Commissione Regionale per l'Artigianato
Assessorato alle Attività Produttive, Sviluppo Economico e Piano Telematico
Commissione Regionale per l'Artigianato
Prot. N. AIA/CRA/06/12053 Bologna, lì 16/6/06
Oggetto: Parere su limiti dimensionali e tipologia dei contratti d'assunzione
La Commissione Regionale per l'Artigianato presa visione del quesito inviato dalla CPA di Parma in data 17 Marzo 2005 prot. n. 3255 in merito all'oggetto, nella seduta del 20/04/06 ha deciso quanto di seguito.
Sul tema dei limiti dimensionali dell'impresa artigiana in rapporto alle tipologie dei contratti di assunzione dei lavoratori, si fronteggiano due distinte esigenze.
Da un lato il limite dimensionale visto quale requisito che consente di conservare un senso concreto al connotato della "prevalenza" del lavoro diretto dell'imprenditore artigiano, inteso come fattore qualificante e distintivo dello stesso fenomeno "artigiano".
D'altro canto occorre tener debito conto di una interpretazione meno rigida in ossequio alla ratio legis di favor per l'impresa artigiana, e nell'ottica di una visione volta a fronteggiare l'endemico problema dell'occupazione.
Il criterio per il computo degli addetti non deve essere in relazione semplicemente ai dipendenti in forza, ma occorre considerare quelli effettivamente in servizio.
Il numero dei dipendenti concretamente applicati al lavoro, di volta in volta, nelle singole contingenze temporali, fa sì che il numero complessivo dei dipendenti può, di per sé, anche superare il limite dimensionale posto dalla legge 443/1985, a condizione che il personale eccedente il limite per motivi di malattia, maternità, aspettativa, cassa integrazione o infortunio non sia concretamente operante in azienda.
In altre parole, in caso di sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, occorre tener conto di un solo soggetto (il sostituto ovvero il sostituito), stante il fatto che in ogni caso il posto di lavoro (ovvero la "mansione") è unico, come avviene sovente laddove si deva andare a determinare il quantum dell'organico per l'applicazione di specifiche disposizioni di legge.
Scendendo nel dettaglio dei quesiti, occorre perciò stabilire quale lavorante nell'impresa rientri nella definizione di "dipendente" ai sensi dell'art. 4 comma VI della legge n. 443/85.
Contratti a progetto
Per quanto concerne i contratti a progetto, il D.Lgs. n. 276/03 (artt. dal 61 al 69) ha apportato significative novità per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa che fino ad oggi si chiamavano XX.XX.XX.
In particolare il D.Lgs. 276/03 ha introdotto l'obbligo di ricondurre gran parte (ma non tutte, si vedano le esclusioni di cui all'art. 61 commi II e III) delle collaborazioni coordinate e continuative ad un progetto o a programmi di lavoro o a fasi di esso, introducendo (ovvero rimarcando) un’obbligazione di risultato, elemento tipico del lavoro autonomo e di distinzione rispetto al lavoro subordinato, caratterizzato dall'obbligazione sinallagmatica prestazione/retribuzione.
Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate secondo la disciplina previgente, se non potevano essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, hanno mantenuto la loro efficacia fino alla scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dall'entrata in vigore del D. Lgs. 276/03.
A settembre 2003 i XX.XX.XX. in Italia erano circa 2.3 milioni. Con i nuovi contratti a progetto si è cercato essenzialmente di caratterizzare questo tipo di rapporto con uno specifico progetto, o un programma di lavoro, o anche solo una fase di esso, assegnato al collaboratore con il compito di realizzarlo.
Il rapporto è gestito autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l'organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività, e senza vincolo di subordinazione.
L'elemento fondamentale che qualifica la tipologia del contratto di collaborazione a progetto è quindi rappresentato dall'autonomia del collaboratore nello svolgimento dell'attività lavorativa dedotta nel contratto e funzionale alla realizzazione del progetto, programma, o fase di esso.
E proprio dal principio dell'autonomia deriva la definizione in capo al collaboratore dei tempi e delle relative modalità di esplicazione dell'attività lavorativa.
Ciò è conseguenza, anche del fatto che l'interesse del committente/creditore è relativo al perfezionamento del risultato finale e non, come nel rapporto di subordinazione, alla disponibilità di una prestazione eterodiretta.
La stessa retribuzione non può essere in alcun modo legata al tempo impiegato per rendere la prestazione; il corrispettivo è legato alla natura del progetto, al risultato previsto.
