Professore associato nell’Università di Milano
GLI EFFETTI DELLE CONDOTTE OMISSIVE DELLE PARTI, IN SEDE ARBITRALE E GIUDIZIALE,
QUANTO ALLE CONTESTAZIONI CIRCA LA (IN)VALIDITÀ DELLA CONVENZIONE ARBITRALE
Xxxxxx Xxxxx
Professore associato
nell’Università di Milano
SOMMARIO: 1. Casi di “invalidità” della convenzione arbitrale e loro
rilevabilità in sede arbitrale: le disposizioni rilevanti dell’art. 817 c.p.c. –
3. Gli effetti delle condotte omissive delle parti in sede arbitrale quanto alla determinazione della potestas iudicandi dell’arbitro. – 4. Condotte omissive delle parti in sede arbitrale, disciplina delle questioni pregiudiziali ed impugnazione del lodo. – 5. Potestas iudicandi dell’arbitro ed effetti delle condotte omissive delle parti in sede giudiziale nel regime dell’art. 819 ter, comma 1 c.p.c.
1. – Il tema degli effetti della mancata proposizione dell’eccezione di carenza di potestas iudicandi dell’organo adito in presenza di una convenzione arbitrale, in sede, rispettivamente, arbitrale e giudiziale, è stato parzialmente inciso dal D.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 che, in conformità all’ampio mandato conferito dalla legge-delega del 14 maggio 2005, n. 80 1, ha riformato il diritto dell’arbitrato in Italia, introducendo una serie di novità normative relative al problema dei rapporti - e conflitti - tra arbitrato e giurisdizione ordinaria, per decenni - soprattutto in ragione del precedente vuoto legislativo - al centro di un acceso dibattito in dottrina e giurisprudenza. Le disposizioni rilevanti, tuttavia, sono piuttosto scarne ed involute e lasciano aperti non pochi problemi interpretativi e di coordinamento2. Per il tema che ci occupa, rilevano, in particolare, gli artt.
1 Su cui v. P.L. NELA, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile. Commentario, II, Bologna, 2007, 1768 ss.; X. XXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato. Commentario agli artt. 806 – 840 c.p.c. Aggiornato alla legge 18 giugno 2009, n. 69, Padova, 2010, 281 ss.
2 V., in tal senso, X. XXXXXXX, Xxxxxxxxx Xxxxx, la competenza e l’arbitrato, in Giusto proc. civ. 2009, 397 ss., per il quale l’intervento riformatore, che non avrebbe apportato particolari novità rispetto al passato, non risolve tutti i gravi problemi che la dottrina aveva evidenziato in passato. V. anche X. XXXXXXXX, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti tra arbitrato e giurisdizione, in AA.VV., Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxx, Torino, 2008, II, 319, per il quale, con la riforma, si assisterebbe, di fatto, ad una sorta di ritorno all’antico, avendo il legislatore per lo più recepito molte delle soluzioni, ma
817 e 819 ter c.p.c., che disciplinano il problema dell’allocazione della potestas iudicandi tra arbitro e giudice statale, dalla prospettiva, rispettivamente, del primo (art. 817 c.p.c.) e del secondo (art. 819 ter c.p.c.), in parte codificando orientamenti interpretativi già consolidati, in parte discontandovisi, in parte, infine, introducendo una disciplina integralmente nuova. Il fatto che entrambe le norme contemplino, quale effetto “minimo” della condotta omissiva, una preclusione processuale per la parte negligente (consistente, in entrambe le sedi, nell’impossibilità di sollevare l’eccezione di carenza di potestas iudicandi dell’organo adito in un momento successivo all’inutile decorso del termine preclusivo 3 e nell’impossibilità di impugnare, per quello stesso motivo, la successiva decisione di merito), è tendenzialmente fuori discussione. Esse hanno però dato origine a non pochi contrasti interpretativi, in ragione del loro carattere oscuro e lacunoso e del fatto che solo quella che disciplina la fattispecie nell’ambito del giudizio statale ricollega espressamente, alla condotta omissiva, una conseguenza peculiare, che pare, ad una prima lettura, andare ben al di là della mera preclusione processuale, di cui, però, non è agevole cogliere l’esatta portata. Se ne darà conto nel prosieguo.
Quanto all’art. 817 c.p.c.4, della versione ante-riforma esso mantiene la
medesima rubrica (“Eccezione di incompetenza”), ma contiene una disciplina normativa molto più articolata. Rispetto al precedente scarno dettato normativo (riprodotto ora nell’ultimo comma del nuovo art. 817 c.p.c.), che si limitava a disciplinare le conseguenze della mancata proposizione dell’eccezione sull’esorbitanza delle conclusioni delle altre parti dai limiti della convenzione arbitrale, il nuovo testo, oltre a riconoscere espressamente il potere degli arbitri di decidere sulla propria “competenza”, include le ipotesi (e le conseguenze sul procedimento arbitrale) di contestazioni alla loro potestas iudicandi sollevate al di fuori del procedimento arbitrale, delineando, per
anche delle incongruenze, che caratterizzavano l’orientamento giurisprudenziale più
risalente.
3 Lo sottolinea X. XXXX, Aspetti problematici nella nuova disciplina della convenzione d’arbitrato rituale, in Il giusto proc. civ. 2006, 79, alla luce del principio del divieto di venire contra factum proprium. Nel contesto normativo pre-riforma, X. XXXXX, Commentario al codice di procedura civile, 1a ed., Vol. IV, 2, Milano, 1959-1962, 281, parlava in proposito di “acquiescenza”, sia pure preventiva, come conseguenza del comportamento omissivo e inequivoco della parte, secondo un meccanismo simile all’art. 157, comma 2, c.p.c.
4 Che, secondo P.L. NELA, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, cit., 1768, non troverebbe una fonte diretta nella legge-delega, che non si esprime sulle specifiche questioni che la nuova norma affronta. La legge- delega, in effetti, si era limitata a prevedere che il Governo disciplinasse: “(…) in generale i rapporti fra arbitro e giudice, ivi compresa l’eccezione di patto compromissorio”.
ciascuna fattispecie di contestazione (all’interno o all’esterno della procedura arbitrale), uno specifico regime processuale (termini della rispettiva proponibilità5 e conseguenze della mancata proposizione). Nello specifico, la norma condensa, in soli tre commi, quattro diversi tipi di contestazione alla potestas iudicandi arbitrale, per quanto l’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., nel consentire l’impugnabilità del lodo se esso abbia: “(…) pronunciato fuori dei limiti della convenzione di arbitrato (…)”, facesse in origine erroneamente riferimento ad un inesistente comma 4 (“(…) ferma la disposizione dell’art. 817, 4° comma (…)” 6. Nel tentativo di coordinare le disposizioni della norma in esame con il disposto di cui all’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., la dottrina prevalente 7 aveva suggerito di leggere l’art. 817 c.p.c. in questione come se si riferisse a quattro, anziché a tre, commi 8.
Il comma 1 codifica espressamente, per la prima volta, il principio
Kompetenz Kompetenz 9, statuendo che: “(…) gli arbitri decidono sulla loro
5 Sebbene non si richiedano formule sacramentali per la rituale proposizione dell'eccezione di incompetenza degli arbitri, è tuttavia necessario che la parte illustri le ragioni poste a fondamento dell’eccezione stessa, tali da qualificare la questione fatta valere, distinguendola così da altre ragioni che possano risultare non fondate o inammissibili, non essendo sufficiente invocare genericamente una qualche forma di invalidità della convenzione arbitrale: così Cass. 15 febbraio 2021, n. 3840, in Dir. giust. 2021 e in Guida dir. 2021, 21. V. anche Cass. 18 settembre 2023, n. 26765, che ha censurato un’eccezione di incompetenza degli arbitri formulata in modo vago e non inequivoco (quando, trattandosi di eccezione in senso stretto, ci si sarebbe attesi una formulazione puntuale ed articolata), giustificando la condotta dell’arbitro che correttamente non l'aveva considerata tale.
6 Sul discutibile accorpamento di due statuizioni e sull’asserita svista tipografica
v. E.F. XXXXX, L’arbitrato e il tipografo legislatore (Elogio della ‘rientranza’), in Riv. dir. proc. 2006, 631 ss.; P.L. NELA, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, cit., 1775, nt. 16.
7 Per tutti, F.P. XXXXX, Diritto processuale civile, 6a ed., Milano, 2011, 387, ove si trova una riformulazione “corretta”, in quattro commi, dell’art. 817 c.p.c.
8 I rinvii operati dal n. 1) (che contiene tutt’ora l’inciso: “(…) ferma la disposizione dell’articolo 817, terzo comma”) e dal n. 4) (che conteneva l’inciso: “(…) ferma la disposizione dell’articolo 817, quarto comma”) dell’art. 829, comma 1, avrebbero dovuto dunque essere interpretati come se si riferissero, il primo, alla seconda parte del comma 2 e, il secondo, al comma 3 dell’art. 817. L’ultima riforma dell’arbitrato, adottata con il D.Lgs. n. 149/2022, ha infine provveduto all’eliminazione dell’inciso “ferma la disposizione dell’art. 817, 4° comma (…)”.
9 Il codice del 1940 non conteneva alcuna disposizione sul principio Kompetenz Kompetenz. Ciononostante, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, sia statale che arbitrale, non nutrivano dubbi sulla sua applicabilità anche all’arbitrato (salvo, forse, in relazione alla possibilità, per l’arbitro, di decidere della propria “competenza” in caso di contestazione alla stessa sorta in sede giudiziale; v. X. XXXXXXX, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, III, Milano, 1923, 87 ss., 104 ss.). Principio cui veniva riconosciuta più o meno la medesima estensione attuale,
competenza”, ogniqualvolta, nel corso del giudizio arbitrale, siano contestate (necessariamente dalla parte, trattandosi di eccezioni non rilevabili d’ufficio 10), la validità, il contenuto o l’ampiezza della convenzione di arbitrato, nonché la regolare costituzione degli arbitri. Nonostante la disomogeneità dell’oggetto delle eccezioni delineate dal comma 1 (riguardando le contestazioni su validità, contenuto e ampiezza del patto arbitrale direttamente la fonte stessa del potere arbitrale - i.e. la convenzione arbitrale -, mentre quella sulla regolare costituzione degli arbitri un diverso tipo di vizio procedurale, che ben potrebbe convivere con la piena validità ed efficacia del patto arbitrale), la trattazione congiunta di dette eccezioni in relazione al potere cognitivo e decisorio del giudice si giustifica per il fatto che esse comunque incidono sul corretto ed effettivo esercizio della potestas iudicandi dell’arbitro 11 e, dunque, sull’arbitrabilità – lato sensu intesa – della disputa 12. Altre tipologie di contestazioni sono menzionate dai commi 2 (inesistenza, invalidità e inefficacia della convenzione arbitrale) e 3 (esorbitanza delle conclusioni delle parti rispetto ai limiti del patto arbitrale), non, tuttavia, in relazione al potere cognitorio dell’arbitro, bensì in riferimento alla previsione di un termine – a pena di preclusione – per il rispettivo rilievo ad istanza di parte (individuato, nel primo caso, nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri; nel secondo caso, in un momento non meglio specificato, purché nel corso dell’arbitrato).
La formulazione della norma di cui all’art. 817 c.p.c. è alquanto
attribuendo cioè agli arbitri il potere di decidere su tutte le questioni attinenti alla propria competenza (ivi comprese quelle attinenti alla interpretazione del patto arbitrale e alla compromettibilità della lite), in linea con le soluzioni adottate dalla maggioranza degli ordinamenti a livello internazionale (con la rilevante eccezione, forse unica, dell’ordinamento americano, su cui si permette di rinviare a A. XXXXX, Il diritto americano e l’incerto fondamento del principio Kompetenz-Kompetenz in materia di arbitrato, in Dir. comm. int. 2011, 3, 739 ss.). Per riferimenti v. X. XXXXXXX, Raccordi o antifonie fra arbitrato e giudizio ordinario? Profili comparatistici e transnazionali, in AA.VV., Studi in onore di Xxxxx Xxxxxxxxxxx, V, Milano, 2004, 3845 ss.
10 Per granitico orientamento della giurisprudenza e della dottrina, l’eccezione di arbitrato costituisce un’eccezione in senso proprio e stretto, come tale non rilevabile d’ufficio: v., ex multis, Cass. 28 febbraio 2019, n. 5824 e Cass. 6 novembre 2015, n. 22748. Trattandosi di eccezione relativa, essa può essere sempre oggetto di rinuncia ad opera della parte che l'ha sollevata: Xxxx. 13 novembre 1992, n. 12208.
11 Contra G.F. XXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del Codice di procedura civile. Artt. 806-840, 2a ed., Bologna, 2007, 468 e X. XXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 283, per i quali i vizi attinenti alla costituzione degli arbitri, non avendo ad oggetto la volontà delle parti di compromettere la lite, non riguarderebbero propriamente la ripartizione della potestas iudicandi fra giudice ed arbitro, rilevando esclusivamente all’interno del procedimento arbitrale in cui siano occorsi.
12 V. F.P. XXXXX, Rapporti fra arbitro e giudice, in Riv. arb. 2005, 773 ss.
disarmonica. Sussiste, ad esempio, una discrasia fra le questioni cui si riferisce il comma 1 e quelle prese in considerazione dal comma 2, rimanendo il dubbio se la disciplina prevista per le une si estenda o meno anche alle altre. In particolare, non è chiaro se anche i vizi menzionati nel comma 2 rientrino nel cono d’ombra del potere cognitivo-decisorio degli arbitri, allorché debbano “decidere” sulla propria competenza (che il comma 1 riferisce in maniera espressa unicamente alle ipotesi ivi menzionate 13) e, per converso, se anche le contestazioni relative ai profili menzionati nel comma 1, ma non nel comma 2, siano soggette allo stesso termine preclusivo cui si riferisce la seconda parte del comma 2. Considerata la sostanziale analogia tra i (o almeno alcuni dei) vizi attinenti alla potestas iudicandi arbitrale distribuiti dal legislatore nelle diverse disposizioni, verrebbe da pensare che non vi è ragione per differenziare, in relazione a quelle tipologie di contestazione, il regime concernente il termine preclusivo. Con l’eccezione relativa al contenuto o ampiezza del patto arbitrale di cui al comma 1, ad esempio, si mira, nella sostanza, a far valere l’inesistenza di un patto arbitrale rispetto alla porzione di controversia bensì dedotta nel giudizio arbitrale, ma non compresa nell’originaria stipulazione delle parti. Tuttavia è dubbio se all’eccezione attinente al contenuto o all’ampiezza del patto arbitrale debba estendersi il termine preclusivo più stringente della prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri (valorizzando in tal caso l’analogia strutturale dell’eccezione in questione rispetto a quelle contemplate dalla seconda parte del comma 2 dell’art. 817 c.p.c.), oppure se vada applicato il termine più flessibile di cui all’espressione “nel corso dell’arbitrato” (valorizzando la contiguità di collocazione normativa rispetto all’eccezione di irregolare costituzione degli arbitri, rispetto alla quale l’art. 829, comma 1, n. 2, c.p.c. - nel prevedere la possibilità dell’annullamento del lodo se gli arbitri non siano stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del titolo VIII “Dell’arbitrato” -, richiede come condizione che la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale, senza però specificare un termine preclusivo più preciso). A ben vedere, tuttavia, anche altre sono le incongruenze che emergono da una formulazione particolarmente involuta della norma14.
13 X. XXXXXXX, Le impugnazioni di sentenze e dei lodi, Padova, 2006, 296, include
altresì l’inesistenza tra il ventaglio di ipotesi cui si riferisce il comma 1. Più dubitativo
P.L. NELA, Sub art. 817, in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, cit., 1777, per il quale: “È possibile che il legislatore qui non abbia menzionato l’ipotesi di inesistenza di convenzione arbitrale per mera dimenticanza, ma non è neppure da escludere che ciò sia fatto ad arte”.
14 Ad esempio, non è chiaro se l’involuta formulazione della prima parte del comma 2 (“Questa disposizione [il richiamo è al primo comma] si applica anche se i poteri degli arbitri sono contestati in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del
Cercando di mettere un po’ d’ordine tra le diverse disposizioni, va preliminarmente osservato che la “concretizzazione” dei vizi oggetto delle contestazioni espressamente menzionate dall’art. 817 c.p.c. (sulla cui portata, contenuto ed estensione la norma non fornisce indicazione alcuna), non pare compito eccessivamente arduo, in ragione di una tendenziale convergenza che emerge dalle riflessioni della dottrina e altresì dalla prassi applicativa.
Così – seguendo l’ordine in cui le diverse contestazioni sono elencate dai tre commi della disposizione –, per quanto attiene alle contestazioni relative alla (in)validità (menzionata sia nel primo, sia nel secondo comma), si ritiene che detta nozione non debba interpretarsi rigidamente alla stregua delle analoghe nozioni e/o categorie civilistiche. In particolare, la classica distinzione tra nullità e annullabilità, propria della dommatica civilistica, funzionale, inter alia, all’applicazione di un diverso regime di rilevabilità del vizio, non è esportabile in ambito arbitrale, ove vige, sempre e comunque, il principio della rilevabilità del vizio ad istanza di parte 15. La nozione di (in)validità arbitrale va piuttosto ricostruita tenendo presenti sia la disciplina speciale contenuta negli artt. 807 e 808 c.p.c. (e, quindi, le norme dettate specificamente per l’istituto arbitrale: si pensi, ad esempio, alla mancanza dei
procedimento”), che estende l’operatività del principio Kompetenz Kompetenz a contestazioni sui profili menzionati nel comma 1, anche ove sollevate in un contesto diverso dal giudizio arbitrale, investa anche i diversi profili menzionati nella seconda parte del comma 2 (inesistenza e inefficacia del patto arbitrale). L’unico vizio che rientra nell’alveo di entrambe le disposizioni (operatività del principio Kompetenz Kompetenz e soggezione al termine preclusivo) è quello dell’invalidità (menzionato infatti sia nel primo, sia nel secondo comma), che pare tuttavia soggetto a sua volta ad un regime intrinsecamente contraddittorio, qual è quello risultante dal combinato disposto degli artt. 817, comma 2, c.p.c. (per il quale: “La parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questi per (…) invalidità (…) della convenzione d’arbitrato, non può per questo motivo impugnare il lodo (…)”) e 829, comma 1, n. 1 c.p.c. (motivo che consente l’annullamento del lodo: “(…) se la convenzione d’arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell’articolo 817, terzo comma”). Tale ultimo inciso, infatti, stando al dato letterale, richiamerebbe il termine preclusivo non della prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri, ma quello (“nel corso del procedimento arbitrale”) riferito al vizio dell’esorbitanza delle conclusioni. Ancora, non è chiaro se l’espressione di cui al comma 3 “nel corso dell’arbitrato” debba essere intesa in senso letterale (consentendo, dunque, alla parte di sollevare l’eccezione per tutta la durata del procedimento, financo per la prima volta al momento della precisazione delle conclusioni – o comunque in un momento che, nel giudizio arbitrale, corrisponda a questa fase), oppure se debba essere “integrata” – nell’ottica di un coordinamento sistematico tra le diverse disposizioni di cui all’art. 817 c.p.c. – con un termine più specifico.
15 Sul punto v. E. XXXXXXXXXX, La cognizione degli arbitri sui presupposti dell’arbitrato, Torino, 2011, 69 ss.; E. XXXXXXXXX, L’ impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, Milano, 2009, 17 ss.
requisiti di forma previsti dall' art. 807 e 808), sia la disciplina “generale” dei contratti (si pensi, ad esempio, alla presenza di vizi del consenso), sia, infine, la normativa processuale e sostanziale generale (si pensi, ad esempio, alla mancanza di capacità o di legittimazione delle parti)16.
Per quanto riguarda, invece, le contestazioni sul contenuto e sull’ampiezza della convenzione di arbitrato, si ritiene che esse abbiano ad oggetto i casi in cui una parte censuri il deferimento, in arbitrato, di controversie sin dall’inizio non rientranti nel patto arbitrale originariamente stipulato 17, come tali distinte da quelle cui si riferisce l’ultimo comma dell’art. 817 c.p.c. (esorbitanza delle conclusioni di una delle parti dai limiti della convenzione di arbitrato), che presuppongono, invece, che le domande originariamente devolute alla cognizione arbitrale rientrassero nell’ambito di applicazione della convenzione, discendendo la loro esorbitanza dai limiti della pattuizione originaria da conclusioni, formulate successivamente all’avvio del procedimento arbitrale, su cui le parti abbiano richiesto agli arbitri una pronuncia con efficacia di giudicato
18. Nei casi dubbi, la determinazione del contenuto e dell’ampiezza della
convenzione di arbitrato dovrebbe potersi avvalere della norma di cui all’art. 808 quater c.p.c., chiaramente ispirata a un favor arbitratus, secondo cui la convenzione arbitrale deve essere interpretata nel senso in cui essa si estende a tutte le controversie derivanti dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce .
Quanto al vizio di irregolare costituzione degli arbitri, esso è ad esempio
16 Così E. XXXXXXXXXX, La cognizione degli arbitri, cit., 72 e 75; E. XXXXXXXXX,
L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., 84.
17 X. XXXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXX, X. XXXXXXX (a cura di),
Commentario breve al codice di procedura civile, 6 ed., Padova, 2009, 2543 ss. V. anche
G.F. XXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato, cit., 471 ss., per il quale tali questioni: “(…) sono le uniche alle quali dovrebbe attagliarsi la nozione di ‘competenza’ degli arbitri in senso tecnico e ciò poiché l’arbitro dovrebbe ritenersi incompetente tutte le volte che la questione portata al suo esame fuoriesca in tutto o in parte dalla convenzione di arbitrato”. Come esempio si pensi al cumulo di una domanda con causa petendi extracontrattuale (risarcimento del danno di immagine; accertamento del diritto di proprietà di cui la parte alleghi l’avvenuta usucapione) con domande invece fondate sul contratto contenente la convenzione di arbitrato (risoluzione del contratto e condanna alle restituzioni). V. in proposito v. E. XXXXXXXXX, L’ impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., 147; X. XXXXX, Lodi parziali e lodi non definitivi - (In)competenza e (in)validità della clausola compromissoria: accertamento sempre incidenter tantum ad opera degli arbitri?, nt. a Cass. S.U. 18 novembre 2016, 23463, in Giur. it. 2017, 1, 157.
18 Xxx si tratti invece di cognizione in via meramente incidentale, come si ricava dal novellato art. 819, comma 1, c.p.c., non vi è alcun limite al potere degli arbitri, anche qualora siano coinvolte materie non arbitrabili, salvo che la legge non ne imponga una decisione con efficacia di giudicato.
integrato da un’irregolare accettazione dell’incarico da parte degli arbitri o dalla mancanza, in essi, della capacità legale d’agire 19; da una nomina degli arbitri 20 (nonché una loro sostituzione, ricusazione, rimozione 21) avvenuta in violazione delle modalità e delle forme espressamente stabilite dalle parti 22; o, ancora, da violazioni delle norme di cui al Titolo III (quali quelle che disciplinano la formazione del collegio arbitrale in caso di processo litisconsortile); o, infine, dall’assenza, in capo agli arbitri, delle qualità particolari indicate dalle parti nella convenzione arbitrale23.
Il comma 2 (che, come detto, non si occupa dell’estensione del potere di cognizione/decisione dell’arbitro alle contestazioni alla propria “competenza”, ma - unicamente - dell’effetto preclusivo conseguente alla mancata o intempestiva proposizione delle relative eccezioni) si riferisce alle contestazioni (oltre che, come già detto, della validità, altresì di quelle) che investono l’esistenza e l’efficacia della convenzione arbitrale 24. Nella prima
19 Capacità d’agire che il nuovo art. 812 c.p.c. ha espressamente posto come unico requisito necessario per la nomina ad arbitro. Per un commento alla norma v.
X. XXXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Commentario breve,
cit., 2523 ss.
20 Per riferimenti alle diverse tipologie di contestazioni attinenti alla nomina degli arbitri v. X. XXXXXXXXXXX, Numero e modo di nomina degli arbitri tra arbitrato ordinario e arbitrato societario, in Corr. giur. 2005, 1133 ss.; A. BLANDINI, La clausola compromissoria nell’arbitrato societario: sul vincolo della designazione degli arbitri a cura di soggetto estraneo, in Riv. dir. comm. 2007, I, 585 ss.; E. XXXXXXXXXX, L’oggetto della clausola compromissoria e la nomina dell’organo giudicante nell’arbitrato societario, in Riv. arb. 2005, 597 ss.; N. SOLDATI, Sindaci-arbitri: nullità della clausola compromissoria statutaria tra doveri di terzietà e imparzialità della nomina, nt. a Cass. 30 marzo 2007, n. 7972, in Riv. arb. 2009, 296 ss. Per esempi di casi emblematici decisi dalla giurisprudenza, v., ex multis, Cass., 8 marzo 2001, n. 3389; Cass., 4 giugno 1992, n. 6866; Cass., 26 settembre 1997, n. 9453; Cass., 2
dicembre 2005, n. 26257; Cass., 29 novembre 1999, n. 13306.
