LA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO TRA CONCORDATO PREVENTIVO,
ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE, INADEMPIMENTO E FALLIMENTO
A Genziana
INDICE
LA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO TRA CONCORDATO PREVENTIVO,
ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE E PIANI ATTESTATI
1.a. – Piani attestati ed accordi di ristrutturazione del debito 16
1.b. – Piani ed accordi di ristrutturazione: presupposti soggettivi ed oggettivi e loro finalità 18
1.c. – Possibile unilateralità del piano di risanamento: una questione controversa 32
1.d. – Piani ed accordi: la meritevolezza dell’esenzione 48
2. Concordato preventivo ed accordi di ristrutturazione del debito 55
2.a. Gli accordi di ristrutturazione come species del concordato preventivo 56
2.b. Gli accordi di ristrutturazione quale fattispecie autonoma dal concordato preventivo 59
3. La natura non concorsuale degli accordi di ristrutturazione 72
GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI
2. L’accordo con i creditori: la soglia del 60% dei crediti 92
2.a. L’accordo con i creditori: la struttura 96
2.b. L’accordo con i creditori: la forma 114
2.c. L’accordo con i creditori: il contenuto e la causa 117
3. Il procedimento di omologazione dell’accordo 120
CAPITOLO III
ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE, INADEMPIMENTO E DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
Premessa 135
1. L’inadempimento del debitore 137
2.Rapporti tra procedura di fallimento e di omologazione degli accordi di ristrutturazione 151
3. L’esenzione dall’esercizio dell’azione revocatoria e gli effetti della risoluzione dell’accordo di ristrutturazione: un problema di coordinamento 154
4 Dichiarazione di fallimento ed accordi di ristrutturazione: l’applicabilità della disciplina di cui agli artt. 72 e ss. l.f 160
5 Dichiarazione di fallimento ed accordi di ristrutturazione: le conseguenze del fallimento sugli atti posti in essere in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione. 167
NOTE CONCLUSIVE 178
BIBLIOGRAFIA 182
INTRODUZIONE
Nel breve volgere di pochi anni, la disciplina contenuta nel x.x. x. 000/0000 (xxxxx fallimentare) è stata profondamente modificata sia nella lettera sia nella filosofia di fondo1.
Il legislatore ha cercato di superare la visione afflittiva e sanzionatoria del fallimento, nella consapevolezza che il fenomeno della crisi d’impresa è del tut- to fisiologico nel ciclo vitale dell’impresa stessa, la quale, anche nelle ipotesi di decozione, può conservare valori produttivi meritevoli di essere salvaguardati2.
Tale consapevolezza si accompagna anche alla necessità di fornire degli strumenti di prevenzione della crisi, meglio, di una sua composizione all’esterno della via giudiziale tipica del fallimento3.
La disposizione di cui all’art. 182-bis l.f., nell’introdurre la nuova figura degli accordi di ristrutturazione del debito, ha delineato un istituto dai contorni incerti4; che tali sono rimasti, malgrado i ripetuti interventi del legislatore5 e gli sforzi della dottrina che si è occupata del tema6.
1 Il legislatore, nel realizzare il complessivo disegno di risistemazione della disciplina del fallimento non ha scelto la via maestra della predisposizione di un nuovo testo di legge, ma ha impiantato nel vecchio corpo della legge fallimentare un complesso di regole affatto nuove. Tale circostanza, da un lato, ha impegnato gli interpreti nell’analisi delle novità apportate e, dall’altro, ha loro imposto di ripensare anche le parti del corpo della legge fallimentare non modificate formalmente, ma che pure, per effetto del nuovo contesto in cui operano, hanno assunto un nuo- vo e diverso significato. A. XXXXX-X. XXXXXXXXXX, Il diritto della crisi delle imprese, Bologna 2009, p. 27 e ss.
2 In luogo di molti, G.B. PORTALE, Dalla « pietra del vituperio »alle nuove concezioni del fallimento e delle altre procedure concorsuali, p. 3 e ss.; in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e X. Xxxxxxx, Milano 2010,
3 X. XX XXXXXX, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Xxxxxx 0000, 20 e ss.
4 Cfr., icasticamente, X. XXXXXX, Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riv. Dir. Civ., 2009, p. 337, il quale osserva come «il tema degli accordi di ristrut- turazione dei debiti di cui all’art. 000 xxx xxx x.x. 0000, x. 000 […] risulta – come testimoniano sia la grande attenzione della dottrina, sia, per converso, quella modesta della prassi – piuttosto oscuro, sia per l’ambiguità che, ancor più, per l’incompletezza della disciplina che se ne occu- pa».
5 Nel breve volgere di pochi anni, infatti, la disposizione di cui all’art. 182-bis l.f., introdot- ta nel tessuto della legge fallimentare con il d.l. n. 80/2005, è stata oggetto di ripetuti interventi; sia in sede di conversione, sia in seguito alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 169/2007 – c.d. decreto correttivo. Da ultimo modificazioni di non poco momento sono state apportate dal d.l. n. 78/2010, convertito con l. n. 122/2010, il quale ha introdotto ben tre nuovi commi nel corpo dell’art. 182-bis, ed ha anche inserito un nuovo articolo, il 182-quater, nel tessuto l.f..
6 La bibliografia dedicata specificamente agli accordi di ristrutturazione dei debiti è ormai assai nutrita. Senza pretese di completezza cfr., tra i primi commentatori, X. XXXXX, Le vie nego- ziali per la soluzione della crisi d’impresa, in Fall. 2007 p. 617 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Gli accordi
di ristrutturazione: art. 67 e 182-bis l. fall., in Crisi d’impresa e ristrutturazioni. Percorsi tra banca e mercato, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxx, Milano 2010, p. 143 e ss.; X. XXXXXXXXX, Art. 182 bis, in Il nuovo diritto fallimentare diretto da X. Xxxxx, Bologna 2006 p. 2533 ss.; S. AM- BROSINI – P.G. XX XXXXXX, Il nuovo concordato preventivo Milano 2005; X. XXXXX, Fallimen- to: Le nuove norme introdotte con la l. 80/2005, in Dir. Fall. 2006, I p. 157 ss.; ID, Gli accordi di salvataggio o di liquidazione dell’impresa in crisi, in Fall. 2008, p. 1237 e ss.; A.M. AZZARO, Concordato preventivo e autonomia privata, in Fall. 2007 p. 1267 ss.; X. XXXXXXXX, La promo- zione e la tutela delle procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa nella riforma della legge fallimentare, in xxx.xxxxxxxx.xx; ID, Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa. La disciplina dei «piani di risanamento dell’esposizione debitoria» e degli «ac- cordi di ristrutturazione dei debiti»; in La riforma della disciplina dell’azione revocatoria falli- mentare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, di X. Xxxxxxxx e P.F. Xxx- xxxx, Padova 2006, p. 265 e ss.; X. XXXXX, Art. 182 bis, in La nuova legge fallimentare annota- ta, a cura di X. Xxxxxxxxx (ed altri), Napoli 2006 p. 347 ss.; X. XXXXXX; Gli accordi di ristruttu- razione dei debiti, in La legge fallimentare riformata, Milano 2008; ID, Accordi di ristruttura- zione dei debiti: natura giuridica e giudizio di omologazione, in Dir. fall. 2006, II p. 536 ss.; X. XXXXXXXXXX (a cura di), Diritto commerciale 3, 4° ed. Torino 2008, p. 413 ss.; X. XXXXX, Con- siderazioni sul nuovo art. 182 bis della legge fallimentare, in Dir. fall. 2005, I p. 876 ss.; V. DE SENSI, Convenzioni stragiudiziali per il salvataggio delle imprese e patti parasociali, in Dir. fall. 2005, I p. 57 ss.; X. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti: la «meno incerta» via della «reorganization»?, in Fall. 2007 p. 703; X. XX XXXXXX, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa, in xxx.xxxxxx.xx documento n. 84 del 17 dicembre 2007, p. 1 e ss.; X. XXXXXXX, Ac- cordi di ristrutturazione dei debiti: l’incerta xxx xxxxxxxx xxxxx «xxxxxxxxxxxxxx», xx Xxxx Xx., 2006, I 263 ss.; X. XXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge n. 80/2005, in Fall. 2005 p. 1445 ss.; ID, Prime osservazioni sugli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall. 2005, I p. 842 ss.; X. XXXXX, I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell’insolvenza e la tutela giudiziaria delle intese fra debitore e creditori: storia italiana della timidezza competitiva, in Fall. 2005 p. 587 ss.; ID, Stato di crisi, relazione di fattibilità del piano e sindacato del giudice nel concordato preventivo, in Foro It. 2006, I p. 919 ss.; ID, Art. 182 bis, in La legge fallimentare riformata, Commentario teorico-pratico, X. Xxxxx (a cura di), Milano 2007 p. 1418 ss.; ID, Ristrutturazione dei debiti (accordi di), in Le insinuazioni al passivo. Trat- tato teorico-pratico dei crediti e dei privilegi nelle procedure concorsuali, a cura di X. Xxxxx e coordinato da X. Xxxxx, Padova 2005, I, p. 697 e ss.; X. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ri- strutturazione dei debiti (art. 182 bis legge fallim.) e gli effetti per coobbligati e fideiussori del debitore, in Dir. fall. 2005, I p. 849 ss.; ID, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale, Padova 2009; X. XXXXXXXXX, Autonomia privata e accordi di ristrut- turazione dei debiti, in xxx.xxxxxxxx.xx; X. XXXXXXXXX, Concordato preventivo, accordi di ri- strutturazione dei debiti, piani di risanamento dell’impresa nella riforma delle procedure con- corsuali. Prime riflessioni, in Dir. fall. 2005, I p. 1156 ss.; M.R. GROSSI; Art. 182 bis, in La ri- forma della legge fallimentare 1° e 2° ed., Milano p. 1546 ss.; X. XXXXXX; L’accordo di ristrut- turazione dei debiti e la privatizzazione dell’insolvenza, in Giur. Comm. 2007, II p. 207 ss.; X. XXXXX, I lineamenti di una nuova… improbabile legge fallimentare, in Giur. Comm. 2005, I p. 323 ss.; ID, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa tra «privatizzazione» e tutela giudizia- ria; ID, Accordi di ristrutturazione e piani di risanamento, in AA.VV. Le soluzioni concordaste delle crisi d’impresa, Torino 2007, p. 103 e ss.; in Fall. 2005, p. 1453 e ss.; X. XX XXXXXX, Il concordato preventivo ed il trust, in Fall. 2007 p. 245 ss.; X. XXXXXXX, Insolvenza, crisi d’impresa e autonomia contrattuale. Appunti per una ricostruzione sistematica delle tutele, in Riv. Soc., 2008 p. 102 ss.; X. XXXXXXX, Non omologabilità degli accordi ex art. 182 bis legge fallimentare e procedimento per dichiarazione di fallimento del debitore, in Dir. fall. 2008, II p. 297 ss.; X. XXXXXX, Le ristrutturazioni dei debiti e la continuazione dell’impresa, in Fall. 2006
p. 101 ss.; G.B. XXXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ed il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Fall. 2008, p. 703 e ss.; ID, Le nuove esenzioni del terzo comma dell’art. 67 l. fall., in Fall. 2009, p. 14 e ss.; X. XXXXX, “Privatizzazione” delle procedure con- corsuali e ruolo delle banche, in Banca borsa e tit. di cred. 2006, I p. 359 ss.; I. XXXXX, L’accentuazione privatistica del concordato preventivo e i riflessi sul giudizio di omologazione, in Foro It. 2006, I, 913 ss.; ID, Xxxxxxxxx e processo nel concordato preventivo e negli accordi
verso le procedure c.d. negoziate di soluzione della crisi d’impresa1.
di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da
X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxx, Vol. I, Padova 2010, p. 558 e ss.; X. XXXXXXXXXX, La riforma della legge fallimentare, in Dir. fall. 2006, I p. 335 ss.; X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice. Regole del mercato, soluzioni giudiziali e negoziali, tutele dei conflitti, Milano 2009; X. XXXXX- NO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis legge fallimentare: una occasione da non perdere, in Dir. fall. 2006, II p. 674 ss.; X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Banca borsa e tit. cred. 2006, I p. 16 ss.; X. XXXXXXXX, I nuovi accordi di ristruttura- zione dei debiti, in Dir. fall. 2008, II p. 136 ss.; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei de- biti, in Fall. 2006 p. 129 ss.; ID, Accordi di ristrutturazione dei debiti, tutela dei soggetti coin- volti nella crisi d’impresa e ruolo del giudice, Xxx, 2007 p. 188 ss.; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da X. Xxxxxxxxx x X. Xxxxx, Xxxxxx 0000, Vol. I, p. 544 e ss.; X. XXXXX, Profili strutturali e funzionali dei contratti “di sal- vataggio” (o di ristrutturazione dei debiti), in Dir. fall. 2008, I p. 364 ss.; X. XXXXXXX, Gli ac- cordi di ristrutturazione dei debiti, in Il diritto fallimentare riformato. Commentario sistematico a cura di Xxxxxxx Xx Xxxx X., Milano 2007, p. 659 ss.; X. XXXXXXX, Il ruolo del trust nella com- posizione negoziale dell’insolvenza di cui all’art. 182 bis legge fallimentare, in Fall. 2007 p. 595 ss.; X. XXXXXXXX, Appunti sulle prospettive di riforma della legge fallimentare e sulle ri- forme attuate, in Dir. fall. 2006, I p. 328 ss.; X. XXXXXXXXX, Le sistemazioni stragiudiziali (ovve- ro, gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle esposizioni debitorie), in AA.VV. Manuale di diritto fallimentare, Padova 2006, p. 467 e ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Le cri- si di impresa fra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza, Bologna 2007; G.U. TEDE- SCHI, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Milano 2006, p. 535 ss.; X. XXXXX, Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge fallimentare, in Dir. fall. 2005, I p. 865 ss.
1 Rilievo, questo, assolutamente pacifico in dottrina, la quale generalmente rileva come, accanto agli accordi di ristrutturazione del debito, si xxxxxxxxxx i piani di risanamento di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), l.f. ed il nuovo concordato preventivo. In questo senso cfr., tra i tan- ti, X. XXXXXXXX, Le misure di incentivazione delle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa. Gli “accordi di ristrutturazione”, in xxx.xxxxxx.xx documento n.251/2011. X. XXXXX, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa cit., p. 1453; X. XXXXXXXXX, sub art. 182- bis, in La riforma della legge fallimentare, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino 2006, p. 1081 e ss.; X. XXXXX, Profili funzionali e strutturali cit., p. 365 e ss., X. XXXXXXX, I piani di ri- sanamento, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di X. Xxxxxx, Torino 2009, p. 755; ID, La “gestione privatistica dell’insolvenza” tra accordi di ristrutturazione e piani di risanamento, in La nuova legge fallimentare rivista e corretta, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Milano 2008, p. 267 e ss. Contra, sembrerebbe isolatamente, G. DE MEO, I piani “di risanamento” pre- visti dall’art. 67, l. fall., in Giur. Comm., 2011 I, p. 30 e ss., il quale, con riferimento ai piani at- testati di risanamento, esclude che essi siano uno strumento di soluzione concordata delle crisi d’impresa. Circa i rapporti tra accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e concordati, pre- ventivo e fallimentare, visti alla luce del tema specifico dell’elemento negoziale che li contras- segna, cfr. X. XX XXXXXX, ‘Contratto’ e ‘Deliberazione’ nella gestione della crisi d’impresa, in autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e X. Xxxxxxx, Milano 2010, p. 73 e ss., ove la precisazione che gli accordi ed i piani si lasciano inquadrare nell’alveo dei contratti, mentre i concordati in quello delle delibere. Con riferimento all’affermazione per la quale il nuovo istituto dell’accordo di ristrutturazione abbia inteso valorizzare l’autonomia negoziale dei soggetti coinvolti nella crisi d’impresa, cfr., tra gli altri, X. XXXXXX, Considerazioni extra vagan- tes sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis legge fallimentare, in Profili della nuova legge fallimentare, a cura di C. Xxxx, Torino 2009, p. 101 e ss., il quale osserva come sia opinio- ne «largamente diffusa, quasi ormai un luogo comune, che uno dei principali tratti distintivi del- le rinnovate discipline con cui l’ordinamento tende a dare risposta al problema della crisi dell’impresa sia rappresentato dalla valorizzazione dell’autonomia negoziale». L’A., tuttavia, precisa come questa affermazione meriti di essere in parte ridimensionata, «almeno là dove con essa s’intenda alludere ad un supposto riconoscimento di possibilità prima negate
piani attestati, e dall’altro, il concordato preventivo; quest’ultimo completamen- te ripensato nei suoi scopi, nei suoi presupposti applicativi e nella sua disciplina. I confini di fattispecie tra gli istituti sopra richiamati sono stati, e sono tutto-
ra, oggetto di discussione: l’accordo di ristrutturazione dei debiti, infatti, sembra collocarsi in posizione mediana tra le figure dei piani attestati e del concordato preventivo1.
Se quest’ultimo si iscrive pienamente nell’alveo delle procedure concorsua- li, più dubbia è la possibilità di assegnare tale qualificazione anche all’accordo
dall’ordinamento, dovendosi osservare come la composizione negoziale dell’insolvenza […] rappresenti al contrario, un fenomeno da tempo noto alla prassi». In tale prospettiva, conclude l’A., il compito del legislatore è stato, per certi aspetti, più limitato è finalizzato a rendere più sicuro ed appetibile (così almeno nelle intenzioni) l’accordo privatistico per la composizione ne- goziale della crisi d’impresa. È stato, peraltro, osservato come la scelta del legislatore verso le soluzioni negoziate alla crisi d’impresa sia stata dettata dall’esigenza di colmare un gap di com- petitività in punto di confezionamento di strumenti normativi idonei ad assicurare alla crisi d’impresa uno sbocco il più celere e sicuro possibile, che, al contempo, salvaguardi i valori pro- duttivi del complesso aziendale coinvolto. In questo senso, cfr., tra gli altri, X. XXXXX, I linea- menti di una nuova… improbabile legge fallimentare cit., p. 323 ss. circa l’affermazione, di ca- rattere generale, per la quale la riforma ha inteso valorizzare il ruolo dell’autonomia privata nella gestione della crisi d’impresa, cfr. tra gli altri, X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei de- biti alla luce dell’ulteriore intervento riformatore tra carenze normative e prospettive di rilan- cio; X. XX XXXX, Prevenire è meglio che curare (proposte per «curare» il concordato preventi- vo che non previene), in Dir. fall. 2010, I, p. 70 e ss.; X. XXXXXXX, Il contratto sulla crisi d’impresa, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di X. xx Xxxxxx e X. Xxxxxxx, Xxxx- no 2010, p. 233 e ss.
1 Il rilievo, soprattutto prima della modifiche apportate sia dal c.d. decreto correttivo – d.lgs. n. 169/2007 – sia dalla d.l. n. 78/2010, era svolto nell’intento di evidenziare la poca appe- tibilità dell’istituto. In questo senso, cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXXX, Art. 182-bis cit., il quale os- serva, sia pure con riferimento alla formulazione della norma pregressa al c.d. decreto correttivo, come il nostro istituto possa idealmente dirsi collocato «fra Scilla e Xxxxxxx: da un lato, infatti, vi sono i piani attestati, i quali non abbisognano dell’omologazione del tribunale pur dando vita al- lo stesso risultato degli accordi di ristrutturazione, vale a dire l’esenzione da revocatoria; dall’altro vi è il concordato preventivo, che non solo accorda protezione al debitore fino al depo- sito del ricorso, ma comporta, ove approvato dalla semplice maggioranza dei crediti ammessi al voto e puntualmente eseguito, l’esdebitazione dell’imprenditore per la parte di debito eccedente la percentuale concordataria»; C. XXXXX, Esenzione dall’azione revocatoria e prededuzione nel- le procedure stragiudiziali di risanamento, in Dir. fall. 2010, I, 531 e ss. il quale osserva come nell’originaria formulazione dell’art. 182-bis l.f. gli accordi di ristrutturazione del debito presen- xxxxxx una scarsa appetibilità per l’imprenditore in crisi, poiché l’unico effetto che essi consen- tivano di conseguire era l’esenzione da revocatoria; esenzione che, tuttavia, interessa poco al de- bitore; X. XXXXX, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa cit., p. 1457; X. XXXXXX, Gli ac- cordi di ristrutturazione dei debiti, in La riforma della legge fallimentare a cura di X. Xxxxxxx- ni, Bologna 2006, p. 380-381; ID, Intervento alla seconda tavola rotonda – Gli accordi di ri- strutturazione e il piano di risanamento, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – atti del con- vegno, Torino 23-24 maggio 2008, a cura di X. Xxxxx, Milano 2009 p. 109 e ss., che parla della necessità per gli accordi di ristrutturazione «di trovare un posto al sole (p. 110)» X. XXXXX, Pro- fili strutturali e funzionali, cit., p. 366 e ss.;
senz’altro, un ruolo di maggiore importanza: circostanza, questa, che non vale a svalutare il rilievo che pure assume il momento processuale nell’iter di forma- zione dell’accordo2.
La figura delineata dall’art. 182-bis l.f. si distingue anche da quella delinea- ta dall’art. 67, comma 3 lett. d), della medesima legge, della quale il giudice è chiamato a conoscere solo in via eventuale: ossia nella sola eventualità che so- praggiunga il fallimento e si faccia, pertanto, questione della revocabilità degli
«atti, [de]i pagamenti e [del]le garanzie concesse su beni del debitore purché po- sti in essere in esecuzione» del piano di risanamento».
Tutte e tre gli istituti sopra richiamati sembrano congiungersi al vertice nel- la finalità di evitare il fallimento3, nonché nella possibilità – per vero discussa
1 Varrà da subito precisare che, come si vedrà di qui a poco, la dottrina maggioritaria, pur riconoscendo il rilievo che la fase propriamente giudiziale gioca ai fini della produzione degli effetti legali specifici dell’istituto, è, tuttavia, propensa a negare all’istituto de quo la natura di procedura concorsuale; ciò per attribuirgli natura contrattuale. Di contrario avviso è altra, e mi- noritaria, parte della dottrina che, per contro, ritiene ineludibile la qualificazione degli accordi quale procedura concorsuale; discutendosi, allora, se ricondurli o meno nell’alveo del concorda- to preventivo. Nel primo senso, tra gli altri, X. XXXXXXX, Diritto fallimentare, Bologna 2011, p. 94, sulla scorta della considerazione che unico elemento di concorsualità rintracciabile nell’istituto di cui all’art. 182-bis l.f. sarebbe il blocco delle azioni esecutive; nel secondo, inve- ce, X. XXXXXXXXX, Art. 182-bis 2010, in La legge fallimentare dopo la riforma, Torino 2010, p. 2252 e ss.; E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedi- mento concorsuale cit., p. 81 e ss. La questione, peraltro, sarà affrontata con maggiore dovizia di particolari allorché si affronterà il problema del rapporto tra concordato preventivo ed accordi di ristrutturazione dei debiti.
2 X. XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella riforma della legge fallimenta- re, in Riv. Notariato, 2006, p. 321 ss. precisa che il necessario vaglio giurisprudenziale distingue gli accordi di ristrutturazione da quelli di risanamento di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), l.f.. Xx- xxxxxx, inoltre, come negli accordi di ristrutturazione dei debiti sia necessario distinguere netta- mente due fasi: quella negoziale e quella propriamente giudiziale anche X. XXXXXXXXX Art. 182- bis cit., p. 2541, il quale parla di caratteristiche “ibride” degli accordi di ristrutturazione; C. D’AMBROSIO Gli accordi di ristrutturazione dei debito, in Fallimento e altre procedure concor- suali, Diretto da X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, 3, p. 1804 e n. 15; X. XXXXXXXXX, Accordi di ristrut- turazione del debito e tipicità dell’operazione economica cit., p. 276; X. XXXXXX, Il concordato preventivo cit., p. 295 e ss.; X. XXXXXXXXX Art. 182-bis, cit., p. 1082, il quale precisa come la re- golamentazione degli accordi sia articolata in due fasi: una di carattere stragiudiziale, nella quale il debitore deve raggiungere l’accordo con i creditori che rappresentino il 60% dei crediti, e
«l’altra, altrettanto doverosa e non meramente eventuale, di natura giudiziale, nella quale l’accordo raggiunto viene sottoposto al vaglio del giudice»; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrut- turazione dei debiti ex art. 182 bis, in Le procedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, a cura di X. Xxxxxx, Milano 2009, p. 657 e ss.
3 E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale cit., p. 98; X. XXXXX, Profili strutturali e funzionali, cit., p. 365, il quale assimilan- do gli accordi di ristrutturazione a quelli di salvataggio, afferma che tale ultima espressione è buona «per designare tutti gli accordi conclusi fra l’imprenditore in crisi e i suoi creditori e fina-
ga mediante la conservazione dell’impresa oppure mediante la liquidazione del patrimonio aziendale1.
Il legislatore ha predisposto tre strumenti alternativi di soluzione concordata della crisi d’impresa, che possono trovare nella ristrutturazione del debito il loro centro2; tali strumenti – entro certi limiti – possono assumere quale referente la medesima condizione di crisi dell’impresa.
Stringendo il discorso sugli accordi di ristrutturazione dei debiti, è da osser- vare come il legislatore non ne avrebbe delineato tutti gli elementi3, ma si sareb-
lizzati a “gestire” la crisi stessa su base convenzionale e in termini alternativi rispetto alla classi- ca via della liquidazione fallimentare del patrimonio aziendale e del conseguente riparto tra i creditori dell’attivo così realizzato». Sono, poi, note le critiche di eccessiva onerosità, lungaggi- ne ed insufficienza delle procedure concorsuali, per tutti cfr. X. XXXXXXXXX, sub art. 182-bis, cit., p. 1082-1083.
1 Cfr., X. XXXXXXXXX, Art. 182-bis, cit., p. 1093, il quale osserva come «attraverso tali ac- cordi si possono perseguire obiettivi sia di riequilibrio della situazione economica finanziaria dell’impresa o comunque di salvataggio della medesima, sia di carattere meramente liquidati- vo»; ID, Art. 182-bis 2010, cit., p. 2269. Sembrerebbe, invece, negare la possibilità che l’accordo di ristrutturazione dei debiti possa essere utilizzato al fine di liquidare l’impresa, X. XXXXX, pro- fili strutturali, op. cit., il quale assimila tout-court gli accordi di ristrutturazione a quelli di salva- taggio.
2 Cfr. U. DECRESCIENZO-X. XXXXXXX, Il nuovo diritto fallimentare. Dal maxiemendamento
alla legge n. 80/2005, Milano 2005, p. 77-78; X. XX XXXXXX, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa cit., p. 1 e ss. L’affermazione di cui nel testo trova, con riferimento al concordato pre- ventivo, un preciso referente normativo all’art. 160, comma 1 lett. a), l.f. e, con riferimento ai piani attestati, conforto nella dottrina. Non si è mancato, infatti, di precisare come «in taluni casi (e si pensi all’ipotesi in cui il diniego dell’omologazione fosse dipeso esclusivamente dalla cir- costanza che i creditori aderenti fossero portatori di crediti complessivamente inferiori alla per- centuale minima richiesta dalla legge)» non si potrebbe escludere che «l’obiettivo di conseguire l’effetto della esenzione da una futura, eventuale revocatoria, potrebbe ugualmente raggiungersi attribuendo al piano concordato con i creditori per la ristrutturazione dei debiti la valenza di un piano di risanamento attestato ex art. 67, comma 3°, lett. d)». In questo senso, X. XXXXXX, Ele- menti legali negoziali, cit., p. 355; X. XXXXX, Profili strutturali e funzionali, cit., p. 390; X. XXXXX, Il finanziamento alle imprese in crisi e le soluzioni stragiudiziali (piani attestati e accor- di di ristrutturazione), in Giur. Comm. 2009 I, p. 1236 e ss.
3 Il rilievo è alquanto diffuso in dottrina. In argomento, tra gli altri, cfr. X. XXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti: natura giuridica e giudizio di omologazione, in Dir. fall. 2006, I,
p. 536 e ss.; X. XX XXXXXX, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa cit., p. 4 e ss.; P. VA- LENSISE, Art. 182-bis 2010, p. 2266, il quale rileva come la norma non dia alcuna indicazione dirimente riguardo alla struttura dell’accordo; X. XXXXXX, Elementi legali negoziali degli accor- di, cit., p. 343, il quale esclude che gli accordi di ristrutturazione possano rimandare ad un ben preciso tipo contrattuale, al più si potrebbe per essi discutere di una tipizzazione «a bassa defini- zione», realizzata dal legislatore con l’obiettivo limitato di fungere da condizione di applicazio- ne di talune norme che però risultano esterne rispetto al regolamento contrattuale predisposto dalle parti. Sul concetto di tipizzazione a bassa definizione cfr. V, XXXXX, Il contratto, Milano 2001, p. 425 e ss., il quale sottolinea come i tipi contrattuali ad alta definizione si caratterizzano per la definizione di tutti gli elementi che compongono l’oggetto (o il contenuto) del contratto, mentre i tipi a bassa o media definizione definiscono solo alcuni aspetti di questo. Tale circo-
l’operazione economica sottesa alla stipulazione degli accordi deve realizzarsi1: la percentuale dei crediti di cui debbono essere titolari i creditori che partecipa- no all’accordo, l’obbligo di prevedere nell’accordo il regolare pagamento dei non aderenti, e la necessaria funzionalità dell’operazione alla ristrutturazione dei debiti2.
Non va, poi, trascurato come sia i piani di risanamento sia gli accordi di ri- strutturazione sia il concordato preventivo si connotano per la predisposizione di un piano cui, in definitiva, è assegnato il compito di tracciare il cammino per la composizione della crisi3.
Se il riferimento al piano è esplicito sia nei piani attestati di risanamento sia nel concordato preventivo, esso appare non meno evidente anche dalla lettera dell’art. 182-bis l.f.: l’attuabilità dell’accordo, infatti, pare riferirsi più che al contratto – al cui oggetto pare più corretto fare riferimento in termini di possibi-
stanza finisce per incidere «sulla c.d. elasticità de tipo, e cioè sulla minore o maggiore ampiezza dei margini entro cui può variare il contenuto contrattuale».
1 X. XXXXXXXXX, Accordi di ristrutturazione del debito e tipicità dell’operazione economica cit., p. 268-269, per il quale il legislatore si sarebbe limitato a delineare i limiti quantitativi e qualitativi all’interno del quale l’accordo deve essere concluso: pertanto «appare […] chiaro che il legislatore si è limitato a delineare una cornice entro la quale il potere di autonomia delle parti può liberamente realizzare forme di composizione e di regolazione della crisi d’impresa e, per l’effetto, anche di prevenzione dell’insolvenza»; ID, Accordi di ristrutturazione del debito e ati- picità dell’operazione economica, in Riv. Dir. Comm, 2009, p. 1096, ove si rileva come il legi- slatore sembrerebbe avere operato «mediante una disciplina, non più per singoli contratti, ma per attività, per operazioni economiche e, quindi, [ha abbandonato] lo schema del singolo atto per inserire il contratto all’interno di un’operazione economica».
2 Circa la necessità che l’accordi determini la modifica dei tempo e modi di pagamento del- le obbligazioni del debitore cfr., tra gli altri, X. XXXXX Profili strutturali e funzionali, cit. p. 377 il quale, interrogandosi sulla causa dell’accordo, ed in un approccio “convenzionale” del tema (che l’A., peraltro, non ipotizza essere l’unico) rileva come l’assetto di interessi potrebbe essere letto nel senso di consentire al debitore un «assetto più vantaggioso delle sue passività» cui si contrappone una certa ingerenza dei creditori finalizzata al superamento della crisi d’impresa. Nel senso che la ristrutturazione delle passività faccia parte del contenuto necessario dell’accordo anche X. XXXXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Manuale di diritto fallimentare, X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxxxx, Milano 2009, p. 905 e ss., ove la precisazio- ne che lo «scopo della procedura è consentire il pagamento dei debiti, ridotti, a condizioni eco- nomiche diverse».
3 X. XXXXXXXX, Le misure di incentivazione delle procedure di composizione negoziale del- le crisi d’impresa. Gli “accordi di ristrutturazione” cit., p. 2, il quale osserva come «l’attuale legislazione concorsuale prevede che, in presenza di una situazione di “crisi” economica, patri- moniale o finanziaria, il debitore […] possa proporre ai propri creditori un “Piano” per la siste- mazione e/o la ristrutturazione dei suo indebitamento, inserito in tre possibili procedimenti, che vengono comunemente denominati “procedure di composizione negoziale delle crisi”.
quegli accordi che sottendano piani la cui attuazione assume una seria probabili- tà di riuscita.
La sussistenza di uno specifico piano sottostante all’accordo di ristruttura- zione è, peraltro, del tutto pacifica tra i commentatori2.
La ristrutturazione dei debiti mediante la predisposizione di un apposito piano, pertanto, potrebbe astrattamente essere raggiunta utilizzando uno delle tre soluzioni fornite dal legislatore3: ciò che divergerebbe sarebbe il “modello di so- luzione della crisi”4 dalle stesse prescelto: giudiziale o negoziale che esso sia.
Quanto sopra osservato, tuttavia, non elide le differenze strutturali tra i tre “modelli” di soluzione della crisi d’impresa; ed anzi ne impone una più attenta analisi.
1 X. XXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 689, per il quale «se è vero che il debitore deve raggiungere tanti accordi individuali, per far ciò deve avere un programma e questo programma che verosimilmente i creditori vogliono conoscere per valutare se rilasciare il consenso, altro non è che una versione del piano previsto nel concordato preventivo e nel piano di risanamento (corsivo dell’A.)»; F. DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano 2011, p. 130 e ss., ove la precisazione che il concetto di attestazione non può essere riferito all’accordo, ma solamente al piano. X. XXXXXXXXX Art. 182-bis cit. p. 1091, il quale rileva come il piano di ri- strutturazione «deve ritenersi parte integrante dell’accordo da presentare in tribunale. Ciò in quanto il consenso dei creditori necessari per la presentazione viene raggiunto sulla base della condivisione di un progetto più o meno dettagliato; nello stesso senso va considerato che la valu- tazione, ai diversi livelli previsti dalla norma in commento, dell’attuabilità del medesimo accor- do implica necessariamente un esame del piano che esso prevede».
2 Cfr., esemplificativamente, X. XXXXXXXX, Le misure di incentivazione delle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa, in xxx.xxxxxx.xx documento n. 251/2011; U. MO- LINARI, Accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. I casi Gabetti Property solu- tion S.p.A. e Risanamento S.p.A., in Crisi d’imprese: casi e materiali, a cura di X. Xxxxxxx, Mila- no 2011, p. 48-49 n. (3), il quale, con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, rileva come «in definitiva, accordo con i creditori e piano industriale e finanziario costituiscono en- trambi elementi essenziali e imprescindibili per il superamento della “crisi” d’impresa, sia qua- lora venga utilizzato lo strumento del piano di risanamento ex art. 67, terzo comma, lett. d), della legge fallimentare […], sia quello degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182- bis della legge fallimentare».
3 Cfr. X. XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, op. loc. cit.; G. LO XXXXXX, Il concordato preventivo, Milano 2007, p. 889.
4 Cfr. X. XXXXXXX, Il percorso delle soluzioni stragiudiziali alle crisi d’impresa, in Giur. Comm. 1998, 4, 609 e ss., il quale precisa che per “modello di riorganizzazione” s’intende la procedura formale di ristrutturazione aziendale, ovvero se essa risponda a precise norme previste dalla legge (procedure concorsuali) o segua un iter stragiudiziale che dipenderà da accordi tra l’impresa e i creditori». La locuzione mi pare si possa conservare, ovviamente tenendo conto del fatto che le procedure considerate possono assumere quale fine, oltre che il risanamento dell’impresa anche la sua liquidazione.
Se unica, infatti, può essere l’operazione economica sottesa agli istituti so- pra richiamati, differenti sono, invece, le conseguenze giuridiche che possono discendere dalla scelta tra l’uno o l’altro di essi.
In questa prospettiva, la dottrina che si è occupata del tema ha sentito da su- bito l’esigenza di interrogarsi sugli esatti confini della nuova figura degli accordi di ristrutturazione del debito; delimitandone la portata rispetto ai piani attestati ed al concordato preventivo.
È, tuttavia, proprio nell’ambito della definizione dei rapporti tra concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e piani attestati di risanamento che l’interprete incontra le maggiori difficoltà, poiché gli ultimi due istituti non sono stati definiti con precisione dal legislatore.
Accordi di ristrutturazione e piani attestati di risanamento costituiscono fat- tispecie semplicemente presupposte dal legislatore, il quale si limita a regolarne certi effetti e, con riferimento agli accordi di ristrutturazione, a disciplinarne al- cuni aspetti processuali.
La ricostruzione della fattispecie, pertanto, è stata realizzata a partire dagli effetti che il legislatore riconnette agli istituti in parola, cercando di individuare da essi la fattispecie che li ha prodotti. È, tuttavia, proprio nell’analisi degli ef- fetti dell’accordo di ristrutturazione che ci s’imbatte in un problema interpretati- vo di non poco momento.
Per gli accordi di ristrutturazione (come pure per i piani attestati di risana- mento) l’effetto di maggiore interesse è quello della esenzione dall’azione revo- catoria, il cui riconoscimento è idoneo a esternalizzare effetti negativi sui sog- getti che non partecipano all’accordo.
Il riconoscimento dell’esenzione dell’azione revocatoria sembra rompere il fronte della solidarietà tra i creditori nel comune concorso sul patrimonio del debitore, collocando il creditore che ne benefici fuori dall’operare del principio della par condicio creditorum, di cui, tradizionalmente, massima espressione è l’azione revocatoria fallimentare1.
1 Per tutti, X. XXXXXXX, Diritto fallimentare cit. p. 323.
Nonostante l’importanza dell’effetto, il legislatore non si è preoccupato di coordinare le conseguenze del fallimento sugli accordi di ristrutturazione; né, più in generale, ha disciplinato le conseguenze che l’inadempimento del debitore determina sui medesimi.
Già con riferimento al concordato stragiudiziale, tuttavia, la dichiarazione di fallimento, che conseguiva all’inadempimento del debitore, è stata considerata quale evento risolutorio dell’accordo raggiunto tra il debitore ed i creditori per la composizione della crisi d’impresa1.
In questa prospettiva, si è allora posto il problema di coordinare l’efficacia retroattiva della risoluzione dell’accordo conseguente alla dichiarazione di fal- limento con l’operare della stessa regola di esenzione di cui all’art. 67, comma 3 lett. e), l.f. Il problema assume significato centrale, poiché è nella regola di esenzione che la stipulazione dell’accordo trova per le parti il momento di mag- giore interesse.
Tale coordinamento è stato realizzato ora facendo riferimento alla natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione, ora facendo riferimento alla ratio sottesa all’art. 67, comma 3 lett. e), l.f..
Si tratta di soluzioni, per come si esporrà con maggiore precisione nel pro- sieguo del lavoro, che non sembrano soddisfacenti: la prima, quantomeno per- ché non è in grado di spigare l’operatività dell’analoga regola di esenzione pre- disposta dal legislatore con riferimento ai piani attestati di risanamento, la se- conda, perché qui non sembra si discuta di colmare una lacuna, quanto piuttosto di rinvenire il fondamento normativo per ritenere non applicabile una regola po- sitiva (art. 1458 c.c.).
Scopo del presente lavoro, pertanto, e verificare come reagisca l’accordo di ristrutturazione all’inadempimento del debitore, e come alla dichiarazione di fal- limento, la quale, seppure non è legata a questo (inadempimento) da alcun nesso di logica necessità, sembra comunque costituire – almeno di fatto – il naturale approdo di un tentativo di ristrutturazione non andato a buon fine.
1 Per i riferimenti di dottrina sia consentito rinviare al Capitolo III.
Sarà, pertanto, necessario individuare la natura giuridica dell’accordo, scio- gliendo l’opzione tra la sua qualificazione quale procedura concorsuale ovvero quale ordinario contratto di diritto privato, e determinarne la fattispecie.
