L’arbitrato in materia di contratti pubblici e PNRR: l’ordinamento al bivio tra diffidenza e valorizzazione delle sue potenzialità deflattive del contenzioso*
L’arbitrato in materia di contratti pubblici e PNRR: l’ordinamento al bivio tra diffidenza e valorizzazione delle sue potenzialità deflattive del contenzioso*
di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxxxx
SOMMARIO: 1. L’arbitrato in materia di contratti pubblici: cenni sull’evoluzione storica di un istituto “virtuale”. – 2. L’arbitrato nel vigente codice dei contratti pubblici. Ambito di applicazione, facoltatività e necessità della previa autorizzazione dell’organo di governo dell’amministrazione aggiudicatrice. – 3. Il Collegio arbitrale: requisiti dei componenti e modalità di designazione degli stessi. – 4. Il carattere amministrato dell’arbitrato disciplinato dal Codice del 2016. Spunti critici sulla disciplina del procedimento arbitrale. – 5. Problemi di “regolamentazione dei confini” con il “limitrofo” istituto del Collegio consultivo tecnico. – 6. Conclusioni. Riflessioni de jure condendo, anche sulla scorta del rilancio delle Adr prefigurato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
1. L’arbitrato in materia di contratti pubblici: cenni sull’evoluzione storica di un istituto “virtuale”
Com’è si è autorevolmente osservato, l’arbitrato in materia di contratti pubblici è stato «volta a volta oggetto di esaltazione romantica e di teologica ripulsa»1.
Nel corso della sua ultracentocinquantennale storia2 si è, infatti, assistito al succedersi di periodi in cui il ricorso a tale istituto era “obbligatorio” ad altri in cui lo stesso era “vietato”3.
Tali continui e repentini4 mutamenti d’impostazione5, che hanno indub-
* Il lavoro, che è destinato agli Scritti in onore di Xxxxx Xxxxxxxxx, in corso di pubblicazione, è frutto della comune riflessione degli autori. Tuttavia, i parr. 1, 2 e 6 sono stati redatti da Proven- zano e i parr. 3, 4 e 5 da X. Xxxxxxxxx.
1 Così X. XXXXX, Commentario al Codice di procedura civile, Milano, 1971, 162.
2 La primigenia disciplina sull’arbitrato in materia di contratti pubblici si rinviene nell’art. 349 dell’allegato F alla legge n. 2248/1865.
3 Sul punto cfr. X. XXXXXXXX, Le stagioni dell’arbitrato: dall’obbligo al divieto, in Urb. e App, 2008, 275 ss. 4 Con riferimento all’arbitrato in materia di contratti pubblici, si è osservato in dottrina che si tratta di istituto che «non trova pace» (così X. XXXXXXXX, Le modifiche apportate all’arbitrato negli appalti dei lavori pubblici dalla legge 80/2005, in Urb. App., 2006, 258), perché vittima di un atteggiamento, quello del legislatore, «tanto oscillante da poter essere definito schizofrenico» (così F.G. SCOCA, L’arbitrato nelle controversie con la pubblica amministrazione: prospettive, in Arbitrato e impresa, cura di X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXXXXX, X. XXXX, Milano, 2019, 167). Sul punto cfr.
X. XXXXXXX, Adr, arbitrato e pubblica amministrazione, tra diritto comune e diritto amministrativo, in Scritti per Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxx, Napoli, 2021, vol. IV, 3156 ss.
5 Per una più approfondita disamina dell’evoluzione storica dell’istituto in parola, sia consen- tito di rinviare a X. XXXXXXXXX, XXXXXXXXXX, E.C. XXXXXXXXX, L’arbitrato in materia di contratti pubblici, a cura di X. XXXXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, L’arbitrato, Milano, 2020, 689 ss.
NUOVE AUTONOMIE N. 1/2022 - issn 1122-228x
biamente contribuito a ingenerare quella stabile instabilità che contraddistingue ancora oggi l’istituto in parola, sono stati in estrema sintesi determinati, da un lato (l’obbligo), dalla ingenerosa sfiducia nei confronti della giurisdizione ordi- naria, ritenuta inidonea a dirimere controversie dall’alta complessità tecnica quali quelle in materia di esecuzione di contratti pubblici6; d’altro lato (il divieto), dal timore, francamente eccessivo, che l’arbitrato, in quanto tale, potesse incentivare episodi di malaffare.
A tale ultima preoccupazione, che non a caso ha iniziato a prendere piede negli anni bui di “tangentopoli”7, si devono, in particolare, tutti quei tratti di spe- cialità dell’arbitrato in materia di contratti pubblici, alcuni dei quali “figli” della c.d. legge anticorruzione (l. n. 190/2012)8, che sono stati, anche nell’attuale stagione in cui il ricorso a tale strumento è facoltativo, via via introdotti nella relativa disciplina. Detti tratti di specialità, di cui si passa partitamente a trattare, hanno indub- biamente contribuito a depotenziare l’istituto in questione rendendolo, all’atto
pratico, un istituto “virtuale”.
Il che è dimostrato, con la forza dei numeri, dalla significativa circostanza che nell’ultimo triennio sono state introdotte, complessivamente, appena qua- rantatré controversie devolute alla Camera arbitrale istituita presso l’ANAC9. Numero che è all’evidenza irrisorio se si considera che di prassi l’esecuzione degli appalti è foriera di contenzioso, che oggi inevitabilmente finisce per ingol- fare i ruoli dei giudici ordinari.
2. L’arbitrato nel vigente codice dei contratti pubblici. Ambito di applicazione, facoltatività e necessità della previa autorizzazione dell’organo di governo dell’amministrazione aggiudicatrice
L’attuale disciplina sull’arbitrato in materia di contratti pubblici è dettata, com’è noto, dagli articoli 209 e 210 del d.lgs. n. 50/2016. I quali, sia pur con talune importanti novità, ricalcano sostanzialmente l’assetto definito dalla c.d. Legge Merloni-ter (l. n. 415/1998).
Assetto, quest’ultimo, che è stato poi riproposto negli articoli 241, 242 e 243
6 Così X. XXXXXXXXXX, La transazione e l’arbitrato nel Codice dei contratti pubblici, in Riv. dell’arb., 2019, 361 ss., § 3, ove si legge «la dottrina ha indicato, a motivo della generalizzata previsione dell’arbitrato, la volontà del legislatore di sottrarre alla cognizione, allora del giudice ordinario, i corposi interessi pubblici coinvolti dalle controversie sulle opere pubbliche per affidarli ad arbitri, giudici più sicuri sia per provenienza sia per competenza tecnica».
7 Si veda al riguardo X. XXXXXXXXXXXX, Arbitrato nei lavori pubblici, in Arbitrato e impresa, cit.,
248.
8 Per un commento alle novità introdotte dalla legge anticorruzione si rinvia a X. XXXXXXXX,
Arbitrato, decreto crescita e legge anticorruzione, in Riv. dir. proc., 2014, 937.
9 Segnatamente quindici controversie sono state introdotte nel 2021, tredici nel 2020 e undici nel 2019 (i dati sono tratti dal sito internet della Camera Arbitrale: xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxx.
del Codice dei contratti pubblici del 2006 (d.lgs. n. 163/2006)10, che, per la prima volta, hanno ampliato il perimetro di applicazione della disciplina sull’arbitrato, fino a quel momento circoscritto ai soli appalti di lavori, anche alle controver- sie derivanti dall’esecuzione di appalti di servizi e forniture, oltre che a quelle scaturenti da concorsi di progettazione e di idee e dal mancato raggiungimento dell’accordo bonario.
Anche nella disciplina vigente, infatti, l’arbitrato in materia di contratti pubblici è un arbitrato “amministrato”, «facoltativo nell’an, ma obbligatorio nel quomodo»11.
Si tratta, anzitutto, di arbitrato facoltativo nell’an, sia perché consente alle stazioni appaltanti di decidere se inserire o meno la clausola compromissoria nella disciplina di gara, sia (e non potrebbe essere diversamente) perché consente all’aggiudicatario di “ricusare” la clausola compromissoria12, comunicando tale volontà alla stazione appaltante «entro venti giorni dalla conoscenza dell’aggiu- dicazione»13.
