COLLEGIO DI BARI
COLLEGIO DI BARI
composto dai signori:
(BA) DE CAROLIS Presidente
(BA) XXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(BA) CAMILLERI Membro designato dalla Banca d'Italia
(BA) XXXXXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(BA) XXXXXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore ESTERNI - XXXXXXXXXX XXXXXXXXXX
Nella seduta del 28/09/2017 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Dopo aver esperito infruttuosamente il reclamo in data 03/01/2017, parte ricorrente, in data 09/03/2017, ha proposto ricorso, rappresentando di aver stipulato, il 17/07/2008, un contratto di apertura di credito per € 100.000,00, garantita da un pegno obbligazionario e da una fideiussione omnibus; rapporto poi oggetto di una serie di modifiche unilaterali, in data 02/02/2009, 19/02/2009, 29/10/2010, 08/02/2011 (anche con aumento delle garanzie concesse), ed infine estinto in data 06/03/2012. Il ricorrente lamenta una serie di violazioni della trasparenza contrattuale (segnatamente dell’art. 117, comma 4, TUB e dell’art. 9, Del. CICR 4 marzo 2003). In particolare, a dire del ricorrente, il contratto non riportava l’indicatore sintetico di costo (ISC), elemento fondamentale richiesto dalle norme di trasparenza. Veniva indicata la misura del TAN (14,00%) e della CMS (0,99%) facendo però riferimento ad un affidamento senza garanzie reali, laddove il finanziamento de quo era garantito, tra l’altro, da un pegno obbligazionario e da una fideiussione omnibus dell’amministratore unico. Il contratto, inoltre, era indeterminato, in quanto non specificava se la CMS fosse calcolata sul trimestre o sull’anno; non riportava «ogni altro prezzo e condizioni praticati» (art. 117, comma 4, TUB); non indicava gli interessi di mora. Tali manchevolezze caratterizzavano anche le successive modifiche contrattuali. Ed infatti la
società si è vista addebitare costi ed oneri non riportati in alcun contratto (in particolare: € 1.904,00 per spese di tenuta e liquidazione e gestione c/c pegno; € 361,84 per bolli del c/c; € 293,40 per diritti di segreteria e spese affidamento; € 2.263,10 per “commissione massimo scoperto”, successivamente ridenominate come “messa a disposizione fido”; € 3.015,74 per interessi anatocistici). Argomenta il ricorrente che l’indicazione dell’ISC «è un contenuto minimo e tipico del contratto quale strumento di protezione», la cui mancanza, ai sensi dell’art. 117 TUB e dell’art. 1418 c.c. determina la nullità dei contratti in questione. L’intermediario si è costituito, depositando le proprie controdeduzioni in data 18/04/2017, nelle quali rappresenta, preliminarmente, che i rapporti in essere con la società ricorrente consistono in due finanziamenti, stipulati rispettivamente nel luglio 2008 e nel febbraio 2009. Inoltre, l’intermediario eccepisce l’inammissibilità del ricorso: a) per genericità delle doglianze, carenza di prova e natura consulenziale della domanda, la quale è formulata in maniera del tutto aspecifica ed indeterminata ed è sfornita di qualsivoglia supporto probatorio; b) per incompetenza temporale, relativamente agli affidamenti del luglio 2008, essendo lamentati vizi genetici di un contratto stipulate ante 2009 (Disposizioni ABF, sez. I, par. 4). Lo stesso eccepisce altresì l’improcedibilità della domanda relativa alla restituzione delle voci di costo e degli interessi anatocistici, in quanto non oggetto del previo reclamo (Disposizioni ABF, sez. VI, par. 1). Ciò premesso, svolge nel merito le seguenti osservazioni, limitate agli affidamenti del febbraio 2009. In relazione al preteso superamento del tasso soglia, afferma che il TEG contrattuale si poneva ben al di sotto del tasso soglia vigente all’epoca della stipula, unico momento rilevante ai fini della valutazione di usurarietà (cfr. D.L. n. 394/2000). Inoltre, erroneamente il ricorrente richiama l’art. 117 TUB, sovrapponendo la tematica degli interessi usurari con quella afferente la rappresentazione del TAEG. A quest’ultimo riguardo, l’intermediario nega che non fosse riportato il TAEG, corrispondendo esso al TAE, indicato nella prima pagina del contratto. Con riguardo alla denominazione utilizzata, ricorda che, per le aperture di credito, l’ISC coincide con il TAEG. Ad ogni buon conto, argomenta che l’art. 117, comma 7, TUB (posto a base della richiesta di ricalcolo del piano di ammortamento) non trova applicazione in caso di mancata indicazione del TAEG, mero indicatore di costo con finalità informativa, applicandosi tale disposizione solo alla mancata indicazione dei tassi di interesse propriamente detti e degli altri costi e condizioni praticati.
