Contract
Il venir meno dell’interesse creditorio e della causa del contratto che ne costituisce la fonte, può essere invero determinata anche dalla sopravve- nuta impossibilità di utilizzazione della prestazio- ne. Deve trattarsi di impossibilità di utilizzazione della prestazione non imputabile al creditore, inci- dente sull’interesse che risulta anche tacitamente obiettivato nel contratto e che ne connota la causa concreta.Trattandosi di contratto dì viaggio vacan-
za “tutto compreso” (o di package) la sopravvenu- ta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve essere come nella specie tale da vanificare o rendere irrealizzabile le finalità ulteriori per le quali il turista si induce a stipulare il contratto (es., desi- derio di allontanarsi per un pò dal coniuge o dalla cerchia degli amici o dall’ambiente di lavoro), in cui si sostanziano propriamente i motivi. Cass. 24 luglio 2007, n. 16315.
1175. Comportamento secondo correttezza.
Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza [Cost. 2; 1176, 1206, 1227, 1337, 1338, 1339, 1358, 1366, 1375, 1391, 1460, 1746 comma 1, 1759, 1805
comma 1, 1914, 2598 n. 3; c.p.c. 88]1 2.
1 Articolo così modificato dall’art. 3 comma 2, D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 287.
LIBRO IV
2 Sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori vedi art. 36 del D.Lgs n. 206/2005. Sull’abuso di dipendenza economica vedi art. 9 della legge n. 192/1998. Sulle clausole abusive nelle transazioni commerciali cfr. art. 7 del D.Lgs n. 231/ 2002. Sull’abuso di posizione dominante vedi art. 3 della legge n. 287/1990.
1. Principio di buona fede e canone costituzionale di soli- darietà ex art. 2 Cost.: il divieto dell’abuso del dritto; 2. L’exceptio doli generalis; 3. Il comportamento secondo buona fede del creditore; 3.1. La consegna di assegni cir- colari; 3.2. Il frazionamento del credito in più processi; 4. Violazione dell’obbligo di buona fede: riflessi sul contrat- to; 5. Buona fede e rapporti di lavoro; 6. Le singole ipote- si; 7. Rinvio.
1. Principio di buona fede e canone co- stituzionale di solidarietà ex art. 2 Cost.: il divieto dell’abuso del dritto.
Il principio di correttezza e buona fede - il qua- le, secondo la Relazione ministeriale al codice civi- le, “richiama nella sfera del creditore la considera- zione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del credito- re” - deve essere inteso in senso oggettivo ed enun- cia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla vio- lazione di tale regola di comportamento può discen- dere, anche di per sé, un danno risarcibile. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva condannato il Consiglio Nazionale delle Ri- cerche - CNR - al pagamento, in favore di un pro- prio dipendente, della somma corrispondente agli interessi maturati sulle quote annualmente accan- tonate di trattamento di fine rapporto a causa degli investimenti delle stesse in buoni postali fruttiferi, secondo quanto previsto dal D.P.C.M. 8 giugno 1946, effettuati tardivamente rispetto alle scaden- ze fissate da delibere della Giunta amministrativa dello stesso CNR). Cass., Sez. Un., 25 novembre 0000, x. 00000; conforme Xxxx. 5 novembre 1999,
n. 12310, Cass. 27 ottobre 0000, x. 00000.
È ormai acquisita consapevolezza della inter- venuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, che a quella clausola generale attribuisce all’un tempo forza normativa e ricchezza di contenuti, ingloban- ti anche obblighi di protezione della persona e del- le cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interes- se del partner negoziale. Cass., Sez. Un., 15 no- vembre 2007, n. 23726.
In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazio- ne e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase, sicché la clausola generale di buona fede e corret- tezza è operante tanto sul piano dei comporta- menti del debitore e del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto di inte- ressi sottostanti all’esecuzione di un contratto (art. 1375 c.c.), concretizzandosi nel dovere di cia- scun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, nego- zialmente attribuita, determinando così integra- tivamente il contenuto e gli effetti del contratto. La buona fede, pertanto, si atteggia come un im- pegno od obbligo di solidarietà, che impone a cia- scuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, senza rappresenta- re un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte. Cass. 18 ottobre 0000, x. 00000; conforme Xxxx. 7
giugno 2006, n. 13345, Cass. 5 marzo 2009, n. 5348.
