CAP 1
INDICE
CAP 1
IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO PER LE AZIENDE DEL TERZO SETTORE
1.1 LE CARATTERISTICHE DEL NUOVO APPRENDISTATO pag. 1
1.2 I TRE DIVERSI CONTRATTI DI APPRENDISTATO pag. 1
1.3 ASPETTI COMUNI ALLE TRE TIPOLOGIE DI APPRENDISTATO pag.3
1.4 LA RISPOSTA DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLE
POLITICHE SOCIALI ALL’INTERPELLO N.16/2012 pag.4
1.5 LE NOVITA’ DI PARTICOLARE INTERESSE pag. 5
1.6 LE SANZIONI PER INADEMPIMENTO FORMATIVO pag. 6
1.7 LE ALTRE SANZIONI APPLICABILI pag. 7
1.8 LE INTEGRAZIONI PREVISTE DALLA RIFORMA DEL LAVORO pag.8
Cap. 2
LA BANCA DATI PER L’OCCUPAZIONE DEI GIOVANI GENITORI
2.1 LE DISPOSIZIONI DI RIFERIMENTO pag.10
2.2 CHI PUO’ ISCIRVERSI pag.10
2.3 LE MODALITA’ DI ISCRIZIONE pag.10
2.4 I DATORI DI LAVORO CHE POSSONO OTTENERE IL BENEFICIO PREVISTO E LE CONDIZONI PER OTTENERLO pag.11
2.5 LE CONDIZIONI CHE DETERMINANO LA CANCELLAZIONE
DEL LAVORATORE DALLA BANCA DATI pag.12
Cap. 3
LE OPPORTUNITA’ DA SFRUTTARE PER INTRODURRE NUOVE FIGURE COME SOCI DI COOPERATIVA E NELLE ODV
3.1 A CHI E’ VIETATO DIVENTARE SOCIO DI COOPERATIVA
IN BASE ALL’ART.2527 DEL CODICE CIVILE pag.14
3.2 LA FIGURA DEL SOCIO IN PROVA pag.14
3.3 LA POSSIBILITA’ DI SVOLGERE ATTIVITA’ DI VOLONTARIATO A TEMPO PIENO PER I DIPENDENTI DELLA P.A. PROSSIMI
ALLA PENSIONE pag.16
Cap. 4
I TERMINI PER IMPUGNARE IL LICENZIAMENTO
4.1 DA QUANDO PARTONO LE NUOVE REGOLE pag.17
4.2 LE TIPOLOGIE CONTRATTUALI A CUI APPLICARE
LA NUOVA NORMA pag.17
4.3 COME IMPUGNARE UN LICENZIAMENTO pag.19
4.4 COSA PREVEDE LA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO pag.19
Cap.5
LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI
5.1 LA FINALITA’ pag.21
5.2 I SOGGETTI ABILITATI ALLA CERTIFICAZIONE pag.21
5.3 COME SI PROCEDE ALLA CERTIFICAZIONE pag.22
5.4 COME OPPORSI ALLA CERTIFICAZIONE pag.23
Cap.6
LE NOVITA’ PREVISTE DALLA RIFORMA DEL LAVORO SULLE FORMULE CONTRATTUALI NON SUBORDINATE
6.1 LE DUE TIPOLIGIE DI PRESTAZIONI OCCASIONALI pag.25
6.2 I REQUISITI PER SVOLGERE
LE PRESTAZIONI OCCASIONALI pag.25
6.3 L’ITER CONSIGLIATO PER SVOLGERE
LA PRESTAZIONE OCCASIONALE pag.26
6.4 LE NUOVE PRESTAZIONI OCCASIONALI
DI TIPO ACCESSORIO pag.29
6.5 LE NUOVE XX.XX.XXX pag.31
6.6 COSA SI CONSIGLIA DI RICORDARE DEI VECCHI XX.XX.XXX pag.32
6.7 LA POSSIBILITA’ DI PARTECIPARE A GARE DI APPALTO
CON UN XX.XX.XXX. pag.33
6.8 LE PARTITE IVA pag.34
6.7 LE ASSOCIAZIONI IN PARTECIPAZIONE
CON APPORTO DI SOLO LAVORO pag.35
Cap. 7
IL PRIMO CONTRATTO PER I DIPENDENTI DI ASSOCIAZIONI
7.1 LA DATA DI SOTTOSCRIZIONE E LE SIGLE FIRMATARIE pag.36
7.2 VALIDITA’ E SFERA DI APPLICAZIONE pag.36
7.3 I DUE LIVELLI DI CONTRATTAZIONE E L’IMPORTANZA
DELLA CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO pag.38
7.4 LA PRESENZA DEL TELELAVORO E L’ASSENZA
DEL CONTRATTO RIPARTITO pag.40
7.5 I DIRIGENTI ED I QUADRI ED IL CONFRONTO CON IL PRESIDENTE DI COOPERATIVA SOCIO
LAVORATORE DIPENDENTE pag.41
7.6 L’ORARIO DI LAVORO pag.42
7.7 LA GESTIONE DEL PERIODO DI COMPORTO pag.42
7.8 I PUNTI SALIENTI DEL CODICE DISCIPLINARE pag.42
CAP. 1
IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO PER LE AZIENDE DEL TERZO SETTORE
1.1 LE CARATTERISTICHE DEL NUOVO APPRENDISTATO
L’ennesima riforma del contratto di apprendistato, avvenuta con l’entrata in vigore il 25 ottobre 2011 del Decreto Legislativo n. 167 del 14 settembre 2011, (vedi gazzetta ufficiale serie generale n. 236 del 10 ottobre 2011), deve essere valutata con molta attenzione soprattutto dalle cooperative sia nel caso in cui si intende allargare la base sociale sia nel caso in cui si intende assumere persone che di fatto risultano soltanto dipendenti.
E’ importante chiarire che la nuova disciplina normativa definisce il contratto di apprendistato un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato che ha come finalità la formazione e l’occupazione dei giovani, che potranno essere assunti in tutti i settori, compresa la pubblica amministrazione.
L’unica eccezione alla qualifica di contratto a tempo indeterminato la si potrebbe avere nelle attività aventi carattere stagionale, in quanto la contrattazione collettiva potrebbe prevedere contratti di apprendistato a tempo determinato.
Una prima importante ed interessante novità per le cooperative è la possibilità di formulare contratti di apprendistato anche con lavoratori in mobilità.
Altro punto di notevole interesse per le realtà del 3° settorre, con sedi in regioni differenti, riguarda il piano formativo. E’ stata prevista una notevole semplificazione: è possibile fare riferimento al piano formativo della regione dove è ubicata la sede legale della realtà del 3° settore, accentrando le comunicazioni nel servizio informatico della sede legale.
Interessante è valutare l’impossibilità per la realtà del terzo settore di interrompere il rapporto di lavoro con l’apprendista durante il periodo formativo.
1.2 I TRE DIVERSI CONTRATTI DI APPRENDISTATO
La prima tipologia di apprendistato è l’Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale applicabile in tutti i settori di attività, anche per l’assolvimento dell’obbligo scolastico, a ragazzi di età compresa tra quindici e venticinque anni compiuti. La durata del contratto è strettamente legata alla qualifica e al diploma che si intende conseguire e non potrà avere una durata superiore a tre anni per la componente formativa o quattro nel caso di diploma quadriennale regionale.
La regolamentazione dei profili formativi verrà delegata alle Regioni e alle Province Autonome di Trento e Bolzano.
La seconda tipologia è quella dell’Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere con cui è possibile assumere ragazzi da diciotto anni di età fino a ventinove. Solo per chi è in possesso di una qualifica professionale, l’età minima per essere assunti con questa tipologia contrattuale è diciassette anni.
Saranno gli accordi interconfederali e i contratti collettivi, considerando sia l’età del lavoratore che il tipo di qualificazione da raggiungere, a stabilire la durata e le modalità con cui dovrà essere erogata la formazione.
A tal proposito per le cooperative sono stati stipulati due differenti accordi interconfederali:
a) l’accordo siglato il 19 aprile 2012 tra AGCI,Confcooperative e Legacoop da un lato e CIGL, CISL e UIL dall’altro;
b) l’accordo siglato il 24 aprile 2012 tra U.N.C.I. e Confsal.
Sempre per quanto riguarda le cooperative sociali il contratto di apprendistato professionalizzante, previsto dal testo unico sull’apprendistato è disciplinato dall’attuale CCNL che ha come periodo di vigenza dal 1/1/2010 al 31/12/2012.
Tale contratto ha stabilito che l’apprendistato professionalizzante è ammesso per tutte le qualifiche e mansioni comprese nelle categorie: A, B, C, D ed E, ovvero nelle posizioni economiche da A2 a B2 previste dalla classificazione del personale prevista dall’ex articolo 47 del CCNL (inquadramento professionale) delle cooperative sociali relativo all’accordo del 30 luglio 2008.
Importante è invece sottolineare i profili sanitari per i quali non è possibile assumere con il contratto di apprendistato, ovvero:
- infermiere generico;
- infermiere;
- fisioterapista;
- logopedista;
- psicomotricista;
- medico;
- psicologo.
La durata contrattuale relativa alla componente formativa non dovrà essere superiore a tre anni o a cinque per le figure professionali dell’artigianato.
Qualora la cooperativa decidesse di far svolgere la formazione sotto la propria responsabilità, verrà integrata dalla offerta formativa pubblica interna o esterna alla cooperativa per un monte ore complessivo non superiore a centoventi nel triennio.
Le ragioni e le associazioni di categoria avranno la facoltà di definire le modalità per il riconoscimento della qualifica di maestro artigiano o di mestiere.
Infine per le attività a cicli stagionali, i contratti collettivi possono prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato.
La terza tipologia contrattuale prevista dalla riforma riguarda l’Apprendistato di alta formazione e ricerca che ha come finalità quella di conseguire un diploma di istruzione secondaria superiore, di titoli di studio universitari e di alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, con particolare riferimento ai diplomi relativi ai percorsi di specializzazione tecnologica degli istituti superiori, per il praticantato di
accesso alle professioni che prevedono l’iscrizione ad un ordine professionale, oppure per esperienze professionali di soggetti aventi una età compresa tra diciotto e ventinove anni.
Nel caso in cui le persone da assumere siano in possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi del decreto legislativo n. 226/2005, il contratto per apprendistato di alta formazione potrà essere stipulato a partire da diciassette anni.
Spetta alle singole regioni definire la regolamentazione e la durata del periodo di questa tipologia di apprendistato però, in assenza di regolamentazioni regionali, l’attivazione della tipologia di apprendistato esaminata in questo paragrafo è delegata ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca.
1.3 ASPETTI COMUNI ALLE TRE TIPOLOGIE DI APPRENDISTATO
Le tre tipologie contrattuali presentano alcuni aspetti disciplinari comuni.
Il primo riguarda i requisiti generali del contratto di apprendistato che sono:
- forma scritta del contratto, del patto di prova e del piano formativo individuale;
- divieto di retribuzione a cottimo;
- possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto alla qualifica che si intende far raggiungere al lavoratore;
- presenza di un tutor o referente aziendale;
- possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali tramite i fondi paritetici interprofessionali;
- possibilità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi oltre che dei percorsi di istruzione per gli adulti;
- possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio od altra causa di sospensione involontaria del rapporto, superiore a trenta giorni, rispettando quanto previsto dalla contrattazione collettiva;
- possibilità di forme e modalità per la conferma in servizio, senza ulteriori nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, una volta terminato il percorso di formazione, al fine di ulteriori assunzioni con contratto di apprendistato, rispettando i limiti numerici all’assunzione di apprendisti;
- registrazione della formazione svolta nel libretto formativo del cittadino;
- impossibilità di recedere dal contratto durante il periodo formativo se non per giusta causa o giustificato motivo;
- il recesso può avvenire con un preavviso che decorrerà dal giorno in cui termina il periodo formativo. Se nessuna delle parti recede dal contratto il rapporto proseguirà a tempo indeterminato.
Altro aspetto riguarda il periodo transitorio di sei mesi nel caso in cui in alcune regioni o settori la nuova disciplina dell’apprendistato non è immediatamente applicabile, disciplinato dall’articolo 7 comma 7 del decreto legislativo n. 167/2011.
Per le diverse tipologie di contratto di apprendistato, gli apprendisti non devono rientrare nel computo di particolari norme e istituti, tranne che non sia un contratto collettivo o una specifica norma a prevedere l’eccezione.
1.4 LA RISPOSTA DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI ALL’INTERPELLO N.16/2012
La Direzione Generale per l’Attività ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha risposto all’interpello n.16 del 14 giugno 2012 proposto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, riguardante la nuova disciplina del contratto di apprendistato.
Il primo quesito che è stato posto mira a sapere se per ottenere il parere di conformità in merito al Piano Formativo Individuale, richiesto dalla contrattazione collettiva, sia o meno obbligatoria l’iscrizione all’Ente Bilaterale di riferimento.