21 Sulle problematiche in tema di regolare costituzione del tribunale arbitrale originanti dalle fattispecie di ricusazione degli arbitri v. A. XXXXX, Ipotesi di ricusazione e rapporto arbitri-parti, in Riv. arb. 2006, 186 ss.; X. XXXXXXXXX, Ricusazione giudiziale e ricusazione amministrata dell’arbitro, in Riv. arb. 2010, 251 ss.; A. XXXXXXXXX, Xxxxxxx ai rimedi per denunziare la parzialità dell’arbitro, in Riv. arb. 2010, 675 ss.
22 O dal regolamento arbitrale richiamato dalle parti nel patto arbitrale o, in alternativa, dalle norme di legge applicabili nel caso la rimozione e sostituzione non avvengano ad opera delle parti.
23 X. Xxxx. 0 marzo 2001, n. 3389; Cass. 4 giugno 1992, n. 6866; Cass. 26 settembre
1997, n. 9453; Cass. 2 dicembre 2005, n. 26257; Cass. 29 novembre 0000, x. 00000. Sul tema v. anche A. BLANDINI, La clausola compromissoria nell’arbitrato societario, cit., 585 ss.; E. BERGAMINI, Ricusazione giudiziale, cit., 251 ss.
24 Anche in relazione a tali contestazioni valga quanto detto sulla nozione di (in)validità, ossia che non vi è una rigorosa corrispondenza con le nozioni civilistiche. V., in proposito, X. XXXXXXXXXX, La cognizione degli arbitri, cit., 72 e 75 ss.; L.
xxxxxxx si tende a far rientrare, in linea di principio, le ipotesi in cui manchi del tutto una (valida) stipulazione della convenzione di arbitrato riconducibile ad una o a tutte le parti 25. Alla nozione di inefficacia della convenzione arbitrale (forse la categoria di vizi più numerosa, oggetto di regolamentazione in diverse disposizioni del codice di procedura civile, delle stesse disposizioni in materia di arbitrato 26 e di leggi speciali)
SALVANESCHI, Arbitrato, sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, cit., 562 ss.
25 Ad esempio per mancato scambio dei consensi. V. P.L. NELA, L’inesistenza della convenzione arbitrale rituale dopo la riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2008, 976; E. XXXXXXXXXX, La cognizione degli arbitri, cit., 83 ss. Non ci pare corretta la tesi (in voga, oltre che tra la dottrina che aderisce alla tesi della mera preclusione processuale della condotta omissiva della parte – ma v. contra X. XXXXXXX, Commento all’art. 806 c.p.c., in A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell'arbitrato. Commentario, Milano, 1994, 6; ID., Commento all’art. 817 c.p.c., xxx, 132 ss. - anche in parte della giurisprudenza: v., da ultimo, Xxxx. 25 gennaio 2022, n. 2066), secondo cui, in caso di originaria e totale carenza di potere degli arbitri, il successivo comportamento delle parti non varrebbe a sanare il vizio. Se è vero, infatti, che non risulta in tal caso invocabile il disposto dell’art. 829, comma 1, n. 4 c.p.c., in relazione all'art. 817 c.p.c. (che si riferisce unicamente al superamento, da parte degli arbitri, dei limiti loro imposti dal compromesso), è altrettanto vero che l’originaria e totale carenza di potere degli arbitri integra un’ipotesi di inesistenza della convenzione espressamente sanabile, ai sensi del comma 2 dell’art. 817 c.p.c., dalla mancata proposizione, ad opera della parte interessata, della relativa eccezione nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri. In questo senso v. anche E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, Commento all’art. 827 c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato - Titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile - Artt. 806-840, 3a ed., Bologna, 2016, 778 ss., secondo cui le indicazioni ricavabili dalla riforma del 2006, tra cui: “(...) l’intento di convertire ogni possibile vizio all’iniziativa delle parti secondo binari predeterminati, lungo un cammino rinfoltito di preclusioni” e, più in generale, l’esigenza di attribuire al lodo: “la massima stabilità, in coerenza con il principio di certezza giuridica”, osterebbero al riconoscimento della categoria dell’inesistenza del lodo come conseguenza dell’inesistenza dell’accordo compromissorio. In tal senso, da ultimo, anche X. XXXXXXX, La controversia sulla convenzione arbitrale, Napoli, 2023, 117 ss., spec. nt. 83. Nel senso di non distinguere tra ipotesi di mera invalidità della convenzione e sua radicale inesistenza è anche l’orientamento favorevole alla ricostruzione della condotta omissiva delle parti in termini di stipulazione tacita di un patto arbitrale (ma v., in senso critico rispetto a questa impostazione, A. MOTTO, In tema di clausola compromissoria: forma, oggetto, rilevanza del comportamento delle parti, nt. a Cass. 21 settembre 2004, n. 18917, in Riv. arb. 2006, cit., 106, nt. 37).
26 Si veda, ad esempio, il comma 2 dell’art. 816 septies c.p.c., per cui l’omesso versamento degli anticipi delle spese, nell’importo ed entro i termini determinati dagli arbitri, comporta l’inefficacia della convenzione d’arbitrato limitatamente alla lite ad essi devoluta, su cui v. E. XXXXXXXXXX, La cognizione degli arbitri, cit., 92 ss.; F. TIZI, I costi del processo arbitrale, in Giusto proc. civ. 2008, 593 ss.; G.F. XXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato, cit., 466, nt. 4; M. XXXXXXXX, X. MOTTO, Sub art. 816 septies c.p.c. Anticipazione delle spese, in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina
dovrebbero invece essere in linea di principio ricondotte tutte quelle ipotesi in cui un patto arbitrale, originariamente valido, non sia più idoneo, per motivi sopravvenuti, a produrre l’effetto di derogare alla giustizia statale in favore di quella arbitrale.
Il comma 3 dell’art. 817 c.p.c., infine, si riferisce alle ipotesi di esorbitanza delle conclusioni delle parti dai limiti della convenzione arbitrale. Detto della differenza tra questo tipo di contestazione 27 e quello contemplato dal comma 1 in relazione al contenuto e all’ampiezza della convenzione arbitrale 28, il vizio in questione è integrato ogniqualvolta i profili esorbitanti rispetto alla convenzione arbitrale siano fatti oggetto di conclusioni precise e specifiche, su cui si chieda agli arbitri una pronuncia in via principale e con efficacia di giudicato, non essendo a tal fine sufficiente la proposizione di semplici difese 29. Come vedremo nel prosieguo trattando del potere degli arbitri rispetto alle questioni incidentali regolato dall’art. 819 c.p.c., secondo taluno l’omessa proposizione dell’eccezione ad opera della parte interessata avrebbe l’effetto di radicare la potestas iudicandi arbitrale 30. Più precisamente, ove una parte proponga una domanda di accertamento incidentale su
dell’arbitrato. Commentario agli artt. 806 – 840 c.p.c. Aggiornato alla legge 18 giugno 2009, n. 69, Padova 2010, 276 ss.
27 Che, come detto, riguarda conclusioni esorbitanti rispetto ad un patto arbitrale, nel cui ambito di applicazione rientravano tuttavia le domande originariamente formulate dalle parti.
28 Che hanno ad oggetto dispute dedotte con la domanda e risposta di arbitrato,
ma non rientranti nell’ambito di applicazione della convenzione arbitrale.
29 Cass. 11 aprile 1983, n. 2250, in Foro it. 1983, I, 1237, nt. X.X. XXXXXX. Un caso di esorbitanza riguarda, ad esempio, l’erronea qualificazione, in via interpretativa, come “rituale”, di una clausola di arbitrato irrituale, improponibile dunque per la prima volta in sede di impugnazione del lodo ove non tempestivamente dedotta in arbitrato ex art. 817 c.p.c.: così Xxxx. 25 gennaio 2022, n. 2066; v. anche App. Roma, 22 giugno 2020, n. 3024, in Giur. it. 2021, 3, 665, nt. M. STELLA.
30 Tanto in relazione alla formulazione delle conclusioni estranee all’accordo compromissorio, quanto in relazione alla mancata proposizione dell’eccezione, si dovrà tener conto del comportamento dei difensori, senza che rilevi l’eventuale effettiva volontà della parte di ampliare l’ambito della competenza arbitrale: ciò sin da Xxxx. 24 maggio 1968, n. 1583, in Riv. dir. proc. 1969, 703 ss., nt. E.F. XXXXX, Contro l’istruzione probatoria segreta nel processo arbitrale. Si ritiene, peraltro, che, mentre l’e- stensione dell’oggetto del giudizio arbitrale a materia non rientrante nell’ambito di applicazione del patto arbitrale possa ricondursi all’esercizio di una sorta di discrezionalità tecnica (come tale consentito ad un difensore, anche in difetto di apposita procura in tal senso), l’estensione del thema decidendum a materia espressamente esclusa dalle parti nella clausola compromissoria esulerebbe dai poteri del difensore, risolvendosi, de facto, in un atto di disposizione del diritto in contesa ai sensi dell’art. 84, comma 2 c.p.c.: in tal senso v. Coll. arb. Roma 4 luglio 1994, in Riv. arb. 1995, nt. X. XXXXX. V. anche X. XXXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXX (a cura di), Codice di procedura civile. Commentario, 6a ed., Milano, 2018, 1389.
questioni anche astrattamente compromettibili, ma di fatto non compromesse (e dunque estranee all’accordo compromissorio), e l’altra parte non ne eccepisca l’esorbitanza dai limiti della convenzione arbitrale, gli arbitri sarebbero legittimati a decidere sulla questione con efficacia di giudicato, precludendo alla parte inerte qualsivoglia contestazione in sede di impugnazione del lodo 31; ove, invece, manchi una domanda di accertamento incidentale, gli arbitri si limiteranno a conoscere delle conclusioni esorbitanti in via incidentale 32.
Sebbene la seconda parte del comma 2 dell’art. 817 c.p.c., nonché il suo comma 3, contemplino le medesime conseguenze per la condotta omissiva delle parti (impossibilità, per la parte interessata, di impugnare il lodo), sono tuttavia diversi i termini preclusivi previsti per le due tipologie di contestazione (che hanno ad oggetto, rispettivamente, l’incompetenza degli arbitri per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato e l’esorbitanza delle conclusioni delle altre parti dai limiti della convenzione arbitrale): in relazione alle prime, che rappresentano una novità introdotta dalla riforma33, il limite è individuato nella prima difesa successiva
31 In questo senso, già prima della riforma, v. X. XXXXXX, La pregiudizialità nell’arbitrato rituale, Padova, 1999, 305 ss.; contra, X. XXXXXXXXX, Xxxxxxx e questioni nei giudizi arbitrali, in Riv. dir. proc. 2000, 630 ss. Per un’ipotesi peculiare di decisione, potenzialmente con efficacia di giudicato, su questione esorbitante v. X. XXXXX, Lodi parziali e lodi non definitivi, cit., 157 ss., che si riferisce al caso della domanda di accertamento incidentale, ex art. 34 c.p.c., della questione della validità della clausola compromissoria, seguita dalla mancata “doppia eccezione” del convenuto circa l’esorbitanza della domanda di accertamento dal perimetro oggettivo della convenzione arbitrale, ex art. 817, comma 3 c.p.c. (la prima avrebbe dovuto riguardare la questione dell’invalidità della convenzione). Lascia tuttavia perplessi la riconduzione di questa fattispecie all’ipotesi di domanda esorbitante. Se è vero infatti che la convenzione di arbitrato abbraccia controversie relative o sorgenti dal contratto e non quelle sulla convenzione medesima, la decidibilità di queste dovrebbe rientrare nel perimetro della cognizione degli arbitri in virtù del principio Kompetenz Kompetenz: l’efficacia “di giudicato” dell’accertamento compiuto da questi su quelle dipenderà piuttosto dall’adesione o meno alla tesi dell’efficacia esterna delle decisioni su questioni di rito. Sul tema ci sia consentito il rinvio a A. XXXXX, I conflitti di potestas iudicandi tra arbitro e giudice statale nel diritto italiano e comparato, Torino, 2022, passim.
32 Xxxxx cognizione e decisione delle questioni incidentali v., infra, il par. 4. Un meccanismo di sanatoria (recte: di competenza allargabile nella dinamica del contraddittorio), non dissimile dal nostro art. 817, comma 3 c.p.c., è previsto in vari strumenti normativi internazionali e stranieri: dalla Convenzione di Ginevra del 1961 sull’arbitrato commerciale internazionale (art. 5, comma 1), all’ordinamento inglese (combinato disposto degli artt. 31, n. 2 e 73 EAA), alla Legge Modello dell’UNCITRAL (art. 4).
33 Nel contesto del precedente impianto normativo, non essendo comminata alcuna espressa decadenza, si riteneva che le eccezioni relative all’inesistenza, invalidità o inefficacia del patto arbitrale, nonché quelle relative all’irregolare
all’accettazione degli arbitri 34; in relazione alla seconda, già contemplata dalla precedente versione dell’art. 817 c.p.c. 35, in un momento non meglio specificato, purché nel corso dell’arbitrato. Ora, il comma 1, n. 1 dell’art. 829
c.p.c. menziona, tra i vizi del patto arbitrale, idonei a condurre all’annullamento del lodo, la sola invalidità e contiene l’inciso: “(…) ferma la disposizione dell’articolo 817, terzo comma”. Il termine invalidità utilizzato in questa sede, lungi dal riferirsi unicamente ed esclusivamente all’analogo termine menzionato nei primi due commi dell’art. 817 c.p.c. (escludendo, cioè, le differenti fattispecie ivi giustapposte attinenti al contenuto e all’ampiezza del patto arbitrale di cui al comma 1, o quelle dell’inesistenza e dell’inefficacia di cui al successivo comma 2), inevitabilmente include tutti gli altri vizi (genetici o sopravvenuti) del patto arbitrale, contemplati dall’art. 817 c.p.c. nella sua interezza (e dunque tutte le ipotesi di sua nullità, annullabilità, inefficacia e inesistenza) - salvo quello dell’irregolare costituzione degli arbitri, cui è dedicato un motivo espresso, il n. 2 del comma 1 dell’art. 829 c.p.c.36 -; ne discenderebbe, in caso contrario, l’assenza di un rimedio impugnatorio per quei vizi, pur se tempestivamente denunciati nel corso del giudizio arbitrale. Per il fatto che, d’altra parte, il richiamo al comma 3 dell’art. 817 c.p.c., contenuto nel comma 1, n. 1 dell’art. 829 (in relazione al vizio dell’invalidità del patto arbitrale), deve essere in realtà inteso – a causa di una svista tipografica del legislatore – come un riferimento all’ultima parte del comma 2 della
costituzione degli arbitri, fossero bensì rimesse all’iniziativa delle parti, potendo tuttavia essere dedotte per la prima volta anche in sede d’impugnazione del lodo, ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 1, c.p.c. Per riferimenti v. E. XXXXXXXXXX, La cognizione degli arbitri, cit., 117; X. XXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 288. Tale soluzione non appare oggi più praticabile, data la sua incompatibilità con il dato normativo: v. E.F. XXXXX, Xxxxxxxx compromissoria “vessatoria” e impugnazione del lodo, nt. a CGUE, 26 ottobre 2006, C-168/05, in Riv. dir. proc. 2007, 1086; X. XXXX, Xxxxxx sui rapporti tra arbitro e giudice statale, in Riv. arb. 2007, 364. Va peraltro ricordato che in passato, con riferimento a particolari ipotesi (ad esempio il caso della clausola compromissoria conclusa da un incapace), non sono mancate opinioni favorevoli al rilievo officioso dell’invalidità della convenzione arbitrale: in tal senso v. V. XXXXXXXX, Commento al codice di procedura civile, IV, 3a ed., Napoli, 1964, 791; più di recente, per un’opinione eterodossa in giurisprudenza, x. Xxxx. 3 giugno 2004, n. 10561.
34 Come esplicitato nella Relazione illustrativa del decreto legislativo, tale previsione risponderebbe ai principi di lealtà e di autoresponsabilità. V. M. XXXX, Xxxxxx sui rapporti tra arbitro e giudice statale, cit., 364.
35 V., per riferimenti, C. RASIA, Il conflitto transnazionale tra giurisdizione ordinaria e arbitrato sulla medesima lite. Spunti su un principio di «lis alibi pendens» nell’arbitrato internazionale, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2004, 1074.
36 Per quanto, sotto il profilo definitorio, pure il vizio concernente l'invalida o irregolare costituzione del collegio arbitrale sarebbe riconducibile alle ipotesi di nullità: x. Xxxx. 14 marzo 2023, n. 7335.
disposizione, il combinato disposto degli artt. 817 e 829 c.p.c. implica non solo che l’arbitro potrà conoscere e decidere delle contestazioni volte a far valere l’inesistenza 37, così come la nullità 38, l’annullabilità 39, l’inefficacia 40 o altre gravi irregolarità della convenzione arbitrale (e, dunque, che il principio Kompetenz Kompetenz abbraccia anche quest’ultime ipotesi), ma altresì che tutti i vizi appena menzionati (al pari di quelli espressamente menzionati dal comma 2 dell’art. 817 c.p.c.) debbano essere invocati dalla parte entro il medesimo termine (la prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri), affinché quella parte sia legittimata ad impugnare il lodo in un momento successivo 41. Sarebbe del resto irragionevole che la rilevazione del vizio di invalidità, che si colloca a metà strada tra quello, più grave, dell’inesistenza e quello, meno grave, dell’inefficacia, fosse essa solo soggetta al termine preclusivo della prima difesa, mentre gli altri due, senza alcuna comprensibile ratio, fossero invece soggetti al termine diverso, e più “liberale”, della deduzione durante tutto il corso del giudizio arbitrale 42. In definitiva, le eccezioni di cui ai commi 1 e 2 della norma, pur nel loro diverso atteggiarsi (esistenza, validità, contenuto, efficacia, ampiezza del patto compromissorio e regolare costituzione degli arbitri), mirano tutte all’identico fine di provocare una chiusura in rito del giudizio arbitrale per carenza della potestas iudicandi in capo agli arbitri, precludendo loro una decisione sul merito.
Come detto, fanno eccezione a quanto sopra, da un lato, il vizio di
irregolare costituzione degli arbitri, per cui l’art. 829 c.p.c. (al comma 1, n. 2) prevede un motivo di impugnazione autonomo rispetto a quello relativo all’invalidità (e inesistenza e inefficacia) del patto arbitrale (“(…) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del presente titolo (…)”), richiedendo bensì che esso sia oggetto di espressa eccezione dinanzi agli arbitri, ma non necessariamente nella prima difesa, essendo sufficiente che “(…) la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale
37 Ad esempio, perché non vi è mai stato un incontro di volontà e dunque manca un vero e proprio patto arbitrale.
38 Ad esempio, per vizi di forma.
39 Ad esempio, per difetto di capacità o per vizi del consenso.
40 Ad esempio, per motivi sopravvenuti.
41 In tal senso v. anche E. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., 176; X. XXXXXXXX, Impugnazioni del lodo “rituale”, in Riv. arb. 2005, 843 ss.
42 Sul punto v. anche X. XXXXXXXX, Impugnazione del lodo “rituale”, in E. FAZZALARI (a cura di), La riforma della disciplina dell’arbitrato (l. n. 80/2005 e d.lgs. n. 40/2006), Quaderni dell’associazione italiana per l’arbitrato, Milano, 2006, 185 ss.
(…)” 43; dall’altro, il vizio di esorbitanza delle conclusioni, formulate dalle altre parti, rispetto ai limiti della convenzione arbitrale, rispetto al quale nuovamente l’art. 829 (al comma 1, n. 4) prevede un motivo di impugnazione autonomo rispetto a quello previsto per l’invalidità del patto arbitrale (“(…) se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d’arbitrato, ferma la disposizione dell’articolo 817 (…)”: il comma 3 dell’art. 817 c.p.c. si limita a richiedere, come visto, che il vizio venga rilevato nel corso del procedimento arbitrale). V’è da chiedersi se l’espressione generica utilizzata dal legislatore sia intenzionale (finalizzata, cioè, a delineare un termine preclusivo appositamente diverso per questa ipotesi, rispetto a quello menzionato nel comma 2 dell’art. 817 c.p.c.), oppure se esso sia frutto di un mancato coordinamento tra le diverse disposizioni dell’art. 817 c.p.c., sì da richiedere un’integrazione mediante un termine preclusivo più specifico. Riteniamo che, in ragione di una non perfetta sovrapponibilità delle due categorie di eccezioni (esorbitanza dai limiti del patto, da un lato; inesistenza, invalidità e inefficacia del patto, dall’altro), la scelta del legislatore di prevedere due termini preclusivi diversi non sia frutto di una svista 44, ma, contrariamente a quanto sostenuto da autorevole dottrina, sia intenzionale e debba pertanto essere rispettata, in quanto non priva di fondamento 45. Invero, se le questioni relative all’esistenza, validità ed efficacia di un patto arbitrale, rappresentando il presupposto ineliminabile per la sussistenza della potestas iudicandi dell’arbitro, emergono, di norma (a condizione, beninteso, che la parte interessata non rimanga inerte) in una fase preliminare della procedura, l’esorbitanza delle conclusioni dai limiti del patto può emergere anche, e per la
43 X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, cit., 561; P.L. NELA, Sub art. 817, in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, cit., 1777.
44 Difficile, infatti, pensare ad una svista “tipografica” rispetto ad una presunta intenzione del legislatore di trattare, in maniera identica, le due eccezioni sotto il profilo del regime della loro rilevazione, a fronte di una loro collocazione in due commi distinti e altresì il loro espresso assoggettamento a due distinti termini decadenziali.
45 In tal senso v. anche X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, cit., 561, per cui, sotto il profilo del termine preclusivo per la rispettiva proposizione: “(…) le diverse eccezioni [vanno] differenziate secondo quella che è la scansione temporale dettata sia dalla norma in esame, che dall’art. 829, 1° comma, n. 2, cod. proc. civ., lasciando l’onere di immediato rilievo alle sole nullità che riguardano lo svolgimento del procedimento in senso proprio, nonché a quelle ove la specificazione normativa sia già in questo senso, come avviene per l’inesistenza, l’invalidità o l’inefficacia della convenzione di arbitrato che, a stretto rigore, riguardano anch’esse un elemento presupposto del procedimento arbitrale e non il suo svolgimento”.
prima volta, in una fase molto avanzata46, in ragione della struttura elastica e flessibile di questa, che inevitabilmente risente delle regole di volta in volta applicabili 47, delle decisioni adottate dall’arbitro nell’esercizio del potere discrezionale di conduzione del procedimento48 e dell’ampio spazio generalmente lasciato all’autonomia delle parti (sicché si possono avere scambi di allegazioni diversi ed ulteriori rispetto a quelli previsti dalle norme del codice di rito, nonché possibili riaperture della fase istruttoria, anche in prossimità della fase conclusiva dell’arbitrato 49). Si tratta di variabili che possono incidere su modalità e tempistica della determinazione del thema decidendum, che è possibile non emerga fin da subito nella sua completezza, andandosi invece progressivamente a cristallizzare solo (appunto) nel corso dell’arbitrato. È dunque verosimile, oltre che molto probabile, che solo nel corso dell’arbitrato (e dunque successivamente allo scambio della prima difesa successiva alla costituzione degli arbitri), emerga che una o più conclusioni di alcune delle parti esorbitino dai limiti della convenzione arbitrale50. Nel contesto normativo attuale, esigenze minime di coordinamento (soprattutto di tipo sistematico, alla luce, in particolare, della previsione del comma 2 dell’art. 817 c.p.c.) rendono preferibile ritenere che l’eccezione de qua – che
46 Sul punto v. X. XXXXXXX, Sub art. 817, in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 292, che evidenzia la diversa gravità alla base dell’eccezione in questione rispetto a quella prevista dal comma 2 dell’art. 817 c.p.c., presupponendo in ogni caso la prima un patto arbitrale esistente.
47 Che possono essere quelle della lex arbitrii, applicabili by default, oppure quelle
di un’istituzione arbitrale, espressamente richiamate dalle parti.