L’assunzione della qualità di socio e l’obbligo di buona fede nell’adempimento delle obbligazio- ni, che discendono dal contratto di società, non
comportano la preventiva rinuncia del socio ad avva- lersi dei suoi diritti e facoltà, anche derivanti da rap- porti estranei al contratto sociale, ogni qual volta essi possano in ipotesi rivelarsi lesivi dell’interesse della società; pertanto, l’esercizio di tali facoltà e diritti, ove non sia allegato l’abuso del diritto, non può fondare l’azione di esclusione del socio stesso dalla società. (Nella specie, la S.C. ha affermato il principio, con riguardo ad un socio di s.n.c., locatore di un bene utilizzato dalla società, il quale aveva intimato ad essa lo sfratto per morosità, nonchè mancato di approva- re il bilancio sociale, richiesto la restituzione di som- me mutuate alla stessa, esercitato le azioni di messa in liquidazione della società e di revoca dell’ammini- stratore). Cass. 19 dicembre 2008, n. 29776.
2. L’exceptio doli generalis.
L’“exceptio doli generalis seu praesentis” ha fondamento nella circostanza che l’attore, nell’av- valersi di un diritto di cui chiede tutela giudiziale, si renda colpevole di frode, in quanto tace, nella pro- spettazione della fattispecie controversa, situazio- ni sopravvenute alla fonte negoziale del diritto fat- to valere ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto stesso. (Nella specie, la S.C. ha confer- mato la sentenza di merito, che aveva escluso di poter ravvisare gli estremi del dolo nel comporta- mento del promissario acquirente di un immobile il quale aveva agito per la risoluzione di un prelimi- nare di compravendita tre anni dopo la stipulazio- ne del medesimo, dopo aver appreso che il bene oggetto del contratto era stato alienato a terzi e dopo aver egli stesso acquistato un altro immobi- le). Cass. 20 marzo 2009, n. 6896.
La exceptio doli generalis seu praesentis at-
tiene al dolo esistente al momento in cui viene intentata l’azione nel processo - diversamente dalla exceptio doli specialis seu praeteriti, che concer- ne il dolo al tempo della conclusione del negozio - e costituisce rimedio generale, diretto ad impedire l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento, che permette il ri- getto di domande giudiziarie pretestuose o pale- semente malevoli, intraprese, cioè, allo scopo di arrecare pregiudizio, contro ogni legittima ed in- colpevole aspettativa altrui, qualora sussistano ele- menti oggettivi comprovanti che la parte ha agito in violazione del criterio di buona fede e di corret- tezza, in contrasto con la finalità normalmente insita nell’esercizio del diritto di cui è titolare. In applicazione di tale principio, la Corte di cassazio- ne ha escluso che l’esercizio dell’azione diretta ad ottenere l’inefficacia dei pagamenti effettuati nel corso della procedura concorsuale, allo scopo di realizzare la par condicio creditorum, possa esse- re paralizzata mediante la exceptio doli generalis, trattandosi di azione sorta a seguito ed in conse- guenza dell’apertura di detta procedura, che non può configurare esercizio fraudolento dei diritti derivanti dal contratto, indipendentemente dall’at- teggiamento soggettivo dell’imprenditore Xxxx. 7 marzo 2007, n. 5273.
La exceptio doli generalis seu presentis ha fondamento nella circostanza che l’attore, nell’av- valersi di un diritto di cui chiede tutela giudiziale, si renda colpevole di frode, in quanto sottace, nella prospettazione della fattispecie controversa, si- tuazioni sopravvenute alla fonte negoziale del di- ritto fatto valere ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto stesso; ne consegue che, in materia di contratto autonomo di garanzia, il ga- rante ha l’obbligo di proporre l’exceptio doli - nel- l’ambito del dovere di protezione del garantito da possibili abusi del beneficiario e pena la perdita del diritto di rivalsa - solo in presenza di una prete- stuosa escussione di una garanzia bancaria “a pri- ma richiesta” e che l’eccezione è legittima solo in quanto sussistano prove sicure della malafede del beneficiario. Cass. 1 ottobre 1999, n. 10864; con-
forme Cass. 18 marzo 2006, n. 5997.