Il secondo quesito riguarda la possibilità di recedere dal contratto di apprendistato con preavviso a decorrere dal termine del periodo di formazione così come stabilito dall’articolo 2 comma 1 lett. m) del decreto legislativo 167/2011, nei casi in cui sussista il divieto di licenziamento dell’apprendista per causa di matrimonio (art.35 decreto legislativo 198/2006) o perché l’apprendista è in gravidanza (in questo caso fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro durante tale periodo) oppure fino al compimento di un anno del bambino. (art.54 decreto legislativo 151/2001)
Il Ministero ha risposto che la contrattazione collettiva pur potendo assegnare in modo legittimo un ruolo fondamentale agli Enti Bilaterali, non esiste in alcun modo l’obbligo di sottoporre all’Ente Bilaterale il Piano Formativo Individuale per il contratto di apprendistato professionalizzante. Tale obbligo non sussiste quanto meno per i datori di lavoro che non risultano iscritti alle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto il contratto collettivo applicato. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ritiene che l’obbligo di dover sottoporre il Piano Formativo Individuale all’Ente Bilaterale potrebbe sorgere solo per l’Apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale qualora la legge regionale dovesse prevederlo. Il Ministero ribadisce il non obbligo da parte del datore di lavoro di iscriversi all’Ente Bilaterale per l’ottenimento del parere di conformità, che quando viene fornito da tale Ente rappresenta, comunque, una valida garanzia per la corretta declinazione del Piano Formativo Individuale.
In definitiva l’Ente Bilaterale dovrà limitarsi a verificare se il piano formativo presentato risulta o meno congruo con la figura professionale che si intende formare. Inoltre il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ritiene che qualora dovesse essere richiesto un parere di conformità all’Ente Bilaterale e lo stesso dovesse ravvisare la necessità di apportare modifiche od integrazioni il personale ispettivo dovrà verificare, in sede di controllo sull’adempimento degli obblighi formativi, che siano state rispettate le indicazioni fornite dall’Ente Bilaterale; altrimenti l’azienda rischia una sanzione di carattere amministrativo.
Rispondendo al 2° quesito è stato ribadito che le cause di nullità del licenziamento (matrimonio, gravidanza, etc.) così come le disposizioni che limitano il licenziamento devono essere applicate anche agli apprendisti. Una volta terminato il periodo di
divieto al licenziamento, il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di recesso dal contratto, il cui periodo di preavviso dovrà partire dal termine del periodo di formazione, o dal termine dei periodi di divieto di licenziamento oggetto dell’interpello.
1.5 LE NOVITA’ DI PARTICOLARE INTERESSE
La prima novità di interesse è quella relativa ai lavoratori in mobilità, in modo particolare di coloro che usufruiscono della indennità di mobilità.
L’assunzione di un lavoratore in mobilità con il contratto di apprendistato deve avvenire a tempo pieno, perché una eventuale assunzione a tempo parziale comporta l’impossibilità per il datore di lavoro di ricevere i benefici previsti per chi assume lavoratori in mobilità.
Per valutare i benefici di cui potrebbe usufruire la cooperativa diventa indispensabile scindere il caso in cui il lavoratore in mobilità diventa socio della cooperativa, da quello in cui il lavoratore in mobilità viene ad essere assunto come semplice dipendente.
Nel primo caso il lavoratore in mobilità, così come ribadito dalla circolare Inps n.67 del 14 aprile 2011, potrà richiedere l’anticipazione della indennità non ancora usufruita ai sensi dell’articolo 7 comma 5 della L.223/1991; nel secondo caso invece sarà la cooperativa ad usufruire delle agevolazioni previste per l’assunzione di lavoratori dipendenti che percepiscono la indennità di mobilità, così come previsto dall’articolo 8 commi 2 e 4 ed articolo 25 comma 9 della L.223/1991.
L’Inps ha chiarito che l’anticipazione della indennità di mobilità può essere richiesta dal colui che intende diventare socio della cooperativa a prescindere dalla scelta del rapporto associativo che intende instaurare con la cooperativa, subordinato, autonomo o di collaborazione non occasionale, ai sensi dell’articolo 1 comma 3 della L.142/2001.
Altro argomento che offre lo spunto per una riflessione per le cooperative è quello relativo al divieto di interrompere il rapporto di lavoro durante il periodo di formazione.
A tal proposito diventa indispensabile ribadire la preminenza del rapporto associativo su quello lavorativo, per cui il rapporto di lavoro si estingue necessariamente ogni qual volta si verifica l’esclusione od il recesso del socio, così come sottolineato dalla circolare del ministero del lavoro n.10 del18 marzo 2004.
Considerando quanto appena riportato si dovrebbe dedurre che un apprendista che risulta socio di una cooperativa durante il periodo di formazione deve mantenere necessariamente la qualifica di socio, perché altrimenti si dovrebbe interrompere il rapporto lavorativo con la cooperativa.
Né d’altro canto la cooperativa può escludere l’apprendista come socio durante il periodo di formazione, anche se ritenuto “socio scomodo”. Chiaramente questo vincolo forzoso dovrebbe far riflettere non poco sulla scelta di accettare o meno come socio chi si intende assumere come apprendista.
Infine ritengo molto interessante la possibilità per una cooperativa che ha più sedi sparse in Italia di poter fare riferimento al piano formativo della regione dove è
ubicata la sede legale della cooperativa, accentrando le comunicazioni nel servizio informatico della sede legale. In questo modo si finisce con il semplificare la gestione della formazione obbligatoria prevista per gli apprendisti.
1.6 LE SANZIONI PER MANCATA FORMAZIONE
Il datore di lavoro che risulta essere l’unico responsabile della mancata erogazione della formazione tanto da impedire la realizzazione delle finalità formative, dovrà pagare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta considerando il livello di inquadramento contrattuale superiore sarebbe stato raggiunto dal lavoratore una volta terminato il periodo di apprendistato. L’importo che verrà fuori come differenza dovrà essere maggiorata del 100% con esclusione di qualunque altra sanzione prevista per omessa contribuzione.
Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali ha esaminato i casi in cui si potrebbe configurare la colpa esclusiva del datore di lavoro per la mancata formazione dell’apprendista.
Per quanto riguarda l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale il datore sarà ritenuto responsabile nel caso in cui non consentirà al lavoratore di seguire i percorsi formativi esterni alla azienda previsti dalla regolamentazione regionale e non effettuerà la formazione interna prevista dalla stessa regolamentazione regionale con riferimento alla offerta formativa pubblica.
Il datore di lavoro sarà ritenuto responsabile della mancata formazione dell’apprendista assunto con contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere quando non permetterà al lavoratore di seguire percorsi formativi esterni all’azienda con il solo fine di acquisire le competenze di base e trasversali e/o non effettuerà la formazione interna che per il testo unico dell’apprendistato deve essere svolta sotto la responsabilità della azienda.
Sarà ritenuto responsabile il datore di lavoro per mancata erogazione della formazione all’apprendista assunto con un contratto di apprendistato di alta formazione e di apprendistato di ricerca quando non consentirà al lavoratore di seguire i percorsi formativi anche esterni alla azienda predisposti dalla regione.
Il datore di lavoro non verrà sanzionato immediatamente qualora dovesse rilevarsi, a seguito di visita ispettiva, una carenza formativa dell’apprendista, ritenuta recuperabile, causata solo per colpa del datore di lavoro.
In questo caso l’ispettore inviterà il datore di lavoro a riprogrammare, senza modificare i contenuti sostanziali, il piano formativo in modo da recuperare un numero congruo le ore di formazione in un termine congruo. In questo modo si metterà il datore di lavoro nella condizione di poter rispettare già dall’anno successivo il piano previsto per la formazione individuale dell’apprendista.
Qualora il datore di lavoro non rispetterà le indicazioni fornite, sarà sottoposto ad una sanzione amministrativa compresa tra €515 ed €2.580.
Dovrà essere comminata la sanzione immediatamente, senza possibilità di recupero delle ore di formazione, se il contratto di formazione sta terminando.
Nessuna sanzione dovrà invece essere comminata quando la carenza formativa è dovuta solo ed esclusivamente alla mancanza dei canali di formazione pubblica. In
questo caso l’ispettore dovrà limitarsi a rilevare la carenza formativa nel verbale senza prendere alcun provvedimento fornendo all’apprendista una informativa sintetica.
1.7 LE ALTRE SANZIONI APPLICABILI
E’ prevista una sanzione amministrativa compresa tra €100 ed €600, ed in caso di recidiva compresa tra €300 ed € 1.500 se il contratto dell’apprendista non prevede:
- la forma scritta del contratto, del patto di prova e del relativo piano formativo individuale;
- il divieto della retribuzione a cottimo;
- la possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro;
- la presenza di un tutore o referente aziendale.
Inoltre non solo è possibile contestare la sanzione a tutti gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza, ma è possibile utilizzare la procedura di diffida obbligatoria.
A questo punto il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali evidenzia le conseguenze che si hanno con la possibilità di usufruire della diffida obbligatoria relativamente alla forma scritta del contratto.
In questo caso non solo sarà possibile regolarizzare tutti i contratti di apprendistato esistenti differiscono per quanto attiene la parte contenutistica considerando quanto prevede la contrattazione collettiva, ma addirittura è possibile regolarizzare la posizione quando addirittura non è stato redatto il contratto di apprendistato individuale per iscritto. Questo è possibile solo perché la trasformazione del contratto di apprendistato in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato viene lasciata alla sola volontà del lavoratore.
Inoltre il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la circolare n.29/2011 ha chiarito che la mancanza di forma scritta del contratto di apprendistato non può essere assolta con la presentazione della copia della comunicazione di assunzione al Centro per l’Impiego, in quanto per evitare la sanzione per mancanza di forma scritta del contratto di apprendistato occorre consegnare a mano al lavoratore il contratto individuale di lavoro.
Qualora invece oltre alla forma non c’è stata la comunicazione al Centro per l’Impiego il rapporto di lavoro dovrà considerarsi un vero e proprio rapporto di lavoro “in nero”, e dovrà essere sanzionato così come previsto dalla circolare del Ministero del Lavoro n.38/2010. Pertanto diventa impossibile regolarizzare il rapporto di lavoro con un contratto di apprendistato.
Infine il datore potrà essere sanzionato quando provvede a formalizzare per iscritto il contratto di apprendistato, ma la formalizzazione sia avvenuta successiva alla instaurazione del rapporto di lavoro, oppure difforme od incompleta considerando i modelli ed i contenuti previsti e resi obbligatori dal contratto collettivo nazionale di
lavoro applicabile al contratto di apprendistato che risulta essere oggetto di verifica ispettiva.
1.8 LE INTEGRAZIONI PREVISTE DALLA RIFORMA DEL LAVORO
A partire dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della L.92 del 28 giugno 2012 (riforma del mercato del lavoro) pubblicata nel Supplemento Ordinario della Gazzetta ufficiale n. 153 del 3 luglio 2012, si dovrà tener conto delle modifiche ed integrazioni apportate al testo unico sull’apprendistato.
La prima integrazione riguarda l’articolo 2 del decreto legislativo 167/2011 prevista dal comma 16 lettera <<a bis) dell’articolo 1 della L.92/2012 in merito alla durata minima di sei mesi del contratto di apprendistato. Da questo limite sono esclusi tutti i datori di lavoro che svolgono attività in cicli stagionali per i quali è possibile prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto di apprendistato anche a tempo determinato.
Alla lettera b) del comma 16 dell’articolo 1 della L.92/2012 è stato chiarito che quando si intende recedere dal contratto di apprendistato il preavviso deve decorrere dal termine del periodo di formazione.
Altra modifica che partirà per le assunzioni di apprendisti effettuate dal 1° gennaio 2013 riguarda il numero massimo di lavoratori che possono essere assunti sia in somministrazione che direttamente, considerando quanto previsto dal nuovo comma
3 del decreto legislativo 167/2011 introdotto dalla lettera c) del comma 16 dell’articolo 1 della L.92/2012.
Il datore di lavoro che non ha alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che ne abbia in numero inferiore a tre unità, potrà assumere massimo tre apprendisti.
Qualora si intendesse inserire in azienda un apprendista servendosi di una agenzia di somministrazione è esclusa la possibilità di farlo con un contratto di somministrazione a tempo determinato.
E’ stato stabilito che un datore di lavoro, non artigiano, potrà assumere apprendisti in rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate che ha in organico. Nel caso in cui il datore di lavoro ha in organico un numero di lavoratori inferiore a dieci, il numero degli apprendisti non dovrà superare il 100% delle maestranze specializzate e qualificate presenti in organico.
Per quanto attiene invece le imprese artigiane dovranno applicarsi le disposizioni previste dall’articolo 4 della L.443 dell’8 agosto 1945.
L’introduzione del comma 3 bis del nuovo articolo 2 del decreto legislativo 167/2011, introdotto dalla lettera d) del comma 16 dell’articolo 1 della L.92/2012 prevede che per i primi 3 anni, ovvero fino al 18 luglio 2015, per le aziende al di sopra dei 10 dipendenti dovranno essere stati stabilizzati almeno il 30% degli apprendisti. Dopo i tre anni un datore di lavoro che ha in organico più di dieci dipendenti per assumere nuovi apprendisti dovrà, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, aver fatto proseguire almeno il 50% dei rapporti di lavoro relativi ai contratti di apprendistato. Nel conteggiare i contratti di apprendistato che sono
proseguiti non dovranno essere considerati i rapporti di lavoro cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o licenziamento per giusta causa.
Nel caso in cui l’azienda non rispetti la percentuale appena citata o non confermi alcun apprendista all’azienda con meno di dieci dipendenti è consentito assumere solo un altro apprendista.