Allo scopo si procederà: (i) all’analisi dei rapporti intercorrenti tra accordo di ristrutturazione, piano attestato di risanamento e concordato preventivo; ciò al fine di far emergere, per analogia e contrasto, i tratti caratteristici degli accordi di ristrutturazione, e (ii) all’analisi delle disposizioni che il legislatore dedica specificamente agli accordi di ristrutturazione.
Infine, ci si occuperà di verificare le conseguenze dell’inadempimento so- prattutto con riguardo alla possibile dichiarazione di fallimento cui il primo può dare luogo.
LA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO TRA CONCORDATO PRE- VENTIVO, ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE E PIANI ATTESTATI
1.a. – Piani attestati ed accordi di ristrutturazione del debito
L’art. 67, comma 3 lett. d), l.f. esenta dalla revocatoria «gli atti i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debi- toria dell’impresa ed ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revi- sori contabili e che abbia i requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b) ai sensi dell’art. 2501 xxx, xxxxxx xxxxx, xxx xxxxxx xxxxxx0».
0 Con riferimento ai piani attestati di risanamento cfr., senza alcuna pretesa di completezza: AA.VV., Crisi, insolvenza e risanamento dell’impresa, Milano 2010, passim; X. XXXXX, Gli ac- cordi di salvataggio o di liquidazione d’impresa in crisi, in Fall. 2008, p. 1237 e ss.; X. XXXX- XXX, Crisi d’impresa e risanamento, Milano 2010, p. 175 e ss.; X. XXXXXXXX, Art. 67 – «Risana- mento dell’esposizione debitoria» e «riequilibrio della situazione finanziaria», in Fallimento e altre procedure concorsuali, Milano 2009, p. 653 e ss; X. XXXXX, La crisi d’impresa e le possi- bili soluzioni stragiudiziali, in AA.VV. La crisi d’impresa, Napoli 2011, p. 87 e ss.; G. LO CA- SCIO, Le nuove procedure di crisi: natura negoziale o pubblicistica?, in Fall., 2008, p. 991 e ss.;
P.G. DE MARCHI, I piani di risanamento ex art. 67 legge fallimentare, in xxx.xxxxxx.xx; C. X’XXXXXXXX, Art. 67, comma 3 lett. d), e), g), in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da X. Xxxxx e coordinato da X. Xxxxxxx, I, Bologna 2006, p. 985 e ss.; X. XXXXXXX, Diritto fallimentare un profilo organico, Torino 2011, p. 717 e ss.; X. XXXXXXX, I piani di risanamento, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di X. Xxxxxx, Torino 2009, p. 755 e ss..; X. XXXXX, I piani atte- stati di risanamento, in Fall. 2005 p. 1353; ID, Piano attestato di risanamento, in Le insinuazio- ni al passivo. Trattato teorico-pratico dei crediti e dei privilegi nelle procedure concorsuali, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxx, Padova 2005, I, p. 546 e ss.; X. XXXXXXXXX, La responsabilità civi- le del professionista nei piani di sistemazione della crisi d’impresa, in Fall. 2009, p. 889; G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale della crisi d’impresa (Commento alle lettere d, e, g del comma 3 dell’art. 67), in Commentario alla legge fallimentare diretto da X. Xxxxxxxxx, Milano 2010, p. 233 e ss.; X. XXXXXXXXX, Struttura e contenuto dei “piani di risanamento” e dei “progetti di ristrutturazione” nel concordato pre- ventivo e negli accordi di composizione stragiudiziale delle situazioni di “crisi”, in Le nuove procedure concorsuali per la prevenzione e la sistemazione delle crisi di impresa – atti del con- vegno Lanciano, 17-18 marzo 2006, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx Milano 2006 p. 457 e ss.; ID, La relazione del professionista nel piano di risanamento stragiudiziale attestato, in Le pro- cedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, a cura di X. Xxxxxx, Milano 2009, p. 631 e ss.;
X. XXXXXXXX, Revocatoria fallimentare e disciplina delle nuove esenzioni, in Le procedure
dell’art. 67 l.f., il quale, alla lett. e), dispone l’esenzione dall’azione revocatoria per «gli atti i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concorda- to preventivo nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’art. 182 bis».
Accordo che, ai sensi del primo comma dell’articolo da ultimo citato deve essere raggiunto dall’imprenditore in crisi con i creditori rappresentanti almeno
concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, a cura di X. Xxxxxx, Milano 2009, p. 294 e ss.; X. XXX, I piani “di risanamento” previsti dall’art. 67. L. fall., in Giur. Comm., 2011, I, p. 30 e ss.;
X. XXXXX, Art. 67, in La riforma della legge fallimentare, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx, To- rino 2006, Xxxx I, p. 371 e ss.; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento, in Manuale di di- ritto fallimentare, X. Xxxxxxx x X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx 0000, p. 935 e ss.; X. XXXXX, I piani in- dustriali e finanziari nelle crisi d’impresa: casi ed esperienze, in Superare la crisi con i piani di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, un primo bilancio, a cura di X. Xxxxxxxx- no, Milano 2010, p. 33 e ss; X. XXXXXXXXXX, Piani di risanamento e posizione delle banche, in Banca borsa e tit. cred. 2007, I, 538 e ss.; X. XXXXX, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudi- zievoli per i creditori, in Il diritto fallimentare riformato, a cura di X. Xxxxxxx di Xxxx, Padova 2007, p. 179 e ss; ID, Quale professionista per le nuove soluzioni delle crisi di impresa: alterna- tive al fallimento, in Fall. 2008, p. 1067 e ss.; X. XXXXXXXX, Art. 67 §§ 3.4-3.7, in La nuova legge fallimentare annotata, a cura di X. Xxxxxxxxx ed altri, Napoli 2006, p. 122 e ss., M. RUTIGLIA- NO, Equilibrio economico e finanziario di impresa, piani di risanamento e accordi di ristruttu- razione dei debiti, in, Superare la crisi con i piani di risanamento cit., p. 1 e ss.; X. XXXXXXXXXX, Art. 67, in Il nuovo diritto fallimentare, a cura di X. Xxxxxxxxxx, Milano 2006, p. 287 e ss; X. XXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare, in Fall. 861 e ss.; X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir. fall. 2006, II, 243 e ss.;
X. XXXXX, I piani di risanamento e di riequilibrio nella legge fallimentare, in Dir. fall. 2006, I, 1248 e ss.
1 Mentre, infatti, ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), l.f. non sono revocabili le garanzie
«concesse sui beni del debitore», una tale limitazione non si rinviene con riferimento alle garan- zie di cui alla successiva ipotesi prevista dalla lett. e) dello stesso xxxxx. La spiegazione di tale diversità di disciplina non è univoca. Concordemente, peraltro, si afferma che la previsione mo- stra il maggior favore che il legislatore mostra verso le soluzioni di composizione della crisi d’impresa di natura giudiziale o paragiudiziale. Cfr. X. XXXXXXXX, La promozione e la tutela del- le procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa nella riforma della legge fallimen- tare, in xxx.xxxxxxxx.xx, secondo il quale l’unico modo per dare significato alla disposi- zione, atteso che le garanzie concesse dai terzi non sono ex se revocabili, sarebbe quello di riferire l’esenzione alla titolarità del debito garantito: consentendo, solo per gli accordi di ristrut- turazione e per il concordato preventivo, che vadano esenti da revocatoria le garanzie concesse dal debitore sui propri beni con riferimento all’adempimento di un debito altrui.; Contra, tutta- via, C. D’AMBROSIO Art. 67, comma 3, lett. d) e), g) cit., p. 991, il quale osserva come sia diffi- cile accogliere una lettura così distante dalla lettera della legge e che «il riferimento ai beni de debitore stesso depone nel senso che l’esenzione valga per le sole garanzie reali e non anche per quelle personali, che, invece, possono essere ricomprese nel termine «garanzie» di cui alla lett.
e) del 3° co. della disposizione in esame». Tuttavia, il rilievo che sempre il debitore garantisce con il suo patrimonio le obbligazioni assunte, ci pare renda preferibile la prima delle tesi sopra riferite. In argomento anche P.G. DE MARCHI, I piani di risanamento ex art. 67 legge fallimen- tare cit., p. 14, il quale afferma che la norma non intende limitare affatto l’ambito di operatività dell’esenzione solo alle concessioni di garanzie su beni del debitore, ma vuole specificare che solo in questo caso la norma ha senso, perché le altre concessioni di garanzie, da parte e su beni di terzi, non sono suscettibili di ledere la par condicio e non sono soggette a revocatoria falli- mentare.
tà ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, deve essere attestata da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), l.f..
La dottrina non ha mancato di osservare come il piano di risanamento, di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), rappresenti senz’altro la punta più avanzata dell’autonomia negoziale nella gestione della crisi d’impresa1: manca, infatti, qualunque intervento dell’autorità giudiziaria nella fase sia di formazione del piano sia di sua esecuzione; intervento che è destinato a verificarsi solo nelle ipotesi di (eventuale) infausto esito del piano e di consequenziale fallimento ed esercizio delle azioni revocatorie2.
I piani attestati possono essere collocati al gradino più basso di una ipotetica scala che vede crescere, congiuntamente al grado di intervento dell’autorità giu- diziaria, anche l’intensità della tutela che il legislatore offre agli strumenti di composizione della crisi d’impresa3.
1.b. – Piani ed accordi di ristrutturazione: presupposti soggettivi ed ogget- tivi e loro finalità
A tali piani è dedicata un'unica norma4, diretta solo a disciplinarne alcuni effetti dell’istituto. Il rilievo assume importanza con riferimento alla necessità
1 G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 234.
2 Tra gli altri, cfr. G. DE MEO, I piani ‘di risanamento’ cit., p. 33 e ss.; G. LO XXXXXX, Le nuove procedure di crisi cit., p. 992; X. XXXXXXXX, Art. 67 §§ 3.4-3.7 cit., p. 123; X. XXXXXXXX- SKI, L’accordo di risanamento cit., p. 935 e ss.
3 Cfr. X. XXXXXXXX, Le misure di incentivazione delle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 2 e ss. il quale osserva come i piani di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti ed il concordato preventivo si distinguano, tra le altre cose, per un dif- ferente ruolo attribuito all’autorità giudiziaria: ruolo proporzionale all’intensità della tutela che l’ordinamento offre loro. In senso non dissimile F. DI MARZIO, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa, in xxx.xxxxxx.xx., p. 7 e ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi di impresa tra diritto ed economia. Le procedure d’insolvenza, Bologna, 2007, p. 329 e ss.
4 Sulla base di tale rilievo, osserva G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocato-
xxx cit., p. 234, come «il legislatore abbia individuato nell’esenzione da revocatoria il principale
partire dall’effetto prodotto1: è attraverso l’individuazione degli effetti, che il le- gislatore seleziona le fattispecie in concreto rilevante, nel senso che quelle che non si collegano funzionalmente all’effetto predisposto dal legislatore rimango- no fuori dall’ambito applicativo della norma.
Le superiori considerazioni acquistano specifico significato con riferimento alla stessa determinazione dei c.d. presupposti oggettivi e soggettivi di applica- zione della norma.
Qualunque discussione in ordine alla loro esistenza, infatti, assume senso solo in ragione dell’astratta applicazione della norma di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), l.f.2, e non, invece, con riferimento all’astratta ammissibilità di piani di risanamento che, in tesi, ne siano privi.
Un piano di risanamento che non abbia i requisiti richiesti dall’art. 67, comma 3 lett. d), l.f. non sarà, ovviamente, capace di produrre gli effetti previsti dalla detta norma: non per questo, tuttavia, sarà pretermesso dall’ordinamento giuridico; poiché tale indagine andrà effettuata sulla base delle regole che pre- siedono all’esercizio dei poteri di autonomia privata3.
(e in questo caso l’unico) strumento atto a garantire il buon esito delle nuove soluzioni della crisi d’impresa».
1 Cfr. P.G. XXXXXXXX, I piani attestati di risanamento cit., p. 1 e ss. il quale osserva come a causa della scelta compiuta dal legislatore di non tipizzare l’istituto in parola, ma di regolarne solo alcuni effetti, l’interprete deve «compiere un’opera di integrazione della norma, intesa come precetto giuridico; l’operatore giuridico opera come un restauratore, che sulla base di alcuni frammenti di un’opera, cerca di ricostruire la scultura originaria». Rileva l’assenza di specifiche norme volte a tipizzare i piani di risanamento, tra gli altri, anche X. XXXXXXX, I piani di risana- mento cit. p. 755, il quale osserva come il legislatore, a differenza di quanto fatto con riferimento agli accordi di ristrutturazione «non ha ritenuto di dover prevedere per i piani di risanamento una disciplina autonoma e conchiusa, ma ha optato per una soluzione “funzionale”: nel senso, cioè, di fornire una (assai scarna) disciplina dell’istituto unicamente in occasione e con riguardo all’impatto dello stesso sul sistema revocatorio»; di strumento appena abbozzato parla, invece,
X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 938.
2 X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice. Regole del mercato, soluzioni giudiziali e negoziali, tutele dei conflitti, Milano, 2009, p. 77, in questo senso, osserva come il piano non ri- ceva una disciplina positiva, rilevando soltanto come ipotesi di esenzione oggettiva dell’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare.
3Solo estensivamente, pertanto, si può parlare di presupposto soggettivo ovvero oggettivo del piano di risanamento: la natura sicuramente non processuale dell’istituto, infatti, non consen- te di assimilare tali requisiti ai presupposti di accesso ad una procedura concorsuale. In questo senso, chiaramente, X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 935 e ss. Tale circo- stanza, tuttavia, non vale a negare il rilievo della loro necessaria ricorrenza ai fini della configu- razione dell’istituto, necessità che si coglie sul piano della causa dell’operazione, intendendo con ciò dire che è ben possibile, anche per un imprenditore non fallibile, realizzare dei piani omolo-
Dal confronto letterale della disposizione di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), e 182-bis, comma 1, l.f. emergono alcune differenze sul cui significato la dottri- na si è da subito interrogata.
Mentre il comma 1 dell’art. 182-bis l.f. individua chiaramente sia un pre- supposto soggettivo (l’essere il soggetto che chiede l’omologa dell’accordo un imprenditore) sia un presupposto oggettivo (lo stato di crisi), la lett. d) comma 3 dell’art. 67 l.f. non fa riferimento, almeno esplicitamente, né ad un presupposto soggettivo né ad un presupposto oggettivo di applicazione.
La situazione in cui viene a collocarsi l’art. 67, comma 3, lett. d) l.f. non è dissimile da quella in cui si collocava l’art. 182-bis, comma 1 l.f. nella sua ori- ginaria formulazione.
Prima dell’introduzione, ad opera del c.d. decreto correttivo, del riferimento esplicito al concetto d’imprenditore ed allo stato di crisi in cui lo stesso deve trovarsi al fine del deposito della domanda di omologazione dell’accordo di ri- strutturazione, l’originaria formulazione dell’art. 182-bis l.f. faceva riferimento, sul piano soggettivo, al debitore, mentre, sul piano oggettivo, si taceva l’indicazione di ogni presupposto necessario per l’omologazione1.
La collocazione della norma nell’alveo della l.f., il rilievo che la domanda di omologazione dovesse essere presentata congiuntamente al deposito dei do- cumenti di cui all’art. 161 l.f., nonché la considerazione dell’unico effetto legale
ghi, per contenuto e finalità, ai piani di risanamento considerati dalla legge fallimentare (ed in questo senso cfr. X. XXXXX, I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell’insolvenza e la tute- la giudiziaria delle intese fra i debitori e creditori: storia italiana della timidezza competitiva, in Fall. 2005, p. 597; ID, Piano attestato di risanamento cit., p. 456; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 940), ma tali piani, ovviamente, non riceveranno la considerazione di quelli individuati dall’art. 67 l.f.
1 La norma, peraltro nel disciplinare l’istituto, prevedeva che il debitore depositasse, con- giuntamente alla documentazione di cui all’art. 161 l.f., la “dichiarazione”, sul cui contenuto e significato la dottrina è rimasta perplessa, considerato che l’art. 161 cui il primo comma dell’art. 182-bis l.f. non fa riferimento ad alcuna dichiarazione. Cfr. U. DECRESCIENZO-X. XXXXXXX, Il nuovo diritto fallimentare. Dal maxiemendamento alla legge n. 80 del 2005, Milano, 2005, p.
70. La dottrina, precisato che l’indicazione era frutto di un errore nella stesura della lettera della legge, tendeva ad identificare la dichiarazione con il ricorso per l’omologazione dell’accordo, finendo per fornire una lettura della norma che cancellava il riferimento alla dichiarazione me- desima. In argomento, per tutti, X. XXXXXXXXX, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrut- turazione dei debiti, in Trattato di diritto commerciale diretto da X. Xxxxxxx, Padova 2008, p. 160 e ss.; X. XXXXXXXX, Le nuove procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa cit.,
p. 275; X. XXXXXXXXX, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in
Trattato di diritto commerciale diretto da X. Xxxxxxx, Padova 2008, p. 160 e ss.
in allora determinato dal legislatore – l’esenzione dalla revocatoria degli atti, pagamenti e garanzie concesse dal debitore – aveva indotto la dottrina a ritenere che l’istituto fosse messo a disposizione del solo imprenditore, e, nella specie, del solo imprenditore commerciale fallibile1.
Anche sul piano del presupposto oggettivo, peraltro, la dottrina non aveva mancato di rilevare come fosse necessario che l’imprenditore che domandasse l’omologa dell’accordo di ristrutturazione si dovesse trovare nello stato di crisi di cui al rinnovato art. 160, comma 1, l.f..
Ciò sia valorizzando la collocazione della disposizione nell’abito della leg- ge fallimentare, sia in considerazione della circostanza che l’imprenditore che dichiara di essere in grado di pagare regolarmente solo alcuni dei suoi creditori – nella specie quelli rimasti estranei all’accordo – chiaramente afferma di non es- sere in grado di continuare a pagare regolarmente i suoi debiti2.
1 Cfr., sia con riferimento al presupposto soggettivo sia con riferimento a quello oggettivo degli accordi di ristrutturazione, prima dell’emanazione del decreto correttivo, tra gli altri, X. XXXXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 189; ID, Art. 182-bis cit., p. 2543; X. XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella riforma della legge fallimentare, in xxx.xxxxxx.xx; X. XXXXXXXX-P.F. CENSONI, Manuale di diritto fallimentare, Padova 2007, p. 467 e ss.; X. XXXXXXXXX, Prime osservazioni sugli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall., 2005, I, p. 844; G. LO XXXXXX, Il concordato preventivo, Milano 2007, p. 890; X. XXXXX, profili strutturali e funzionali dei contratti di “salvataggio” (o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), in Dir. fall., 2008, I, p. 369-370; X. XXXXX, Art. 182-bis, in La legge fallimentare riformata. Commentario teorico-pratico, a cura di X. Xxxxx, Milano, 2007, p. 1421, il quale, con riferimen- to al presupposto soggettivo osserva come «l’art. 182bis l.f. si esprime in netta continuità con il debitore del medesimo capo ed anzi titolo III, ora intitolato anche agli accordi: ciò giustifica che il riferimento sia al medesimo soggetto». Sulla scorta, poi, della necessità che l’accordo sia pub- blicato nel registro delle imprese l’A. ne escludeva la praticabilità sia al debitore civile sia alle società irregolari; X. XXXXXXXXX, Accordi di ristrutturazione del debito e tipicità dell’operazione economica, in Riv. Dir. Comm., 2009, p. 263 e ss.; X. XXXXX, Accordi di ristrutturazione e piani di risanamento, in Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa di AA.VV., Torino 2007, p. 108;
X. XXXXXXXXXX, Le procedure diverse dal fallimento nel decreto correttivo, in Giur. Comm, 2009 I, 124; G.U. TEDESCHI, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Milano 2006, p. 573 e ss.; X. XXXXXXXXX, Art. 182-bis, in La riforma della legge fallimentare, a cura di A Xxxxx e X. Xxxxxx- li, Torino 2006, p. 1088 e ss. il quale giunge alle conclusioni di cui in testo anche in considera- zione della qualificazione degli accordi alla stregua di una sottospecie di concordato preventivo.
2 Cfr. XXXXXXXXX, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto commerciale, a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 2008, p. 165; X. XXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge n. 80/2005, in Fall. 2005., p. 1447; ID, Prime riflessioni sugli accordi di ristrutturazione cit., 844; X. XXXXX, op. loc. cit., il quale rileva come, con riferimento al presupposto oggettivo, essendo l’accordo una specie di concordato preventivo rafforzato, ovvero accelerato, il dato relazionale con la struttura del concordato sembrerebbe giustificare «una totale coincidenza di meritevolezza causale della difficoltà d’impresa». X. XXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (prima e dopo il decreto correttivo n. 169 del 12 settembre 2007), in Riv. Dir. Comm., 2008 p. 487.
A tali considerazioni si aggiungeva il rilievo – di ordine pratico – per il qua- le un imprenditore che non fosse stato effettivamente in crisi ben difficilmente si sarebbe sottoposto alla pubblicità negativa che senz’altro sarebbe derivata dalla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese1.
L’attuale formulazione della norma di cui al comma 1 dell’art. 182-bis l.f., ha precisato sia la circostanza che l’omologazione dell’accordo possa essere ri- chiesta esclusivamente dall’imprenditore commerciale sia quella per la quale l’omologazione dell’accordo può essere chiesta dall’imprenditore esclusivamen- te in presenza di uno stato di crisi.
Ritornando all’esame dell’art. 67, comma 3 lett. d), l.f. occorre dire come il silenzio che tale disposizione riserva in ordine ai presupposti soggettivi ed og- gettivi di applicazione, non ha impedito alla dottrina di individuarli nella qualità d’imprenditore commerciale fallibile del debitore che predispone il piano e nello stato di crisi in cui lo stesso debba trovarsi.
Analogamente alle osservazioni sviluppate con riferimento all’originaria formulazione dell’art. 182-bis, infatti, non s’è mancato di osservare come sia la collocazione della norma, sia, soprattutto gli effetti che derivano dalla predispo- sizione di un piano attestato di risanamento siano testimoni credibili del fatto che l’istituto sia certamente riservato all’imprenditore commerciale fallibile2, di- squisendosi, poi, se possa essere riferito anche a quello che non superi i limiti dimensionali di cui all’art. 1, comma 2, l.f.3.
1 Cfr. X. XXXXXX Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Banca borsa tit. cred., 2006, I,
p. 16 e ss.. Riteneva, invece, che la crisi non costituisse presupposto per l’omologazione dell’accordo X. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti, in Il diritto fallimentare riforma- to. Commentario sistematico, a cura di X. Xxxxxx di Xxxx, Milano 2007, p. 663, ed ivi dottrina citata.
2 Cfr. X. XXXXXXXX, Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 268; G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 237 e ss.; M. XXXXXXXX, Revocatoria fallimentare e disciplina delle nuove esenzioni cit., p. 296; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 940.
3 Cfr. X. XXXXX, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa cit., p. 1454, il quale trae tale constatazione dalla carenza di ogni indicazione relativa all’individuazione dei presupposti ogget- tivi di applicazione della norma; X. XXXXXXXXX, Struttura e contenuti dei “piani di risanamen- to” cit., p. 505; ID, La relazione del professionista nel piano di risanamento stragiudiziale atte- stato, in Le procedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, a cura di X. Xxxxxx, Milano 2009, p. 633, il quale condivisibilmente, ritiene di poter estendere il presupposto oggettivo di applicazione dell’art. 67, comma 3 lett. d), l.f. anche all’imprenditore commerciale non fallibile atteso sia il rinvio alla generica indicazione di debitore contenuto nella norma sia alla circostan-
Sia con riferimento ai piani attestati sia con riferimento agli accordi, poi, s’è aggiunto che la grande dimensione dell’impresa non dovrebbe costituire ostaco- lo all’applicazione degli istituti1. Peraltro, se è senz’altro certo che i piani atte- stati di risanamento possano essere fruiti anche da un imprenditore non iscritto nel registro delle imprese, dubbi sono stati manifestati, invece, con riferimento agli accordi di ristrutturazione2.
Quanto al presupposto oggettivo, s’è osservato che se il piano è diretto a ri- sanare l’esposizione debitoria3 ed a porre nuovamente in equilibrio la situazione finanziaria dell’impresa4, segno si è che sia l’una che l’altra non erano in equili- brio e che, per converso, l’imprenditore che predisponga un piano di risanamen-
za che questi ha un proprio interesse alla predisposizione del piano tutte le volte che possa supe- rare i parametri di fallibilità di cui all’art. 1 l.f.
1 Cfr. X. XXXXX, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa cit., p. 1453 e ss.; G.B.
XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 235.
2 X. XXXXXXXXX, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p.
174 e ss.; G.B. XXXXXXXXXX, op. loc. cit., p. 236.
3 Precisa X. XXXXX, I piani di risanamento e di riequilibrio nella legge fallimentare, in Dir. fall., I, 2006, 1247, che il risanamento dell’esposizione debitoria non richiede necessaria- mente il pagamento immediato di tutti i creditori, poiché l’esposizione debitoria è connotato fi- siologico di ogni attività di impresa, purché la stessa venga esercitata nel rispetto del rapporto tra capitale proprio e finanziamenti dei terzi e venga assicurato il rapporto tra debiti a breve scaden- za e quelli a medio e lunga scadenza, avuto riguardo alla composizione dell’attivo ed al rapporto tra immobilizzazioni e capitale circolante. L’osservazione può essere condivisa con la precisa- zione che il pagamento non immediato non equivale, evidentemente, a pagamento non integrale dei debiti. In questo senso cfr. X. XXXXXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 1207; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 957.
4 Il quale sarebbe raggiunto quando la situazione dell’impresa è tale per cui i debiti verso i terzi risultano fronteggiati, per entità e per scadenza, da corrispondenti crediti verso clienti od altre fonti di liquidità. In questo senso X. XXXXXXXX, Revocatoria fallimentare e disciplina del- le nuove esenzioni cit., p. 296, il quale precisa anche come in dottrina si tenda, inoltre, a negare una perfetta coincidenza tra riequilibrio della situazione finanziaria e risanamento economico. Ciò sulla base del presupposto che «il primo postula soltanto che l’impresa, in virtù dell’accordo, sia in condizione di realizzare unicamente il pareggio dei ricavi con i profitti». Il medesimo rilievo è svolto da G. DE MEO, I piani ‘di risanamento’ cit., p. 38-39, il quale criti- camente osserva come le definizioni di risanamento dell’esposizione debitoria e di riequilibrio della situazione finanziaria siano, per quanto riguarda la prima, grossolana «quasi che i debiti possano dirsi, in sé, “malati” o “sani”», e, per quanto riguarda la seconda, eccessivamente gene- rica «potendo lo squilibrio avere cause, gradazioni ed intensità diverse ed essere rapportato alla struttura finanziaria in sé […] ovvero alla compatibilità del grado e della qualità dell’esposizione finanziaria rispetto alle grandezze economiche». In questa prospettiva l’A. rileva come le defini- zioni fornite dal legislatore siano riduttive, in quanto, nel determinare i fini cui il piano deve am- bire, sembrano fare riferimento esclusivamente all’effetto e non anche alle cause della crisi, di modo che «nell’attuale impostazione normativa è altrettanto meritevole il piano che intervenga sugli effetti (squilibrio del flusso finanziario) ovvero quello che intervenga sulle cause, affinché le patologie non abbiano più a ripetersi.
brio finanziario non irreversibile2. Il presupposto oggettivo dei piani attestati, in questo contesto, può essere, almeno parzialmente, sovrapposto a quello di crisi3, cui, invece, fa rifermento l’accordo di ristrutturazione dei debiti4.
1 Cfr. X. XXXXXXXX, Le nuove procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa cit., p. 270; F. DI MARZIO, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa cit., p. 1 e ss.; G. DE MEO, I “piani di risanamento” cit., p. 37, il quale precisa, muovendo proprio dagli obiettivi cui ambisce il piano – il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa ed il riequilibrio della sua situazione finanziaria – che lo strumento riguarda le ipotesi di crisi d’impresa; ed in specie delle crisi di natura finanziaria, o comunque di una crisi che produca anche la crisi finanziaria. L’A. critica, peraltro, tale scelta, poiché subordinare l’accesso al piano solo nelle ipotesi in cui la crisi finanziaria si sia già manifestata significa tagliare «fuori dalla protezione quell’area di in- terventi volti a prevenire la stessa manifestazione finanziaria della crisi»; il rilievo critico è colto anche da X. XXXXXXXXX La relazione del professionista nel piano di risanamento stragiudiziale attestato cit., p. 634 n. 8, il quale osserva come il legislatore non abbia posto attenzione al risa- namento economico dell’impresa, di modo che l’esclusiva eliminazione dello squilibrio finan- ziario e dell’esposizione dell’impresa, risulta insufficiente, se non nelle ipotesi di crisi di natura meramente finanziaria; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 939, la quale condi- vide sia il riferimento alla necessaria presenza della crisi finanziaria sia la critica che la norma imponga l’effettivo risanamento economico e produttivo: vera condizione se si vuole realmente perseguire la conservazione dell’impresa; in termini analoghi anche X. XXXXX, Gli effetti del fal- limento sugli atti pregiudizievoli per i creditori cit., p. 200.
2 Cfr. X. XXXXXXXX, Le nuove procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa cit., p. 307; P.G. DE MARCHI, I piani di risanamento ex art. 67 legge fallimentare cit., p. 5, il quale individua nell’insolvenza irreversibile il limite di operatività dei piani attestati,
«l’insolvenza è infatti generalmente definita come crisi irreversibile, una sorta di orizzonte degli eventi da cui non è più possibile riemergere»; X. XXXXXXX, I piani di risanamento cit., p. 757- 758, il quale, partendo dalla considerazione che, sulla base degli obiettivi del piano, la situazione dell’impresa deve essere non sana e non equilibrata, rileva che il presupposto oggettivo del pia- no di risanamento è lo “squilibrio finanziario”, avendo come finalità il superamento di tale situa- zione di fatto; X. XXXXXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, p. 1200, il quale ritiene che i piani siano idonei a superare le crisi d’impresa caratte- rizzate, sostanzialmente, da un «semplice disallineamento dei flussi monetari rimediabili con una diversa impostazione delle scadenze», ciò poiché nella maggior parte dei casi «la verifica- zione delle condizioni presupposte dalla ristrutturazione richiederà tempo; ed allora non sarà possibile deflettere dal trattamento giuridico concorsuale»: un inconveniente che, ci pare, si muova sul piano pratico; X. XXXXX, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa cit., p. 1453 e ss.
3 Rispetto a tale concetto, è utile fin d’ora anticipare, la dottrina è divisa tra coloro che lo assimilano all’insolvenza, intendendo riferirsi anche allo stato di temporanea difficoltà di cui al vecchio art. 187 l.f., e coloro che, invece, gli attribuiscono una maggiore estensione, capace di ricomprendere anche tutte le condizioni di c.d. pre-insolvenza. Sulla questione si avrà modo in seguito; per i termini del dibattito, invece, si rinvia a X. XXXXXXXXX, Lo stato d’insolvenza dell’impresa, in Le riforme della legge fallimentare a cura di X. Xxxxxx, Torino 2009, p. 111 e ss.
4 Cfr. X. XXXXXXX, op. loc. cit. il quale osserva come il concetto di crisi possa abbracciare, oltre che a condizioni di squilibrio finanziario, anche situazioni di vera e propria insolvenza. D’altra parte, se la ratio dell’istituto è quello di favorire le soluzioni privatistiche della crisi d’impresa, la sua ricorrenza, sia pure nelle forma di crisi finanziaria, pare essere connaturata all’istituto stesso, venendo a costituire, per così dire, elemento di razionalità economica dell’operazione. In dottrina non s’è mancato, peraltro, di rilevare come i due istituti divergereb- bero proprio con riferimento alla tipologia di crisi cui gli stessi mirano a porre rimedio: di natura
secondo la tesi sopra riferita segnerebbe il limite massimo di estensione della fattispecie, è determinata dal giudizio del mercato sulle prospettive di recupero dell’impresa: intendendo con ciò dire che finché i creditori sono disposti a cre- dere nel progetto di risanamento, per quanto grave sia il dissesto, la crisi in cui versa l’impresa non può che dirsi reversibile1.
transitoria per i piani di risanamento ed anche cronica per gli accordi di ristrutturazione del debi- to. Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXXXX, Piani di risanamento e posizione delle banche, cit., p. 111 e ss., ove si precisa che i piani di risanamento riguardino crisi transitorie che possono essere supe- rate con un programma di ristrutturazione predisposto dallo stesso imprenditore, senza alcun in- tervento dell’autorità giudiziaria. Il piano di risanamento, pertanto, sarebbe uno strumento priva- tistico destinato a favorire la soluzione di crisi temporanee di imprese non ancora insolventi, mentre gli accordi di ristrutturazione sarebbero più idonei ad una crisi più grave, fino al limite della vera e propria insolvenza. Ritiene che i piani attestati e gli accordi di ristrutturazione dei debiti si riferiscano a momenti diversi e di diversa gravità dello stato di difficoltà in cui versa l’impresa anche X. XXXXXXXXXX, Equilibrio economico e finanziario d’impresa cit., p. 2; G. DE MEO I piani “di risanamento” cit., p. 30 e ss., il quale ritiene che i piani non siano fruibili in ipotesi d’insolvenza. Avverte dell’importanza di distinguere la tipologia della crisi al fine della corretta selezione dello strumento per superarla, X. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristruttu- razione del debito. Un nuovo procedimento cit., p. 31 e ss., la quale precisa come «l’insolvenza e non la crisi temporanea costituisce il vero limite per l’imprenditore nella scelta delle modalità di composizione stragiudiziale della stessa e nella determinazione di un accordo con i propri credi- tori» ciò in quanto nelle ipotesi in cui il debitore non sia insolvente, lo stesso non deve necessa- riamente adottare quelle cautele che, invece, la legge gli impone nelle ipotesi di dissesto, con la conseguenza che i piani attestati di risanamento, avendo natura esclusivamente privatistica, sa- rebbero meglio adattabili ad ipotesi di crisi meno gravi. X. XXXXXXXXX, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti e revocatoria, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, Milano 2010
p. 364. Afferma, poi, che tra i piani di risanamento e gli accordi di ristrutturazione vi sia una lar- ga area di sovrapponibilità, tra gli altri, X. XXXXXXXX, Art. 67 §§ 3.4-3.7 cit., p. 124.
1 Nega che la gravità della crisi possa valere quale limite all’utilizzo dei piani attestati di ri- sanamento X. XXXXXXX, Il diritto fallimentare cit., 719 il quale rileva come se è vero che nel de- scrivere gli obiettivi del piano il legislatore abbia fatto riferimento all’esposizione debitoria ed al riequilibrio della situazione finanziaria, è anche vero che occorre comprendere se a tali obiettivi corrisponda una coerente situazione di partenza, del ché l’A. dubita. Ciononostante, si osserva come dal tenore della norma non si ricavi l’impressione che l’impresa possa confezionare il pia- no attestato se non è in crisi, ma neppure che il piano non possa essere redatto pur quando la si- tuazione sia d’insolvenza. Pertanto, precisato che l’accesso ai piani di risanamento sia collegato alla necessità di porre in essere atti che esorbitino dai normali processi di riorganizzazione socie- taria e che vadano ad incidere sulla debitoria, l’A. conclude nel senso che, da un lato, la crisi non costituisce un requisito legittimante l’accesso al piano e, dall’altro, che la sua gravità rileva sul piano della complessità del contenuto del piano. Ritiene che non vi siano «dati testuali che indu- cono a sostenere l’ipotesi che, con i due diversi strumenti negoziali [piani attestati ed accordi di ristrutturazione], il legislatore abbia inteso affrontare diverse situazioni tipiche, più o meno gra- vi, di crisi d’impresa»; X. XXXXX, Piano attestato di risanamento cit., p. 546 e ss. Più in genera- le cfr. X. XXXXXXXXX, Il concetto d’insolvenza, in Stato di crisi e stato d’insolvenza Torino 2007, p. 31, pubblicato anche in Giur. Comm., 1996, I, p. 82, con il titolo Lo stato d’insolvenza: per una concezione formale del presupposto oggettivo del fallimento, il quale osserva come la metafora per la quale lo stato d’insolvenza sarebbe assimilabile ad un malanno inguaribile che porta l’organismo produttivo alla morte, ha ingenerato l’idea, errata, «che anche le situazioni di crisi debbono essere assimilate ad eventi biologici, con la conseguenza di far ritenere che possa essere individuato un punto di non ritorno, oltre il quale l’organismo economico, al pari di quel-
risanamento sembra originare dal rilievo che il piano potrebbe essere predispo- sto e realizzato in via unilaterale dall’imprenditore, e dall’altro, che in tal caso, i creditori dovrebbero essere pagati per intero, di modo che l’istituto sarebbe dif- ficilmente compatibile con lo stato d’insolvenza1.
È, tuttavia, l’idea che il piano di risanamento rilevi a prescindere dall’accordo con i creditori (o con i terzi) che deve essere, come si vedrà di qui a poco, rimeditata.
Il problema, pertanto, della meritevolezza della tutela che l’art. 67, comma 3 lett. d), assegna agli atti di esecuzione del piano attestato, non andrebbe risolto sul piano della limitazione del presupposto oggettivo del piano2, quanto piutto- sto sul piano della positiva sussistenza del giudizio di ragionevolezza dello stes- so3.
lo naturalistico, subirebbe un’irrimediabile disgregazione. A ben guardare, però, si tratta di un’immagine approssimativa ed ingannevole, perché, mentre sul piano biologico il confine tra la vita e la morte è segnato […] in maniera netta ed irreversibile, sul piano economico, invece, non esiste una situazione di dissesto che non possa, almeno in astratto, essere risanata: tutto sta, in- fatti, nel capire quali strategie porre in essere, quali nuovi schemi organizzativi introdurre nell’impresa, e così via dicendo, per vedere se, dati i costi economici e sociali di una simile ope- razione, valga davvero la pena di avventurarvisi». Il rilievo è ripreso da X. XXXXXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 1198-1199, il quale osserva come dal punto di vista giu- ridico la distinzione tra insolvenza e crisi, che l’A. qualitativamente assimila all’insolvenza sub specie di temporanea difficoltà ad adempiere, è costituito dal fatto che «la difficoltà ad adempie- re è temporanea in relazione alla pianificazione del suo superamento: la differenza dunque non risiede negli elementi rilevanti ex art. 5 l. fall., bensì nella circostanza per cui la programmazione di un percorso risanatorio consente di ammettere il debitore all’amministrazione controllata» ed oggi al concordato; A conclusioni simili giunge anche X. XXXXXXX, I nuovi assetti privatistici nel diritto societario e concorsuale e la tutela creditoria, in Fall. 2009, p. 1029 e ss., il quale nel rilevare come l’insolvenza giuridicamente rilevante ai sensi dell’art. 5 l.f. dipende da una valuta- zione di convenienza del ceto creditorio, ed in primis di quello bancario, avrà formulato sulle condizioni dell’impresa, e quindi sul mantenimento del credito; nonché X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa cit., p. 133 n. 34, 144-145, il quale osserva come la disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi dimostri come non vi sia incom- patibilità assoluta tra insolvenza e risanamento: la procedura concorsuale a renderebbe possibile quello che, al di fuori di essa, non lo sarebbe a causa del verdetto insindacabile del mercato.
1 Con riferimento ad entrambi i presupposti della tesi illustrata in testo, cfr. X. XXXXXXXXX,
La relazione del professionista nel piano di risanamento stragiudiziale cit., p. 632 e ss.
2 Intendendo riferirci al limite superiore del presupposto oggettivo del piano, ossia l’insolvenza: poiché per quello inferiore, la sussistenza della crisi, s’è già detto che la sua pre- senza è necessaria per conferire razionalità giuridica all’intera operazione.