Il criterio della buona fede costituisce uno stru- mento, per il giudice, finalizzato al controllo - an- che in senso modificativo o integrativo - dello sta- tuto negoziale; e ciò quale garanzia di contempe- ramento degli opposti interessi. Il giudice, quindi, nell’interpretazione secondo buona fede del con- tratto, deve operare nell’ottica dell’equilibrio fra i detti interessi (nell’affermare il principio la S.C., in una fattispecie negoziale in cui era prevista la fa- coltà di recesso ad nutum da parte di un contraen- te, ha osservato come la Corte di merito avrebbe dovuto valutare ed interpretare le clausole del con- tratto - in particolare quella che prevedeva l’eserci- zio di tale facoltà - anche al fine di riconoscere l’eventuale diritto al risarcimento del danno per l’esercizio di tale facoltà in modo non conforme alla correttezza ed alla buona fede). Cass. 18 settem- bre 2009, n. 20106.
3. Il comportamento secondo buona fede del creditore.
In tema di rapporti contrattuali di durata, l’esercizio di diritti potestativi attribuiti dalla leg- ge o dal contratto ad una delle parti produce im- mediatamente la modificazione della sfera giuridi- ca dell’altra parte, senza che sia configurabile, nep- pure in base al principio di correttezza e buona fede, un obbligo di preavviso, in difetto di limita- zioni in tal senso previste dalla fonte attributiva del potere. Cass. 14 novembre 2006, n. 24274.
In tema di pagamento parziale dei crediti pre- videnziali, i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione dell’obbligazione previsti, in via generale, dagli art. 1175 e 1375 c.c. ed applicabili anche alle obbligazioni previdenziali, non compor- tano a carico dell’Istituto pubblico di previdenza l’obbligo di riconoscere debiti ancora in essere al fine di impedirne la prescrizione, non essendo il debitore tenuto a sopperire all’inerzia del credi- tore nel far valere i propri diritti. Cass. 8 agosto 2006, n. 17948.
L’azione di risarcimento del danno extracon- trattuale in relazione alla fattispecie di concessio- ne abusiva di credito, se riferita al pregiudizio sof-
ferto dai creditori, non è un’azione di massa espe- ribile dal curatore, ma spetta a ciascun singolo cre- ditore, nei limiti in cui dimostri l’esistenza di un dan- no connesso alla prosecuzione dell’attività d’impre- sa. Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7030.
In caso di fideiussione per obbligazione futu- ra, secondo la disciplina anteriore alla L. 17 febbraio 0000, x. 000 (xx cui artt. 10 ha tra l’altro modificato, senza previsione di retroattività, l’art. 1956 c.c.) ed in presenza di clausola di dispensa della banca cre- ditrice dall’onere di conseguire una specifica auto- rizzazione del fideiussore per nuove concessioni di credito in caso di mutamento delle condizioni patri- moniali del debitore garantito, l’operatività della garanzia fideiussoria rimane esclusa ogni qual vol- ta il comportamento della banca beneficiaria della fideiussione non sia improntato, nei confronti del fideiussore, al rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto. A tal fine, è onere della parte la quale deduca la violazione di questo canone dimostrare non solo che la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finan- ziarie del debitore principale, ma anche che la ban- ca abbia agito nella consapevolezza di un’irreversi- bile situazione di insolvenza e, quindi, senza la do- vuta attenzione anche all’interesse del fideiussore. È quindi necessario che il fideiussore il quale invo- chi la propria liberazione dia prova sia del fatto og- gettivo della concessione di un ulteriore finanziamen- to quando si era già verificato un peggioramento delle condizioni economiche del debitore principa- le, raffrontate a quelle esistenti all’atto della costitu- zione del rapporto, sia del requisito soggettivo della consapevolezza di tale peggioramento da parte del creditore. Cass. 11 gennaio 2005, n. 394.