Gli apprendisti comunque assunti dall’azienda in violazione dei limiti appena descritti, saranno considerati dipendenti assunti a tempo indeterminato partendo dalla data in cui è stato costituito il rapporto di lavoro.
Cap. 2
LA BANCA DATI PER L’OCCUPAZIONE DEI GIOVANI GENITORI
2.1 LE DISPOSIZIONI DI RIFERIMENTO
L’articolo 1, commi 72 e 73 della L.247 del 24 dicembre 2007 modificato dalla L.191 del 23 dicembre 2009 , ha istituito presso il Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri il Fondo di sostegno per l’occupazione e l’imprenditoria giovanile.
Tale fondo a seguito della emanazione del Decreto ministeriale del 19 novembre 2010 è stato finanziato con € €51.000.000, per realizzare interventi miranti all’occupazione di persone aventi una età non superiore a 35 anni di età e con figli minori.
Successivamente il Dipartimento della Gioventù ha stipulato con l’Inps una apposita convenzione con la quale ha affidato all’istituto previdenziale sia la gestione della stessa Banca Dati che l’incentivo previsto in caso di assunzione di giovani iscritti nella stessa.
Infine l’Inps per fornire chiarimenti operativi sulla Banca Dati per l’occupazione dei giovani genitori ha reso nota la circolare n.115 del 5 settembre 2011.
2.2 CHI PUO’ ISCIRVERSI
Possono iscriversi alla banca dati coloro che possiedano, alla data di presentazione della domanda, congiuntamente i seguenti requisiti:
1. età non superiore a 35 anni (da intendersi fino al giorno precedente il compimento del trentaseiesimo anno di età);
2. essere genitori di figli minori - legittimi, naturali o adottivi - ovvero affidatari di minori;
3. essere titolari di uno dei seguenti rapporti di lavoro, od averli cessati: lavoro subordinato a tempo determinato, lavoro in somministrazione, lavoro intermittente, lavoro ripartito, contratto di inserimento, collaborazione a progetto o occasionale lavoro accessorio, collaborazione coordinata e continuativa.
La persona che ha terminato uno dei rapporti di lavoro appena indicati deve presentare come requisito la registrazione dello stato di disoccupazione presso un Centro per l’Impiego.
E’ stato stabilito che è indispensabile per il giovane conservare i requisiti sia anagrafici che lavorativi per poter continuare ad essere iscritto nella Banca Dati.
2.3 LE MODALITA’ DI ISCRIZIONE
Il giovane genitore interessato all’iscrizione nella Banca Dati potrà effettuarla on line dal sito dell’Inps seguendo la seguente procedura:
- cliccare sul link “servizi al cittadino”;
- successivamente andare su “autentificazione con PIN”;
- “fascicolo previdenziale del cittadino”;
- “comunicazioni telematiche”;
- “invio comunicazioni”;
- “iscrizione banca dati giovani genitori”.
Una vola selezionata quest’ultima voce è possibile compilare on line il modulo di iscrizione alla Banca Dati.
L’iscrizione può essere effettuata anche collegandosi al sito del Dipartimento della Gioventù xxx.xxxxxxxx.xxx.xx, sempre dopo aver ricevuto dall’Inps il PIN di autenticazione.
Una volta che si è ricevuto l’esito positivo della procedura di compilazione della domanda di iscrizione alla Banca Dati il sistema informatico rilascerà un attestato di iscrizione dove viene riportata la data di scadenza dell’iscrizione stessa. Il numero iniziale di protocollo rappresenta il “Codice identificativo univoco” (CIU) dell’iscrizione che è indispensabile per accedere alla domanda acquisita in modo da comunicare eventuali variazioni che possono (es. nascita di un figlio) oppure per cancellarsi dalla Banca Dati.
2.4 I DATORI DI LAVORO CHE POSSONO OTTENERE IL BENEFICIO PREVISTO E LE CONDIZONI PER OTTENERLO
Il beneficio che otterrebbe un datore di lavoro che assume, una persona iscritta alla Banca Dati per l’Occupazione dei giovani genitori, a tempo indeterminato anche part-time è di €5.000 ed è cumulabile con altri incentivi previsti dalle attuali norme in vigore.
Interessate a tale incentivo sono sia le imprese private le società cooperative, solo per i soci che instaurano con la cooperativa un rapporto di lavoro dipendente, oltre alle imprese sociali istituite ai sensi del decreto legislativo 154 del 24 marzo 2006. Non potranno beneficiare dell’incentivo gli enti pubblici economici e non economici oltre ai datori che non potranno essere qualificati come imprenditori ai sensi del codice civile.
Le aziende interessate all’incentivo potranno beneficiarne qualora o assumono un dipendente a tempo indeterminato, anche parziale, oppure trasformano un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato anche parziale.
Ogni azienda potrà assumere al massimo cinque dipendenti iscritti alla Banca Dati per l’occupazione dei giovani genitori.
Naturalmente requisito oggettivo indispensabile per usufruire del beneficio è che il lavoratore al momento dell’assunzione risulti iscritto alla Banca Dati.
Una azienda o cooperativa potrà verificare che il lavoratore da assumere sia o meno iscritto alla Banca Dati consultando la stessa con il semplice inserimento del codice fiscale del lavoratore.
Inoltre le aziende che intendono usufruire del beneficio previsto dalla assunzione di un lavoratore iscritto alla Banca Dati, dovranno trovarsi in una delle seguenti condizioni:
- l’assunzione non deve essere effettuata per far fronte all’obbligo previsto dalla L.68/1999, ovvero per rispettare l’obbligo del collocamento obbligatorio;
- l’azienda non deve aver effettuato nei sei mesi precedenti all’assunzione licenziamenti sia per giustificato motivo oggettivo che per riduzione di personale, tranne che la nuova assunzione sia finalizzata ad acquisire professionalità sostanzialmente differenti rispetto a quelle dei lavoratori licenziati;
- il datore di lavoro non deve avere in atto sospensioni dal lavoro o riduzioni di orario di lavoro dovute per crisi aziendale, ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione industriale, tranne che l’assunzione sia finalizzata all’assunzione di professionalità sostanzialmente differenti rispetto a quelle dei lavoratori sospesi od ai quali è stato ridotto l’orario di lavoro;
- il lavoratore che l’azienda intende assumere non deve risultare, nei sei mesi precedenti all’assunzione, essere stato licenziato dalla stessa azienda o da una impresa ad essa collegata o con assetti proprietari sostanzialmente coincidenti.
E’ stato stabilito un limite al beneficio che è strettamente legato allo stanziamento previsto dal Decreto del Ministero della Gioventù del 19 novembre 2010.
Quando i datori di lavoro avranno utilizzato l’80% degli €51.000.000 previsti dal decreto ministeriale l’Inps sospenderà le iscrizioni dei lavoratori alla Banca Dati e con l’approssimarsi dell’ esaurimento dell’importo messo a disposizione bloccherà definitivamente il riconoscimento degli incentivi ai datori di lavoro, dandone informazione con i mezzi di comunicazioni ritenuti più opportuni.
2.5 LE CONDIZIONI CHE DETERMINANO LA CANCELLAZIONE DEL LAVORATORE DALLA BANCA DATI
Un lavoratore iscritto alla Banca Dati per l’Occupazione dei Giovani Genitori, perderà il diritto a rimanere iscritto quando:
- compie 36 anni di età;
- i figli minori raggiungeranno tutti la maggiore età;
- cessa l’affidamento del minore;
- si interrompe l’assunzione a tempo indeterminato anche parziale.
La cancellazione dalla Banca Dati avviene automaticamente in tutti i casi tranne quando cessa l’affidamento del minore. Solo in quest’ultimo caso spetta al lavoratore provvedere alla cancellazione del proprio nominativo dalla Banca Dati.
Lo stesso lavoratore che viene cancellato dalla Banca Dati potrà riscriversi, solo se si verificheranno nuovamente le condizioni previste per legge.
Cap. 3
LE OPPORTUNITA’ DA SFRUTTARE PER INTRODURRE NUOVE FIGURE COME SOCI DI COOPERATIVA E NELLE ODV
3.1 A CHI E’ VIETATO DIVENTARE SOCIO DI COOPERATIVA IN BASE ALL’ART.2527 DEL CODICE CIVILE
L’articolo 2527 del codice civile ha stabilito che non può diventare socio di cooperativa chi svolge attività di impresa che risulti essere identica od affine a quella svolta dalla cooperativa.
Analizzando questo passaggio è possibile dedurre che chi svolge una attività in proprio con partita iva simile a quella della cooperativa non può divenire socio, in alcun modo. Tale esclusione è categorica, ma non insuperabile.
L’unico modo per rientrare tra i soci rimane sicuramente quello di chiudere la propria partita iva, e quindi cessare la propria attività, per poi chiedere di entrare in cooperativa con la qualifica di socio.
In questo modo la persona interessata sicuramente è in grado di dimostrare di aver interrotto la attività svolta in proprio affine od identica a quella svolta dalla cooperativa, ostacolo per divenire soci.
Il passaggio appena descritto può essere anche effettuato a distanza di pochissimo tempo in quanto l’articolo 2527 del codice civile non pone alcun limite temporale da rispettare dall’interruzione della attività simile a quella svolta dalla cooperativa all’acquisizione di qualifica di socio. Inoltre l’unico requisito che vieta l’entrata di un socio nella cooperativa è lo svolgimento di attività identica od affine, che presume non un lavoro di tipo subordinato, ma una attività di tipo autonomo.
Quindi una volta cessata formalmente l’attività svolta in proprio, la persona interessata non ha alcun tipo di ostacolo che gli impedisce di entrare in cooperativa con la qualifica di socio.
A questo punto la persona interessata potrà a sua scelta scegliere ad esempio la attività che intende intraprendere e per assurdo potrà anche scegliere di divenire un socio lavoratore di tipo autonomo.
Infatti considerando che non può divenire socio di cooperativa una persona che svolge la stessa attività della cooperativa, è possibile far cessare l’attività ad un concorrente invitandolo a divenire socio in prova essendo di fatto un dipendente della cooperativa. Questa idea potrebbe di fatto trovare terreno fertile nelle persone che sono in difficoltà, soprattutto in questo periodo economico e che potrebbero mettere a disposizione della cooperativa tutto il loro bagaglio di esperienza maturato
3.2 LA FIGURA DEL SOCIO IN PROVA
La nuova figura di socio in prova, introdotta dal nuovo articolo 2527 del codice civile, rappresenta una delle ultime novità nell’ambito del panorama cooperativistico. Tale figura è strettamente legata ad un limite quantitativo che prevede il non superamento di un terzo del numero complessivo dei soci cooperatori, ed un limite
temporale massimo relativo al periodo di prova stabilito in cinque anni, al termine del quale si acquisiscono tutti i diritti previsti per gli altri soci.
Alla luce di tale asserzione è facile intuire come il socio iscritto nella categoria speciale, non può optare per la tipologia del rapporto di lavoro da intraprendere con la cooperativa, così come previsto dal comma 3 dell’articolo 1 della L.142/2001.
D’altro canto se il socio in prova deve operare all’interno della struttura cooperativistica dovrà comunque essere inquadrato in base alla tipologia di rapporto di lavoro che verrà a configurarsi, non da esterno ma da socio “particolare”.
Pertanto non potendo il socio in prova esercitare il diritto di scegliersi la tipologia del rapporto di lavoro da intraprendere con la cooperativa, spetterà a quest’ultima definire il rapporto che non potrà che essere di tipo subordinato.
Questo perchè durante il periodo di prova la cooperativa dovrà provvedere all’inserimento del socio nell’ambito della impresa, provvedendo anche alla sua formazione.
Una differente tipologia di rapporto di lavoro, autonomo o a progetto, prevede per logica che le persone con cui la cooperativa stipula tali contratti siano già formati. Inoltre occorre ricordare che essendo anche il contratto a progetto di natura autonoma non spetta alla cooperativa dover provvedere alla formazione del socio in prova.
Importante è chiarire che la durata del contratto non dovrà essere superiore al periodo di prova stabilito nell’atto costitutivo della cooperativa.
Interessante diventa la disamina relativa alla scelta del rapporto di lavoro subordinato, alla luce anche della finalità formativa abbinata alla figura del socio inserito nella categoria speciale.
Tra le tipologie contrattuali esistenti quella da prendere in considerazione può essere quello di apprendistato professionalizzante potrebbe essere applicato al socio in prova di cooperativa, avente una età compresa tra diciotto e ventinove anni, quando si intende nell’ambito del percorso formativo fargli acquisire competenze di base sia trasversali che tecnico professionali.
La durata di tale tipologia contrattuale rientra nei cinque anni massimi in cui un socio può essere in prova; infatti la sua durata è di tre anni che potrebbe arrivare a cinque per lavori artigianali.
E’ chiaro che per una cooperativa la decisione di avere soci in prova deve valutarlo attentamente verificandone la convenienza.
La prima considerazione che deve essere effettuata riguarda il fatto di sperimentare in un lasso di tempo sufficiente, pari al periodo di prova previsto, se queste persone effettivamente nel tempo recepiscono la differenza tra socio di cooperativa e dipendente.
La seconda considerazione che deve essere effettuata riguarda il fatto che si vuole sperimentare la bontà ed affidabilità del soggetto prima di farlo diventare a tutti gli effetti un socio di cooperativa effettivo, senza in alcun modo farlo partecipare alla vita della cooperativa.