48 L’art. 000 xxx x.x.x. (xx cui è confluito il disposto del vecchio art. 816 c.p.c.) prevede che le parti possano stabilire, nel compromesso, nella clausola compromissoria o in un atto scritto successivo (purché anteriore all’inizio del giudizio), le norme che gli arbitri sono chiamati ad osservare nel procedimento e che, in mancanza di tali norme, gli arbitri abbiano facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengano più opportuno, in ogni caso assegnando alle parti i termini per la presentazione di documenti, memorie e repliche. Su tali profili v. A. MOTTO, In tema di clausola compromissoria, cit., 98.
49 Si vedano, ad esempio, gli artt. 30 e 31 del Regolamento arbitrale della Camera Arbitrale di Milano, ai sensi dei quali, rispettivamente: “Il Tribunale Arbitrale, sentite le parti, decide sull’ammissibilità di domande nuove, tenuto conto di ogni circostanza, incluso lo stato del procedimento” (art. 30) e: “(…) Dopo la chiusura dell’istruzione, le parti non possono proporre nuove domande, compiere nuove allegazioni, produrre nuovi documenti o proporre nuove istanze istruttorie, salva diversa determinazione del Tribunale Arbitrale” (art. 31, comma 3).
50 Lo stesso dicasi dei vizi attinenti alla regolare costituzione del collegio arbitrale (comunque meno gravi di quelli di inesistenza, invalidità o inefficacia dell’accordo compromissorio, nella misura in cui incidono non già sull’an della scelta arbitrale delle parti, ma unicamente sull’investitura dello specifico collegio) che potrebbero emergere ben dopo la prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri.
prima della riforma si riteneva potesse essere proposta in qualsiasi momento, purché anteriormente alla pronuncia del lodo 51, e dunque anche per la prima volta nella comparsa conclusionale 52 – vada sollevata, a pena di decadenza, quantomeno nella prima difesa successiva alla formulazione delle conclusioni esorbitanti 53.
Al regime previsto per i casi contemplati, rispettivamente, dai commi 2 e 3 dell’art. 817 c.p.c., si sottrae, per espressa previsione normativa (ultima parte del comma 2 della norma), il caso della non arbitrabilità della disputa (rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento arbitrale e sempre deducibile dalla parte, anche eventualmente per la prima volta, in sede di impugnazione per nullità 54) e, per taluno, le ipotesi in cui la parte
51 X. Xxxx. 00 gennaio 1999, n. 565, che faceva salvo il compimento di atti incompatibili con la volontà di avvalersi di detta eccezione; Xxxx. 7 agosto 1993, n. 8563; App. Napoli 22 marzo 1996, in Gius. 1996, 1414.
52 In tal senso x. Xxxx. 00 gennaio 1999, n. 565; X. XXXXX, Osservazioni in tema di efficacia della clausola compromissoria, nt. a Coll. arb. Ferrara, 30 ottobre 1998, in Riv. arb. 2002, 379.
53 Così X. XXXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXX (a cura di), Codice di procedura civile, cit., 1390; v. anche F.P. XXXXX, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., 778 ss.;
E. XXXXXXXXXX, Il procedimento arbitrale, in AA.VV. Il nuovo processo arbitrale, Milano, 2006, 104 ss.; ID., La cognizione degli arbitri, cit., 112. Contra, G.F. XXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato, cit., 474; X. XXXX, La convenzione arbitrale nel processo. Studio sui rapporti tra arbitrato e giurisdizioni statuali, Torino, 2013, 215 ss. Ma
v. X. XXXXXXX, Autonomia diretta delle parti vs discrezionalità dei difensori – e residualmente degli arbitri come mandatari – negli snodi dell’arbitrato quale giudizio isonomico, in Riv. dir. proc. 2015, 1373, per il quale si tratterebbe di eccezione: “(…) da svolgersi con relativo agio ossia “nel corso dell’arbitrato” (non occorre qui la prima difesa successiva alla formulazione della domanda esorbitante, neppure la udienza di p.c. segna un limite, rilevando la eccezione svolta negli scritti conclusionali salvo ogni ragionevole riflesso sul riparto delle spese di lite)”. L’art. 817 c.p.c. non contempla un termine preclusivo autonomo per le ipotesi in cui i vizi cui esso si riferisce (in combinato disposto con l’art. 829 c.p.c.) siano determinati da fatti sopravvenuti. Si ritiene, in tal caso, alla luce delle rationes sottese ai termini espressamente riferiti ai vizi contemplati dalla norma, che la relativa eccezione debba essere formulata entro il primo momento utile, ossia, verosimilmente, entro la prima difesa successiva all’insorgenza del fatto o alla conoscenza che le parti abbiano avuto di tali fatti: così X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, 2a ed., Padova, 2012, II, 171; E. XXXXXXXXXX, Il procedimento arbitrale, cit., 104 ss.; X. XXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 289; X. XXXX, Xxxxxx sui rapporti tra arbitro e giudice statale, cit., 364.
54 Xxxx, per taluno, vista la gravità del vizio, il lodo che abbia pronunciato su controversia non arbitrabile sarebbe addirittura inesistente, contestabile senza limiti di tempo in ragione della non operatività, in tal caso, del principio della conversione delle nullità in motivi di gravame: così X. XXXXX, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, Milano, 1971, 200 ss.; X. XXXXXXXXX, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Milano, 1971, 686 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, Milano, 1988, 609 ss.; C.
interessata ad eccepire la carenza di potestas iudicandi degli arbitri (per invalidità o inefficacia della convenzione, o per l’esorbitanza dei petita avversari dal patto compromissorio) non prenda parte al giudizio arbitrale 55. Ciò che, in definitiva, emerge dall’art. 817 c.p.c., esaminato nel suo complesso, è dunque la sanabilità di qualunque vizio del patto arbitrale (salva la non arbitrabilità della disputa), ove sia mancato un rilievo tempestivo (secondo le tempistiche e modalità sopra viste)56. In quest’ottica, come opportunamente rilevato da taluno, i termini preclusivi contemplati dall’art. 817 c.p.c. non sarebbero altro che espressione di un principio generale, codificato dall’art. 829, comma 2, c.p.c., a mente del quale la parte che: “(…) non [abbia] eccepito nella prima istanza o difesa la violazione di un regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo
impugnare il lodo” 57.
3. – Con specifico riferimento al tema degli effetti della mancata proposizione dell’eccezione di carenza di potestas iudicandi dell’organo adito in presenza di una convenzione arbitrale, si trattasse dell’arbitro o del giudice statale, si è discusso, in passato, prima della riforma del 2006, se essa si risolvesse in una mera preclusione processuale, rappresentata dall’impossibilità di invocare quella stessa censura in un momento successivo nel corso del giudizio (o, invocando quella medesima censura, di impugnare, in un secondo momento, la decisione), senza ricadute sul piano “sostanziale”, i.e. sulla esistenza, validità ed efficacia del patto arbitrale (lasciando dunque impregiudicata, ad esempio, la facoltà, per entrambe le parti, di instaurare successivamente un procedimento arbitrale sulla base dell’originario patto compromissorio non invocato dinanzi al giudice
XXXXXXXXX, L’arbitrato, Torino, 1991, 209 ss.; F.P. XXXXX, Le impugnazioni del lodo dopo la riforma, in Riv. arb. 1995, 15 ss.
55 Su tale ultimo profilo, non poco dibattuto, ritorneremo infra, alla nota 75.
56 Così, espressamente, Cass. 4 giugno 2021, n. 15613, in Guida al diritto 2021, 31.
00 X. XXXXX XXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in L.P. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX,
X. XXXXXXXXXX, Commentario del codice di procedura civile, Torino, 2014, 526 ss., che individua la ratio del combinato disposto delle disposizioni (che rendono irrilevante ogni vizio della convenzione arbitrale, ove non rilevato tempestivamente), nell’intenzione del legislatore di favorire una decisione nel merito della lite, lasciando alle parti la più ampia autonomia nel decidere del loro interesse ad una definizione delle loro dispute pur in presenza di vizi del patto arbitrale. La scelta del legislatore di escludere che una valida convenzione arbitrale sia requisito di validità degli atti compiuti dall’arbitro (ivi compreso il lodo) avrebbe anticipato una linea di tendenza dell’ordinamento, culminante, in anni recenti, nell’attuale formulazione dell’art. 38
c.p.c. Tale norma, in virtù del regime adottato, avrebbe eroso la tradizionale distinzione tra criteri di competenza forti e deboli (che rimane invece rilevante ai sensi dell’art. 45 c.p.c.).
statale). Oppure se detta condotta omissiva, conseguenza della mancata o intempestiva proposizione della relativa eccezione (ma anche, sebbene tale ulteriore profilo fosse maggiormente controverso, dell’omessa partecipazione tout court della parte al procedimento), fosse idonea a trascendere i confini del processo, andando ad incidere sul piano sostanziale direttamente sulla convenzione arbitrale, nell’un caso (omessa contestazione della potestas iudicandi dell’arbitro), determinandone una sorta di stipula o validazione tacita (o la formazione di un compromesso tacito sulle questioni in esso originariamente non ricomprese che fossero però state oggetto di una domanda esorbitante 58) e, nell’altro caso (omessa invocazione della convenzione arbitrale dinanzi al giudice statale), determinandone una sorta di risoluzione tacita o estinzione. La questione, non poco problematica e controversa, aveva (ed ha) evidenti ricadute sul problema del rapporto con un eventuale giudizio statale pendente sulla medesima causa, in quanto un’eventuale efficacia “esterna” delle summenzionate fattispecie farebbe venir meno la potestas iudicandi dell’altro organo, finendo così per operare (seppur indirettamente e, per così dire, non intenzionalmente) – mediante l’imposizione di una chiusura in rito in quell’altro giudizio –, quale strumento di coordinamento tra le due procedure parallele, preventivo rispetto alla necessità di attendere la pronuncia di una decisione di merito e la sua eventuale spendita nell’altro giudizio 59.
58 In tal senso E. REDENTI, voce Compromesso, in Novissimo Dig. It., III, Torino, 1959, 801. Di recente la tesi è stata sostenuta da X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 817, cit., 566; F.P. LUISO, Diritto processuale civile, 5° ed., Milano, 2009, 389; E. D’XXXXXXXXXX, Sui rapporti tra la sentenza Xxxxxxx Xxxxx e gli artt. 817, comma 2, ed 829,
n. 1, c.p.c. (nota a CGE, 26 ottobre 2006, C-168/05), in Riv. arb., 2006, 690 ss., secondo la quale il comportamento della parte che, convenuta in arbitrato, ometta di formulare l’eccezione d’incompetenza dovrebbe invece valere come surrogato della forma scritta prevista per la conclusione della convenzione arbitrale ancora mancante o come convalida del precedente negozio arbitrale invalido; nel primo caso, l’art. 817
c.p.c. verrebbe a porsi come norma che eccezionalmente consente la conclusione di un contratto tramite comportamento concludente, mentre, nel secondo caso, la norma varrebbe quale convalida di un negozio nullo ai sensi dell’art. 1423 c.c.
59 Va precisato che il riferimento non è qui al caso della preventiva rinuncia implicita alla facoltà di sollevare l’eccezione di compromesso, o al successivo abbandono tacito dell’eccezione sollevata in precedenza, su cui non vi erano mai stati (né vi sono tutt’ora) dubbi, anche se la giurisprudenza ha chiarito che una tale rinuncia deve potersi desumere da atti certi ed univoci, tali cioè da rilevare in modo inequivocabile la volontà della parte di desistere dall’eccezione stessa, quali, ad esempio, la mancata (o tardiva) proposizione dell’eccezione e lo spontaneo ricorso della parte al giudice ordinario, inconciliabile, secondo la giurisprudenza, con la volontà di avvalersi del patto com- promissorio. X. Xxxx. 00 giugno 1962, n. 1575; Cass. 19 maggio 1962, n. 1157; Cass. 18
ottobre 1961, n. 2202; Cass. 27 giugno 1961, n. 1547, in Giust. civ., 1961, I, 1095 e in Foro
it., 1961; I, 1306; Cass. 9 dicembre 1958, n. 3860. Come ulteriore esempio di rinuncia
In passato, talune posizioni in linea di principio favorevoli alla tesi delle ricadute “sostanziali” della mancata o intempestiva proposizione del- l’exceptio compromissi 60 si sono spinte sino al punto di prospettare, per il caso di pronuncia nel merito da parte degli arbitri, il fondamento del cui potere s’era asseritamente estinto proprio per la mancata invocazione del patto arbitrale dinanzi al giudice statale, la fattispecie di un lodo emanato in carenza di patto compromissorio (ritenuta financo più grave di quella di un lodo pronunciato sulla base di un compromesso nullo, ma esistente), tanto da ricollegarvi la (parimenti più grave) sanzione dell’inesistenza giuridica 61, censurabile (a differenza del regime applicabile alla nullità, per cui era previsto il rimedio dell’impugnazione ex art. 829, comma 1, n. 1, c.p.c.), in ogni tempo e in ogni sede: “(…) ad esempio anche innanzi al giudice presso il quale è stata sollevata la
all’eccezione di arbitrato, si menziona anche il caso della parte, convenuta dinanzi al giudice ordinario, che svolga le sue difese, proponendo, ad esempio, domanda riconvenzionale: così Xxxx. 16 dicembre 1992, n. 13317; Cass. 29 gennaio 1993, n. 1142, in Foro it. 1993, I, 1091. Secondo X. XXXX, Appunti sull’eccezione di compromesso e sulla sentenza che la decide, in X. XXXXXXX, G.P. XXXXXXXX, X. DELLA PIETRA, X. XXXXXX (a cura di), Studi sull'arbitrato offerti a Xxxxxxxx Xxxxx, Napoli, 2010, 454, peraltro, la tendenza della giurisprudenza, nel previgente sistema, era quella di richiedere un comportamento ulteriore e attivo del convenuto, il quale, oltre a non sollevare l’eccezione, avrebbe dovuto proporre domanda riconvenzionale (in questo senso v., ex multis, Cass. 16 dicembre 1992 n. 13317, in Riv. arb. 1993, 629; Cass. 30 maggio 2007, n.
12736, in Foro it. 2007, Arbitrato n. 132).
60 Nel senso che la mancata proposizione dell’eccezione di incompetenza comportasse una tacita integrazione dell’accordo compromissorio, v. V. XXXXXXXX, Commento al codice di procedura civile, cit., 848; T. CARNACINI, Arbitrato rituale, in Noviss Dig. It., Torino, 1958, 889; X. XXXXXXXX, voce Arbitrato (diritto processuale civile), in Enc. dir., II, Milano, 1958, 926, per il quale: “(...) le parti possono estendere o restringere la portata del compromesso anche successivamente alla sua stipulazione, mediante il deferimento agli arbitri di questioni non comprese inizialmente nella cognizione arbitrale, con la rinuncia a sollevare nel corso del procedimento l’eccezione di incompetenza (art. 817 c.p.c.)”). Per X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., 231, se una parte non sollevava alcuna eccezione a fronte della deduzione ex adverso di conclusioni inerenti ad un oggetto non rientrante nei limiti del compromesso, l’ampliamento dell’oggetto del contratto compromissorio discendeva direttamente dalla legg: “(…) perché la preclusione dell’art. 817 c.p.c. si applica anche se non fosse stato nelle intenzioni delle parti ampliare l’oggetto del compromesso”. V. per riferimenti X. XXXXXXX, X. IRTI (a cura di), Dizionario dell’arbitrato, Torino, 1997, 292 ss.
61 Nel senso che la carenza di potestas iudicandi degli arbitri desse luogo ad una sorta di nullità – inesistenza del lodo, deducibile per la prima volta in sede di impugnazione e, per taluni, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, x. Xxxx. 1981, n. 5942; Cass. S.U. 1982, n. 4317, in Giur. it. 1983, I, 1, 761; Cass. S.U.
1982 n. 4934, in Giur. it. 1983, I, 1, 755; X. XXXXXX, Legge 5 gennaio 1994, n. 25, in Le nuove leggi civili commentate, Padova, 1995, 162; F.P. XXXXX, Le impugnazioni del lodo dopo la riforma, in Riv. arb. 1995, 13 ss.; X. XXXXX, voce Arbitrato, in Enc. giur., II, Roma, 1988, 29.
eccezione compromissoria o l’eccezione di giudicato arbitrale, oppure in una autonoma azione di accertamento negativo o, infine, in sede di opposizione all’esecuzione avviata sulla base di un titolo costituito dal lodo” 62.
Nel contesto ante-riforma 2006, merita altresì di essere segnalata la tesi peculiare della TOMBARI63 (che si discostava sensibilmente dall’orientamento dominante delle “vie parallele”), per la quale: “(…) la stipulazione di un valido compromesso importa[va], come riflesso, il venire meno dell’interesse ad agire giudizialmente” 64. Secondo l’autrice, la mancata o intempestiva proposizione dell’eccezione di compromesso (eccezione in senso stretto rilevabile solo ad istanza di parte e in limine litis 65), integrava un: “(…) atto concludente, dal quale dedurre, coordinandolo con l’atto di proposizione della domanda da parte dell’attore, una rinuncia tacita delle parti al negozio di compromesso precedentemente concluso” 66. L’omesso rilievo dell’esistenza di un patto arbitrale, a fronte dell’iniziativa giudiziale della controparte, avrebbe avuto l’effetto di una implicita manifestazione di volontà delle parti di recedere dal precedente accordo: “(…) il quale, una volta rescisso per questa via, non potrà più essere invocato in maniera rilevante” 67. Un lodo pronunciato dagli arbitri, nonostante l’omessa (o intempestiva) eccezione di carenza di potestas iudicandi del giudice adito in ragione dell’esistenza di un valido patto
62 Sul regime applicabile al vizio di inesistenza del lodo, v., in senso conforme alle opzioni riferite nel testo, Xxxx. 25 settembre 1964, n. 2333, in Foro it. 1964, I, 1926; Cass. 28 febbraio 1964, n. 458, in Foro it. 1964, I, 1293; Cass. 22 aprile 1963, n. 1026, in Giust.
civ. 1963, I, 1560; Cass. 27 luglio 1982, n. 4317; Cass. 6 gennaio 1983, n. 66; Cass. 18
gennaio 1984, n. 404.
63 Nel quadro di una concezione sostanzialmente privatistica del fenomeno arbitrale, per la X. XXXXXXX, Natura e regime giuridico dell’eccezione di compromesso, in Riv. trim. dir. proc. 1059 ss. gli arbitri erano dei privati svolgenti un’attività privata, la cui deliberazione aveva il valore di un atto privato di accertamento, cui la legge, previo ottenimento da parte dello stesso dell’exequatur pretorile, conferiva l’efficacia tipica della sentenza.
64 Corsivo nostro. Secondo l’autrice, con il patto compromissorio le parti disponevano non tanto del diritto ad agire in giudizio (come sostenevano, ad esempio, CHIOVENDA e REDENTI), quanto piuttosto della situazione sostanziale stessa, che veniva delimitata e deferita dalla decisione degli arbitri: “(…) è poi questa modificazione giuridica negoziale che, qualificata ormai come fatto, induce una modificazione automatica, indiretta delle situazioni soggettive processuali dei soggetti compromittenti” (X. XXXXXXX, Natura e regime giuridico, cit., 1057).
65 Essendo il compromesso atto di autonomia privata, dal necessario rispetto del principio dispositivo conseguiva che gli effetti collegati ad esso, proprio perché derivanti da un atto “autonomo”, dovessero essere sottratti al potere di controllo e di rilevazione del giudice, per essere invece rimessi alla esclusiva disponibilità delle parti (X. XXXXXXX, Natura e regime giuridico, cit., 1072).
66 X. XXXXXXX, Natura e regime giuridico, cit., 1074.
67 X. XXXXXXX, Natura e regime giuridico, cit., 1074.
arbitrale, sarebbe dunque risultato nullo, o addirittura inesistente, per carenza assoluta di patto compromissorio. In relazione al tema dei possibili conflitti tra arbitrato e giurisdizione ordinaria, la XXXXXXX distingueva due ipotesi: da un lato, quella in cui vi fosse stata un’espressa revoca dell’incarico conferito agli arbitri (che non dava luogo ad alcun problema di coordinamento tra i due procedimenti, venendo automaticamente meno quello arbitrale e rimanendo aperte le sole vertenze attinenti al rapporto privatistico di locazione d’opera che legavano le parti agli arbitri); dall’altro, quella in cui le parti, per qualsivoglia ragione, avessero invece adito il giudice senza informarne gli arbitri. In tale ultimo caso, a seconda che gli arbitri fossero venuti o meno a conoscenza della contemporanea pendenza dell’altro processo sulla medesima causa, si sarebbero aperti diversi scenari. Invero, sebbene, in entrambe le ipotesi, il patto dovesse considerarsi tacitamente risolto, la rilevanza della consapevolezza degli arbitri poteva avere implicazioni diverse: nel primo caso, l’eventuale conflitto tra lodo e sentenza andava risolto secondo i principi applicabili al caso più generale di conflitto fra due giudicati statali sullo stesso oggetto; nel secondo caso, invece, gli arbitri avrebbero dovuto sospendere il procedimento, senza pronunciarsi sul merito, né depositare il lodo presso il pretore 68, in quanto: “(…) solo il compromesso conferisce giuridica rilevanza all’atto degli arbitri, che altrimenti rimarrebbe indifferente per l’ordinamento al pari di un qualsiasi giudizio privato”69. L’elemento peculiare della tesi della XXXXXXX risiedeva non tanto nel fatto che essa attribuisse un’efficacia sostanziale al comportamento della parte che, convenuta dinanzi al giudice statale, omettesse di proporre tempestivamente l’eccezione di patto compromissorio in limine litis (tesi invero abbastanza diffusa nel vigore del precedente impianto normativo); quanto, piuttosto, nell’attribuzione di un valore decisivo ad un profilo soggettivo, rappresentato dalla consapevolezza degli arbitri circa la contemporanea pendenza di un giudizio ordinario sulla medesima causa. Non era tuttavia chiara l’utilità del concorso di un presupposto di tipo soggettivo (la consapevolezza degli arbitri), quando appariva sufficiente quello oggettivo (la condotta processuale delle parti) a determinare una risoluzione tacita dell’accordo e a sancire, di riflesso, l’invalidità della decisione arbitrale, come tale soggetta all’impugnazione per nullità, salvo poi decidere sotto quale profilo (nn. 1 o 4 del
68 Le opinioni espresse dall’autrice sono molto risalenti (lo scritto richiamato nelle note è del 1964), quando ancora, secondo il codice di procedura civile in vigore, il deposito del lodo era affidato agli arbitri. La riforma dell’83 aveva modificato questo aspetto, rimettendo il procedimento per ottenere l’exequatur all’iniziativa della parte vittoriosa.
69 X. XXXXXXX, Natura e regime giuridico, cit., 1081.
prev. art. 829, comma 1, c.p.c.) 70. Né l’autrice si peritava di indicare la soluzione da adottare in relazione a una serie di altre situazioni astrattamente ipotizzabili71.
Al di là di questa particolare ricostruzione, sub Xxxxx la maggioranza di dottrina e giurisprudenza sposava la tesi degli effetti solo endo-processuali delle condotte omissive delle parti, in sede rispettivamente arbitrale e giudiziale, senza alcuna ripercussione sulle vicende dell’altro giudizio e senza alcun risvolto sul piano sostanziale, ossia dell’esistenza, validità o efficacia della convenzione arbitrale 72.
Tesi che, secondo chi scrive, deve essere altresì riproposta nel contesto normativo attuale. La mancata o intempestiva contestazione dei vizi attinenti, lato sensu, alla potestas iudicandi arbitrale73 integrerebbe cioè una mera preclusione di natura processuale74 (anche se è controverso se ciò valga
70 X. XXXXXXX, Natura e regime giuridico, cit., 1080. L’oggettivo venir meno della potestas iudicandi degli arbitri, in conseguenza dell’estinguersi del patto compromissorio, era evidenziata con insistenza dall’autrice: “(...) il venir meno del compromesso non è di per sé causa immediata dell’impossibilità dell’attività arbitrale, ma lo diventa mediatamente, in quanto annulla il presupposto della rilevanza giuridica dell’atto di mero accertamento degli arbitri”.
71 Si pensi, ad esempio, ad un rigetto dell’eccezione proposta (con conseguente pronuncia di merito) nel giudizio ordinario, instaurato successivamente a quello arbitrale; o alla mancata o intempestiva proposizione dell’eccezione nel giudizio ordinario, previamente instaurato; o alla mancata ‘costituzione’ della parte convenuta. In tali casi, non era chiaro se l’assenza del presupposto in base al quale potesse dirsi legittimamente instaurato l’eventuale successivo giudizio arbitrale imponesse agli arbitri di sospendere il procedimento (laddove fossero a conoscenza della pendenza del procedimento ordinario – potendo viceversa quest’ultimo proseguire in mancanza della detta consapevolezza); oppure se l’instaurazione successiva del procedimento arbitrale comportasse la riaffermazione della volontà delle parti di avvalersi di tale strumento alternativo di tutela, ripristinando così l’accordo precedente e facendo conseguentemente venir meno l’interesse dell’attore ad agire per via giudiziaria.