LIBRO IV
Il rispetto delle regole della correttezza, pre- scritto dall’art. 1175 c.c., non comporta che il cre- ditore debba agevolare l’esecuzione della presta- zione del debitore o comunque renderla meno onerosa di quella pattuita, ma lo obbliga soltanto a non renderla più disagevole o gravosa di quan- to secondo buona fede possa attendersi. Cass. 1 marzo 2000, n. 2252.
Nei contratti con prestazioni corrispettive, il contraente che abbia adempiuto la propria pre- stazione non è tenuto, nel caso di inadempimen- to totale o parziale dell’altro contraente, a svol- xxxx attività per conseguire aliunde la contropre- stazione, dato che gli artt. 1175, 1227 e 1375, pur prevedendo per entrambi i contraenti un dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del con- tratto, sono dettati allo scopo di vietare comporta- menti vessatori ed ostruzionistici, ma non posso- no essere intesi nel senso di trasferire a carico del creditore le obbligazioni specifiche del debitore, o le conseguenze dell’inadempimento a lui imputa- bile. Cass. 7 agosto 1990, n. 7987.
3.1. La consegna di assegni circolari.
Nelle obbligazioni pecuniarie per le quali non sia imposta per legge una diversa modalità di pa-
gamento, il debitore ha facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente corso legale nello Stato o mediante consegna di assegno circolare; nel primo caso il creditore non può rifiutare il paga- mento, come invece può nel secondo solo per giu- stificato motivo da valutare secondo la regola della correttezza e della buona fede oggettiva; l’estinzione dell’obbligazione con effetto liberato- rio del debitore si verifica nel primo caso con la consegna della moneta e nel secondo quando il creditore acquista concretamente la disponibilità giuridica della somma di denaro, ricadendo sul debitore il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno. Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2007, n. 26617.
Qualora il debitore anziché pagare in contanti la somma portata da un precetto trasmetta al credito- re stesso un assegno circolare e il creditore, omet- tendo di restituire al mittente il titolo, accetti lo stes- so senza riserva, il creditore stesso presta il proprio consenso, ai sensi dell’art. 1197, comma 1, c.c., per la liberazione del debitore, mediante l’esecuzione di una prestazione diversa da quella dovuta. Poiché in questo caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione sia stata eseguita ne deriva - qualora non risulti che l’assegno non sia andato a buon fine per colpa del debitore o che lo stesso sia stato presentato nei termini (o fuori termine) per il pagamento secondo gli art. 31 e ss. R.D. n. 1736 del 1933 - che deve imputarsi esclusivamente al credi- tore la mancata effettiva riscossione della somma portata dal titolo, qualora ometta di presentare tempestivamente all’incasso il titolo stesso, e così di cooperare in modo leale e fattivo per la realizza- zione dell’adempimento (ex art. 1175 c.c.). Cass. 24 maggio 2007, n. 12079. Contra: La consegna di assegni circolari, pur non equivalendo a pagamen- to a mezzo di somme di denaro, estingue l’obbli- gazione di pagamento quando il rifiuto del credi- tore appare contrario alle regole della correttezza, che impongono allo stesso creditore l’obbligo di prestare la sua collaborazione all’adempimento del- l’obbligazione, a norma dell’art. 1175 c.c. Cass. 7 luglio 2003, n. 10695.
Nello svolgimento del rapporto obbligatorio, è contrario al dovere di correttezza il rifiuto del cre- ditore, senza plausibili motivi, di accettare asse- gni circolari in luogo di somme di denaro al cui pagamento sia tenuto il debitore, ma a tale rifiu- to non può attribuirsi efficacia estintiva dell’ob- bligazione, costituendo l’assegno circolare presta- zione diversa rispetto a quella oggetto dell’obbli- gazione pecuniaria, la quale, ai sensi dell’art. 1277, comma 1, c.c., si estingue con moneta avente cor- so legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale. L’offerta di pagamento del- la somma dovuta fatta dal debitore con l’invio, a mezzo posta, di assegno circolare al domicilio del creditore al tempo della scadenza dell’obbligazio- ne integra la fattispecie di cui all’art. 1220 c.c., che vale ad escludere soltanto la mora del debitore, salvo che l’offerta sia rifiutata dal creditore per un motivo legittimo. Cass. 21 dicembre 2002, n. 18240.