Altro punto interessante da considerare è che questa persona durante tutto il periodo non è altro che un vero e proprio dipendente, con tutti i diritti e doveri del dipendente e con nessun diritto e dovere di socio di cooperativa.
Interessante potrebbe essere l’inserimento come socio in prova di soggetti ritenuti interessanti, ma che necessitano di formazione.
Questo significa vincolare queste persone sperimentando la loro validità e capacità di recepire il ruolo di socio di cooperativa, per poi inserirle a pieno titolo nella vita della cooperativa.
3.3 LA POSSIBILITA’ DI SVOLGERE ATTIVITA’ DI VOLONTARIATO A TEMPO PIENO PER I DIPENDENTI DELLA P.A. PROSSIMI ALLA PENSIONE
L’Articolo 2 comma 53 della L. 10 del 26 febbraio 2011 (decreto mille proroghe) ha prorogato fino al 2014 la possibilità del prepensionamento per i pubblici dipendenti (escluso il personale scolastico) a cui mancano 5 anni al compimento dell’anzianità contributiva di 40 anni per il raggiungimento della pensione .
Tale opportunità era stata introdotta nel nostro ordinamento dall’articolo 72 del D.L.112/2008 scadeva il 31 dicembre del 2011 e rischiava di non essere più attuabile. Praticamente il dipendente pubblico deve inoltrare la domanda alla amministrazione di appartenenza entro il 31 marzo di ogni anno scegliendo o di non svolgere alcuna attività per cui incasserà dalla P.A. solo il 50% di quanto percepito, oppure di svolgere l’attività di volontariato in modo continuativo ed esclusivo, opportunamente documentato e certificato, percependo sempre dalla P.A. il 70% del suo stipendio.
L’attività di volontariato potrà essere svolta presso organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni di promozione sociale, Ong che operano nella cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.
E’ chiaro che una simile opportunità permette per le organizzazioni interessate, in quanto riuscirebbero da un lato a sfruttare professionalità con esperienza a costo zero, ed inoltre avvicinerebbero in questo modo altre persone al mondo del volontariato.
Cap. 4
I TERMINI PER IMPUGNARE IL LICENZIAMENTO
4.1 DA QUANDO PARTONO LE NUOVE REGOLE
A partire dal 31 dicembre 2011 sono cambiate le regole per impugnare i licenziamenti, diventando così efficaci le disposizioni previste dall’articolo 32 della
L.183 del 4 novembre 2010, meglio conosciuta come Collegato Xxxxxx.
A dire il vero la data di inizio delle nuove regole per impugnare i licenziamenti è stata di fatto stabilita dal Decreto Milleproroghe riferito all’anno 2011 (D.L. 225 del
29 dicembre 2010 successivamente convertito nella L.10 del 26 febbraio 2011), poiché inizialmente il Collegato Xxxxxx aveva stabilito che l’inizio di questa nuova regola sarebbe dovuta partire dal 24 novembre 2010.
Da un punto di vista normativo con l’articolo 32 del Collegato Xxxxxx sono stati sostituiti i primi due commi dell’articolo 6 della L.604 del 15 luglio 1966, prevedendo che questa disposizione venga ad essere applicata a tutti i licenziamenti ritenuti invalidi.
Le nuove regole per impugnare un licenziamento prevedono un doppio passaggio che l’interessato dovrà effettuare:
- l’impugnazione del licenziamento entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione ;
- il deposito del ricorso in tribunale nei successivi 270 giorni.
Considerando la precedente disposizione normativa due sono le novità da considerare.
La prima è data dall’accorciamento dei tempi per l’impugnazione di un licenziamento che passa da 5 anni a 270 giorni; l’altra invece riguarda l’unicità della procedura per impugnare il licenziamento sia nei confronti di un datore di lavoro (nei casi di lavoro dipendente) che di un committente (nei casi di contratto a progetto).
Vi è però una alternativa alla presentazione del ricorso: proporre alla controparte il tentativo di conciliazione oppure l’arbitrato, interrompendo i termini di prescrizione e sospendendo ogni termine di decadenza per tutta la sua durata e nei 20 giorni successivi.
Infine ulteriori novità sono state previste con l’entrata in vigore della L.92/2012 (Riforma del mercato del lavoro).
4.2 LE TIPOLOGIE CONTRATTUALI A CUI APPLICARE LA NUOVA NORMA
Per comprendere a quali tipologie contrattuali è possibile applicare la nuova disposizione occorrerà rifarsi a quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 32 del Collegato Lavoro che prevede che le nuove regole di impugnazione del licenziamento si applicano a tutti i casi di invalidità, ossia nullità ed annullabilità, dello stesso.
Inoltre sono interessati dal provvedimento, così come previsto dal comma 3 dell’articolo 32 del Collegato Lavoro, anche:
- i licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, ovvero alla legittimità del termine riportato nel contratto;
- al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa anche nelle modalità a progetto;
- al trasferimento del lavoratore avvenuto ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile, con decorrenza dalla data del provvedimento;
- all’azione di nullità del termine apposto sul contratto (articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 368/2001) è già conclusi alla data di entrata in vigore della legge con decorrenza dalla data di scadenza del termine;
- ai contratti a termine stipulati anche in applicazione di norme previgenti al decreto legislativo 368/2001 già conclusi alla data del 24 novembre 2010;
- alla cessione del contratto di lavoro per trasferimento di azienda, con decorrenza dalla data del trasferimento;
- in ogni altro caso in cui si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto, anche nel caso in cui si verifica la somministrazione irregolare.
Importante a questo punto è chiarire da quando una persona licenziata dovrà adeguarsi alle nuove disposizioni e quando dovrà seguire la normativa precedente?
Considerando il rinvio applicativo dell’articolo 32 del Collegato Xxxxxx, posto in essere dal decreto mille proroghe, e considerando anche che un licenziamento risulta efficace nel momento in cui la comunicazione dello stesso viene ricevuta dal lavoratore, è possibile affermare:
- chi ha ricevuto una lettera di licenziamento prima del 31 dicembre 2011 dovrà rispettare la precedente normativa per quanto attiene l’impugnazione, ovvero deve impugnare il licenziamento prima entro i 60 giorni, ma non dovrà soggiacere al rispetto del successivo termine dei 270 giorni. In questo caso si avrà tempo 5 anni per proporre ricorso al giudice;
- chi invece ha ricevuto una lettera di licenziamento dal 31 dicembre 2011 per impugnare il licenziamento dovrà rispettare le nuove regole.
Nulla invece è stato chiarito in merito ai casi in cui il lavoratore abbia ricevuto la lettera di licenziamento nel periodo di tempo compreso tra il 24 novembre 2010, entrata in vigore del Collegato Lavoro, e la data di entrata in vigore del Milleproroghe che ha di fatto slittare i termini previsti dall’articolo 32 del Collegato Lavoro al 31 dicembre 2011. In pratica come ci si dovrà comportare nel caso in cui un lavoratore ha impugnato il licenziamento rispettando le nuove regole prima del Milleproroghe?
4.3 COME IMPUGNARE UN LICENZIAMENTO
Il lavoratore che intende impugnare il suo licenziamento dovrà farlo con un atto scritto extragiudiziale, anche tramite l’intervento della organizzazione sindacale, entro il termine perentorio di 60 giorni dalla data in cui viene ad essere comunicato al lavoratore il recesso.
Il lavoratore nell’impugnare il licenziamento non è tenuto a specificare i motivi della contestazione, ma dal suo scritto deve emergere la precisa volontà di impugnare il provvedimento che è stato emesso nei suoi confronti.
Di fatto però l’impugnazione del licenziamento si perfeziona solo quando la volontà manifestata dal lavoratore viene ad essere nota al datore di lavoro.
Il passo successivo deve essere quello previsto dall’articolo 32 comma 1 del Collegato Lavoro, ovvero entro 270 giorni dovrà essere depositato il ricorso presso la Cancelleria del Tribunale, altrimenti l’impugnazione del licenziamento effettuato entro 60 giorni sarà ritenuto inefficace.
Altro punto nodale la possibilità da parte del lavoratore di richiedere il tentativo di conciliazione ed arbitrato, che non essendo più obbligatori, risulteranno facoltativi prima di presentare il ricorso. Qualora entrambi siano stati rifiutati, il lavoratore avrà tempo 60 giorni per il deposito del ricorso.
Una riflessione di carattere pratico in merito alla riduzione dei tempi per poter impugnare il licenziamento va evidenziata.
L’aver ridotto a 60 giorni i termini per l’impugnativa dei licenziamenti metterà molti lavoratori precari, compresi i somministrati, nella condizione di evitare questa procedura nella speranza di vedersi rinnovato il contratto.
Questo permetterà a molti datori di lavoro senza scrupoli di effettuare false promesse nei confronti dei lavoratori per evitare problemi, facendo decorrere i 60 giorni previsti per legge.
4.4 COSA PREVEDE LA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO
La riforma del mercato del lavoro prevede all’articolo 1 dal comma 37 al 43 riferito modifiche alla L.604 del 15 luglio 1966 (licenziamenti individuali) e dal comma 44 sui licenziamenti collettivi.
La prima novità è quella introdotta dall’articolo 1 comma 37 e riguarda l’obbligo per il datore di lavoro che decide di licenziare un suo dipendente di dover specificare, nella lettera di licenziamento, i motivi che lo hanno determinato, ovvero non sarà più sufficiente spiegare che il licenziamento è avvenuto per giusta causa o giustificato motivo oggettivo o soggettivo, ma dovranno essere spiegati i reali motivi che hanno spinto il datore a licenziare.
Questo significa che nel caso in cui un lavoratore dovesse ricevere una comunicazione di licenziamento priva della motivazione la stessa può essere impugnata dal lavoratore con la certezza di rendere nullo il licenziamento.
Nella lettura del comma 38 dello stesso articolo nulla si dice in merito alla tempistica da rispettare per impugnare il licenziamento (60 giorni); mentre una novità importante è prevista per quanto attiene i tempi da rispettare per la presentazione del ricorso presso il tribunale, che di fatto si accorciano ulteriormente.
Infatti al comma 38 dell’articolo 1 della L.92/2011 è stato previsto che il ricorso relativo al deposito in tribunale del ricorso dovrà avvenire non più entro 270 giorni, ma entro 180 giorni dalla data in cui il lavoratore ha provveduto ad impugnare il licenziamento a partire dal 18 luglio 2012 data di entrata in vigore della riforma del lavoro.
In questo modo il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire per accorciare ancora più i tempi per risolvere le controversie in materia di lavoro, cercando di fornire risposte immediate ai lavoratori che si vedono violati i propri diritti.
Un iter differente è stato previsto per i datori di lavoro che hanno i requisiti dimensionali previsti dal comma 9 dell’articolo 18 della L.300 del 20 maggio 19770 (statuto dei lavoratori), ovvero per coloro che hanno più di 15 dipendenti nell’ambito comunale o più di 60 in ambito nazionale e 5 dipendenti se datori di lavoro agricoli.
Questi soggetti prima di comunicare il licenziamento al lavoratore devono seguire un preciso iter con il quale si tenti una conciliazione tra le parti.
In primis sono tenuti ad effettuare una comunicazione alla Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente, e per conoscenza al lavoratore, in cui si dichiara l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo indicandone non solo i motivi dello stesso, ma anche le eventuali misure si assistenza al lavoratore volte alla sua ricollocazione.
A questo punto spetterà alla Direzione provinciale convocare le parti entro 7 giorni dal ricevimento della richiesta, convocando le parti presso la Commissione provinciale di conciliazione prevista dall’articolo 410 del codice di procedura civile. Sia la parte datoriale che il lavoratore potranno farsi assistere o da un consulente del lavoro o da un legale o da un rappresentate sindacale alla cui confederazione le parti risultano iscritte.
Attenzione: la comunicazione relativa alla convocazione sarà ritenuta valida quando viene ad essere recapitata al domicilio del lavoratore che è stato indicato nel contratto di lavoro, oppure ad un altro domicilio che lo stesso lavoratore dovrà aver comunicato al datore di lavoro. In alternativa la comunicazione potrà essere recapitata a mano al lavoratore che dovrà firmarla per ricevuta, così come indicato al comma 40 punto 4 della L.92/2012.
In pratica in questo incontro si dovrà provare a trovare una soluzione alternativa al licenziamento che dovrà avvenire entro 20 giorni dal momento in cui la Direzione Provinciale del lavoro ha fatto pervenire la convocazione per l’incontro.
Il termine di 20 giorni previsti potrà essere aumentato nel momento in cui le parti di comune accordo intendono prolungare tale termine al solo fine di trovare un accordo. Solo se il tentativo di conciliazione dovesse fallire, il datore di lavoro potrà comunicare il licenziamento e solo da allora si applicherà tutto l’iter previsto dall’articolo 32 del Collegato lavoro per impugnare lo stesso.
Cap.5
LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI
5.1 LA FINALITA’
La procedura di certificazione dei contratti di lavoro è stata introdotta per la prima volta con la riforma Xxxxx.
Inizialmente la sua introduzione aveva come finalità quella di ridurre il contenzioso riferito alle seguenti tipologie contrattuali:
- contratti di lavoro intermittente,
- contratti di lavoro ripartito;
- contratti di lavoro a tempo parziale;
- contratti di lavoro a progetto;
- contratti di associazione in partecipazione normati dagli articoli 2549-2554 del codice civile.