3 Sul punto cfr. X. XXXXXXXXXXX, Clausole generali e autonomia negoziale nella crisi d’impresa, in Contratto e impresa, 2011, p. 687 e ss. la quale osserva come la tutela che l’ordinamento assegna ai piani attestati di risanamento, così come agli accordi di ristrutturazione ed ai concordati preventivi, ruota attorno alla soluzione di una sorta di equazione di risanabilità, la quale si sviluppa attorno a tre concetti chiave: (i) la fattibilità del piano; (ii) la veridicità dei
deve osservare come la lettera della norma di cui alla lett. d) del comma 3 dell’art. 67 l.f., nel disciplinare gli effetti del piano attestato, individua un fine (il risanamento dell’esposizione debitoria ed il riequilibrio di quella finanziaria dell’imprenditore) ed un mezzo (il piano attestato di risanamento) attraverso cui raggiungerlo1.
Rimane, invece, fuori dalla considerazione della norma il contenuto che tale piano di risanamento deve presentare.
Questo rilievo sembra porre una prima differenza rispetto agli accordi di ri- strutturazione. Rispetto ad essi, infatti, il legislatore individuerebbe in modo esplicito sia l’operazione economica sottesa al piano2, sia il fine della ristruttu- razione: la composizione – si dice – della crisi d’impresa3.
Tali rilievi danno conto delle posizioni assunte dalla dottrina con riferimen- to alla differente ampiezza che il contenuto delle operazioni di risanamento e di ristrutturazione potrebbe avere, nonché al differente atteggiarsi dei due istituti rispetto al tema della conservazione dell’impresa.
Da un lato, infatti, l’assenza di indicazione circa il contenuto specifico del piano di risanamento4, ha portato ad affermare come la ristrutturazione del debi- to possa costituire solo uno degli specifici interventi individuati dal piano e di-
dati aziendali e (iii) la meritevolezza della proposta. In specie, «risolvere l’equazione di risanabi- lità significa compiere un percorso ermeneutico teso a formulare, attraverso la verifica della sus- sistenza dei presupposti di verità dei dati e di fattibilità (in senso lato) del piano, un giudizio conclusivo circa la meritevolezza della proposta, intesa in senso oggettivo, come punto finale di un processo di traslazione della meritevolezza soggettiva che costituiva il fulcro del sistema di funzionamento delle cd. procedure minori prima della riforma (p. 710)». Cfr. anche P.G. DE MARCHI, I piani di risanamento ex art. 67 legge fallimentare cit., p. 5.
1 Cfr. G.B. XXXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ed il procedimento per
la dichiarazione di fallimento, in Fall. 2008, p. 708; ID, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 243; F. DI MARZIO, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa cit., p. 7.
2 Cfr. G.B. XXXXXXXXXX, op. loc. cit..
3 Fine questo che risulterebbe chiaro dalla circostanza che l’accordo deve assicurare il re- golare pagamento dei creditori rimasti estranei all’accordo (oltre che, naturalmente, la corretta esecuzione dell’accordo rispetto agli aderenti).
4 Cfr. X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice cit., p. 78. Avverte in ogni caso A. PA- XXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 943 e ss., che se è vero che il contenuto del piano può essere il più vario ed atipico possibile, è altrettanto vero che sono le finalità cui esso è diret- to a delimitarne, secondo un giudizio di strumentalità necessaria, i limiti di operatività.
riequilibrio della situazione finanziaria1.
Dall’altro, si afferma come la necessità di perseguire il risanamento dell’esposizione debitoria nonché il riequilibrio della situazione finanziaria sia compatibile esclusivamente con l’intento di continuare l’esercizio dell’impresa2. Circostanza, questa, che, invece, sarebbe solo eventuale nella disciplina de-
gli accordi di ristrutturazione del debito, i quali potrebbero atteggiarsi sia come
1 Il questo senso cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXX, Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 269; G. LO COSCIO, Le nuove procedure di crisi cit., p. 992, il quale precisa come «il piano attestato differisce dall’accordo di ristrutturazione dei debiti e dal con- cordato preventivo perché il suo contenuto può essere più ampio e prevedere un riequilibrio sia finanziario, sia economico dell’impresa, riservando al debitore maggiori possibilità di raggiun- xxxx il risultato auspicato. In questo senso non vi sono limiti all’estensione del piano»; G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 244; X. XXXXXXXXX, La relazione del professionista nel piano di risanamento stragiudiziale attestato cit., p. 634 n. 11, il quale osserva come la ristrutturazione del debito, la quale s’impernia in una riprogrammazione dei debiti, sotto il profilo dell’entità e delle scadenze, costituisce solo uno dei modi con cui si può raggiungere il risanamento dell’impresa, il quale, invece, consiste in una riduzione dei debiti d’impresa finaliz- zata al ritorno all’equilibrio finanziario e patrimoniale di medio-lungo termine; X. XXXXXXXX- SKI, L’accordo di risanamento cit., p. 946, la quale sottolinea come la ristrutturazione dei debito sia, nella maggioranza dei casi, indispensabile ai fini del risanamento dell’impresa; M. RUTI- GLIANO, Equilibrio economico e finanziario dell’impresa cit. p. 2 n. (2), il quale osserva come
«relativamente ai contenuti, va invece evidenziato che il piano di risanamento potrebbe, ma solo astrattamente, non comportare alcuna ristrutturazione del debito, bensì fondarsi su altri interven- ti: ricapitalizzazione, cessione di asset, allargamento della compagine sociale a partner finanziari o industriali, etc.»; X. XXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare cit., p. 861. Contra, tuttavia, C. D’AMBROSIO, art. 182-bis cit. X. XXXXXX, Intervento alla secon- da tavola rotonda cit., p. 112, il quale, nel tentativo «di trovare un posto al sole» per gli accordi di ristrutturazione dei debiti, ritiene che la collocazione topografica dell’istituto dei piani attesta- ti – ossia nell’ambito di una norma che riguarda i soli atti di disposizione del patrimonio – valga ad escludere che la ristrutturazione del passivo possa essere effettuata attraverso un piano di ri- sanamento. È stato, convincentemente, replicato che tale soluzione imporrebbe di trascurare il riferimento all’esenzione delle garanzie concesse sui beni del debitore, di cui alla lettera del comma 3, lett. d), dell’art. 67 l.f.: esenzione che si giustifica solo in ragione del fatto che la ga- ranzia è concessa con riferimento ad un debito da contrarre o già contratto e che deve, pertanto, essere ristrutturato. Ciò in armonia con il richiamo alle garanzie di cui alla precedente lett. e) dello stesso comma 3, il quale, pertanto, non può assumere che lo stesso significato in ambedue le regole esentatrici. In questi termini X. XXXXXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda
– Gli accordi di ristrutturazione e il piano attestato di risanamento, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – atto del convegno, Torino 23-24 maggio 2008, a cura di X. Xxxxx, Milano 2009 p. 126-127.
2 Seppure, e come si è visto, la dottrina è scettica sulla concreta portata di tale conclusione. Afferma, tra gli altri, che il piano deve necessariamente essere diretto alla continuità aziendale ed al superamento della crisi d’impresa, non potendo assumere, pertanto, uno scopo liquidatorio.
X. XXXXX, Le vie negoziali per la soluzione della crisi d’impresa, Fall., 2007, p. 625; M. ARA- TO, Gli accordi di salvataggio cit., p. 1239; X. XXXXX, Il piano attestato di risanamento cit., p. 1360; X. XXXXXXXXX, Struttura e contenuti dei “piani di risanamento” cit., p. 506; X. XXXXXX, La ristrutturazione dei debiti e la continuazione dell’impresa, in Fall. 2006, p. 101; G.B. XXX- XXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 242; X. XXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 112; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 944; F. SAN- TANGELI, Art. 67 cit., p. 287 e ss.; X. XXXXX, op. loc. cit.
poiché fine ultimo dell’accordo sarebbe la composizione della crisi d’impresa, a prescindere dalle modalità con la quale essa è raggiunta2.
A ben vedere, peraltro, entrambe le considerazioni che precedono sono su- scettibili di essere riconsiderate in ragione della specifica prospettiva dalla quale ci si collochi.
Occorre osservare come, per la dottrina dominante, il contenuto della ri- strutturazione non si riduce ad un concordato finanziario, cui pure, il riferimento alla ristrutturazione del debito pare alludere3.
1 In argomento cfr. X. XXXXXX, Le ristrutturazioni dei debiti e la continuazione dell’impresa cit., p. 102; X. XXXXXXXXX, Accordi di risanamento e di ristrutturazione dei debiti cit., p. 360, il quale rileva come sia opportuno svolgere una distinzione tipologica tra accordi di salvataggio ed accordi di risanamento debitorio: nei primi il riassetto finanziario è strumentale alla realizzazione di un certo programma di rilancio produttivo/imprenditoriale, rispetto al quale la proprietà dell’impresa può rimanere all’attuale titolare o passare a terzi; nei secondi, invece, il programma finanziario è centrale, e la gestione dei rapporti debitori può conciliarsi tanto con un programma di liquidazione concordata dell’impresa, quanto con un programma di salvataggio;
X. XXXXX, Accordi di ristrutturazione e piani di risanamento cit., p. 103, il quale osserva come se è vero l’accordi di ristrutturazione può eventualmente assumere anche la forma della cessione dei beni ai creditori, è altrettanto vero che il piano di risanamento deve assicurare la continua- zione dell’attività; X. XXXXXXXXX, Art. 182 cit., p. 1093; contra, invece, X. XXXXXXXXX, Prime riflessioni sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 847, il quale ritiene che la continuità aziendale caratterizzi tale tipologia di accordi; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall. 2006, p. 129 e ss.. In giurisprudenza, invece, ha mostrato perplessità circa la validità dell’affermazione per la quale l’accordo di ristrutturazione possa essere diretto alla mera liqui- dazione del patrimonio aziendale Trib. Udine 22 giugno 2007, in Fall. 2008, p. 701 e ss.
2 X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 548; X. XXXXXXXXX, La
nuova disciplina delle revocatorie fallimentari cit., p. 276 e ss.
3 In questo senso cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 485; X. XXXXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Manuale di diritto fal- limentare, di X. Xxxxxxx x X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx 0000, p. 914-915, la quale osserva come la possibilità che l’accordo di ristrutturazione si strutturi alla stregua di un concordato finanziario è solo una ipotesi, atteso che «il legislatore considera questo accordo sempre come strumento di superamento della crisi, ma in una ottica prevalentemente conservativa e ammette la più fanta- siosa varietà di iniziative, non delineandosi alcun contenuto tipico obbligatorio; G.B. NARDEC- CHIA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ed il procedimento per la dichiarazione di falli- mento cit., p. 708, il quale rileva che se «il pactum de non petendo è stata la fattispecie cui il le- gislatore si è ispirato nella redazione della norma, esso rappresenta il modello astratto di riferi- mento, ma non un modello vincolante, in quanto il contenuto degli accordi è rimesso alla volon- tà delle parti a cui è lasciata piena libertà le modalità ritenute più opportune e/o convenienti per procedere alla ristrutturazione delle posizioni debitorie». Osserva, invece, C. D’AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 1801-1082 come «l’utilizzo del termine «ristruttura- zione» potrebbe indurre a ritenere che la finalità degli accordi in parola consista nel riequilibrio finanziario in vista della conservazione dei complessi produttivi. Più precisamente, il termine
«ristrutturazione» fa riferimento ad una modifica del passivo societario mediante accordo con i creditori: la terminologia, sostanzialmente, richiama il concetto di «stralcio dei debiti»»; X. XXXXX, I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell’insolvenza e la tutela giudiziaria delle intese fa debitore e creditori: storia italiana della timidezza competitiva, in Fall., 2005, p. 596,
gli strumenti, o meglio gli atti, attraverso cui raggiungere tale risultato1.
La conseguenza, pertanto, è stata quella di porre l’accento sull’assoluta li- bertà negoziale che il legislatore ha inteso consegnare al debitore al fine del rag- giungimento dell’accordo con i suoi creditori, la quale consentirebbe di conclu- dere accordi che non incidono solamente sulla situazione debitoria2.
Pertanto, se è vero che il raffronto tra la lettera dell’art. 67, comma 3 lett. d), l.f. e quello dell’art. 182-bis, comma 1, l.f., sembrerebbe assegnare al piano di risanamento uno spettro di operatività più ampio di quello proprio degli ac- cordi di ristrutturazione3, è altrettanto vero che tale differenza sembra, in concre- to, ridursi tutte le volte che si accetti l’idea che la ristrutturazione del debito non esclude la possibilità di porre in essere atti diversi da quelle che incidono sull’entità del debito, o sulla sua scadenza o sulla prestazione4.
il quale, invece, parla di concordato finanziario per riferirsi al contenuto dell’accordo di ristrut- turazione.
1 Cfr., in luogo di molti, X. XXXXXXXX, Le nuove procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa cit., p. 277-278; X. XXXXXXXXX, Accordi di ristrutturazione del debito e tipicità dell’operazione economica cit., p. 1083 e ss.
2 In argomento cfr. X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio cit., p. 1240; X. XX XXXXXX, Il concordato preventivo cit., p. 879 e ss; X. XXXXXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 1212. Sul piano pratico, peraltro, gli accordi di ristrutturazione del debito di maggiore ri- lievo che sono stati finora omologati, hanno, nella generalità dei casi, presentato un contenuto assai complesso, che è variato dalla conversione di parte dei crediti in capitale di rischio, alla dismissione di asset industriali, al riposizionamento dell’impresa nel mercato, alla modificazione della struttura dei costi ecc. ecc. Il riferimento, precipuamente, è ai noti casi Risanamento s.p.a. e Gabetti Property Solutions s.p.a., per la cui descrizione analitica si rinvia a X. XXXXXXX, Le in- solvenze dei grandi gruppi: i casi Alitalia, Chrysler, Socotherm, Viaggi del Ventaglio, Gabetti, Risanamento e Tessara, in Crisi di imprese: casi e materiali, a cura di X. Xxxxxxx, Milano 2011, in appendice al quale si trova il testo degli accordi di ristrutturazione indicati; X. XXXXXXXX, Ac- cordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. cit., p. 47 e ss.
3 G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dalla revocatoria cit., p. 242-243. S’è osservato, inoltre, che «il piano ha un contenuto così generico ed elastico che non sarebbe stato possibile definirlo se, dalla composizione stragiudiziale, si fosse tentata una identificazione giuridica più precisa ed analitica». Così X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 940.
4 Cfr. X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto falli-
mentare. I presupposti, la dichiarazione di fallimento, le soluzioni concordatarie, diretto da X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxx e coordinato da X. Xxxx (e altri), Vol. I, p. 549, il quale afferma che con riferimento all’accordo sarebbero applicabili le variegate forme di ristrutturazione dei debiti pre- viste per il concordato preventivo. A soluzioni non troppo diverse da quelle di cui in testo per- viene F. DI MARZIO, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa cit., p. 7 e ss., il quale affer- ma come le strutture normative attuate nei diversi istituti dei piani attestati, accordi di ristruttu- razione e concordato preventivo, ruotano intorno al concetto di ristrutturazione della finanza. Conclusione che, ci pare, ruoti attorno al rilievo che «l’insolvenza commerciale assume una di- mensione spiccatamente relazionale (pregiudicando la relazione commerciale in essere, e cioè il rapporto obbligatorio in esecuzione)», ragion per cui si rimane persuasi «che il piano sulla crisi o
diretti esclusivamente a garantire la continuità dell’esercizio dell’impresa1, la dottrina più attenta non ha mancato di rilevare come, invero, il fine di risana- mento possa essere compatibile anche con la liquidazione del patrimonio im- prenditoriale2.
Ciò, quantomeno, tutte le volte in cui essa presupponga la prosecuzione dei processi produttivi, finalizzata alla migliore liquidazione del compendio azien- dale3.
sull’insolvenza dell’impresa è funzionale, oltre che a riposizionare strategicamente l’impresa, anche a ristrutturare o definire relazioni commerciali, ossia (e prevalentemente) rapporti obbli- gatori; ma si comprende anche come il Debt restrutturing sia oggetto di primaria considerazione della legge». Così X. XX XXXXXX, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione della crisi d’impresa cit., p. 79.
1 Obiettivo, questo, che può essere realizzato anche mediante il risanamento finalizzato alla cessione dei complessi produttivi. Cfr. P.G. XX XXXXXX, I piani di risanamento ex art. 67 legge fallimentare cit., p. 8; X. XXXXXXXXX, La relazione del professionista nel piano di risanamento stragiudiziale attestato cit., p. 635; X. XXXXXXXXX, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti e revocatoria cit., p. 360; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 944.
2 Cfr. X. XXXXXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 1209-1210, il quale precisa come il riferimento al riequilibrio finanziario non sembra ostare all’ammissibilità del piano che si prefigga di ottenere il risanamento attraverso la liquidazione volontaria dell’impresa; X. XXXXXXXXX, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti cit., p. 365-366. 3 Cfr. P.G. DE MARCHI, op. loc. cit., il quale rileva come nulla vieti che la finalità di risa- namento sia quella di portare i conti in pareggio per poi procedere ad una liquidazione satisfatti- va di tutti il ceto creditorio. L’A., peraltro, ritiene che la tesi contraria finirebbe per violare il di- ritto di libera iniziativa economica dell’imprenditore, nella misura in cui finirebbe per l’imporgli la prosecuzione dell’attività d’impresa; X. XX XXX, I piani “di risanamento” cit., p. 53, ed ivi dottrina citata, il quale osserva come la funzione dei piani di risanamento sia quella «di condurre l’azienda, insana sul piano dell’esposizione debitoria e della struttura finanziaria, al porto sicuro del riequilibrio mediante il ripristino dei fondamentali economici, patrimoniali e finanziari prima che la crisi finanziaria degeneri in insolvenza irreversibile. A questi fini, valutato il ciclo econo- mico dell’azienda in rapporto al suo mercato, non può escludersi che la soluzione più idonea ad assicurare l’integrale soddisfazione dei debiti sia di condurre l’azienda verso la chiusura dei pro- cessi anziché verso la loro continuazione». Critica l’impostazione maggioritaria anche F. DI MARZIO, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione della crisi d’impresa, in Autonomia nego- ziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e X. Xxxxxxx, p. 81-82 n. (16), il quale giunge all’ammissibilità dei piani di liquidazione sulla scorta del rilievo della considerazione unitaria di piani ed accordi sotto la caratteristica convenzionale ad essi comune, poiché in entrambi i casi si tratterebbe sempre di contratti esecutivi di piani, pertanto, sarebbe privo di razionalità e riscontro positivo ammettere i piani di liquidazione con riferimento all’uno (gli accordi di ristrutturazione)
e negarli con riferimento all’altro (i piani attestati di risanamento) istituto.
1.c. – Possibile unilateralità del piano di risanamento: una questione con- troversa
Le considerazioni che precedono, pertanto, hanno suggerito alla dottrina maggioritaria di valorizzare la distinzione tra accordi di ristrutturazione del de- bito e piani di risanamento, più che sul contenuto o sulle finalità dei piani o de- gli accordi, sulla natura giuridica degli stessi.
Mentre gli accordi di ristrutturazione del debito sarebbero necessariamente contratti, i piani di risanamento lo sarebbero solo eventualmente, ben potendo essere predisposti unilateralmente dal solo debitore1, ovvero attuati esclusiva- mente mediante l’accordo con i terzi2.
Non s’è mancato, tuttavia, di rilevare come tale impostazione non possa es- sere condivisa, vuoi perché il piano attestato di risanamento sarebbe sempre e comunque atto unilaterale dell’imprenditore, a prescindere dall’eventuale circo-
1 Cfr. ex multis; X. XXXXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione: artt. 67 e 182-bis l.f., in Crisi d’impresa e ristrutturazione. Percorsi tra Banca e Mercato, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxx, Milano 2006, p. 145 e ss.; X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio cit., p. 1237-1238; X. XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella riforma della legge fallimentare cit.; S. BONFAT- TI, Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 268 e 303; P.G. XX- XXXXXX, I piani di risanamento cit.; X. XXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 722; X. XXXXXXX, I piani di risanamento cit., p. 759; X. XXXXX, Piano attestato di risanamento cit., p. 457; ID, Art. 67, comma 3 lett. d), in La legge fallimentare, a cura di X. Xxxxx, Padova 2007, p. 476; D. XXX- XXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 1204; X. XXXXXXXXX, Concordato pre- ventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento dell’impresa nella riforma delle procedure concorsuali. Prime riflessioni, in Dir. fall. 2005, I, p. 1171; X. XXXXX, Accordi di ristrutturazione e piani di risanamento, in AA.VV., Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa, Torino 2007, p. 102 e ss.; ID, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa cit., p. 1457; G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 234; X. XXXXX, Art. 67 cit., p. 377; X. XXXXXXXXX, La relazione del professionista nel piano di risanamento stragiudi- ziale attestato cit., p. 632, il quale, con riferimento all’unilateralità del piano, parla di «unicum mondiale in tema di piani di risanamento»; X. XXXXXXXX, Revocatoria fallimentare e disciplina delle nuove esenzioni cit., p. 296; X. XXXXXXXX, La nuova revocatoria fallimentare, in Dir. fall., 2005, I, p. 815; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 935 e ss.; X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Banca borsa e tit. di cred., 2006, I, 16 e ss.; X. XXXXX, op. loc. cit.; X. XXXXXXX, Il contratto sulle crisi d’impresa, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e X. Xxxxxxx; Milano 2010 p. 235.
2 Cfr. X. XXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda – Gli accordi di ristrutturazio- ne e i piani di risanamento, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – atti del convegno, Torino 23-24 maggio 2008, a cura di X. Xxxxx, Milano 2009 p. 94; X. XXXXXXX, Diritto fallimentare cit.,
p. 722; G.B. NARDECCHIA Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 241. Il problema della partecipazione all’accordo di risanamento esclusivamente di “terzi” non pare abbia diretta inci- denza sulla natura unilaterale del piano, quanto piuttosto sul diverso problema dei soggetti che possono partecipare all’accordo.
perché – ed all’opposto – il legislatore, nel disciplinare i piani attestati di risa- namento, avrebbe, invero, fatto riferimento sempre e comunque al contratto2.
L’idea che i piani attestati di risanamento assumano rilievo quali atti unila- terali dell’imprenditore, in se e per se considerati, non pare possa essere condi- visa.
Se è innegabile che il piano attestato di risanamento, inteso come il com- plesso degli atti e delle attività che l’imprenditore deve porre in essere al fine di conseguire l’obiettivo del risanamento dell’impresa3, è sempre atto unilaterale dell’imprenditore4, più complesso è negare che gli atti di cui l’art. 67, comma 3 lett. d), x.x. xxxxxxxx (nel senso che la norma li prenda in considerazione) in quan- to posti in essere non già in esecuzione del piano, quanto piuttosto dell’accordo
1 Cfr. G. DE MEO, I piani “di risanamento” cit., p. 33, per il quale il piano attestato di risa- namento «è, propriamente, atto unilaterale che non vede alcun intervento di uno o più creditori nella sua fase costitutiva e deliberativa. L’intesa con taluni creditori, o in ipotesi con uno solo o con tutti, può essere e di norma è un presupposto di fatto del piano, il quale può fondarsi su talu- ne assunzioni economiche, patrimoniali e finanziarie grazie al fatto che tale accordo vi sia. Ma l’accordo non gioca alcun rilievo giuridico sul piano, che è in se atto sufficiente, in presenza del- le altre condizioni di legge, a far scaturire certi effetti per l’ordinamento». Nella stessa prospetti- va, sembrerebbe, si colloca quella parte della dottrina per la quale «il “piano di risanamento” di per sé non è un negozio: la legge non lo assume come fonte di impegni suscettibile di incidere sulle posizioni soggettive del debitore, né di altri soggetti; bensì lo assume come presupposto empirico per la produzione di effetti giuridici […]. Nella costruzione della fattispecie “piano di risanamento”; e nulla vieta che fra essi […] si annoverino veri e propri negozi […]. Ma questi negozi rilevano qui non come tali, bensì come elementi di una più complessa fattispecie la cui natura è – complessivamente – non negoziale». In questo senso X. XXXXX, Profili strutturali, cit., p. 368.
2 A. CASTIELLO D’XXXXXXX, Riflessi disciplinari degli accordi di ristrutturazione e dei piani attestati, in Dir. fall. 2008, I, 617; F. DI MARZIO, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa cit., p. 1 e ss.; ID, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione negoziata delle crisi d’impresa cit., p. 77 e ss.; X. XXXXXXXXX, Le sistemazioni stragiudiziali (ovvero gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle esposizioni debitorie), in Manuale di diritto fallimentare di AA.VV., Milano 2006, p. 476 e ss. Nello stesso ordine di idee X. XXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p.111, rileva come «non c’è bisogno di enfatizzare, ricorrendo all’abusata immagine, solo oleografica, del piano unilateralmente predisposto dall’imprenditore in un cassetto pronto a essere estratto a sorpresa nel malaugurato caso di falli- mento»; conformemente anche X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice cit., p. 81, che bol- la di eccessivo formalismo la tesi dell’unilateralità dei piani attestati.
3 Cfr. T.E. XXXXXXXXX, Il piano concordatario ed il suo contenuto, in Le altre procedure concorsuali, reati fallimentari, problematiche comunitarie e trasversali, fallimento e fisco, diret- to da U. Apice, Torino 2011, p. 47, che precisa come il “piano” debba essere inteso «come enunciazione programmatica dei propositi del debitore contenente la specifica indicazione degli obiettivi prefissati e delle relative modalità di attuazione, economiche e giuridiche»; X. XXXXXX- ROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale cit., p. 97.
4 Cfr. G. DE MEO, I piani ‘di risanamento’ cit., p. 32 e ss.
piano stesso1.
Occorre premettere che ogni riflessione circa la possibile natura unilaterale dei piani attestati di risanamento, si complica in ragione del generico riferimento che la dottrina fa al concetto di “condivisione” del piano per alludere alla circo- stanza che esso, non dovendo essere, per l’appunto, necessariamente “condivi- so” con i creditori, possa intendersi quale atto unilaterale del debitore2.
Il riferimento, infatti, a tale concetto si declina in tre diverse accezioni che potremmo dire come:
(i) genetica, intendendo con ciò riferirsi al quesito se la stessa pro- grammazione degli interventi che l’imprenditore deve porre in esse- re, ai fini del risanamento dell’impresa, sia o meno concordata con i creditori (o i terzi)3;
(ii) informativa, intendendo con ciò riferirsi alla circostanza che il piano sia, o meno, comunicato ai creditori (o i terzi)4;
(iii) esecutiva, intendendo con ciò riferirsi alla circostanza che l’attuazione del piano, “pensato” dall’imprenditore, sia svolta coin- volgendo i creditori (o i terzi)1.
1 In questo senso afferma X. XX XXXXXX, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione delle crisi d’impresa cit., p. 82 che «il piano costituisce il riferimento della regola esentativa, ma non integra un istituto autonomo, ossia dotato di autonoma rilevanza giuridica».
2 In questo senso, infatti, si dice che il piano non solo sarebbe predisposto unilateralmente
dal debitore, ma potrebbe dirsi eseguito unilateralmente dallo stesso, poiché rispetto all’esecuzione del piano sarebbe indifferente la sua condivisione con i creditori. Per tutti cfr. X. XXXXX, Piano attestato di risanamento cit., p. 547, il quale parla di esclusione della necessaria
«condivisione negoziale o processuale alla soluzione della crisi da parte dei creditori o di una parte di esso, poiché il piano è un atto del solo imprenditore a formazione contrattuale meramen- te eventuale»; X. XXXXXXXXX, La relazione del professionista nel piano di risanamento cit., p. 631 e ss.; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 941.
3 Di «formazione unilaterale» del piano, parla, ad esempio, G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzio-
ni dall’azione revocatoria cit., p. 234.
4 Cfr., ad esempio, X. XXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 94; M. LI-
XXXXXXX, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti cit., p. 365, il quale individua pro- prio nella maggiore riservatezza dei piani attestati il punto di maggiore divergenza dei due istitu- ti; X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice cit., p. 81, che precisa come la «sostanziale se- gretezza del piano […] appare sicuramente agevolata (se non proprio spiegata) dalla sua natura teoricamente unilaterale»; X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari cit., p. 279, il quale, con riferimento alla riservatezza di cui il legislatore ha inteso rivestire gli accordi, ed alla loro realizzazione ed attuazione, precisa come «queste cose riescono meglio se sono tenute al riparo da occhi indiscreti».
sizione da parte esclusivamente dell’imprenditore.
In questa prima accezione, il concetto di condivisione del piano sembra de- clinarsi, come detto, con riferimento alla circostanza che gli interventi pro- grammatici di risanamento siano individuati dal solo debitore, senza il concorso di alcuno.
Tale circostanza, se è astrattamente vera, non è, tuttavia, idonea a distingue- re i piani dagli accordi, i quali, sotto tale riguardo, non potrebbero dirsi meno unilaterali dei primi.
Non è, infatti, astrattamente da escludere che anche con riferimento agli ac- cordi di ristrutturazione si verifichi l’ipotesi in cui sia il debitore a predisporre unilateralmente il piano che poi verrà, eventualmente, accettato dai creditori. Da questo punto di vista, parlare di unilateralità del piano non assume alcun signifi- cato discretivo: cosa sufficiente ad escluderne la rilevanza ai fine che qui inte- ressano.
In questa prospettiva, peraltro, sembrerebbe muoversi il legislatore, il quale non guarda ai piani di risanamento nel loro momento formativo, ma solo nel lo- ro momento esecutivo/attuativo, al fine di scriminare quali atti siano o meno soggetti all’azione revocatoria2.
Passando alla seconda accezione del modo con cui i piani possono (non)essere condivisi con i creditori, o con i terzi, è opportuno precisare che, in tal caso, il tema della possibile unilateralità del piano si intreccia col rilievo che
1 Cfr., tra gli altri, X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio cit., p. 1238, il quale specifica come al piano, predisposto unilateralmente dall’imprenditore, potranno seguire negozi e/o con- venzioni «ma tali negozi e/o convenzioni non sono configurati elementi necessari per l’efficacia e la validità del piano medesimo».
2 Non sembra, pertanto, da condividere l’affermazione per la quale «il piano di risanamen-
to può anche, in punto di fatto, essere il risultato o il presupposto di intese fra il debitore ed i suoi creditori: esso però viene preso in considerazione e disciplinato dalla legge in sé e per sé, in quanto espressione dell’iniziativa individuale del debitore». Così A. XXXXX-X. XXXXXXXXXX, Diritto della crisi delle imprese, Bologna 2009, p. 388. Il piano, infatti, è certamente atto del so- lo imprenditore: esso, tuttavia, rileva non in quanto tale, ma in quanto viene eseguito; momento nel quale, invece, non pare si possa prescindere dalla considerazione dell’accordo con i creditori.
agli accordi di ristrutturazione1.
In via preliminare, occorre osservare come analoga questione si sia posta anche con riferimento agli accordi di ristrutturazione del debito.
Ci si è, infatti, chiesti se ai fini dell’omologabilità dell’accordo sia necessa- rio che il consenso dei creditori converga, oltre che sulla stipula del singolo con- tratto, anche con l’intento del debitore di realizzare l’operazione di ristruttura- zione.
L’ipotesi, in altri termini, sarebbe quella nella quale l’imprenditore raccolga separatamente il consenso dei creditori, e ne curi (si allude ai singoli contratti) successivamente il deposito presso il tribunale congiuntamente al piano di ri- strutturazione del debito, della cui esistenza, pertanto, i singoli creditori sarebbe- ro edotti ex post2.
Tale ipotesi non sembrerebbe essere (almeno astrattamente) esclusa dalla lettera dell’art. 182-bis l.f.. Da un lato, infatti, essa sembra lasciare la più ampia autonomia al debitore di configurare come meglio crede l’operazione di ristrut- turazione, dall’altro, il giudizio del tribunale deve concentrarsi sull’attuabilità dell’accordo, così come essa risulta sulla base del piano di ristrutturazione del debito e della relazione del professionista3.
1 Cfr. X. XXXXXXXXX, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti e revocatoria cit.,
p. 365, il quale individua proprio nella riservatezza il tratto discretivo fondamentale tra piani ed accordi di ristrutturazione, per il resto ritenendo che «l’interpretazione delle due discipline deve cercare non di differenziare, bensì di uniformare il più possibile le due fattispecie»; M. MAROB- BIO, Revocatoria fallimentare e nuove esenzioni cit., p. 296, il quale osserva come la peculiarità dei piani di risanamento sia rappresentata dalla unilateralità della proposta di soluzione della cri- si, «poiché formulata dal solo imprenditore, senza forme pubblicitarie ed in assoluta assenza di intervento o di controllo da parte dell’autorità giudiziaria». L’autore, pur avendo precisato che
«il piano di risanamento si sostanzia, dunque, in un fascio di plurime proposte contrattuali di ca- rattere recettizio e quindi destinate, ai fini della produzione dei relativi effetti giuridici, ad essere portate a conoscenza dei creditori», prosegue affermando che «la norma non prevede, quindi, una accettazione del piano da parte dei creditori, anche se l’assenso potrebbe assumere una certa significatività ai fini della valutazione della ragionevolezza del piano».
2 L’ipotesi è illustrata in questi termini da X. XXXXXXXXXX, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa. Profili funzionali e strutturali e conseguenza dell’inadempimento del debitore, in Banca borsa e tit. di cred., I, p. 310. Nella manualistica cfr.
X. XXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione del debito, in Manuale di diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, a cura di X. Xxxxxxxx Xxxxxx, Milano 2011, p. 361.
3 X. XXXXXXXXXX, op. loc. cit..
D’altra parte, tutte le volte che si attribuisce al creditore aderente all’accordo la possibilità di opporsi all’omologazione, per il solo rilievo della carenza d’informazioni circa la complessiva operazione di ristrutturazione del debito1, ci sembra che si riservi il rilievo della conoscenza che il creditore abbia della sussistenza del piano esclusivamente alla fase giudiziale dell’istituto, xxx- xxxxx, per contro, tale conoscenza tendenzialmente irrilevante ai fini della vali- dità del singolo accordo.
In questi termini, pertanto, la tutela del creditore verrebbe collocata nell’alveo del positivo riscontro del giudizio di attuabilità dell’accordo, ciò in perfetta aderenza a quanto accade per i piani attestati di risanamento; rispetto ai quali è il positivo riscontro di ragionevolezza del piano2 a garantire la stabilità dell’atto3.
A prescindere dalle superiori considerazioni, è lo stesso rilievo che la riser- vatezza assume all’interno dei piani attestati di risanamento che deve essere cor- rettamente inteso e ridimensionato.
La dottrina più attenta ha rilevato come, da un lato, il piano di risanamento sia destinato ad assumere rilevanza solo nelle ipotesi di suo insuccesso4, e, dall’altro, che, proprio per tale ragione, il suo ambito di operatività è funzional- mente collegato al regime delle eccezioni che il creditore può opporre al curato- re che contro di lui eserciti l’azione revocatoria5.
Il rilievo vale a precisare come il piano di risanamento può assolvere alla sua funzione esclusivamente a condizione che il terzo destinatario dell’atto im-
1 Per tutti cfr. X. XXXXXXXXX, Le nuove forme di «gestione» della crisi d’impresa cit., p. 174 e ss.
2 Da svolgersi secondo un giudizio di prognosi postuma, cfr. X. XXXXXXXX, I piani di risa- namento e di ristrutturazione cit., p. 1208; P.G. XX XXXXXX, I piani di risanamento ex art. 67 legge fallimentare cit., p. 7; X. XXXXXXXXXX, Art. 67 cit., p. 288-289.
3 Cfr. X. XXXXXXXX, Revocatoria fallimentare e disciplina delle nuove esenzioni cit., p.
298.
4 Tra gli altri, cfr. P.G. DE MARCHI, I piani di risanamento ex art. 67 legge fallimentare
cit., p. 3 e ss.; G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 261; X. XXXXX,
Quale professionista per le nuove soluzioni delle crisi di impresa cit., p. 1069 e ss.
5 Cfr. X. XXXX, La nuova azione revocatoria fallimentare, in Profili della nuova legge fal- limentare, a cura di X. Xxxx, Xxxxxx 0000; C. X’XXXXXXXX, Le esenzioni da revocatoria nella composizione stragiudiziale delle crisi d’impresa, in Giur. Comm., 2007 I, p. 368; X. XXXXXXXX, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare cit., p. 171 e ss.; G. DE MEO, I piani ‘di risa- namento cit., p. 35 e ss.; X. XXXXX, Art. 67 cit., p. 373; X. XXXXXXXXXX, Art. 67 cit., p. 275; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 959.
plificazione l’affermazione […] secondo cui il piano attestato sarebbe cosa esclusivamente dell’imprenditore, non coinvolgente necessariamente i terzi de- stinatari degli atti esecutivi, con la conseguenza di escludere qualunque rilievo alla circostanza di mero fatto che detti terzi si rendano parte dell’atto dispositivo nella consapevolezza o meno che esso sia previsto nel piano attestato2».
Pertanto, il meccanismo delineato dal legislatore non potrebbe operare ove il piano rimanesse completamente segreto.
Né si dica che, al fine, sarebbe in tali casi il curatore, che rinviene il piano tra le carte del debitore, a dover desistere dall’esercizio dell’azione: la norma, infatti, attribuisce direttamente al creditore, o al terzo, lo strumento di tutela del- le proprie ragioni: consentendogli di porre la questione della sussistenza della
1 Ed è in questa prospettiva che si inquadra il problema della certezza della data di predi- sposizione ed attestazione del piano. Cfr., ex multis, X. XXXXXXXX, Le nuove procedure di com- posizione negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 272;X. XXXXX, Piano attestato di risanamento cit., p. 547; G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dalla revocatoria cit., p. 242, il quale rileva anche il collegamento funzionale tra la certezza della data ed il giudizio di consequenzialità cronologi- ca degli atti esecutivi in relazione al piano e alla sua attestazione da parte dell’esperto; X. XX- XXXXX, Quale competitività per le imprese dopo le «trasformazioni» della legge fallimentare, in Fall. 2006, p. 114.
2 G. DE MEO, I piani ‘di risanamento’ cit., p. 36. Tali considerazioni sono condivise anche da P.G. DE MARCHI, I piani di risanamento ex art. 67 legge fallimentare cit., p. 6, il quale le considera finanche scontate. L’A. precisa, peraltro, che «non essendo previste – inopinatamente
– forme di pubblicità del piano, sarà l’imprenditore a dover comunicare al terzo che esiste un piano di risanamento (che lo pone al riparo da revocatoria in caso di fallimento) e, eventualmen- te, a produrgli una copia della relativa documentazione». Nello stesso ordine di idee X. XXXXXX- TI, I piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 1208-1209, il quale, muovendo proprio dal rilievo che l’esenzione risulta un eccezione alla regola prevista dai primi due commi dell’art. 67 l.f., giunge alla conclusione che sia il terzo convenuto in revocatoria a dovere dimostrare l’apparente idoneità del piano al risanamento dell’esposizione debitoria ed al riequilibrio della situazione finanziaria; G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni da revocatoria cit., p. 241, il quale os- serva come il beneficio dell’esenzione sia «naturalmente diretto, e anzi riservato, ai soggetti che siano a conoscenza del piano e della sua idoneità, il ché determina naturalmente e inevitabilmen- te una collaborazione attiva dei creditori e in generale dei terzi che entrino in contatto con l’imprenditore in crisi»; X. XXXXX, Art. 67 cit., p. 377 per il quale è essenziale che «il terzo nei cui confronti l’atto è compiuto sappia che tale atto si collega a (o si inserisce in) un piano di ri- sanamento»; X. XXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 111, il quale precisa che
«se effetto del piano è l’esenzione di certi atti dalla revocatoria […] è chiaro che interessati al piano sono anche, forse soprattutto, le controparti dell’imprenditore nelle operazioni che si gio- vino dell’esenzione; ed è evidente allora che il piano verrà concordato con loro o quantomeno verrà loro preventivamente comunicato. Non è in linea con la realtà ed è perciò fuorviante l’ipotesi di un piano unilaterale e occulto».