DIRITTO
Come desumibile dalla narrativa, il ricorrente chiede che l’Arbitro voglia: «dichiarare la nullità del contratto e/o delle clausole di determinazione degli interessi ultralegali, ai sensi dell’art. 117 del T.U.B., e: A) contestualmente far applicare gli interessi con “il tasso nominale minimo dei buoni ordinari del tesoro annuali…emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto” ai sensi dell’art. 117, comma 7, lett. a) del T.U.B., con la restituzione delle somme già corrisposte in eccesso relativi agli interessi; B) la restituzione delle spese di “commissione massimo scoperto e messa a disposizione”, delle spese di “tenuta e liquidazione e gestione c/c”, dei “bolli” e dei “Diritti di segreteria e spese affidamento” oltre agli interessi anatocistici corrisposti».
Il resistente chiede che il ricorso sia: 1) dichiarato inammissibile, a) in via principale, per genericità delle doglianze e carenza di prova; b) in via subordinata, per incompetenza temporale, con riguardo ai finanziamenti del luglio 2008; 2) dichiarato improcedibile con riguardo alla domanda relativa alla restituzione delle voci di costo e degli interessi anatocistici, per mancata proposizione in sede di reclamo; 3) in via subordinata, rigettato. Ora, prima di passare ad esaminare la questione oggetto del presente ricorso, giova procedere ad una ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le parti, alla luce delle evidenze
documentali in atti. Invero, dalla documentazione versata in atti, emerge quanto segue: a) il 17/07/2008 l’intermediario concedeva alla società ricorrente una apertura di credito in c/c per € 100.000,00, garantita da una fideiussione sino a € 130.000,00 costituita, in pari data, dall’amministratore della società medesima, nonché da un pegno su strumenti finanziari (per un valore di circa € 100.000,00), costituito, sempre in pari data, dalla società; b) il 02/02/2009 veniva concessa una ulteriore apertura di credito in c/c per €80.000,00, non garantita, nonché un finanziamento di € 10.000,00 per – a quanto sembra ricavarsi – anticipazione su assegno girato all’incasso; c) il 9/2/2009 la fideiussione veniva estesa sino a € 270.000,00 e venivano inseriti nuovi strumenti finanziari nel dossier a garanzia, il cui valore veniva portato a oltre € 200.000,00; d) il 19/02/2009, l’apertura di credito veniva rimodulata in € 180,000,00 interamente garantiti, fermo l’altro finanziamento, non garantito, di € 10.000,00. In pari data, veniva ribadita l’estensione delle garanzie effettuata pochi giorni prima. Agli atti, si rinvengono altresì: una comunicazione, datata 14/09/2009, con cui la società ricorrente dichiarava di aver inserito nel dossier a garanzia nuovi strumenti finanziari, in vista di una estensione dell’apertura di credito; ulteriori comunicazioni (31/05/2010; 29/10/2010; 08/02/2011), concernenti proposte di modifica unilaterale del tasso debitorio. In sintesi, sembra che tra le parti vi sia stato un iniziale contratto di apertura di credito risalente al luglio 2008. Successivamente sono intervenuti, a brevissima distanza l’uno dall’altro, due accordi modificativi (febbraio 2009), cui sono seguite alcune modifiche unilaterali negli anni successivi.