Successivamente con l’introduzione del decreto legislativo n.251/2004 la certificazione dei contratti di lavoro è stata estesa a tutte le tipologie di contratti di lavoro.
Infine con l’approvazione della L.183 del 4 novembre 2010 (collegato al lavoro) la certificazione dei contratti di lavoro è stata estesa a tutti i contratti da cui è possibile dedurre direttamente od indirettamente una prestazione lavorativa. Questo significa che può essere oggetto di certificazione anche un contratto di somministrazione (contratto stipulato tra agenzia di somministrazione ed azienda) nonostante tale tipologia contrattuale è di natura prettamente commerciale.
Altra novità prevista dal collegato al lavoro è data dal fatto che gli effetti della certificazione del contratto partono dal momento della sua stipula, purchè la commissione di certificazione verifichi che l’applicazione dello stesso sia comunque uguale alla ricostruzione giuridica accertata.
5.2 I SOGGETTI ABILITATI ALLA CERTIFICAZIONE
Per poter procedere alla certificazione dei contratti di lavoro, occorre che le commissioni di certificazione risultino essere abilitate a svolgere tale attività.
Tali commissioni sono istituite presso i seguenti organismi:
- enti bilaterali, costituiti nell’ambito territoriale di riferimento;
- enti bilaterali a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituiti presso organismi bilaterali che hanno competenza nazionale;
- la direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro;
- le direzioni provinciali del lavoro e le province, rispettando quanto stabilito da un apposito decreto emanato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali entro sessanta giorni dalla data in cui entra in vigore il decreto attuativo della L.30/2003;
- le università pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie, registrate in un apposito albo, esclusivamente per quanto attiene i rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo, così come previsto dall’articolo 66 del Dpr n.382/1980;
- i consigli provinciali dei consulenti del lavoro.
Agli enti bilaterali sia in ambito territoriale che nazionale è stata assegnata anche la competenza a certificare le rinunzie e le transazioni, previste dall’articolo 2113 del codice civile, volute dalle parti interessate al contratto.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, insieme al Ministero dell’istruzione della università e della ricerca, dovrà istituire un albo in cui le università dovranno iscriversi se vogliono essere abilitate a svolgere attività di certificazione.
Per ottenere la registrazione le università dovranno inviare all’atto dell’iscrizione, e con periodicità semestrale studi ed elaborati in cui sono riportati gli indici e criteri giurisprudenziali relativi alla qualificazione dei contratti di lavoro, con riferimento alle tipologie lavorative indicate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Le commissioni di certificazione hanno la possibilità di definire convenzioni con cui si prevede la costituzione di una commissione unitaria di certificazione.
Alle sedi di certificazione è stata anche affidata la funzione di consulenza ed assistenza effettiva alle parti interessati al contratto. tali funzioni devono avvenire in relazione a:
- alla stipula del contratto di lavoro e del relativo programma negoziale;
- alle modifiche del programma negoziale concordate in sede di attuazione del rapporto di lavoro, con particolare riferimento a quella che è la disponibilità dei diritti ed alla esatta qualificazione dei contratti di lavoro.
5.3 COME SI PROCEDE ALLA CERTIFICAZIONE
La procedura relativa alla certificazione dei contratti è del tutto volontaria, e deve essere necessariamente preceduta da una istanza scritta comune riportata dalle parti nel testo del contratto di lavoro.
Per richiedere la certificazione del contratto o del relativo programma negoziale occorrerà utilizzare appositi moduli e formulari, che verranno stabiliti con un apposito decreto emanato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Tali moduli e formulari dovranno tenere conto degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti, riguardanti la qualificazione del contratto di lavoro, sia esso autonomo o subordinato, tenendo conto delle diverse tipologie di lavoro.
Spetterà al Ministero del lavoro e delle politiche sociali adottare con proprio decreto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di attuazione della L.30/2003, i codici di buone pratiche. Tali codici servono ad individuare le clausole indisponibili relative alla certificazione dei rapporti di lavoro, che devono essere rivolte ai diritti ed ai trattamenti sia economici che normativi.
I codici di buone pratiche devono recepire, quando esistono delle specifiche indicazioni negli accordi interconfederali stipulati dalle associazioni sindacali sia dei
datori di lavoro che dei lavoratori, che risultano comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Gli interessati alla certificazione dovranno rivolgersi presso la commissione nella cui circoscrizione è ubicata l’azienda od una sua succursale dove dovrà svolgere la propria prestazione il lavoratore.
Il lavoratore che il datore che hanno intenzione di presentare richiesta per la procedura di certificazione alle commissioni istituite per iniziative degli enti bilaterali, dovranno rivolgersi alle commissioni costituite dalle associazioni sia dei datori di lavoro che dei lavoratori.
Al momento della costituzione della commissione di certificazione verranno determinate le procedure di certificazione, che rispettando i codici di buone pratiche, dovranno attenersi ai seguenti principi:
- informare immediatamente la direzione provinciale del lavoro dell’inizio del procedimento. Spetterà poi a tale ufficio comunicare alle autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione produrrà effetti. Saranno poi le autorità pubbliche, eventualmente, a presentare le loro osservazioni alle commissioni di certificazioni;
- completare il procedimento di certificazione, entro trenta giorni dalla data in cui viene ricevuta l’istanza;
- motivare non solo l’atto di certificazione, ma riportare il termine entro è possibile produrre ricorso e l’autorità presso cui inoltrarlo;
- riportare nell’atto di certificazione, in modo chiaro, gli effetti sia civili, amministrativi, previdenziali o fiscali in base ai quali l’autorità richiede la certificazione.
Per almeno cinque anni dalla scadenza dovranno essere conservati i contratti di lavoro certificati e la pratica di documentazione presso le sedi dove avviene la certificazione.
Sia il servizio competente (ex ufficio di collocamento) che le autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione produce effetti, potranno richiedere copia del contratto certificato.
Gli effetti prodotti dall’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro, ha validità anche verso terzi, fino al momento in cui sia stato accolto il relativo ricorso giurisprudenziale con una sentenza di merito, facendo salvi gli eventuali provvedimenti di natura cautelare.
5.4 COME OPPORSI ALLA CERTIFICAZIONE
I soggetti nei confronti dei quali l’atto di certificazione produce effetti, possono inoltrare ricorso presso il giudice competente, così come previsto dall’articolo 413 del codice di procedura civile.
I motivi per i quali è possibile ricorrere sono i seguenti:
- erronea qualificazione del contratto;
- vizi del consenso;
- difformità esistente tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione.
Nel caso in cui il giudice competente dovesse accertare che la qualificazione del contratto è errata, il risultato dell’accertamento produrrà effetti dalla data in cui è stato concluso l’accordo contrattuale.
Se invece l’accertamento giudiziale dovesse rilevare l’esistenza di difformità tra il programma negoziale e quello effettivamente realizzato, gli effetti di tale difformità diverranno operativi dal momento in cui la sentenza abbia decretato l’inizio della difformità.
Spetterà al giudice del lavoro valutare il comportamento avuto dalle parti interessate sia in sede di certificazione che di definizione delle controversie davanti alla commissione di certificazione. Il tutto dovrà avvenire ai sensi degli articoli 2, 92 e 96 del codice di procedura civile.
Il soggetto che decide di inoltrare ricorso giurisdizionale è tenuto in via preventiva far ricorso alla commissione di certificazione che ha adottato l’atto di certificazione per tentare di porre in essere un tentativo di conciliazione, così come previsto dall’articolo 410 del codice di procedura civile e ribadito dalla L.183 del 4 novembre 2010 (Collegato Lavoro).
E’ possibile ricorrere al T.A.R., competente territorialmente rispetto alla sede di commissione che ha certificato il contratto, contro l’atto certificatorio.
Il ricorso può essere prodotto per le seguenti motivazioni:
- violazione del procedimento;
- eccesso di potere.
Cap.6
LE NOVITA’ PREVISTE DALLA RIFORMA DEL LAVORO SULLE FORMULE CONTRATTUALI NON SUBORDINATE
6.1 LE DUE TIPOLIGIE DI PRESTAZIONI OCCASIONALI
La Riforma Biagi ha per la prima volta normato le prestazioni occasionali scindendole in prestazioni occasionali e prestazioni occasionali di tipo accessorio.
Le prime non hanno subito modifiche con la Riforma del Lavoro; mentre per le prestazioni occasionali di tipo accessorio non è possibile dire la stessa cosa.
Rispetto alle prestazioni occasionali applicabili prima della introduzione della Riforma Biagi, le prestazioni occasionali presentano dei paletti applicativi che finiscono con il limitarne l’uso spesso scriteriato al solo fine di evitare l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente.
6.2 I REQUISITI PER SVOLGERE LE PRESTAZIONI OCCASIONALI
E’ definita prestazione occasionale una prestazione di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare, o nell’ambito dei servizi di cura ed assistenza alla persona per una durata non superiore a 240 ore, svolta con lo stesso committente, per un compenso che non risulti essere superiore ad €5.000.
Altro limite alla applicazione della prestazione occasionale è stabilito dai divieti che sono gli stessi previsti per la stipula del contratto a progetto, previsti dal comma 3 dell’articolo 61 del decreto legislativo 276/2003.
Pertanto non è possono essere svolte prestazioni occasionali nei seguenti casi:
- prestazioni intellettuali per le quali è indispensabile essere iscritto in un apposito albo professionale. Così come previsto dall’articolo 1 comma 27 della L.92/2012 se la persona che svolge la prestazione occasionale o stipula un co. xx.xxx. è iscritto ad un ordine professionale può svolgere una delle due prestazioni lavorative;
- i contratti di collaborazione coordinata e continuativa effettuati ed utilizzati ai fini istituzionali in favore delle associazioni sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate ed agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni;
- i componenti degli organi di amministrazione e controllo di società;
- i partecipanti a collegi e commissioni;
- coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.
Le prestazioni di natura occasionale che vengono svolte in maniera difforme a quanto previsto dalla normativa, hanno come conseguenza la trasformazione in contratto a progetto (ex xx.xx.xx.), e non in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
L’obbligo che deve avere chi usufruisce della prestazione occasionale è quella di dover pagare la ritenuta pari al 20% in quanto chi svolge la prestazione di natura occasionale risulta essere privo di partita iva idonea a svolgere la prestazione di lavoro richiesta.
6.3 L’ITER CONSIGLIATO PER SVOLGERE LA PRESTAZIONE OCCASIONALE
Quando si intende usufruire di una prestazione di natura occasionale nessuna comunicazione deve essere effettuata all’ex ufficio di collocamento.
Questo significa che l’instaurazione di tale prestazione di lavoro non segue le stesse regole previste nel caso in cui venga ad essere instaurato un rapporto di lavoro dipendente.
E’ opportuno che l’azienda che intende usufruire di una prestazione di natura occasionale compia tutti i passi atti a salvaguardala da spiacevoli sorprese.
Pertanto si consiglia alla azienda di stipulare un contratto tra le parti in cui da un lato il datore di lavoro chiarisca quali sono le mansioni per le quali la prestazione occasionale è richiesta, stabilendo per iscritto l’importo pattuito tra le parti.
Questo primo passo serve a chiarire che la prestazione di natura occasionale richiesta rientra nei parametri di tempo e di compenso stabiliti dall’articolo 61 comma 2 del decreto legislativo 276/2003, ovvero che la prestazione occasionale non deve essere svolta per un periodo superiore a trenta giorni ed il compenso nell’anno solare non deve superare €5.000.
Nel contratto stipulato tra il datore di lavoro ed il prestatore occasionale è importante che venga chiarita la mansione che deve essere svolta dal prestatore, in modo da specificare subito che la prestazione rientra tra quelle non escluse dalla norma.
Redigere un contratto tra le parti serve al datore di lavoro in quanto occorre che il datore di lavoro dichiari di non aver superato nell’anno solare l’importo di €5.000 che farebbe scattare il contratto a progetto in sostituzione della prestazione occasionale.
Ribadisco: la stipula del contratto tra chi richiede e chi svolge la prestazione occasionale non è sancita da nessuna disposizione di legge, ma è un modo per il datore di lavoro per salvaguardarsi da eventuali sorprese.
FAC- SIMILE CONTRATTO PER PRESTAZIONE OCCASIONALE
Tra l’azienda ………….., avente sede legale in…………… a P.Iva
……………… ed il signor ………….. residente in via ………… a C.F.
……………..
si instaura un rapporto di lavoro occasionale a partire dal …… al per
complessivi giorni, non riconducibile in alcun modo ad un rapporto di lavoro subordinato. La prestazione da effettuarsi presso……….. prevede che il sig. ……..
xxxxx svolgere la seguente mansione………….
Data……….
Il committente
Il prestatore
Al termine della prestazione occasionale è necessario che al prestatore venga rilasciata una ricevuta che certifichi il compenso ricevuto.
RICEVUTA PER PRESTAZIONE OCCASIONALE
Il sottoscritto…………… (prestatore occasionale) nato a ….. il ….. e residente a
……….. in via …………… C.F. …………………..
DICHIARA
di aver svolto e che gli sia corrisposta la somma pattuita, così come
riportato nel testo del contratto stipulato tra le parti.
Compenso spettante
- Ritenuta di acconto
Compenso netto
Data, IN FEDE
6.4 LE NUOVE PRESTAZIONI OCCASIONALI DI TIPO ACCESSORIO L’articolo 1 comma 32 del testo di riforma del lavoro ha completamente riscritto l’articolo 70 del decreto legislativo 276/2003 che disciplina le prestazioni occasionali di tipo accessorio.