1.
Si deve più correttamente parlare di segretezza del piano nel senso che esso,
a differenza degli accordi, non è soggetto alla pubblicazione nel registro delle imprese2: della sua esistenza, pertanto, saranno di regola a conoscenza solo i creditori, o i terzi, di cui il debitore cerchi il consenso ai fini dell’attuazione del piano3.
Affermazione che, peraltro, deve essere coordinata con la considerazione che, fino al momento della pubblicazione, anche l’accordo rimane segreto: non diversamente che il piano4.
Non rimane, pertanto, che indagare la terza accezione di possibile (non)condivisione del piano, alludendo all’ipotesi in cui il piano sia attuato sen- za l’ausilio di creditori o di terzi5.
Come s’è visto i piani sottesi agli accordi di ristrutturazione (meglio, i piani che ne costituiscono il presupposto), possono essere non meno unilateralmente predisposti che i piani attestati di risanamento6.
1 Per comprendere adeguatamente il mutamento di prospettiva, basta riflettere sulla circo- stanza che nelle ipotesi in cui sia dubbia la riconducibilità dell’atto all’esecuzione del piano, af- fermare che il giudizio sulla revocabilità dell’atto – in tesi certa, poiché altrimenti, non si por- rebbe neppure il tema dell’applicazione dell’esenzione – spetta al curatore, il quale deve ritenere sussistente la corrispondenza dell’atto al piano, significa sottrarre al terzo, o al creditore, il pote- re di rimettere la questione davanti al giudice: il ché, ci pare, contraddica la ratio stessa dell’istituto. La questione, ovviamente, non si pone con riferimento agli accordi di ristruttura- zione, rispetto ai quali la pubblicità è imposta espressamente dal legislatore.
2 Ipotizza la possibilità di iscrivere nel registro delle imprese, benché il principio di tipicità
degli atti soggetti ad iscrizione, X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 935 e ss.,
G.U. TEDESCHI, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova 2006, p. 316.
3 Cfr. G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 250-251.
4 Cfr. X. XXXXX, Fallimento: le nuove norme cit., p. 173; X. XXXXXXXXX, Le sistemazioni
stragiudiziali cit., p. 470.
5 Per l’utilizzo, in questa accezione, del concetto di unilateralità del piano cfr. F. SANTAN-
GELI, Art. 67 cit., p. 289, il quale osserva come «non è necessario che il piano sia accettato dai creditori, mentre altro problema è se i creditori debbono o non debbono accettare le condizioni singolarmente proposte per il soddisfacimento del loro credito previste nel piano di risanamento e di riequilibrio finanziario», concludendo per l’affermazione che il consenso debba essere rac- colto nella seconda ipotesi.
6 Il rilievo ci pare pienamente colto da X. XXXXXXXX, I piani di risanamento e di ristruttu- razione cit., p. 1202, il quale osserva come ai fini di una valutazione sistematica dei piani atte- stati e degli accordi di ristrutturazione dei debiti sia necessario tenere distinta la valutazione di idoneità della pianificazione, ai fini del giudizio dell’esistenza dell’insolvenza, dalla valutazione della meritevolezza degli accordi, poiché «l’accordo diviene in sostanza solo il titolo giuridico mediante il quale l’imprenditore, che pianifica il suo risanamento, afferma di disporre delle ri-
dei piani attestati o degli accordi di ristrutturazione è quale sia il rilievo che l’ordinamento giuridico attribuisce all’accordo ai fini dell’attuazione del piano di risanamento o di ristrutturazione e dell’esenzione dalla revocatoria1.
Alla luce delle superiori considerazioni, si comprende come l’idea che il piano di risanamento sia, eventualmente, atto unilaterale dell’imprenditore, sot- tende l’idea che esso assuma rilievo oggettivo ex se considerato: indipendente- mente dagli accordi che, si dice, il debitore può solo eventualmente concludere con i creditori (o con i terzi) al fine della sua esecuzione2.
L’idea è che il risanamento dell’esposizione debitoria, o il riequilibrio della situazione finanziaria, sia raggiunto mediante atti di riorganizzazione interna del patrimonio dell’imprenditore, ovvero dell’organizzazione societaria, ovvero e ancora, dei processi aziendali3.
Questa impostazione, tuttavia, ci sembra contraddire a monte sia la ratio dell’esenzione sia la giustificazione economica dell’operazione che sottende la predisposizione di un piano di risanamento: ossia la sussistenza della crisi d’impresa.
Il rilievo che lo stato di crisi assume all’interno dell’istituto si coglie nella considerazione che la presenza di tale stato costituisce uno degli elementi neces-
sorse necessarie perché il tentativo abbia successo». È utile, inoltre, precisare, che il piano, an- corché programmaticamente determinato con il consenso del ceto creditorio, rimane comunque atto riferibile al solo debitore. Esso, infatti, è semplicemente l’atto con cui l’imprenditore pro- gramma la propria futura attività d’impresa: una dichiarazione d’intenti, se si vuole, che non vincola ex se alcuno, neppure l’imprenditore che la pone in essere. Cfr. G. DE MEO, op. loc. cit.;
X. XX XXXXXX, op. loc. cit.
1 In argomento cfr. X. XX XXXXXX, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa cit., p. 7 e
ss.; ID, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione della crisi d’impresa cit., p. 73 e ss.
2 In questo senso è assai chiara l’esposizione di G. DE MEO, I piani ‘di risanamento’ cit., p. 34 e ss., il quale osserva come «il piano di risanamento è, più semplicemente, il presupposto di una deroga», presupposto in presenza del quale «certi atti, pur in sé lesivi della parità di tratta- mento tra i creditori, non possono essere dichiarati inefficaci nei confronti del fallimento».
3 Cfr. X. XXXXXXXX, Revocatoria fallimentare e disciplina delle nuove esenzioni cit., p. 295, il quale osserva come al termine risanamento dell’esposizione debitoria sia stato ritenuto possibile ricondurre tutta una serie di interventi «sia “esterni” […], sia “interni” quali una politi- ca manageriale tesa ad assicurare la riduzione dei costi di produzione o la cessione di beni non strategici”.
d), l.f. e, conseguentemente, per l’attivazione degli effetti legali ivi individuati1.
Parte dalla dottrina, tuttavia, ritiene che sarebbe «del tutto indifferente lo stato in cui si trova il debitore al momento della» adozione del piano attestato,
«perché il legislatore ha previsto un unico momento di rilevanza del piano», coincidente con quello in cui lo stesso fallisce i suoi obiettivi: «l’unico presup- posto per la sua efficacia è che egli successivamente fallisca2».
Il rilievo, tuttavia, trascura di considerare che il piano deve ex ante3 appari- re, da un lato, idoneo4 e, dall’altro, ragionevole5 rispetto ad un fine ben preciso: il risanamento dell’esposizione debitoria ed il riequilibrio di quella finanziaria.
Sia il giudizio di apparente idoneità sia quello di ragionevolezza, pertanto, presuppongano, giuridicamente e logicamente, quella crisi finanziaria che rias- sume i concetti di debito da risanare e condizione finanziaria da riequilibrare6: non può, in altri termini, dirsi ragionevole né apparire idoneo un piano che pre- tenda di risanare un’esposizione debitoria già sana e di riequilibrarne una già perfettamente in equilibrio.
1 Cfr. X. XXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 113, il quale rileva come la crisi costituisca presupposto comune ai piani attestati, agli accordi di ristrutturazione ed al con- cordato preventivo. In questo senso, come già precisato, ci pare corretto discorrere di presuppo- sto oggettivo del piano attestato di risanamento, poiché diversamente si dovrebbe concordare con quella parte della dottrina che ha con forza rilevato come rispetto ad esso non si possa parla- re tecnicamente né di un presupposto soggettivo né, tantomeno, di un presupposto oggettivo, at- teso il fatto che il piano non è una procedura concorsuale. In questo senso G. DE MEO, I piani ‘di risanamento’ cit., p. 32. Cfr. anche X. XXXXXXX, Il contratto nelle crisi dell’impresa, in Ob- bligazioni e contratti 2010, p. 488, il quale afferma come non sia possibile un accordo in man- canza di insolvenza e di crisi o di situazioni nelle quali manchi il rischio di revocatoria, perché tale fattispecie si presterebbe a finalità elusive e fraudolente con alcuni creditori.
2 In questi termini, G.B. NARDECCHIA, Intervento alla seconda tavola rotonda – Gli ac-
cordi di ristrutturazione e il piano di risanamento, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – atti del convegno, Torino 23-24 maggio 2008, a cura di X. Xxxxx, Milano 2009, p. 103-104.
3 Cfr. X. XXXXX, Art. 67 cit., p. 377; X. XXXXXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola ro-
tonda cit., p. 121; X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari cit., p. 279
4 Ossia «astrattamente idoneo a raggiungere l’obbiettivo che si presuppone (uscita dalla
crisi/definizione della crisi)». Così X. XXXXXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 122.
5 Ossia «concretamente fattibile secondo le circostanze concrete (cioè è ragionevole che si
possa attuare». Nuovamente X. XXXXXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 122.
6 Cfr., tra i tanti, X. XXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda – Gli accordi di ristrut-
turazione e il piano di risanamento, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – atti del convegno, Torino 23-24 maggio 2008, a cura di X. Xxxxx, Milano 2009, p. 113-114.
piano, da un lato, ed il tentativo di superamento della crisi, dall’altro, che assu- me il compito di selezionare quelle operazioni rilevanti ai fini dell’applicazione della norma di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), l.f.
Se quanto sopra può essere condiviso, ci si deve chiedere se lo stato di crisi possa dirsi sussistente tutte le volte in cui l’imprenditore, attraverso un proprio atto unilaterale, possa risanare l’esposizione debitoria o riequilibrare la situazio- ne finanziaria1.
La possibilità di risanamento, dipendendo da una libera scelta del debitore, e potendo da lui essere attuato senza il concorso dei creditori, o di terzi, ci pare escluda la sussistenza di quello stato di crisi rilevante ai fini dell’art. 67, comma 3 lett. d), l.f.2.
A questo primo rilievo se ne aggiunge un altro, che richiama, come detto, la
ratio della norma, la quale consiste nella volontà del legislatore di incentivare le
1 In quest’ordine d’idee ci pare si muova quella parte della dottrina che ha ricollegato la presenza dell’accordo con i creditori alla sussistenza della ragionevolezza del piano attestato. Partendo, infatti, dal presupposto che se l’imprenditore versa in una situazione di crisi lo stesso non possa che ricercare il consenso dei creditori, poiché da solo non sarebbe in grado di superare la situazione di difficoltà in cui versa, F. DI XXXXXX,’Contratto’ e ‘deliberazione’ nelle soluzio- ni negoziate della crisi d’impresa p. 93, osserva come la necessità del consenso con i creditori si renda evidente alla stregua della sussistenza del requisito di ragionevolezza del piano; ciò sulla scorta del rilievo che non potrebbe essere considerato ragionevole «un piano in cui sono presenti intelligenti soluzioni di riposizionamento industriale e previsti saggi interventi sul capitale inve- stito ma in cui, quanto alla ristrutturazione debitoria, si modificano o si assumono rapporti ob- bligatori senza che i creditori coinvolti abbiano aderito. Sul punto cfr. X. XXXXXXX, Diritto falli- mentare cit., p. 722 e ss., il quale individua proprio nell’insufficienza degli atti ordinari di rior- ganizzazione societaria il limite di accesso ai piani di risanamento.
2 In questi casi si potrà, forse, parlare di declino dell’impresa: ma tale stato, che pure può, legittimamente, spingere l’imprenditore a predisporre un piano finalizzato al suo superamento, non rileva ai fini della qualificazione della fattispecie alla stregua della disposizione di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), l.f.. In argomento, cfr. X. XXXXXXX, Crisi d’impresa e risanamento, Milano 2010, p. 9 e ss. D’altra parte, e come detto, gli interrogativi che la dottrina s’è posta con riferimento alla sussistenza del requisito oggettivo dei piani di risanamento, assumono concreto significato solo nella prospettiva di individuare le condizioni di applicazione della norma,ed, in definitiva, in una prospettiva ad excludendum. In questa prospettiva, anche chi ritiene che il pia- no si differenzi dall’accordo in vista della sua unilateralità, non manca di rilevare come la norma lo consideri in ragione della circostanza che, ai fini del risanamento, non sono sufficienti gli or- dinari atti di riorganizzazione societaria, con ciò alludendo ad uno stato di crisi che non può es- sere di semplice difficoltà. X. XXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 722 e ss.
essere a tal fine dall’imprenditore prima della dichiarazione di fallimento1.
Se si parte dalla considerazione che per l’imprenditore l’esenzione dalla re- vocatoria non ha in sé un particolare valore2, si comprende benissimo che la di- sposizione non intende riferirsi al debitore, quanto piuttosto a coloro che con l’imprenditore intraprendono il tentativo di composizione della crisi d’impresa: creditori in primis3.
Non s’è mancato, poi, di rilevare come aderendo all’idea per la quale il pia- no attestato di risanamento assume valore giuridico autonomo, «risulterebbe dif- ficile comprendere il senso dell’espressione legislativa ‘esecutivo’ del piano: es- sendo evidente che, dal punto di vista giuridico, il piano non risulta censibile in nessuna categoria di fonte di obbligazione (cfr. art. 1173 c.c.)4».
1 Cfr., tra i molti, C. X’XXXXXXXX, Le esenzioni da revocatoria cit., p. 364 e ss.; X. XX- XXXXXX, revocatoria fallimentare e disciplina delle nuove esenzioni cit., o. 294. X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., 935.
2 Cfr. C. XXXXX, Esenzione dall’azione revocatoria e prededuzione nelle procedure stra- giudiziali di risanamento delle imprese, in Dir. fall., 2010, I, p. 531 e ss.; P.G. DE MARCHI, I piani di risanamento ex art. 67 legge fallimentare cit., p. 4, il quale osserva come l’imprenditore non manifesti un particolare interesse verso la conservazione dell’efficacia degli atti posti in es- sere con i creditori: «in fondo, se l’impresa fallisce, l’imprenditore può rimanere indifferente di fronte alla sorte degli atti compiuti in precedenza e, anzi, può avere anch’egli interesse al profi- cuo esperimento dell’azione revocatoria, perché attraverso di essa si recupera attivo fallimentare e quindi si ottiene un maggior soddisfacimento dei creditori concorsuali». Cfr. anche X. XXXX- XXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 940, la quale ritiene che l’esenzione debba essere assimilata ad un premio concesso all’imprenditore che si attivi tempestivamente per la soluzione della crisi d’impresa. La stessa A., tuttavia, aggiunge a p. 957 che «la disposizione in esame [art. 67, comma 3 lett. d) l.f.] consente di operare a livello di formazione della volontà del creditore che è incentivato alla partecipazione al tentativo di risanamento, dall’assenza di conseguenza civilistiche»; X. XXXXXXXXXXX, Intervento alla settima tavola rotonda – Le crisi d’impresa tra economia e diritto, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – atti del convegno, Torino 23-24 maggio 2008, a cura di X. Xxxxx, Xxxxxx 00000, p. 305.
3 X. XXXXXXXX, La promozione e la tutela delle procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa nella riforma della legge fallimentare, in xxx.xxxxxxxx.xx, il quale individua tra i fattori di successo delle composizioni negoziali delle crisi d’impresa, proprio la produzione di effetti protettivi successivi a favore dei creditori partecipanti all’esecuzione del piano di compo- sizione delle situazioni di crisi, sub specie di esenzione degli atti posti in essere in esecuzione del piano dall’azione revocatoria fallimentare e di esenzione dei comportamenti coerenti con la esecuzione del piano ad altri possibili profili di responsabilità civile o penale astrattamente con- figurabili; ID, Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 267 e287;
P.G. XX XXXXXX, I piani di risanamento ex art. 67 legge fallimentare cit., p. 4; F. DI MARZIO, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa cit., p. 7; X. XXXXXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 1204.
4 Così F. DI XXXXXX, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione della crisi d’impresa cit.,
p. 82, il quale prosegue affermando che «l’espressione sta invece a riferirsi – del tutto tecnica- mente – alla attività giuridica ‘esecutiva’ in senso lato, e cioè realizzativa della programmazione aziendale (accordi sulla crisi d’impresa conclusi secondo la razionale pianificazione)».
nell’attuazione del piano, non si può fare a meno di rilevare la difficoltà di co- struire un xxxxx convincente tra il concetto di “atto di esecuzione” e quello di “piano”: «non potendo dal dato aziendale scaturire una esecuzione giuridica; almeno non in senso giuridico1».
L’idea di un piano di risanamento non concordato con i creditori rappresen- ta solo un esercizio teorico, atteso che, nella pratica, la riuscita del piano è diret- tamente proporzionale al numero di creditori che lo condividono2.
Oltre alle considerazioni che precedono, bisogna ancora osservare come il confezionamento di un piano da parte del debitore costituisce il cuore di ogni so- luzione negoziata della crisi d’impresa, ivi compreso degli accordi di ristruttura- zione del debito3. Il piano quand’anche concordato con i creditori o con i terzi, lo si è detto, rimane in ogni caso esclusivamente riferibile al debitore stesso1.
1 F. DI XXXXXX, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione negoziale della crisi d’impresa cit., p. 84 n. (20).
2 Cfr. X. XXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 93; X. XXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda – Gli accordi di ristrutturazione e il piano di risanamento, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – atti del convegno, Torino, 23-24 maggio 2008, a cura di X. Xxxxx, Milano 2009, p. 87; F. DI MARZIO, op. cit. p. 83, il quale osserva come, invero, all’isolata iniziativa del debitore sia rimessa, nella pratica, la sola predisposizione di una bozza di piano. Rileva la necessità dell’accordo dei creditori ai fini dell’esecuzione del piano anche la dottrina che ritiene che il piano solo eventualmente debba essere concordato con i creditori. Tra gli altri,
X. XXXXXXXX, Revocatoria fallimentare e disciplina delle nuove esenzioni cit., p. 297; G. DE MEO, I piani ‘di risanamento’ cit., p. 32 e ss., il quale, come detto, conclude per la natura esclu- sivamente unilaterale del piano; X. XXXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182- bis cit, p. 48 n. (3), il quale, con riferimento ai piani attestati di risanamento, osserva come «seb- bene dal punto di vista formale il piano ex art. 67, terzo comma, lett. d), della legge fallimentare sia un’iniziativa che può essere assunta unilateralmente dall’imprenditore, di fatto non esiste una concreta possibilità che il piano trovi esecuzione senza il preventivo consenso di una parte signi- ficativa del ceto creditorio» P. PISCHITELLO, Piani di risanamento e posizione delle banche cit.,
p. 539; X. XXXXX, Quale professionista per le nuove soluzioni delle crisi di impresa cit., p. 1070, il quale precisa che solo formalmente il piano può dirsi predisposto dal solo imprenditore, il qua- le, pertanto, parla di «natura essenzialmente contrattuale del piano»; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 948, la quale, peraltro, osserva come tale circostanza (l’opportunità di raggiungere l’accordo con i creditori) sia la constatazione «che la matrice onto- logica di questa procedura è il progetto ABI ed il suo precedente codice di comportamento»; sul quale si rinvia a X. XXXXXXXX, L’intervento delle banche nel risanamento delle imprese in crisi, in Fall. 2003, p. 939 e ss.
3 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 1195; F. DI XXXXXX, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione della crisi d’impresa cit., p. 78, il quale osserva come «la composizione della crisi d’impresa non può prescindere dalla coerente orga- nizzazione del dato aziendale alla quale deve razionalmente seguire la attuazione giuridica»; tale strategia d’impresa di superamento della crisi d’impresa è descritta, per ogni modello negoziale di superamento della crisi d’impresa, in un programma o piano, che ne rappresenta la formaliz-
re né con riferimento ai piani attestati né con riferimento agli accordi di ristruttu- razione: ciò che può essere condiviso con i creditori, se con il termine s’intende alludere alla convergenza d’intenti tra le parti, è solo l’atto con cui si da attua- zione al piano2.
Se, con riferimento agli atti ed alle garanzie, la superiore affermazione non sembra porre problemi, la stessa merita di essere precisata con riferimento ai pa- gamenti, i quali non sono revocabili se posti in essere in esecuzione del piano.
Rispetto ad essi, infatti, l’esistenza dell’originario titolo giustifica l’adempimento; ragion per cui non è necessario pensare all’esistenza di un nuo- vo accordo tra debitore e creditore: se, pertanto, attraverso atti di riorganizzazio- ne dell’impresa, che non abbisognano del concorso di alcuno, il debitore è in grado di pagare tutti, allora il piano potrebbe pensarsi davvero come unilaterale.
Tuttavia, in tale ipotesi, ci pare che non si possa correttamente parlare di pagamento posto in esecuzione del piano, ma dell’originario titolo3, perché ove così non fosse si potrebbe sostenere che sempre tutti i pagamenti, data la finalità del piano4, sono posti in sua esecuzione: eppure la norma chiaramente distingue tra quelli che lo sono e quelli che non lo sono.
zazione; X. XXXXX, Quale professionista per le nuove soluzioni della crisi d’impresa cit., p. 1070 e ss.; X. XXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare cit., p. 861..
1 Cfr. F. DI MARZIO, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione della crisi d’impresa cit.,
p. 79-80. È questo un dato che viene colto anche da quella parte della dottrina per la quale i piani di risanamento sono sempre atti unilaterali dell’imprenditore. Cfr. G.B. XXXXXXXXXX, Le nuove esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 253; G. DE MEO, I piani ‘di risanamento’ cit., p. 35 e ss.; X. XXXXX, Quale professionista per le nuove soluzioni delle crisi di impresa cit., p. 1070
2 Anche ove l’imprenditore concordi la serie degli interventi che devono essere posti in es-
sere per realizzare il risanamento, infatti, ciò che si determina è il collegamento tra tali accordi ed i successivi contratti che in forza di essi debbono essere posti in essere; mentre se il piano ha previsto degli obblighi a carico dell’imprenditore, il loro adempimento s’inserisce direttamente nella vicenda contrattuale che li ha determinati. Per tali rilievi cfr. X. XX XXXXXX, op. loc. cit.
3 In questo senso, X. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi, in Autonomia
negoziale e crisi d'impresa, a cura di F. Di Marzio e X. Xxxxxxx, Milano 2010, p. 289 e ss.
4 Il quale, come visto, deve assicurare che attraverso il risanamento dell’esposizione debi-
xxxxx ed il riequilibrio della situazione finanziaria sia garantito il pagamento di coloro che non vi hanno aderito. In argomento cfr. X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio cit., p. 1243; X. XXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 87; X. XXXXX, Piano attestato cit., p. 549; X. XXXXXXXX, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare cit., p. 182; G.B. XXXXXXXXXX, Le nuove esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 245, il quale precisa come il «risanamento dell’esposizione debitoria» debba «prevedere l’integrale soddisfazione di tutti i creditori per ef- fetto dell’esecuzione del piano, ad eccezione, ovviamente di coloro i quali rifiutano in via nego-
tutti i suoi creditori, senza l’accordo con alcuno di essi, o con terzi, segno si è che lo stato di eventuale difficoltà, anche prospettica, in cui versa non è idoneo alla qualificazione del piano alla stregua della disposizione di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), l.f.
Da quanto fin qui osservato, risulta chiaro che il piano debba essere condi- viso; ed è tale aspetto che segna una prima distinzione tra piani ed accordi.
Tale differenza si svela, per così dire, sul versante del profilo soggettivo de- gli accordi: mentre, infatti, per espressa volontà del legislatore gli accordi di ri- strutturazione debbono essere conclusi con i creditori che rappresentino almeno il 60% dell’esposizione debitoria, tale precisazione non risulta con riferimento ai piani attestati di risanamento.
Tale circostanza assume un duplice significato.
Il primo è che i piani di risanamento possono essere condivisi con i creditori che rappresentino anche una soglia inferiore al 60% del crediti1: il tutto sta a comprendere se essi siano ragionevoli, nonostante vi partecipino un numero di creditori i cui crediti possano non rappresentare una parte significativa della de- bitoria2.
ziale a parte delle loro pretese»; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 957; X. XXXXX, Xxxxx d’impresa e ruolo del giudice cit., p. 79.
1 Cfr. X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio cit., p. 1243; X. XXXX, La nuova azione revo- catoria fallimentare cit., p. 204; X. XXXXXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda – Gli accordi di ristrutturazione e il piano di risanamento, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – atti del convegno, Torino 23-24 maggio 2008, a cura di X. Xxxxx, Milano 2009, p. 128; X. XXXX- XXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 947, la quale osserva che «la circostanza che il piano dell’art. 67 co. 3° lett. d) della legge fallimentare non prevede alcuna formalità di raccolta dei consensi, o maggioranza di approvazione, induce a ritenere che non sussista alcun obbligo pro- cedimentalizzato o meno di acquisire una qualche maggioranza di adesioni». Il rilievo non può che essere condiviso.
2 Cfr. X. XXXXX, op. loc. cit.; F. DI MARZIO, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa
cit., p. 8 che osserva come nelle ipotesi dei piani attestati, se è vero che la legge non prescrive una percentuale minima di adesioni da parte dei creditori, è altrettanto vero che sarà praticamen- te necessaria la tendenziale unanimità dei consensi di questi; X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa cit., p. 320, il quale indica come praticamente sia necessario il consenso del 70-90 percento dei creditori. Già prima che il legislatore introducesse la figura dei piani attestati di ri- sanamento, ammoniva dell’importanza strutturale dell’adesione di un numero significativo di creditori al progetto di ristrutturazione anche X. XXXXX, Privatizzazione dell’insolvenza: inqua- dramento giuridico delle operazioni di ristrutturazione, in Fall. 1999, p. 826; X. XXXXXXX, Il percorso delle soluzioni stragiudiziali cit., p. 634. X. XX XXXXXX, Il concordato preventivo cit.,
p. 881, osserva come, sebbene ai fini dell’accordo stragiudiziale non fosse richiesta una percen- tuale necessaria di adesioni da parte dei creditori, il numero elevato dei creditori che vi avessero
essere conclusi anche solamente con terzi: il che, ovviamente, non vale a quali- ficare il piano come atto unilaterale dell’imprenditore.
Tali osservazioni, tuttavia, non pare che inficino la bontà dell’affermazione per la quale il legislatore, disciplinando i piani attestati di risanamento e gli ac- cordi di ristrutturazione dei debiti, abbia preso di mira una analoga ipotesi1: quella in cui il debitore predisponga un piano di risanamento o di ristrutturazio- ne, per la cui attuazione stipuli con i creditori (e/o con i terzi) appositi contratti, i cui atti esecutivi vadano esenti da revocatoria2, ma a condizione che l’operazione raggiunga quel livello di serietà tale da fare ritenere positivamente apprezzabile il sacrificio che, nell’ipotesi di fallimento, s’impone ai creditori estranei all’accordo3.
Sul piano strutturale l’assoluta mancanza di indicazioni, sia con riferimento ai piani sia con riferimento agli accordi, è sembrato autorizzare l’idea che il de- bitore possa attuare il piano sia mediante un unico contratto sia mediante una pluralità di contratti tra loro causalmente separati ovvero connessi4, la tenuta di tale affermazione, tuttavia, sarà meglio verificata oltre.
aderito condizionava, sul piano pratico la possibilità di superare la crisi d’impresa, rendendo meno frequente il rischio di defezioni o di iniziative individuali che avrebbero reso più gravoso la realizzazione del programma.
1 X. XX XXXXXX, Il diritto negoziale della crisi d’impresa cit., p. 105 e ss.; Può essere utile, inoltre, rilevare come nei lavori preparatori i due istituti erano stati individuati come alternativi e che solo in sede di ultima stesura il piano attestato di risanamento fu inserito nel corpo del d.l. n. 80/2005. Sul punto cfr. X. XXXXXXXX, Art. 67 §§ 3.4-3.7 cit., p. 124-125.
2 Cfr. X. XX XXXXXX, Le soluzioni concordate della crisi d’impresa cit., p. 7 e ss.; ID, ‘Con-
tratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione della crisi d’impresa cit., p. 73 e ss.
3 Con riferimento al giudizio di serietà e meritevolezza dell’operazione cfr. X. XXXXXXXXX- XX, Clausole generali ed autonomia negoziale nella crisi d’impresa cit., p. 687 e ss.
4 Con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti sia consentito rinviare a quanto sarà osservato di qui a poco. Quanto, invece, ai piani di risanamento, l’osservazione nasce dal rilievo, pacifico in dottrina, per il quale i piani attestati, come gli accordi di ristrutturazione del debito, trovano il loro modello giuridico di riferimento nel concordato stragiudiziale, strumento di natura contrattuale, rispetto al quale se ne riconosceva una certa elasticità di struttura, vuoi nel senso che il concordato costituisse un contratto unilaterale con comunione di scopo, vuoi nel senso che potesse essere configurato quale fascio di contratti tra loro distinti solo eventualmente collegati tra loro. Conforme alla soluzione proposta in testo, X. XXXXX, Gli accordi di salva- taggio cit., p. 1239; X. XXXXX, I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell’insolvenza cit., p. 599; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 941 e 948. Per i termini generali del problema cfr. X. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione, una nuova procedura con- corsuale cit., p. 102 e ss.; ID, Crisi dell’impresa e soluzioni stragiudiziali, in Trattato di diritto Commerciale e Pubblico dell’economia, a cura di X. Xxxxxxx, vol XXVII, Padova 2005; ID, Il concordato stragiudiziale, Padova 1984, l’A., peraltro, ha cura di precisare che se per concorda-
sul c.d. giudizio di meritevolezza1 che deve sorreggere sia i piani attestati sia gli accordi di ristrutturazione.
1.d. – Piani ed accordi: la meritevolezza dell’esenzione
È sul piano della verifica del giudizio positivo di serietà dell’operazione, cui è riconnessa l’affermazione legislativa della meritevolezza dell’esenzione2, che i due istituti mostrano notevoli divergenze3; ciò con riferimento ai modi ed i tem- pi di formulazione di tale giudizio4.
to propriamente detto deve intendersi solo quello caratterizzato dalla comunione di scopo tra i partecipanti al tentativo negoziale di superamento dell’insolvenza, non è escluso che, sul piano pratico, tale risultato sia realizzato dall’imprenditore mediante una serie di accordi separati con i creditori. In tal caso, pertanto, l’accordo solo impropriamente potrà essere definito quale con- cordato stragiudiziale; X. XXXXXXX, La gestione negoziale dell’insolvenza, in Fall. 1997, 553; X. XXXXXXXX, Concordato stragiudiziale, in Enc. del Dir., Milano 1961, p. 521 e ss., il quale, per contro, afferma che l’espressione “concordato stragiudiziale” sia solo di comodo, poiché, per vero, il concordato si riduce sempre ad una serie di accordi separatamene raggiunti dall’imprenditore con i suoi creditori; ciascuno dei quali conserva la propria ed autonoma causa;
X. XXXXXXXX, Concordato stragiudiziale, in Dizionari di diritto privato, diritto commerciale e industriale, a cura di X. Xxxx, Varese 1981, p. 345 e ss.
1 La locuzione di “giudizio di meritevolezza” per designare il complesso delle condizioni
che il legislatore richiede al fine dell’applicazione della norma di esenzione di cui all’art. 67 comma 3 xxxx.xx e) e d), l.f. è entrato ormai nell’uso comune della dottrina, esemplificativamente cfr. F. DI MARZIO, ‘Contratto’e ‘deliberazione’ cit., p. 88 e ss.; X. XXXXXXXXX, Prime riflessioni sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 848; X. XXXXXX, Le ristrutturazioni dei debiti e la con- tinuazione dell’impresa, in Fall., 2006 p. 101.
2 Che la tutela in concreta che il legislatore offre alle soluzioni concordate della crisi
d’impresa si appunti su un giudizio di meritevolezza e serietà dell’operazione praticamente rea- lizzata è affermazione piuttosto comune. In luogo di molti cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa cit., p. 313, nonché G.B. XXXXXXXXXX, Le nuove esenzioni del terzo comma cit., p. 14, il quale ricorda come nelle intenzioni del legislatore le esenzioni sono state introdotte al fine di «evitare che situazioni che appaiono meritevoli di tutela siano invece travolte dall’esercizio, sovente strumentale, delle azioni giudiziarie conseguenti all’accertata insolvenza del destinatario dei pagamenti».
3 G.B. XXXXXXXXXX, La relazione del professionista ed il giudizio di omologazione negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall. 2010 p. 216 e ss.
4 Con la precisazione che, ovviamente, occorre distinguere il problema dell’individuazione del momento in cui il giudizio sulla sussistenza dei presupposti per l’esenzione deve essere svol- to, da quello relativo al momento in cui gli accordi o i piani producono i loro effetti. Quanto ai primi, sulla questione del momento in cui l’accordo comincia a produrre i suoi effetti non v’è concordia di opinioni, per la specifica trattazione del problema sia consentito rinviare oltre. Quanto ai piani vi è concordia di vedute nell’individuare tale momento nella predisposizione della relazione dell’esperto che attesta il piano. Riguardo ai piani, peraltro, si pone anche la que-
dell’esenzione è collocata in un momento cronologicamente precedente all’apertura della procedura fallimentare, poiché temporalmente coincide con il riscontro positivo formulato dal tribunale che ha emesso il decreto di omologa- zione dell’accordo1.
Diverso, invece, il discorso con riferimento ai piani attestati: sarà il giudice chiamato a conoscere della domanda di revoca proposta dal curatore a dovere riscontrare i presupposti di applicazione dell’esenzione, tra i quali la ragionevo- lezza del piano al momento della sua predisposizione2.
Nella prima ipotesi, peraltro, il giudizio formulato dal tribunale ha portata, per così dire, generale: in sede di eventuale giudizio, promosso dal curatore per la revoca degli atti considerati dall’art. 67, comma 3 lett. e), l.f., il tribunale do- vrà limitarsi a verificare la sussistenza del nesso funzionale tra l’atto e l’accordo; gli sarà, invece, precluso qualsiasi sindacato sull’attuabilità dell’accordo stesso3.
Affatto diversa la situazione che riguarda i piani di risanamento: qui, infatti, il riscontro positivo circa il collegamento funzionale tra atto e piano4 deve ac-
stione della certezza della data della loro predisposizione e della loro attestazione, problema che è risolto alla stregua del generale rinvio all’art. 2704 c.c. In argomento cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit., p. 956.
1 Cfr., per tutti, E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale cit., p. 173 e ss..
2 Cfr. X. XXXXX, Art. 67 lett. d. cit., p. 487; X. XXXXX, Accordi di ristrutturazione e piani di risanamento cit., p. 105; G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 240; X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice cit., p. 92; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risana- mento cit., p. 960, la quale precisa che l’indagine del giudice deve essere rivolta, non soltanto a verificare che la relazione del professionista dia adeguato conto della coerenza tra il piano e gli obiettivi che esso deve perseguire, ma anche la prospettiva temporale di tale risanamento, al fine di verificare se esso sia stato posto in essere con il solo fine di favorire i c.d. creditori forti.; X. XXXXX, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli cit., p. 200, ove il rilievo che il giudizio che il giudice deve svolgere in sede di revocatoria costituisce «l’unico luogo processuale per compiere la verifica sulla sistemazione unilaterale del debitore neppure concordata (almeno esplicitamente) con i creditori; X. XXXXXXXXXX, Art. 67 cit., p. 288-289, il quale osserva come l’attestazione di ragionevolezza non sia condizione sufficiente a far scattare l’esenzione, poiché
«rimane la necessità […] di verificare se oggettivamente la proposta ex ante appariva idonea ai fini prefissati». L’A. prosegue rilevando come «l’attestazione dell’esperto sarebbe un requisito sine qua non, ma non sufficiente a garantire un’esenzione sulla base di un piano palesemente inidoneo»; X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari cit., p. 279.
3 Cfr. G.B. NARDECCHIA, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 107.
4 Cfr. C. X’XXXXXXXX, Art. 67 comma 3 lett. d), e), g) cit., p. 991; X. XXXXXXX, I piani di risanamento cit., p. 763.
tuto quante volte il curatore abbia promosso l’azione revocatoria.
Sia con riferimento ai piani sia agli accordi, centrale è il ruolo che assume la relazione del professionista2: rispetto al cui contenuto la dottrina che si è occu- pata del tema, non ha mancato di rilevare come la diversità terminologica utiliz- zata dal legislatore non valga ad indicare una effettiva differenziazione di attivi- tà e contenuti3: sebbene, con riferimento ai piani, il rinvio esplicito all’art. 2501- bis, comma 4, c.c. imponga di indicare espressamente la congruità del flusso fi- nanziario generato dall’operazione di finanziamento rispetto al fine dell’adempimento delle obbligazioni del debitore4.
1 Xxxxxxx, invece, che il giudice non possa sindacare il giudizio di ragionevolezza del piano, formulato dal professionista al momento della sua predisposizione X. XXXXXXXXX, La relazione del professionista nel piano di risanamento cit., p. 652 e ss., il quale ritiene che la fattispecie sia compiuta ed intangibile per effetto dell’attestazione di ragionevolezza formulata dal professioni- sta al momento della predisposizione del piano, e che il rimedio del ceto creditorio, avverso re- lazioni caratterizzate da imperizia o dolo, sia esclusivamente quello risarcitorio; nello stesso sen- so X. XXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 867.
2 Cfr., in luogo di molti, X. XXXXXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p.
121, il quale osserva come la condizione perché il tentativo di composizione stragiudiziale della crisi possa ricevere protezione dal legislatore, è che tale tentativo sia accompagnato dall’assunzione di responsabilità di un esperto, professionalmente qualificato, in ordine all’esistenza «di una precisa strumentalità fra gli atti da compiere in base al piano e il punto di arrivo: fra gli atti, cioè, e l’uscita dalla crisi». L’A. conclude nel senso che «il ruolo dei due isti- tuti di cui oggi parliamo [piani attestati e accordi di ristrutturazione] riposa dunque su un archi- trave di straordinaria importanza: quella della professionalità di un esperto assoggettato a rile- vanti responsabilità».
3 Cfr., tra i molti, X. XXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda – Gli accordi di
ristrutturazione e il piano di risanamento, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – atti del con- vegno, Torino 23-24 maggio 2008, a cura di X. Xxxxx, Milano 2009, p. 91-92; X. XXXXXXXXXXX, Clausole generali e autonomia negoziale nelle crisi dell’impresa cit., p. 709 e ss.; X. XXXXXXXX, Le nuove procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 272; X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio nella riforma del diritto fallimentare e la responsabilità per concessione abusiva del credito, in Dir. fall. 2010, I, p. 264; X. XXXXXXXXX, La responsabilità del professio- nista nei piani di sistemazione della crisi d’impresa cit., p. 890 e ss.; G.B. XXXXXXXXXX, Le nuove esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 255; G. LO XXXXXX, Le nuove procedure di crisi cit., p. 993; X. XXXXX, Il finanziamento delle imprese in crisi cit., p. 1236 e ss.;
4 Per tutti, Cfr. X. XXXXXXXX, op. loc. cit.; X. XXXXXXXXX, La relazione del professionista
nel piano di risanamento cit., p. 639. Si dubita, invece, se il rinvio, valga anche a richiamare il comma 4 dell’art. 2501-sexies del c.c., con la conseguenza che il professionista deve essere no- minato dal presidente del tribunale ove ha sede la società se essa è una s.p.a. o una s.a.p.a.. Pri- ma della modifica apportata dal decreto correttivo, la dottrina era propensa a ritenere che l’esperto, nelle ipotesi indicate, dovesse esse nominato dal presidente del tribunale. Successiva- mente a tale modifica, tuttavia, sembra prevalente la soluzione negativa. Per i termini del relati- vo dibattito Cfr. X. XXXXXXXXXX, La gestione della crisi d’impresa tra contratto e processo, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa a cura di F. Di Marzio e X. Xxxxxxx, Milano 2010, p. 2074 e ss., il quale ritiene che il professionista non debba, ma, eventualmente, possa, essere no- minato dal presidente del tribunale in cui la società ha la sua sede.
giudizio positivo, senza se e senza ma1, circa la concreta e seria probabilità del piano di raggiungere gli obiettivi che esso si prefigge2: giudizio, questo, che non può prescindere da una verifica della veridicità dei dati aziendali3; se pure si di- scute circa la necessità di una vera e propria attestazione del professionista in tal senso4.