Si tratta di arbitrato obbligatorio nel quomodo perché, come si è anticipato, è assoggettato ad una puntuale, specifica e -a parere di chi scrive- inutilmente pervasiva disciplina, che non può essere in alcun modo derogata dalla volontà parti, cui peraltro non compete – e si tratta di una novità introdotta nel 2016 – nemmeno la nomina del Collegio arbitrale, che compete nella sua interezza – lo si vedrà – alla Camera arbitrale, che determina altresì il compenso spettante agli arbitri.
10 Com’è stato osservato in dottrina, «l’arbitrato che esce dalle norme del codice [del 2006] è una fotografia – lievemente ritoccata – dell’arbitrato che si era presentato alla fine dell’esperienza “merloniana”» (così X. XXXXXXX, L’arbitrato, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. SANDULLI,
X. XX XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Milano, 2008, 3803).
Con riferimento alla disciplina sull’arbitrato contenuta nel Codice degli appalti del 2006 si rinvia a: M. GOLA, Articolo 241, Arbitrato, in Codice dei contratti pubblici, Le nuove leggi amministrative, Milano, 2007, 2085; S.S. SCOCA, Art. 241-243, in Codice dei contratti pubblici commentato, a cura di L.R. PERFETTI, Milanofiori, 2013, 2407 ss.; X. XXXXXX, Contenzioso in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (artt. 241, 242, 243, D.lgs. 12.4.2006, n. 163), in Codice ipertestuale della giustizia amministrativa, Torino, 2007, 1901 ss.; X. XXXXXXXXXX, La transazione e l’arbitrato nel codice dei contratti pubblici, in I contrati pubblici di lavori, servizi e forniture, a cura di X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, X. XXXX- XXXXXXXX, X. XXXX, Xxxxxx, 0000, 2041 ss.
11 X. XXXXX, Arbitrato. II) Arbitrato nelle controversie amministrative, in Enc. giur., 2005, 10.
12 In dottrina non si è escluso che l’aggiudicatario possa eventualmente «apportare modifiche o contrattare il contenuto del patto compromissorio» (così X. XXXXXXX, L’arbitrato, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. XXXXXXXX, X. XX XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, V, Milano, 2019, 484). Si tratta, tuttavia, di impostazione che non pare condivisibile atteso che la norma in questione si limita a riconoscere la facoltà di ricusare la clausola compromissoria, con il che consentendo esclu- sivamente di accettare o meno quanto a tal riguardo definito dalla Stazione appaltante. Peraltro, il margine di modifica del contenuto del patto compromissorio appare assai esiguo, data la pervasi- vità della disciplina di cui si discorre.
13 Così l’art. 209, d.lgs. n. 50/2016.
Per tale saliente ragione, com’è stato puntualmente osservato, nell’attuale contesto normativo l’arbitrato in materia di contratti pubblici si presenta come un arbitrato «ancor più “amministrato”»14 rispetto al passato, la cui disciplina risulta essere lontana da quella dell’arbitrato nelle ipotesi di giurisdizione esclu- siva del Giudice amministrativo di cui all’art. 12 del codice del processo ammi- nistrativo15. Il quale si limita, sic et simpliciter, a stabilire che le controversie nei confronti dell’amministrazione devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo «possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto ai sensi degli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile».
Entrando nel merito della disciplina in questione, occorre sottolineare che il primo tratto di specialità della stessa consiste nel fatto che è radicalmente pre- cluso alle parti di accordarsi, una volta insorta la controversia, sul deferimento ad arbitri16.
L’art. 209 vieta, infatti, categoricamente la possibilità di addivenire, nel corso dell’esecuzione del contratto, ad un «compromesso», imponendo così che la scelta di ricorrere o meno all’arbitrato venga presa, una volta e per sempre, ancor prima della individuazione del contraente.
Tale scelta, come si è anticipato, spetta in prima battuta alla stazione appal- tante. La quale -lo si ripete- ha la facoltà di indicare, «nel bando o nell’avviso con cui indice la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell’invito, se il contratto conterrà o meno la clausola compromissoria»17.
La stazione appaltante non può tuttavia procedere in modo estemporaneo all’inserimento di detta clausola negli atti con cui indice la procedura di affi- damento. Può farlo, infatti, solamente se è stata assunta al riguardo specifica
«autorizzazione motivata dell’organo di governo della amministrazione aggiudi- catrice»18.
In altri termini, affinché la clausola compromissoria possa ritenersi valida è
14 Sul punto cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Arbitrato nei lavori pubblici, cit., 248 ss.
15 Con riferimento all’arbitrato in materia di giurisdizione esclusiva la letteratura e vastissima. Si vedano, in particolare, X. XXXXXX, Arbitrato e la giurisdizione amministrativa: certezze acquisite e questioni aperte, in Arbitrato e impresa, cit., 185 ss.; X. XXXXXXXXXX, La compromettibilità in arbitri nel diritto ammi- nistrativo, Milano, 2007; X. XXXXXX, Compromettibilità in arbitri (e transigibilità) delle controversie relative all’e- sercizio del potere amministrativo, in Dir. proc. amm., 2006, 243 ss.; X. XXXXXX, Compromettibilità in arbitrato irrituale delle controversie di cui sia parte la pubblica amministrazione e art. 6 della l. n. 205 del 2000, in Dir. proc. amm., 2005, 249 ss.; X. XXXXXXXXX, Arbitrato e giurisdizione esclusiva, Milano, 2004; X. XXXXXX XXXXXXX, L’arbitrato, in Il nuovo processo amministrativo, a cura di X. XXXXXXX-X. XXXXXXX, Torino, 2004, 525 ss.; X. XXXXXXXXXX, Arbitrato e giurisdizione amministrativa, Torino, 2004; X. XXXX, La comprometti- bilità per arbitri con la pubblica amministrazione dopo la l. n. 205 del 2000: problemi e prospettive, in Dir. amm., 2001, 343 ss.; X. XXXXXX XXXXXXX, Giurisdizione amministrativa e arbitrato, in Riv. dell’arb., 2000, 249 ss.; X. XXXXXXX, L’arbitrato nel diritto amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, 311 ss.
16 Si veda sul punto Trib. Benevento, Sez. II, 31 maggio 2019.
17 Così Art. 209 d.Lgs. n. 50/2016.
18 Ibidem.
necessario che la stessa sia preceduta da apposita «determinazione ad arbitrare»19. Si tratta di adempimento20, previsto a pena di nullità della clausola compromisso- ria, che è stato introdotto ex novo dalla legge anticorruzione e che si ritiene non possa essere equiparato a una autorizzazione implicita21.
La «determinazione ad arbitrare» deve, infatti, consistere necessariamente in un provvedimento espresso in cui venga dato atto della «ponderata valutazione degli interessi coinvolti e delle circostanze del caso concreto»22. Ponderata valu- tazione che francamente non è dato capire come possa essere effettuata in una fase addirittura antecedente alla indizione della procedura di affidamento.
Ne deriva che l’autorizzazione motivata, proprio per l’imposizione della sua prematura adozione, non possa che contenere una motivazione aprioristica e stereotipata, che rende, in fin dei conti, l’adempimento in parola un’inutile e irra-
19 Tale locuzione è mutuata da X. XXXXXXXX, L’arbitrato nel codice del processo amministrativo, in
Giorn. Dir. amm., 2013, 211.