Contra: Il creditore di una somma di denaro non è tenuto ad accettare in pagamento assegni circolari, la cui consegna non estingue l’obbliga- zione, salvo che: a) esista un accordo espresso tra debitore assegnante e creditore assegnatario; b) preesista una pratica costante tra le parti nel senso di attribuire efficacia solutoria alla consegna, in pagamento, di assegni circolari; c) la datio pro sol- vendo dell’assegno in luogo del contante sia con- sentita da usi negoziali (in motivazione, la Corte ha precisato che anche relativamente agli importi per i quali il trasferimento di denaro non può essere eseguito se non tramite un intermediario abilitato, il creditore ha diritto di essere pagato in moneta, a meno che non accetti un assegno dall’intermedia- rio medesimo). Cass. 10 giugno 2006, n. 12324.
3.2. Il frazionamento del credito in più processi.
In tema di trattamento di fine rapporto, qualo- ra si sia formato il giudicato sull’inserimento, nella base di calcolo, delle indennità contrattuali eroga- te in maniera fissa e continuativa, resta preclusa una nuova domanda di riliquidazione della presta- zione medesima ancorché fondata su profili diffe- renti quali il riconoscimento dei compensi per la- voro straordinario, trattandosi di ragioni che, pur se non dedotte, erano deducibili nel precedente giudizio, dovendosi ritenere non consentito al cre- ditore di una determinata somma di denaro, do- vuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell’obbligazione, traducendosi in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte per la corretta tutela del suo interesse so- stanziale, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, sia con il principio costituzionale del giusto processo, nella cui pro- spettiva occorre considerare lo stesso concetto di “deducibile”. Cass. 3 dicembre 2008, n. 28719.
Non è consentito al creditore di una determi- nata somma di denaro, dovuta in forza di un uni- co rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo; tutte le do- mande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di detto credito vanno dichiarate improponibili. Cass., 11 giugno 2008, n. 15476.
Non è consentito al creditore di una determi- nata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plu- rime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal cre- ditore per sua esclusiva utilità con unilaterale mo- dificazione aggravativa della posizione del debito- re, si pone in contrasto sia con il principio di cor- rettezza e buona fede, che deve improntare il rap- porto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione
giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, tradu- cendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordina- mento offre alla parte, nei limiti di una corretta tu- tela del suo interesse sostanziale. Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726.
La parcellizzazione giudiziale dell’adempimento del credito incide, in senso pregiudizievole, o co- munque peggiorativo, sulla posizione del debitore sia per il profilo del prolungamento del vincolo co- attivo cui egli dovrebbe sottostare per liberarsi della obbligazione nella sua interezza, ove il credito sia nei suoi confronti azionato inizialmente solo pro quota con riserva di azione per il residuo, sia per il profilo dell’aggravio di spese e dell’onere di molte- plici opposizioni (per evitare la formazione di un giu- dicato pregiudizievole) cui il debitore dovrebbe sot- tostare, a fronte della moltiplicazione di (contestua- li) iniziative giudiziarie. Non rileva in contrario che il frazionamento del credito, come in precedenza af- fermato, possa rispondere ad un interesse non ne- cessariamente emulativo del creditore (come quel- lo appunto di adire un giudice inferiore, più celere nella soluzione delle controversie, confidando nel- l’adempimento spontaneo da parte del debitore del residuo debito), poiché è decisivo il rilievo che re- sterebbe comunque lesiva del principio di buona fede, nel senso sopra precisato, la scissione del con- tenuto della obbligazione operata dal creditore, per esclusiva propria utilità con unilaterale modificazio- ne aggravativa della posizione del suo debitore. Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726.