La differenza tra i due istituti, per contro, si lascia apprezzare anche da un punto di vista, per così dire, soggettivo: intendendo con ciò riferirci ai soggetti che sono legittimati a contestare il piano o l’accordo ed i mezzi che essi posseg- gono per farlo.
Quanto agli accordi di ristrutturazione, il legislatore prevede che la loro omologazione debba essere pronunziata, con decreto motivato del tribunale, solo dopo che siano decise le opposizioni; consegnando il rimedio nelle mani di tutti coloro che ne abbiano interesse: in primis i creditori non aderenti all’accordo.
Diversamente, nei casi di piani attestati di risanamento: per essi, infatti, non è previsto alcun meccanismo di contestazione preventiva del piano5.
1 X. XXXXX, Il finanziamento delle imprese in crisi cit., p. 1240 e ss.
2 Cfr. X. XXXXXXXXX, L’attestazione di ragionevolezza cit., p. 647 e ss.;
3 Cfr. X. XXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 92; X. XXXXXXXX, Le
nuove procedure di composizione della crisi d’impresa cit., p. 273, il quale precisa anche che la relazione del professionista dovrà fornire adeguati elementi di valutazione dei fatti extracontabili posti a fondamento del piano; U. DECRESCIENZO-X. XXXXXXX, Il nuovo diritto fallimentare cit.,
p. 71; G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dalla revocatoria cit., p. 254 e ss.; X. XXXXXXXXX, La relazione del professionista nel piano di risanamento cit., 650 e ss.; X. XXXXX, Quale professio- nista per le nuove soluzioni delle crisi di impresa cit., p. 1069 e ss.; X. XXXXX, I piani di risana- mento e di ristrutturazione cit., p. 866.
4 Ritiene, tra gli altri, che la verifica della veridicità dei dati aziendali non presupponga an-
che un’espressa attestazione G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dalla revocatoria cit., p. 256-257.
5 Cfr., G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 240, il quale precisa, tuttavia, che un controllo incidentale sull’idoneità del piano a rimuovere lo stato d’insolvenza potrebbe relizzarsi in sede d’istruttoria prefallimentare; P.G. DE MARCHI, I piani di risanamento cit., p. 15, il quale rileva come non sia possibile una «contestazione preventiva ed autonoma del- la ragionevolezza della idoneità del piano, giacché manca l’interesse attuale dei creditori in tal senso»; E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 95, che definisce il piano di risanamento come l’ipotesi «più problematica ed inquietante dal punto di vista delle garanzie di tutela degli interessi dei creditori»; X. XXXXXXXXXXX, L’accordo di risanamento cit.,
p. 949 testo e n. (38) e p. 954, la quale individua i rimedi esperibili da parte dei non aderenti al piano, in una contestazione dello stesso, per così dire di secondo livello: distinguendo le conte- stazioni interne, provenienti dai soci di minoranza o dagli organi sociali di controllo, le quali passano per i rimedi concessi dal diritto delle società (impugnazioni delle delibere assembleari, delle decisioni del c.d.a., ricorso al tribunale ex art. 2409 c.c. ecc.), dalle contestazioni esterne, ossia provenienti da quei soggetti estranei alla compagine sociale, individuando lo strumento di
peraltro, opera anche sotto altro riguardo.
Si è ritenuto, infatti, che nonostante l’attestazione di ragionevolezza del pro- fessionista, il terzo non possa eccepire l’esistenza del piano, ai fini dell’esenzione di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), l.f., tutte le volte in cui lo stes- so, attraverso un autonomo giudizio, condotto sempre con la formula della pro- gnosi postuma, avrebbe potuto comunque accertarsi della concreta inidoneità del piano rispetto ai fini di risanamento perseguiti1.
Affermazione, quest’ultima, che secondo una parte della dottrina sembre- rebbe contrastare con un’impostazione oggettiva dell’accertamento del presup- posto di ragionevolezza del piano2, modellando la sussistenza dell’apparente idoneità del piano sulle conoscenze specifiche del singolo creditore, ed introdu- cendo un giudizio di secondo livello di cui non v’è traccia nella legge3.
Con riferimento ai piani attestati, è, comunque, da precisare che il rilievo della conoscenza soggettiva della persistente attuabilità dell’accordo, assume, in chiave sistematica, la funzione di risolvere uno dei nodi che il legislatore non ha sciolto: quella della sopravvenuta inidoneità del piano4.
tali contestazioni essenzialmente nell’istanza di fallimento, e nelle iniziative esecutive individua- li. La negazione della possibilità di contestare, in via giudiziaria, direttamente il piano ci pare non possa che essere condivisa. Vuoi per la natura squisitamente privata dell’istituto, vuoi per il rilievo che la carenza di pubblicità di tali accordi impedisce logicamente di prefigurare la possi- bilità di riconoscere, a tutti coloro che ne abbiano interesse il diritto di contestare l’atto: l’opposizione, infatti, sarebbe logicamente rimessa all’accidente della conoscenza, da parte dell’interessato, dell’esistenza del piano. Xxxxxxxxxxx, questa, che sembra contrastare con l’affermazione di un generale potere degli interessati di impugnare il piano. Ciò a tacere della circostanza che non sono individuati dal legislatore né i legittimati né i termini per proporre la contestazione, né, infine, la forma processuale di questa. Ritiene, invece, che anche avverso i piani attestati di risanamento sia possibile anticipare la contestazione X. XXXXX, Piano attestato di risanamento cit., p. 550.
1 Cfr. X. XXXXXXXX, I piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 1195 e ss.; X. XXX- XXXX, I piani di risanamento cit., p. 765; G.B. XXXXXXXXXX, Le esenzioni dall’azione revocato- ria cit., p. 261 e ss.; X. XXXXXXXX, La nuova disciplina dell’azione revocatoria, in Fall. 2006, p. 613.
2 X. XXXXX, Piano attestato di risanamento cit., p. 546.
3 Cfr. X. XXXXXX, Gli accordi di salvataggio cit., p. 163 n. (10). Di giudizio oggettivo sulla ragionevolezza del piano parlano anche X. XXXX, La nuova azione revocatoria fallimentare cit.,
p. 202 e ss.; X. XXXXX, Piano attestato cit., p. 546; X. XXXXXXXXXX, Art. 67 op. lo. cit.
4 In argomento Cfr. la dottrina citata supra n. 116. La questione s’è posta peraltro anche
con riferimento agli accordi di ristrutturazione del debito: Cfr. X. XXXXXX, Gli accordi di ristrut- turazione cit., p. 38.
durata del piano medesimo, che, pure, il legislatore ha mancato di disciplinare1, e, dall’altro, al rilievo che le previsioni contenute nel piano divengono meno ra- gionevoli in relazione all’ampiezza dell’arco temporale preso in considerazione nel formularle2.
Entrambi i problemi sopra evidenziati, pertanto, sembrano trovare la loro soluzione sul piano del riconoscimento dell’esenzione: quello della sopravvenu- ta inidoneità, attraverso la formulazione negativa del giudizio di apparente ido- neità del piano attestato3; quello della durata, attraverso la formulazione negati- va del giudizio di funzionalità dell’atto rispetto al programma di risanamento4.
È pertanto con riferimento ai modi ed ai tempi in cui deve esprimersi il giu- dizio di meritevolezza dell’esenzione che, ci pare, si colga la differenza più si- gnificativa tra accordi di ristrutturazione e piani attestati di risanamento, i quali costituiscono dei modelli, per larga misura, interscambiabili di soluzione nego- ziata della crisi d’impresa5.
1 Cfr. G.B. XXXXXXXXXX, Le nuove esenzioni dall’azione revocatoria cit., p. 249; G. DE MEO, I piani ‘di risanamento’ cit., p. 47-48. Osserva che la durata del tentativo di risanamento è, nella prassi, disciplinata direttamente dal piano stesso X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio cit.,
p. 1239. X. XXXXX, I piani di risanamento cit., p. 864 rileva che la durata del piano, nella prassi, si estende su un orizzonte temporale di 3-5 anni; nello stesso senso X. XXXXXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 124-125; X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice cit.,
p. 78; e, con riferimento agli accordi di ristrutturazione, X. XXXXXXXXX, Prime riflessioni sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 847. Per X. XXXXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit.,
p. 149 e ss. il piano può avere durata anche decennale, seppure nella prassi il termine sia di 3-5 anni.
2 Cfr. X. XXXXXXXX, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare cit., p. 185. In giuri-
sprudenza, sia pure con riferimento al piano predisposto in riferimento ad un accordo di ristrut- turazione dei debiti, Trib. Milano (decr.) 10 novembre 2009, con nota di X. XXXXXXXXXXX, Omo- logazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti e controllo giudiziale sull’attuabilità dell’accordo: orientamenti e prime divergenze giurisprudenziali, in Banca borsa e tit. cred. 2010, II, p. 731 e ss.
3 Cfr. G.B. NARDECCHIA, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 108, che rileva
come «l’apparenza, che giustifica l’esenzione da revocatoria, appare un requisito intrinseco del piano, così come esso è percepito dai terzi, requisito non assorbito dall’attestazione di ragione- volezza fornita dall’esperto».
4 Cfr. X. XXXXXXXX, op. loc. cit.; G. DE MEO, I piani ‘di risanamento’ cit., p. 48, il quale ha
cura di precisare che «lasciare il piano senza un orizzonte di durata idoneamente specifico apre la strada a vittoriose eccezioni da parte del curatore, il quale avrà gioco facile a dimostrare l’assenza di idoneo radicamento del singolo atto al piano, quando esso avvenga molto tempo do- po la sua formazione e attestazione».
5 Cfr. E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un novo procedi- mento concorsuale cit., p. 98, la quale precisa che la distinzione tra piani, accordi e concordato preventivo si coglierebbe sul piano dell’efficacia, delle modalità di raccolta del consenso «oltre
in concreto, tenendo conto sia della maggiore tutela che gli accordi di ristruttu- razione del debito offrono sotto il profilo della certezza dell’effetto di esenzione dall’esercizio dell’azione revocatoria, sia, e per contro, della maggiore pubblici- tà che essi determinano1.
La scelta tra i due modelli deve, oggi, tenere in adeguata considerazione an- che la circostanza che solo l’opzione a favore degli accordi di ristrutturazione dei debiti consentirà, ai creditori che decidono di prendere parte al tentativo di risanamento, di usufruire della prededuzione per i c.d. finanziamenti ponte e la nuova finanza erogata in funzione dell’accesso alla procedura ed in esecuzione del piano2.
Ciò oltre alla circostanza che solo rispetto agli accordi di ristrutturazione del debito il legislatore ha previsto la protezione dalle azioni esecutive e cautelari sia dopo il raggiungimento dell’accordo sia prima di tale fatto ed in vista della sussistenza delle trattative.
La differenza degli effetti legali connessi alla predisposizione di un piano attestato o di un accordo di ristrutturazione sembra rinviare alla volontà del legi-
che per il sistema di controllo da parte dell’autorità». Si muove in quest’ordine di idee anche X. XXXXXXXXX, op. loc. cit.; X. XXXXXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 125 e ss.; X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari cit., p. 283, il quale os- serva anche come l’istituto di cui all’art. 67, comma 3 lett. d), della legge fallimentare fosse stato pensato dal legislatore in alternativa a quello di cui all’art. 182-bis del medesimo testo normati- vo.; Sulla sovrapponibilità dei due istituti si muove l’affermazione per la quale gli accordi non omologati potrebbero valere, ricorrendone le condizioni, quali piani attestati di risanamento. In questo senso X. XXXXXXXX, La promozione e la tutela delle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa nella riforma della legge fallimentare, in xxx.xxxxxxxx.xx, p. 1 e ss.; X. XXXXXXXX, Piani di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 1207, il quale osserva come non sia da escludere «che la pianificazione «attestata» venga utilizzata per tentare di ottenere un’anticipazione degli effetti dell’esenzione, non ancora fruibile, allo stadio raggiunto dalla «ri- strutturazione» in corso, e per la non maturata decisione di qualche creditore «essenziale», e per la carenza del deposito presso il registro delle imprese ex art. 182-bis l. fall. ».
1 Cfr. X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio cit., p. 1239; X. XXXXXXXX, Art. 67 §§ 3.4-3.7 cit., p. 125.
2 È pacifico in dottrina che per i piani attestati non possa utilmente essere invocato il se-
condo comma dell’art. 111 l.f. al fine di usufruire della prededuzione ivi prevista; ciò in quanto gli stessi non possono essere qualificati come una procedura e, benché mai, come una procedura concorsuale. Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 92;
X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio cit., p. 1242; X. XXXXXXXX, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 97; C. D’AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Le nuove pro- cedure concorsuali per la prevenzione e la sistemazione delle crisi di impresa - atti del conve- gno, Lanciano 17-18 marzo 2006, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Milano 2006, p. 540; X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa cit., p. 320 e ss.
in misura più ridotta, l’intervento dell’autorità giudiziaria.
Chiariti i rapporti tra accordi di ristrutturazione e piani attestati di risana- mento, veniamo a definire i rapporti esistenti tra i primi ed il concordato preven- tivo.
2. Concordato preventivo ed accordi di ristrutturazione del debito
Uno dei temi cui la dottrina ha dedicato maggiore attenzione è stato quello dell’individuazione dei rapporti tra concordato preventivo ed accordi di ristruttu- razione del debito. La posizione del problema è stata favorita dalla considera- zione che anche gli accordi di ristrutturazione, analogamente al concordato, pre- vedono una fase giudiziale, con la conseguenza che, da subito, s’è posto il quesi- to della individuazione del corretto rapporto tra tali due istituti1.
La preoccupazione di inquadrare correttamente i rapporti tra accordi di ri- strutturazione e concordato preventivo non è stata, e non è tutt’ora, esclusiva- mente di natura concettuale: attribuire agli accordi di ristrutturazione la stessa natura del concordato preventivo significa risolvere, sul piano pratico, una serie di problemi che le poche norme2 dedicate dal legislatore agli accordi di ristruttu-
1 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXX, Crisi d’impresa cit., p. 228 E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli ac- cordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis legge fallim.) e gli effetti per coobbligati e fi- deiussori del debitore, in Dir. fall, 2005, I, p. 849 e ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Diritto fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali, Torino, 2006, p. 345 e ss.. Il pro- blema, poi, s’è posto, come visto, anche in considerazione del riferimento alla ristrutturazione quale contenuto possibile del piano concordatario, cfr. T.E. XXXXXXXXX, Il piano concordatario ed il suo contenuto, in Le altre procedure concorsuali, reati fallimentari, problematiche comuni- tarie e trasversali, fallimento e fisco, vol. III, diretto e coordinato da U. Apice, Torino 2011, p. 49.
2 Rileva, tra gli altri, come la disciplina dedicata dal legislatore agli accordi di ristruttura-
zione sia insufficiente U. DE CRESCIENZO-X. XXXXXXX, Il nuovo diritto fallimentare. Dal ma- xiemendamento alla legge n. 80 del 2005, Milano 2005, p. 67, i quali rilevano, sia pure con rife- rimento alla versione originaria dell’art. 182-bis l.f., che «la norma, limitandosi a descrivere sul piano fattuale il solo fatto storico dell’accordo e della sua entità, pecca di una visione eccessi- vamente pragmatica, alla quale sfugge una problematica giuridica invero assai articolata e com- plessa». Anche dopo le recenti modifiche che hanno interessato la lettera dell’art. 182-bis l.f., rilevano che la disciplina sia rimasta lacunosa X. XXXXX, Art. 182-bis sec. ed, in La legge falli- mentare. Commentario teorico-pratico, a cura di X. Xxxxx, Padova 2011 p. 2111 e ss.; L. GIRO-
all’inadempimento del debitore e delle conseguenze della dichiarazione di falli- mento sull’accordo.
2.a. Gli accordi di ristrutturazione come species del concordato preventivo
Nell’affermazione per la quale gli accordi sono una species del concordato preventivo si può scorgere una certa tentazione di ridurre il nuovo al vecchio; tentazione che è stata assecondata anche dalle incertezze con cui il legislatore ha delineato il nuovo istituto2.
Una parte della dottrina ha individuato nell’accordo di ristrutturazione una sorta di concordato semplificato, ovvero accelerato, ovvero, e ancora, rafforza- to3.
NE, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Le altre procedure concorsuali, reati fallimenta- ri, problematiche comunitarie e trasversali, fallimento e fisco, diretto e coordinato da U. Apice, Torino 2011, p. 517 e ss.
1 In quest’ordine d’idee espressamente X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei de-
biti, in Il diritto fallimentare riformato commentario sistematico, a cura di X. Xxxxxxx di Pepe, Padova 2007, p. 662; X. XXXXXXXXX, Art. 182-bis cit., p. 1081 e ss.; X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 523; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Le proce- dure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, a cura di X. Xxxxxx, Milano 2009, p. 664.
2 Per una breve sintesi delle vicende che hanno portato alla redazione della norma conte-
nente la disciplina degli accordi di ristrutturazione cfr. X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina del- le revocatorie fallimentari cit., p. 280 e ss.
3 In questo senso, tra gli altri, X. XXXXX, I nuovi strumenti di regolamentazione negoziale
dell’insolvenza e la tutela giudiziaria delle intese tra debitore e creditori: storia italiana della timidezza competitiva, in Fall. 2005, p. 485 e ss.; ID, Art. 182-bis, in La nuova legge fallimenta- re riformata. Commentario teorico-pratico, a cura di X. Xxxxx, Milano 2007, p. 1418 e ss; ID, Art. 182-bis, in La nuova legge fallimentare riformata cit. sec. ed. Milano 2011, p. 2111 e ss.;
M.R. GROSSI, La riforma della legge fallimentare, Milano 2005, p. 334; X. XXXXXXX, Gli ac- cordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis legge fallimentare: una occasione da non per- dere, in Dir. fall. 2006, II, p. 674 e ss.; X. XXXXXXXXX, Art. 182-bis cit., p. 1081 e ss.; X. XXXXX, Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis legge fallimentare, in Dir. fall., 2005, I, p. 873;
X. XXXXXXXX, La crisi dell’impresa. Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino 2009,
p. 203 e ss., il quale, se da un lato ritiene che il d.l. 14 marzo 2005, n. 35 abbia «introdotto nella legge fallimentare, con l’art. 182 bis, quella che può essere definita un sub-specie di concordato preventivo», dall’altro, osserva come il c.d. decreto correttivo abbia «accentuata la distanza di questo istituto dal concordato preventivo» stesso, pur dovendosi mantenere «anche in ragione della collocazione della norma che lo regola, almeno talune norme relative alla disciplina del concordato», espressamente riferendosi a quelle che ne regolano la risoluzione e l’annullamento;
X. XXXXXXXXX, Efficacia erga omnes degli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis, l. fall), in
per una maggiore limitatezza del suo contenuto1, e, dall’altro, per l’omissione della fase di ammissione alla procedura concordataria2.
È a quest’ultima evenienza che si allude quando ci si riferisce all’accordo quale concordato semplificato o accelerato3.
L’idea, invece, del concordato rafforzato valorizza, sia, e come detto, la maggiore celerità dell’istituto, sia, e soprattutto, la circostanza che il debitore chiede l’omologazione di un piano su cui ha già acquisito il consenso di un nu- mero qualificato di creditori4.
Tale circostanza ha indotto la dottrina ad assimilare l’istituto alla procedura di corporate reorganization, contenuta al Chapter 11 del Bankruptcy Code sta- tunitense5 – accostamento che, tuttavia, non è andato esente da critiche, sotto il profilo che anche nel più tradizionale concordato preventivo la presentazione del piano è “concordata” con una parte dei creditori, e, almeno da questo punto di vista, essa non è meno preconfezionata della prima6.
Le ragioni che hanno indotto una parte dei commentatori a collocare l’accordo nell’alveo del concordato preventivo sono diverse, e non tutte si muo- vono sullo stesso piano.
Contratto e impresa, 2011, p. 9 e ss.. In giurisprudenza cfr. Trib. Milano, 21 dicembre 2006, in
Fall., 2006, 670.
1 X. XXXXX, Art. 182-bis sec. ed. cit., p. 2125,. È, peraltro, da segnalare l’opinione di quan-
ti non ritengono che l’accordo abbia un contenuto inferiore rispetto a quello del concordato pre- ventivo. In particolare, X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 534 ritiene che «sem- bra molto più plausibile affermare che, anche in tema di accordi, possono essere utilizzati gli strumenti contemplati nell’art. 160 l.f. idonei ad incidere sulla struttura del debito dell’impresa e non solo sulle modalità di esecuzione delle obbligazioni preesistenti». In senso analogo X. XXXXXXXX, Le soluzioni concordatarie, in AA.VV. Diritto fallimentare, Milano 2008, p. 174
2 X. XXXXXXXXX, Art. 182-bis cit., p. 1088.
3 X. XXXXXXXXX, op. loc. cit..
4 X. XXXXX Sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 872-873.
5 Cfr., tra i molti, X. XXXXXXXXX, Prime riflessioni sugli accordi di ristrutturazione cit., p.
847; E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale, Padova 2009, p. 1 e ss.;. Più in generale, sulla procedura di reorganization di cui al Chapter 11 cfr. nella dottrina italiana, oltre a quella già citata, X. XXXXXX, Gli accordi di salva- taggio delle imprese in crisi cit., p. 10 e ss.; L.G. XXXXXX, La reorganization nel diritto fallimen- tare statunitense, Milano, 1993.
6 Il rilievoè di X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 21. Critica
l’affermazione per la quale gli accordi di ristrutturazione siano da assimilare alle soluzioni di
pre-packaged bankrupty, anche X. XXXXXXXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 345-346.
storia della genesi della norma. Non si è mancato di osservare come in sede di introduzione dell’istituto, i redattori del testo legislativo lo avessero pensato quale vero e proprio concordato1.
Accanto a questo primo argomento se ne sistemano altri che attengono alla collocazione della norma all’interno del corpo delle regole dettate dal legislatore per il concordato preventivo ed alla lettera stessa delle disposizioni di cui all’art. 182-bis l.f..
Si fa così osservare come la sistemazione “topografica” della norma nel cuore di quelle che il legislatore ha dedicato al concordato preventivo assume un chiaro significato in ordine alla natura degli accordi, che è quella di un concor- dato preventivo2. Tale rilievo, poi, sarebbe rafforzato dal richiamo esplicito che l’art. 182-bis l.f. compie con riferimento a due distinte norme dettate in tema di concordato preventivo: gli artt. 161 e 183 l.f.3.
Di poi non è si mancato di rilevare come, da un lato, di ristrutturazione del debito si parli anche all’art. 160, comma 1 lett. a), l.f. 4 e, dall’altro, che il rico- noscimento del potere di opporsi all’omologazione dell’accordo assume signifi- cato solo nella prospettiva dell’accordo quale concordato, essendo, altrimenti, incomprensibile il riconoscimento di tale potere5.
Più recentemente, inoltre, l’introduzione del blocco delle azioni esecutive e cautelari, dovuto all’intervento del decreto correttivo, ha indotto parte della dot- trina a ritenere non più revocabile in dubbio sia l’affermazione per la quale
1 X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari cit., p. 282, il quale osserva come «dapprincipio, infatti, l’obiettivo dell’art. 182-bis era di semplificare la procedura del concordato preventivo, qualora il debitore fosse riuscito a raccogliere, già prima della pre- sentazione del ricorso, un ampio consenso sulla sua proposta». Nel medesimo ordine di sugge- stioni si muove, peraltro, il richiamo al contenuto della Relazione illustrativa al d.l. n. 35/2005 per la quale «il concordato diviene lo strumento attraverso il quale la crisi dell’impresa può esser risolta anche attraverso accordi stragiudiziali che abbiano ad oggetto la ristrutturazione dell’impresa». Cfr. X. XXXXXXXXX Art. 182-bis cit., p. 1087.
2 X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 684 e ss.
3 X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari cit., p. 282; P. VA-
LENSISE, Art. 182-bis cit., p. 1087; X. XXXXX, Sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 871; Trib Milano 21 dicembre 2005, in Fall. 2006 p. 670 e ss.
4 X. XXXXX, Sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 871.
5 Cfr. X. XXXXXXXXX, Efficacia erga omnes cit., p. 10 e ss.
l’accordo è una procedura concorsuale sia quella per la quale lo stesso è una sot- tospecie di concordato.
Il blocco delle azioni esecutive, infatti, assume significato esclusivamente nell’ambito di una procedura concorsuale e, con riferimento al caso che qui ci occupa, assume il significato di escludere il concorso tra le azioni individuali dei creditori e quella collettiva.
Da ultimo, l’introduzione della c.d. prededuzione ha ulteriormente indotto parte della dottrina a ritenere che solo attraverso «acrobazie ermeneutiche» sia possibile negare e la natura concorsuale dell’istituto e la sua sussumibilità nella generale figura del concordato preventivo1.
2.b. Gli accordi di ristrutturazione quale fattispecie autonoma dal concor- dato preventivo
Non tutti gli argomenti fatti propri dalla tesi della natura concordataria degli accordi di ristrutturazione si muovono, lo si è detto, sullo stesso piano.
Poco o nulla affatto significativo, infatti, è parso quello che richiama l’intenzione storica del legislatore: le norme, una volta approvate ed immesse nell’ordinamento giuridico, assumono un’autonoma ed oggettiva consistenza, e tanto basta per svilire il significato della superiore argomentazione2.
Poco significativo è stato considerato, inoltre, il collocamento della norma all’interno del corpo delle regole dettate in tema di concordato preventivo: esso può essere al più un indizio, ma al fondo è la disciplina concreta dell’istituto che deve essere guardata, più che la sua collocazione nel complesso articolato della legge fallimentare3.
1 Cfr. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis legge fallim.) (pre- supposti, procedimento ed effetti della anticipazione delle misure protettive dell’impresa in crisi, in Dir. fall. 2011 p. 17.
2 Cfr. X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari cit. p. 282.
3 Di debolezza lampante degli argomenti che traggono origine dalla lettera e/o dalla collo- cazione “topografica” della norma parla, in generale, X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 22.
la ristrutturazione, come sopra visto, può essere realizzata anche in un contesto assolutamente distinto da quello concordatario, qual è quello proprio di un piano attestato di risanamento1, il che consente di escludere che logicamente sia neces- sario collocare l’accordo nell’alveo del concordato per il semplice fatto che at- traverso lo stesso è possibile realizzare la ristrutturazione del debito2.
Quanto alla previsione del diritto dei creditori non aderenti ad opporsi all’omologazione è stato efficacemente ribattuto come la previsione sia posta dal legislatore al fine di offrire ai creditori non aderenti uno strumento idoneo a re- spingere gli effetti delle c.d. esternalità negative che l’accordo può determinare per effetto della regola di esenzione. Tale regola, infatti, rendendo inattaccabili gli atti di disposizione posti in essere dal debitore in esecuzione dell’accordo è idonea a pregiudicare il diritto dei creditori estranei all’accordo di soddisfarsi, nel successivo fallimento, sui beni dell’imprenditore3.
Più in generale, poi, gli argomenti di ordine letterale sono stati ritenuti neu- tri rispetto al problema del corretto inquadramento della natura giuridica degli accordi di ristrutturazione4. Più significativi, invece, sono i richiami al blocco delle azioni esecutive ed al riconoscimento della prededuzione.
Il primo dei due argomenti, tuttavia, se senz’altro è idoneo ad ingenerare il dubbio sulla natura concorsuale dell’istituto (tanto che una parte della dottrina lo assimila, unitamente al riconoscimento della prededuzione dei finanziamenti c.d. ponte e quelli alla ristrutturazione5, ad un tarlo insidioso1), la sua capacità di fornire la prova della natura concordataria dell’istituto pare minore.
1 Cfr. X. XXXXXXXX, Le misure di incentivazione delle procedure concorsuali di composi- zione negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 2.
2 Rileva X. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi, in Autonomia negoziale
e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e X. Xxxxxxx, Milano 2009, p. 299, che il riferimento alla ristrutturazione del debito, che il legislatore compie sia riguardo agli accordi che al concor- dato preventivo, può, al più, legittimare il discorso in termini di affinità tra i due istituti, ma mai in termini di identità tra gli stessi.
3 Per tutti, cfr. X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 25 e ss.
4 Rileva come gli argomenti di ordine testuale non sembrano condurre ad un risultato ap-
pagante X. XXXXXX, Art. 182-bis, in Il nuovo fallimento, a cura di X. Xxxxxxxxxx Milano 2006, p. 777; X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice cit., p. 96.
5 Con riferimento alla disciplina dettata dal nuovo art. 182-quater l.f. cfr., tra gli altri, L. STAGNGHELLINI, Finanziamenti-ponte e finanziamenti alla ristrutturazione, in Fall. 2010, p. 12 e ss., il quale precisa come per finanziamenti-ponte debba intendersi quelli concessi all’impresa
xxxxxxx preventivo il legislatore non avrebbe avuto affatto bisogno di precisare che la pubblicazione dell’accordo determina il blocco delle azioni esecutive: se tanto s’è fatto segno si è che l’accordo non è riducibile ad un concordato2.
Più in generale, poi, si deve osservare come il blocco delle azioni esecutive ha lo scopo di assicurare la realizzazione della par condicio creditorum, costi- tuendo momento essenziale per l’effettiva realizzazione del concorso3. È proprio sotto questo profilo che, invece, gli accordi di ristrutturazione sembrano segnare uno dei punti di maggiore distanza con il concordato preventivo4.
La possibilità teorica di offrire a ciascuno dei creditori che partecipi all’accordo un trattamento differenziato, indipendentemente da qualunque con- siderazione sulla sua posizione giuridica ed economica5, convincono dell’idea che non si possa, con riferimento agli accordi, propriamente parlare di una pro- cedura concorsuale prima e di un concordato poi.
Il blocco delle azioni esecutive non sembra assumere nel concordato pre- ventivo la medesima funzione che esso ha nell’accordo di ristrutturazione6. La differenza di prospettiva si rende evidente ove si consideri il modo in cui tale blocco opera nei due istituti.
che stia tentando di giungere all’omologazione di un accordo di ristrutturazione o ad un concor- dato preventivo, mentre per finanziamenti alla ristrutturazione quelli concessi all’impresa dopo l’omologazione dell’accordo o del concordato.
1 X. XXXXXXX, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l’incentivo ai finan-
ziamenti nelle soluzioni concordate, in Fall. 2010, p. 902. Per G.B. NARDECCHIA, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 704, il blocco delle azioni esecutive costituirebbe un elemento distonico nella ricostruzione della natura contrattuale degli accordi.
2 X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 667.
3 R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1951 p., 12 e ss.
4 X. XXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti ed impresa in crisi, in Contratto e impre- sa, 2009, p. 410 e ss.
5 X. XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 412; X. XXXXXXX, L’ulteriore
up-grade cit., p. 902; X. XXXXXXXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 347 e ss.; G.B. XXXXXX- XXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 704; X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice cit., p. 102-103; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. Comm. 2009, I 663.
6 In prospettiva analoga, sembrerebbe, collocarsi X. XXXXXXX, «Competizione» fra proces- so per fallimento e accordi di ristrutturazione e altre questioni processuali, in Fall. 2010, p. 208, il quale precisa come «il divieto di azioni esecutive non mira ad evitare la concorrenza fra azioni esecutive individuali ed azioni esecutive collettive in quanto gli accordi, diversamente dal fallimento e dal concordato, non costituiscono una procedura concorsuale, ma un procedimento giudiziario rivolto a dare efficacia ad un accordo negoziale fra parti».
corso e fino a quella in cui sopraggiunge, alternativamente, o il decreto che di- chiara inammissibile la domanda ovvero quello di omologa. Il patrimonio del debitore, pertanto, iniziata la procedura, e finché essa perdura, non è lasciato esposto all’aggressione dei creditori.
Non così negli accordi di ristrutturazione. Qui i creditori non aderenti, ces- sata la moratoria che segue alla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, possono immediatamente aggredire il patrimonio del debitore1; ciò in- dipendentemente dalla circostanza che l’accordo sia stato omologato: ossia pen- dente la procedura di omologa, e, chiusasi questa favorevolmente al debitore, anche dopo l’omologazione e senza che sia per loro necessario, né possibile, ag- gredire l’accordo2.
La circostanza che il patrimonio del debitore possa essere aggredito anche durante il procedimento di omologa dell’accordo rende incongrua l’idea che la sospensione del blocco delle azioni esecutive sia funzionale all’attuazione del concorso con i creditori: perché, allora, il blocco avrebbe dovuto operare dalla data di pubblicazione dell’accordo e fino a quella di omologazione dello stesso3.
1 X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione: il primo “tagliando” a tre anni dal “decreto competitività, in Banca Borsa tit. cred., 2009, I, p. 62 e ss. il quale osserva come se si considera la circostanza che il Tribunale, prima di procedere all’omologa, deve attendere il decorso del termine per presentare le opposizioni – che è di trenta giorni dalla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese – appare chiaro che il termine per procedere all’omologazione, in pen- denza del termine di moratoria delle azioni esecutive e cautelari, è di appena trenta giorni.
2 Cfr. X. XXXXXXX, L’ulteriore up-grade cit., p. 902 e ss., il quale assimilando il procedi- mento previsto dall’art. 182-bis, comma 6, l.f. ad un procedimento cautelare, ritiene che il man- cato deposito dell’accordo nel termine di 60 giorni dalla pronuncia del decreto di inibitoria de- termini la cessazione degli effetti della moratoria; M.R. XXXXXX, La riforma della legge fallimen- tare cit., p. 2265 e ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 349 e ss. In giurisprudenza ha ritenuto che non fosse possibile la proroga della moratoria concessa ai sensi del nuovo com- ma 6 dell’art. 182-bis l.f., e che, pertanto, decorso il termine di legge i creditori potessero ripren- dere le loro azioni Trib. Novara 2 maggio 2011, in Fall. 2011 p. 1220-1221, con nota di X. XXXXXXXXX, Riflessioni sul procedimento cautelare ex art. 182 bis, sesto comma.
3 Cfr. X. XXXXXXX, «Competizione» fra processo per fallimento e accordo cit., p. 208, il quale, ritiene che la ragione del ridotto lasso temporale in cui i creditori non possono aggredire il patrimonio del debitore si giustifica proprio in ragione della diversa funzione che il blocco stesso assume: quella di consentire che il procedimento di omologa si snodi senza il timore che il pa- trimonio del debitore possa essere distratto dalla sua destinazione impressa secondo il piano og- gettivo dell’accordo. Rileva, peraltro, X. XXXXXXX, La “gestione privatistica dell’insolvenza” tra accordi di ristrutturazione e piani di risanamento, p. 307, in La nuova legge fallimentare “rivista e corretta”, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx che proprio il richiamo selettivo che l’art. 182-bis l.f. fa all’art. 168 della stessa legge dimostra, sia pure per implicito, come tale ultima norma non sia per sua natura applicabile agli accordi di ristrutturazione, confermando
Né maggiore convinzione ha suscitato il richiamo alla prededucibilità dei finanziamenti concessi al fine della presentazione della domanda di omologa- zione dell’accordo, ovvero, per la sua attuazione.
Sul piano sistematico, infatti, tale trattamento è stato spiegato quale ipotesi particolare che, ai sensi del comma 2 dell’art. 111 l.f., determina la prededuzio- ne del credito1: nulla a che vedere, pertanto, con la prededuzione concessa ai crediti sorti in funzione o in occasione di una procedura concorsuale.
Criticati gli argomenti posti a fondamento della tesi che vede negli accordi una specie di concordato preventivo, la dottrina e la giurisprudenza dominanti pervengono a riconoscere natura autonoma agli accordi di ristrutturazione del debito: ciò sulla base sia di argomenti di carattere letterale sia di argomenti di carattere sistematico.
Quanto ai primi, si evidenzia come l’art. 67, comma 3 lett. e), l.f., nel de- terminare l’esenzione degli atti, pagamenti e garanzie concesse in esecuzione di un accordo di ristrutturazione, considera separatamente gli accordi dai concorda- ti2: ciò mediante una congiunzione («nonché») che segnerebbe uno iato insupe- rabile tra i due istituti3.
Tale distinzione, poi, è esplicita anche nella rubrica del Titolo III l.f., che distingue i concordati dagli accordi4, nonché nello stesso riferimento al contratto insito nel nomen iuris dell’istituto5. Oltre a tale argomento, s’è osservato come nel concordato preventivo l’accordo si formi nella procedura e sia adottato a
«l’irriducibilità antologica dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis al concordato preventi- vo».
1 Cfr. X. XXXXXXX, L’ulteriore up-grade cit., p. 904; X. XXXXXX, Gli accordi di ristruttura-
zione cit., p. 530; L: STANGHELLINI, finanziamenti-ponte cit., p. 1352-1353.
2 X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 523; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrut-
turazione cit., p. 666.
3 Cfr. X. XXXXX, Considerazioni sul nuovo art. 182 bis della legge fallimentare, in Dir. fall.
2005, I, p. 878; X. XX XXXXXX, Il concordato preventivo cit., p. 889; X. XXXXXX, Art. 182-bis cit., p. 777.
4 X. XXXXXXXXX, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione del debito, in
Trattato di diritto commerciale, diretto da X. Xxxxxxx, Milano 2008, p. 163; X. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e X. Xxxxxxx, Milano 2009, p. 299; G.U. TEDESCHI, Manuale del nuovo diritto fallimen- tare, Milano 2006, p. 573.
5 Cfr. X. XX XXXXXX, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ cit., p. 75, il quale osserva come i ter- mini di contratto e di accordo siano tra loro largamente interscambiabili; X. XXXXXXXXX, Prime riflessioni sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 846; X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice cit., p. 95..
Qui l’accordo è raggiunto con i creditori prima della procedura1, e non è regola- to dal principio maggioritario, ma da quello dell’unanimità proprio dei contrat- ti2, alla cui categoria, pertanto, sarebbe da ricondurre3: l’accordo, si precisa, non è preso a maggioranza, ma con la maggioranza, dei creditori4.
La percentuale di cui al primo comma dell’art. 182-bis l.f., lungi dall’indicare una specifica maggioranza vale a determinare solo l’aliquota di creditori che debbono sottoscrivere l’accordo affinché lo stesso produca gli ef-
1 X. XXXXXXXXX, Il concordato preventivo cit., p. 163, X. XXXXXXXXX, Prime osservazioni sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 843; G. LO XXXXXX, Il concordato preventivo cit., p. 887.