20 Occorre sottolineare che con riferimento a tale obbligo, originariamente previsto dal comma 19 dell’art. 1 della l. n. 190/2012 e poi riprodotto dall’art. 209, co. 3, del d.lgs. n. 50/2016, si è formata specifica giurisprudenza costituzionale. La legittimità costituzionale dell’obbligo in parola, infatti, era stata revocata in dubbio sotto molteplici profili. Tra questi la violazione del principio di parità delle parti, che sarebbe stato sconfessato dal riconoscimento allaA. «di un vero e proprio diritto potestativo all’instaurazione del giudizio arbitrale (…) sbilanciando il rapporto in favore della parte pubblica». Da qui la paventata violazione degli «artt. 3, 24 e 111 Cost., per ingiu- stificata disparità di trattamento normativo fra gli arbitrati in materia di contratti pubblici e quelli disciplinati dal codice di rito civile, essendo, solo per i primi, l’accesso alla giurisdizione subordina- to all’autorizzazione motivata della pubblica amministrazione a pena di nullità del lodo, mentre nei secondi il rifiuto di una delle parti di aderire all’arbitrato (o il suo mero silenzio) consente all’altra di ricorrere al tribunale per la nomina dell’arbitro non designato, non senza considerare che la nullità del lodo, negli arbitrati del primo tipo, potrebbe derivare anche da un vizio del provvedimento di autorizzazione, con ulteriore violazione degli artt. 3 e 111 Cost”. La Corte ha ritenuto manifesta- mente infondate le predette questioni di incostituzionalità, rilevando che la regola della necessaria autorizzazione «si inserisce in una fase che precede l’instaurazione del giudizio (…) e non deter- mina pertanto alcuno squilibrio di facoltà processuali a favore della parte pubblica». La Consulta ha, altresì, escluso che sussista una ingiustificata e irrazionale disparità di trattamento normativo fra arbitrati in materia di contratti pubblici e arbitrati di diritto comune, giacché la fissazione di specifici limiti all’arbitrato in materia di contratti pubblici rientrerebbe nella piena discrezionalità del legislatore (Corte cost., ord. 20 marzo 2019, n. 58). Il Giudice della Leggi ha, infine, giudicato conforme a Costituzione il fatto che in assenza di autorizzazione si debbano ritenere «inefficaci» e quindi «non più operanti» anche tutte le clausole compromissorie contenute in contrati stipulati antecedentemente all’avvento della legge stessa, ritenendo che tale previsione, lungi dal compor- tare un’applicazione retroattiva della legge che ha introdotto siffatto adempimento, risulti invece coerente con il principio generale secondo cui « una norma limitativa dell’autonomia contrattuale che sopravvenga nel corso di esecuzione di un rapporto, incide sul rapporto medesimo, non con- sentendo la produzione di ulteriori effetti» (Corte cost. 9 giugno 2015, n. 108).
Con riferimento a tali temi, si veda F. DI XXXXXXXX, Le sorti dell’arbitrato nei contratti pubblici, in
Giornale Dir. amm., 2016, 239 ss.
21 Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 marzo 2019, n. 1495.
22 Ibidem.
gionevole limitazione all’introduzione delle clausole compromissorie. Ed occor- re sottolineare – a dirla tutta – che nemmeno si comprende in che modo tale autorizzazione motivata possa acquisire rilevanza in un’ottica di contrasto alla corruzione, che pare sempre ed in ogni caso assicurato dalla natura “super-am- ministrata” dell’arbitrato in parola.
Per quanto detto pare dunque che l’autorizzazione motivata ad altro non serva che a «sterilizzare»23 ulteriormente il ricorso all’arbitrato.
3. Il Collegio arbitrale: requisiti dei componenti e modalità di designazione degli stessi
Il modello di arbitrato delineato dal vigente codice dei contratti pubblici mostra ulteriori criticità sul fronte delle modalità di scelta e designazione degli arbitri. È, infatti, riguardo a tali profili che emergono numerosi dubbi in tema di rispetto della volontarietà dell’arbitrato, attributo indispensabile per escludere che il Collegio arbitrale possa considerarsi alla stregua di un organo di giurisdi- zione speciale, in quanto tale costituzionalmente illegittimo.
In termini generali, la disciplina vigente si caratterizza per un notevole ridi- mensionamento del ruolo delle parti nelle scelte che incidono sulla composizio- ne del Collegio. Ciò emerge, in particolare, con riguardo alla titolarità del potere di nomina del Presidente e con riferimento al procedimento per la designazione degli ulteriori membri del Collegio.
Per quanto concerne la nomina del Presidente il Codice del 2016 opta per il “ritorno all’antico”, riconsegnando tale potere alla Camera arbitrale. Tale solu- zione, già sperimentata dal d.P.R. n. 554/199924, era stata dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato25, anche – ma non esclusivamente26 – in ragione della riscontrata violazione del principio costituzionale di divieto di giurisdizione speciale: la compressione della libertà delle parti nella scelta degli arbitri avreb- be, in altre parole, contraddetto la natura volontaria dell’arbitrato, da intendersi come risvolto naturale e inevitabile dei principi costituzionali in tema di diritto al giudice naturale. Il Consiglio di Stato, peraltro, non aveva omesso di rilevare come i predetti profili di illegittimità risultassero tanto più evidenti in quanto il potere di nomina del terzo arbitro era rimesso, dal regolamento del 1999, non ad
23 X. XXXXXXXX, L’arbitrato nel codice del processo amministrativo, cit., 205.
24 Art. 150, comma 3.
25 Cons. Stato., Sez. IV, 17 ottobre 2003, n. 6335. In dottrina si veda X. XXXXXX, Xxxxxxxxxxx in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (artt. 241, 242, 243, D.lgs. 12.4.2006, n. 163), cit., 1921.
26 Il primo, forse ad oggi meno interessante, concerneva l’assenza di fondamento legislativo della previsione formulata in sede regolamentare: l’art. 32, comma 3, della l.n. 109/1994 (cd. legge Xxxxxxx) non attribuiva, infatti, espressamente al Governo la potestà di incidere sulla natura piena- mente volontaria dell’arbitrato, anche sotto il profilo della scelta degli arbitri.
un organo giurisdizionale, bensì ad un organo ausiliario di un ente pubblico (la Camera arbitrale, quale organo ausiliario dell’AVCP), il quale, sebbene connotato da peculiari tratti di indipendenza e autonomia, era pur sempre da iscriversi nel panorama delle pubbliche amministrazioni27, che figurano come parti negli arbi- trati di cui si tratta. Il tutto, evidentemente, a discapito del principio di terzietà del giudice28.
Le criticità riscontrate dal Consiglio di Stato avevano indotto il legislatore ad una “marcia indietro”: il Codice dei contratti pubblici del 200629 rimetteva, infatti, la scelta del Presidente alle parti, limitando il potere di nomina della Camera al solo caso di mancato accordo delle parti30. Come si è anticipato lo scenario è ulteriormente mutato con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016 il quale ha senza dubbio compiuto una scelta di retroguardia31: per l’appunto quella di restituire alla Camera arbitrale, istituita presso l’ANAC32, il potere generale
27 Non concorda con questa lettura I. LOMBARDINI, Cause di incompatibilità speciali, indipendenza e imparzialità degli arbitri nell’arbitrato amministrato dalla Camera arbitrale per i contratti pubblici (anche alla luce di una recente sentenza della Corte costituzionale), in Riv. dell’Arb., 2018, 127, la quale, occupandosi dell’art. 209 del vigente Codice dei contratti pubblici ritiene che il ruolo della Camera nella designa- zione e nomina del Presidente non susciti dubbi sul fronte dell’imparzialità in ragione della natura di autorità indipendente di ANAC, per come essa è stata puntualmente riscontrata dal Consiglio di Stato in sede di parere sull’art. 211 del Codice dei contratti pubblici, relativo ai pareri di pre- contenzioso (Cons. Stato, Comm. spec., 14 settembre 2016, n. 1920). Di diverso avviso F. TIZI, La costituzione del tribunale arbitrale nel recente Codice dei Contratti pubblici, ivi, 2016, 379.
28 Su questo profilo, cfr. X. XXXXXXXXX, Gli arbitrati obbligatori e gli arbitrati da legge, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1, 2003, §§5 e 6, il quale ritiene che la norma del regolamento del 1999, sul punto identica a quella del vigente codice dei contratti pubblici, fosse frutto di un ingiustificato irrigidi- mento del modello rispetto a quello privatistico, rilevando come la scelta più opportuna sarebbe stata quella di prevedere che la volontà concorde delle parti o quella degli arbitri da esse designati fosse idonea a determinare la nomina presidenziale «confinando pur sempre all’interno dell’albo tenuto presso la Camera arbitrale la concorde designazione proveniente dalla autonomia privata».