Circoscritta nei termini sopra descritti la situazione fattuale, si può passare all’esame delle questioni pregiudiziali sollevate dall’intermediario resistente.
Sul punto, va innanzitutto rilevata, accogliendo l’eccezione formulata dall’intermediario, l’inammissibilità di alcune delle domande svolte dal ricorrente per mancanza del preventivo reclamo (Disp. ABF, sez. VI, par. 1). Quest’ultimo, infatti, aveva ad oggetto esclusivamente la richiesta di ricalcolo degli interessi con applicazione del tasso sostitutivo ex art. 117 TUB, come conseguenza della mancata indicazione del TAEG/ISC. Pertanto, le domande del ricorrente sopra indicate sub B) e relative alla restituzione degli interessi anatocistici e di alcune voci di costo vanno dichiarate inammissibili.
Parimenti va dichiarata inammissibile la domanda relativa alla mancata/erronea indicazione del TAEG/ISC e di quella relativa alla mancata indicazione del TAN in caso di fido assistito da garanzie reali (quest’ultima comunque non oggetto di reclamo), nella parte in cui riguardano il finanziamento stipulato nel luglio 2008. Si tratta infatti di vizi genetici di un contratto stipulato prima del limite di competenza temporale dell’Arbitro (01/01/2009; cfr. Disp. ABF, Sez. I, par. 4). Ad abundantiam, va rilevato che la doglianza relativa alla mancata indicazione del TAN per fidi assistiti da garanzie reali, da un lato non sfocia in alcuna richiesta espressa , dall’altro va dichiarata inammissibile anche con riguardo al contratto del 19.02.2009, in quanto non oggetto di preventivo reclamo.
Terminato l’esame delle questioni pregiudiziali, si può passare all’esame del merito del ricorso che riguarda essenzialmente la richiesta relativa alla mancanza del TAEG/ISC nei contratti stipulati nel 2009. Tale domanda va rigettata e ciò per i seguenti motivi. Infatti, all’epoca della stipula dei predetti contratti, non era prevista, per le aperture di credito in c/c, l’indicazione del TAEG/ISC. Invero, la normativa di trasparenza ratione temporis vigente prevedeva, ferma la disciplina sul credito al consumo, che: «[i]l contratto e il "documento di sintesi" […] riportano un "indicatore sintetico di costo" (ISC), calcolato conformemente alla disciplina sul tasso annuo effettivo globale (TAEG), ai sensi dell’art. 122 del T.U. e delle relative disposizioni di attuazione, quando hanno a oggetto le seguenti categorie di operazioni indicate nell’allegato alla delibera del CICR del 4 marzo 2003: - mutui; - anticipazioni bancarie; - altri finanziamenti (2) […] (2) Nella categoria "altri finanziamenti" rientrano, ad esempio, i prestiti personali e i prestiti finalizzati» (Istruzioni di
Vigilanza per le banche, circolare Banca d’Italia n. 229 del 21 aprile 1999 - 9° aggiornamento del 25 luglio 2003, tit. X, cap. 1, sez. II, par. 9). Restavano pertanto escluse le “aperture di credito”, indicate nell’allegato alla citata delibera del CICR, ma non richiamate dalla normativa disciplinante il TAEG/ISC. L’obbligo di indicazione del TAEG/ISC per le aperture di credito in c/c, peraltro solo se offerte a clienti al dettaglio, sarebbe stato previsto espressamente solo dalle Disposizioni di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia il 29 luglio 2009.
Tutt’al più, si potrebbe considerare soggetto alla menzionata normativa, qualora lo si voglia qualificare come anticipazione bancaria, solo l’affidamento per € 10.000,00 sopra menzionato, per il quale non consta l’indicazione del TAEG/ISC.