2 X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 25.
3 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXXX, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione
cit., p. 172; X. XXXXX, Fallimento: le nuove regole introdotte con la l. n. 80/2005, in Dir. fall. 2006, I, p. 173; X. XXXXX, Piani attestati di risanamento e contratti di ristrutturazione del debi- to. La riorganizzazione stragiudiziale della s.r.l. in crisi, in RDS, 2011, p. 461 e ss.; F. DI MAR- ZIO, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ cit., p. 73 e ss.; ID, Il diritto negoziale della crisi d’impresa cit. passim; X. XXXXXXX, L’ulteriore up-grade cit., p. 898 e ss.; X. XXXXXXXXX, Prime osserva- zioni sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 842 e ss; X. XXXXXXXXX, Concordato preventivo, accordi dir ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento cit., p. 1170, il quale, peraltro, rileva come, a differenza che nel concordato, l’efficacia dell’accordo, dipendendo dalla sua pubblica- zione nel registro delle imprese, non è condizionata dal decreto di omologa, così come invece è per il concordato; ID, Le soluzioni giudiziarie delle crisi di impresa. La gestione della crisi nel diritto spagnolo e italiano, in Dir. fall. 2009, I, p. 123-124; X. XXXXXXX, Accordi di ristruttura- zione del debito e tipicità dell’operazione economica, in Autonomia privata e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e X. Xxxxxxx, Milano 2009 p. 259 e ss.; X. XXXXXXXX, Le soluzioni concor- datarie cit., p. 173 e ss. X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 523; X. XXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 1 e ss.; A. XXXXX-X. XXXXXXXXXX, Diritto della crisi delle imprese, Bologna 2009, p. 382; G.B. XXXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ed il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Fall. 2008, p. 703; X. XXXXXXX, Gli ac- cordi di ristrutturazione del debito, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da X. Xxxxxxxxx-
X. Xxxxx, Xxxxxx 0000, Vol. I, p. 545 e ss.; X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice cit., p. 95 e ss.; X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 23; C. PROTO, Accordi di ristrutturazione dei debiti, tutela dei soggetti coinvolti nelle crisi di impresa e ruolo del giudice, in Fall. 2007, p. 193; X. XXXXXX, Effetti legali e negoziali cit., p. 347; X. XXXXXXXXXXX, Omolo- gazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti e controllo giudiziale sull’attuabilità dell’accordo: orientamenti e prime divergenze giurisprudenziali, in Banca borsa tit. cred., 2010, II, p. 753 e ss.; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 661 e ss.; X. XXXXXXX, I nuo- vi assetti privatistici cit., p. 1035; X. XXXXXXX, Il contratto nelle crisi dell’impresa, in Obbliga- zioni e contratti, 2009, p. 486 e ss.. In giurisprudenza, Trib. Milano, 1o novembre 2009, in Crisi di imprese: casi e materiali a cura di X. Xxxxxxx, Milano 2011; Trib. Roma 5 novembre 2009, in Banca borsa tit. cred. 2010, II 731 e ss.; Trib. Udine 22 giugno 2007, in Fall. 2008, p. 701 e ss.; Trib. Milano 11 gennaio 2007, in Dir. fall., 2008, II, 136 e ss.; Trib. Milano, 23 gennaio 2007, in Fall. 2007, p. 701 e ss.; Trib. Enna 27 settembre 2006, in Fall. 2007, p. 195 e ss.; Trib. Bre- scia 22 febbraio 2006, in Fall. 2006, p. 609 e ss.; Trib. Bari 21 novembre 2005, in Fall. 2006,
p.479 e ss.
4 X. XXXXXXXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 346; M.R. XXXXXX, La riforma della legge fallimentare cit., p. 2266, la quale, pur affermando che l’accordo costituisca una procedura sem- plificata, riconosce che rispetto ad esso non si possa parlare di maggioranza.
e che liberamente poteva fissare anche al di sotto, o al di sopra, del 60%, con ciò rendendo evidente che di maggioranza non si possa parlare, atteso che i creditori non possono essere considerati, nell’accordo, come collettività1.
Non s’è mancato, poi, di rilevare come il deposito del ricorso per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione non determini né lo spossessa- mento del debitore2, né la nomina di un soggetto terzo che controlli l’esecuzione dell’accordo stesso3: nessun organo della procedura, né alcun provvedimento che ne dichiari l’apertura4.
Infine, il concordato preventivo ha effetto anche verso i creditori che non lo hanno approvato, l’accordo di ristrutturazione no5.
1 X. XXXXXX, op. loc. cit..
2 Rileva come la carenza di tale effetto determini l’allontanamento dell’accordo di ristrut-
turazione, non solo dal concordato preventivo, ma anche, e più generalmente, dal concetto di procedura concorsuale, A. XXXXX-X. XXXXXXXXXX, Diritto della crisi cit., p. 382.
3 X. XXXXXXX, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l’incentivo ai finan-
ziamenti nelle soluzioni concordate, in Fall. 2010, p. 902; G.B. NARDECCHIA, Gli accordi di ri- strutturazione dei debiti cit., p. 704; ID La protezione anticipata del patrimonio del debitore ne- gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall. 2011, p. 708. In giurisprudenza ha da ultimo escluso qualunque intervento del Tribunale teso a verificare la corretta esecuzione dell’accordo Trib. Terni 4 luglio 2011, in xxx.xxxxxx.xx.
4 X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione: il primo “tagliando” cit., p. 53; X. XXXXXX,
Art. 182-bis cit., p. 777; X. XXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis, l. fall.: natu- ra, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in Contratto e impresa, 2011, p. 1311 e ss.; X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari cit., p. 282.
5 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXXXXX-P.G. DE MARCHI, Il nuovo concordato preventivo e gli
accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano 2005, p. 177 e ss.; X. XXXXXXX, Crisi d’impresa cit., p. 229 e ss.; X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione: il primo “tagliando” cit., p. 46 e ss.; X. XXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 412 e ss.; X. XXXXXXX, Xx trasforma- zioni della legge fallimentare, in Foro it., 2005, V, 153 e ss.; X. XXXXXXX, Accordi di ristruttura- zione del debito e tipicità dell’operazione economica, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa a cura di F. Di Marzio e X. Xxxxxxx, Milano 2009, p. 260; X. XXXXXXXXX, Concordato preventi- vo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento dell’impresa cit., p. 1156 e ss.; X. XXXXXXXXX, Accordi di ristrutturazione del debito e tipicità cit., p. 1072; X. XXXXXXXXXXXX, Di- ritto fallimentare cit., p. 346 e ss.; X. XXXXXXX, La “gestione privatistica dell’insolvenza” tra accordi di ristrutturazione e piani di risanamento, in La nuova legge fallimentare “rivista e cor- retta”, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Milano 2008, p. 277; X. XXXXXXXXX, Prime riflessioni sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 844 e ss; ID, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge 80/2005 cit., p. 1445 e ss; E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182bis legge fallim.) e gli effetti per coobbligati e fideiussori cit., p. 851; X. XXXXX, Le soluzioni concordate delle crisi di impresa cit., 1453; X. XXXXXX, Art. 182-bis cit., p.778; X. XXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall.: natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in xxx.xxxxxx.xx doc. n. 263/2011, p. 1 e ss.. il quale rileva, inoltre, come «in considerazione della piena autonomia e libertà del debitore di scegliere sia i creditori con cui accordarsi, sia il contenuto dell’accordo, risulta del tutto assente
scorso sia complicato da una considerazione di fondo: tutte le volte che si riten- ga che gli accordi di ristrutturazione siano una species del concordato preventivo si afferma, per conseguenza, che la disciplina generale di tali accordi debba es- sere rinvenuta in quella propria degli artt. 160 e ss. l.f.
In questa prospettiva, il “travaso” della disciplina propria del concordato preventivo in quella degli accordi di ristrutturazione impone di considerare co- me non acquisito il dato dell’inefficacia dell’accordo rispetto ai terzi.
Sulla questione deve, in premessa, essere precisato che l’argomento letterale ricavabile dall’art. 182-bis, comma 1, l.f. – e si allude al riferimento al concetto di regolare pagamento – non è risolutivo1: se ne è, infatti, osservata l’insufficienza a giustificare pienamente la conclusione che la norma imponga che i creditori estranei all’accordo siano pagati per intero.
Nulla, infatti, assicura che il concetto di regolare pagamento coincida con quello di integrale pagamento2, atteso che, contrariamente a quest’ultimo, l’aggettivo vale anche ad indicare il fatto della conformazione del pagamento ri- spetto ad un diverso parametro, che non sia il titolo originario3. Il riferimento, per questa via, è alle regole dell’accordo omologato.
quell’elemento di universalità che contraddistingue qualsiasi procedura concorsuale, che in mo- do diretto o indiretto investe l’intera comunità dei creditori»; X. XXXXXX, Il concordato preventi- vo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano 2010, p. 300; X. XXXXXXXXX, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari cit., p. 282; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione del debito cit., p. 140; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 665 e ss. In giurispru- denza cfr. Trib. Milano 23 gennaio 2007 cit., Trib. Brescia 22 febbraio 2006 cit., Trib. Roma 16 ottobre 2006, in Fall. 2007, p. 187 e ss.; e in tutte l’affermazione che l’accordo deve assicurare l’integrale pagamento dei creditori rimasti estranei all’accordo.
1 Cfr. X. XXXXXXX, Il regolare pagamento dei creditori estranei agli accordi di cui all’art.
182-bis l. fall., in Foro it., 2006, I, p. 2564 e ss.; ritiene ambigua tale espressione anche A. GEN- TILI, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi cit., p. 303, in quanto la norma non chiarisce se il concetto di pagamento regolare – ossia secondo le regole dell’accordo – vada riferito all’accordo o all’originario titolo.
2 In questo senso, invece, C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione del debito cit., p. 140,
3 In questo senso, X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 688; X. XXXXX, Sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 873, per il quale l’espressione «regolare paga- mento dei creditori estranei» all’accordo deve intendersi come «pagamento dei creditori estranei all’accordo secondo le regole dell’accordo» omologato.
relatività degli effetti contrattuali (cfr. art. 1372 c.c.)1; ciò perché si assume per presupposto quello che, invece, deve essere dimostrato2, ossia che si sia in pre- senza di un contratto di diritto comune anziché di un concordato3, al quale, pe- raltro, parte della dottrina ha sempre riconosciuto natura contrattuale4.
Per impostare il problema di cui si discute, è utile riassumere i punti più si- gnificativi su cui la tesi che nega la possibilità di estendere ai non aderenti gli effetti dell’accordo poggia.
A monte di tale tesi si colloca l’idea che l’accordo sia un contratto, e perciò retto dal principio dell’unanimità. Da tale idea deriva quella per la quale l’accordo possa prevedere, come già accennato, per ciascun singolo creditore, un trattamento differenziato5: sicché, rispetto ad esso, non avrebbe alcun senso di- scutere di classi6.
1 Cfr., tra gli altri, X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 526; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 140; X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 25 e ss.. Deve, peraltro, essere notato come è proprio dalla circostanza che l’art. 1372 c.c. già disponga il principio di relatività degli effetti che una parte della dottrina ha ritenu- to di potere argomentare nel senso dell’efficacia dell’accordo anche verso i non aderenti; che altrimenti la precisazione della necessità del regolare pagamento sarebbe di per sé superflua. In questo senso cfr. X. XXXXX, Sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 870.
2 X. XXXXXXXXX, Efficacia erga omnes cit., p. 12 il quale rileva come «l’art. 1372 c.c. fa salvi i casi previsti dalla legge, sicché il punto da verificare è se questo [ossia quello del paga- mento secondo la regola performativa dell’accordo] debba considerarsi o meno uno di tali casi».
3 L’utilità del richiamo al principio di relatività degli effetti contrattuali è criticato anche da
A. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi cit., p. 306 e ss., ma sulla base della di- versa considerazione per la quale a non potersi estendere al terzo sono solo gli effetti sfavorevoli del contratto, non quelli favorevoli: di modo che, qualora l’accordo consentisse un’effettiva e maggiore soddisfazione rispetto alla liquidazione fallimentare, non vi sarebbero ragioni per ne- garne l’estensione anche ai non aderenti, ciò in quanto si dovrebbe ammettere che il terzo possa subire effetti sfavorevoli (es. la riduzione del credito) quante volte essi siano strumentali alla produzione degli effetti favorevoli (es. la ragionevole certezza di percepire una somma maggiore rispetto a quella astratta di liquidazione fallimentare) che superino quantitativamente i primi. La tesi, tuttavia, non è condivisa da F. DI MARZIO, Il diritto negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 105 e ss.
4 In argomento vedi ampiamente X. XX XXXXXX, Il diritto negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 166 e ss.
5 Cfr., tra gli altri, X. XXXXX, Fallimento: le nuove norme cit., p. 173; X. XXXXXXX,
L’ulteriore up-grade cit., p. 902.
6 Chiaramente sul punto X. XXXXXXXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 346, il quale osser- va come ancorché l’accordo preveda, di regola, un trattamento paritario per creditori aventi po- sizioni ed interessi omogenei, rispetto ad essi non si possa parlare di “classi” in senso giuridico. Cfr. anche X. XXXXXXXXX, Prime riflessioni sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 846 che os- serva come per l’adozione di un trattamento differenziato per ciascuno dei creditori aderenti all’accordo non sia affatto necessaria la suddivisione dei creditori in classi, così come, invece,
La superiore affermazione si lega a quella per la quale l’accordo non può produrre effetto per i terzi sotto il rilievo che l’impossibilità giuridica di attribui- re al trattamento riservato a ciascuno dei creditori aderenti all’accordo il signifi- cato di “trattamento di classe” impedisce, poi, che per i non aderenti all’accordo possa essere individuata una “classe” di riferimento sulla cui base determinare il concetto di pagamento regolare1.
Le superiori considerazioni, tuttavia, sono state criticate da una parte della dottrina, la quale ha ritenuto di potere affermare che anche per i creditori ade- renti ad un accordo di ristrutturazione sia possibile la suddivisione in classi e, per questa via, la possibilità di estendere l’efficacia dell’accordo ai non aderen- ti2.
Allo scopo è sembrato sufficiente affermare che il piano di ristrutturazione, presentato congiuntamente all’accordo per l’omologa, preveda la suddivisione dei creditori in classi: raccolto il consenso dei creditori che rappresentano il 60% del crediti, se ne potrebbe imporre l’esito agli estranei, ciascuno dei quali da trattare secondo le regole della classe di appartenenza.
Occorre premettere che la tesi per la quale l’accordo di ristrutturazione co- stituisce una specie di concordato considera l’aliquota del 60% quale maggio- ranza rafforzata richiesta per l’approvazione del piano sotteso allo stesso accor- do3. La disciplina di cui all’art. 182-bis l.f., pertanto, predisporrebbe una deroga
avviene nel concordato preventivo; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 663. Nello stesso senso anche X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 681.
1 È questo il significato più profondo del rilievo svolto in dottrina per il quale l’idea che al
terzo possa essere applicata la regola dell’accordo si scontra con la difficoltà di individuare tale regola quando i creditori sono trattati in modo differenziato: cfr. X. XXXXXXXX, I nuovi accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 143; X. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti: la “meno incerta” via” cit., p. 708. In questo senso non sembrano condivisibili le osservazioni di
X. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi cit., p. 305, per le quali, invece, tale ec- cezione si muove solo su un piano prativo. Il problema, infatti, non è quello di individuare una “classe” di riferimento, ma se abbia senso parlare di “classi” con riferimento ad un contratto, ri- spetto al quale, ciò che viene a mancare, è l’obbligo del trattamento paritetico dei stessi creditori astrattamente riconducibili ad una stessa classe.
2 X. XXXXX Art. 182-bis sec. ed cit., p. 2133; X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione
cit., p. 545, la quale, pur aderendo alla tesi della natura contrattuale degli accordi ritiene ugual- mente possibile che i creditori aderenti siano suddivisi in classi; X. XXXXXXXXX, Effetti erga omnes cit., p. 14.
3 Cfr. X. XXXXX, Art. 182-bis sec. ed. cit., p. 2133, il quale, da un lato, osserva come i cre-
ditori estranei «non sono estranei all’accordo se non quanto alla sua formazione iniziale e quale requisito di accesso alla procedura, non avendo espresso adesione preventiva, mentre la possibi-
creditorio ed imporrebbe, proprio in considerazione della rinunzia al metodo as- sembleare, che la maggioranza per l’approvazione del piano sia più elevata di quella prescritta dalla disciplina generale dettata per il concordato.
Ciò posto, la tesi per la quale gli effetti dell’accordo sarebbero estendibili ai creditori non aderenti finisce per consentire che il debitore consideri il singolo creditore come inserito in una specifica classe nel momento in cui predispone il piano, salvo poi considerarlo nella sua singolarità – separatamente cioè dalla classe cui appartiene – nel momento in cui ne viene raccolto il consenso.
In altri termini, se si parte dall’assunto che si sia in presenza di un concor- dato preventivo e che, pertanto, il creditore che aderisce, ove sia previsto un trat- tamento differenziato per gli aderenti all’accordo, è, pur sempre, inserito in una classe, allora si dovrebbe anche ritenere applicabile la regola prevista dall’art. 177, comma 1, l.f.1, per la quale «ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior nu- mero di classi2».
Di tale regola, tuttavia non v’è traccia nell’art. 182-bis l.f.3, il quale, invece, si accontenta della semplice circostanza che all’accordo abbiano aderito tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti4.
lità dell’opposizione o del suo rigetto trasformerebbero anche il difetto di consenso espresso in partecipazione adesiva o comunque nell’esaurimento delle facoltà di manifestazione del proprio intento negoziale» e dall’altro, afferma come la «vestizione processuale dell’accordo di ristruttu- razione dunque opera, come per il concordato preventivo ordinario, la trasformazione della vo- lontà della maggioranza (più alta di quella dell’art. 177 l.f.) in un vincolo anche sulla sorte dei creditori che non hanno preso parte formale alla sua confezione privatistica»; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 689 e ss.; X. XXXXXXXXX, Effetti erga omnes cit., p. 9 e ss.; X. XXXXX, Sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 872.
1 Affermazione che non sembra possibile revocare in dubbio se si parte dal presupposto che gli accordi siano specie del genere concordato preventivo.
2 In questo senso cfr. X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 25, il qua- le osserva come contro l’idea per la quale gli accordi costituiscono una specie di concordato la- vori la considerazione che «manca nella legge qualsiasi elemento che possa far ritenere che i creditori siano considerati come collettività, prerequisito essenziale per potersi immaginare l’applicazione della regola di maggioranza». L’A., peraltro, osserva come la possibilità di oppor- si all’omologazione non valga ad imputare la volontà altrui ai creditori estranei all’accordo.
3 X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 681.
4 Un esempio può chiarire il problema. Si ipotizzi che un debitore abbia debiti per 100, e
divida i suoi creditori in 3 classi comprensive di creditori che rappresentino crediti per 50 la prima, per 24 la seconda e 26 la terza. Ipotizziamo, poi, che della prima classe aderiscano credi- tori che rappresentino crediti per 40, mentre della seconda e della terza creditori che rappresenti-
ordine al raggiungimento delle maggioranze nelle classi conferma la tesi per la quale l’aliquota del 60% non costituisce affatto una maggioranza, ma, più limi- tatamente, una condizione necessaria all’omologazione dell’accordo1.
Affermazione, questa, che si mostra oltremodo evidente ove si consideri che ritenere che l’aliquota del 60% costituisca una maggioranza significa introdurre un presupposto non sempre vero nel ragionamento. Ai fini del computo di tale aliquota, infatti, vengono in considerazione anche i crediti muniti di una legitti- ma causa di prelazione2, i quali, invece, non sono, di regola, computati ai fini del computo delle maggioranze di cui all’art. 177 l.f.3.
Quanto sopra, senza considerare che l’idea che nell’accordo vi possa essere la formazione di classi finisce per pretermettere completamente il controllo pre- ventivo del Tribunale sulla correttezza della formazione delle classi4, il quale non sembrerebbe essere recuperato nel giudizio di opposizione alla richiesta di
no crediti per 10: qui avremo il 60% delle adesioni, ma non la maggioranza delle classi: la se- conda e terza, infatti, dovrebbero essere considerate come dissenzienti. La circostanza, poi, che l’aliquota del 60% sia, per così dire, un’aliquota “secca” è confermata, oltre che dalla lettera dell’art. 182-bis, comma 1, l.f., il quale, peraltro, non fa rinvio all’art. 177 l.f., anche da quella del nuovo art. 182-quater, comma 5, l.f., il quale fa riferimento al solo «computo della percen- tuale dei crediti previsti dall’art. 182-bis, primo e sesto comma» sic!
1 X. XXXXXXXXX, Accordi di ristrutturazione del debito e tipicità cit., p. 1080; X. XXXXXXX,
Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi cit., p. 299 n. (28); X. XXXXXX, Gli accordi di ristrut- turazione dei debiti cit., p. 23-24.
2 Cfr. X. XXXXX, Fallimento: le nuove norme cit., p. 173; X. XXXXXX, Gli accordi di ri-
strutturazione: il primo “tagliando” cit., p. 73-74; X. XXXXX, Xxxxx attestati di risanamento e contratti di ristrutturazione del debito cit., p. 466; X. XXXXX, Art. 182-bis sec. ed. cit., p. 2132;
X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 544-555. Tribunale Brescia, 22 febbraio 2006, in Fall. 2006, p. 609 e ss.; X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 24; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 663. Contra X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 689 e ss.; il quale ritiene che i crediti assistiti da una causa di prelazione non siano computati nell’aliquota del 60%, proprio perché «diversamente opinando, si potrebbero fare accordi con maggioranze sostanzialmente inferiori» a quelle previste dall’art. 177 l.f.; X. XXXXXXXXX, Effetti erga omnes cit., p. 14. In giurisprudenza, a favore della tesi che ritiene neces- sario computare nell’aliquota del 60% anche i privilegiati Trib. Brescia 22 febraio 2006, in Fall. 2006, p. 669 e ss..
3 Il rilievo è di X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa cit., p. 328 n. 52. Il rilievo è condiviso
anche da X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 24.
4 Cfr. X. XXXXXXXXX, Prime riflessioni sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 846; X.
XXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 687. È, peraltro, da rilevare come anche per l’opposta tesi della divisibilità dei creditori aderenti in classi, è pur sempre necessario che tale formazione sia attuata alla stregua «di categorie civilistiche o classi controllabili ex ante», così X. XXXXX, Art. 182-bis sec. ed. cit., p. 2133.
all’accordo, ma anche perché un tale controllo esula dal contenuto tipico del controllo che l’art. 182-bis l.f. affida al tribunale2.
Né si trascuri il rilievo per il quale la possibilità di incidere sui diritti dei terzi, presuppone che essi siano inseriti in un procedimento nel quale possano comunque fare valere il loro diritto manifestando o meno la loro adesione alla soluzione della crisi prospettata3, circostanza, questa che non si verifica negli accordi di ristrutturazione del debito4.
1 Rileva, in particolare, X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 681, che non è in alcun modo possibile recuperare al tribunale il controllo sulla correttezza delle for- mazioni delle classi, proprio perché la possibilità di tale suddivisione manca negli accordi di ri- strutturazione.
2 Cfr., tra gli altri, X. XXXXX, Considerazioni sul nuovo art. 182 bis cit., p. 878 che ritiene incomparabili i due tipi di controllo che il Tribunale è chiamato a svolgere nel concordato pre- ventivo e nell’accordo di ristrutturazione.
3 Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa cit., 327, il quale osserva come «imprescindibi-
le contrappeso al fatto che si intende estendere gli effetti del piano agli eventuali creditori dis- senzienti è che tutti i creditori devono essere preventivamente consultati […]. Sarebbe sempli- cemente inconcepibile che la legge consentisse ad alcuni creditori di ridefinire i diritti degli altri senza dare a questi ultimi la possibilità di esprimersi […]. Le parti di un accordo di ristruttura- zione, che per essere omologato deve avere l’adesione del sessanta per cento dei crediti, potreb- bero avere già la maggioranza per l’approvazione del concordato, ma se vogliono estenderne gli effetti a tutti i creditori devono consultarli tutti preventivamente». Sulla base di tali premesse, peraltro, l’A. giunge a prospettare una possibile questione di costituzionalità dell’art. 182-bis l.f. ove fosse interpretato nel senso di ritenere conformativo l’accordo anche per i non aderenti. A conclusioni non dissimili giunge anche X. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi cit., p. 308-309, il quale nega che gli effetti conformativi dell’accordo possano essere estesi ai terzi in quanto «non si formano le condizioni sostanziali e procedimentali per stabilire se gli ef- fetti della ristrutturazione proposta sono a ben vedere prevalentemente favorevoli, e così deroga- re legittimamente al principio di intangibilità del terzo»; G. LO XXXXXX, Gli accordi di ristruttu- razione cit., p. 1053; X. XXXXX, Crisi d’impresa e ruolo del giudice cit., p. 72-73 e 97; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione del debito cit., p. 140. Nello stesso ordine di idee anche M. CAF- FI, Considerazioni sun nuovo art. 182 bis cit., p. 880-881, che osserva, inoltre, come la tutela dei creditori estranei non possa avere equipollenti nel solo rimedio oppositorio, atteso che ben diffi- cilmente un creditore dissenziente potrà, per mezzo della pubblicazione, venire a conoscenza dell’accordo. Sulla questione cfr. anche M.R. XXXXXX, La riforma della legge fallimentare cit., p. 2267-2268; X. XXXXX, Sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 872, il quale, seppure ritiene che l’accordo possa produrre effetti conformativi anche verso i non aderenti, condivide le perplessità in ordine alla tenuta costituzionale dell’art. 182-bis l.f., ma ritiene che il problema possa essere superato sul piano pratico; ciò attraverso l’applicazione di una “buona prassi”, consistente nell’informazione, data dal debitore a ciascuno dei creditori, in ordine alla pubblicazione dell’accordo: fatto, questo, che consentirebbe di recuperare l’efficacia del rimedio oppositorio, astrattamente frustrato dal collegamento del termine per opporsi alla omologazione dell’accordo al momento della sua pubblicazione nel registro delle imprese.
4 Su tale differenza, che traduce quelle tra contratto e delibera, X. XX XXXXXX, Il diritto ne-
goziale della crisi d’impresa cit., p. 105 e ss., ritiene di poggiare l’insanabile frattura tra accordi di ristrutturazione, che sarebbero da ascrivere alla categoria del contratto, e concordato preventi- vo, che, invece, sul piano negoziale meglio risponderebbero a quella della deliberazione.
mento all’accordo di ristrutturazione, sia corretto parlare di classi di creditori se non in senso meramente descrittivo1. La conseguenza è che mancando la classe di riferimento manca la stessa logica possibilità di estenderne il trattamento ai non aderenti, i quali non possono essere considerati “creditori di classe”.
Il fatto che l’accordo non possa produrre gli effetti di cui all’art. 184 l.f. di- mostra come l’accordo non possa essere ridotto ad una species del concordato preventivo. L’idea, infatti, che l’accordo costituisca un concordato semplificato, o rafforzato, vale a giustificare le differenze disciplinari tra accordi e concordati che si registrano nella fase precedente l’omologa: ma non quelli che si registra- no successivamente a tale momento.
L’idea di un concordato semplificato, infatti, assegna all’accordo il compito di sostituire, nel procedimento concordatario, le sole fasi dell’ammissione alla procedura e della votazione2, ma gli effetti dell’accordo dovrebbero essere i me- desimi di quelli del concordato: ciò, tuttavia, non è3.
3. La natura non concorsuale degli accordi di ristrutturazione
Gli accordi di ristrutturazione, lo si è visto, sono una procedura; ma sono anche una procedura concorsuale?
L’interrogativo, prima delle modifiche apportate dal decreto correttivo e dalla recente riforma del 2010, riceveva una risposta (negativa) piuttosto sem-
1 X. XXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 689, il quale osserva come «diviene irrilevante formare delle classi, perché le classi sono espressive pur sempre di trattamenti omogenei, mentre negli accordi se ne prescinde; ciò non esclude che per sua comodità il proponente formi delle classi, ma queste assumono un significato meramente interno».
2 Cfr. X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 689 e ss.
3 Per cercare di mitigare il valore di tali osservazioni, una parte della dottrina che riconduce gli accordi ad una sottospecie di concordato, ritiene di assimilare la posizione dei creditori estra- nei a quella dei privilegiati: in questo senso X. XXXXXXXXX, Art. 182-bis cit., p. 1087. Si tratta, tuttavia, di un accostamento incongruo ove si consideri che nella disciplina del concordato pre- ventivo l’imprenditore può, a certe condizioni, proporre che al privilegiato non venga pagato l’intero credito, ed è la maggioranza che, pur sempre, decide: fatto, questo, che in nessun caso è ammesso nell’accordo di ristrutturazione.
plice e rassicurante per quanti ritenevano di dovere spiegare la natura degli ac- cordi facendo riferimento alla categoria del contratto, oggi si complica in ragio- ne del riconoscimento sia del blocco delle azioni esecutive1 sia della prededu- zione.
Entrambi costituiscono, prima facie, indici di concorsualità. Anche prima che il legislatore avesse introdotto la prededucibilità dei crediti sorti per il finan- ziamento alla ristrutturazione, peraltro, una parte della dottrina aveva ritenuto che senz’altro fosse necessario riconoscere agli accordi natura di procedura con- corsuale: ciò, oltre per il richiamo al blocco delle azioni esecutive, anche in con- siderazione dell’effetto legale tipico che essi producono. L’esenzione dalla re- vocatoria.
Si è, in specie, osservato che la concorsualità non emergerebbe in modo uguale con riferimento a tutte le procedure, e, soprattutto, che i vari indici di concorsualità non è detto che debbano essere presenti tutti con la stessa intensità e nello stesso momento2.
La presenza del blocco delle azioni esecutive e l’esenzione dall’azione re- vocatoria sarebbero, pertanto, indici più che sufficienti della concorsualità degli accordi di ristrutturazione: il primo, poiché funzionale alla procedura, la secon- da, poiché chiaramente la sua presenza determina l’incidenza della procedura stessa su tutti i creditori3.
L’esito del ragionamento, se da un lato, e come detto, vale a riconoscere agli accordi di ristrutturazione natura concorsuale, dall’altro vale, soprattutto, a consentire un approccio più lineare ad un tema che la dottrina ha affrontato, sia
1 Rileva, in linea generale, l’importanza della previsione del blocco delle azioni esecutive, ai fini dell’inquadramento di una procedura tra quelle d’insolvenza, X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa cit., p. 180 e ss.. Sulla base della previsione di tale blocco, considera gli accordi di ristrutturazione, sebbene non un concordato, ma una procedura concorsuale, X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 668
2 E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale cit., p. 83-84. In questa prospettiva, l’A. osserva che «la carenza in un procedimento concorsuale di uno o più momenti di attuazione della concorsualità, come il rispetto della par condicio […] non esclude, tuttavia, che tale principio conservi il valore caratterizzante di una vera e propria categoria di procedimenti. Si tratta, quindi, di una caratteristica propria a tutti i procedimenti sufficiente per costruire una categoria unitaria, i cui componenti pur presentando da ti differenziali tra loro, possono esservi ricondotti». Quest’ordine di considerazioni è condivi- so anche da X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis legge fallim.) cit., p. 36-37.
3 X. XXXXXXXXX, Problemi di diritto concorsuale, Padova 2011 p. 154-155
analogica delle disposizioni dettate in tema di concordato preventivo agli accor- di di ristrutturazione del debito1.
Con riferimento al tema oggetto della nostra analisi, il richiamo alla disci- plina propria del concordato preventivo è parso valere l’applicabilità degli art.
185 e 186 della l.f.: la risoluzione dell’accordo, pertanto, passerebbe dall’applicazione esclusiva delle due norme sopra citate2.
La conclusione non convince.
Se è vero che il legislatore riconosce la possibilità che, per effetto del pro- cedimento, siano bloccate le azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debi- tore, è altrettanto vero che nelle procedure concorsuali tale fatto si riconnette ineludibilmente allo spossessamento, ovvero, al sorgere di un momento di con- trollo sul modo in cui il debitore sta organizzando e disponendo del suo patri- monio3. In assenza di tale controllo, infatti, il blocco delle azioni esecutive è idoneo a ritorcersi contro gli stessi creditori, poiché il debitore è lasciato libero di porre in essere atti di disposizione del proprio patrimonio anche in pregiudi-
1 Seppure è da precisare che in dottrina non è mancato chi ha rilevato come il problema dell’applicabilità in via di analogia delle norme dettate in tema di concordato preventivo agli ac- cordi di ristrutturazione debba essere risolto caso per caso, senza che possa assumere significato determinante il riconoscimento, o meno, della natura concorsuale degli accordi. In questo senso cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Diritto fallimentare cit., p. 347.
2 E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione del debito. Un nuovo procedimento concorsuale cit., p. 175-176.
3 Cfr. A. XXXXX-X. XXXXXXXXXX, Diritto della crisi delle imprese cit., p. 41, ove la preci- sazione che «le procedure concorsuali costituiscono strumenti di composizione coattiva dei rap- porti fra imprenditore-debitore e suoi creditori, attraverso la formazione di un patrimonio separa- to e la «gestione» officiosa di esso da parte di un’autorità neutra, in chiave di realizzazione della responsabilità patrimoniale dell’imprenditore-debitore»; X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa cit., p. 249 e ss.; X. XXXXXXXX, Diritto fallimentare. Presupposti, sentenza dichiarativa, organi, effetti per il debitore e per i creditori; Torino 1994, I, p. 16, il quale osserva come, caratteristica precipua di tutti i procedimenti concorsuali sia l’esigenza «di sistemare, autoritativamente, e se- condo regole affatto speciali e diversificate, il dissesto dell’impresa. Sistemare il dissesto dell’impresa significa attivare sotto l’egida dell’Autorità Giudiziaria e per alcuni istituti col con- corso dell’Autorità amministrativa, dei procedimenti speciali attraverso i quali il patrimonio […] dell’imprenditore viene gestito direttamente, in via sostitutiva, nell’interesse dei creditori. In questo contesto le finalità che, per ciascuna delle procedure, le Autorità preposte alla gestione debbono perseguire sono sostanzialmente due: a) che l’attività d’impresa […] sia sospesa, o co- munque, controllata e circoscritta in atti e iniziative che non pregiudichino ulteriormente i diritti dei creditori; b) che […] venga assicurato, ove possibile, la soddisfazione delle ragioni di credi- to, secondo principi tendenzialmente paritetici».
dura che, pur sempre, rimane la soddisfazione dei creditori stessi1.
Per tale ragione una parte della dottrina ha inteso ritenere sussistente in ca- po al debitore l’obbligo giuridico di non disporre del patrimonio per fini diversi da quelli dell’accordo2: un vincolo di destinazione, insomma, del quale, tuttavia, non si rinviene traccia nella lettera della legge3.
Ciò senza considerare che decorso il periodo di moratoria previsto dall’art. 182-bis l.f., ancorché sia ancora pendente il procedimento di omologa dell’accordo, ciascuno dei creditori, come detto, può iniziare o proseguire le azioni cautelari ed esecutive per la soddisfazione del proprio credito4. Tale cir- costanza introduce un elemento di criticità di ordine non solo pratico, ma soprat- tutto logico e sistematico: non è, infatti, possibile ammettere che il blocco delle azioni esecutive si muova in modo allineato nel concordato come nell’accordo di ristrutturazione5, poiché l’aggressione singolare al patrimonio del debitore, pendente la procedura, manifesta la possibilità di ciascuno dei creditori di soddi- sfarsi fuori dal (presunto) concorso6.
1 X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa cit., 251, il quale ritiene evidente che la ragione del divieto di iniziare a proseguire azioni esecutive o cautelari risieda nella considerazione per la quale, dovendosi decidere del patrimonio del debitore nella procedura, tale patrimonio deve es- sere conservato il più possibile intatto. Ciò comporta non soltanto la protezione di tale patrimo- nio dall’ulteriore libertà di azione del debitore, ma anche e soprattutto la sua difesa dalle (legit- time ma distruttive) aggressioni dei creditori.
2 Cfr. X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis legge fall.) cit., p.
25; X. XXXXXXXXX, Art. 182-bis 2010 cit., p. 2249 e ss.
3 Cfr. X. XXXXXXXX, Le misure di incentivazione delle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa cit., p. 30, per il quale «l’imprenditore che pure abbia pubblicato (e deposi- tato in Tribunale) l’istanza di sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei suoi creditori, rimane libero di disporre del suo patrimonio a piacimento»; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrut- turazione dei debiti cit., p. 681, il quale osserva come la sospensione di cui all’art. 182-bis l.f. sia limitata «ai solo “atti ostili” posti in essere dai creditori, con la conseguenza di non poter pre- cludere il complimento di atti di disposizione posti in essere dall’imprenditore che, per l’effetto, sarebbero validi ed efficaci».
4 X. XXXXXXXX, Xxxxx xxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxx xx xxxxxxxxxxxxxxxx xxx., x. 00; X. XXXXXXX,
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., 683.
5 In senso contrario E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale cit., p. 83.
6 In questa prospettiva non sembra condivisibile l’idea, pur autorevolmente sostenuta da X. XXXXXXXXX, Problemi di diritto concorsuale cit., p. 155, per la quale il blocco delle azioni ese- cutive testimonierebbe della natura concorsuale della procedura, atteso che la concorsualità si identificherebbe «nel regolare la corsa dei creditori, e cioè nel subordinare le iniziative dei sin- goli ad un ordine procedurale, ad un’azione unitaria volta a tutelare interessi collettivi (quelli della massa nel fallimento) o comunque meta-individuali (nell’esecuzione forzata comune)».
L’insufficienza del dato legislativo, pertanto, rende chiaro come il blocco delle azioni cautelari ed esecutive sia concesso al fine di consentire il raggiun- gimento dell’accordo, ovvero di evitare che l’omologazione sia concessa con ri- ferimento ad una situazione completamente differente rispetto a quella esistente al momento del deposito dell’accordo, ma non in vista necessariamente della concorsualità1: ciò nella prospettiva di favorire la composizione negoziale della crisi d’impresa2.
La medesima ragione è alla base del riconoscimento dell’esenzione dall’azione revocatoria degli atti, pagamenti e garanzie concesse in attuazione di un accordo di ristrutturazione.
Rispetto a tale esenzione, peraltro, parlare di indice di concorsualità si scon- tra con il rilievo che il legislatore riconosce la medesima esenzione anche con riferimento ad accordi di ristrutturazione conclusi nell’ambito di un piano atte- stato di risanamento, il quale, per dottrina pacifica, nulla ha a che vedere con una procedura concorsuale3.
L’esenzione, meglio il suo riconoscimento, costituisce il modo – origina- riamente l’unico – attraverso cui il legislatore promuove la stipulazione di tali accordi per il superamento della crisi d’impresa4.
Al vertice, peraltro, l’impossibilità di riconoscere a tali accordi la natura di procedura concorsuale discende dall’impossibilità di riconoscere nei creditori che non partecipano all’accordo né la qualità di creditori concorsuali né quella di semplici concorrenti5: essi, infatti, non hanno la possibilità di scegliere, o me-
1 Del resto la stessa Relazione al decreto correttivo spiega che «la protezione automatica del patrimonio del debitore risulta funzionale all’attuazione dell’accordo e, in particolare, alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei».
2 Cfr. X. XXXXXXX, L’ulteriore up-grade cit., p. 898 e ss.
3 G.B. NARDECCHIA, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 106.
4 In luogo di molti si veda X. XXXXXXX, I nuovi assetti privatistici cit., p. 1035, che effica- cemente osserva come «la soluzione normativa vuole incentivare i creditori a collaborare con il debitore per la soluzione della crisi e muove dall’idea, in verità realistica, che le soluzioni priva- tistiche sono stimolate solo se rimuovono quello che è apparso come il principale ostacolo al lo- ro insuccesso: il “rischio giuridico” da revocatoria fallimentare».
5 B. INZITARI, Nuova disciplina accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall., in
xxx.xxxxxx.xx, 2011, p. 6; ID, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 183 bis l. fall. cit., p. 1313.
un dato di fatto2.
Né è possibile ipotizzare che alla procedura partecipino ex lege tutti i credi- tori dell’imprenditore, sia quelli aderenti, sia quelli non aderenti all’accordo. Ri- tenendo, per questi ultimi, da un lato, che la partecipazione al concorso sia de- terminata dal diritto all’opposizione e, dall’altro, che la misura del loro soddi- sfacimento sia di diritto determinata in quella totalitaria3.
La partecipazione al concorso, infatti, può costituire un onere4, ma non può essere imposta, poiché tale partecipazione costituisce, pur sempre, esercizio del diritto soggettivo di credito, con la conseguenza che compete al solo creditore la scelta di esercitarlo o meno5.
Né, come detto, i termini della questione sembrano radicalmente capovolti dal sopravvenuto riconoscimento della prededuzione: la possibilità logica di
1 Il debitore, infatti, non ha l’obbligo di informare tutti i creditori dell’esistenza delle tratta- tive tese alla stipulazione dell’accordo di ristrutturazione.