72 In tal senso x. Xxxx. 00 febbraio 1979, n. 965, in Rep. Foro it. 1979, voce Arbitrato e compromesso, 85 e Cass. 24 marzo 1962, n. 600, in Giur. it. 1963, I, 1, 496. Per riferimenti v. X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova 2000, I, 542.
73 V. E. D’XXXXXXXXXX, Sui rapporti tra la sentenza Xxxxxxx Xxxxx, cit., 690 ss., per la quale, anche in caso di estinzione o chiusura in rito del procedimento arbitrale, l’accordo arbitrale convalidato o costituito in corso di causa rimarrà valido ed efficace, vincolando le parti alla via arbitrale. Per X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato sub art. 817 c.p.c., cit., 565 questa impostazione dovrebbe condurre a ritenere il compromesso valevole con esclusivo riferimento a quella stessa controversia, destinato pertanto a operare solo nell’ipotesi di estinzione del giudizio.
74 Nel senso che la mancata o intempestiva proposizione della contestazione alla potestas iudicandi arbitrale integri una mera preclusione processuale, esaurendo i suoi effetti all’interno del processo, v. X. XXXXXXX, La controversia sulla convenzione di arbitrato, cit., 116 ss., per il quale: ”(...) la lettera della legge depone in favore della
anche per la parte la cui omessa proposizione dipenda dal fatto di non aver
qualificazione del fenomeno in esame in termini esclusivamente processuali”; X. XXXXXXX, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, 3a ed., Padova, 2012, 555; X. XXXX, La convenzione arbitrale nel processo, cit., 208; X. XXXXXXXXXX, La contemporanea pendenza del procedimento arbitrale e del giudizio ordinario, in Riv. dir. proc. 2019, 192 ss.; F.P. XXXXX, Diritto processuale civile, 11° ed., Milano, 2021, 198 (sebbene tale Autore avesse in precedenza individuato, nella condotta omissiva delle parti, una sorta di accordo compromissorio tacito, senza tuttavia rilevanza esterna al processo); X. XXXXX, Autorità giudiziaria e arbitrale, in X. XXXXXX XXXXXXXXXX (a cura di), Arbitrato, ADR e conciliazione, Bologna 2009, 459 ss.; G.F. XXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato, cit., 467 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 817 c.p.c., cit., 562 ss.; E. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., 77 ss. e 151 ss. Anche la giurisprudenza prevalente è orientata nel senso della mera preclusione processuale: v., ex multis, in relazione al comma 2 dell’art. 817 c.p.c., Cass. 28 febbraio 2019, n. 5824, per la quale il mancato rilievo della "incompetenza" dell'arbitro non implica che tra le parti si debba ritenere concluso un nuovo compromesso per allargare la materia del decidere, perchè in tale ipotesi l'art. 817 c.p.c. non avrebbe un suo fondamento nell'operato processuale delle parti, ma nella loro volontà contrattuale, che non viene invece in considerazione nella specie, in cui si è solo di fronte alla inattività di una delle parti. In relazione al comma 3 dell’art. 817 c.p.c., x. Xxx. Xxxxxx, 0 luglio 2018, n. 3347 che, sull’assunto della riconduzione della mancata proposizione dell’eccezione in arbitrato nell'ambito processuale (mera preclusione processuale), evidenzia come debba farsi riferimento – sia per ciò che attiene alla formulazione delle conclusioni, sia per ciò che attiene alla proposizione dell'eccezione – al comportamento dei difensori, senza che da ciò possa inferirsi un'eventuale volontà delle parti di estendere l'originario ambito della competenza arbitrale. Vero è che gli orientamenti giurisprudenziali risultano a volte ondivaghi, come dimostrano quelle pronunce che, nella mera proposizione di una domanda in sede giudiziale, rientrante nell’ambito di applicazione di una convenzione arbitrale, hanno ravvisato una rinuncia implicita alla stessa: v., in tal senso (per vero in un caso in cui trovava applicazione il regime ante-riforma 2006), Xxxx. S.U. 6 luglio 2016, n. 13722, in Le Società, 2016, 12, 1397, nt. adesiva (sul punto) di X. XXXX, Decadenza dell’azione e clausola compromissoria per la quale, nel caso di specie trovava senz’altro applicazione: “(…) il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte per il quale, qualora la parte promuova nei confronti dei medesimi contraddittori un giudizio davanti al giudice ordinario avente identità, totale o parziale, di oggetto, tale comportamento costituisce implicita rinuncia ad avvalersi della clausola compromissoria, restando, così, ad essa preclusa la possibilità di far successivo ricorso al procedimento arbitrale”. In tema v. anche Cass. 20 maggio 2013, n. 12247; (per la domanda monitoria) Cass., 11 novembre 2011, n. 23651; Cass. 23 maggio 2006, n.
12121; Cass. 15 luglio 0000, x. 00000, in Xxxx xx., X, 0000, x. 0000; Xxx. Xxxxx Xxxxxxx 14 febbraio 2005, in Riv. arb., 2005, 393, nt. X. XXXXXX, Rinuncia (parziale) al patto compromissorio, preclusioni e sospensione del procedimento. Per una critica alle tesi che, da un lato, deducono dalla sola condotta dell’attore che adisce il giudice ordinario l’effetto estintivo dell’accordo arbitrale e, dall‘altro, riferiscono quest‘ultimo a tutte le potenziali controversie rientranti nell’ambito di applicazione del patto v., da ultimo,
X. XXXXXXX, La controversia sulla convenzione di arbitrato, cit., 193.
preso attivamente parte al giudizio arbitrale 75), che si traduce
75 Escludono che incorra nelle preclusioni contemplate dall’art. 817 c.p.c. la parte che non abbia partecipato al giudizio, consentendole, dunque, di sollevare le contestazioni alla potetas iudicandi arbitrale, per la prima volta, in sede di giudizio di impugnazione per nullità, sempre che tale vizio non sia già stato rilevato ex officio dagli arbitri – ove possibile – nel corso del procedimento, X. XXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 290 ss.; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, 2° ed., Padova 2012, 532; ID., Il processo civile. Sistema e problematiche, Vol. III, Torino 2010, 202; C. DELLE DONNE, Sub art. 817 c.p.c., in L.P. COMOGLIO et al. (a cura di), Commentario, cit., 507 ss., spec. 529; E. D’XXXXXXXXXX, Sui rapporti tra la sentenza Xxxxxxx Xxxxx, cit., 679 ss., spec. 690 ss.; F.P. XXXXX, Rapporti fra arbitro e giudice, in E. FAZZALARI (a cura di), La riforma della disciplina dell’arbitrato, cit., 117 ss.; ID., Parte “assente” nel processo arbitrale ed eccezione di incompetenza, nt. Cass. 28 febbraio 2019, n. 5824, in Riv. arb. 2, 2019, 299 ss. Tale orientamento rileva, in particolare, che la disposizione di cui all’art. 817 c.p.c. sembra ricollegare l’effetto preclusivo solo all’esercizio della prima difesa e non anche al decorso del termine per la stessa, dando cioè rilievo non tanto al comportamento omissivo in sé della parte, quanto solo a quello della parte che si difenda attivamente nel merito delle lite, senza però difendersi sul punto della “competenza” arbitrale, assumendo, con ciò, una condotta incompatibile con la volontà di invocarne asseriti vizi. La soluzione opposta finirebbe per interpretare la condotta di una parte che, con la sua assenza, ha dimostrato di non voler assoggettarsi alla giustizia arbitrale, come volontà, invece, di attribuire agli arbitri il potere esclusivo di decidere sulla propria potestas iudicandi. Ma x. X. XXXX, Xx xxxxxxxxx xxxxxxx, 0x xx., Xxxxxx, 0000, 72, per il quale: “(…) la parte interessata nel momento in cui è convenuta, perché destinataria della domanda di arbitrato, è comunque chiamata a rispondere solidalmente per le spese e gli onorari degli arbitri anche in caso di suo completo disinteresse”. Anche per la giurisprudenza maggioritaria la preclusione processuale derivante dalla mancata o intempestiva proposizione dell’eccezione nel giudizio arbitrale si verifica solo nei confronti della parte che abbia attivamente partecipato al giudizio, non, invece, nei confronti del soggetto rimasto assente, con la conseguenza che quest’ultimo potrà adire il giudice ordinario perché accerti che il lodo, comunque emesso pur in mancanza di clausola compromissoria, sia inefficace o inesistente nei suoi confronti. V., in tal senso, da ultimo, Xxxx. 28 febbraio 2019, n. 5824, in Diritto & Giustizia, 40, 2019, 21 ss., nt. I. XXXXXXXXXXX, Il lodo può essere impugnato per incompetenza degli arbitri, anche da chi non ha partecipato al giudizio arbitrale; in Riv. arb. 2, 2019, 299 ss., nt. F.P. XXXXX, Parte “assente” nel processo arbitrale ed eccezione di incompetenza; in XxxxxxxxxXxxxxx.xxx, con nota critica di G. TOTA, Difetto di potestas iudicandi dell’arbitro, mancata partecipazione del convenuto al giudizio arbitrale e conseguenze sull’impugnazione del lodo; secondo tale autrice, in mancanza di una norma espressa sul punto: “(…) nulla autorizza ad attribuire alla ‘contumacia’ nel processo arbitrale un regime diverso (e di maggior favore per il contumace) da quello dell’omologo istituto previsto dagli artt. 290 ss. c.p.c.”. Sul mancato avveramento di preclusioni a carico della parte “contumace” in un arbitrato irrituale, x. xxxxx Xxxx. 00 xxxxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxx xx. 2007, I, 2212, nt. E. D’XXXXXXXXXX.
Per l’orientamento opposto, nel senso cioè che la preclusione processuale si manifesterebbe anche nei confronti della parte che non abbia partecipato attivamente al giudizio, v. G. TOTA, Difetto di potestas iudicandi dell’arbitro, cit.; X. XXXX, La convenzione
nell’impossibilità, per la parte negligente, di contestare successivamente, nel corso del giudizio arbitrale o di quello giudiziale, la competenza dell’arbitro o del giudice e altresì di impugnare il futuro lodo76 o la futura sentenza, per motivi attinenti alla potestas iudicandi arbitrale, non tempestivamente invocati nel corso del giudizio 77; con esclusione, pertanto, di qualsivoglia efficacia sul piano sostanziale e/o esterna. Da tale condotta non discenderebbe, invece, né la formulazione tacita di un patto prima inesistente o la sanatoria di un patto prima invalido, né alcuna efficacia extraprocessuale dell’avvenuta cristallizzazione del patto arbitrale, sotto forma di vincolo, nei confronti di un altro arbitro o del giudice statale che dovessero confrontarsi, in un momento successivo, con la questione della potestas iudicandi arbitrale78.
arbitrale nel processo, cit., 201 ss.; XXXX, La giustizia privata, cit., 71 ss.; ID., Ancora sui rapporti tra arbitro e giudice statale, cit., 365; X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 817 c.p.c., cit., 602 ss.; Cass. 24 marzo 1962, n. 600, in Giust. civ. 1962, I, 1743. Secondo chi scrive, questo secondo approccio appare più convincente. Invero, da un punto di vista testuale, nell’attuale formulazione dell’art. 817 c.p.c. non è ravvisabile alcun indizio che induca a leggere la norma come riferibile esclusivamente alla parte “costituita”. Inoltre, sarebbe l’ordinamento a imporre al convenuto l’onere di partecipare al giudizio al fine di far valere le eccezioni che siano rimesse alla sua esclusiva disponibilità. D’altra parte, l’eccezione con cui si voglia fare valere di fronte al giudice dello stato l’esistenza di un patto arbitrale si preclude, ai sensi di art. 819 ter, comma 1 c.p.c., decorso il termine per il deposito della comparsa di risposta, a prescindere dal fatto che il convenuto sia o meno contumace; sicché, non si capirebbe perché due situazioni analoghe debbano essere trattate diversamente. Va poi rilevato che, impedendosi il maturarsi della preclusione processuale nel caso in cui il convenuto sia ‘contumace’, si avrebbe l’effetto di impedire che la questione possa essere trattata dinanzi agli arbitri, senza che ciò tuttavia implichi alcuna sanatoria, con la conseguenza che gli arbitri potrebbero trovarsi costretti (in quanto impossibilitati a rilevare il vizio d’ufficio) a pronunciare un lodo che sanno benissimo essere invalido per carenza di un valido patto arbitrale, passibile quindi di essere travolto in sede di giudizio di nullità.
76 X. Xxxx. 4 giugno 2021, n. 15613.
77 Salvo ritenere detto termine, in caso di invalidità o inefficacia sopravvenute rispetto al termine espressamente indicato dall’art. 817 c.p.c. (la prima memoria successiva all’accettazione da parte degli arbitri), posticipato almeno fino alla prima difesa successiva alla loro sopravvenienza (così F.P. XXXXX, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., 116; X. XXXXX, Il processo civile. Sistema e problematiche vol.3. I procedimenti speciali e l'arbitrato, 2° ed., Torino 2009, 201 ss.), a condizione che, a quella data, il vizio sia conosciuto o conoscibile, pena, altrimenti, una inaccettabile compressione dei diritti di difesa della parte che, al limite, dovrebbe poter essere in grado di sollevare quei vizi, incolpevolmente non conosciuti prima, anche per la prima volta in sede di impugnazione del lodo.
78 Nel senso che il comportamento concludente di entrambe le parti (ravvisabile, rispettivamente, nell’instaurazione del giudizio arbitrale ad opera dell’attore e nella mancata proposizione dell’eccezione di carenza di potestas iudicandi da parte del convenuto) produce effetti pure sul piano sostanziale, integrando una tacita
Per il solo fatto della mancata contestazione di un patto arbitrale in sede arbitrale, dunque, il giudice statale non sarebbe in alcun modo obbligato a rigettare come inammissibile o improponibile una domanda su un oggetto rientrante nell’ambito di applicazione di quel patto, né dovrebbe spogliarsi di una causa nel frattempo istruita per sopravvenuta carenza della propria potestas iudicandi, conseguente all’inutile decorso, in sede arbitrale, del
manifestazione di volontà compromissoria, idonea – a seconda dei casi – a convalidare, ex art. 1423 c.c., l’accordo arbitrale nullo, ovvero a surrogare la forma scritta prevista per la conclusione della convenzione d’arbitrato ancora mancante o per le domande eccedenti i limiti dell’originario patto arbitrale, v., E. D’XXXXXXXXXX, Sui rapporti tra la sentenza Xxxxxxx Xxxxx, cit., 679 ss., spec. 690 ss. e A. MOTTO, In tema di clausola compromissoria, cit., 93 ss., spec. 102, per il quale, ove si ricostruisse il fenomeno alla stregua di un meccanismo di preclusione, il comportamento omissivo finirebbe per gra- vare anche sulla parte non costituita apud arbitros. L’autore da ultimo citato, sebbene in relazione ad una fattispecie soggetta al regime normativo ante-riforma del 2006, ritiene che la proposizione dell’eccezione di esorbitanza delle conclusioni delle parti, dopo aver esplicato attività difensiva nel merito, avrebbe efficacia equipollente alla mancata proposizione dell’eccezione medesima, in quanto sollevata quando la parte era decaduta dal potere di farla valere: essa, pertanto, non varrebbe ad impedire la decisione degli arbitri sulla domanda proposta ai sensi degli artt. 817 e 829, comma 1, n. 4 c.p.c.
Va ricordato che la tesi dell’efficacia, sul piano sostanziale, della condotta omissiva della parte era particolarmente in voga al tempo dell’orientamento negozialista inaugurato dalle S.U. nel 2000. Secondo Xxxx. 21 settembre 2004, n. 18917, gli atti compiuti ed i poteri esercitati da una parte nell’ambito di un procedimento arbitrale, rispetto ad una domanda esorbitante rispetto ai limiti oggettivi della convenzione di arbitrato, non rilevavano in termini di attività di natura processuale (idonea, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 817 e 829 comma 1, n. 4 c.p.c., a determinare o ad impedire l’estensione della cognizione arbitrale), quanto piuttosto sul piano dell’attività di interpretazione dell’ambito oggettivo della convenzione di arbitrato, quale comportamento rilevante ai sensi dell’art. 1362, comma 2 c.c. (utile, dunque, per la determinazione della loro comune volontà circa il contenuto stesso). Per una critica all’implicazione che la Corte trae dall’assunto della natura negoziale del fenomeno arbitrale, che non sarebbe logicamente necessaria, v. A. MOTTO, In tema di clausola compromissoria, cit., 93 ss.
Ad ogni modo, non tutti i fautori della tesi dell’efficacia, sul piano sostanziale, della condotta omissiva della parte attribuiscono a detta efficacia risvolti “esterni”, sì da consentire alle parti, in caso di estinzione del giudizio o sua chiusura in rito, di instaurare un nuovo processo arbitrale sulla base di quel “nuovo” patto (convalidato o concluso (tacitamente) ex novo), cui sarebbero vincolate. A favore di un’efficacia “esterna” - che a chi scrive pare inevitabile una volta adottata la prospettiva”sostanzialista” (così, anche, X. XXXXXXX, La controversia sulla convenzione di arbitrato, cit., 116) - v. E. D’XXXXXXXXXX, Sui rapporti tra la sentenza Xxxxxxx Xxxxx, cit., 693; X. XXXXXXX, Sub art. 817, in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 290; X. XXXX, Impugnazione per nullità del lodo rituale, cit., 536. Contra
E. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., 78; G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 5a ed., Torino, 2015, 186; X. XXXXXXX, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012, 478 ss. e 548 ss.
termine entro cui contestare la competenza degli arbitri.
Per cominciare, è il testo stesso delle disposizioni di cui alla seconda parte del comma 2 e al comma 3 dell’art. 817 c.p.c. a espressamente ricollegare alla mancata o intempestiva proposizione dell’eccezione unicamente l’impossibilità, per la parte, di impugnare il lodo arbitrale per il motivo oggetto dell’eccezione. Va osservato che il comma 2 dell’art. 817
c.p.c. 79, norma analoga a quella di molte legislazioni arbitrali straniere, estende al caso dell’inesistenza, invalidità ed inefficacia del patto arbitrale una regola preclusiva bensì già codificata in passato, ma solo con riferimento al caso dell’inosservanza dei limiti dell’accordo compromissorio 80, rispetto al quale, peraltro, la formulazione dell’eccezione era consentita, sempre solo su istanza di parte , durante tutto il corso del giudizio arbitrale e altresì, per la prima volta, in sede di impugnazione per nullità del lodo 81. La natura di eccezione in senso stretto della contestazione di esorbitanza ha come conseguenza non solo il fatto che la parte interessata, che abbia omesso di sollevare tale eccezione, non possa, per quel motivo, impugnare il lodo, ma anche, secondo alcuni 82, l’emersione di un obbligo degli arbitri di pronunciare su tali conclusioni, non potendo essi rilevarne d’ufficio l’esorbitanza. Una loro pronuncia, che rifiutasse di prendere posizione su quelle conclusioni, sarebbe censurabile dinanzi al giudice ordinario mediante l’impugnazione per nullità – in quanto appunto frutto di un inammissibile rilievo d’ufficio della loro esorbitanza –, verosimilmente in base ad un’interpretazione estensiva del motivo di cui all’art. 829, comma 1,
n. 12 (“(…) se il lodo non ha pronunciato su alcuna delle domande ed
79 L’art. 817 c.p.c. non contiene una prescrizione analoga a quella che, nel processo ordinario, impone alla parte che formuli l’eccezione d’incompetenza di indicare il giudice che essa ritiene competente: x. Xxxx. 20 luglio 2022, n. 22764.
80 X. Xxxx. 00 gennaio 1999, n. 565; Cass. 7 agosto 1993, n. 8563.
81 V., in tal senso, Cass. 26 gennaio 2001, n. 1086, in Giust. civ. 2001, I, 2422; Cass. 25 agosto 1998, n. 8410, in Riv. arb. 455, nt. M.C. XXXXXXXXX, Il difetto di potestas iudicandi degli arbitri rituali.
82 Così E. ZUCCONI XXXXX XXXXXXX, Sub art. 829 c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del Codice di procedura civile. Artt. 806-840, 2a ed., Bologna, 2007, 727. Diversamente, infatti, si consentirebbe agli arbitri di rilevare officiosamente un vizio, che la legge rimette invece alle parti. Così opinando, si dovrebbe quindi ritenere che, ove gli arbitri si astengano dal pronunciare sulla domanda esorbitante, pur in assenza di eccezioni da parte dei litiganti, la loro statuizione potrà essere impugnata per omessa pronuncia. V. D. BORGHESI, La domanda di arbitrato, in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del Codice di procedura civile. Artt. 806-840, 2a ed., Bologna, 2007, 330, che però ipotizza il decorso di un nuovo termine per il deposito del lodo dal momento dell’accettazione della domanda nuova.
eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato”) 83. Tuttavia, sembra più corretto ritenere che, laddove la domanda sia proposta in corso di causa (ossia dopo che gli arbitri abbiano formalizzato l’accettazione dell’incarico, eventualmente concordando anche un compenso con le parti, oppure quando essi non possano più usufruire dell’intero termine previsto dall’art. 820 c.p.c.), sia comunque necessario conseguire il consenso del giudice privato, il quale ovviamente potrà essere manifestato anche per fatti concludenti 84.
Ciò detto, il ravvisare in una condotta delle parti una determinata conseguenza giuridica, nella specie la rinuncia al diritto a rivolgersi al giudice statale come conseguenza della mancata contestazione della convenzione arbitrale, è, prima di tutto, una quaestio voluntatis 85. In assenza di elementi certi, oggettivi, concludenti ed inequivocabili, non sempre il comportamento omissivo delle parti in arbitrato può essere letto nel senso di denunciare una chiara ed univoca volontà di rinunciare al giudice statale per investire l’arbitro della cognizione di tutte le controversie sorgenti da un determinato contratto; ciò anche alla luce, tra l’altro, della regola generale per cui, in mancanza di espressa previsione normativa, le rinunce non si possono presumere 86. Opinando diversamente, sarebbe necessario verificare di volta in volta la sussistenza, in capo alla parte, della volontà di sanare i vizi del patto compromissorio o di ampliarne i confini 87. D’altra parte, non sarebbe corretto trattare indistintamente, sotto il profilo degli effetti “estintivi”, due circostanze non poco divergenti tra loro quali, da un lato, la mancata proposizione tout court dell’eccezione e, dall’altro, la sua proposizione solo tardiva (al di fuori cioè dei limiti preclusivi contemplati
83 Così A. XXXXXXXXX, in X. XXXXXXXXXX, G. VERDE (a cura di), Codice di procedura civile commentato, IV, Torino, 1997, 862.
84 X. XXXXXXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., cit., 602; X. XXXXXXX, Sub art. 817, in X.
XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 293.
85 Così X. XXXXXXXXXXXX, Dell’arbitrato, cit., 219; Cass. 8 agosto 1951, n. 2462, in
Giur. it. 1952, I, 1, 348.
86 Merita di essere menzionata, in proposito, l’interessante decisione di Xxxx. arb, Arbitrato C. C. I., n. 7407/HV, reso a Parigi il 28 settembre 1993, in Riv. arb. 1994,789, nt. A. XXXXXXXX, Autonomia della clausola compromissoria e rinuncia all’arbitrato, ove si statuiva che, alla stregua del diritto italiano (che governava il contratto), il comportamento della parte attrice, che aveva omesso di proporre eccezione di arbitrato in sede giudiziale, non potesse interpretarsi come rinuncia implicita alla facoltà di avvalersi della clausola arbitrale, proprio perché – si statuiva nel lodo - per l’ordinamento italiano la rinuncia ad un diritto deve risultare da un comportamento inequivoco e, in caso di dubbio, deve essere esclusa.
87 Il che sarebbe foriero di non pochi problemi ogni qual volta la stipula del patto compromissorio sia soggetta a particolari oneri autorizzativi, come nel caso in cui una delle parti sia la pubblica amministrazione.
dall’art. 817 c.p.c.). Sarebbe invero difficile sostenere, in quest’ultimo caso, che vi sia stata la volontà della parte onerata della proposizione dell’eccezione di rinunciare ad invocare il vizio inficiante la convenzione arbitrale, dato che la sua condotta, pur se implementata in modo negligente e tale da impedire il conseguimento dello scopo perseguito (ottenere il rigetto in rito del giudizio), dimostra esattamente l’opposto 88.
