneficerebbero dell’intervento spiegato in tali termini dal giudice: l’offerente vedrebbe assicurato il risultato del mantenimento del contratto – senza esporsi all’alea della valutazione di congruità svolta da un soggetto terzo, rispetto al rapporto, e potendo limitarsi a formulare una generica offerta di riduzione a equità –; l’altra parte, oltre a trarre vantaggio dalla certezza sulla sopravvivenza del contratto, vedrebbe rideterminato il contenuto della propria prestazione (nel rapporto sinallagmatico), alla luce della valutazione giudiziale del caso concreto, svolta anche in base agli effetti perturbativi della sopravvenienza allegati dalla medesima parte105.
Una tale sistemazione non pare, del resto, sconosciuta alla nostra esperienza giuridica. Infatti, un indice della tensione dell’ordinamento verso la conservazione dell’equilibrio contrattuale nei contratti a lungo termine si rinviene nei rimedi adottati per i casi nei quali – essendo incerto il risultato finale dello scambio delle prestazioni, a fronte della determinazione originaria dell’oggetto del contratto –, al convergere delle sopravvenute condizioni verso una realizzazione del programma contrattuale non conforme al rapporto degli interessi
105 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., pp. 287 ss.
originariamente fissato, si è reagito non già decretando l’invalidità del contratto, bensì attivando meccanismi di riequilibrio del rapporto sinallagmatico tra le prestazioni106. Così, al promissario acquirente di un immobile consegnato – anticipatamente rispetto al termine per la stipula del contratto definitivo di vendita – affetto da vizi incidenti sul suo valore commerciale, si è riconosciuta la possibilità di proporre, congiuntamente all’azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., l’azione di riduzione del prezzo ai sensi dell’art. 1492 c.c., configurando la pronuncia del giudice che tenga luogo del contratto non concluso – fissando un prezzo inferiore a quello pattuito con il preliminare – come un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni107.
Come si è detto, però, la disciplina di cui all’art. 1467 c.c. deve ritenersi operante in via residuale, ove non sia possibile – o non si voglia – pervenire all’esito manutentivo dell’accordo per tramite della rinegoziazione, quale aspetto dell’esecuzione del contratto stesso secondo correttezza e buone fede. Infatti, è bene chiarire che l’obbligo di rinegoziare nasce dal contratto e ne costituisce parte integrante, dimodoché il suo inadempimento costituisce inadempimento del contratto originario108. Ne consegue che, se il contraente gravato
106 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 98.
107 Cass. civ., 24 novembre 1994, n. 9991, in Foro it., 1995, I, p. 3236.
108 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 402.
dell’obbligo di rinegoziare il contratto secondo buona fede non vi adempie, la controparte contrattuale – che abbia interesse alla conservazione del contratto – potrà:
a. restare vincolato al contratto e chiedere il risarcimento del danno corrispondente alla maggiore onerosità della propria prestazione – in relazione all’equilibrio sinallagmatico rappresentato nel contratto originariamente concluso –, detratta la parte di detta onerosità rientrante nell’alea normale del contratto;
b. chiedere la risoluzione ai sensi dell’art. 1467 c.c., conseguendo giudizialmente: 1) la risoluzione del contratto e (ove richiesto) il risarcimento del danno causato dalla lesione del proprio interesse alla prosecuzione del rapporto determinata dall’altrui violazione dell’obbligo di rinegoziare secondo buone fede (perdita di investimenti e spese effettuati in vista dell’esecuzione); 2) il mantenimento dell’accordo per l’intervenuta offerta della controparte di ricondurlo a equità (art. 1467, comma 3, c.c.), oltreché (sempre ove richiesto) il risarcimento del danno connesso al ritardato adempimento dell’obbligo di rinegoziare il contratto secondo buona fede109.
Per altri versi, a fronte di una situazione economicamente incongrua rispetto alle pattuizioni originarie, il rifiuto della parte
109 D’XXXXXX, Il controllo delle sopravvenienze nei contratti a lungo termine tra eccessiva onerosità e adeguamento del rapporto, cit., pp. 566 ss.
avvantaggiata di rinegoziare il contratto secondo buone fede si espone alla censura di responsabilità rilevante, oltreché in base al disposto dell’art. 1375 x.x., xx xxxxx xxxx’xxx. 0000 x.x., xxxxxxxxxxxx xxxx la controparte a sospendere l’esecuzione e a pretendere il risarcimento del danno. Come si è, infatti, posto in luce, la clausola generale di buona fede offre copertura a un interesse, proprio di entrambe le parti e meritevole di tutela, nel peculiare ambito dei rapporti di durata: quello «all’esecuzione del contratto come mezzo per realizzare il risultato finale»110, cioè il compimento della complessiva operazione economica. In tale prospettiva, i principi di correttezza e buona fede devono fungere da criterio di valutazione del comportamento delle parti anche nel caso in cui sia sollevata un’eccezione di inadempimento; allorché, cioè, il contraente avvantaggiato dalla sopravvenienza rifiuti di trattare per l’adeguamento del contratto, in ragione dell’inadempimento della controparte rispetto alle obbligazioni assunte con il medesimo accordo, ovvero quest’ultimo eccepisca l’avverso inadempimento dell’obbligo di rinegoziare il contratto secondo buona fede, per giustificare il proprio rifiuto di adempiere alle condizioni in essere. In tali casi, occorrerà operare una valutazione comparativa degli opposti interessi, procedendo a un
110 XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine,
cit., p. 324.