2 B. INZITARI, op. loc. cit.
3 In questo senso, invece, E. FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione del debito. Un nuovo procedimento concorsuale cit., p. 83-84. La quale, per tale via, ritiene superata anche l’obiezione per la quale la possibilità che l’accordo violi la par condicio creditorum non consen- ta di ricondurlo tra le procedure concorsuali, atteso che anche nel concordato preventivo tale violazione sussisterebbe tutte le volte che si determini la suddivisione dei creditori in classi L’impossibilità, tuttavia, di assimilare il trattamento che ricevono i creditori aderenti all’accordo ad un trattamento di classe non consente di condividere la superiore tesi. In posizione non dissi- mile sembra collocarsi quella parte della dottrina che ha ritenuto di potere intravedere nel depo- sito del ricorso una vera e propria proposta contrattuale «che è evidentemente diretta ai creditori estranei all’accordo; si chiede loro – esplicitamente o implicitamente – di non opporsi all’accordo stipulato con i maggiori creditori giacché esso consente di attuare il piano di risana- mento dell’azienda dalla crisi in cui essa versa, a vantaggio di tutti i creditori, indipendentemen- te dal fatto che abbiano sottoscritto o no l’accordo di ristrutturazione». Così G. VERNA, I nuovi accordi di ristrutturazione, in Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma «organica» al de- creto «correttivo», a cura di S. Ambrosini, Bologna 2008, p. 579.
4 A. BONSIGNORI, Diritto fallimentare, Torino 1992, p. 24, il quale osserva come «il prin- cipio, che caratterizza il fallimento, va individuato nella concorsualità, consistente nell’onere che grava su tutti i creditori di partecipare al concorso sull’intero patrimonio del debitore, con più efficace tutela della parità di trattamento».
5 In argomento, ed in prospettiva più generale, cfr. G. MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2009, I, p. 198 e ss.;. S. SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma, 1964, p. 5, che osserva come il principio di concorsualità, per il quale «la liquidazione della crisi economica dell’impresa assorbe, nella sua organizzazione, tutte le posizioni particola- ri (dei creditori, del debitore), risolvendole in una unitaria figura che sarà il curatore, il commis- sario giudiziale, il commissario liquidatore, secondo le denominazioni attribuite dalla legge» non esclude che, pur sempre, «le posizioni particolari risorgono quando esse si fanno valere come veri e propri diritti nei confronti dell’organizzazione».
tativo.
Più convincente, pertanto, è la tesi di quanti rilevato come negli accordi di ristrutturazione «i) non [sia] previsto un procedimento e un provvedimento di apertura; ii) non vi [sia] la nomina di organi (un commissario, un giudice dele- gato, un comitato di creditori); iii) non ci [sia] una regolazione concorsuale del dissesto (non tutti i creditori sono coinvolti); iv) i creditori non sono organizzati come collettività ma come somma di tante teste» nega che l’accordo sia una procedura concorsuale1.
1 In questi termini M. FABIANI, L’ulteriore up-grade cit., p. 902. Peraltro, il riconoscere all’accordo natura di procedura concorsuale, non varrebbe, secondo una parte della dottrina, a determinare tout court l’applicazione analogica delle disposizioni dettate dal legislatore con rife- rimento al tema della risoluzione del concordato preventivo. Successivamente all’omologa, in- fatti, non v’è la nomina né del commissario giudiziario né del giudice delegato: manca, in altri termini, quelle omogeneità di fattispecie concrete che costituisce il presupposto per l’applicazione analogica delle norme dettate in tema di risoluzione del concordato preventivo. Cfr. S. AMBROSINI, Il concordato preventivo cit., p. 163-164. Più in generale, negano all’accordo natura di procedura concorsuale, tra gli altri, S. AMBROSINI, Profili civili e penali delle soluzioni negoziate nella L. n. 122/2010, in Fall., 644 n. (13); M. ARATO, Fallimento: le nuove norme cit., p. 172 e ss.; A. CARLI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 412 e ss.; E. CAPOBIANCO Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa cit., p. 295 e ss; A. CASTIELLO D’ANTONIO, Riflessi disciplinari degli accordi di ristrutturazione e dei piani attestati, in Dir. fall., 2008, I, 609; F. DI MARZIO, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ cit., p. 75 e ss.;
M. FABIANI, «Competizione» fra processo e per fallimento e accordi di ristrutturazione cit., p. 206 e ss.; ID, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione cit., p. 898 e ss.; ID, Il rego- lare pagamento dei creditori estranei cit., p. 2566; G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 16 e ss.; A. PALUCHOWSHI, L’accordo di ristrutturazione ed il controllo del tribu- nale nel giudizio di omologazione, in Fall. 2011 p. 98, la quale, tuttavia, precisa come le recenti modifiche apportate al nostro istituto dal legislatore, impongono di ritenere che l’accordo di ri- strutturazione possa, prima o poi, tramutarsi in procedura concorsuale vera e propria; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 129 e ss.; M. SCIUTO, Effetti legali e negoziali cit., p. 337 e ss.; L. STAGNHELLINI, Le crisi d’impresa cit., p. 303 e ss.; ID, Finanziamenti-ponte cit., p. 1352.
GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI
Individuati i “confini” dell’istituto degli accordi di ristrutturazione rispetto ai piani attestati ed al concordato preventivo, e verificata la possibilità di qualifi- carli quali procedure concorsuali, è opportuno, adesso, guardarli più da vicino, cercando di individuarne struttura, oggetto e funzione: qualunque discorso, in- fatti, sugli effetti che l’inadempimento o la dichiarazione di fallimento produco- no sugli accordi di ristrutturazione non può che prendere le mosse da tale anali- si.
Il primo comma dell’art. 182-bis l.f. consente all’imprenditore in crisi di domandare, depositando la documentazione di cui all’art. 161 l.f.,
«l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i credi- tori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una re- lazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d) sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferi- mento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estra- nei».
Cominciamo con il notare che il legislatore, nell’introdurre il nuovo istituto degli accordi di ristrutturazione, non ne aveva chiarito i presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione: la dottrina, come già accennato, li aveva però indi- viduati nella qualità di imprenditore commerciale fallibile e nello stato di crisi1.
1 Per tutti V. ROPPO, Profili strutturali e funzionali dei contratti “di salvataggio” (o di ri- strutturazione dei debiti d’impresa), in Il Diritto Fallimentare 2008, I p. 369-370. Parimenti cer- to che la procedura de qua si riferisse all’imprenditore in crisi; in questo senso, oltre all’A. cita- to, e tra gli altri cfr. S. AMBROSINI, Art. 182 bis, in Il nuovo diritto fallimentare diretto da A. Jo- rio, 2006 p. 2544, il quale evidenziava come «tale condizione [dovesse] ritenersi implicita, dal momento che l’imprenditore che dichiara di essere in grado di provvedere al regolare pagamento di una parte soltanto dei propri creditori versa chiaramente in una situazione di crisi»; C.
l’accesso alla procedura, se, da un lato, ha chiarito che l’omologazione dell’accordo può essere richiesta dall’imprenditore in crisi, ha, dall’altro, inge- nerato dubbi con riferimento sia alla necessità che l’omologazione sia richiesta da un imprenditore fallibile, sia con riferimento alla reversibilità, o meno, che deve caratterizzare la crisi in cui il ricorrente versi1.
Sulla questione occorre una precisazione preliminare.
Analogamente a quanto già osservato con riferimento ai piani attestati di ri- sanamento, l’interrogativo in ordine ai presupposti soggettivi ed oggettivi dell’accordo di ristrutturazione assume significato esclusivo con riferimento al connesso procedimento di omologa2: la loro assenza, in altri termini, non deter- mina l’impossibilità che l’imprenditore concluda un accordo di ristrutturazione3, ma solo che tale accordo non possa essere omologato e produrre, per conse- guenza, gli effetti legali tipici che al decreto di omologa sono riconnessi.
Quanto alla mancanza del requisito soggettivo, per l’imprenditore non falli- bile, e per lo stesso debitore c.d. civile, l’inapplicabilità di ogni procedura con- corsuale esclude in radice che si ponga un problema di indisponibilità dell’insolvenza4; che pure, secondo la dottrina dominante, il legislatore avrebbe
D’AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Le nuove procedure concorsuali per la prevenzione e la sistemazione delle crisi d’impresa – Atti del convegno. Lanciano, 17-18 mar- zo 2006, a cura di S. Bonfatti e G. Falcone, Milano 2006, p. 528-529; M. FABIANI, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l’incerta via italiana alla «reorganization», in Foro. It., 2006, I, c. 264 G. FAUCEGLIA,Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge n. 80/2005, in Il Falli- mento 2005, p. 1447; P. MARANO, Le ristrutturazioni dei debiti e la continuazione dell’impresa, Ivi p. 101. Parte della dottrina precisava, tuttavia, che lo stato di crisi non fosse necessario al fine dell’accesso alla speciale procedura di cui all’art. 182 bis l.f., tra gli altri V. RINALDI, Gli accor- di di ristrutturazione dei debiti, in Il diritto fallimentare riformato, a cura di Schiano Di Pepe G.,
p. 663. Della questione, peraltro, s’è già detto nel paragrafo § del capitolo 1, cui, pertanto sia consentito rinviare per maggiori approfondimenti.
1 Ritiene che lo stato di crisi in cui deve versare l’imprenditore che chieda l’omologazione dell’accordo non possa essere quello dell’insolvenza irreversibile, A. CARLI, Accordi di ristrut- turazione dei debiti ed impresa in crisi, in Contratto e impresa 2009, p. 414 e ss.
2 L. BOZZA, Le soluzioni alla crisi con procedure giudiziali. Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l.f., in La crisi d’impresa, Napoli 2011, p. 118; A. NIGRO-D. VATTERMOLI, Dirit- to della crisi delle imprese, Bologna, 2009, p. 384, ove l’osservazione per la quale «le condizio- ni previste dall’art. 182-bis rilevano dunque soltanto sul piano del particolare procedimento pre- visto da questa disposizione e non incidono sulla validità o efficacia, in sé, degli accordi».
3 M. FABIANI, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Bologna 2010, p. 687; G. MONTE- SANO, Il concordato stragiudiziale, in Banca borsa e tit. cred., 1974, I, p. 480 e ss.
4 Già con riferimento al concordato stragiudiziale, ed al fine di chiarire l’insussistenza di una relazione logica e giuridica di necessità tra concordato stragiudiziale e procedure concorsua-
superato proprio attraverso l’introduzione della disciplina dei piani attestati di risanamento e degli accordi di ristrutturazione1.
li, aveva osservato F. ZICCARDI, Concordato stragiudiziale, in Dizionari del diritto privato, a cura di N. Irti, Varese, 1981, p. 346 che, partendo dalla natura contrattuale dell’istituto, fosse necessario prendere atto della «insussistenza di un vincolo di necessaria alter natività tra concor- dato stragiudiziale e fallimento […] resa manifesta in primo luogo dalle ipotesi di imprenditori non assoggettabili al fallimento, perché « piccoli » o agricoli, nonché dai casi – non frequenti, ma nemmeno ignoti alla prassi – di « possidenti » o professionisti che, oberati di debiti, concor- dano un piano di pagamenti con i creditori».
1 S. AMBROSINI, Art. 182-bis, in Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna 2007, p. 2533 e ss.; L. BOGGIO, Gli accordi di salva- taggio delle imprese in crisi. Ricostruzione di una disciplina, Milano 2007, p. 133; E. FRASCA- ROLI SANTI, Crisi dell’impresa e soluzioni stragiudiziali, Milano 2005, p. 277, la quale, già con riferimento al concordato stragiudiziale, osserva come «un contratto, quindi, volto alla elimina- zione, più rapida e priva di dannosa pubblicizzazione all’esterno dello stato di insolvenza non può non considerarsi meritevole di tutela a norma dell’art. 1322, comma 2°, c.c.»; G. FALCONE, La “gestione privatistica dell’insolvenza” tra accordi di ristrutturazione e piani di risanamento, in, La nuova legge fallimentare “rivista e corretta”, a cura di S. Bonfatti e G. Falcone, Milano 2008, p. 289, che precisa come «la esplicita previsione normativa degli accordi “stragiudiziali” fuga per ciò stesso i dubbi – già formulati con riguardo ai “concordati stragiudiziali” – di una possibile invalidità del negozio per violazione della “par condicio”»; V. LENOCI, Il Concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano 2010, p. 295 e ss.; M. LIBERTINI, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti e revocatoria, in Autonomia negoziale e cri- si d’impresa, a cura di F. Di Marzio e F. Macario, Milano 2010, p. 360; V. ROPPO, Profili strut- turali e funzionali dei contratti “di salvataggio” (o di ristrutturazione dei debiti d’impresa, in Dir. fall., 2008, I, p. 371, il quale rileva come la stessa ipotesi di considerare indisponibile l’insolvenza sia incongruente con il rilievo che essa si risolve in un concetto relazionale che lega il debitore ai suoi debiti ed ai suoi creditori: «come può questa relazione porsi in termini «ogget- tivi», quando è influenzata dai comportamenti soggettivi di una [parte] dei protagonisti di essa [relazione], e precisamente dei creditori (specie bancari)?»; A. VALERIO, Gli accordi di ristrut- turazione dei debiti, in Le nuove procedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, p. 660 n. 5, ove anche per richiami di giurisprudenza; G. VETTORI, Il contratto nella crisi dell’impresa, in Obbligazioni e contratti, 2009, p. 487.488. Per l’ammissibilità degli accordi privatistici tesi alla rimozione dello stato d’insolvenza cfr. R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, IV Mi- lano 1974, p. 2769; ID, Concordato stragiudiziale, in Nov. Dig. It, 1958, p. 987, il quale osserva come il concordato stragiudiziale sia rivolto alla eliminazione del presupposto di fatto del falli- mento, l’insolvenza, e non già alla regolazione privatistica di essa. In senso dubitativo, invece,
A. DIDONE, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 17. Prima dell’intervento di riforma della legge fallimentare, una parte della giurisprudenza aveva negato l’ammissibilità di qualsi- voglia spazio operativo agli accordi amichevoli per la composizione della crisi d’impresa, vuoi sulla scorta del preteso obbligo del debitore di chiedere il proprio fallimento, vuoi sulla base del- la considerazione che la legge fallimentare identificava nella sola amministrazione controllata e nel solo concordato preventivo gli unici rimedi dell’insolvenza alternativi al fallimento di modo che l’accordo concluso al di fuori di qualsivoglia controllo giudiziario doveva considerarsi im- meritevole di tutela e comunque in frode alla legge. In questo senso cfr. Trib. Ferrara 28 giugno 1990, in Giur. Comm., 1981, II, 306 e ss. La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, peraltro, aveva comunque ammesso la liceità delle soluzioni puramente negoziali alla crisi d’impresa, configurando, peraltro, l’accordo con i creditori quale fascio bilaterale di contratti tra loro del tutto autonomi, Cassazione Civile 16 marzo 1979 n. 1562, in Giur. Civ., 1979, I, 951. Questione discussa, peraltro, era quella della necessità che l’accordo coinvolgesse tutti i credito- ri, ovvero solo alcuni di essi. Per i termini del dibattito, e per gli opportuni riferimenti di dottrina e giurisprudenza, cfr. E. FRASCAROLI SANTI, Crisi dell’impresa e soluzioni stragiudiziali cit., p. 250 e ss.
Quanto al requisito oggettivo, la mancanza dello stato di crisi determinerà la circostanza che l’accordo non possa rilevare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 182-bis l.f., ma non per questo se ne potrà affermare de plano la nullità, poiché, di volta in volta, dovrà verificarsi l’esistenza di una causa idonea.
Il riferimento all’imprenditore, contenuto nel testo del comma 1 dell’art. 182-bis l.f. ha, tuttavia, fatto sorgere il dubbio che legittimato alla richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione sia non solo l’imprenditore che possa essere dichiarato fallito, ma anche quello che non possa esserlo poiché non supera i limiti dimensionali di cui all’art. 1, comma 2, l.f., ovvero perché non eserciti un’impresa commerciale.
Secondo una parte della dottrina, infatti, il riferimento alla nozione generale di imprenditore, da un lato, e il mancato richiamo di cui all’art. 1, comma 1, l.f. all’accordo di ristrutturazione, dall’altro, indicherebbero la circostanza che il presupposto soggettivo di quest’ultimo istituto sia costruito in via autonoma ri- spetto a quelli propri del fallimento e del concordato preventivo1. Affermazione, questa, che troverebbe nella possibilità dell’imprenditore di ottenere la morato- ria dagli atti esecutivi e cautelari singolarmente posti in essere dai suoi creditori, l’interesse dell’imprenditore alla stipulazione dell’accordo2.
Tale tesi, tuttavia, è contrastata dalla dottrina maggioritaria, la quale osserva come, da un lato, la circostanza che l’effetto principale dell’accordo è l’esenzione dalla revocatoria e, dall’altro, il fatto che l’accordo va pubblicato nel registro delle imprese, unitamente alle scrittura contabili obbligatorie, dimostri-
1 A. CARLI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 415; C. D’AMBROSIO, Gli ac- cordi di ristrutturazione dei debiti, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, Milano 2009, Vol. 3, p. 1086; G. FALCONE, La “gestione privatistica dell’insolvenza” cit., p. 300 e ss; G. VETTORINI, Il contratto nella crisi dell’impresa cit., p. 488.
2 Cfr. L. BOZZA, Le soluzioni alla crisi con procedure giudiziali cit., p. 118, che osserva come si possa pensare «data la natura meramente processuale dell’istituto, alla possibilità di ac- cedere a questo istituto anche per i soggetti non assoggettabili alle procedure concorsuali, ove interessati all’effetto protettivo garantito dall’art. 182-bis e/o alla verifica di fattibilità devoluta dalla norma al professionista revisore dei conti»; G. FALCONE, La “gestione privatistica dell’insolvenza cit., p. 300, per il quale, nel nuovo quadro normativo delineato dal correttivo l’esenzione dall’azione revocatoria non costituisce più l’unico effetto del provvedimento di omologa, con il ché si viene a manifestare l’interesse dell’imprenditore commerciale non fallibi- le alla sospensione delle azioni esecutive e cautelari.
no che la richiesta della sua omologazione sia ad esclusivo appannaggio dell’imprenditore commerciale fallibile1.
Occorre, tuttavia, considerare che il concetto di imprenditore fallibile e quello di piccolo imprenditore non sono più coincidenti: con il ché si deve rico- noscere che vi possono essere imprenditori soggetti all’obbligo di iscrizione ed alla tenuta delle scritture contabili che, pure, non possono fallire2. Non è, pertan- to, il riferimento alla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, né l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, che può costituire ostacolo alla tesi
1 A. BELLO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella riforma della legge fallimenta- re, in xxx.xxxxxx.xx, 2005, p. 3 e ss.; L. BOGGIO, Gli accordi di ristrutturazione: il primo “ta- gliando” a tre anni dal “decreto competitività”, in Banca borsa e tit. cred., 2009, I, p. 50; M. FABIANI, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l’incerta via italiana cit., c. 264; ID, Diritto fal- limentare cit., p. 687-688; ID, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l’incerta via italiana alla
«reorganization», in Foro. It, 2006, I, 264; E. GABRIELLI, Accordi di ristrutturazione del debito e tipicità dell’operazione economica, in Riv. Dir. Comm., 2009, p. 1075; A. GENTILI, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Mar- zio e F. Macario, Milano 2010, p. 297; L. GIRONE, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Le altre procedure concorsuali, reati fallimentari, problematiche comunitarie e trasversali, fal- limento e fisco, diretto e coordinato da U. Apice, Torino 2011, p. 531; V. LENOCI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione cit., p. 302; M. LIBERTINI, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti e revocatoria cit., p. 378-379 ; A. PALUCHOWSKI, L’accordo di ri- strutturazione ed il controllo del tribunale nel giudizio di omologazione, in Fall., 2011, p. 99 e ss.; ID, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Manuale di diritto fallimentare, di P. Pajardi e A. Paluchowski, Milano 2009, p. 911; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall. 2006, p. 130, il quale, sia pure con riferimento al testo dell’art. 182-bis ante correttivo, ed al fine di estendere l’ambito di applicazione della norma, ha proposto di considerare la fallibilità dell’imprenditore che chiede l’omologazione dell’accordo, quale presupposto di mero fatto, pre- sunto al momento in cui il debitore chieda l’omologazione dell’accordo stesso, e, pertanto, non oggetto di controllo neppure in sede di opposizione all’omologazione; R. RAIS, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall., 2006, I, 293; A. NIGRO-D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese cit., p. 384; A. VALERIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 669, il quale osserva anche che «stante l’applicabilità dell’art. 1 l.f. a tutte le procedure che mirino alla prevenzione del fallimento, il soggetto che può beneficiare dell’accordo per la ristruttura- zione dei debiti è l’imprenditore commerciale privato non piccolo esorbitante i limiti dimensio- nali previsti dall’art. 1, comma 2, l.f. nel testo riformato dal d.lgs. n. 169/2007»; G. VERNA, I nuovi accordi di ristrutturazione, in Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma «organica» al decreto «correttivo», a cura di S. Ambrosini, Bologna 2008, p. 576; V. ZANICHELLI, I con- cordati giudiziali, Milano 2010, p. 604.
2 Per un’analisi dei principali problemi connessi all’interpretazione ed all’applicazione del- la citata disposizione cfr., tra gli altri, G. CAPO, Fallimento e impresa, in Trattato di diritto fal- limentare, diretto da V. Buonocore-A. Bassi cit. p. 52 e ss.; L. MARINÒ, I requisiti soggettivi di fallibilità in una prospettiva economico-aziendale, in Profili della nuova legge fallimentare a cu- ra di C. Ibba, Torino, 2009 p. 17 e ss.; Ivi, G. P. ALLECCA, I presupposti soggettivi delle proce- dure concorsuali alla luce del decreto correttivo 12 settembre 2007, n. 169, p. 25 e ss.; Ivi, R. DESSÌ, Piccola dimensione dell’impresa e fallimento, p. 55 e ss.; P. PAJARDI-A PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, 7 ed. Milano, 2008 p. 61 e ss.; V. ZANELLI, I requisiti di fallibi- lità tra giurisprudenza e riforma fallimentare, in Il Fall. 2008, p. 873 e ss, ove anche per riferi- menti di dottrina e giurisprudenza; E. CAPUZZI, Come è cambiato il presupposto soggettivo del fallimento, in Dir. Fall. 2008 I, p. 534 e ss.; A. ROSSI, Il presupposto soggettivo del fallimento, in Giur. Comm. 2006 I, p. 777 e ss.
per la quale anche l’imprenditore commerciale non fallibile può chiedere l’omologazione dell’accordo dallo stesso stipulato, poiché non è difficile imma- ginare che vi siano imprenditori non fallibili soggetti allo statuto dell’imprenditore commerciale.
Più significativa, invece, l’osservazione che rinvia alla carenza d’interesse dell’imprenditore commerciale non fallibile, o di quello agricolo, all’omologazione dell’accordo, poiché lo stesso, non potendo fallire, non po- trebbe giovarsi dell’omologa e dell’effetto di esenzione dall’azione revocatoria ad essa connesso.
Tale rilievo, che è ineccepibile con riguardo all’imprenditore agricolo1, mo- stra, invece, la corda ove riferito all’imprenditore commerciale che non superi i requisiti dimensionali di fallibilità: ciò perché tali requisiti, da un lato, possono essere superati durante la ristrutturazione e, in ipotesi, proprio per effetto della ristrutturazione e, dall’altro, e inversamente al caso che precede, possono venir meno durante la ristrutturazione e per effetto di essa.
In altri termini, la circostanza che le frontiere della fallibilità sono ormai “mobili” impone di interrogarsi circa l’interesse dell’imprenditore commerciale non fallibile all’omologazione dell’accordo, almeno nelle ipotesi in cui il supe- ramento dei limiti dimensionali di fallibilità non sia inverosimile.
In questa prospettiva l’idea di considerare autonomo il presupposto sogget- tivo dell’istituto, rispetto a quello proprio del fallimento e del concordato pre- ventivo, potrebbe valere a consentire una maggiore estensione applicativa dell’istituto, rendendolo praticabile anche a quegli imprenditori che non sono at- tualmente fallibili, ma che lo potrebbero essere e, rispetto ai quali, l’interesse generale alla sistemazione della crisi d’impresa non è meno evidente che nelle ipotesi di imprenditore già fallibile al momento della presentazione del ricorso per l’omologazione dell’accordo2.
1 Rispetto al quale, già il richiamo alla documentazione di cui all’art. 161 l.f., costituisce indice sufficiente ad escluderlo dall’ambito operativo di cui all’art. 182-bis l.f.. Cfr. G. FALCO- NE, La “gestione privatistica dell’insolvenza” cit., p. 300.
2 I rilievi di cui in testo paiono assorbenti rispetto alle considerazioni, pur autorevolmente svolte, per le quali così «come il legislatore ha stabilito che le regole concorsuali del fallimento trovino applicazione solo agli imprenditori commerciali non marginali, così pure ha ritenuto che le regole dell’autonomia privata possano essere forzate e innervate da regole pubblicistiche
revocabile in dubbio che l’accordo di ristrutturazione concluso dall’imprenditore commerciale non fallibile possa ugualmente essere presentato al tribunale per l’omologazione nel momento in cui l’imprenditore abbia superato i limiti di fal- libilità, ferma la necessità che la relazione sull’attuabilità dell’accordo sia con- grua con la situazione di fatto esistente al momento della presentazione di tale accordo per l’omologazione.
La necessità, imposta dal secondo comma dell’art. 182-bis l.f., che l’accordo sia pubblicato indicherebbe, quale ulteriore presupposto soggettivo, quello della regolare iscrizione dell’imprenditore nel registro delle imprese1. Nulla, peraltro, sembra impedire la regolarizzazione della società al solo fine della conseguente o contestuale pubblicazione dell’accordo2. Medesima consi- derazione vale, ovviamente, per l’imprenditore individuale. Non si pongono, in- vece, limiti verso l’alto, sicché anche l’imprenditore soggetto alla procedura dell’amministrazione straordinaria può omologare un accordo di ristrutturazio- ne3.
Il tentativo di estendere i confini di applicazione dell’istituto, di cui, se si vuole, costituisce gemmazione anche il dibattito circa i limiti soggettivi di prati- cabilità dell’istituto, trova anche sul versante oggettivo adeguato svolgimento4.
(l’automatic stay) solo in casi di particolare rilievo economico, altrimenti gli strumenti privati- stici puri sono sufficienti»: così M. FABIANI, Diritto fallimentare cit., p. 687. Rimane, infatti, vero che il riferimento all’imprenditore include l’imprenditore commerciale non fallibile, così G. VETTORINI, Il contratto nella crisi dell’impresa cit., p. 488, il quale, peraltro, rileva come pro- prio il riferimento alla nozione generale di imprenditore vale ad estendere l’ambito di applica- zione della norma anche all’imprenditore agricolo ed alle imprese soggette alla procedura di amministrazione straordinaria.
1 Per tutti, M. FABIANI, Diritto fallimentare cit., p. 687-688.
2 G. RACUGNO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. Comm., 2009, I, p. 665 n. (26).
3 A. PALUCHOWSKI, L’accordo di ristrutturazione ed il controllo del tribunale cit., p. 98 e
ss.
4 Cfr. F. ALLEGRETTI, Art. 160, in Il nuovo fallimento, a cura di F. Santangeli, Milano
2006, p. 707, la quale, con riferimento al concetto di crisi osserva come la lettura più estensiva si lasci preferire in ragione della considerazione che la volontà del legislatore sia stata quella di agevolare, quanto più è possibile l’intervento sulle crisi d’impresa. L. MANDRIOLI, Lo stato d’insolvenza, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di A. Didone, Torino 2009,*, p. 104 e ss..
l’interprete deve assumere e, più in particolare, quali siano i rapporti tra esso ed il concetto d’insolvenza1.
La situazione di crisi in cui deve versare l’imprenditore che voglia ottenere l’omologa dell’accordo è stata vista ora come alternativa2, ora come coestensi- va3 ora, invece, come comprensiva, ma non esaustiva, di quella d’insolvenza4.
Secondo la maggioranza degli interpreti il concetto di crisi sarebbe senz’altro comprensivo di quello d’insolvenza5: lo testimonierebbe lo stesso le-
1 L. MANDRIOLI, Lo stato d’insolvenza cit., p. 104.
2 G. BOZZA, Le condizioni soggettive ed oggettive del nuovo concordato, in Fall., 2005, p.
954.
3 G. TERRANOVA, Stato di crisi, stato d’insolvenza, incapienza patrimoniale, in Dir. fall.,
2006, I, p. 547 e ss., lo scritto è pubblicato anche, col medesimo titolo, in Stato di crisi e stato d’insolvenza, di G. Terranova, Torino 2007, p. 46 e ss., da cui le citazioni.
4 L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali, Torino, 2006, p. 317; V. LENOCI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 70 e ss.
5 F. ALLEGRETTI, Art. 160 cit., p. 707; S. AMBROSINI, Art. 182-bis cit., p. 2544; M. FABIA-
NI, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Bologna 2010, p. 688, il quale osserva come, «poi- ché negli accordi di ristrutturazione non è per nulla necessario che l’esito sia quello della con- servazione dell’impresa, e dunque la situazione di crisi può anche essere così grave da condurre alla dissoluzione dell’impresa, non v’è dubbio che la crisi abbracci anche l’insolvenza, come pu- re è previsto nel concordato»; V. BELLUCCI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (prima e dopo il decreto correttivo n. 169 del 12 settembre 2007), in Riv. Dir. Comm. 2008, p. 490; L. BOGGIO, Gli accordi di ristrutturazione: il primo “tagliando” cit., p. 50; S. BONFATTI-P. CEN- SONI, Manuale di diritto fallimentare, Padova 2007, p. 468-469; C. D’AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 528; E. GABRIELLI, Accordi di ristrutturazione del debito e ti- picità dell’operazione economica cit., p. 1077; ID, Autonomia privata e accordi di ristruttura- zione dei debiti, relazione svolta al Convegno «Contratto e crisi d’impresa» tenutosi a Verona il 19 e 20 maggio 2006, il cui testo è reperibile in xxx.xxxxxxxx.xx; L. GUGLIELMUCCI, Diritto fal- limentare. Quarta edizione, Torino 2011, p. 321 e ss.; A. JORIO, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa tra ‘privatizzazione’ e tutela giudiziaria, in Fall. 2005, 1453; L. MANDRIOLI, Lo stato d’insolvenza cit., p. 104; A. PALUCHOWSKI, L’accordo di ristrutturazione ed il controllo del tribunale cit., p. 100; ID, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 910-911; G. VERNA I nuovi accordi di ristrutturazione cit., p. 576, il quale, peraltro, osserva a p. 594 come non ci possa essere dubbio sul fatto «che lo scenario previsto dal legislatore è caratterizzato dallo stato d’insolvenza del debitore. Infatti, se non ci fosse lo stato d’insolvenza, non sarebbe necessario prevedere l’esimente da revocatoria, giacché comunque il negozio non sarebbe soggetto alla re- vocatoria fallimentare per inesistenza del presupposto oggettivo (ed evidentemente di quello soggettivo, dato dalla conoscenza presunta o provanda di tale stato)»; A. NIGRO-D. VATTERMO- LI, Diritto della crisi delle imprese cit., p. 335; G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei de- biti, in La riforma della legge fallimentare, a cura di S. Ambrosini, Bologna 2006, p. 395; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 135, il quale, sia pure con riferimento all’originaria versione del primo comma dell’art. 182-bis l.f. aveva modo di osservare come sia l’insolvenza «al di là di ogni pudore terminologico, nella realtà dei fatti è l’unica spiegazione al fatto che il debitore si determina a chiedere la ristrutturazione dei suoi debiti e che i creditori de- cidono di dilazionare i pagamenti e, soprattutto, di effettuare parziali rinunce», aggiungendo che se formalmente non potrà affermarsi che a chiedere la ristrutturazione sia un debitore insolvente, sarà per lo più quest’ultimo a fare ricorso all’istituto; G. RACUGNO, Gli accordi di ristruttura-
ha affermato che per stato di crisi si intende anche lo stato d’insolvenza1.
Si tratta, come detto, di tesi non unanimemente condivisa, atteso che pro- prio l’ultimo capoverso dell’art. 160 l.f. chiarisce che l’assimilazione è fatta solo
«ai fini di cui al primo comma2».
La considerazione, tuttavia, per la quale sia nel concordato preventivo sia nell’accordo di ristrutturazione l’imprenditore manifesta la sua incapacità di pa- gare, attualmente o prospetticamente, in modo regolare le sue obbligazioni3, in- duce a ritenere preferibile la tesi che non considera alternativi i due concetti. In altri termini, se si assume che il concetto d’insolvenza rimanda ad una condizio- ne di incapacità dell’imprenditore di adempiere regolarmente le proprie obbliga- zioni4, si deve anche condividere l’osservazione di quanti hanno rilevato che
zione dei debiti cit., 661 n. (2); A. VALERIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., 671, il quale osserva che il legislatore, introducendo il riferimento allo stato di crisi, avrebbe fatto coin- cidere esattamente il presupposto oggettivo della procedura degli accordi di ristrutturazione dei debiti con quello della procedura di concordato preventivo; M. VITIELLO, L’approvazione del concordato preventivo, in xxx.xxxxxxxxxx.xxxxx.xx. In giurisprudenza, tra le altre, Trib. Bari, 21 novembre 2005, in, Foro. It., 2006, I, c. 263.
1 Si deve, peraltro, notare come l’introduzione di un nuovo comma all’art. 160 l.f., teso a specificare che per crisi debba intendersi anche l’insolvenza, ha dato luogo in dottrina a critiche, soprattutto con riferimento all’apparente delimitazione della portata dell’esplicazione ai soli fini del concordato. In questa prospettiva, è stata criticata la fretta con cui il legislatore è intervenuto sul punto, atteso che migliore cosa sarebbe stata lasciare alla dottrina di chiarire gli esatti rappor- ti tra crisi ed insolvenza. In questo senso cfr. G. TERNNANOVA, Stato di crisi, stato d’insolvenza, incapienza patrimoniale cit., p. 51; S. BONFATTI, Intervento alla seconda tavola rotonda – Gli accordi di ristrutturazione e il piano di risanamento, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – Atti del convegno. Torino, 23-24 maggio 2008, a cura di A. Jorio, Milano 2009, p. 99; G. VER- NA, I nuovi accordi di ristrutturazione cit., p. 576, che giudica l’intervento del legislatore «pleo- nastico». Di contrario avviso, tuttavia, è la dottrina dominante, la quale ha affermato l’opportunità di un intervento chiarificatore sul punto da parte dello stesso legislatore, tenuto contro, tra l’altro, delle importanti conseguenze che l’omologazione dell’accordo può determina- re per i non aderenti all’accordo e la necessità conseguente di introdurre un criterio oggettiva- mente apprezzabile di selezione delle situazioni meritevoli di protezione. Cfr. G.B. NARDEC- CHIA, Intervento alla seconda tavola rotonda – Gli accordi di ristrutturazione e il piano di risa- namento, in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa – Atti del convegno. Torino, 23-24 maggio 2008, a cura di A. Jorio, Milano 2009, p. 103 e ss..
2 Ritiene che il concetto di crisi non sia idoneo a ricomprendere anche quello d’insolvenza, e che, pertanto, l’assimilazione sussista solo nella limitata ipotesi in cui è imposta dal legislatore, per effetto dell’ultimo comma dell’art. 160 l.f. A CARLI, Accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 416. Contra, tra gli altri, E. GABRIELLI, op. loc. cit., il quale ritiene per analogia applica- bile l’ultimo comma dell’art. 160 l.f. agli accordi di ristrutturazione.
3 Cfr. G. TERRANOVA, Stato di crisi, stato d’insolvenza, incapienza patrimoniale, in Stato di crisi e stato d’insolvenza di G. Terranova, Torino 2007, p. 74. Lo scritto è pubblicato anche in Dir. fall. 2006, I, p. 547 e ss.
4 M. FABIANI, Diritto fallimentare cit., p. 77 e ss.;G. FERRI jr, Il presupposto oggettivo del fallimento, in Riv. Dir. Comm., p. 765 e ss., il quale, chiarito che il concetto d’insolvenza coinci-
suoi debiti, com’è nel caso di un accordo di ristrutturazione, per ciò stesso mani- festa di non essere in grado di pagarli regolarmente tutti1: pertanto non v’è ra- gione di ritenere che l’insolvenza costituisca il limite del concetto di crisi.
Più complesso, invece, comprendere se lo stato di crisi abbracci, oltre alla temporanea difficoltà nei pagamenti2 e all’insolvenza, qualche cosa d’altro3.
Al problema la dottrina maggioritaria ritiene di dare risposta positiva sulla scorta della considerazione che il concetto di crisi è stato attinto dal legislatore dalla scienza aziendalistica4: sicché è sulla base dell’omonimo concetto elabora- to in tale sede che l’interprete deve muoversi allorché intenda definire gli esatti contorni della figura.
Per questa via il concetto di crisi viene dilatato fino a ricomprendere tutte le ipotesi di crisi finanziaria, economica e patrimoniale5, in cui l’imprenditore ven- ga a trovarsi6, purché tale crisi risulti oggettivamente percepibile, all’uopo, tut-
de con l’irregolarità attuale dell’attività solutoria dell’imprenditore, ne riferisce lo stato all’organizzazione d’impresa, ed in special modo, ad una situazione patologica dell’organizzazione finanziaria dell’impresa; G. TERRANOVA, Il concetto d’insolvenza, in Stato di crisi, stato d’insolvenza, Torino 2007, p. 1 e ss.. Più in generale sul concetto di insolvenza cfr.
F. MACARIO, Insolvenza del debitore, crisi dell’impresa e autonomia negoziale nel sistema della tutela del credito, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e F. Macario, Milano 2010, p. 19 e ss.; ID, Insolvenza, crisi d’impresa e autonomia negoziale. Appunti per una ricostruzione sistematica delle tutele, in Riv. Soc. 2008, p. 102 e ss.
1 In questo senso, S. AMBROSINI, Art. 182-bis cit., p. 2544; G. FAUCEGLIA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge n. 80/2005, in Fall. 2005, p. 1447.
2 Trib. Roma, 1 febbraio 2006, in Dir. fall., 2007, II, 95; Trib. Sulmona, 19 gennaio 2006,
in Fall., 2006, p. 608; Trib. Bologna, 15 novembre 2005, in Giur. Comm., 2006, II, p. 981.
3 S. BONFATTI, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 100, il quale ritiene di poter pervenire a tale soluzione anche in considerazione che ai nuovi istituti del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione sarebbe da riconoscere anche il compito di svolgere le mede- sime funzioni prima svolte dall’amministrazione controllata; A. DIDONE, Gli accordi di ristrut- turazione dei debiti cit., p. 20; L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare cit., p. 317; V. LENOCI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione cit., p. 72 e ss.
4 L. MANDRIOLI, Lo stato d’insolvenza cit., p. 107, il quale ritiene evidente «come il legi- slatore della novella abbia disegnato un concetto, qual è quello di stato di crisi, non qualificato e, pertanto, aperto alla ricezione di nozioni economico-aziendalistiche. Si tratta, infatti, di un con- cetto “valvola” che nella sua elasticità necessita di essere riempito di volta in volta da parte dell’interprete, attingendo, nel caso di specie, ai risultati raggiunti in materia dalla migliore scienza aziendalistica».
5 S. BONFATTI, Le misure di prevenzione delle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa. Gli “Accordi di ristrutturazione”, in xxx.xxxxxx.xx, p. 2; L. GUGLIELMUCCI, Di- ritto fallimentare cit., p. 321-322.