Un ulteriore ostacolo all’accoglimento della tesi degli effetti “sostanziali” ci pare ravvisabile nei principi generali in materia contrattuale, in particolare in quello secondo cui il negozio revocatorio di un precedente atto giuridico (il c.d. contrarius consensus) dovrebbe, in linea di principio, assumere la medesima forma del negozio da revocare. Sebbene, infatti, manchi, nell’ordinamento, una norma che espressamente imponga, per il contrarius consensus, la stessa forma del negozio revocando (con la conseguente elaborazione di posizioni dottrinali anche conflittuali, tanto in un senso quanto nell’altro 89), la giurisprudenza si è sempre mostrata granitica nell’affermare che: “(…) la forma scritta per la risoluzione convenzionale di un contratto è necessaria quando identica forma sia prescritta ad substantiam per la stipulazione del contratto stesso” 90, ammettendo, di conseguenza, la risolubilità di un contratto per facta concludentia solo laddove, per questo, non fosse prescritta la forma scritta a pena di nullità 91. Ora,
88 V. G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., 219. Nell’ipotesi di proposizione tardiva, secondo l’autore si poteva asserire: “(...) non già che le parti hanno rinunciato alla competenza arbitrale, bensì che le parti tornano ad essere soggette alla competenza del giudice ordinario”.
89 Tra i sostenitori della tesi secondo cui le pattuizioni con cui vengono risolti contratti formali sarebbero soggette all’onere della forma scritta, a pena di nullità, e che quindi, a maggior ragione, non sia ipotizzabile una loro risoluzione tacita per facta concludentia, v. X. XXXXXXXXX, X. XXXXXX et al. (a cura di), Giurisprudenza del contratto, casi e materiali, Milano, 1998, 299; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, Milano, 1988; in precedenza E. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Torino 1952, 251, secondo cui la revoca sarebbe governata dal principio: “(…) della identità o corrispondenza del contrarius actus, per cui lo scioglimento o il mutamento del vincolo che sia stato prima disposto, deve seguire nelle medesime forme e con l’osservanza dei medesimi requisiti cui era legato il negozio da revocare”.
90 Così Cass. 7 marzo 1992, n. 2772; Cass. 15 maggio 1998, n. 4906: “Nel caso di contratto di trasferimento della proprietà immobiliare, per la cui validità la legge richiede la forma scritta ad substantiam, anche lo scioglimento per mutuo consenso deve risultare da atto scritto”; Xxxx. 27 novembre 1997, n. 11939.
91 X. Xxxx. 00 settembre 1992, n. 10354, per la quale: “(...) la risoluzione per mutuo consenso di un contratto per il quale non sia richiesta la forma scritta ad substantiam (…) può risultare anche da un comportamento tacito concludente”; Xxxx. 24 giugno 1997, n. 5639, in Giur. it., 1998, 425; Cass. 11 novembre 1986, n. 6586, in Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 11, secondo cui: “(…) il mutuo consenso allo scioglimento del contratto di locazione infranovennale, come di qualunque altro negozio per il quale non sia richiesta la forma scritta
l’attuale testo dell’art. 807, comma 1 c.p.c., al pari della versione precedente della medesima norma, prescrive che il compromesso debba, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l’oggetto della controversia. Nello specificare cosa debba intendersi per forma scritta, il comma successivo della norma non fa alcun riferimento – al contrario di quanto accade in altri ordinamenti, ad esempio in quello tedesco – alla fattispecie di stipula o conclusione dell’accordo per facta concludentia, limitandosi a disporre che la forma scritta si intende rispettata anche quando la volontà delle parti sia espressa secondo una serie di modalità ivi espressamente elencate (“(…) per telegrafo o telescrivente telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi”).
Parimenti, l’art. 808, comma 1 c.p.c., in tema di clausola compromissoria,
statuisce che le parti: “(…) nel contratto che stipulano o in un atto separato”, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri e, quanto alla forma, che la clausola compromissoria debba risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso ai sensi dell’art. 807 (che, appunto, non contempla la possibilità che una mera condotta delle parti sia idonea ad integrare, tacitamente o implicitamente, i requisiti per la formazione di un compromesso o di una clausola compromissoria validi). La forma scritta richiesta dagli artt. 807 e 808 c.p.c., d’altra parte, non è elemento meramente “estrinseco”, nella misura in cui si attaglia a manifestazioni di volontà aventi un contenuto specifico e ben determinato (nel caso del compromesso, essa deve consentire di determinare l’oggetto della controversia; nel caso della clausola compromissoria, deve stabilire che le controversie nascenti dal contratto in cui essa è inclusa siano decise da arbitri). È improbabile che i requisiti di forma scritta richiesti per il venire in essere di un valido patto arbitrale possano dirsi integrati da una fattispecie a formazione progressiva, ossia – a fronte di una domanda di arbitrato proposta da una parte in assenza di un valido patto arbitrale – dalla condotta dell’altra parte che proceda in ogni caso a nominare il proprio arbitro (senza formulare eccezioni in ordine all’esistenza e validità del patto arbitrale) e, successivamente, a partecipare allo scambio delle memorie processuali. Invero, risalire, univocamente e senza ambiguità, dalla condotta delle parti e dal contenuto degli atti scritti e delle memorie depositate e scambiate nel corso del giudizio al preciso ambito oggettivo e soggettivo di efficacia di un accordo arbitrale non scritto appare operazione tutt’altro che agevole,
a pena di nullità, può risultare anche da una manifestazione tacita di volontà, cioè da fatti univoci che attestino la concorde volontà delle parti di non dare ulteriore corso al contratto stesso e di liberarsi dalle rispettive obbligazioni”.
inevitabilmente foriera di conflitti fra divergenti interpretazioni tra le parti contendenti.
Potrebbero poi sorgere problemi nella fase dell’eventuale riconoscimento del lodo all’estero ai sensi delle disposizioni della Convenzione di New York. In base ad essa, infatti, la parte, che intenda ottenere il riconoscimento del lodo all’estero, deve produrre, oltre al lodo originale o una sua copia autenticata, l’originale dell’accordo cui si riferisce l’art. II, comma 2 della Convenzione (ossia un accordo redatto in forma scritta, espressione con cui si intende: “(…) una clausola compromissoria inserita in un contratto, o un compromesso, firmati dalle parti oppure contenuti in uno scambio di lettere o di telegrammi”) o una sua copia autenticata, con, eventualmente, una sua traduzione per il caso in cui l’accordo non sia stato redatto in una lingua ufficiale del paese in cui si chiede il riconoscimento. Xxx l’ordinamento del riconoscimento non consenta alla parte vittoriosa in arbitrato di avvalersi – secondo quanto contemplato dall’art. VII, comma 1 della Convenzione – di altri e più favorevoli accordi multilaterali o bilaterali sul riconoscimento e l’esecuzione di sentenze arbitrali o di leggi o trattati più favorevoli ivi in vigore, in mancanza di un accordo redatto in forma scritta il giudice del riconoscimento si troverebbe in difficoltà nel valutare la sussistenza dei suddetti requisiti formali in base all’insieme di condotte e atti delle parti (memorie, istanze o repliche), che dovrebbero essere ricostruiti attraverso un attento e dispendioso scrutinio92.
Ancora, la risoluzione consensuale (come anche la stipula) di un patto
arbitrale è di norma atto della parte, come emerge dall’art. 84 c.p.c., di cui il legale non ha, in linea di principio, a meno che non gli sia stato espressamente conferito, il potere di disposizione93. Non è dunque verosimile
92 Vero è che la reazione del giudice richiesto del riconoscimento e dell’esecuzione di un lodo estero dipenderà dalla disciplina che riterrà di applicare per determinare l’esistenza, la validità e altresì l’ambito oggettivo della convenzione arbitrale. Xxx accedesse ad un’interpretazione estensiva dell’espressione “secondo la legge del paese dove la sentenza è stata emessa” (di cui all’art. V, 1 lett. a)), non potrà che riconoscere non solo la preclusione maturata ex art. 817 c.p.c. sull’esistenza, validità e ambito oggettivo della convenzione, ma altresì, ove contemplato dall’ordinamento di origine, la formazione o estensione tacite di detta convenzione: in tal senso v. A. XXXXXXXXX, L’arbitrato estero, Padova, 1999, spec. 207 ss.; X. XXXX, Il riconoscimento del lodo straniero tra Convenzione di New York e codice di procedura civile, in Riv. arb. 2006, 21 ss., spec. 47. Specularmente, in base a detta impostazione, il giudice italiano richiesto di rifiutare il riconoscimento di un lodo estero in ragione della sua esorbitanza rispetto al perimetro oggettivo della convenzione arbitrale, non potrà rigettare la richiesta facendo applicazione della sanatoria contemplata dall’art. 817, comma 3 c.p.c., ove sconosciuta all’ordinamento di origine.
93 X. XXXXXXX, Autonomia diretta delle parti vs discrezionalità, cit., 1362. Da tale
ricostruzione “solo processuale” della condotta omissiva riferibile ai difensori
che detto atto di parte possa essere sostituito dalla condotta omissiva del suo difensore, nell’ambito di un procedimento cui la prima non abbia personalmente preso parte 94.
Infine, l’accoglimento della tesi dell’efficacia, anche sul piano sostanziale, dell’omessa contestazione della potestas iudicandi dell’arbitro imporrebbe al giudice statale adito con una domanda avente lo stesso oggetto (o oggetto connesso) dedotta in arbitrato, un onere di cognizione aggiuntivo rispetto alla mera valutazione della esistenza e validità della convenzione arbitrale, consistente, appunto, nel monitorare la tipologia, il contenuto e gli effetti del comportamento processuale di una delle parti del giudizio nell’ambito di un altro e diverso giudizio (quello arbitrale). Di tutto ciò non v’è traccia alcuna nel diritto positivo 95.
discende l’efficacia solo endoprocessuale della validazione o estensione oggettiva della pattuizione arbitrale, limitata pertanto a quel giudizio arbitrale nel quale l’eccezione non è stata proposta.
94 Così X. XXXXXXX, Sub art. 817, in A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX, La
nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 134. L’efficacia di mera preclusione processuale, discendente dalla mancata proposizione dell’eccezione, implica che, per aversi convalida, per omessa eccezione, della incompetenza degli arbitri, si farà esclusivo riferimento alla condotta del difensore. Così già Cass. 14 febbraio 1979, n. 965, in AG. OO. PP., 1979, II, 50; Cass. 24 marzo 1962, n. 600. Nel senso che: “(…) sia la formulazione del quesito delle conclusioni esorbitanti dall’ambito del patto compromissorio, sia l’eccezione” possano provenire dai soli difensori v. X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova 2000, 541 ss.
L’adesione alla tesi opposta (delle ricadute, sul piano sostanziale, dell’omissione) implica che non si possa prescindere dalla verifica dell’effettiva sussistenza della volontà delle parti di pervenire ad una stipulazione di una pattuizione arbitrale per facta concludentia: così A. MOTTO, In tema di clausola compromissoria, cit., 99 ss. In relazione agli enti collettivi pubblici e privati la riconduzione della condotta omissiva delle parti in sede arbitrale ad una fattispecie meramente endo-processuale esonera dalla necessità di richiedere un’apposita delibera di approvazione degli organi competenti(X. XXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 290. V. anche Cass. 14 febbraio 1979, n. 965, in Arch. giur. OO. PP. 1979, II, 50).
95 Allargando un po’ lo sguardo, altre fattispecie processuali, in qualche modo accostabili – per struttura, contenuto o funzione – a quella di cui qui si discute, ricevono il medesimo trattamento processuale quando si tratti di valutare le conseguenze giuridiche di condotte omissive delle parti. Si pensi, ad esempio, alla mancata proposizione di un’eccezione di compensazione, all’omessa formulazione di una domanda riconvenzionale o alla mancata effettuazione di una chiamata in causa di un terzo, in relazione alle quali si è correttamente osservato che: “(…) la conseguenza è che in quel processo non avranno rilevanza, rispettivamente, il controdiritto di credito o il diritto connesso verso la controparte o verso il terzo; ma non certo che tali diritti si estinguano, sul piano del diritto sostanziale. Essi potranno essere fatti valere in un separato giudizio”. V, in proposito, X. XXXXXXX, Conseguenze della omissione dell’exceptio compromissi, in Riv. arb. 1994, 343, nt. Coll. arb. 30 novembre 1993. Ma si pensi anche
Se l’impostazione seguita è corretta, ne discende che, in caso di instaurazione di un nuovo processo arbitrale fondato sulla medesima convenzione arbitrale, rispetto alla quale si sarebbe in precedenza verificata la mancata contestazione, pur se su un oggetto diverso 96, l’estensione oggettiva di quella convenzione non potrà che rimanere quella originaria, non rientrandovi quelle domande, eccezioni e/o questioni relativamente alle quali non sia stata tempestivamente sollevata, nel corso del precedente procedimento arbitrale, contestazione circa la loro riconducibilità all’ambito applicativo della convenzione. Parimenti, se il giudizio arbitrale, per qualsivoglia ragione, non dovesse giungere alla decisione sul merito, in un eventuale successivo giudizio statale sulla stessa lite un’exceptio compromissi potrebbe senz’altro essere paralizzata contro-eccependo l’esorbitanza delle domande o questioni dedotte nel giudizio statale dai limiti del patto originariamente stipulato, dato che la mancata tempestiva proposizione di quella medesima contestazione nel corso del precedente giudizio arbitrale non avrebbe in alcun modo permanentemente inciso sul perimetro oggettivo o soggettivo del patto compromissorio originario97; continuerebbero
al caso di mancata o intempestiva proposizione dell’eccezione di carenza di giurisdizione, in relazione alla quale il prec. art. 37, comma 2, c.p.c. prevedeva che il giudice italiano potesse bensì decidere nel merito la controversia, senza tuttavia che ciò sottraesse al giudice straniero, che riteneva di esserne fornito, la giurisdizione a decidere della stessa (V. Coll. arb. 30 novembre 1993).
96 Si pensi, del resto, a tutti i casi in cui il lodo venga annullato per un motivo che in realtà lascia indenne il patto compromissorio: incapacità degli arbitri, vizi relativi alla nomina degli stessi, mancato rispetto del termine perentorio previsto per la nomina del lodo e così via. In tali casi, la convenzione arbitrale sulla cui base si è svolto il giudizio arbitrale e che mantiene la propria validità ed efficacia, continua a non comprendere l’oggetto a cui si riferiva la domanda esorbitante dai limiti del compromesso, avverso la quale la parte interessata non aveva sollevato alcuna eccezione (così, già prima della riforma, E. XXXXXXXXX, Osservanza dovuta al patto compromissorio: quando il suo vincolo perdura dopo la dichiarazione di nullità del lodo, in Riv. arb. 1992, 272 ss.; X. XXXXXXX, Conseguenze della omissione dell’exceptio compromissi, cit., 346).
97 Per una conclusione simile, nell’ambito di un’analisi dei limiti in cui l’ordinamento consente all’autonomia privata di intervenire con efficacia dispositiva della nullità, senza nel contempo contraddire alla regola codicistica dell’insanabilità, tramite convalida, del contratto nullo, v. X. XXXXXXXXXX, Autonomia privata e limiti alla disponibilità della nullità contrattuale, in Contratto e Impresa, 2018, 3, 1029 ss., per il quale è difficile sostenere che un comportamento processuale, quale il mancato esercizio di una mera difesa quale quella relativa alla quaestio nullitatis della clausola, possa interpretarsi quale espressione di un intento validativo di essa; sicchè tanto la dichiarazione resa in sede processuale da un consumatore di non intendere avvalersi della nullità della clausola vessatoria, quanto il comportamento processuale del consumatore incompatibile con la volontà di questi all’impugnativa della clausola, costituirebbero vicende che restano circoscritte all’ambito processuale in cui rispettivamente la dichiarazione sia resa o il comportamento sia tenuto, senza alcuna
pertanto ad esulare, da detta exceptio, domande e questioni, ulteriori rispetto a quelle coperte dalla formulazione originaria del patto arbitrale, corrispondenti alle conclusioni esorbitanti presentate in sede arbitrale, ma non contestate 98.
La tesi qui sostenuta, del resto, non dovrebbe stupire, se si pensa che la giurisprudenza maggioritaria e gran parte della dottrina sono sempre state restie ad ammettere una qualsivoglia efficacia “esterna” della pronuncia dell’arbitro (ma anche del giudice statale) affermativa o declinatoria della propria potestas iudicandi, alla luce dell’asserita incomprimibilità del principio Kompetenz Kompetenz e, più di recente, di un’espressa disposizione introdotta dalla riforma - il comma 2 dell’art. 819 ter c.p.c. – (pur se successivamente mitigata dall’intervento della Corte costituzionale del 2013), secondo cui nei rapporti tra arbitrato e processo non si applicano regole corrispondenti agli artt. 44, 45, 48, 50 e 295. Apparirebbe anomalo, in altri termini, attribuire efficacia esterna ad una mera condotta processuale di una parte (spesso posta in essere inconsapevolmente o senza intenzione di produrne i relativi effetti, e dunque in assenza di un’univoca manifestazione di volontà chiaramente espressa), concretantesi nell’obbligo di un giudice statale - chiamato successivamente a confrontarsi con la questione della esistenza e validità di un patto arbitrale (tacitamente costituito o validato in conseguenza dell’omessa contestazione in sede arbitrale) - di tenere ferma, senza possibilità di discussione, la sussistenza della potestas iudicandi
xxxxxxx dispositiva del diritto o di sanatoria, in senso sostanziale, della nullità della clausola. Diritto e clausola che rimarrebbero dunque azionabili o invocabili in un diverso procedimento (medesime conclusioni dovrebbero attagliarsi all’ipotesi in cui il consumatore radichi la controversia in conformità a una clausola abusiva che, in tesi, gli è sfavorevole). Secondo questa impostazione, argomentare diversamente (in termini, cioè, di effetti sul piano sostanziale delle condotte omissive delle parti nel processo) assurgerebbe a procedimento ermeneutico privo di riscontro nel dato normativo, anzi confliggente con i principi che informano l’ordinamento processuale vigente. Nello stesso senso v. ID., La rilevabilità d’ufficio condizionata della nullità di protezione: il nuovo “atto” della Xxxxx xx Xxxxxxxxx; X. xxxxx. Xx, 00 dicembre 2009, C- 227/08, in Contratti 2009, 12, 1115 ss. e 1123, nt. 14; X. XXXXXXXXXXX, La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, Napoli, 2009, 70; A. LA SPINA, Destrutturazione della nullità e inefficacia adeguata, Milano, 2012, 350; contra X. XXXXXXXXXXX, La nullità di protezione tra rilevabilità d’ufficio e convalida, in X. XXXXXXXXXXX (a cura di), Le forme della nullità, Torino 2009, 28 ss.; X. XXXXXXX, La sanabilità delle nullità contrattuali, Napoli, 2015, 131 e ss. V. anche X. XXXXXXXXXX, Note critiche in tema di sanabilità e rinunziabilità delle nullità di protezione, in Persona e Mercato 2012, 1, 28 che, in relazione al tema del rapporto tra insanabilità dell’atto ed indisponibilità successiva dell’azione, sottolinea che: “(…) altro è la suscettibilità o meno di sanatoria, altro (...) la disponibilità negoziale, per il soggetto legittimato ad esperirla, dell’azione di nullità”.
98 Così anche X. XXXX, La giustizia privata, 2a ed., Padova 2013, 43.
arbitrale, quando una tale efficacia “esterna” è sempre stata negata ad un provvedimento decisorio emesso da un organo (privato, nell’un caso e pubblico, nell’altro) dotato di funzioni aggiudicatorie e contenente un accertamento reso in applicazione delle rilevanti norme di legge e nel contraddittorio tra le parti.
4. – Per il tema che ci occupa, anche altre norme modificate dalla riforma del 2006 rivestono importanza sistematica, consentendo una più adeguata sistematizzazione delle molte interferenze che possono verificarsi tra arbitrato e giurisdizione statale in corrispondenza dei diversi stadi e dei diversi snodi delle rispettive procedure. Il riferimento è, in particolare, agli artt. 819 (rubricato “Questioni incidentali”) e 829 c.p.c. (rubricato “Casi di nullità”).
L’art. 819 c.p.c., che disciplina il potere di cognizione e decisione dell’arbitro sulle questioni incidentali (in particolare sulle questioni pregiudiziali di merito) insorte durante un procedimento arbitrale, ha stravolto il sistema previgente, che si fondava su uno sbilanciamento dei poteri di cognizione, rispettivamente, dell’arbitro e del giudice xxxxxxx00, di fatto equiparandoli 100. Per autorevole dottrina, infatti, la norma rappresenterebbe: “(…) uno degli elementi portanti della chiave di lettura delle norme” introdotte dalla riforma, nel senso della piena equiparazione della giurisdizione privata a quella statuale 101. A seguito della riforma, è oggi
99 Il precedente sistema si fondava, infatti, su un evidente sbilanciamento dei
poteri, rispettivamente, del giudice statale e dell’arbitro (per la situazione pre-riforma
v. X. XXXXXX, La pregiudizialità nell’arbitrato rituale, cit., 32 ss.; P.L. NELA, Questioni pregiudiziali nel giudizio arbitrale (il nuovo art. 819 c.p.c.), in Riv. dir. proc., 1995, 171 ss.;
X. XXXXXXXXX, Questioni incidentali nel giudizio arbitrale e sospensione dei processi, in Riv. dir. proc., 2000, 1 ss.; E. XXXXX, Note in tema di arbitrato, connessione e sospensione per pregiudizialità, in Riv. dir. proc., 1997, 167 ss.). Al primo era riconosciuto il potere di estendere la propria cognizione a tutte le questioni pregiudiziali che costituissero passaggio logico necessario per pervenire alla decisione della causa nel merito, mentre al secondo era consentito conoscere, in via incidentale, unicamente delle questioni pregiudiziali aventi ad oggetto rapporti astrattamente compromettibili (anche se, di fatto, non compromessi 99). Ogniqualvolta sorgesse, nel corso del giudizio arbitrale, una questione incidentale relativa bensì a materia non compromettibile, ma rilevante per la decisione della causa nel merito, che si riteneva l’arbitro non potesse non solo decidere con cognizione piena (e, dunque, con efficacia di giudicato), ma nemmeno conoscere incidentalmente, non rimaneva che l’opzione della sospensione del giudizio.
100 Secondo G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 5a ed. [Appendice di X. XXXXX], Xxxxxx, 0000, 129, la nuova disciplina esalterebbe l’autosufficienza e l’impermeabilità del singolo arbitrato.
101 Così X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 819 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Commentario del codice di procedura civile. Libro quarto: Procedimenti speciali art. 806-840, Bologna, 2014, 641.
consentito anche agli arbitri (analogamente a quanto già disposto dagli artt. 35 e 36 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 per l’arbitrato societario nascente da clausola statutaria 102) di conoscere, in via incidentale, di tutte le questioni rilevanti per la decisione della controversia, anche di quelle vertenti su materie non compromettibili, con l’unico limite rappresentato dalla necessità che queste ultime debbano essere decise, per legge, con efficacia di giudicato 103. In quest’ultimo caso, è il successivo art. 819 bis, comma 1, n. 2, c.p.c. a prevedere espressamente che gli arbitri debbano sospendere il procedimento, indipendentemente dal fatto che la controversia relativa al rapporto pregiudiziale non compromettibile penda o meno in sede giudiziale. Al di fuori di questa ipotesi, l’arbitrato può oggi svolgersi senza la “minaccia” di arresti o sospensioni conseguenti all’insorgenza (spontanea o artatamente provocata da una parte animata da intenti dilatori) di questioni che, senza gli espedienti normativi congegnati dal legislatore, finirebbero verosimilmente per essere attratte nell’alveo della competenza del giudice statale104. La cognizione di questioni incidentali relative a controversie su
102 Su cui v. la Relazione al progetto di legge 7123/XIII legislatura; A. XXXXXXX, Le questioni pregiudiziali di nullità nell’arbitrato rituale: dall’art. 819 cod. proc. civ. all’arbitrato societario (art. 35, 3° comma d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), in xxx.xxxxxxxx.xx, in particolare al par. 11; X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 819 c.p.c., cit., 648 ss.