29 Comma 5 dell’art. 241.
30 Comma 15 dell’art. 241.
31 X. XXXXXXXXXXXX, Arbitrato nei lavori pubblici, in Arbitrato e impresa, cit., 255. In dottrina sul deficit di terzietà del Presidente nominato dalla Camera arbitrale cfr. anche X. XXXXXXXX, Le modifiche apportate all’arbitrato dei lavori pubblici dalla legge 80/2005, cit., 262; X. XXXXXXXXXX, La compromettibilità in arbitrato nel diritto amministrativo, Milano, 2007, 13; X. XXXXXXX, Arbitrato, cit., 290. Su questo profi- lo si veda anche l’ordinanza di remissione alla Corte cost. relativa all’art. 241, co. 5, del previgente d.lgs. n. 163/2006 (Coll. Arbitrale di Roma, ord. 24 gennaio 2014, iscritta al ruolo n. 67 del registro ordinanze 2014 e pubblicata in G.U. n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2014) ma ancora attuale nella misura in cui evidenzia come la nomina del Presidente rimessa alla Camera arbitrale (circo- stanza che, sotto la vigenza del Codice dei contratti pubblici del 2006, si verificava solo in caso di mancato accordo delle parti) rischi di determinare un ingiustificato privilegio processuale per laa., con conseguente violazione degli artt. 111 e 108 Cost. La Consulta non si è espressa su tali profili, avendo dichiarato l’incostituzionalità della norma impugnata sotto l’assorbente profilo dell’eccesso di delega (cfr. Corte cost., 25 novembre 2016, n. 250).
32 La scelta del legislatore del 2016 era stata caldeggiata, a solo un anno di distanza dall’entrata
(ossia non limitato alle ipotesi di mancato accordo tra le parti) di nomina del Presidente del Collegio.
Il ruolo incisivo della Camera arbitrale non emerge solo nel potere di desi- gnazione e nomina del Presidente del Collegio. Il già citato comma 4 dell’art. 209 stabilisce, infatti, che le parti possano solo designare l’arbitro di propria com- petenza, spettando – invece – alla Camera il diverso e decisivo potere di nomina. Quest’ultimo determina un’ulteriore e rilevantissima compressione della volon- tarietà dell’arbitrato: lo iato tra la designazione, rimessa alle parti, e la nomina, di competenza della Camera arbitrale, evidentemente sottintende il potere di quest’ultima di non procedere alla nomina allorquando vengano designati arbitri ritenuti privi dei requisiti previsti dall’art. 209. È innegabile, dunque, che il Codi- ce del 2016 abbia introdotto un vero e proprio potere di controllo sull’indivi- duazione degli arbitri diversi dal Presidente, le cui premesse si rintracciano nella
l. n. 11/2006 (legge di delega da cui è scaturito il d.lgs. n. 50/2016), che all’art. 1 lettera aaa) contempla, come criterio direttivo, la «razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto, disciplinando il ricorso alle procedure arbi- trali al fine di escludere il ricorso a procedure diverse da quelle amministrate, garantire la trasparenza, la celerità e l’economicità e assicurare il possesso dei requisiti di integrità, imparzialità e responsabilità degli arbitri».
Il tenore di queste affermazioni appare improntato a quella tangibile diffi- denza, di cui si è già detto in premessa, nei confronti delle procedure arbitrali, la quale risulta particolarmente evidente nel contesto odierno, in cui, come nel pro- sieguo si evidenzierà, l’esigenza di incrementare il ricorso all’arbitrato è espressa- mente riconosciuta dal PNRR come importante fattore di rilancio del mercato.
Al netto dei prospettati profili di incostituzionalità, le limitazioni in parola rischiano, infatti, di compromettere la celerità che dovrebbe connotare lo stru- mento arbitrale, rendendo quest’ultimo preferibile rispetto al ricorso alla tutela giurisdizionale. Ciò anche in ragione del fatto che l’eventuale diniego di nomina deve essere, alla stregua di ogni atto amministrativo, giustiziabile su iniziativa
in vigore del d.lgs. n. 163/2006, dall’AVCP, la quale, al fine di dimostrare il carattere innocuo (in termini di legittimità costituzionale) di un modello contrassegnato dall’assegnazione alla Camera arbitrale dei poteri di nomina degli arbitri, aveva evidenziato, nella Segnalazione al Governo ed al Parlamento del 25 ottobre 2007, che «in alcune esperienze straniere che fanno riferimento a inter- venti arbitrali, la nomina degli arbitri e del Presidente del Collegio è demandata ad una Camera arbitrale, o comunque soggetta a conferma da parte dell’organismo che amministra l’arbitrato», affermando pertanto che «si rende, conseguentemente, necessario, ad avviso dell’Autorità, un intervento normativo che modifichi il sistema previsto dagli articoli 241, 242 e 243 del d.lgs. n. 163/2006 (…) attribuendo, quindi, alla Camera Arbitrale un potere generalizzato di nomina del terzo arbitro». Come riferito nel testo, il legislatore del d.lgs. n. 50/2016 non solo ha accolto gli auspici dell’Autorità relativi all’individuazione del terzo arbitro, ma ha scelto, in modo del tutto inedito, di assegnare alla Camera anche la nomina degli arbitri di parte.
della parte che si dichiari lesa dall’atto medesimo, il che spiana la strada al con- tenzioso sul corretto esercizio del potere di controllo della Camera rispetto alle designazioni arbitrali compiute dalle parti33. Il tutto senza che venga in alcun modo chiarito dal legislatore il rapporto tra l’eventuale giudizio relativo alle deci- sioni della Camera e il rimedio “ordinario” dell’impugnazione del lodo per nullità derivante dalla violazione delle norme sulla composizione del Collegio34. Non pare, quindi, escluso il rischio di conflitto tra giudicati, con ulteriori ed evidenti conseguenze in termini di certezza e stabilità del decisum arbitrale.
In questo quadro non può neppure essere taciuto il fatto che il controllo preventivo esercitato dalla Camera presenti connotati di spiccata discrezionalità: a dover essere controllato, infatti, è il rispetto, nelle designazioni di parte, di parametri generici come la «provata esperienza e indipendenza35 nella materia oggetto del contratto» nonché, per quanto specificamente attiene alla designa- zione compiuta dall’amministrazione, il rispetto dei «principi di pubblicità e rota- zione»36. L’attività di controllo sulle designazioni rimessa alla Camera è dunque tutt’altro vincolata alla verifica di elementi precisi e incontrovertibili. Circostan- za, quest’ultima, che desta particolare preoccupazione laddove si ponga mente al deficit di terzietà che già strutturalmente connota la posizione della Camera arbitrale, che in quanto organo amministrativo risulta “culturalmente” più vicina ad una delle parti della controversia, quella pubblica.
I problemi di terzietà del Collegio derivano anche dalle previsioni dedicate a perimetrare il novero dei soggetti designabili come arbitri dalle amministra-
33 Si esprime in favore dell’impugnabilità dinnanzi al g.a. degli atti di nomina emessi dalla Camera arbitrale: F.G. SCOCA, Osservazioni sulla disciplina dell’arbitrato di lavori pubblici, in Riv. trim. app., 2002, 619. Del resto sotto la vigenza del regime precedente a quello odierno (quello in cui la nomina del Presidente da parte del Collegio era rimessa alla Camera solo in caso di mancato accordo tra le parti) la giurisprudenza amministrativa aveva avuto modo di puntualizzare come in capo a ciascuna parte sussistesse «la titolarità di un interesse tutelato alla legittima costituzione del collegio giudicante» (Cons. St., Sez. IV, 4 marzo 2019, n. 1495). Il riconoscimento dell’impugnabi- lità delle nomine compiute dalla Camera rappresenta un’acquisizione particolarmente importante nell’odierno scenario normativo, nel quale – come si è riferito – il potere di nomina della Camera non concerne più solo il Presidente del Collegio, ma anche gli arbitri designati dalle parti.