Da ciò discende che non è possibile qualificare il lavoratore a progetto come lavoratore dipendente, tant'è vero che a norma del D.Lgs. n. 276/03 i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro, fase di esso, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.
Pertanto sebbene il lavoratore a progetto contribuisca alla formazione della produttività aziendale, si ritiene che non vada conteggiato nel computo previsto dall'art. 4 della legge n. 443/85.
Va ulteriormente precisato che l'articolo 61 del decreto 276/03 esclude dalla riconducibilità a tale tipo contrattuale le prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare, sempre con il medesimo committente, sia superiore a cinquemila Euro.
Si tratta di collaborazioni coordinate e continuative per le quali, data la loro limitata "portata", si è ritenuto non fosse necessario il riferimento al progetto e, dunque, di sottrarle dall'ambito di applicazione della nuova disciplina; pertanto rimangono equiparabili ai vecchi XX.XX.XX. ma comunque anch'essi esclusi dal computo dei limiti dimensionali.
Lavoro somministrato
Questa particolare tipologia contrattuale anch'essa disciplinata dal d.lgs. 276/03 che modifica, amplia, e riforma il "lavoro interinale" introdotto dal Pacchetto Treu (legge n. 196/97), si caratterizza per la "trilateralità" del rapporto di lavoro, nel quale intervengono nel contempo un soggetto che mantiene la titolarità del rapporto di lavoro (l'Agenzia per il lavoro formalmente autorizzata, in quanto in possesso degli stringenti requisiti previsti dalla norma, allo svolgimento di una o più attività afferenti alla somministrazione), che si configura quale somministratore, e un utilizzatore, ovvero un'impresa che ospita il lavoratore inviato dall'Agenzia in virtù di una pattuizione contrattuale esplicita, il contratto di subordinazione, ed infine il lavoratore comandato a prestare la propria attività presso l'utilizzatore ma contrattualmente vincolato all'Agenzia per il lavoro (titolare degli obblighi retributivi, contributivi, assicurativi, ecc.).
Sulla base di quanto esposto il lavoratore somministrato è a tutti gli effetti un dipendente dell'impresa fornitrice, che svolge la propria prestazione lavorativa presso l'impresa utilizzatrice, e vale pertanto quanto già esposto a proposito dei lavoratori con contratto a progetto: pur partecipando per un certo periodo alla produzione, non fanno parte dell'organico aziendale, e non sono a rigore definibili come "dipendenti" dell'impresa utilizzatrice a norma dell'art. 4 legge n. 443/85.
Contratti part-time
Sulla possibilità di "riproporzionare" i contratti di part-time, ossia di conteggiare le ore prestate da questi lavoratori per parificare il monte ore dei lavoratori a tempo pieno e quindi considerare più dipendenti part-time come una singola unità lavorativa, la dottrina non è univoca.
Da un lato non si ritiene ammissibile un riproporzionamento dei dipendenti part-time, pena lo stravolgimento dello spirito della disposizione di cui all'art. 4 della legge n. 443/85, facente riferimento - in quanto tale - al solo numero dei dipendenti e non a quello delle ore da costoro effettivamente lavorate; una diversa conclusione porterebbe ad un'ingiustificata dilatazione dei limiti quantitativi posti all'impresa artigiana.
Contra, l'orientamento opposto si fonda su una sentenza di Cassazione (Cass. civ. Sez. lavoro, 19-10-1999, n. 11750) che si basa sul disposto dell'articolo 5, comma XII, del decreto-legge 30 ottobre 1984 n. 726 (convertito nella legge 19 dicembre 1984 n. 863), per cui ai fini della qualificazione dell'azienda per l'accesso a benefìci di carattere finanziario e creditizio previsti dalle leggi, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti, in proporzione all'orario svolto riferito alle ore lavorative ordinarie effettuate nell'azienda, con arrotondamento all'unità della frazione di orario superiore alla metà di quello normale.
Il legislatore delegato del D.lgs. 61/00 nel recepire le disposizioni comunitarie in materia di lavoro a tempo parziale, sulla scorta anche di diverse pronunce della giurisprudenza, ha espressamente definito una modalità di computo, valida in via generale, improntata al criterio del pro quota, principio applicabile a meno di diversa previsione normativa.
Ora, l'art. 4 legge n. 443/85 non deroga in alcun modo il principio di computo generale, da cui l'applicazione del pro quota alla determinazione dell'organico nell'azienda artigiana.