103 La ratio della norma è da ravvisare in ciò, che spetta alle parti delimitare i limiti oggettivi di ciò che dovrà essere coperto da giudicato, pena, in caso contrario, la violazione del principio della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. V., in proposito, G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 5a ed. [Appendice di X. XXXXX], Xxxxxx 0000, 128 ss. Per un’analisi della nuova disposizione
v. X. XXXX, Xxxxxxx sui lavori in corso in materia di arbitrato, in xxx.xxxxxxxx.xx, par. 4;
P.L. NELA, Sub art. 819 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, Bologna 2007, 1785 ss. Critico sulla conoscibilità, da parte degli arbitri, di questioni pregiudiziali non compromettibili è D. XXXXXXX, Osservazioni in tema di pregiudizialità, cit., 475 ss. Sul fatto che l’art. 819 c.p.c. consenta all’arbitro di conoscere di tutte le questioni pregiudiziali con una “decisione” finalizzata unicamente alla pronuncia sul merito, ma inidonea ad essere fatta valere in un altro processo, x. Xxxx. 0 gennaio 2008, n. 178.
104 La sostanziale equiparazione così raggiunta tra i poteri di cognizione dell’arbitro e del giudice è ulteriormente puntellata dal fatto che, alla luce della tendenziale indifferenza del giudizio arbitrale alla pendenza di un giudizio statale sulla medesima causa o su causa connessa (oggi sancita dal combinato disposto degli artt. 817 e 819 ter c.p.c.), nel caso in cui la questione pregiudiziale compromettibile (rientrante o meno nel patto arbitrale) o non compromettibile (purché non debba essere decisa ex lege con efficacia di giudicato), oltre che insorta in sede arbitrale, sorga contestualmente dinanzi ad un giudice ordinario, o venga ivi proposta come domanda autonoma, si avranno due procedimenti distinti e reciprocamente indipendenti, non operando né la litispendenza, né la continenza, né la sospensione ex art. 819 bis
c.p.c. (dato che si sta parlando di dispute compromettibili), né, infine, l’istituto della
sospensione per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c., la cui applicabilità ai rapporti
diritti disponibili può riguardare sia questioni che rientrano sia questioni che non rientrano nell’ambito del patto arbitrale, perché, non imponendosi una decisione con efficacia di giudicato, ma solo una cognizione incidenter tantum, risultano entrambe soggette alla medesima disciplina dettata dall’art. 819 c.p.c. Le questioni pregiudiziali compromettibili possono peraltro trasformarsi in cause pregiudiziali (da decidere, quindi, con efficacia di giudicato) su domanda anche di una sola parte, purché rientrino nella convenzione arbitrale 105. In caso contrario, la decisione con efficacia di giudicato è subordinata alla richiesta di tutte le parti (integrando, tale ipotesi, un ampliamento dell’ambito originario del patto arbitrale).
Il coordinamento tra questa norma e le previsioni di cui al comma 3 dell’art. 817 c.p.c. (che impone alla parte, che intenda eccepire che le conclusioni delle altre parti esorbitano dai limiti della convenzione arbitrale, l’onere di farlo nel corso dell’arbitrato, pena l’impossibilità di impugnare successivamente, per questo motivo, il lodo arbitrale) non è affatto scontato, in quanto, a fronte di una richiesta di pronuncia su una questione pregiudiziale non contemplata dall’accordo compromissorio, la controparte potrebbe reagire in due modi distinti: limitarsi a non eccepire l’incompetenza degli arbitri o aderire esplicitamente all’istanza106. Secondo una prima ricostruzione, nel primo caso (ove cioè una parte proponga domanda di accertamento in- cidentale su questione bensì compromettibile, ma estranea all’accordo compromissorio e l’altra parte non eccepisca l’esorbitanza di questa dai limiti della convenzione arbitrale), gli arbitri dovrebbero limitarsi a conoscere della questione incidenter tantum, senza alcun effetto sulla convenzione arbitrale, mentre, nel secondo caso, gli arbitri deciderebbero con efficacia di
arbitro-giudice è espressamente esclusa dall’art. 819 ter, comma 2, c.p.c. V. S. MENCHINI, Sub art. 819 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 324.
105 Per quanto riguarda i limiti temporali della proposizione di una domanda di accertamento incidentale su questione compromettibile, rientrante nel patto arbitrale (da formalizzare con una semplice istanza contenente specifica indicazione del petitum e della causa petendi: v. X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 819 c.p.c., cit., 652), in linea di principio non dovrebbero sussistere preclusioni diverse da quelle insite nell’esigenza di rispettare il principio del contraddittorio, salvo che l’arbitrato sia retto da una speciale disciplina del procedimento ai sensi dell’art. 816 c.p.c. Su tali profili v. X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 819 c.p.c., cit., 652 ss.; X. XXXXXX, La pregiudizialità nel giudizio arbitrale, in X. XXXXXX XXXXXXXXXX (a cura di), Arbitrato, cit., 679.
106 X. Xxxx. 00 agosto 2022, n. 24689, per la quale l'adesione all'eccezione di incompetenza arbitrale proposta dalla controparte determina l'immediata e definitiva caducazione del potere di giudizio in capo agli arbitri, i quali, conseguentemente, non possono più statuire sulla propria competenza, neppure nel caso in cui, prima della loro pronuncia, l'eccezione suddetta sia stata rinunciata.
giudicato e si avrebbe un ampliamento dell’ambito di applicazione della convenzione, opponibile in ogni altro giudizio 107. Secondo una diversa ricostruzione, in entrambi i casi l’arbitro potrebbe decidere della questione compromettibile, ma esorbitante, con efficacia di giudicato108 : il requisito previsto dal comma 2 dell’art. 819 c.p.c. (necessità della “richiesta di tutte le parti”) risulterebbe in tal caso integrato dalla mancata eccezione della controparte, che assurgerebbe a consenso implicito a non contrastare l’amplia- mento oggettivo della sfera decisoria del giudizio 109. La rituale e tempestiva proposizione dell’eccezione di incompetenza obbligherebbe invece sempre gli arbitri a conoscere e decidere della questione solo in via incidentale 110. La domanda di accertamento incidentale non varrebbe invece mai a trasformare la questione in causa pregiudiziale ove si tratti di questione non compromettibile, che debba essere decisa, per legge, con efficacia di giudicato 111 (ipotesi, per la verità,
107 Così P.L. NELA, Sub art. 819 ter c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Le recenti riforme del processo civile, cit., 1798 ss.
108 X. XXXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. RADICATI DI
XXXXXXX, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale ed internazionale, Padova, 2010, 260. In questo senso, già prima della riforma, v. X. XXXXXX, La pregiudizialità nell’arbitrato rituale, cit., 305 ss.; contra X. XXXXXXXXX, Xxxxxxx e questioni nei giudizi arbitrali, cit., 630 ss.
109 In tal senso v. X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 819 c.p.c., cit., 654; X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, 2a ed., cit., 194, testo e nota 556; X. XXXXXX, La pregiudizialità nel giudizio arbitrale, in X. XXXXXX XXXXXXXXXX (a cura di), Arbitrato, cit., 683. Per una differenziazione tra le due fattispecie v. invece M. A. ZUMPANO, Sub art. 819, in A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX, Commentario alle riforme, cit., 861 ss.; X. XXXXXXXX, Sub art. 819 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 322, nt. 16. Per X. XXXXXXX, Sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 294, il meccanismo di cui all’art. 817 c.p.c. non sarebbe suscettibile di subire limitazioni, nel caso in cui la domanda esorbitante riguardi una questione pregiudiziale.
110 V. C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, I, 542; E. XXXXX, Note in tema di arbitrato, connessione e sospensione, cit., 168. Non è invece mai richiesto il consenso degli arbitri (pur essendo essi messi di fronte ad un allargamento dell’oggetto del processo, con conseguente ampliamento della loro prestazione contrattuale), che potranno eventualmente rinunciare al proprio mandato: v. V. M. BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, in X. XXXX, X. XXXXXXXXX, Il nuovo processo civile, Milano, 2006, 82.
111 Le differenze che residuano tra giudizio arbitrale e giudizio statale in tema di questioni pregiudiziali risiedono dunque nel fatto che, da un lato, al contrario dell’arbitro, il giudice statale può conoscere direttamente anche delle questioni pregiudiziali che devono essere decise con efficacia di giudicato; dall’altro, che, quando la decisione di quelle questioni con efficacia piena travalichi la sua competenza, la questione potrà comunque essere decisa dall’autorità giudiziaria ma, in virtù del meccanismo di attrazione della causa di cui all’art. 34 c.p.c., non dal giudice xxxxx, bensì dal giudice superiore.
molto poco frequente).
Secondo chi scrive è tuttavia alquanto opinabile ravvisare - ai fini della decisione con efficacia di giudicato - nell’inerzia di una parte (l’omessa contestazione dell’esorbitanza) a seguito della richiesta di una sola parte (tra l’altro nemmeno formulata in maniera espressa, ma indirettamente desumibile dalla deduzione di domande e questioni esorbitanti) quella “(…) richiesta di tutte le parti” di cui al comma 2 dell’art. 819 c.p.c., anche perchè giammai la condotta omissiva della parte può condurre alla tacita estensione dell’ambito di applicazione della convenzione originaria.
L’impianto normativo risulta peraltro lacunoso (seppur senza apprezzabili conseguenze, trattandosi di casi molto poco frequenti), là dove non considera l’ipotesi di questione pregiudiziale compromettibile, ma, di fatto, non compromessa 112, che debba essere decisa per legge con efficacia di giudicato. Stando al tenore letterale delle disposizioni vigenti, sembrerebbe non esservi rimedio alla situazione di stallo che verrebbe a crearsi, non essendo gli arbitri nella condizione di definire la controversia sul diritto dipendente. Gli arbitri non potrebbero infatti decidere la questione con efficacia di giudicato, stante l’estraneità originaria della questione alla convenzione arbitrale e la sua mancata deduzione nel corso del giudizio ad iniziativa delle parti; né essi potrebbero limitarsi a risolverla in via incidentale, trattandosi di questione che costituisce oggetto di accertamento incidentale ex lege. In una situazione analoga, la sospensione del giudizio in attesa della definizione della causa pregiudiziale (cui procederebbe senz’altro il giudice statale) appare preclusa all’arbitro, perché, da un lato, non si rientra in alcuna delle tassative ipotesi di sospensione previste dall’art. 819 bis c.p.c. 113 e, dall’altro, il comma 2 dell’art. 819 ter c.p.c. esclude espressamente l’applicabilità, nei rapporti tra arbitrato e processo statale, dell’art. 295 c.p.c. 114.
112 Neppure successivamente alla stipulazione dell’accordo originario, per espressa richiesta delle parti o, implicitamente, in virtù della mancata eccezione della parte, nel corso dell’arbitrato, circa l’esorbitanza della questione, a fronte dell’istanza unilaterale presentata dalla controparte.
113 Che contempla, appunto, solo le questioni che debbono bensì essere decise con efficacia di giudicato, ma limitatamente ai casi in cui esse vertano su materia non compromettibile. V. V. XXXXXXXXXXXX, Sui rapporti tra arbitri ed autorità giudiziaria: brevi considerazioni sulla potestas iudicandi degli arbitri e l'art. 819 ter c.p.c., nt. a Collegio arbitrale Roma, 19 gennaio 2018, in Riv. arb. 2018, 2, 267 ss., che esclude l’applicabilità, ai rapporti arbitro-giudice, dell’art. 295 c.p.c. da parte del secondo giudice in attesa che quello adito per primo si esprima sulla propria competenza, attesa la mancata previsione di tale fattispecie fra quelle tassativamente previste dall'art. 819 bis c.p.c. in tema di sospensione del procedimento arbitrale.
114 Osserva infatti X. XXXXXXXX, Sub art. 819 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 320, che: “(…) se vi è disaccordo, in quanto anche
Onde aggirare tale impasse procedurale, e altresì al fine di evitare l’incoerenza di disciplina rispetto a fattispecie sostanzialmente simili 115, taluni autori ritengono doversi fare qui applicazione, in via analogica, della norma di cui all’art. 819 bis, comma 1, n. 2, c.p.c., integrandola come se prevedesse, oltre all’ipotesi ivi espressamente codificata, anche quella qui prospettata. Ciò anche in considerazione del fatto che la sottrazione, agli arbitri, del potere di cognizione incidentale discenderebbe, nel caso in esame, non dalla natura compromettibile o meno del diritto oggetto della questione pregiudiziale, ma dalla necessità, per legge, del suo accertamento con efficacia piena 116. Tuttavia, la norma di cui all’art. 819 bis c.p.c. è inequivoca nel limitare l’ipotesi della sospensione ai casi da essa espressamente contemplati, ostando, in ragione del carattere tassativo di quelli, ad una sua estensione analogica. Va poi considerato che il rimedio della sospensione è sempre strumento gravoso, perché costringe le parti ad attendere non solo la decisione (giudiziale) sulla questione pregiudiziale, ma financo il suo passaggio in giudicato, vanificando di tal fatta i benefici tradizionalmente associati alla scelta delle parti per la via arbitrale. Per tale motivo è ragionevole ritenere che l’assenza di accordo tra le parti imponga una pronuncia di chiusura in rito del giudizio per improcedibilità della domanda, essendo gli arbitri stati privati, per volontà delle parti (pur se espressa in negativo e per facta concludentia), del potere di decidere della questione. Tale conclusione ci pare del resto maggiormente in linea con l’intenzione delle parti, sia con quella originaria (manifestata mediante la stipula della convenzione arbitrale e mirante a devolvere alla giustizia privata la risoluzione delle dispute delle parti nella loro interezza, escludendo qualsivoglia competenza o cognizione dell’autorità giudiziaria), sia con quella successiva, manifestata attraverso una condotta omissiva e non cooperativa, mirante a precludere, almeno allo stato, una qualsivoglia
solo una parte non accetta di deferire al giudice privato la controversia pregiudiziale, questo, non avendo il potere di decidere principaliter il diritto pregiudiziale, né di conoscerlo incidenter tantum, non è in condizione di pronunciare sulla domanda proposta”. V., per l’inapplicabilità, in arbitrato, dell’art. 295 c.p.c., nell'ipotesi di contemporanea pendenza della stessa causa davanti al giudice ordinario, Xxxx. 9 gennaio 2008, n. 178, in Foro it., 2009, I, 2501. Sull’inapplicabilità dell’art. 295 c.p.c. ai rapporti arbitro-giudice v. anche, con motivazione particolare, Xxxx. 6 ottobre 2020,
n. 21497, in Guida al diritto 2020, 48, 68, per la quale la natura privata dell'arbitrato impedirebbe la possibilità per il giudice di sospendere la causa in attesa della definizione di una lite pendente in sede arbitrale.
115 X. XXXXXXXX, Sub art. 819 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina
dell’arbitrato, cit., 338.
116 X. XXXXXXXX, Sub art. 819 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina
dell’arbitrato, cit., 322; X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 819 c.p.c., cit., 603 ss.
decisione degli arbitri sul merito.
Anche le novità apportate dal legislatore del 2006 al rimedio dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, cui s’è già fatto qualche cenno in precedenza, concorrono a delineare il quadro complessivo della disciplina degli effetti delle condotte omissive delle parti in sede arbitrale. La ratio che sottende il riordino della disciplina dell’impugnazione del lodo è quella di accrescerne la stabilità, limitandone il controllo da parte del giudice dello Stato117, in linea con il fine perseguito dal legislatore in relazione alla generalità delle disposizioni introdotte ex novo dalla riforma, ravvisabile nella volontà di puntellare il più possibile l’autonomia del giudizio arbitrale rispetto a interferenze, incursioni, revisioni o controlli dell’autorità giudiziaria statuale 118.
La nuova formulazione del motivo di cui al n. 1, comma 1, art. 829
c.p.c., che contempla l’impugnazione per nullità di un lodo arbitrale: “(…) se la convenzione d’arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell’articolo 817, terzo comma”, è in realtà solo apparentemente più ampia di quella precedente, che
117 X. XXXXXXXX, Sub art. 829 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina
dell’arbitrato, cit., 458.
118 Tale ratio emerge, in particolare, dal comma 3 e dal comma 2 dell’art. 829
c.p.c. Ciò detto, è fuori discussione che, in relazione all’interpretazione della convenzione di arbitrato, l’ambito della cognizione sia della Corte d’Appello che della Corte di legittimità si estenda all’apprezzamento diretto del “fatto processuale”, inteso nella sua accezione ampia, che comprende tutti i fatti, anche esterni al processo, dai quali dipenda la soluzione della questione (con cognizione piena e pieni poteri di apprezzamento su esistenza, validità, portata ed effetti di detta convenzione): v., in tal senso, Cass. S.U. 22 maggio 2012, n. 8077, in Riv. dir. proc. 2012, 1642 ss., nt. adesiva di X. XXXXXXX, Il giudizio sul “fatto processuale” in Cassazione; Cass. S.U. 26 novembre 2008, n. 28166, che ha ritenuto di poter esaminare direttamente il contenuto di una convenzione accessoria alla concessione di un servizio pubblico, stipulata fra concedente e concessionario, al fine di risolvere una questione di giurisdizione; Cass. S.U. 2 aprile 2007, n. 8095. Per l’applicazione di tali principi al caso dell’esorbitanza del lodo rispetto all’ambito oggettivo della convenzione di arbitrato (sull’assunto che trattasi di vizio in procedendo o di attività, tale da determinare, per espressa previsione di legge, la nullità del lodo arbitrale ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c.), v. M. GRADI, Arbitrato rituale - Cognizione sulla potestas judicandi degli arbitri nelle fasi di impugnazione del lodo arbitrale, in Giur. it. 2016, 7, 1691 ss.; X. XXXXXXXX, Il controllo e la tutela della convenzione arbitrale, in Riv. arb., 2013, 384; M. DE SANTIS, Prove di elasticità del motivo di impugnazione di cui all’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c.: l’impugnabilità di un lodo ultra vires, nt. App. Milano 1 luglio 2014, in Giur. it. 2015, 1, 91. V., da ultimo, Cass. 14 febbraio 2023, n. 4531, per la quale, nel decidere su un’istanza di regolamento di competenza, la Corte di cassazione può accertare, trattandosi di un fatto processuale, la validità e l’efficacia della convenzione arbitrale con i medesimi poteri del giudice del merito.
faceva riferimento alla sola: “(…) nullità del compromesso” 119. Se già prima della riforma la giurisprudenza era dell’opinione che (la precedente formulazione del)l’art. 829 c.p.c. non ostasse a far valere praticamente tutte le ipotesi di inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione arbitrale, investendo essa ogni fattispecie in cui fosse messa in discussione, per qualsiasi motivo, l’esistenza della potestas iudicandi degli arbitri 120, in relazione all’attuale formulazione della norma la giurisprudenza continua a non dubitare della sua idoneità a ricomprendere non solo l’invalidità in senso stretto, ma anche l’inesistenza, l’inefficacia e, più in generale: “(…) ogni fattispecie in cui sia messa in discussione, per qualsiasi motivo, la mancanza di potestas iudicandi degli arbitri” 121. Come già evidenziato a margine dell’analisi dell’art. 817 c.p.c., ciò che in definitiva emerge dal combinato disposto delle disposizioni in tema di rapporti arbitro-giudice (sia dalla prospettiva dell’uno che dell’altro) e di impugnazione per nullità del lodo è la tendenziale sanabilità di qualunque vizio del patto arbitrale (salva la non arbitrabilità della disputa), ove sia mancato un rilievo tempestivo (secondo le tempistiche e modalità a suo tempo esaminate). Insomma, i termini preclusivi contemplati dall’art. 817 sarebbero in definitiva espressione di un principio generale, codificato dall’art. 829, comma 2, c.p.c., a mente del quale la parte che: “(…) non [abbia] eccepito nella prima istanza o difesa la violazione di un regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo” 122. Specularmente a quanto disposto dal legislatore in riferimento alla nullità degli atti del processo dinanzi al giudice
119 X. XXXXXXXX, Sub art. 829 c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina
dell’arbitrato, cit., 643.
120 V., ex multis, Xxxx. 29 aprile 2004, n. 8206, in Foro amm. cds 2004, 1305; Cass. 27
gennaio 2001, n. 1191, in Riv. arb. 2002, 303, nt. X. XXXXXX; Cass. 21 maggio 1998, n.
5059; Cass. 25 gennaio 1997, n. 781, in Riv. arb. 1997, 529, nt. X. XXXX.
121 Tale conclusione si giustifica anche in virtù del richiamo al comma (3, ma da
intendersi, per via dell’errore tipografico di cui si è detto, come riferentesi al comma)
2 dell’art. 817 c.p.c., che si riferisce appunto alle contestazioni della competenza arbitrale in ragione dell’asserita inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione arbitrale. In tal senso v., in giurisprudenza, Cass. 7 luglio 2017, n. 20899; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21215; Cass. 29 aprile 2004, n. 8206; Cass. 27 gennaio 2001, n. 1191, in Riv. arb. 2002, 303, nt. X. XXXXXX, Note in tema di inesistenza di accordo compromissorio per arbitrato rituale e impugnazione per nullità del lodo. In tal senso, in dottrina, v. S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, 4a ed., Milano, 2011, rist. con aggiornamenti, 156; E. XXXXXXXXX, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, cit., 76 ss. Per una rassegna di vizi del patto arbitrale idonei a dare luogo all’invalidità del titolo di investitura degli arbitri v. E. BENIGNI, Sub art. 829 c.p.c., in X. XXXXXXX (a cura di), Codice di procedura civile. Commentario, 6a ed., Milano, 2018, 1495 ss.
122 C. DELLE DONNE, Sub art. 817 c.p.c., in L.P. COMOGLIO et al. (a cura di),
Commentario, cit., 526.
statale (artt. 156 ss. c.p.c.), dunque, le irregolarità, invalidità ed illegittimità procedurali (nullità sia formali che extra-formali) in tanto rilevano quali potenziali motivi di impugnazione del lodo, in quanto non si sia realizzata la fattispecie “sanante” di cui al comma 2 dell’art. 829 c.p.c. 123. Il concetto è ribadito espressamente sia dal n. 2 (“se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del presente titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale”) che dal n. 4 (“se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d'arbitrato, ferma la disposizione dell'articolo 817”) del comma 1 dell’art. 829 c.p.c. 124
Con riferimento all’ipotesi in cui gli arbitri non siano stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del titolo VIII, mentre l’art. 829, comma 2 c.p.c. (che si occupa della sanatoria in caso di violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale) non prende specificamente in considerazione detti vizi - sebbene essi ben potrebbero essere ascritti, in linea di principio, alla categoria di cui alla detta violazione - e individua come termine preclusivo “la prima istanza o difesa successiva”, gli artt. 829, comma 1 n. 2 e 817, comma 1 (che invece detti vizi menzionano espressamente e specificamente) rimandano ad un termine preclusivo diverso,
123 Così X. XXXXXXXX, Impugnazioni del lodo ‘rituale’, in E. XXXXXXXXX (a cura di), La riforma della disciplina dell’arbitrato, cit., 190, che evidenzia opportunamente come la sanatoria di cui al comma 2 dell’art. 829 c.p.c. non possa ovviamente operare rispetto ai motivi di nullità che colpiscono direttamente ed esclusivamente (non, dunque, in via derivata, discendenti cioè dall’invalidità di atti del procedimento) il lodo, sia sotto il profilo della forma, che sotto quello del contenuto (coperti dai nn. 3, 4, 11 e 12 della medesima disposizione).
124 Se i nn. 2 e 3 del comma 1 non fanno altro che riprodurre il testo precedente delle norme corrispondenti, il n. 4 è invece la risultante dello smembramento (in quattro distinte disposizioni, rispettivamente gli attuali nn. 4, 10, 11 e 12) della precedente versione del n. 4, che si riferiva ad un lodo che avesse: “(…) pronunciato fuori dei limiti del compromesso o non [avesse] pronunciato su alcuno degli oggetti del compromesso (…)”. Nello specifico, i vizi contemplati dal nuovo n. 4 sono ascrivibili a due tipologie distinte: da un lato, una pronuncia fuori dei limiti della convenzione di arbitrato (su cui x. Xxxx. 23 febbraio 2016, n. 3481; Cass. 7 agosto 1993, n. 7563; Cass.
22 marzo 2013, n. 7282; App. Milano 1° luglio 2014, in Giur. it. 2015, 172, nt. E.