34 Le parti, ai sensi del comma 7 dell’art. 209, possono eccepire la nullità del lodo pronun-
ciato da un collegio la cui nomina sia avvenuta in violazione delle disposizioni di cui ai commi 4, 5, 6 della norma medesima (sebbene il comma 7 non chiarisca se tale vizio debba essere dedotto nel corso del giudizio arbitrale oppure possa essere eccepito per la prima volta in sede di impu- gnazione).
35 Per gli arbitri di parte viene richiesta, oltre all’esperienza nel settore del contratto, anche l’indipendenza, non menzionata tra i presupposti per la nomina dettati dal precedente Codice dei contratti. Tale requisito non viene, invece, menzionato per quanto concerne l’individuazione del Presidente. Questa discontinuità, tuttavia, può facilmente spiegarsi alla luce del fatto che il Presi- dente è designato e nominato dalla Camera tra i soggetti iscritti all’albo tenuto dalla Camera stessa, il che dovrebbe rappresentare di per sé una garanzia di indipendenza.
36 Co. 4 e 5 dell’art. 209.
zioni37. Il Codice prevede, infatti, che queste ultime debbano nominare dei dirigenti pubblici, potendo derogare a tale regola solo in presenza di una duplice condizione: la motivazione della scelta dell’arbitro non-dirigente e l’individuazione di quest’ulti- mo nell’ambito degli iscritti all’albo della Camera arbitrale. Nulla si dice sul conte- nuto della suddetta motivazione, la quale – per ovvie ragioni – difficilmente potrà appuntarsi su situazioni di oggettiva ed insuperabile impossibilità di individuare, in tutto l’arcipelago delle pubbliche amministrazioni, dirigenti dotati della esperienza e indipendenza necessaria a svolgere il ruolo di arbitro. Anche sotto questo profilo, dunque, non è arduo ipotizzare l’insorgenza di possibili contenziosi: basti pensare all’ipotesi dell’impugnazione di una nomina (da parte della Camera arbitrale) relativa ad un arbitro non dirigente designato con un atto non motivato o motivato in modo generico ovvero all’ipotesi contraria, ossia quella di unaa. che impugni la mancata nomina (sempre da parte della Camera) di un arbitro non-dirigente facendo valere l’adeguatezza della motivazione posta a sostegno della designazione.
Infine, non si può non riscontrare come la preferenza accordata dal legisla- tore nei confronti della nomina di dirigenti (come arbitri delleaa.) sia di per sé criticabile. Il legislatore non specifica se tali dirigenti debbano necessariamente essere esterni all’amministrazione coinvolta nella controversia oppure possano anche far parte della pianta organica di quest’ultima38. Ipotesi, questa da ultimo prospettata, che sembrerebbe urtare con il necessario rispetto, in sede di designa- zione, del parametro dell’indipendenza39.
Del resto, anche laddove il dirigente designato come arbitro sia esterno allaa. coinvolta nell’arbitrato non appaiono del tutto inconsistenti i dubbi in punto di indipendenza: l’appartenenza del dirigente al mondo della pubblica ammini- strazione, sebbene non all’ente coinvolto nella controversia, può, infatti, essere sintomatica di una prossimità, soprattutto “culturale”, alla parte pubblica, tale da poter compromettere l’oggettività del giudizio reso in sede collegiale.
37 Cfr. co. 5 dell’art. 209 del Codice dei contratti pubblici. In dottrina cfr. X. XXXXX, Gli stru- menti di giustizia alternativa, a cura di F.G. SCOCA, Giustizia amministrativa, Torino, 2020, 717.
38 In dottrina si esprime nel senso della impossibilità della nomina del dirigente appartenente xxxxx. coinvolta nella controversia S.S. SCOCA, Commento all’art. 209 Arbitrato, in Codice dei contratti pubblici commentato, cit., 1685; I. XXXXXXXXXX, L’arbitrato nel nuovo «codice dei contratti pubblici» (D.lgs. n. 50 del 2016) (parte I), in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 283; di diverso avviso, invece, X. XXXXXXXXXX, La transazione e l’arbitrato nel Codice dei contratti pubblici, cit., 361.
39 In dottrina, sul tema della indipendenza si veda X. XXXXX, Modelli arbitrali e potestà amministra- tive, in Arbitrato e pubblica amministrazione, Milano, 1999, 157, il quale puntualizza come nel linguaggio corrente si utilizzi la locuzione “arbitro di parte” per alludere ad una figura che nell’ordinamento non ha alcuna premessa, ossia quella di un arbitro in qualche misura “incaricato” dalla parte di promuove- re le proprie ragioni. Cfr. anche X. XXXXXX, Favor arbitratus e arbitrato amministrato in materia di contratti pubblici, in Riv. arb., 2018, §4, che si esprime in termini critici circa la specialità del meccanismo delle nomine rispetto al modello civilistico, affermando che esso rappresenti una reazione inadeguata e inefficiente al «clima di diffidenza che circonda l’arbitrato in materia di contratti pubblici, alimentato forse dai sospetti di mancanza di sufficienti garanzie di imparzialità degli arbitri».
La nomina del collegio effettuata in violazione delle prescrizioni sostanziali e procedimentali dedicate alla composizione del Collegio determina la nullità del lodo40. Tale conseguenza era già prevista dal Codice dei contratti pubblici del 200641, il quale però puntualizzava espressamente l’applicazione ai casi di viola- zione delle norme sulla composizione del collegio arbitrale dell’art. 829, comma 1, n. 3 del c.p.c., dedicato all’impugnabilità del lodo pronunciato da chi non pote- va essere nominato arbitro per difetto di capacità di agire. L’attuale Codice dei contratti pubblici, e in particolare il comma 7 dell’art. 209, non compie alcun rin- vio espresso alle norme civilistiche, il che rende incerto il quadro di riferimento. Da un punto di vista generale è difficile dubitare dell’applicabilità, alle fatti- specie in questione, dell’art. 829 c.p.c., stante il generale rinvio al c.p.c. compiuto dal comma 10 dell’art. 209 del Codice dei contratti pubblici. Xxxxxxxxxxxx non è affatto chiara l’individuazione delle condizioni specifiche di impugnabilità del lodo nullo. L’articolo del c.p.c. da ultimo menzionato, infatti, distingue, nell’am- bito delle ipotesi di nullità per violazione delle norme sulla composizione del Collegio, tra situazioni in cui il lodo può essere impugnato solo laddove la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale42 e situazioni (coincidenti con il difetto di capacità d’agire degli arbitri) in cui l’impugnazione del lodo non è soggetta a tale condizione43. Invero risulta alquanto difficile prospettare, in assenza di puntuali spunti di diritto positivo, l’applicazione del regime di impugnabilità del lodo senza previa deduzione del vizio, giacché il c.p.c. prevede che tale regime riguardi soltanto le situazioni in cui uno o più arbitri siano privi della capacità legale di agire. Fattispecie, quest’ultima, che mal si presta a ricomprendere tutte le situa- zioni di mancato rispetto della disciplina sulla nomina dei collegi arbitrabili con- templata dai commi 4, 5 e 6 dell’art. 209 del d.lgs. n. 50/2016. Di nessun aiuto, sul punto, risultano le indicazioni della Camera arbitrale che, nella «Raccolta per l’unificazione e il coordinamento delle disposizioni adottate dalla Camera arbitra- le del 31 agosto 2020», si limita a ribadire che «Ai sensi dell’art. 209, comma 7, del codice, la nomina del collegio arbitrale effettuata in violazione delle disposi- zioni di cui ai commi 4, 5, e 6 dello stesso articolo determina la nullità del lodo».