Il legislatore all’articolo 1 comma 33 della L.92/2012 è stato chiaro, riguardo l’utilizzo dei voucher già richiesti alla data di entrata in vigore della Riforma Fornero, e comunque non oltre il 31 maggio 2013: potranno essere utilizzati considerando la vecchia disciplina normativa.
La prima novità la si evince leggendo il nuovo comma 1 dell’articolo 70 del decreto legislativo 276/2003: sparisce il compenso di €10.000,00 previsto chi svolge prestazioni occasionali di tipo accessorio per aziende familiari. Il compenso viene unificato per tutti quanti ad €5.000,00, con riferimento alla totalità dei committenti, nel corso dell’anno solare e rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi a consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente.
Allo stesso comma si è voluta disciplinare l’applicazione delle prestazioni occasionali di tipo accessorio per due categorie di datori di lavoro che inizialmente nella stesura del testo di Riforma del Mercato del Lavoro si intendeva escludere dalla possibilità di applicazione di tale tipologia contrattuale: gli imprenditori commerciali ed i professionisti. Si è alla fine stabilito che loro possono usufruire di contratti di prestazioni occasionali di tipo accessorio nel limite di €5.000,00 nell’anno solare, però i singoli lavoratori potranno svolgere a favore di ciascun committente prestazioni per un importo non superiore ad €2.000,00 rivalutati annualmente.
A questo punto sorgono spontanee alcune riflessioni:
1) il singolo lavoratore pur non potendo superare gli €5.000,00 per la totalità dei committenti non hanno comunque limiti intermedi per svolgere la prestazioni per ogni singolo committente che non sia un professionista ed un imprenditore commerciale?;
2) a parte quanto previsto per le aziende agricole, essendo stato riscritto completamente l’articolo 70 del decreto legislativo 276/2003 nulla è stato chiarito in merito ai lavoratori che potrebbero svolgere prestazioni occasionali di tipo accessorio per le altre categorie di imprese; quindi tale formula contrattuale potrebbe essere utilizzata per tutti i lavoratori;
3) considerando l’assenza di qualunque riferimento allo svolgimento delle prestazioni occasionali di tipo accessorio da parte di percettori di sostegno al reddito, di pensionati e lavoratori a part-time a favore di tutte le categorie di aziende, ritengo che tale opportunità sia svanita con il nuovo testo di riforma del lavoro, forse perché si intende far svolgere a tutti quanti le prestazioni occasionali di tipo accessorio tranne che nel settore agricolo?
4) una azienda che ha assunto un dipendente a cui dovrà elargire un compenso non superiore ad €5.000,00 può licenziarlo e poi farlo lavorare con i voucher dell’Inps? Non avendo riscontrato alcun divieto a tal proposito suppongo di sì.
L’aspetto interessante è la scissione tra l’opportunità di usufruire di prestazioni occasionali di tipo accessorio da parte di tutte le aziende agricole, con quella prevista per le aziende agricole individuate dall’articolo 34 comma 6 del Dpr 633/1972, riconducibili ai “produttori agricoli che nell’anno solare precedente hanno realizzato un volume di affari non superiore ad €7.000”.
La totalità delle aziende agricole potranno usufruire di prestazioni occasionali di tipo accessorio per lo svolgimento di attività agricole a carattere stagionale, solo quando queste vengono svolte da pensionati e da giovani che hanno una età inferiore a 25 anni di età. Questi ultimi potranno svolgere tale tipologia di prestazioni solo se risultano regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualunque ordine e grado, compatibilmente con quelli che sono gli impegni scolastici dei ragazzi. Questo significa ad esempio che i ragazzi appena individuati potranno essere impiegati ad esempio per la raccolta di olive, mandorle, pomodori, potatura, etc., ovvero per svolgere occasionalmente lavori che avvengono solo stagionalmente ovvero in determinati periodi dell’anno.
Il legislatore ha ampliato la possibilità di svolgimento della prestazione occasionale di tipo accessorio per i ragazzi under 25 che invece risultano regolarmente iscritti ad un ciclo di studi universitario. Per loro è prevista la possibilità di svolgere attività occasionale di tipo accessorio per aziende del comparto agricolo in qualunque periodo dell’anno, non limitando quindi la loro prestazione solo per lo svolgimento di attività agricole a carattere stagionale. Questo significa che l’azienda agricola potrà usufruire del ragazzo under 25 universitario anche per svolgere qualsiasi attività lavorativa che interessi il comparto agricolo.
Per quanto attiene le aziende agricole riconducibili all’articolo 34 comma 6 del Dpr 633/1972 è stata posta una limitazione ai lavoratori che possono svolgere prestazioni occasionali di tipo accessorio: non è possibile usufruire di prestazioni occasionali di tipo accessorio da parte di persone che nell’anno precedente risultano essere iscritte negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli. Dalla lettura del testo dell’articolo 1 comma 32 si evince come gli stessi lavoratori previsti per la totalità di aziende agricole (pensionati e studenti under 25) sono coloro che possono svolgere prestazioni occasionali di tipo accessorio.
Un punto importante per il comparto agricolo riguarda la moltitudine di lavoratori extracomunitari che lavorano in aziende agricole: il compenso percepito con i voucher dell’Inps deve essere computato ai fini del reddito necessario ad ottenere il rilascio od il rinnovo del permesso di soggiorno.
Modifiche sono previste sul valore dei voucher con riferimento sia alla loro struttura e composizione che agli importi contributivi.
Per quanto attiene la loro struttura i buoni dovranno riportare orari numerati e progressivamente datati: in definitiva cambierà la composizione del voucher.
La percentuale riferita al versamento dei contributi previdenziali deve essere rideterminata con apposito decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, considerando gli incrementi delle aliquote contributive previste per gli iscritti alla gestione separata dell’Inps.
Nulla pare sia cambiato, leggendo il testo della Riforma del Lavoro, per quanto attiene il non obbligo di dichiarare al fisco i compensi percepiti dal lavoratore che svolge la propria attività lavorativa usufruendo delle prestazioni occasionali di tipo accessorio lasciando inalterato lo status di disoccupato ed inoccupato del soggetto che svolge la prestazione occasionale di tipo accessorio.
L’unica novità in tal senso riguarda i lavoratori extracomunitari: : il compenso percepito con i voucher dell’Inps deve essere computato ai fini del reddito necessario ad ottenere il rilascio od il rinnovo del permesso di soggiorno.
Infine al nuovo comma 3 dell’articolo 70 del decreto legislativo 276/2003 è previsto che le prestazioni occasionali di tipo accessorio potranno essere svolte da parte di un committente pubblico, purchè vengano rispettati i vincoli previsti dalla attuale normativa per quanto riguarda il contenimento delle spese riferite al personale e dove previsto anche dal piano di stabilità.
6.5 LE NUOVE XX.XX.XXX
Il comma 23 dell’articolo 1 della L:92/2012 ha previsto norme più restrittive, rispetto alle precedenti, relativamente ai rapporti di xx.xx.xxx.
Esse devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici stabiliti dal committente e che dovranno essere svolti in modo del tutto autonomo dal collaboratore. Il progetto che deve essere predisposto per iscritto deve prevedere una sua descrizione ed il risultato finale a cui dovrà essere funzionalmente collegato, e nel redigerlo non ci si potrà rifare ad una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente o nello svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi che potranno essere individuati dai contratti stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Nella redazione del progetto occorrerà considerare il coordinamento che il collaboratore dovrebbe avere con l’organizzazione del committente indipendentemente da quello che è il tempo impiegato per svolgere l’attività lavorativa prevista dal progetto.
La lettera c) dell’articolo 1 comma 23 della L.92/2012 ha chiarito che il compenso che deve essere elargito al collaboratore a progetto dovrà essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro che deve essere svolto. Inoltre l’importo non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ogni singolo settore di attività eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici. Comunque si dovranno considerare i minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva nello stesso settore alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati.
Qualora non dovesse esserci una contrattazione collettiva specifica il compenso da dover elargire al collaboratore non dovrà essere inferiore, considerando il periodo impiegato dal collaboratore per svolgere il lavoro stabilito, alle retribuzioni minime stabilite dalla contrattazione collettiva nazionale previste per un lavoratore che svolga una attività simile a quella del collaboratore.
E’ prevista la possibilità di recedere dal contratto a progetto quando o si verifica una giusta causa oppure quando il committente si rende conto che ci siano dei presupposti
oggettivi per ritenere il collaboratore non idoneo professionalmente a poter giungere alla realizzazione del progetto stabilito dal contratto.
Il collaboratore invece può recedere dal contratto prima della scadenza del termine stabilito, dandone preavviso, solo quando tale opportunità è prevista dal contratto.
Altro aspetto importante è quello relativo alla possibilità di trasformare il contratto a progetto in un contratto a tempo indeterminato sin dalla data di inizio del rapporto di xx.xx.xxx. quando l’attività del collaboratore viene ad essere svolta con le stesse modalità di quelle dei lavoratori dipendenti dell’impresa committente, tranne le prestazioni di elevata professionalità individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Infine l’assenza di uno specifico progetto nel contratto di xx.xx.xxx. determina la trasformazione dello stesso rapporto di lavoro in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
6.6 COSA SI CONSIGLIA DI RICORDARE DEI VECCHI XX.XX.XXX.
Il primo consiglio che si intende offrire è quello di non dimenticare le figure professionali a cui non è possibile applicare un xx.xx.xxx., così come previsto dalla Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n.4 del 29 gennaio 2008, in quanto la loro attività è ritenuta incompatibile con l’attività progettuale.
Tali figure sono:
- addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici;
- addetti alle agenzie ippiche;
- addetti alle pulizie;
- autisti e autotrasportatori;
- babysitter e badanti;
- baristi e camerieri;
- commessi e addetti alle vendite;
- custodi e portieri;
- estetiste e parrucchieri;
- facchini;
- istruttori di autoscuola;
- letturisti di contatori;
- manutentori;
- muratori e qualifiche operaie dell’edilizia;
- piloti e assistenti di volo;
- prestatori di manodopera nel settore agricolo;
- addetti alle attività di segreteria e terminalisti.
Altro argomento che si consiglia di non dimenticare è la possibilità di disciplinare nell’ambito del contratto di xx.xx.xxx. stipulato, la possibilità di ridurre od addirittura di non pagare il collaboratore, così come stabilito dalla Circolare del Ministero del
Lavoro n.1/2004, nel caso in cui il risultato prefisso non è stato raggiunto oppure la qualità dello stesso sia tale da comprometterne l’utilità.
Altro punto da non dimenticare: il collaboratore non è vincolato a svolgere la prestazione lavorativa per un solo committente, ma può lavorare per più committenti, così come previsto dalla Circolare del Ministero del Lavoro n.1/2004 a condizione che:
- svolga una attività lavorativa che risulti essere in concorrenza con quella del committente;
- non diffonda notizie ed apprezzamenti riguardanti i programmi e le organizzazioni degli stessi;
- non compia, in qualsiasi modo, atti che possano procurare pregiudizio all’attività dei committenti.
Altro aspetto da che si consiglia di non dimenticare è la regolamentazione dello stato di gravidanza e malattia da parte della lavoratrice, così come disposto dalla Circolare del Ministero del Lavoro n.1/2004.
La lavoratrice a progetto che è in stato di gravidanza, così come il lavoratore che si ammala o si infortuna ha diritto alla sospensione del rapporto di lavoro, secondo quanto stipulato nel contratto, senza ricevere alcun corrispettivo anche sotto forma di indennità.
Nei casi di malattia ed infortunio e il lavoratore a progetto è tenuto, così come previsto dalla circolare ministeriale n.1/2004, a presentare una idonea certificazione scritta.
Per il lavoratore a progetto la sospensione del rapporto di lavoro per malattia od infortunio, non ha come conseguenza quella della proroga del rapporto di lavoro, in quanto il contratto si estinguerà alla sua naturale scadenza, tranne che non ci sia una differente disposizione nel testo del contratto individuale stipulato tra le parti.
Soltanto quando una lavoratrice è in stato di gravidanza, il rapporto di lavoro si prorogherà di ben 180 giorni, tranne che non sia stato stabilito un modo più favorevole per la lavoratrice a progetto dal testo del contratto individuale stipulato tra le parti.
Inoltre si consiglia di ricordare che al rapporto di lavoro a progetto devono essere applicate le norme relative alla sicurezza sul posto di lavoro previste dal decreto legislativo n.626/1994 e la normativa riguardante gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ogni qual volta la prestazione lavorativa del lavoratore a progetto viene svolta nei luoghi del committente.
6.7 LA POSSIBILITA’ DI PARTECIPARE A GARE DI APPALTO CON UN XX.XX.XXX.
Di notevole interesse è quanto sentenziato dal Consiglio di Stato in data 3 aprile 2006 (sentenza n.1743) in merito alla applicazione di due contratti a progetto da parte di una cooperativa sociale per cui la stessa era stata esclusa da un appalto pubblico.
Il testo del disciplinare della gara di appalto prevedeva un piano finanziario in cui era riportata la voce costo del lavoro, ed il personale doveva comunque rispettare l’orario di apertura della struttura oggetto del bando di gara.