XXXXXXXXX; App. Milano 8 agosto 2016, in Riv. arb. 2017, 1, 115 ss., nt. X. XXXXXXXX, Spunti in tema di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nel giudizio arbitrale; Cass. 24 marzo 2011, n. 6842, in Riv. dir. proc. 2012, nt. G. CANALE. Per ulteriori ipotesi v. M.L. SERRA, L’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, Napoli, 2016, 300; E. BENIGNI, Sub art. 829 c.p.c., in X. XXXXXXX (a cura di), Codice di procedura civile, cit., 1500 ss.); dall’altro, una pronuncia sul merito di una controversia, in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso (su cui v. App. Milano 1° luglio 2014, in Riv. arb. 2015, 83 ss., nt. M. DE SANTIS, Prove di elasticità del motivo di impugnazione, cit. e, per riferimenti, X. XXXXXXXX, Impugnazione del lodo “rituale”, in E. FAZZALARI (a cura di), La riforma della disciplina dell’arbitrato, cit., 181).
individuabile nella deducibilità della nullità nel giudizio arbitrale125. Con riferimento, invece, al vizio di esorbitanza delle conclusioni delle parti dai limiti della convenzione arbitrale – la cui disciplina, nel contesto anteriore alla riforma del 2006, fungeva da puntello alla tesi della mancanza di termini entro cui le parti dovevano far valere i profili d’incompetenza degli arbitri 126
-, il legislatore, con il combinato disposto degli artt. 817, comma 3 e 829, comma 1, n. 4 c.p.c., ha espressamente previsto un termine di deducibilità meno stringente (“nel corso del procedimento arbitrale”), rispetto a quelli più rigidi, rispettivamente, della prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri e della prima istanza o difesa successiva (alla constatata violazione) ricollegabili a censure, rispetto a quella di esorbitanza, ora diverse (inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d’arbitrato), ora più generiche (la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, cui solo astrattamente - e forzatamente - potrebbe essere ricondotto il vizio di esorbitanza). S’è già detto della sostanziale affinità, sotto il profilo logico e funzionale, di tutte queste contestazioni. Il fatto che mirino tutte all’identico risultato di paralizzare, temporaneamente o definitivamente, la procedibilità dell’arbitrato, potrebbe indurre l’interprete ad optare per un trattamento uniforme od omogeneo del termine preclusivo per il relativo rilievo (comunque precluso per la prima volta in sede di impugnazione), ad esempio integrando quello generico e ampio (“nel corso dell’arbitrato”) - ricollegato alle eccezioni attinenti al contenuto e all’ampiezza del patto, all’irregolare costituzione del tribunale arbitrale o, appunto, all’esorbitanza dai limiti della convenzione arbitrale - con i termini decadenziali più specifici e stringenti di cui agli artt. 817, comma 2 (i.e. la prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri127) e 829, comma 2 c.p.c. (i.e. la prima istanza o difesa successiva alla violazione), previsti, rispettivamente, per le censure di inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione arbitrale o per quelle concernenti la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale. Ciò implicherebbe, ad
125 Così secondo la prima disposizione, che richiama quella analoga contenuta nella seconda – dove appunto si usa l’espressione “nel corso dell’arbitrato” –; il comma 2 dell’art. 817 c.p.c., invece, che non fa alcun riferimento ai vizi attinenti alla costituzione del tribunale, ma solo a quelli attinenti ad altri tipi di vizi – inesistenza, invalidità e inefficacia –, contiene un termine preclusivo più stringente, i.e. la “prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri”.
126 Cass. 7 agosto 1993, n. 8563.
127 Come esplicitato nella Relazione illustrativa del decreto legislativo, tale previsione risponde al “principio di lealtà processuale”, nonché al “principio di autoresponsabilità”. Essa consente, quindi, alla parte convenuta di attivarsi non immediatamente all’atto di nomina del proprio arbitro, ma entro il primo termine successivo alla costituzione del collegio giudicante; v. X. XXXX, Xxxxxx sui rapporti tra arbitro e giudice statale, cit., 364.
esempio, che l’eccezione d’incompetenza dovrebbe essere formulata, a pena di decadenza, nella prima difesa successiva alla proposizione della domanda esorbitante.
Tuttavia, un’interpretazione letterale delle norme (essendo proprio il tenore letterale del comma 3 dell’art. 817 c.p.c. a consentire la formulazione dell’eccezione di esorbitanza indipendentemente dal momento in cui sia stata proposta la domanda o conclusione esorbitante 128), in uno con il principio ubi lex voluit, dixit e, infine, il criterio della prevalenza della regola speciale rispetto a quella generale, xxxxxxxx ad attenersi a quanto – di fatto espressamente e distintamente – previsto dal legislatore per le diverse ipotesi e, dunque, nei casi de quibus, ai termini più flessibili che rimandano all’espressione “nel corso dell’arbitrato”. In ogni caso, il rilievo tardivo dell’eccezione di esorbitanza (anche sino all’ultima udienza dinanzi al collegio arbitrale o sino allo scambio delle difese finali 129) verrebbe adeguatamente riequilibrato dalla necessità di rispettare, sempre e comunque, il principio del contraddittorio 130.
5. – Il problema dei rapporti e conflitti tra arbitrato e giurisdizione statale in presenza di una convenzione di arbitrato dalla prospettiva del giudice statale (ivi compreso quello degli effetti della mancata proposizione, in sede giudiziale, dell’exceptio compromissi131, pacificamente non rilevabile d’ufficio132) è disciplinato - colmando una lacuna del precedente impianto
128 Come rileva X. XXXXX, Disegno sistematico dell’arbitrato, 2a ed., Padova, 2012, 547, alla norma, in quanto dedicata a un’ipotesi speciale d’incompetenza, deve riconoscersi una portata derogativa della previsione contenuta nell’art. 829 c.p.c.
129 X. XXXX, La convenzione arbitrale nel processo, cit., 215. ss.
130 Ma v. quell’orientamento secondo il quale lo svolgimento di difese nel merito, rispetto alla domanda esorbitante, integrerebbe un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi dell’eccezione d’incompetenza e, pertanto, precluderebbe alla parte la possibilità di impugnare il lodo ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 4 c.p.c.: x. Xxxx. 00 gennaio 1999, n. 565.
132 V., ex multis, Xxxx. 5 giugno 2019, n. 15300 (nell’ambito del procedimento sommario di cognizione); App. Venezia, 6 aprile 2017, n. 762; Trib. Potenza, 17 dicembre 2019, n. 1041. Ma x. Xxxx. 00 febbraio 2019, n. 5824, per la quale la questione dell'invalidità, come dell'inesistenza della clausola compromissoria per arbitrato rituale, in quanto eccezione processuale, sarebbe rilevabile anche d'ufficio, essendo strumentale all'accertamento di un error in procedendo. Secondo Xxxx. 25 ottobre 2017, n. 25254, in Riv. arb. 2018, 4, 678, in caso di proposizione cumulativa delle eccezioni pregiudiziali in rito di clausola per arbitrato rituale e
normativo - dall’art. 819 ter c.p.c., rubricato “Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria”. L’ultima parte del comma 1 individua nella comparsa di risposta il termine perentorio per la proposizione dell’eccezione di “incompetenza” del giudice in ragione della convenzione di arbitrato133, collegando alla sua omessa o intempestiva proposizione una conseguenza non del tutto chiara nella sua effettiva portata, consistente, cioè, nell’esclusione della competenza arbitrale limitatamente alla controversa decisa in sede giudiziale. La norma è, in un certo senso, speculare a quella dell’art. 817 c.p.c., sebbene questa si limiti a disporre l’impossibilità di impugnazione del lodo per un motivo attinente alla contestazione cui si riferisce l’eccezione, senza contemplare conseguenze ulteriori rispetto all’effetto endoprocessuale della preclusione a quella impugnazione.
La norma, nonostante l’apparente linearità, si caratterizza per non
poche zone d’ombra.
Per cominciare, non è chiara l’individuazione del momento esatto a partire dal quale dovrebbe verificarsi la summenzionata controversa esclusione della competenza arbitrale (rispetto a chi v’è peraltro da chiedersi - ossia solo per il giudice o anche per l’arbitro - come vedremo nel prosieguo), conseguente alla condotta omissiva della parte. Non è chiaro, cioè, se detto effetto si produca per il solo fatto della mancata proposizione dell’eccezione, con la conseguenza che al semplice decorso del termine preclusivo gli arbitri dovrebbero chiudere il
incompetenza territoriale, con specifica graduazione in tal senso del loro esame, il giudice di merito sarebbe vincolato all'osservanza dell'ordine indicato, sicchè, ove il giudice adito non si pronunci sull'eccezione di clausola arbitrale, limitandosi ad esaminare solo l'eccezione subordinata di incompetenza territoriale - in tal modo affermando la potestas decidendi del giudice statale e ritenendo con decisione implicita insussistente la competenza arbitrale -, il relativo provvedimento in rito non sarebbe contestabile ex officio dal giudice ad quem, stante i limiti invalicabili dell'art. 45 c.p.c., ma esclusivamente suscettibile di impugnazione attraverso il rimedio del regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c., restando, in difetto, definitivamente radicata la competenza dinanzi al giudice territorialmente indicato come competente, davanti al quale la causa sia stata riassunta ai sensi dell'art. 44 c.p.c.
133 La soggezione dell’exceptio compomissi in sede ordinaria al termine decadenziale individuato nella comparsa di risposta assimila l’eccezione in questione a quelle in senso proprio, che oggi, indipendentemente dalla loro natura (di rito o di merito) devono essere in ogni caso dedotte secondo il meccanismo previsto dall’art. 167, comma 2 c.p.c., con esclusione, dunque, di ogni possibilità di rilievo di ufficio: così F.P. XXXXX, Rapporti tra arbitro e giudice, in E. FAZZALARI (a cura di), La riforma della disciplina dell’arbitrato, cit., 124; X. XXXXXXXXXXX, Sub art. 819 ter c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Commentario del codice di procedura civile. Libro quarto: Procedimenti speciali art. 806-840, Bologna, 2014, 679 ss.
procedimento con un lodo declinatorio 134. Oppure se l’effetto (parzialmente) estintivo della competenza arbitrale (i.e. limitatamente alla controversia dedotta in giudizio) presupponga non solo la mancata tempestiva eccezione, ma anche la decisione sul merito da parte del giudice ordinario, sicché, per tutto il periodo anteriore alla pronuncia della decisione, la convenzione arbitrale conserverebbe la sua efficacia 135. Ad opinione di chi scrive, l’utilizzo dell’espressione decisa (… “in quel giudizio”) pare più il frutto di un’inesattezza o disattenzione del legislatore, che non della precisa volontà di posticipare gli effetti della condotta omissiva al termine del giudizio, concluso da un pronunciamento sul merito. Invero, è proprio a partire dalla scadenza del termine per la proposizione dell’eccezione di incompetenza del giudice statale che si evince l’intenzione delle parti di non avvalersi dell’opzione originariamente scelta per una risoluzione non-giudiziale della disputa (in ciò sostanzialmente aderendo alla condotta dell’attore che, per primo, mediante l’instaurazione del giudizio statale, aveva dimostrato di non volere dare seguito all’opzione arbitrale originariamente abbracciata). Senza contare che tale lettura appare maggiormente in linea con l’impianto normativo complessivo introdotto dalla riforma (nonché con la sostanziale equiparazione, che chiaramente emerge da quest’ultima, tra giustizia privata e giustizia statuale), perché rifletterebbe la soluzione adottata per la condotta omissiva della parte nel procedimento arbitrale, ove la sanzione dell’impossibilità di impugnare il lodo in un momento successivo per il motivo dell’incompetenza arbitrale viene ricollegata al mero fatto dell’inutile decorso del termine per la proposizione della relativa eccezione (prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri).
Ci pare dunque più corretto leggere l’espressione adottata dal comma 1
dell’art. 819 ter c.p.c. come se intendesse “limitatamente alla controversia dedotta (non, invece, decisa) in quel giudizio”. Conclusione ancor più sensata se l’intento del legislatore non fosse soltanto “sanzionare” una condotta omissiva della parte, quanto piuttosto (come taluni sostengono anche in
134 Così F.P. XXXXX, Rapporti tra arbitro e giudice, in E. XXXXXXXXX (a cura di), La riforma della disciplina dell’arbitrato, cit., 124 ss., per il quale la norma di cui all’art. 819 ter, comma 1 c.p.c. avrebbe essenzialmente una funzione di coordinamento preventivo tra i due giudizi, arbitrale e statuale; nello stesso senso v. E. XXXXXXXXX, L’ impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, 103.
135 Come sembrano ritenere X. XXXX, in Giusto proc. civ. 2006, 71 ss.; ID., Ancora sui rapporti tra arbitro e giudice, cit., 369; X. XXXXXXX, Sub art. 819 ter, in A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, Vol. III – Tomo II: Arbitrato. Entrata in vigore delle nuove discipline sul giudizio di cassazione e sull’arbitrato. Con il commento alla disciplina transitoria della Legge 18 giugno 2009, n. 69 in materia di arbitrato e cassazione, Padova 2009, III, 2, 884; X. XXXXXXX, Sub art. 819 ter c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 375.
ragione dell’espressione particolarmente pregnante utilizzata dalla norma - tesi che tuttavia qui si contesta, come vedremo subito appresso,) utilizzare la condotta omissiva nel giudizio statale come meccanismo di coordinamento preventivo tra quest’ultimo e il giudizio arbitrale (già pendente o instaurando) 136, dando rilievo “esterno” all’abbandono dell’opzione arbitrale (per quanto limitatamente a quella controversia) e così puntellando la continuazione del giudizio statale attraverso l’eliminazione della pendenza parallela di un giudizio in sede arbitrale sulla medesima causa. In quest’ottica, infatti, non avrebbe senso posticipare l’efficacia del coordinamento a valle, facendo cioè dipendere la produzione degli effetti previsti da un evento futuro e incerto (qual è la decisione sul merito da parte del giudice statale) e assistere, nel frattempo, alla celebrazione di due giudizi paralleli, in luogo di intervenire a monte delle due procedure. Da un punto di vista pratico, d’altra parte, l’opzione di condizionare la produzione degli effetti lato sensu “consuntivi” dell’efficacia del patto arbitrale alla pronuncia sul merito da parte del giudice statale avrebbe il duplice, non auspicabile, effetto, da un lato, di consentire (con soluzione praeter legem, perché non prevista dalla norma) che il patto compromissorio venga meno nel momento in cui si verifica la condotta omissiva, per poi venir riesumato e riacquistare la propria efficacia ove il giudice statale non dovesse giungere alla pronuncia di merito, ma si limitasse a pronunciare una declinatoria in rito (con un duplice effetto, dunque, dapprima estintivo del patto arbitrale e poi risolutivo dello stesso effetto estintivo); dall’altro – sempre adottando, per un momento, la tesi, invero opinabile, dell’efficacia “esterna” di tale condotta omissiva – di costringere l’arbitro, in caso di pendenza parallela di un giudizio arbitrale, a chiudere in rito il giudizio per la sopravvenuta cessazione di efficacia del patto arbitrale, salvo poi costringere le parti alla costituzione, ex novo, dello stesso (o di altro) tribunale arbitrale, ove il giudice statale non dovesse giungere alla pronuncia sul merito sulla lite.
Ma veniamo alla controversa espressione utilizzata dalla norma,
secondo cui, cioè, la mancata proposizione dell’eccezione: “(…) esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio”, che non è per nulla di facile decifrazione. Invero, da un lato, non è chiaro se con detta espressione il legislatore abbia inteso circoscrivere gli effetti della condotta omissiva esclusivamente alla specifica controversia dedotta, consentendo per l’effetto che la convenzione arbitrale, anche in pendenza del
136 In tal senso v. X. XXXX, La convenzione arbitrale nel processo, cit., 219; E. RIGHETTI, L’eccezione di compromesso, in AA.VV., Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxx, Torino, 2008, II, 642; X. XXXX, Xxxxxx sui rapporti tra arbitro e giudice statale, cit., 369; E. XXXXXXXXX, Note sull’impugnazione del lodo arbitrale per contrarietà ad altra pronuncia, in Riv. dir. proc. 2007, 1181.
giudizio statale in cui detta condotta omissiva si sia verificata, continui ad essere valida ed efficace in relazione ad altre controversie, connesse o meno con quella dedotta (come parrebbe doversi desumere dal comma 1 dell’art. 819 ter c.p.c., secondo cui: “La competenza degli arbitri non è esclusa (…) dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente davanti al giudice”)137. Dall’altro lato, non è chiaro se detta “esclusione della competenza arbitrale” identifichi una mera preclusione processuale, idonea a “far venir meno la potestas iudicandi degli arbitri” nel solo ambito giudiziale e ai limitati fini della decidibilità della causa giudiziale nel merito (precludendo solo la possibilità di contestare successivamente, in quel medesimo giudizio, la competenza del giudice statale in ragione dell’esistenza di una convenzione arbitrale e di impugnare, per questo stesso motivo, la futura sentenza del giudice). Oppure se integri una “paralisi” della procedibilità della via arbitrale unicamente in relazione alla controversia dedotta in giudizio, impedendo, cioè, la proposizione della domanda di arbitrato o la prosecuzione del giudizio arbitrale eventualmente pendente sulla controversia, senza tuttavia alcuna ricaduta sul piano sostanziale e dunque sul patto arbitrale. Oppure, ancora, se la suddetta: “(…) esclusione della competenza arbitrale” integri – come sostenuto in passato da un certo orientamento, peraltro controverso – una vera e propria rinuncia alla (e/o risoluzione tacita della) convenzione arbitrale.
La differenza, come ognun vede, non è di poco momento, perché,
verificatasi una mera preclusione processuale, sia in costanza del giudizio statale, sia in caso di esaurimento del temporaneo “impedimento” rappresentato dalla pendenza del giudizio ordinario, la convenzione arbitrale permarrebbe efficace ed idonea a fondare la potestas iudicandi di un arbitro (già costituito o da costituire), che verrebbe invece travolta dall’occorsa rinuncia e/o risoluzione tacita del patto arbitrale conseguente al suo mancato rilievo dinanzi al giudice.
In dottrina e giurisprudenza, se vi è una generale convergenza sul fatto
137 In tal senso v. X. XXXXXXXX, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti tra arbitrato e giurisdizione, cit., 321, per il quale l’unico effetto della mancata e/o irrituale proposizione dell’eccezione di arbitrato deve essere individuato nella preclusione di avvalersi della clausola in questione in quella determinata controversia, senza alcuna influenza sulla clausola e sui profili di sua validità ed efficacia. In tal senso, in giurisprudenza, x. Xxxx. 00 febbraio 2015, n. 3464, secondo cui “La rinunzia a far valere la clausola compromissoria in occasione di una controversia insorta tra i contraenti non comporta di per sé una rinunzia definitiva e complessiva della clausola arbitrale e, cioè, una rinunzia anche in relazione ad ogni altra controversia che possa insorgere tra i contraenti, diversa da quella per la quale entrambe le parti, o la parte interessata, hanno ritenuto di rinunziare, essendo la rinuncia limitata alla specifica controversia cui si accede”.
che la mancata o intempestiva proposizione dell’exceptio compromissi in sede giudiziale 138 non abbia ripercussioni sul piano sostanziale, nel senso, cioè, che essa non implicherebbe una rinuncia tout court al patto arbitrale139, si registrano, invece, non pochi contrasti sull’esatta portata di quella condotta: se cioè le si possa attribuire anche un’efficacia extraprocessuale, sotto forma di vincolo dell’arbitro - o di ogni altro giudice - a ritenere definitivamente insussistente il patto arbitrale, quantomeno in relazione alla controversia decisa nel giudizio in cui quella condotta si sia verificata. Per taluno, alla condotta omissiva della parte nel giudizio statale si collegherebbe solo un’efficacia endoprocessuale, ad instar di quanto avviene in sede arbitrale140, mentre altri le
138 In giurisprudenza si tendono ad applicare due regimi distinti, rispettivamente, all’exceptio compromissi relativa ad un patto per un arbitrato avente sede in Italia, rilevabile, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta (Cass. 24 settembre 2015, n. 18978; Cass. 6 novembre 2015, n. 22748, entrambe in Giur. it. 2016,
351) e ad un’eccezione relativa ad un patto per arbitrato estero, assoggettata alla disciplina di cui agli artt. 4 e 11, l. n. 218 del 1995, rispetto alla quale è esperibile il regolamento di giurisdizione (Cass S.U. 26 maggio 2015, n. 10800, in Corr. giur. 2016, 531). Una distinzione che non ha mancato di essere criticata in dottrina, sia rispetto al regime di rilevabilità, sia rispetto all’esperibilità del regolamento di giurisdizione, che, si afferma, dovrebbe essere o ammissibile in entrambi i casi, o in nessun caso (v., in particolare, X. XXXX, La giustizia arbitrale, 4a ed., cit., nt. 10). Ad ogni modo, dopo la fase “negozialista” imposta dalla decisione delle Sezioni Unite n. 527 del 2000, la giurisprudenza è piuttosto granitica nel considerare entrambe le eccezioni di rito e non di merito: Xxxx. S.U. 25 ottobre 2013, n. 24153, ord.; Cass. 6 novembre 2015, n. 22748, in Giur. it. 2016, 351; Cass. 12 novembre 2015, n. 23176; Cass. 21 gennaio 2016, n. 1101.
139 V. xxxxxxxx, Xxxx. 6 novembre 2015, n. 22748, per cui le parti possono optare per una decisione da parte del giudice ordinario: ”(...) non solo espressamente, mediante un accordo uguale e contrario a quello raggiunto con il compromesso, ma anche tacitamente, attraverso l’adozione di condotte processuali convergenti verso l’esclusione della competenza arbitrale, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell’eccezione di arbitrato”. Per l’applicazione di detto principio al caso della domanda riconvenzionale proposta a seguito della proposizione dell’eccezione di arbitrato x. Xxxx. 30 maggio 2007, n. 12736; ma v., contra, più di recente, Cass. 30 luglio 2018, n. 20139.
140 Con la conseguenza che, laddove il giudizio ordinario si estingua o comunque non pervenga ad una decisione sul merito, la convenzione arbitrale manterrà intatta la propria efficacia: così X. XXXX, La convenzione arbitrale nel processo, cit., 221; E. XXXXXXXXXX, La cognizione degli arbitri, cit., 98; X. XXXXXXXX, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti tra arbitrato e giurisdizione, cit., 321. Così, ci pare anche X. XXXXXXXXXXXXX, Rapporti tra arbitro e giudice, in Riv. arb. 2022, 1, 414 ss., per il quale, da un lato, la parte può consapevolmente scegliere di non contestare la potestas iudicandi, senza con questo voler concludere tacitamente un nuovo compromesso, ovvero senza voler rendere inefficace la convenzione arbitrale limitatamente a quella specifica controversia; dall’altro, non sarebbe corretto imporre al convenuto una
«tonalità impugnatoria» non voluta e, ancor prima, in violazione del principio
attribuiscono un’efficacia esterna, idonea ad incidere sulla potestas iudicandi degli arbitri, operante alla stregua di meccanismo di coordinamento indiretto tra la procedura giudiziale e quella arbitrale (e, dunque, quale correttivo al principio, insito nel sistema delle “vie parallele”, della reciproca indipendenza, autonomia e indifferenza delle procedure, arbitrali e giudiziali, vertenti sulla medesima causa), nella misura in cui la sopravvenuta inefficacia del patto arbitrale determinata dalla mancata o intempestiva proposizione dell’exceptio compromissi in sede giudiziale imporrebbe all’arbitro, dinanzi al quale sia stato previamente o successivamente instaurato un giudizio sulla medesima causa pendente dinanzi al giudice statale (sulla base della convenzione oggetto della mancata eccezione in sede giudiziale), di chiudere in rito il giudizio 141. Nell’ambito dei diversi orientamenti v’è poi chi ricollega l’effetto dell’omessa eccezione, rispettivamente individuato, immediatamente a far data dall’inutile decorso del termine entro cui detta eccezione avrebbe dovuto essere sollevata (effetto che persisterebbe anche ove il giudizio statale dovesse concludersi senza una decisione nel merito, per estinzione o perché il giudice abbia ritenuto di chiudere il giudizio in rito)142; e chi, invece, richiede comunque che, alla mancata proposizione dell’eccezione, faccia seguito una pronuncia di merito da parte del giudice statale143 (o
consensualistico, prescindere dall'effettiva (e non soltanto prospettata) esistenza di una valida e vincolante convenzione arbitrale.
141 Così F.P. XXXXX, Rapporti fra arbitro e giudice, in Riv. arb. 2005, 786, per il quale, in virtù della peculiare formulazione del comma 1 dell’art. 819 ter c.p.c., che non trova riscontro nella formulazione della disposizione speculare di cui all’art. 817 c.p.c., l’omessa o intempestiva proposizione dell’eccezione produrrebbe conseguenze non solo all’interno del processo statale, che non troverebbe più alcun ostacolo alla sua vocazione a giungere ad una decisione sul merito della lite per la mera presenza di una convenzione arbitrale, ma, altresì, all’esterno, in particolare su un giudizio arbitrale che su quella convenzione si fondi, parallelamente pendente o instaurato successivamente, destinato ad una chiusura in rito ove venga ivi eccepita, tempestivamente (ovvero entro i termini di cui all’art. 817, comma 2, c.p.c.) l’inefficacia sopravvenuta della convenzione. In tal senso v. anche X. XXXXXXXX, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti, cit., 321.