4. Il carattere amministrato dell’arbitrato disciplinato dal Codice del 2016. Spunti critici sulla disciplina del procedimento arbitrale
Il procedimento arbitrale si attiva con la nomina dei membri del Collegio, la quale presuppone che siano trasmesse alla Camera arbitrale la domanda di
40 Cfr. il comma 7 dell’art. 209 del Codice dei contratti pubblici.
41 Cfr. il comma 5 dell’art. 241 del Codice dei contratti pubblici.
42 Cfr. il punto n. 2 del comma 1.
43 Cfr. il punto n. 3 del comma 1.
arbitrato44, l’atto di resistenza, le eventuali controdeduzioni e le designazioni di parte. Nessun termine viene fissato per la trasmissione degli atti appena menzio- nati, così come nessun termine veniva previsto dal Codice dei contratti pubblici del 2006.
Se le parti non si accordano sulla sede dell’arbitrato quest’ultima dovrà intendersi stabilita presso la Camera arbitrale (comma 9 dell’art. 209) il che com- porta che, in tale ipotesi, l’eventuale impugnazione del lodo dovrà proporsi din- nanzi alla Corte d’appello di Roma, in base a quanto disposto dall’art. 828 c.p.c. Intervenuta la nomina dei membri del Collegio arbitrale il Presidente45 nomina, se necessario, il segretario, anche scegliendolo tra il personale interno all’ANAC. La figura del segretario, pertanto, è facoltativa, a differenza di quanto previsto dal codice dei contratti del 200646, mentre è previsto che tale ruolo sia ricoperto da un soggetto appartenente ad un apposito elenco curato dalla Came- ra arbitrale47. In tale elenco possono essere iscritti funzionari in possesso di lau- rea in materia giuridica o economica o equipollenti e, ove necessario, in materie tecniche inseriti nei ruoli delleaa. di cui al d.lgs. n. 165/2001 con una anzianità di servizio pari almeno a cinque anni. L’ANAC non fa parte del novero delle ammi- nistrazioni menzionate dal predetto d.lgs., pertanto per il personale dell’Autorità anticorruzione non è prevista alcuna iscrizione all’elenco gestito dalla Camera arbitrale, diversamente da quanto avveniva sotto la vigenza del codice del 2006 con riguardo al personale dell’AVCP48. Non si comprende, invero, il senso della precisazione relativa ai titolari di diploma di laurea in materie tecniche, per i quali il comma 11 prevede l’inserimento dell’elenco «se necessario»: è chiaro che la necessarietà deve riferirsi all’eventuale nomina del singolo soggetto come segre- tario di un arbitrato attinente materie tecniche, non all’inserimento nell’elenco, che prescinde dall’oggetto di uno o più specifici arbitrati. I compiti del segretario
44 Cfr. il comma 8 dell’art. 209 del d. lgs. n. 50/2016. Si è osservato che il suddetto comma 8 non individui il contenuto minimo della domanda, circostanza che tuttavia non sembra identificare una criticità specifica dell’arbitrato in materia di contratti pubblici: una indicazione di tal fatta non figura nemmeno della disciplina dell’arbitrato recata dal c.p.c., il che induce a ritenere che sul punto si debbano applicare i più generali principi processuali in tema di introduzione della domanda processuale: si veda S.S. SCOCA, Commento all’art. 209 cit., 1686.
45 Cfr sempre il comma 8 dell’art. 209 del Codice dei contratti pubblici. La nomina (eventua- le) del segretario era rimessa al Presidente anche sotto la vigenza del Codice dei contratti pubblici del 2006 (cfr. art. 243, comma 7).
46 Cfr. l’art. 243 del d.lgs. n. 163/2006.
47 Il comma 8 dell’art. 209 del Codice dei contratti pubblici implicitamente rimanda al comma 12 dell’art. 211.
48 Il comma 10 dell’art. 242 del d.lgs. n. 163/2006 prevedeva che nei casi di nomina del Presi- dente ad opera della Camera arbitrale, quest’ultima curasse anche la tenuta dell’elenco dei segretari dei collegi arbitrali, precisando altresì che in tale elenco fossero ammessi i funzionari dell’Autorità (oltre che i funzionari delle magistrature contabili e amministrative, nonché delle pubbliche ammi- nistrazioni operanti nei settori dei lavori, servizi, forniture).
non sono individuati dal legislatore, ma di fatto essi consistono nella tenuta del fascicolo e nella custodia dei documenti inerenti il giudizio, nonché nella stesura dei verbali, e nella cura delle comunicazioni disposte dal Collegio arbitrale.
Sul piano probatorio sono ammessi tutti i mezzi di prova previsti dal c.p.c., eccezion fatta per il giuramento49. Questa esclusione rappresenta l’eco di una erronea lettura “pubblicizzante” dell’istituto dell’arbitrato in materia di contratti pubblici. La disciplina civilistica in tema di mezzi di prova ammette il giuramento solo su fatti e questioni inerenti diritti disponibili (2736 c.c.) e questo giustifi- ca il fatto che il giuramento non sia ammesso nei giudizi dinnanzi al giudice amministrativo50 e negli arbitrati nelle materie di giurisdizione esclusiva, stante la linea ermeneutica tracciata dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 204/2004 (secondo cui nelle materie de qua deve essere rintracciabile la titolarità in capo all’amministrazione del potere pubblicistico). La preclusione relativa al giuramento risulta, di contro, non comprensibile nell’arbitrato ex d.lgs. n. 50/2016, nel quale è pacifico che ad essere coinvolte siano esclusivamente situa- zioni soggettive aventi natura di diritti soggettivi disponibili.
A margine di quanto si è detto con riguardo alla disciplina del procedimento occorre dedicare un ultimo cenno al tema, recentemente scrutinato dalla Corte di Giustizia51, relativo all’eventuale applicazione delle procedure di gara previste dagli Stati membri in attuazione delle direttive europee del 2014 ai servizi di arbitrato. In concreto, il tema che è stato sottoposto ai giudici del Lussemburgo concerneva da un lato l’eventuale obbligo, per il legislatore nazionale chiamato al recepimento delle direttive, di prevedere che la selezione degli arbitri avve- nisse mediante l’applicazione delle norme dedicate all’affidamento degli appalti, dall’altro la necessità che le stazioni appaltanti provvedessero all’individuazione con gara dei legali cui affidare la predisposizione delle difese in sede arbitrale.
Ad entrambi i quesiti la Corte ha fornito risposta negativa. Per quanto concerne la scelta dell’avvocato cui affidare la difesa nel procedimento arbitrale a venire in rilievo, quale fattore decisivo, è stato il carattere necessariamente fiduciario di tale designazione, che non differisce da quella relativa ad un even- tuale incarico di difesa in sede giurisdizionale. Per quanto concerne, invece, la selezione degli arbitri, la Corte ritiene decisivo, al fine di escludere l’obbligo di selezione con gara, il profilo di volontarietà dell’arbitrato, che deve esprimersi anche nell’accettazione della composizione del Collegio dalle parti. Queste affermazioni, pienamente condivisibili, rendono ancora più evidenti le criticità, sopra riscontrate, della disciplina nazionale che attualmente rimette alla Camera arbitrale la nomina del Presidente del Collegio.
49 Cfr. il co. 9 dell’art. 209 del Codice dei contratti pubblici.
50 Art. 63, comma 5 c.p.a.
51 Corte giustizia UE sez. V, 6 giugno 2019, n. 264.
5. Problemi di “regolamentazione dei confini” con il “limitrofo” istituto del Collegio consul- tivo tecnico
Le sorti dell’arbitrato, come strumento di soluzione delle controversie alter- nativo alla giurisdizione, sembrano oggi condizionate anche dall’affermazione di nuovi strumenti di ADR, in particolare il Collegio consultivo tecnico (CCT). Quest’ultimo, invero, non rappresenta una novità nel panorama normativo dedi- cato agli strumenti di tutela in materia di contratti pubblici52. Fino al 2020, tut- tavia, questo istituto era configurato come “a tempo”: la sua operatività, infatti, era prevista solo nelle more della predisposizione del regolamento di attuazione al codice dei contratti pubblici, in concreto mai entrato in vigore
È stato il c.d. decreto semplificazioni a determinare una svolta, “liberando” l’istituto dalla spada di Damocle dal suddetto limite temporale e al contempo ridisegnandone l’identità, determinando – invero – problemi di ordine sistemati- co non trascurabili e relativi alla collocazione del CCT nel panorama dei rimedi alternativi alla giurisdizione.