L’esclusione della cooperativa sociale era stata giustificata dal fatto che due unità della stessa avendo stipulato con la cooperativa un contratto a progetto non potevano garantire il rispetto dell’orario di lavoro stabilito nel bando.
Il Consiglio di Stato ha affermato che nell’ambito di un contratto a progetto è possibile stabilire quali debbano essere gli orari da rispettare se ci sono determinate esigenze, precisando che non è l’orario di lavoro pattuito a qualificare il rapporto di lavoro relativo al contratto a progetto, ma l’obiettivo finale che si intende raggiungere con tale formula contrattuale.
Ed è per questo che il contratto a progetto al termine della realizzazione del programma stabilito o di fasi di esso viene a risolversi automaticamente.
In questo modo il Consiglio di Stato ha ritenuto che la cooperativa sociale non poteva essere esclusa dalla gara di appalto in quanto le due persone con cui era stato instaurato un contratto a progetto potevano essere destinate a svolgere una fase del programma stabilito contrattualmente.
Inoltre nei due contratti a progetti nel precisare il programma che doveva essere attuato, poteva essere stabilito anche l’orario che i due contrattisti erano tenuti a rispettare.
6.8 LE PARTITE IVA
Coloro che svolgono attività lavorativa con partita Iva avranno la trasformazione del proprio rapporto di lavoro in collaborazione coordinata e continuativa quando:
- la collaborazione ha una durata complessiva superiore ad otto mesi nell’anno solare;
- il corrispettivo che scaturisce dalla collaborazione, anche se è stato fatturato a più soggetti riconducibili allo stesso centro d’imputazione di interessi, risulta essere maggiore dell’80% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nello stesso anno solare;
- quando il collaboratore dispone di una postazione fissa di lavoro in una delle sedi del committente.
In questo caso l’importo contributivo dovuto per il collaboratore comporterà la iscrizione del lavoratore alla gestione separata dell’Inps e l’importo dovuto dovrà essere così suddiviso: due terzi a carico del committente ed un terzo a carico del collaboratore (art. 1 comma 26 punto 5 della L.92/2012)
Non si avrà la trasformazione in xx.xx.xx. della attività lavorativa di un titolare di partita Iva quando:
- la prestazione svolta sia caratterizzate da competenze teoriche di elevato grado acquisite tramite percorsi formativi, o da capacità tecnico-pratiche che sono
state acquisite tramite rilevanti esperienze maturate attraverso l’esercizio concreto dell’attività lavorativa;
- la prestazione sia stata svolta da una persona che è titolare di un reddito annuo autonomo che risulti essere non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali, stabilito dall’articolo 1 comma 3 della L.233/1990;
- quando la prestazione lavorativa svolta nell’esercizio di una attività professionale per svolgere la quale è richiesta dall’ordinamento l’iscrizione ad un ordine professionale, o ad appositi registri, albi, ruoli od elenchi professionali qualificati dettando specifici requisiti e condizioni. Per individuare le predette attività dovrà essere emanato, entro tre mesi dall’entrata in vigore della L.92/2012 (18 luglio 2012), un apposito decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dopo aver consultato le parti sociali.
6.9 LE ASSOCIAZIONI IN PARTECIPAZIONE CON APPORTO DI SOLO LAVORO
Il comma 28 dell’articolo 1 della L.92/2012 ha stabilito che non è possibile che una azienda abbia al proprio interno un numero di associati in partecipazione con apporto di solo lavoro in numero superiore a 3, tranne che gli associati risultino legati con l’associante da un rapporto coniugale, oppure siano parenti entro il terzo grado od affini entro il secondo.
Il rapporto di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro verrà ad essere trasformato in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quando:
- viene ad essere superato il limite massimo degli associati in partecipazione con apporto di solo lavoro in una azienda, stabilito dal comma 28 dell’articolo 1 della L.92/2012;
- non risulta esserci una effettiva partecipazione agli utili da parte dell’associante ai sensi del comma 30 dell’articolo 1 della L.92/2012;
- la durata dell’associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro abbia una durata complessiva superiore ad otto mesi nell’anno solare.
Cap. 7
IL PRIMO CONTRATTO PER I DIPENDENTI DI ASSOCIAZIONI
7.1 LA DATA DI SOTTOSCRIZIONE E LE SIGLE FIRMATARIE
Il 21 dicembre 2010 è stato sottoscritto, ed il giorno successivo depositato al Cnel, il primo contratto collettivo nazionale per i dipendenti e soci lavoratori delle associazioni, tra le quali sono comprese quelle di volontario, Onlus, sportive dilettantistiche, ricreative, culturali, sanitarie, assistenziali, ambientali, o comunque costituite sotto qualsiasi ragione o settore.
La firma di questo contratto rappresenta, senza dubbio, una importante novità nel panorama giuslavoristico italiano in quanto prima della sua approvazione i soggetti interessati erano costretti ad adattare in sede applicativa contratti collettivi esistenti.
Spesso ci si è sempre orientati nell’applicare il CCNL del commercio che prevede l’applicazione oltre che della tredicesima anche della quattordicesima come mensilità aggiuntiva; mentre il CCNL che mi accingo ad analizzare prevede la corresponsione della sola tredicesima mensilità.
Numerose sono state le sigle firmatarie, nello specifico:
- C.E.I. (Confederazione Europea degli imprenditori);
- CONFIMPRESA (Confederazione Imprenditori, Commercianti, Artigiani, Turismo e Servizi);
- A.N.Fo.P. (Associazione Nazionale Formatori Professionisti);
- CONFAR (Confederazioni delle Associazioni);
- FASCOTRAV (Federazione delle Associazioni di Volontariato);
- Fapi (Federazione Artigiani Pensionati Italiani)
- I.S.A. (Intesa Sindacato Autonomo)
- S.I.A. – CONFASAL (Sindacato Indipendente Agroalimentare)
Alla luce di quanto appena riportato si evince l’assenza, tra le sigle sindacali firmatarie del contratto, quelle dei lavoratori dipendenti, e questo rende un attimino anomala la sua validità.
Nel leggere il testo del contratto si rileva un aspetto nuovo: ovvero il paragrafo relativo al codice disciplinare, che di fatto funge da vero e proprio strumento sanzionatorio nei confronti dei lavoratori sostituendo quello che di fatto prevede un normale regolamento interno aziendale applicato dalle aziende nei confronti dei propri dipendenti.
7.2 VALIDITA’ E SFERA DI APPLICAZIONE
Il CCNL valido per i dipendenti di associazioni decorre dal 21 dicembre 2010 fino a tutto il 31 dicembre 2013.
E’ stato stabilito che per poterlo rinnovare è necessario che una delle parti firmatarie ne dia disdetta almeno tre mesi prima della scadenza presentando delle proposte per un nuovo CCNL in modo da poter dare inizio all’apertura delle trattative.
Per comprendere meglio quali sono le realtà associazionistiche a cui è possibile applicare la novità contrattuale diventa indispensabile soffermarsi ad esaminare l’articolo 2 in cui sono elencate le tipologie di associazioni interessate:
1) Associazioni di promozioni che svolgono indagini conoscitive sul territorio, e sulle popolazioni, e di indagini di mercato;
2) Associazioni create per la promozione del prodotto Italiano all'estero;
3) Associazioni di promozione e ricerca tecnico/scientifica per imprenditori e professionisti;
4) Associazioni di promozione turistica, e di valorizzazione del territorio (Pro loco);
5) Associazioni per la formazione ed aggiornamento alle nuove esigenze del lavoro degli operatori di primo impiego che di variazione di settore o categoria;
6) Associazioni per l' organizzazione di eventi culturali ed espositivi (fiere e manifestazioni per la presentazione di prodotti);
7) Associazioni per la gestione dei servizi postali in genere;
8) Associazioni per la gestione dei servizi di assistenza degli automobilisti, alle famiglie, ai commercianti e al territorio;
9) Associazioni di professionisti organizzati in reparti professionali e associazioni temporanee di impresa;
10) Associazioni ambientalistiche e di tutela del territorio;
11) Associazioni sportive in genere, e di gestione impianti sportivi;
12) Associazioni culturali per la gestione di servizi ricreativi e culturali; 13)Associazioni per la gestione delle risorse umane;
14)Associazione per l'assistenza domiciliare; 15)Associazioni per "assistenza sanitaria ospedaliera;
16)Associazioni per il recupero risanamento ambientale, cittadino e territoriale;
17) Associazioni per la formazione dell'infanzia e degli utenti, per l'utilizzo viario relativamente ai trasporti;
18) Associazioni Nazionali Caritative e per l'assistenza ai diversamente abili;
19) Associazioni per il recupero delle persone disagiate, dissociate e dei carcerati;
20) Associazione per la protezione degli animali;
21) Associazioni per il recupero abilitativi dei diversamente abili;
22) Associazione per la salvaguardia dei brevetti e dei marchi di qualità;
23) Associazione caritativa rivolta alle opere missionarie nei paesi del terzo mondo;
24) Associazioni etniche nazionali e internazionali;
25) Associazioni Filateliche e numismatiche;
26) Associazioni gestite da enti religiosi, da fondazioni costituite fra cittadini privati, Italiani, Comunitari, ed Extracomunitari, operanti nel campo educativo, sociale ed assistenziale.
Inoltre a tutte quelle attività similari che possono essere svolte tra associazioni di imprese o persone.
27)Associazioni sportive.
Alcune riflessioni sorgono spontanee dopo aver letto la sfera applicativa del contratto in questione. La prima osservazione riguarda i dipendenti a cui può essere applicato il CCNL per i dipendenti di associazione quando si parla, nella prima pagina del testo, di “dipendenti e soci lavoratori delle associazioni Onlus, di volontariato e sportive………”
Nel leggere quanto appena riportato in neretto sorge un dubbio circa la possibilità di applicare il contratto collettivo oggetto di disamina, ai soci lavoratori di associazioni di volontariato.
Il dubbio si fonda sul contrasto tra quanto riportato nel testo del contratto ed il co.3 dell’art. 2 della l.266/1991 in cui il legislatore ha affermato in modo inequivocabile che “la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato ed autonomo ”
Pertanto sarebbe stato opportuno riportare nel testo del contratto “dipendenti e soci lavoratori delle associazioni Onlus, e dipendenti di associazioni di volontariato….” per sgomberare qualunque dubbio sull’applicazione dello stesso.
Occorre effettuare una precisazione: una associazione di volontariato è di diritto una Onlus per cui nel descrivere i dipendenti a cui è possibile applicare la tipologia contrattuale sarebbe stato opportuno affermare “dipendenti e soci lavoratori delle associazioni Onlus, comprese quelle di volontariato ”.
Altra precisazione: una associazione di volontariato può assumere personale dipendente od avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo, così come previsto dal co. 4 dell’art. 3 della l.266/1991, ma solo in casi eccezionali previsti dallo stesso articolo di legge. Sicuramente non può assumere soci che in una associazione di volontariato non possono che ricoprire il ruolo di soci volontari.
Altro punto su cui riflettere è quello delle associazioni sportive dilettantistiche che sì possono assumere, ma che nella maggior parte dei casi applicano il contratto amministrativo gestionale, di cui non c’è traccia nel testo del contratto. A tal proposito è opportuno ricordare che per la sua applicazione il ministero del lavoro e delle politiche sociali ha fornito chiarimenti rispondendo all’interpello n.22/2010.
7.3 I DUE LIVELLI DI CONTRATTAZIONE E L’IMPORTANZA DELLA CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO
Il CCNL per i dipendenti di associazioni e soci lavoratori di associazioni prevede due differenti livelli di contrattazione: la contrattazione di 1° livello e quella di 2° livello. Leggendo attentamente il testo del contratto si evince chiaramente la volontà delle parti firmatarie a fornire un ruolo importante alla contrattazione di 2° livello rispettando le linee guida tracciate dall’accordo interconfederale del 15 aprile 2009, che prevede uno stretto collegamento tra l’aumento salariale ed il raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità ed efficienza.
Diverse sono le materie demandate alla contrattazione di 2° livello, ovvero:
- la possibilità di una diversa articolazione o modulazione dell’orario normale di lavoro, che può essere svolto in maniera differenziata durante l’anno;
- la possibilità di diversa statuizione in ordine agli elementi della retribuzione accessoria in base al collegamento degli incentivi economici al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità ed efficienza ed altri elementi rilevanti per migliorare la competitività, nonché ai risultati legati all’andamento economico delle imprese, concordati tra le parti nel pieno rispetto dei limiti base del contratto collettivo per i dipendenti e soci lavoratori delle associazioni;
- benefits connessi all’attività svolta e al settore d’impiego;
- premio assiduità/presenza;
- costituzione e funzionamento dell’organismo regionale o provinciale paritetico per la prevenzione degli infortuni, per l’attuazione delle norme per l’igiene e l’ambiente di lavoro, oltre a tutto quanto previsto dalla legge in materia di sicurezza sul posto di lavoro;
- concertazione a livello regionale, provinciale od aziendale tra le parti che hanno stipulato il contratto collettivo per i dipendenti e soci di associazioni per l’approvazione dei contratti di inserimento reinserimento in modo da realizzare tramite un progetto individuale di adattamento alle competenze professionali del lavoratore ad un determinato contesto lavorativo, rispettando quanto previsto dall’art.55 co.2 del dlgs 276/2003
- l’attuazione della disciplina della formazione professionale;
- la disciplina di altre materie od istituti che siano espressamente demandate alla contrattazione regionale, provinciale od associativa dal contratto per dipendenti e soci lavoratori di associazioni, mediante specifiche clausole di rinvio.