6 S. PACCHI, Il concordato preventivo, in AA.VV. Manuale di diritto fallimentare, Milano 2006, p. 468; la quale osserva che il concetto di crisi debba essere inteso alla stregua di una
«perturbazione o improvvisa modificazione di un’attività economica organizzata, prodotta da
tavia, ritenendosi sufficienti anche gli elementi che possono desumersi da una corretta analisi dei dati contabili e purché la crisi assuma comunque rilevanza finanziaria1, sia pure prospettica, sotto il profilo del suo possibile sfociare nell’insolvenza2 e sia, peraltro, chiaro che l’imprenditore, in assenza di un inter-
molteplici cause, ora interne al singolo organismo, ora esterne, ma in ogni caso capaci di minar- ne l’esistenza o la continuità» potendosi trattare di crisi finanziaria o di crisi economica «a se- conda che sveli una problematica relativa soltanto ai rapporti di debito-credito o, invece, investa la stessa collocazione dell’impresa sul mercato». V. LENOCI, Il concordato preventivo e gli ac- cordi di ristrutturazione cit., p. 73. Per una descrizione economica delle diverse cause che pos- sono determinare la crisi dell’impresa, e per una loro diversificazione in ragione dell’aria, eco- nomica, finanziaria, o patrimoniale, che esse colpiscono, cfr., senza alcuna pretesa di completez- za, AA.VV. Crisi, insolvenza e risanamento dell’impresa, Milano 2010, p. 2 e ss.; N. LUCIDO, Le metodologie e gli strumenti di diagnosi nella crisi d’impresa, in AA.VV. La crisi d’impresa, Na- poli 2011.
1 L. GIRONE, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 532. Osserva F. DI MARZIO, ‘Contratto’ e ‘deliberazione’ nella gestione della crisi d’impresa, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e F. Macario, Milano 2010, p. 79 che il rilievo che assume il momento finanziario nell’emersione della crisi d’impresa si radica nella considerazione che
«l’insolvenza commerciale assume una dimensione spiccatamente relazionale (pregiudicando la relazione commerciale in essere, e cioè il rapporto obbligatorio in esecuzione)» è per questo, pe- raltro, che «il piano sulla crisi o sull’insolvenza dell’impresa è funzionale, oltre che a riposizio- nare strategicamente l’impresa, anche a ristrutturare o definire relazioni commerciali, ossia (e prevalentemente) rapporti obbligatori; ma si comprende anche come mai il Debt restrutturing sia oggetto di primaria considerazione della legge».
2 In questo senso la dottrina parla anche di pericolo o rischio di insolvenza, intendendo ri- ferirsi al fatto che la situazione economica e finanziaria in cui versa il debitore è tale da degene- rare, in assenza di appositi interventi, proprio nell’insolvenza. Cfr. G. DE FERRA, Il rischio di insolvenza, in Giur. Comm., 2001, I, p. 193 e ss. È stato, peraltro, osservato, che la situazione in cui l’imprenditore verrebbe a trovarsi sarebbe perfettamente speculare a quella della temporanea difficoltà d’adempiere: mentre qui, infatti, l’imprenditore sarebbe incapace di adempiere alle proprie obbligazioni, ma lo diverrà in un prossimo futuro, qui, per l’inverso, l’imprenditore po- trebbe ancora essere capace di adempiere le proprie obbligazioni, ma tale capacità è destinata a venir meno in un futuro prossimo, a meno che, ovviamente non s’intervenga. In questo senso cfr. G. TERRANOVA; Stato di crisi, stato d’insolvenza cit., p. 55 e ss. Avvicina espressamente il concetto di crisi a quello di pericolo o rischio d’insolvenza, tra gli altri, S. BONFATTI, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 100; M. FABIANI, Diritto fallimentare cit., p. 87-88; E. GA- BRIELLI, Autonomia privata e accordi di ristrutturazione cit.; L. GUGLIELMUCCI, Diritto falli- mentare cit., p. 321, il quale, peraltro, ritiene che possano trovare spazio nel concetto di crisi an- che le ipotesi di sbilancio patrimoniale e di riduzione del patrimonio netto al di sotto del minimo legale, ma non le situazioni di mera perdita di capacità reddituale, le quali, più correttamente, vanno inquadrate nella fase di mero declino dell’impresa; A. NIGRO-D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., p. 335; G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 395;. Di situazioni «prossime all’insolvenza» o di «insolvenza non manifesta», parla, invece, G. FAUCEGLIA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 1447. È peraltro comune in dottrina il richiamo alla definizione di crisi quale «situazione patrimoniale, economica e finanziaria in cui si trova l’impresa, tale da determinare il rischio di insolvenza» fatta propria dall’art. 2 dello schema di disegno di legge elaborato dalla c.d. Commissione Trevisanato. Per tutti, cfr. T.E: CASSANDRO, I presupposti per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, in Le al- tre procedure concorsuali, reati fallimentari, problematiche comunitarie e trasversali, fallimen- to e fisco, diretto e coordinato da U. Apice, Torino 2011 p. 37; G. RACUGNO, Gli accordi di ri- strutturazione dei debiti cit., p. 661 n. (2). In giurisprudenza, cfr. Trib. Palermo, 18 maggio 2007, in Fall., 2008, p. 75; Trib. Palermo, 17 febbraio 2006, in Fall., 2006, p. 570.
vento, per cosi dire, dall’esterno1, non possa ritrovare l’equilibrio economico- patrimoniale-finanziario perduto2.
In questa prospettiva il concetto di crisi, da un lato, viene ad esprimersi co- me disfunzione, attuale o prospettica, dei flussi finanziari dell’impresa che, qua- lunque ne sia la causa, consente all’imprenditore di accedere alla procedura di concordato preventivo ovvero di chiedere l’omologazione di un accordo di ri- strutturazione, e, dall’altro, si misura in ragione dell’eccezionalità dei rimedi ne- cessari al suo superamento, in assenza dei quali la crisi è destinata a degenerare3.
La necessità che la crisi investa l’aspetto finanziario della gestione sembra il riflesso della circostanza che l’omologazione dell’accordo è richiesta proprio con riferimento al debito complessivo dell’imprenditore e, peraltro, relativamen- te ad una quota significativa di tale debito4. Guardando al rimedio, pertanto, sembra confermarsi l’idea che la manifestazione patologica della crisi deve aversi sul versante della gestione finanziaria, quale disfunzione, attuale o pro- spettica, nell’organizzazione dell’attività solutoria.
La verifica della sussistenza dello stato di crisi viene a costituire il momento di controllo più significativo in ordine alla sussistenza dell’interesse generale al- la protezione degli atti posti in essere in esecuzione dell’accordo di ristruttura- zione: ciò perché la sua assenza non giustificherebbe il vantaggio, conseguente alla regola di esenzione, che in ipotesi di fallimento viene riconosciuto ai credi- tori che aderiscono all’accordo rispetto a quelli che, invece, vi rimangono estra-
1 A. CAIAFA, Accordi di ristrutturazione dei debiti: natura giuridica e giudizio di omologa- zione, in Dir. fall., 2006, II, p. 536 e ss..
2 L. MANDRIOLI, Lo stato d’insolvenza dell’impresa, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di A. Didone, Torino 2009, p. 111-112, il quale ritiene che «la soglia minima per potere usufruire del novellato istituto concordatario è identificabile in una situazione di crisi finanziaria non solo attuale, ma anche prospettica che non richiede sempre e comunque che il debitore abbia cessato i pagamenti» e che «anche la soglia di crisi prospettica necessita, al pari dello stato di insolvenza, di una esteriorizzazione non potendo essere del tutto “asintomatica”».
3 Cfr. sia pure con riferimento alla diversa questione dei piani attestati di risanamento, M. FABIANI, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Bologna 2011, p. 719.
4 Cfr., per tutti, E. GABRIELLI, Autonomia privata e accordi di ristrutturazione dei debiti cit., il quale ritiene di potere estendere agli accordi di ristrutturazione dei debiti quanto affermato con riferimento al concordato da Monsieur Alexis Désiré Dalloz, avvocato della Corte di Cassa- zione di Parigi, nella sua “Giurisprudenza dei fallimenti, delle banche rotte, e della decozione”, per il quale: «ottenere un concordato dai creditori è oggi quello che prima dicevasi comporre il debito; le parole concordato, composizione del debito hanno, parlando legalmente, lo stesso pre- ciso significato, è la sostituzione di un vocabolo ad un altro».
nei1. Occorre, tuttavia, chiarire che solo in senso lato tale circostanza può essere spiegata sostenendo che in assenza della crisi non si può consentire che il debi- tore imponga ai creditori la ristrutturazione2. Se si parte, infatti, dall’idea che l’accordo vincola solo gli aderenti, se ne deve dedurre che in alcun modo esso possa essere imposto ai terzi3.
L’osservazione, peraltro, non vale ad escludere che l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti possa produrre effetti negativi per i terzi nell’ipotesi in cui l’accordo stesso non vada a buon fine e si attivi, per conse- guenza, il meccanismo di esenzione previsto dall’art. 67, comma 3 lett. e), l.f.4.
1 In questa prospettiva, tra gli altri, A. DIDONE, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 19 il quale rileva come «il rischio, anche alla luce della disciplina di cui all’art. 182 bis legge fallim. è quello dello «schermo protettivo» dietro il quale giustificare quelle costruzioni di
c.d. «ingegneria concorsuale» che in realtà sovente nascondono vere e proprie operazioni illecite o comunque poste in essere in frode ai creditori o ad alcune dello loro possibili «classi»»; P. MARANO, Le ristrutturazioni dei debiti e la continuazione dell’impresa cit., p. 103.
2 L. BOGGIO, Gli accordi di ristrutturazione: il primo “tagliando” cit., p. 50, il quale spe- cularmente a quanto osservato in testo, osserva come «solo nella misura in cui si possa ragione- volmente realizzare il mancato pagamento di una parte dei crediti per effetto dell’insufficienza del patrimonio del debitore, l’ordinamento può consentire al debitore di sfuggire all’integrale esecuzione delle obbligazioni di cui è titolare»; E. GABRIELLI, Autonomia privata e accordi di ristrutturazione dei debiti cit., il quale osserva che la conclusione dell’accordo «potrebbe assol- vere, a vantaggio dell’imprenditore (non in crisi) ma che viceversa assume di trovarsi in tale si- tuazione, ad una funzione elusiva del regolare adempimento delle proprie obbligazioni, nei con- fronti dei creditori “aderenti” all’accordo»; L. GIRONE, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 533; A. PALUCHOWSKI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 911, la quale os- serva che in assenza della verifica della sussistenza dello stato di crisi «si porrebbe insindaca- bilmente nelle mani del debitore lo strumento per accedere ad una ristrutturazione con correlati- va facoltà di ritrattare le condizioni o ridurre l’indebitamento, pur in assenza dei presupposti che legittimano tali attività, in ogni caso foriere di compressione delle ragioni creditorie». Ritiene, invece, nullo l’accordo di ristrutturazione stipulato in assenza della crisi del debitore L. GRECO, Gli accordi di ristrutturazione come negozi fallimentari di utilità sociale, in Dir. fall., 2008, I, p. 645.
3 S. BONFATTI, Intervento alla seconda tavola rotonda cit., p. 102; V. ZANICHELLI, I con- cordati giudiziali cit., p. 603.
4 D. GALLETTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 667; G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 389 e ss.; G. RACUGNO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 667;
2. L’accordo con i creditori: la soglia del 60% dei crediti
L’accordo di ristrutturazione, per essere omologato, deve essere concluso con tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dell’intera esposizione debi- toria. La dottrina si affretta a dire, sulla base della lettera della legge, che si deve avere riguardo all’ammontare complessivo dei crediti, e non alle teste dei credi- tori1: sicché la percentuale può essere raggiunta anche quando l’accordo sia sti- pulato con un unico creditore, nelle cui mani, però, si raccoglie la suddetta per- centuale dell’esposizione debitoria dell’imprenditore2.
La concreta possibilità di stipulazione dell’accordo può essere notevolmente influenzata proprio dal numero di creditori che detengono l’aliquota necessaria per l’omologazione dell’accordo. In questa prospettiva l’accordo di ristruttura- zione dei debiti sarebbe, sul piano pratico, maggiormente adatto a quelle situa- zioni in cui la maggioranza del debito è nelle mani di pochi creditori, meglio, peraltro, se tali creditori sono banche o intermediari finanziari3: circostanza,
1 S. AMBROSINI, Art. 182-bis cit., p. 2546; L. BOGGIO, Gli accordi di ristrutturazione: il primo “tagliando” cit., p. 74; ID, Gli accordi di salvataggio delle imprese in crisi. Ricostruzione di una disciplina, Milano 2007, p. 132; C. D’AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei de- biti, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di G. Fauceglia-L. Panzani, Torino, 2009, III, p. 1811, il quale osserva che tale circostanza trova conferma nel fatto che i creditori non sono considerati dalla norma quale collettività, né prendono parte ad alcuna votazione; M. FABIANI, Diritto fallimentare cit., p. 699; M. LIBERTINI, Accordi di risanamento e ristruttura- zione dei debiti cit., p. 382-383, il quale, inoltre, osserva come la circostanza che l’aliquota deb- ba essere computata con riferimento all’intera esposizione debitoria determina, come conse- guenza, che potranno essere necessarie complesse operazioni di stima dei crediti non pecuniari»;
V. LENOCI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione cit., p. 304; G.B. NARDEC- CHIA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall., 2006, p. 675; A. PALUCHOWSKI, Gli ac- cordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 913; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 193; G. RACUGNO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., 663; M. SCIUTO, Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riv. Dir. Civ. 2009, p. 346; A. VALERIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 676; P. VALENSISE, Art. 182-bis, in La riforma della legge fallimentare, a cura di A. Nigro M. Sandulli, Torino 2006, p. 1092; G. VERNA, I nuovi accordi di ristrutturazione cit., p. 576. In giurisprudenza cfr., Trib. Brescia, 22 febbraio 2006, in Foro It., 2006, I, 2563; Trib. Roma, 16 ottobre 2006, in Fall., 2007.
2 L. BOZZA, Le soluzioni alla crisi con procedure giudiziali cit., p. 119; A. PALUCHOWSKI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 912-913; G. PRESTI, Gli accordi di ristruttura- zione dei debiti cit., p. 394; V. ROPPO, Profili strutturali e funzionali cit., p. 373; M. SCIUTO, op. loc. cit.; A. VALERIO, op. loc. cit.
3 D. BENINCASA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e le soluzioni stragiudiziali delle crisi d’impresa, in xxx.xxxxxxx.xxx; p. 3; S. BONFATTI-P.CENSONI, Manuale di diritto fallimen- tare cit., p. 471; M. LIBERTINI, Accordi di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 359 e ss.; G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 393; G. RACUGNO, Gli accordi di ri-
questa, della quale sembra, peraltro, esservi una eco nella recente disposizione di cui all’art. 182-quater l.f.1.
L’aliquota, poi, deve essere calcolata considerando sia i crediti chirografari sia quelli privilegiati2, nonché i crediti sottoposti a condizione o termine3: dub- bio è, invece, se debbano essere computati anche quelli contestati. La soluzione è stata trovata nel relegare al giudizio di opposizione lo scioglimento del pro- blema, nel senso che i crediti contestati non debbono essere computati nel monte crediti, ed il creditore pretermesso dal computo avrà l’onere di incardinare l’opposizione per fare accertare, sia pure al limitato fine della prova del mancato raggiungimento dell’aliquota, il proprio credito4.
strutturazione dei debiti cit., p. 662; R. RAIS, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 292.
1 V. MISINO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti alla luce dell’ulteriore intervento ri- formatore tra carenze normative e prospettive di rilancio, in xxx.xxxxxxxx.xx, 2010, p. 26, il quale osserva come una corretta spiegazione al perché il legislatore abbia individuato nelle sole banche e negli intermediari autorizzati i soggetti cui è riservato il privilegio della prededuzione per la c.d. nuova finanza si rinviene nella teoria economica del sunk costs, ovvero dei costi af- fondati, per la quale «nelle decisioni gli operatori considerano non solo i sacrifici o i costi futuri da affrontare (come la razionalità e la teoria economica dell’utilità marginale dovrebbe suggeri- re), ma anche gli investimenti, gli oneri, i finanziamenti passati e non più recuperabili (da cui il termine “affondati”)». In questa prospettiva, pertanto i soggetti dai quali si può ragionevolmente attendere una maggiore propensione all’erogazione della nuova finanzia sono i soggetti che han- no una maggiore esposizione, e, in ultima analisi le banche e gli altri intermediari finanziari.
2 L. BOGGIO, Gli accordi di ristrutturazione: il primo “tagliando” cit., p. 74; S. BONFATTI-
P. CENSONI, op. loc. cit.; M. FABIANI, Diritto fallimentare cit., p. 699; R.M. GROSSI, Art. 182- bis, in La riforma della legge fallimentare, Milano 2006, p. 2266; D. GALLETTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 663; L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare cit., p. 346; V. LENOCI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione cit., p. 305; G. LO CASCIO, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano 2007, p. 1051; A. NIGRO-D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese cit., p. 354; G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 387, il quale trae tale conclusione dalla circostanza che l’aliquota del 60% non costituisce una maggioranza, ma mera condizione di omologabilità dell’accordo, in quanto la partecipazio- ne dei creditori che rappresentano tale percentuale all’accordo, costituisce, per scelta del legisla- tore, indice minimo insindacabile di attuabilità del piano, con la conseguenza che tale aliquota va calcolata considerando tutta l’esposizione debitoria, ivi compresi, per l’appunto, i privilegiati; G. RACUGNO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 663; P. MARANO, Le ristrutturazioni dei debiti e la continuità dell’impresa, in Fall., 2006, p. 103; C. PROTO, Gli accordi di ristruttu- razione dei debiti cit., p. 130; M. SCIUTO, op. loc. cit.; A. VALERIO, Gli accordi di ristruttura- zione dei debiti cit., p. 675; V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali cit., p. 606. Contra, ma isola- tamente, A. PEZZANO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis legge fallimenta- re: una occasione da non perdere, in Dir. fall., 2006, II, 690. In giurisprudenza, Trib. Brescia 22 febbraio 2006, in Fall. 2006, 669; Trib. Roma 7 luglio 2005, in Il nuovo dir. soc., 23, 47.
3 L. BOZZA, Le soluzioni alla crisi con procedure giudiziali cit., p. 120; G. VERNA, I nuovi accordi di ristrutturazione cit., p. 576-577.
4 L. BOGGIO, op. loc. cit.; M. FABIANI, Diritto fallimentare cit., p. 699; M. FERRO, Art. 182-bis, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a cura di M. Ferro, Padova 2007, p. 1437; L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare cit., p. 350-351, il quale, da un lato, ritie-
Sempre con riferimento al raggiungimento dell’aliquota necessaria all’omologazione, si ricorda che coloro che considerano l’accordo una specie semplificata, ovvero accelerata, di concordato preventivo la configurano quale vera e propria maggioranza. La dottrina maggioritaria, come detto, ritiene che la suddetta aliquota rappresenti una mera condizione per l’omologazione dell’accordo: condizione che il legislatore ha liberamente fissato nel 60% dei crediti, ma che ben avrebbe potuto essere superiore o, per contro, inferiore a tale soglia1.
Proprio la configurazione della suddetta aliquota quale mera condizione per l’omologazione ha, tuttavia, ingenerato il dubbio in ordine alla necessità che es- sa sia raggiunta prima del deposito del ricorso per l’omologazione. Parte della dottrina, infatti, partendo proprio dal rilievo che tale soglia rappresenti una mera condizione per l’omologazione dell’accordo, ha ritenuto che essa possa essere raggiunta dal debitore anche nel corso del procedimento di omologazione; così ché il debitore sarebbe legittimato al deposito dell’accordo anche durante la fase delle trattative, e nella speranza che, pendente il procedimento di omologazione,
ne che il tribunale debba verificare, sulla base delle scritture dell’imprenditore, il raggiungimen- to dell’aliquota necessaria, e, dall’altro, afferma come il giudizio di opposizione possa essere incardinato dai creditori proprio con riferimento al mancato raggiungimento della percentuale richiesta dalla legge; V. LENOCI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione cit., p. 319; M. SCIUTO, Effetti legali e negoziali cit., p. 347, il quale afferma che il giudizio di sussi- stenza dell’accordo con il numero di creditori rappresentanti la percentuale richiesta dal primo comma dell’art. 182-bis l.f., sarà svolto sulla base dei soli dati contabili dell’imprenditore, che, in tal modo, si auto legittima all’accordo, salve le opposizioni dei creditori estranei; G. VERNA, I nuovi accordi di ristrutturazione cit., p. 577, il quale trae la conclusione di cui in testo dall’osservazione che nella procedura di omologazione dell’accordo di ristrutturazione manca una fase processualmente dedicata all’accertamento del credito, sia pure al limitato fine della partecipazione del creditore alla procedura; ciò a differenza di quanto invece previsto con rife- rimento al concordato preventivo (art. 176, comma 1, l.f.). l’A., peraltro, al fine di prevenire possibili abusi da parte dell’imprenditore, ritiene che ove sia chiaro che la contestazione è mossa dal debitore al solo fine di escludere il credito di uno specifico creditore “ostile”, ugualmente il professionista chiamato ad attestare l’attuabilità del piano dovrà computare il suddetto credito ai fini del calcolo dell’aliquota del 60%. Contra, tuttavia, M. LIBERTINI, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti cit., p. 383, per il quale, una soluzione praticabile al problema potreb- be fondarsi «su una ragionevole presunzione, che porta a far gravare sul debitore l’onere di pro- vare che la pretesa altrui presenta un rischio remoto, ovvero comporta un rischio che deve essere ridimensionato rispetto alla richiesta formale». La circostanza, tuttavia, che è regola generale che sia il creditore a dovere dimostrare l’esistenza del credito, e che nel caso di specie non si rinvengono indici normativi che rendano evidente una contraria scelta compiuta dal legislatore, induce a preferire la tesi esposta in testo.
1 Per i termini della questione sia consentito rinviare alla dottrina indicata al superiore §
2.a.
l’omologazione1.
Pur riconoscendosi la forzatura al testo della lettera della legge2, si è ritenu- ta preferibile tale interpretazione sia perché, richiedendo che l’aliquota sia rag- giunta già al momento della pubblicazione dell’accordo si raddoppierebbe sem- plicemente il tempo necessario per ottenere l’omologazione (col rischio che nel frattempo la situazione economica dell’imprenditore subisca un ulteriore peg- gioramento)3 sia perché si consentirebbe di realizzare l’effetto di automatic stay già al momento della fase delle trattative, migliorando l’efficienza dell’intera procedura4.
Sulla questione, tuttavia, sembra preferibile la tesi di chi ha ritenuto neces- sario che il consenso del numero di creditori necessario a raggiungere l’aliquota richiesta sia già stato raccolto dal debitore al momento della pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, atteso che da tale momento decorre il termine per proporre le opposizioni, e che l’eventuale assenza del requisito pre- detto, già al momento della pubblicazione, potrebbe di per sé indurre il creditore dissenziente a non proporla, col rischio, quindi, di privarlo di tutela5.
1 V. LENOCI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione cit., p. 305. In giuri- sprudenza la conclusione è stata fatta propria anche da Trib. Milano, 11 gennaio 2007, in Dir. fall. 2008, II, p. 136 e ss., con nota adesiva di R. Proietti, I nuovi accordi di ristrutturazione dei debiti, sulla scorta, tuttavia, del diverso rilievo che l’aliquota del 60% costituisca condizione dell’azione e che, pertanto, sia necessario verificarne l’esistenza al momento della decisione, ben potendo tali condizioni sopraggiungere nel corso del giudizio. Sulla distinzione tra condizioni dell’azione e presupposti processuali della stessa cfr., AA.VV. Diritto processuale civile, Napoli 2008, p. 42 e ss.; C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino 2011, 21°ed, I, p. 47 e ss.
2 In questo senso, per tutti, C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 132;
A. PALUCHOWSKI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 913 e 922-923.
3 In questi termini R. PROIETTI, I nuovi accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 146. Cfr. anche A. PALUCHOWSKI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 922, la quale os- serva come nel richiedere che il procedimento di omologazione sia ricominciato ove l’aliquota necessaria alla sua omologazione non sia stata già raggiunta al momento del deposito del ricor- so, «si avverte una sensazione di inutilità e di dispendiosità, una violazione del principio di eco- nomia dei giudizi e del favor nei confronti di questo istituto che induce a ritenere che la condi- zione del 60% possa essere soddisfatta anche successivamente alla presentazione, pur senza infi- ciare la validità dell’accordo».
4 V. MISINO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 8.
5 D. BENINCASA, Gli accordi di ristrutturazione cit., p. 4; M.R. GROSSI, Art. 182-bis, in La riforma della legge fallimentare, Milano 2007 2° ed., p. 1558 n. (29); A. PALUCHOWSKI, L’accordo di ristrutturazione ed il controllo del tribunale cit., p. 100; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 132.
comma 6 dell’art. 182-bis l.f., un apposito procedimento per ottenere la morato- ria delle azioni esecutive e cautelari dei creditori nella fase delle trattative, sem- bra rafforzare il convincimento che l’accordo con il numero di creditori di cui al primo comma dello stesso art. 182-bis l.f. debba essere raggiunto già al momen- to del deposito del ricorso per l’omologazione1.
2.a. L’accordo con i creditori: la struttura
La disciplina di cui all’art. 182-bis, comma 1, l.f. non ci dice, tuttavia, mol- to di più circa la struttura, il contenuto e la causa dell’accordo di ristrutturazio- ne2.
Partendo dal rilievo che il legislatore, introducendo la figura degli accordi di ristrutturazione, abbia, in qualche misura, inteso tipizzare il concordato stra- giudiziale3, si è fatto richiamo al dibattito sviluppatosi in ordine a quest’ultima figura1 per puntellare le scarne indicazioni normative2.
1 A. PALUCHOWSKI, op. loc. cit.
2 Sul punto osserva molto efficacemente G. GUIZZI, Considerazioni extra vagantes sugli accordi di ristrutturazione cit., p. 102 che «il compito con cui il legislatore della riforma è stato chiamato a misurarsi non era tanto quello di dare ingresso ad uno strumento di soluzione nego- ziale della crisi prima non consentito […] e neppure quello, per così dire, di tipizzare, sotto il profilo contenutistico, i possibili assetti di interesse suscettibili di essere recepiti in tali accordi, ma soltanto di definire una cornice normativa che valesse, se non ad eliminare del tutto, quanto meno a ridurre quello che da sempre si è presentato come il principale disincentivo ad una loro generale diffusione, ovvero l’idoneità, di quello che è e resta a tutti gli effetti un contratto, ad esplicare, in assenza di norme ad hoc che tanto prevedano, effetti pregiudizievoli nei confronti dei terzi che a quell’accordo restino estranei, e segnatamente effetti protettivi per i creditori par- tecipanti all’accordo nei confronti di quelli che non vi aderiscano, sia nella fase di attuazione dello stesso sia, eventualmente, nell’ipotesi di suo esito negativo e di successiva apertura di una procedura concorsuale».
3 D. BENINCASA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 5; C. D’AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 523 e ss.; E. GABRIELLI, Autonomia privata e accor- di di ristrutturazione cit.; A. GENTILI, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi cit., p. 293; L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare cit., p. 345, il quale afferma come nell’accordo di ristruttu- razione vi sia eco del pactum de non petendo; G. GUIZZI, Considerazioni extra vagantes sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis legge fallimentare, in Profili della nuova legge falli- mentare, a cura di C. Ibba, Torino 2009, p. 102; M. FABIANI, Accordi di ristrutturazione dei de- biti: l’incerta via italiana cit., c. 263-264; G. FALCONE, La “gestione privatistica dell’insolvenza” cit., p. 287, ove si rileva come «le possibili fattispecie ricomprendibili
minazione della struttura dell’accordo di ristrutturazione. La rubrica dell’art. 182-bis l.f. si riferisce agli accordi di ristrutturazione, il corpo della norma, in- vece, si esprime al singolare, facendo riferimento all’accordo depositato per l’omologazione dal debitore.
La dottrina che si è occupata del tema ha attribuito all’incongruenza valore precettivo3, spiegandola sulla scorta dell’affermazione per la quale il legislatore avrebbe inteso delineare un istituto a geometria variabile4. In questo senso,
all’interno della categoria “accordo di ristrutturazione” paiono inquadrabili nella figura – di ela- borazione dottrinale e giurisprudenziale – del “concordato stragiudiziale”, anche se proprio la previsione normativa rende oggi più discutibile qualificare tale tipo di concordato come “con- tratto atipico”, posto che, in certa misura, lo stesso art. 182-bis ne ha definita l’architettura»; G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 383; V. ROPPO, Profili strutturali e fun- zionali cit., p. 365; M. SCIUTO, Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei de- biti, in Riv. Dir. Civ., 2009, p. 340, il quale configura il rapporto tra concordato stragiudiziale ed accordo di ristrutturazione quale genere a specie; A. VALERIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 662-663.
1 Con riferimento al concordato stragiudiziale cfr., senza pretesa alcuna di completezza, F. BONELLI, Ruolo e responsabilità degli advisors nella gestione stragiudiziale dell’insolvenza, in Fall., 1997, p. 569 e ss.; G. DE NOVA, Le convenzioni attuative del piano di ristrutturazione, Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Verona 2011, p. 111 e ss.; G. DOMENICHINI, Convenzioni bancarie ed effetti sullo stato d’insolvenza, in Fall., 1996, 840 e ss.; E. FRASCARO- LI SANTI, Il concordato stragiudiziale, Padova 1984; ID, Concordato stragiudiziale, in Dig. Disc. Priv., sez. comm., Torino 1988, p. 283 e ss.; ID, Crisi d’impresa e soluzioni stragiudiziali cit., p. 199 e ss.; ID, Gli accordi di ristrutturazione. Un nuovo procedimento cit., p. 187 e ss.; G. MONETESANO, Il concordato stragiudiziale, in Banca borsa tit. cred., 1971, I, p. 480 e ss. P. GUERRA, Problemi della pratica ristrutturazione del debito e assistenza finanziaria all’impresa: il c.d. consolidamento dei crediti bancari, in Banca borsa e tit. cred., 1995 I, 807 e ss.; P. OLI- VA, Privatizzazione dell’insolvenza: inquadramento giuridico delle operazioni di ristrutturazio- ne, in Fall., 1999, p. 825 e ss.; L. PANZANI, Il caso «Federconsorzi», in Fall., 1996, p. 849 e ss.;
C. PETRUCCI, Concordato stragiudiziale, in Enc. del Dir., Milano 1961, p. 521 e ss.; R. PROVIN- CIALI, Concordato stragiudiziale cit., p. 986 e ss.; G. SANSONE, Risanamento dell’impresa tra autonomia privata e controllo giudiziario, in Fall., 1998, p. 761 e ss.; ID, Il caso Tripcovich, in Fall., 1996, p. 833 e ss.; R. VIVALDI, Soluzione negoziale dell’insolvenza: responsabilità civile delle banche nella crisi d’impresa, in Fall., 1998, p. 557 e ss.; F. ZICCARDI, Concordato stra- giudiziale cit., p. 345 e ss.
2 A. NIGRO-D. VATTERMOLI, Diritto delle crisi dell’impresa cit., p. 377 e ss; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 131.
3 E. GABRIELLI, Autonomia privata e accordi di ristrutturazione cit.; ID, Accordi di ristrut- turazione del debito e tipicità dell’operazione cit., p. 1078, il quale ritiene che «muovendo infatti dal presupposto che la discrasia sia frutto di una consapevole scelta operata dal redattore della norma, essa può essere spiegata unicamente nel senso che il legislatore abbia voluto configurare l’accordo quale fattispecie dotata di una propria ed unitaria struttura formale, seppure riguardata nella molteplicità delle forme attraverso le quali tali convenzioni possono essere in concreto po- ste in essere dai privati in base al principio di autonomia».
4 S. AMBROSINI, Art. 182-bis cit., p. 2540, il quale rileva come la «struttura può mutare a seconda delle modalità concrete adottate dal debitore e dai suoi creditori. Ne deriva che ci si può trovare al cospetto tanto di singole intese conseguite fra l’imprenditore e ciascuno dei creditori
ti l’un l’altro dall’esistenza del piano di ristrutturazione, ovvero, ed all’opposto, quale contratto unitario1: in quest’ultimo caso potendo essere strutturato ora co- me contratto bilaterale con parte plurisoggettiva2 ora come contratto con plurali- tà di parti e con comunione di scopo3.
Ogni discussione sul punto è peraltro complicata dal più assoluto silenzio che il legislatore ha mantenuto sulla questione4: silenzio che viene giustificato
(o gruppi di essi), quanto di un contratto unitario, qualificabile come contratto plurilaterale o, più appropriatamente, come contratto bilaterale plurisoggettivo».
1 M. ARATO, Gli accordi di salvataggio o di liquidazione dell’impresa in crisi, in Fall., 2008, p. 1240; L. BOGGIO, Gli accordi di ristrutturazione: il primo “tagliando” cit., p. 72; ID, Gli accordi di salvataggio delle imprese in crisi cit., p. 111 e ss.; S. BONFATTI-P. CENSONI, Ma- nuale di diritto fallimentare cit., p. 473-475; S. BONFATTI, Le procedure di composizione nego- ziale delle crisi d’impresa. La disciplina dei «piani di risanamento dell’esposizione debitoria» e degli «accordi di ristrutturazione dei debiti», in La riforma dell’azione revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, di S. Bonfatti e P. Censoni, Pado- va 2006, p. 285; A. CAPOBIANCO, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa. Profili funzionali e strutturali e conseguenze dell’inadempimento del debitore, in Banca borsa tit. cred., 2011, I, 310; C. D’AMBROSIO, Le esenzioni da revocatoria nella compo- sizione stragiudiziale delle crisi d’impresa, in Giur. Comm., 2007, I, 375; ID, Gli accordi di ri- strutturazione dei debiti cit., p. 540-541; A. DIDONE, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis legge fallm.) (presupposti, procedimenti ed effetti della anticipazione delle misure protettive dell’impresa in crisi), in Dir. fall., I, 2011 p. 19; M. FABIANI, Accordi di ristruttura- zione: l’incerta via italiana cit., c. 365; ID, Diritto fallimentare cit., p. 690-691; M. FERRO, Ri- strutturazione dei debiti (accordi di), in Le insinuazioni al passivo, a cura di M. Ferro, IV, Pa- dova 2006, p. 173; D. GALLETTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 665 n. (18); E. GABRIELLI, Autonomia privata e accordi di ristrutturazione cit.; ID, Accordi di ristrutturazione del debito e tipicità cit., p. 1078 e ss.; M. R. GROSSI, Art. 182-bis cit., p. 2267; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 130; G. RACUGNO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 665 n. (18); G. VETTORI, Il contratto sulla crisi d’impresa, in Autonomia nego- ziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e F. Macario, Milano 2010, p. 241; V. ZANICHEL- LI, I concordati giudiziali cit., p. 605 e ss..
2 S. AMBROSINI, Art. 182-bis cit., p. 2540; V. ROPPO, Profili strutturali e funzionali cit., p. 374, il quale, peraltro, formula la tesi in via di mera ipotesi; G. SCARSELLI, Le sistemazioni stra- giudiziali (ovvero, gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle esposi- zioni debitorie), in, AA.VV., Manuale di diritto fallimentare, Milano 2006, p. 468; F. FERRO- LUZZI, Prolegomeni in ema di accordi di ristrutturazione dei debiti dell’imprenditore in stato di crisi: del paradosso del terzo creditore “estraneo …ma non troppo, in Profili della nuova legge fallimentare, a cura di C. Ibba, Torino 2009, p. 116, il quale, tuttavia, se ritiene evidente che l’accordo di ristrutturazione sia un contratto bilaterale plurisoggettivo, dall’altro, osserva anche che l’accordo di ristrutturazione può essere efficacemente rappresentato e giuridicamente rico- struito come un fascio di negozi bilaterali tendenzialmente collegati (pg. 118); M. LIBERTINI, Accordi di risanamento e di ristrutturazione cit., p. 378 e ss.. In giurisprudenza, Trib. Milano, 23 gennaio 2007, in Fall., 2007, p. 701.
3 Per tutti E. FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo pro- cedimento cit., p. 102 e ss..
4 Critica la scelta del legislatore di non chiarire tali aspetti rilevanti dell’istituto M. FABIA- NI, Accordi di ristrutturazione: l’incerta via italiana cit., c. 264; G. PRESTI, Gli accordi di ri- strutturazione dei debiti cit., p. 383. L’osservazione è ripresa anche da L. BOGGIO, Gli accordi
compito di delineare, come meglio ritengono, contenuto e struttura dell’accordo1.
Si apre, così, all’osservazione acuta di quanti hanno rilevato come il legisla- tore, più che la tipizzazione dell’accordo di ristrutturazione abbia, invece, avuto di mira la tipizzazione dell’operazione economica sottesa all’accordo stesso, operazione consistente nella complessiva rideterminazione dell’assetto debitorio dell’imprenditore attraverso la predisposizione di un piano di ristrutturazione e la conseguente stipulazione di uno o più contratti con i creditori, finalizzati all’esecuzione del piano2.
Tale considerazione induce la maggioranza degli interpreti ad un atteggia- mento disinteressato in ordine al problema della individuazione della struttura dell’accordo, poiché la sua soluzione non potrebbe essere data in modo univoco, essendo, invece, necessario guardare, caso per caso, al contenuto concreto del singolo accordo di ristrutturazione3.
di ristrutturazione: il primo “tagliando” cit., p. 71; M. SCIUTO, Effetti legali e negoziali cit., p. 337.
1 M. ARATO, Gli accordi di salvataggio o di liquidazione dell’impresa in crisi, in Fall., 2008, p. 1240.
2 E. GABRIELLI, Accordi di ristrutturazione del debito e tipicità dell’operazione economica cit., p. 1087-1088, ove, premesso che la fase negoziale dell’accordo può dare vita ad un contratto plurilaterale come ad un fascio di contratti collegati, l’osservazione che «sul piano della qualifi- cazione [degli accordi di ristrutturazione, n.d.r.] si tratta piuttosto di una fattispecie di negozio configurativo, che prevede un’unica ed unitaria operazione economica strutturata mediante una pluralità di fasi tra loro intrinsecamente e funzionalmente collegate, di modo che ciascuna di es- se rappresenti l’antecedente necessario della fase successiva»; ed ancora a pg. 1095 «non sembra possibile una loro collocazione in una categoria caratterizzata da elementi di comunanza tali da riconoscere, alle singole fattispecie che vi si possono ricondurre, un tratto unitario in termini di disciplina applicabile se non nei limiti di quella consistente nell’esenzione dall’inefficacia revo- catoria, dal momento che questi accordi possono essere classificati non secondo il tipo legale, bensì secondo il “tipo di operazione economica” concretamente posta in essere». Analoga pro- spettiva è in M. SCIUTO, Effetti legali e negoziali cit., p. 343, il quale osserva che l’accordo di ristrutturazione «non pare stagliarsi, nella definizione legislativa, quale vero e proprio « tipo » contrattuale, e cioè quale schema negoziale identificabile oltre che funzionalmente, anche conte- nutisticamente e strutturalmente (per le prestazioni deducibili e il loro rapporto reciproco), al cui manifestarsi nella realtà empirica consegua l’attrazione di una disciplina data».
3 Per tutti, M. FABIANI, Diritto fallimentare cit., p. 691, il quale osserva come le varie clas- sificazioni che la dottrina ha escogitato per inquadrare la struttura degli accordi di ristrutturazio- ne «colgono nel segno quando pongono in rilievo alcuni elementi caratterizzanti [dell’accordo n.d.r.], ma ciascuna non è in grado di ben spiegare il fenomeno nella sua complessità per la sem- plice ragione che l’autonomia privata è per definizione, in questo caso, esaltata dalla facoltà at- tribuita ai contraenti di stabilire le clausole che prediligono con l’effetto che l’accordo può talora assumere la veste di contratto unitario, come altre volte la veste della sommatoria di tanti singoli