In particolare, l’elemento che in tal senso desta maggiore interesse è rappre- sentato dal carattere dell’obbligatorietà che connota l’istituto in questione. L’art. 6 del dl. n. 76/2020 dispone, infatti, che fino al 30 giugno 2023 per gli appalti di lavori di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria sia obbligatoria la costituzione del Collegio, per la risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche suscettibili di insorgere in corso di esecuzione.
Questo primo tratto induce ad interrogarsi, ancora una volta, sul tema della volontarietà del ricorso a sistemi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione. Nei precedenti paragrafi si è evidenziato come le principali criticità che interessano l’arbitrato in materia di contratti pubblici risiedano nelle moda- lità di scelta e designazione degli arbitri: le ridotte prerogative delle parti, sul punto, sembrano, infatti, minare la volontarietà dell’istituto arbitrale, con tutto ciò che ne consegue in termini di possibile violazione del divieto di istituzione di giudici speciali. Occorre quindi per prima cosa chiedersi se l’obbligatorietà del CCT contravvenga a tale divieto.
La risposta a questo interrogativo pare di segno negativo, per due ordini di ragioni, tra loro intimamente connesse.
52 Ad aver per la prima volta introdotto l’istituto è stato l’art. 207, d.lgs. n. 50/2016, ispirato all’intento di fornire uno strumento di assistenza alle parti del contratto nella rapida soluzione delle questioni insorte in corso dell’esecuzione dei lavori. L’istituto, tuttavia, è stato poi abrogato con il d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, noto come correttivo al codice, e poi sorprendentemente reintrodotto dal d.l. n. 32/2019 (d.l. “sblocca-cantieri”), sia pure in una versione alquanto distante da quella che oggi caratterizza l’istituto appena entrato in vigore. Peraltro, non si può fare a meno di notare che lo «schema di regolamento di esecuzione, attuazione e integrazione del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50» datato 16 luglio 2020 non recasse alcuna menzione del CCT.
La prima concerne il fatto che l’obbligatorietà interessa la costituzione del Collegio, prima dell’avvio dell’esecuzione, non la successiva sottoposizione al Collegio delle controversie. La seconda concerne il carattere negoziale del lodo emesso dal Collegio. Questi due elementi meritano di essere considerati con- giuntamente: il fatto che il legislatore espressamente chiarisca il carattere con- trattuale del lodo53 rende impossibile ritenere che il connotato dell’obbligatorietà riguardi oltre che la costituzione dell’organo, anche la sottoposizione allo stesso delle controversie inerenti la fase di esecuzione. Xxxxx, in proposito, ragionare in termini di analisi controfattuale: se il ricorso al Collegio fosse obbligatorio le parti si vedrebbero costrette ad “accontentarsi” di un rimedio che assicuri loro una decisione avente carattere non giurisdizionale. A ben vedere, dunque, il punto cruciale risiede non tanto nella violazione del divieto di istituzione di giudici speciali (che non viene in rilievo stante il carattere non giurisdizionale della determinazione del Collegio) quanto nel rischio di situazioni di autentico diniego di giustizia54, che si prospetterebbero laddove si interpretasse l’attributo dell’obbligatorietà in senso “forte”, ossia come non limitato alla sola costituzione dell’organo.
Per converso, anche l’accezione “debole” dell’obbligatorietà si espone a delle osservazioni critiche, di ordine pratico. La costituzione dell’organo, con le annesse difficoltà legate all’individuazione dei componenti e alla verifica dell’in- sussistenza in capo ad essi di profili di conflitto di interesse, rischia, infatti, di esporre le stazioni appaltanti ad una attività inutile, ma delicata e dispendiosa, quantomeno sul piano della risorsa-tempo.
Anche ANAC55 sembra fornire spunti coerenti con quanto precede,
53 Cfr. co. 3 dell’art. 6 del dl. n. 76/2020.
54 X. XXXXXXXXX, L’amministrazione contenziosa: le Alternative Dispute Resolution (con particolare riguardo alla figura del difensore civico), in Il processo, 2021, §3.
55 Cfr. delibera ANAC n. 532 del 7 luglio 2021. Sull’alternatività rispetto al ricorso all’istituto dell’accordo bonario si veda l’art. 6 delle «Linee guida per l’omogenea applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del Collegio consultivo tecnico di cui agli articoli 5 e 6 del d.l. 16 luglio 2016, n. 76, convertito in legge 11 settembre 2020, n. 120» predisposte dal Consiglio superiore dei lavori pubblici. La predisposizione di tali linee guida non era prevista dall’art. 6 del
d.l. n. 76/2020. Di contro, l’articolo in questione è stato modificato dal decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 convertito dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, che ha introdotto il comma 8-bis che così recita «Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, con provvedimento del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvate apposite Linee guida volte a definire, nel rispetto di quanto stabilito dal presente articolo, i requisiti professionali e i casi di incompatibilità dei membri e del Presidente del collegio consultivo tecnico, i criteri preferenziali per la loro scelta, i parametri per la determinazione dei compensi rapportati al valore e alla complessità dell’opera, nonché all’entità e alla durata dell’impegno richiesto ed al numero e alla qualità delle determina- zioni assunte, le modalità di costituzione e funzionamento del collegio e il coordinamento con gli altri istituti consultivi, deflativi e contenziosi esistenti. Con il medesimo decreto, è istituito presso
allorquando precisa che «ai fini dell’operatività del CCT è necessario che il contratto sia in corso di esecuzione e che non siano stati già attivati altri stru- menti di risoluzione delle controversie, dovendo il CCT prevenire l’insorgere delle stesse al fine della celere conclusione delle opere». Il riscontrato carattere alternativo del CCT rispetto agli altri mezzi di risoluzione delle controversie, primo fra tutti l’arbitrato, sottintende, evidentemente, il riconoscimento del carattere non obbligatorio del ricorso al Collegio. Quest’ultimo, dunque, deve obbligatoriamente essere costituito (fino al giugno 2023 e per gli appalti di lavori sopra-soglia) ma non deve obbligatoriamente essere attivato.
In concreto non è agevole pronosticare come l’alternatività tra arbitrato e ricorso al CCT sia destinata a funzionare, se cioè essa favorisca l’uno o l’altro dei predetti istituti. In favore del CCT vi è, ad esempio, il fatto che per attivare tale organo non sia necessaria né la clausola compromissoria né (e, quindi, prima ancora) la previa autorizzazione dell’organo di governo dell’amministrazione aggiudicatrice, prevista invece, come si è riferito, dalla disciplina sull’arbitrato. Quest’ultimo sembra, in altre parole, ancora circondato da quelle eccessive cautele che non interessano l’istituto del CCT. Al contempo, è innegabile come la disciplina sull’arbitrato sia più sensibile rispetto alle esigenze di terzietà del Collegio, prevedendo una articolata serie di divieti di nomina (co. 6 dell’art. 209 del d. lgs. n. 50/2016). Infine, ed ovviamente, non si può sottacere anche la diversa stabilità delle determinazioni assunte, potendo i lodi arbitrali ex art. 209 trasformarsi in titolo esecutivo, il che evidentemente non può avvenire per i lodi negoziali emessi dal CCT. La sensazione, dunque, è che la strada del CCT (alternativa, come si è visto, a quella della giustizia arbitrale, oltre che – ovvia- mente – a quella giurisdizionale) si contraddistingua per una maggiore snellezza procedurale, cui fa da contraltare un tangibile sacrificio sul piano delle garanzie, ivi compresa quella dell’effettività del decisum.