Inoltre spetta al contratto integrativo disciplinare, nei limiti previsti, quanto segue:
- la previdenza ed assistenza integrativa;
- i buoni pasto;
- l’articolazione dell’orario di lavoro e l’eventuale remunerazione di specifiche modalità (es. turni, flessibilità, lavoro notturno e festivo, etc.);
- definizione del periodo di riferimento per calcolare, su base annua, la durata massima media dell’orario di lavoro;
- criteri e modalità per elargire il premio di produttività;
- la definizione dei criteri generali per accedere ai corsi professionali;
- regolamento per la concessione al personale di anticipazioni sul T.F.R.;
- criteri e modalità relativi al distacco di personale da e per le società controllate, rispettando l’attuale normativa vigente;
- altre ipotesi previste dal contratto collettivo per dipendenti e soci di associazioni (es. applicazione telelavoro con criteri previsti dalla contrattazione aziendale).
A questo punto il dubbio che sorge è: il telelavoro può solo essere applicato, perchè disciplinato, in presenza di una specifica contrattazione aziendale visto che il contratto nazionale delega ad essa la disciplina di questa formula contrattuale?
7.4 LA PRESENZA DEL TELELAVORO E L’ASSENZA DEL CONTRATTO RIPARTITO
Nell’esaminare il testo del contratto collettivo nella parte relativa alla costituzione del rapporto di lavoro emerge come tra le tipologie contrattuali applicabili (tempo determinato, part-time, inserimento, etc) è sì contemplato il telelavoro, ma non il contratto ripartito. Inoltre è previsto all’articolo 16 bis del contratto che le percentuali massime di utilizzo di rapporti di lavoro a tempo non indeterminato è stabilita nel 15% del personale complessivo alla data del 31/12 dell’anno precedente.
Il telelavoro disciplinato all’articolo 16 del contratto collettivo per dipendenti e soci di associazioni, prevede per la sua applicazione la volontarietà delle parti (datore e lavoratore), ricalcando le linee guida previste dall’accordo interconfederale siglato il 9 giugno 2004.
Questo significa che nel caso in cui nella lettera di assunzione di un lavoratore non è previsto il telelavoro, sia il dipendente che il datore di lavoro a cui viene prospettata la possibilità di trasformare il rapporto di lavoro nella formula contrattuale del telelavoro, possono respingere l’offerta.
I lavoratori dipendenti che passano a svolgere attività di telelavoro, conservano lo status precedentemente acquisito.
La disciplina del contratto di telelavoro per i dipendenti e soci di associazioni prevede diverse rinvii alla contrattazione di 2° livello in modo particolare a quella aziendale.
Il primo argomento per il quale si demanda alla contrattazione aziendale riguarda le modalità per esercitare il diritto alla reversibilità del contratto di lavoro dipendente, con il quale il lavoratore è stato inizialmente assunto, in un contratto di telelavoro.
Altra materia demandata alla contrattazione aziendale riguarda ogni eventuale restrizione all’uso di apparecchiature, strumenti, programmi informatici ed eventuali sanzioni applicabili nel caso in cui dovessero verificarsi violazioni.
Spetta sempre alla contrattazione aziendale disciplinare ogni questione in materia di strumenti di lavoro e di responsabilità, prima che abbia inizio il contratto di telelavoro, oltre al diritto per il datore di lavoro ha diritto ad accedere al domicilio del telelavorista, che dovrà essere disciplinata dalla contrattazione aziendale.
Infine è demandata alla contrattazione aziendale:
- l’adozione di misure con cui è possibile prevenire l’isolamento del telelavoratore, dai contatti con i colleghi e l’accesso alle informazioni della Associazione;
- il carico di lavoro;
- l’eventuale fascia di reperibilità;
- la determinazione in concreto degli strumenti che permettono la effettiva autonoma gestione dell’organizzazione del proprio tempo di lavoro.
L’assenza della disciplina prevista per l’applicazione del contratto di lavoro ripartito nel testo del contratto collettivo per dipendenti e soci lavoratori di associazioni lascia un attimino perplessi.
Infatti ritengo che pur non essendoci ad oggi precise indicazioni applicative di tale formula contrattuale, tranne una circ. Min. Lav. n.43/1998 che introdusse il job sharing, la stessa potrebbe essere particolarmente utilizzata per i lavoratori di associazioni.
7.5 I DIRIGENTI ED I QUADRI ED IL CONFRONTO CON IL PRESIDENTE DI COOPERATIVA SOCIO LAVORATORE DIPENDENTE
Il CCNL per dipendenti e soci lavoratori delle associazioni prevede anche le figure dei dirigenti e quadri.
Per quanto attiene i dirigenti essi hanno un elevato grado di autonomia e potere decisionale le cui competenze sono subordinate alle direttive generali e di coordinamento di tipo strategico attribuite dal Consiglio Direttivo o dal Direttore Generale in base a quanto previsto dallo statuto dell’Associazione.
Inoltre al Dirigente è attribuito:
- il potere gerarchico su tutto il personale, o parte di esso;
- il potere di rappresentanza al di fuori dell’Associazione;
- il potere decisionale in materia di spesa nella misura eventualmente delegatagli.
Un passaggio interessante è quello relativo alla possibilità di ricoprire la carica di dirigente anche per chi la propria attività prevalente all’interno della stessa Associazione. Inoltre il testo del contratto collettivo prevede la possibilità di far ricoprire la carica di dirigente anche al Presidente dell’Associazione, a seguito di una delibera del Consiglio Direttivo, oppure di un organo analogo previsto dallo statuto dell’Associazione.
Quanto appena affermato fa ritornare alla mente quanto recentemente chiarito dall’Inps con proprio messaggio n.12441 dell’8 giugno 2011 in merito alla possibilità per un socio di cooperativa, che ha scelto di intraprendere con la cooperativa un rapporto di lavoro dipendente, di ricoprire la carica di presidente della stessa.
In merito a tale argomento l’Inps ha chiarito che i requisiti necessari perché possa esserci compatibilità tra la carica di presidente e quella di lavoro dipendente, sono i seguenti:
1) il potere deliberativo che rappresenta la volontà della cooperativa sia stato affidato, così come riportato nell’atto costitutivo e nello statuto, ad un organismo differente che possa essere individuato nel consiglio di amministrazione o nell’amministratore unico;
2) il presidente svolga in concreto e nella qualità di lavoratore dipendente, mansioni che risultino essere estranee al rapporto organico con la cooperativa,
contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione anche sotto forma di lavoro dirigenziale.
In pratica confrontando sia quanto previsto dal testo del contratto collettivo in esame per i dirigenti sia quanto previsto dal messaggio Inps, ci si rende conto che le affinità sono molteplici: il ruolo fondamentale assunto sia dall’atto costitutivo e dallo statuto che quello del consiglio di amministrazione.
Nell’area quadri rientra chi esercita poteri di discrezionalità e responsabilità personale, anche per quanto attiene l’ottimizzazione delle risorse umane.
Essi sono di fatto responsabili della gestione e del coordinamento dei settori cui sono preposti e dei risultati conseguiti, occupandosi anche della organizzazione del lavoro e dell’utilizzo del personale assegnato.
7.6 L’ORARIO DI LAVORO
L’orario normale di lavoro è stabilito, dall’art.23 del Ccnl dei dipendenti e soci lavoratori di associazioni, in trentasette ore settimanali che possono essere suddivise in cinque o sei giorni lavorativi.
E’ fatto obbligo alle associazioni di esporre le varie articolazioni che vengono praticati nell’Associazione, in modo che possa essere visibile a tutti i dipendenti.
Inoltre l’Associazione ha l’obbligo di comunicare le articolazioni dell’orario di lavoro praticato all’ispettorato del lavoro.
Le prestazioni di lavoro straordinario, che potranno essere svolte soltanto in casi di effettiva necessità od in situazioni di comprovata emergenza, potranno essere svolte volontariamente per un massimo di duecento ore a lavoratore.
7.7 LA GESTIONE DEL PERIODO DI COMPORTO
Interessante è la gestione del periodo di comporto per il lavoratore che ha superato il periodo di prova, che varia a seconda della gravità della malattia da cui il lavoratore è colpito. In situazioni non gravi il periodo di comporto è stabilito in dodici mesi o diciotto nel triennio; mentre è elevato a ventiquattro mesi per i lavoratori affetti da gravi malattie quali ictus, sclerosi, coma, interventi chirurgici di trapianto di organi vitali o by pass coronarico o malattie oncologiche.
Infine è stabilito che il lavoratore assunto a tempo indeterminato a cui perdura lo stato di malattia e/o di infortunio occorso fuori dal posto di lavoro, può richiedere una aspettativa non retribuita di centoventi giorni. Tale richiesta si concretizza nell’invio una specifica richiesta all’associazione, tramite raccomanda a.r., almeno ventiquattro ore prima che siano superati i limiti di conservazione .
Con riferimento all’aspettativa non retribuita il lavoratore non avrà diritto a ricevere la retribuzione né decorrerà il periodo di anzianità per qualunque tipologia di istituto.
7.8 I PUNTI SALIENTI DEL CODICE DISCIPLINARE
Il codice disciplinare, previsto all’articolo 39 del CCNL in esame, rappresenta un prontuario per l’associazione per punire il dipendente che non rispetta gli obblighi e di divieti riportati nell’articolo appena citato del contratto.
Mancanze punibili con il rimprovero verbale o scritto.
Il rimprovero verbale o scritto viene comminato per irregolarità di lieve entità nell'adempimento della prestazione lavorativa e per violazioni di basso rilievo del dovere di corretto comportamento.
Mancanze punibili con la multa.
• per recidività, entro un anno dall’applicazione, sulle stesse mancanze, del rimprovero scritto;
• per ripetuta inosservanza dell'orario di lavoro;
• per provata negligenza nello svolgimento del proprio lavoro;
• per mancato rispetto del divieto di fumare laddove ne sia prescritto il divieto;
• per contegno scorretto verso i propri superiori, i colleghi, i dipendenti e la clientela;
• in genere per negligenza o inosservanza di leggi, disposizioni, regolamenti o obblighi di servizio che non comportino pregiudizio economico agli interessi dell’ Associazione.
Xxxxxxxx punibili con la sospensione dal lavoro e della retribuzione per un periodo non superiore a sette giorni.
• per recidività, entro un anno dall'applicazione, sulle stesse mancanze, della multa;
• per simulazione di malattia o di altri impedimenti ad assolvere gli obblighi di lavoro;
• per aver rivolto ingiurie o accuse infondate verso altri dipendenti;
• per inosservanza delle leggi, regolamenti o disposizioni inerenti la prevenzione infortuni e la sicurezza sul lavoro;
• per essere sotto effetto di sostanze alcoliche o droghe in servizio;
• per assenza ingiustificata non superiore a tre giorni;
• per rifiuto di eseguire disposizioni concernenti il proprio lavoro;
• per aver commesso, in servizio, atti ai quali sia derivato un vantaggio per sé a danno del datore (sempre ché la gravità dell'atto non sia diversamente perseguibile);
• in genere, per negligenza o inosservanza di leggi, disposizioni, regolamenti o obblighi di servizio che rechino pregiudizio agli interessi agli interessi dell' Associazione;
• inosservanza delle misure di prevenzione degli infortuni e delle relative disposizioni emanate dall'Associazione, quando la mancanza possa cagionare danni lievi alle cose e nessun danno alle persone.
Xxxxxxxx punibili con la sospensione dal lavoro e della retribuzione per un
periodo da otto a dieci giorni.'
• per particolare gravità o recidiva, entro un anno dall'applicazione della sanzione, della multa nelle stesse mancanze previste per la sospensione sino a un periodo non superiore a sette giorni;
• per assenza ingiustificata superire a tre giorni ma inferiore ai cinque;
• per abituale negligenza nell'osservanza degli obblighi di servizio o per ingiustificato abbandono del posto di lavoro;
• in genere, per negligenza o inosservanza di leggi, disposizioni, regolamenti o obblighi di servizio che rechino pregiudizio agli interessi dell' Associazione ,o che procurino vantaggi a sé o a terzi (sempreché la gravità dell'atto non sia diversamente perseguibile);
• atti o comportamenti indesiderati CI connotazione sessuale, anche di tipo verbale, che offendano la dignità e la libertà della persona che li subisce.
Mancanze punibili con il licenziamento.
. per particolare gravità o recidiva, entro un anno dall'applicazione della sanzione, nelle
stesse mancanze previste per ta sospensione sino a un periodo compreso tra xxxx e dieci giorni;
• per assenza ingiustificata oltre i quattro giorni lavorativi;
• per essere sotto l'effetto di sostanze alcoliche o droghe durante il disimpegno delle proprie specifiche attribuzioni attinenti la sicurezza dell'azienda o, per il personale viaggiante stradale;
• per furto o danneggiamento volontario al materiale dell’ Associazione:
• per abbandono del posto di lavoro che implichi pregiudizio alla incolumità delle persone ed alla sicurezza degli impianti, comunque compimento di azioni che implichino gli stessi pregiudizi;
• per grave insubordinazione verso i superiori;
• per diverbio litigioso seguito da vie di fatto;
• per gravi offese verso i colleghi di lavoro.