Le stesse modalità di computo in applicazione del principio pro quota dovrebbero essere seguite anche per fattispecie contrattuali caratterizzate da prestazioni frammentarie o parziali (lavoro ripartito o job sharing – lavoro a chiamata o intermittente o job on call).
L'art. 6 del Decreto Legislativo del 25/2/2000 n. 61 recita:
"In tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all’orario svolto, rapportato al tempo pieno così come definito ai sensi dell’articolo 1, con arrotondamento all’unità della frazione di orario superiore alla metà di quello pieno.
Le modalità di calcolo del pro quota secondo le indicazioni del Ministero del Lavoro (v. circolari n. 46 del 30/04/2001 e n. 9 del 18/03/2004) sono le seguenti:
- ai fini delle disposizioni di legge e di contratto collettivo i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo parziale devono essere computati nell'organico aziendale in proporzione al tempo effettivo di lavoro. A tal fine dunque occorre considerare
anche l'eventuale lavoro supplementare o quello prestato in virtù di clausole elastiche;
- il computo va fatto sommando l'orario concordato con ogni lavoratore e raffrontando la somma con l'orario complessivo svolto dai lavoratori a tempo pieno.
Esempio: assunzione di n. 3 lavoratori con P.T. orizzontale di: 18, 20 e 24 ore.
Calcoli: 18 + 20 + 24 = 62 ore
62 ore : 40 ore (orario normale) = 1, 22 ore.
Poiché 22 è superiore alla metà dell'orario normale opera l'arrotondamento all'unità superiore e i lavoratori da computare diventano quindi 2.
Anche se non esplicitato dal Ministero, si ritiene che, qualora la frazione di orario residuale sia inferiore alla metà dell'orario a tempo pieno, l'arrotondamento debba essere per difetto.
Altre casistiche
Per completezza di esposizione, oltre alle puntuali previsioni normative dell'art. 4 della legge 443/85, si precisa che:
non si computano gli associati in partecipazione che conferiscono, in via esclusiva o in forma mista (unitamente a capitale), un apporto dato da prestazione lavorativa;
nel caso di imprese societarie, non si computano i soci non partecipanti al lavoro;
nel caso di cooperativa sociale, e quindi di soggetto legittimato ad assumere lavoratori socialmente utili ai sensi del D.Lgs. 28/02/2000 n. 81, qualora tali lavoratori siano impiegati nei lavori socialmente utili di cui all’art. 3 del medesimo D.Lgs., gli stessi non sono da computare ai fini del limite dimensionale in virtù del disposto dell’art. 4 co. 1 di detto decreto: " L'utilizzo nelle attività di cui all'articolo 3 [le attività socialmente utili] non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro".
a sensi dell’art. 7 co. 7 del D.lgs. n. 81/2000, non si computano i lavoratori socialmente utili assunti in applicazione del medesimo art. 7, con contratto a tempo indeterminato o determinato (a tempo pieno o part time).
ai sensi dell’art. 20 co. 4 della legge 23/07/1991 n. 223, non si computano i lavoratori assunti con contratto di reinserimento dei lavoratori disoccupati.
Il Presidente della CRA Xxxxxx Xxxxxxxxx
COMMISSIONE PROVINCIALE DELL' ARTIGIANATO DI PARMA
Siamo a sottoporre il seguente quesito inerente il limite dimensionale imprese artigiane.
Il caso che siamo a sottoporVi e' questo:
Pasticceria (lavorazione non in serie) con il seguente organico:
n. 3 soci che prestano attivita' lavorativa n. 14 dipendenti di cui:
n. 9 full-time
n. 1 part-time al 50% 20 ore settimanali
n. 1 part-time al 50% 20 ore settimanali
n. 1 part-time al 90% 36 ore settimanali
n. 1 part-time al 37,5% 15 ore settimanali
n. 1 ex apprendista trasformato in data 31.03.2004 n. 2 collaboratori con contratto a progetto
computati per il calcolo del limite dimensionale:
n. 2 soci (1 escluso)
n. 9 dipendenti full-time
n. 4 part-time
totale 15 (i part-ime non sono stati riproporzionati)
escluso i 2 collaboratori con contratto a progetto e l'ex apprendista sino al 31.03.2006
quesito:
i 2 collaboratori con contratto a progetto rientrano per il computo dei limite dimensionale?
I part-ime e' corretto considerarli come full.time oppure vanno riproporzionati? Es. i 2 part-ime di 20 ore n. 1 computabile
Lavoratori interinali (contratto di somministrazione con agenzia interinale) vanno computati?
Grazie per la collaborazione, in attesa di un Vostro riscontro si porgono distinti saluti.