Non si può, infine, non evidenziare che il CCT, per come risulta disciplinato dalla normativa vigente, rappresenti una dichiarata deroga al divieto, finora una- nimemente propugnato dalla giurisprudenza, per laa. di avvalersi dell’arbitrato irrituale56.
il Consiglio superiore dei lavori pubblici, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un Osservatorio permanente per assicurare il monitoraggio dell’attività dei collegi consultivi tecnici. A tale fine, i Presidenti dei collegi consultivi provvedono a trasmettere all’Osservatorio gli atti di costituzione del Collegio e le determinazioni assunte dal collegio, entro cinque giorni dalla loro adozione. Ai componenti dell’osservatorio non spettano indennità, gettoni di presenza, rimborsi spese o altri emolumenti comunque denominati. Al funzionamento dell’Osservatorio si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie del Consiglio superiore dei lavori pubblici disponibili a legislazione vigente».
56 In termini critici rispetto a tale divieto: X. XXXXXX XXXXXXX, L’arbitrato, in Il nuovo processo amministrativo, cit., 525 ss.; X. XXXXX, Arbitrato irrituale e Pubblica Amministrazione, in Arbitrato e pubblica amministrazione, Atti del convegno di Milano, 20 marzo 1998, Milano, 1999, 59; X. XXXXXX, Compro-
Tale divieto è stato per lo più argomentato richiamando l’attenzione sul fatto che con tale strumento la formazione della volontà contrattuale verrebbe delegata a soggetti esterni allaa. con l’ulteriore conseguenza per cui «il persegui- mento dell’interesse pubblico verrebbe affidato all’operato di soggetti sottratti a ogni controllo, con l’effetto di rendere evanescente anche l’eventuale indivi- duazione di ogni conseguente responsabilità»57. Questa posizione presuppone l’adesione alla prospettiva che identifica l’interesse pubblico con l’interesse di cui, in una fattispecie negoziale, è portatrice la parte pubblica58.
Questa identità, a ben vedere, è tutt’altro che pacifica, soprattutto se si acco- glie, come punto di partenza di ogni riflessione in tema di attività contrattuale, il riconoscimento in capo al contraente pubblico di una situazione di autentica autonomia negoziale.
Questa premessa impone di distinguere tra l’interesse pubblico in senso oggettivo e l’interesse “egoistico” di cui ciascun contraente, indipendentemente dalla sua natura giuridica pubblica o privata, è portatore. Il fatto che il contra- ente pubblico investa, nella propria attività negoziale, risorse della collettività è, infatti, un elemento estrinseco, che non incide sulla natura della fattispecie contrattuale veicolando all’interno di essa l’interesse pubblico oggettivamente inteso. In questa prospettiva il tema dell’arbitrato irrituale può, dunque, essere sdrammatizzato: in cui in esso non si consuma alcuno slittamento verso “l’ester- no” dei compiti istituzionali di cura dell’interesse pubblico, ma solo la volontaria devoluzione a un soggetto non giurisdizionale di compiti di risoluzione di con- troversie che coinvolgono posizioni inquadrabili nella dialettica debito/credito. Il Collegio consultivo tecnico, dunque, merita di essere “liberato” dalla connotazio- ne derogatoria ed eccezionale che i detrattori dell’arbitrato irrituale vorrebbero assegnargli. Le criticità dell’istituto, infatti, non risiedono nel carattere di lodo negoziale attribuito dal legislatore alle determinazioni del Collegio59, quanto piuttosto, come si è visto, nell’obbligatorietà della costituzione dell’organo, che rischia di dar luogo a fraintendimenti di ordine sistematico e di costringere i committenti pubblici ad una attività onerosa e complessa nonché, in definitiva, potenzialmente confliggente proprio con gli obiettivi di celerità nell’esecuzione delle prestazioni che, con l’introduzione del CCT, si sono voluti perseguire.
mettibilità in arbitrato irrituale delle controversie di cui sia parte la pubblica amministrazione e art. 6 della l. n. 205 del 2000, cit., 249 ss. e in part. §3.
57 Cass. Civ., sez. III, 8 aprile 2020, n. 7759; id., SS.UU., 16 aprile 2009, n. 8987.
58 Di questo avviso, ad esempio, Ad. Plen., 18 febbraio 2020, n. 5 in cui, con riferimento ad un contratto di compravendita, si afferma che «anche nei modelli privatistici la necessità di interes- se pubblico resta immanente al rapporto».
59 X. XXXXXXXXX, La natura giuridica delle determinazioni del collegio consultivo tecnico, in lamministra- xxxxxxx.xx.
6. Conclusioni. Riflessioni de jure condendo, anche sulla scorta del rilancio delle Adr prefi- gurato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza
Come si è cercato di porre in evidenza, la disciplina dell’arbitrato sui con- tratti pubblici è una disciplina sovrabbondante, infarcita di adempimenti e di limitazioni che finiscono per disincentivare il ricorso a tale strumento. La disci- plina passata in rassegna, infatti, da un lato impatta, compromettendola, sulla celerità dell’arbitrato, che costituisce l’indubbio punto di forza di tale strumen- to; dall’altro limita la possibilità di ricorrere allo stesso sempre e in qualunque momento a prescindere dalle scelte fatte, rispettivamente, dalla Stazione appal- tante nella fase antecedente all’indizione della gara e dall’aggiudicatario nei giorni successivi all’aggiudicazione.
Tali limitazioni, che determinano l’indiscutibile insuccesso di tale istituto, sono frutto di quella diffidenza che viene nutrita nei confronti dello stesso. Diffidenza che è dimostrata, per tabulas, dall’invito indirizzato dal Ministero delle infrastrutture dieci anni or sono, ma ancora oggi attuale, a un uso «oculato» di tale strumento60.
Ebbene, tale impostazione, che già in passato non risultava condivisibile (l’arbitrato, infatti, rappresenta e deve rappresentare un rimedio ordinario di soluzione delle controversie alternativo al giudizio innanzi al giudice civile), non lo è a fortiori oggi alla luce del già richiamato PNRR.
Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si legge testualmente che «uno degli elementi essenziali per garantire una maggiore efficienza della giustizia civi- le è legato alla definizione di strumenti alternativi al processo per la risoluzione delle controversie»61. E si sottolinea che, in tale contesto, occorre «garantire un maggior ricorso all’arbitrato»62.
Ebbene, se questo è vero in generale, non può che esserlo a maggior ragio- ne con riferimento ad un settore strategico per il rilancio dell’economia qual è quello dei contratti pubblici, in cui l’arbitrato, e lo dimostrano gli impietosi dati richiamati in premessa, è praticamente inutilizzato.
Il che impone di operare una riforma della disciplina in parola, che, a parere di chi scrive, potrebbe consistere nel superamento, per un verso, della obbligato- rietà della previa autorizzazione motivata all’inserimento della clausola compro- missoria; e, per altro verso, del divieto categorico di compromesso.
60 Di tale invito dà atto X. XXXXXXXXXXXX, Arbitrato nei lavori pubblici, cit., 250, il quale eviden- zia che «lo sfavore nei confronti dell’arbitrato [è testimoniato dalla] (…) direttiva del Ministero delle infrastrutture 5 luglio 2012 [che] si è premurata (…) di invitare le amministrazioni ad un uso “oculato” dell’arbitrato “da limitare al massimo”, in considerazione della speciale natura e caratte- ristiche dell’appalto e dell’opportunità di valutare “caso per caso” il ricorso all’arbitrato».
61 Cfr. PNRR, 62
62 Ibidem.
Tali minime correzioni consentirebbero, infatti, di abbattere quegli ostacoli che limitano oggigiorno la volontà delle parti di istaurare un arbitrato, in luogo di un giudizio ordinario. E consentirebbero, altresì, di rendere la disciplina dell’ar- bitrato in materia di contratti pubblici più omogenea rispetto a quella prevista dall’art. 12 c.p.a. per le controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.
Il tutto, a nostro avviso, senza determinare alcun rischio di incentivare epi- sodi di malaffare. I quali continuerebbero ad essere scongiurati dalle regole, pur in parte criticabili, che disciplinano la costituzione del Collegio.
Riassumendo e concludendo, riteniamo dunque che il PNRR rappresenti l’occasione giusta per rilanciare un istituto dal grande potenziale, attualmente inespresso.