142 In tal caso, infatti, non avendo rilevanza alcuna gli sviluppi successivi del giudizio (e, xxxxxxxxx, il fatto che questo si concluda o meno con una decisione sul merito), non sarebbe contemplabile una successiva “riemersione” o “riesumazione” dell’efficacia della convenzione, inesorabilmente estinta per la mancata tempestiva proposizione della relativa eccezione: v. E. XXXXXXXX, Prime osservazioni, cit., 253 ss. spec. 272, n. 83; X. XXXXXXXX, Sub art. 819 ter c.p.c., in X. XXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Commentario breve al codice di procedura civile, 5a ed., Padova, 2007, 2221.
143 In tal senso F.P. XXXXX, Rapporti fra arbitro e giudice, in Riv. arb. 2005, 786, per il quale ove, nel giudizio statale, non si dovesse giungere ad una decisione sul merito, non potrebbe più sostenersi che la convenzione arbitrale sia inefficace; X. XXXXXXX, Sub art. 819 ter c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di), Riforma del diritto arbitrale, in Le nuove
addirittura il suo passaggio in giudicato144), in mancanza della quale la potestas iudicandi arbitrale o non verrebbe mai meno 145 (ravvisandosi nella pronuncia del giudice statale una sorta di condizione sospensiva dell’estinzione
- non ancora verificatasi - della competenza arbitrale, sicché, in ipotesi di estinzione del giudizio statale o di sua chiusura in rito, la “competenza” arbitrale permarrebbe integra perché mai venuta meno); oppure, pur se in precedenza venuta meno in conseguenza della mancata proposizione dell’eccezione, risorgerebbe a seguito dell’eventuale estinzione del giudizio statale o della sua chiusura in rito 146 (ravvisandosi nella pronuncia del giudice statale una sorta di condizione risolutiva dell’estinzione - già verificatasi
- della competenza arbitrale, che, in mancanza di detta pronuncia, riacquisterebbe efficacia, nonostante fosse venuta meno a seguito dell’inutile decorso del termine per la relativa eccezione).
Dette ricostruzioni suscitano non poche perplessità. La variante della “condizione risolutiva dell’estinzione”, oltre ad apparire macchinosa, è priva di riscontri nel dato normativo, posto che nell’art. 819 ter, comma 1, c.p.c.
leggi civili commentate, Padova, 2007, 375, 412; X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Commentario del codice di procedura civile. Libro quarto: Procedimenti speciali art. 806-840, Bologna, 2014, 593 ss. V., più in generale, gli autori citati alle nt. seguenti.
144 In tal senso v. X. XXXX, Xxxxxx sui rapporti tra arbitro e giudice statale, cit.; E. XXXXXXXX, Prime osservazioni sulla nuova disciplina dell’arbitrato, in Riv. dir. proc., 2005,
272. Contra X. XXXXXXXXXX, La contemporanea pendenza, cit., 195, per il quale l’esclusione della competenza arbitrale si verificherebbe già con l’emanazione della sentenza di primo grado, senza che sia necessario attenderne il passaggio in giudicato.
145 In tal senso v. X. XXXXXXX, Sub art. 819 ter c.p.c., in X. XXXXXXXX (a cura di),
Riforma del diritto arbitrale, in Le nuove leggi civili commentate, Padova, 2007, 375, 412;
X. XXXX, Xxxxxx sui rapporti tra arbitro e giudice statale, cit., 369 ss.; ID., Aspetti problematici nella nuova disciplina della convenzione d’arbitrato rituale, in Giust. proc. civ. 2006, 73 ss. V. anche X. XXXXXXX, Sub art. 819 ter c.p.c., in A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX, Commentario alle riforme, cit., 884 e X. XXXXXXXXXXX, Arbitrato, sub art. 817 c.p.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Commentario del codice di procedura civile. Libro quarto: Procedimenti speciali art. 806-840, Bologna, 2014, 593 ss. e sub 819 ter c.p.c., 678, per i quali la lettura, secondo la quale la competenza arbitrale verrebbe meno semplicemente in conseguenza della mancata proposizione dell’eccezione, sarebbe preclusa proprio dall’adozione del sistema delle “vie parallele”.
146 F.P. XXXXX, op. ult. cit., 787; ID., Rapporti fra arbitro e giudice, in E. XXXXXXXXX (a cura di), La riforma della disciplina dell’arbitrato, cit., 125 ss., per il quale la soluzione secondo cui l’esclusione della competenza arbitrale si verificherebbe nel momento stesso in cui l’eccezione non venga tempestivamente sollevata, salvo venir meno nel momento in cui divenga definitiva la chiusura in rito del processo, appare più conforme alla ratio della norma; X. XXXXXXXX, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti, cit., 321; X. XXXX, Appunti sull’eccezione di compromesso, cit., 455; ID., La convenzione arbitrale nel processo, cit., 219 ss.; E. XXXXXXXXXX, La cognizione degli arbitri sui presupposti dell’arbitrato, cit., 95.
non è dato ravvisare alcun riferimento ad un doppio effetto, dapprima estintivo del patto arbitrale e poi, nel caso di chiusura in rito del giudizio statale, risolutivo del precedente effetto estintivo. D’altra parte, la variante per cui solo la decisione di merito fonderebbe la (sopravvenuta) inefficacia della convenzione arbitrale conseguente alla mancata proposizione tempestiva della relativa eccezione (permanendo la convenzione, fino a detta pronuncia, integra ed efficace), oltre a non consentire alcun coordinamento tra le due procedure in una fase preliminare, rappresenterebbe, per l’eventuale parallelo giudizio arbitrale, una spada di Damocle, idonea ad azzerare ex post tutta l’attività ivi compiuta; e ciò non solo ove si ritenga di far discendere la produzione dell’efficacia extraprocessuale dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, anziché dalla sua pronuncia 147, ma anche
147 Come, secondo X. XXXX, La giustizia privata, 4a ed., cit., 57, parrebbe ragionevole ritenere alla luce del fatto che solo in tale momento verrebbe sancita l’impossibilità del raggiungimento dello scopo della convenzione arbitrale, per la sua sopravvenuta e definitiva inefficacia, con la conseguenza che gli arbitri dovrebbero chiudere in rito il giudizio per due motivi: per rispetto del principio del ne bis in idem, e per l’ormai sopraggiunta inefficacia del patto arbitrale. Un lodo ciononostante emesso dagli arbitri sarebbe censurabile in sede di impugnazione per nullità per conflitto pratico di giudicati, ai sensi del motivo di cui al n. 8 del comma 1 dell’art. 829 c.p.c. Xxxxxx, X. XXXXXXXXXX, La contemporanea pendenza del procedimento arbitrale, cit., 192 ss., per il quale la semplice decisione di merito del giudice statale (anche se soggetta ad impugnazione) sarebbe idonea a prevalere sul lodo, ove venga pronunciata prima che il lodo diventi inoppugnabile: questo perché l’esclusione della competenza arbitrale di cui al comma 1 dell’art. 819 ter c.p.c. discenderebbe come conseguenza diretta dalla decisione di merito della disputa, che a sua volta segue la mancata proposizione dell’eccezione di compromesso, comportando la nullità del lodo per carenza della potestas judicandi. Condizione perché ciò si verifichi non sarebbe, dunque, il passaggio in giudicato della decisione del giudice statale, ma che il lodo che abbia pronunciato (in maniera implicita o espressa) sulla “competenza” degli arbitri non sia già divenuto irretrattabile, ché, altrimenti, “l’esclusione” della competenza degli arbitri verrebbe resa irrilevante ai sensi dell’art. 161 c.p.c. Su tali profili v. anche Cass. 7 luglio 2014, n. 15452, in Giur. it. 2014, 1816 e Cass. 20 febbraio 2015, n. 3464, in Guida al diritto 2015, fasc. 20, 73 ss., in cui viene peraltro precisato che la rinuncia ad avvalersi della convenzione arbitrale riguarda in ogni caso la singola lite, non, invece, l’opzione per la via arbitrale nel suo complesso. Osserva X. XXXXXXXX, Appunti sulla nuova disciplina dei rapporti, cit., 322, che la sentenza potrebbe intervenire anche a distanza di anni dalla definizione del procedimento arbitrale, assistendosi in tal caso a una situazione in cui la lite finirebbe con l’essere definita solo precariamente, con un lodo esposto al rischio di caducazione postuma. Il passaggio in giudicato della sentenza sul merito dovrebbe di per sè stessa rappresentare una circostanza idonea ad impedire l’instaurazione o la prosecuzione del procedimento arbitrale; per cui, secondo l’autore, non avrebbe avuto molto senso sancire, attraverso una disposizione ad hoc, un effetto già previsto dall’ordinamento. Così anche X. XXXX, La convenzione arbitrale nel processo, cit., 222.
in quest’ultimo caso, posto che la riforma o cassazione della decisione di merito nelle fasi di impugnazione rischierebbe di riesumare la “competenza” degli arbitri e la legittimità del giudizio arbitrale.
Una serie di considerazioni induce chi scrive a ritenere che l’infelice formulazione del legislatore, secondo cui la mancata proposizione dell’exceptio compromissi: “(…) esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio”, rimandi, anche nell’ambito di un giudizio statale, ad una mera preclusione processuale, senza ripercussioni sostanziali e/o “esterne”, in primis sul patto arbitrale e, dipoi, sul giudizio arbitrale parallelamente pendente148.
Da un lato, infatti, quanto alle ricadute di tipo sostanziale, va osservato che attribuire un effetto sostanziale ad una condotta omissiva (nel giudizio arbitrale si trattava della stipulazione tacita di un patto arbitrale prima inesistente o della convalida di un patto prima invalido; qui si tratterebbe della rinuncia e/o risoluzione tacita di un patto valido) confligge con due principi: quello secondo cui un mero comportamento concludente non può supplire ai requisiti di forma scritta, ove questi siano previsti ad substantiam (com’è per il caso della convenzione arbitrale); e quello secondo cui l’eccezione di patto arbitrale nel giudizio statale, in quanto eccezione ri- servata alla parte, può essere oggetto di valida rinuncia solo ad opera della parte medesima, non, invece, del suo difensore. Dall’altro lato, per quanto attiene alla limitazione degli effetti della condotta omissiva all’interno del processo (ad esclusione, dunque, di ricadute non solo sul piano sostanziale –
i.e. sul patto arbitrale –, ma altresì sul procedimento arbitrale parallelo), ci viene
in soccorso, per cominciare, il dato letterale. Invero, l’espressione “esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio” non implica necessariamente che vi sia un impatto esterno della condotta omissiva tenuta dal convenuto nel giudizio statale (nello specifico, sulla potestas iudicandi dell’arbitro); potrebbe voler semplicemente dire che, nell’ambito del giudizio statuale in cui si sia verificata l’omissione, e limitatamente alla controversia di cui sia stato investito, il giudice statale deve considerare come non attualmente sussistente (e, per questo, dunque, “escludere”) la competenza dell’arbitro, con la conseguenza che esso non dovrà procedere ad alcuno scrutinio circa la validità ed efficacia della convenzione arbitrale perché la questione dell’allocazione della potestas iudicandi, per quanto riguarda il giudizio statale e limitatamente alla controversia dedotta, è pacifica; a maggior ragione il giudice statale non potrebbe, per questo motivo, declinare la propria competenza e chiudere in rito il giudizio.
148 Così anche, da ultimo, X. XXXXXXX, La controversia sulla convenzione di arbitrato, cit., 186 ss.
D’altra parte, se il coordinamento preventivo tra le due procedure fosse davvero l’obiettivo del meccanismo della “consumazione” della competenza arbitrale limitatamente alla controversia “decisa” nel giudizio statale, non si capirebbe la soluzione “a senso unico”, con attribuzione di un rilievo “esterno” unicamente alla mancata eccezione del patto arbitrale in sede giudiziale e non anche, specularmente, a quella in sede arbitrale (trattandosi, in questa e in quella sede, di condotte del tutto analoghe). L’art. 817 c.p.c., infatti, dalla omessa o intempestiva contestazione della potestas iudicandi dell’arbitro non solo non fa derivare alcuna stipulazione tacita di un patto arbitrale, prima inesistente (o la convalida di un patto prima invalido) sulla cui base instaurare, contestualmente o successivamente all’arbitrato pendente, un altro giudizio arbitrale149, ma nemmeno comporta l’improcedibilità di un giudizio ordinario su domande rientranti nell’ambito di applicazione del patto tacitamente formatosi, incardinato prima o dopo l’inizio del giudizio arbitrale. Una soluzione così “sbilanciata” tra i due giudizi striderebbe non poco con la riforma del 2006, che non solo ha sancito l’equiparazione, quoad effectum, e dunque rispetto al rispettivo prodotto finale, tra la giustizia arbitrale e quella statuale (equiparazione ribadita dai successivi importanti pronunciamenti della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione, in primis quelli del 2013), ma, attraverso la codificazione del sistema delle “vie parallele”, ha riaffermato i principi dell’autonomia e indipendenza del giudizio arbitrale rispetto a interferenze dell’autorità giudiziaria, che in passato hanno assunto forme anche particolarmente gravose (si pensi all’istituto, coniato dalla giurisprudenza, della vis atractiva). Attribuire efficacia “esterna” alla condotta omissiva delle parti in sede giudiziale (ex art. 819 ter, comma 1 c.p.c.), ma non a quella in sede arbitrale (art. 817 comma 2, c.p.c.) - al di là dell’ingiustificabile disparità di trattamento tra i due giudizi -, nel reciproco coordinamento tra le due opzioni rimediali finirebbe per favorire proprio quella che le parti, mediante la stipulazione del patto arbitrale (che, in assenza di vero e proprio esame sulla sua validità condotto dal giudice statale, si presume in principio valido ed efficace), avevano inteso evitare. Un esito agli antipodi delle scelte di politica legislativa compiute da altri ordinamenti (in primis, quello francese), e forse altresì “vittima” di antichi pregiudizi circa la natura ontologicamente superiore, per la risoluzione delle controversie, della giurisdizione statuale rispetto a quella privata, considerata quale minus quam iurisdictio.
Ancora, attribuire alla condotta omissiva occorsa nel giudizio statale
effetti esterni a quel giudizio rischierebbe di entrare in conflitto con la
previsione di cui all’art. 817, comma 2 c.p.c., secondo cui il potere degli
149 Così X. XXXX, La giustizia privata, 4a ed., cit., 54 ss.
arbitri di decidere sulla propria competenza: “(…) si applica anche se i poteri degli arbitri sono contestati in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento”. Si faccia il caso in cui, in sede statale, risulti controverso, e dunque oggetto di contestazione, se l’eccezione sia stata o meno effettivamente proposta, se la proposizione sia stata o meno tempestiva e così via. Stando al dettato di cui all’art. 817, comma 2 c.p.c., gli arbitri dovrebbero conservare intatta la loro autonomia di giudizio circa la (persistente) sussistenza della loro potestas iudicandi, pur a fronte della sua contestazione – ad opera del convenuto – in ragione dell’asserita (ma controversa) efficacia estintiva di detta potestas conseguente alla condotta omissiva tenuta dalla controparte nel giudizio statale: si sarebbe infatti senz’altro di fronte ad una situazione in cui i poteri degli arbitri sono contestati per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento. Far dunque “meccanicamente“ discendere, dalla condotta omissiva di una parte dinanzi al giudice statale, un’efficacia “paralizzante” la procedibilità del giudizio arbitrale (imponendo agli arbitri di limitarsi a constatare il venir meno del loro potere decisorio e, per l’effetto, a chiudere in rito il giudizio), svuoterebbe di contenuto e pregnanza la norma di cui all’art. 817, comma 2 c.p.c. Si potrebbe bensì argomentare che gli arbitri, pur mantenendo, sotto il profilo formale, il potere di decidere su quella contestazione (sopravvenuta e in altra sede), avrebbero tuttavia le mani legate sotto il profilo contenutistico, in quanto vincolati al fatto della sopravvenuta perdita di efficacia del patto arbitrale. Tuttavia, da un lato, tale conclusione sconterebbe la maggior pregnanza ed incisività attribuite ad una condotta omissiva (tra l’altro non supportata da una chiara manifestazione di volontà, univocamente espressa) rispetto a quelle tradizionalmente riconosciute ad una decisione statale sulla questione della competenza arbitrale, sulla cui efficacia ‘esterna’, in ragione della vigenza, anche in arbitrato, del principio Kompetenz Kompetenz, si è per anni espressa più di una riserva150 (oggi in certo qual modo codificata dal comma 2 dell’art. 000 xxx x.x.x., xxx xxxxxxxxxxxx xxxxxxxxx, xxxxx xxx xxxxxxx, dall’intervento della Corte costituzionale). Dall’altro lato, si sarebbe di fronte ad una palese compressione, anzi, a ben vedere, di un vero e proprio svuotamento di quello stesso principio Kompetenz Kompetenz che il disposto di cui al comma 2 dell’art. 817 c.p.c. (“(…) anche se i poteri degli arbitri sono contestati in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento”) pare invece aver inteso non solo riaffermare, ma financo
150 Secondo F.P. XXXXX, Rapporti fra arbitro e giudice, in Riv. arb. 2005, 783, dalla riconosciuta ammissibilità di domande giudiziali aventi ad oggetto l'invalidità o l'inefficacia della convenzione di arbitrato non dovrebbe necessariamente desumersi un’efficacia vincolante della pronuncia di incompetenza resa dal giudice ordinario nei confronti degli arbitri e viceversa.
rafforzare 151. La preclusione di cui al comma 1 dell’art. 819 ter c.p.c., dunque, si limita a rendere immune la competenza del giudice statale da possibili contestazioni, nella misura in cui preclude l’esperibilità, avverso la sua decisione affermativa, del regolamento di competenza. Non incide in alcun modo, invece, sul potere dell’arbitro di proseguire il giudizio instaurato dinanzi a lui o sul potere delle parti di deferire la medesima disputa in arbitrato o di contestare la competenza del giudice in un successivo processo, incardinato eventualmente ex novo a seguito dell’estinzione di quello in cui si sia verificata la preclusione152.
Le considerazioni che precedono ci pare valgano senz’altro nel caso in cui il procedimento arbitrale preceda quello ordinario, avendo in tal caso la parte già avuto occasione di manifestare la propria volontà di avvalersi della giustizia privata, sicché apparirebbe irragionevole attribuire alla sua passività dinanzi al giudice statale il significato di una rinuncia alla stessa 153. Ma identica conclusione dovrebbe estendersi alla situazione inversa (di previa instaurazione del giudizio statale), alla luce anche del fatto che l’art. 819 ter c.p.c. (da interpretare secondo quanto illustrato in precedenza) non distingue tra le due ipotesi.
Abstract
151 Così G.F. XXXXX, Sub art. 819 ter c.p.c., in X. XXXXX (a cura di), Arbitrato, cit., 509 ss., per il quale: “(…) se attribuissimo all’art. 819 ter il senso per cui la mancata proposizione dell’eccezione di incompetenza di fronte al giudice ordinario si riflette sul giudizio arbitrale impedendo la pronuncia del lodo, sarebbe come se l’arbitro fosse costretto a pronunciare la propria incompetenza senza che di fronte a lui fosse sollevata quella eccezione che l’art. 817, comma 3° ritiene essenziale per la pronuncia in oggetto”.
152 V., in tal senso, Cass. 20 febbraio 2015, n. 3464, per la quale la rinuncia ad avvalersi di una clausola compromissoria contenuta in un giudizio ormai concluso non può operare anche in un successivo giudizio relativo ad una controversia derivante sempre dal medesimo contratto, ma avente diverso petitum e causa petendi.
153 Per l’inapplicabilità della norma al caso in cui l’arbitrato sia stato instaurato preventivamente rispetto al giudizio ordinario, v. E. XXXXXXXX, L’eccezione di compromesso cit., 640; X. XXXXXXX, Sub art. 819 ter, in A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, cit., 885. Ove si ritenga che il meccanismo preclusivo sia destinato a operare anche in caso di previa pendenza del giudizio arbitrale, la previsione in questione rappresenterebbe di fatto una vistosa deroga al principio della perpetuatio iurisdictionis di cui all’art. 5 c.p.c., sulla cui applicabilità in sede arbitrale (attesa la qualifica dell’exceptio compromissi in termini di eccezione d’incompetenza), non dovrebbero esserci dubbi: X. XXXXXX, La pendenza del giudizio arbitrale, Torino 2008, 202 ss.
THE EFFECTS OF THE OMISSIONS OF THE PARTIES, IN ARBITRATION AND STATE COURT PROCEEDINGS, AS TO THE DETERMINATION OF THE (IN)VALIDITY OF AN ARBITRATION AGREEMENT
Il contributo affronta il tema degli effetti delle condotte omissive delle parti, in sede sia arbitrale che giudiziale, in relazione all’onere di proposizione della carenza di potestas iudicandi dell’organo adito in presenza di una convenzione arbitrale. Dopo aver esaminato i diversi casi di, lato sensu, “invalidità” del patto arbitrale (per sua inesistenza, nullità, inefficacia) e di carenza di potere decisorio degli arbitri per la loro irregolare costituzione, l’autore analizza, alla luce della giurisprudenza più recente, il regime approntato dal legislatore della riforma del 2006 (solo lievemente ritoccato dalla recente riforma Cartabia): non solo gli artt. 817 e 819 ter c.p.c., che si occupano dei rapporti e conflitti di “competenza” tra arbitro e giudice statale, dalla prospettiva, rispettivamente, del primo e del secondo, ma altresì, in una più ampia prospettiva sistematica, gli artt. 819 c.p.c. (questioni incidentali) e 829 c.p.c. (casi di nullità del lodo). Contrariamente alle posizioni di certa dottrina, l’autore conclude nel senso che gli effetti delle condotte omissive delle parti in relazione all’onere di proposizione della carenza di potestas iudicandi dell’organo adito in presenza di una convenzione arbitrale, sia in sede arbitrale che giudiziale, si limitano ad una preclusione processuale, che esaurisce cioè i propri effetti all’interno del procedimento in cui si sia verificata, senza alcuna efficacia esterna (sul potere decisorio dell’altro organo o sull’eventuale prosecuzione dell’altro procedimento già iniziato) e senza alcuna ricaduta sul piano sostanziale sull’esistenza e validità del patto arbitrale. Ciò implica che la preclusione a contestare la competenza dell’organo adito maturata nell’ambito di un procedimento, non rende necessariamente valido ed efficace il patto, che potrà essere contestato nell’ambito di un diverso e successivo procedimento. Tale conclusione, allineando il regime applicabile alle condotte omissive delle parti sia in arbitrato che nel giudizio statale, è in linea con la ratio ispiratrice della riforma del 2006, che ha inteso, quanto più possibile e sotto una molteplicità di profili, equiparare la giurisdizione privata e quella pubblica, preservando al contempo la rispettiva autonomia ed indipendenza.
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The paper addresses the issue of the effects of the omissions of the parties, both in arbitration and in court proceedings, in relation to the objection of potestas iudicandi of the adjudicatory body seised in the presence of an arbitration agreement. After an exam of the various cases of, lato sensu, "invalidity" of the arbitration agreement (due to its non- existence, nullity, ineffectiveness) and lack of decision-making power of the arbitrators due to their irregular constitution, the author analyses, in the light of the most recent case law, the regime introduced by the 2006 law refom (only slightly modified by the recent Cartabia reform): not only artt. 817 and 819 ter c.p.c., which deal with the relationships and conflicts of jurisdiction between arbitrator and state judge, from the perspective, respectively, of the first and the latter, but also, in a broader systematic perspective, artt. 819 c.p.c. (incidental
matters) and 829 c.p.c. (cases of nullity of the award). Contrary to the positions of certain doctrine, the author concludes in the sense that the effects of the omissive conduct of the parties, both in arbitration and in court, are limited to a procedural preclusion (“preclusione processuale”), which exhausts its effects within the proceedings in which it occurred, without any external effect (on the decision-making power of the other body or on the possible continuation of the other proceedings already started), as well as without any substantial impact on the existence and validity of the arbitration agreement. This implies that the preclusion to challenge the jurisdiction of the body seised in the context of arbitration or judicial proceedings does not necessarily render the agreement valid and effective: therefore the latter may be still be challenged in the context of a different and subsequent proceeding. This conclusion, aligning the regime applicable to the omissions of the parties both in arbitration and in state proceedings, is in line with the inspiring rationale of the 2006 reform, which aimed, as much as possible and under a variety of profiles, to equate the private and the public jurisdiction, while preserving their respective autonomy and independence.