Tuttavia, anche qualora si volesse ritenere sussistente una violazione della normativa in tema di TAEG/ISC, solo per il sopra menzionato contratto, le conseguenze non sembrano poter essere quelle pretese dal ricorrente (applicazione del tasso sostitutivo ex art. 117 TUB). Sul punto, l’Arbitro ha in più occasioni chiarito che l’art. 117 si riferisce ai tassi ed ai costi propriamente detti, tra i quali non può includersi l’ISC/TAEG, il quale non è un tasso propriamente inteso, quanto piuttosto un indicatore sintetico del costo complessivo del finanziamento, avente lo scopo di mettere in grado il cliente di conoscere il costo totale effettivo del credito, prima di accedervi. Dunque, la sua erronea indicazione, non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto un’erronea rappresentazione del suo costo complessivo. Ebbene, mentre per i tassi ed i prezzi propriamente intesi, soccorre la disposizione di cui all’art. 117, sesto comma, TUB, ai sensi della quale “sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”, con riferimento alle clausole del contratto relative a costi che non siano stati inclusi, ovvero siano stati inclusi in modo non corretto nel TAEG indicato in contratto, la norma di riferimento è unicamente quella di cui all’art. 125 bis, TUB, la quale sancisce, fra l’altro, la nullità di dette clausole e la loro sostituzione ex lege, secondo le modalità di cui al comma settimo della stessa disposizione. Tale disciplina, tuttavia, è specificamente circoscritta alla clientela consumatrice e pertanto risulta inapplicabile al caso di specie. Né, del resto, le medesime conseguenze invocate dalla ricorrente possono desumersi sulla scorta dell’applicazione dei commi sesto e settimo dell’art. 117 TUB, atteso che la disciplina in essi contenuta non ha nulla a che vedere con la tematica qui controversa, e cioè quella dell’ISC/TAEG e delle conseguenze della sua erronea indicazione in contratto. D’altra parte, se così non fosse, non si comprenderebbe il senso della previsione di cui all’art. 125 bis, commi sesto e settimo, TUB: ove, infatti, le medesime conseguenze scaturissero dall’applicazione dell’art. 117, commi sesto e settimo, TUB (che contiene disposizioni relative alla generalità dei contratti bancari), il legislatore non avrebbe avuto ragione alcuna di prevedere, nello specifico settore del credito al consumo, una disciplina ad hoc relativamente al TAEG. Quanto da ultimo osservato induce a ritenere – in linea con l’orientamento consolidato di altri Collegi territoriali (v. tra gli altri, Collegio Roma n. 4953/2016) che l’erronea indicazione dell’ISC/TAEG, in un contratto non disciplinato dall’art. 125 bis TUB (rectius, nel caso di specie, dall’art. 124 comma 5 TUB allora vigente), può unicamente comportare conseguenze risarcitorie, dovendo tuttavia in tal caso il cliente fornire la prova che, ove gli fosse stato correttamente rappresentato il costo complessivo del credito, non avrebbe stipulato il contratto di finanziamento (cfr., in senso conforme, anche Collegio Roma, n. 9450/2016; n. 7346/2016; n. 11231/16; n. 166/17; sulla inapplicabilità dell’art. 117 in caso di erronea indicazione dell’ISC/TAEG v. anche Collegio Milano, dec. n. 9403/16; Collegio Napoli, dec. n. 8094/16; conformi, Coll. Bari, n. 3278/17; n. 3169/17; n. 6347/17). Il
medesimo ragionamento, basato sulla estraneità dell’art. 117 TUB alla tematica dell’ISC/TAEG, può valere anche in caso di mancanza tout court di tale indicatore, come nel caso di specie, ove il ricorrente formula solo una richiesta restitutoria, che va, pertanto, rigettata.
P.Q.M.
Il Collegio dichiara il ricorso in parte inammissibile, ai sensi di cui in motivazione; non lo accoglie per il resto.
IL PRESIDENTE
firma 1