Oltre a violare il generale dovere di correttezza
e buona fede, la disarticolazione, da parte del cre- ditore, dell’unità sostanziale del rapporto (sia pur nella fase patologica della coazione all’adempimen- to), in quanto attuata nel processo e tramite il pro- cesso, si risolve automaticamente anche in abuso dello stesso, risultando già per ciò solo la parcelliz- zazione giudiziale del credito non in linea con il pre- cetto inderogabile (cui l’interpretazione della nor- mativa processuale deve viceversa uniformarsi) del processo giusto. Ulteriore vulnus al quale derive- rebbe, all’evidenza, dalla formazione di giudicati (praticamente) contraddittori cui potrebbe dar luo- go la pluralità di iniziative giudiziarie collegate allo stesso rapporto.Mentre l’effetto inflattivo ricondu- cibile ad una siffatta (ove consentita) moltiplicazio- ne di giudizi ne evoca ancora altro aspetto di non adeguatezza rispetto all’obiettivo, costituzionalizza- to nello stesso art. 111, della “ragionevole durata del processo”, per l’evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata. Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726.
È contraria ai doveri di buona fede e corret- tezza contrattuale la condotta del creditore che, senza un apprezzabile interesse, frammenti la pro- pria azione di condanna in una serie di procedi- menti monitori, ciascuno limitato ad una parte del
quantum complessivo dell’unica obbligazione ne- goziale. Va conseguentemente respinto, in quanto inammissibile, il ricorso per decreto ingiuntivo di- retto ad ottenere la condanna del debitore ad una frazione dell’intero, dopo che siano già state otte- nute una o più precedenti ingiunzioni per altre fra- zioni del medesimo debito. Cass. 8 agosto 1997, n. 7400; conforme Cass. 23 luglio 1997, n. 6900; con- tra: Xxxx. 3814/1998; Cass. 11114/1998; Cass. 11265/1998 che hanno, invece, ritenuto legittimo il comportamento del creditore, osservando che il creditore ha la facoltà di chiedere, anche in via monitoria, un adempimento parziale, in correlazio- ne alla identica facoltà di accettarlo, riconosciuta- gli dall’art. 1181 c.c., mentre il pericolo di un ag- gravio di spese per il debitore, esposto ad una plu- ralità di decreti ingiuntivi, nel caso di parcellizzazio- ne del credito, è dallo stesso superabile, o con la messa in mora del creditore offrendogli l’adempi- mento dell’intero, o chiedendo il suo accertamento negativo. Le Sezioni Unite della Corte sono interve- nute a dirimere il contrasto affermando che “È am- missibile la domanda giudiziale con la quale il credi- tore di una determinata somma, derivante dall’ina- dempimento di un unico rapporto, chieda un adem- pimento parziale, con riserva di azione per il resi- duo, trattandosi di un potere non negato dall’ordi- namento e rispondente ad un interesse del credito- re, meritevole di tutela, e che non sacrifica, in alcun modo, il diritto del debitore alla difesa delle proprie ragioni”. Cass., Sez. Un., 10 aprile 2000, n. 108.
Il ricorso per decreto ingiuntivo con il quale il
LIBRO IV
creditore chieda il pagamento di una parte del credito maturato, riservandosi di agire successi- vamente per il soddisfacimento delle sue ulterio- ri ragioni va dichiarato inammissibile per viola- zione del canone generale di buona fede e del prin- cipio del giusto processo. Trib. Napoli, 1 aprile 2008.
Integra un abuso del processo la condotta di più ricorrenti che promuovano in un ristretto arco temporale dieci distinti ricorsi alla Corte d’appello competente con il patrocinio del medesimo difen- sore basati sullo stesso presupposto giuridico e fattuale (nella specie il riconoscimento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata del processo). Conseguentemente non potendosi dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi, visto che non è illegit- timo lo strumento processuale ma le modalità di utilizzo dello stesso, l’onere delle spese va valuta- to come se il procedimento fosse stato unico sin dall’origine, dovendosi eliminare gli effetti distor- sivi dell’abuso. Cass. 3 maggio 2010, n. 10634.
Il titolare del diritto al risarcimento del danno può legittimamente scegliere di agire per il ristoro di alcune soltanto delle “voci” di danno subite. È pertanto ammissibile la domanda con la quale il soggetto danneggiato in conseguenza di un sini- stro stradale chieda dinanzi al giudice di pace il risarcimento del solo danno alle cose, purché fac- cia espressa riserva di domandare in un successi- vo giudizio il risarcimento del danno alla persona. Tuttavia, in questi casi, è facoltà del convenuto chie-
dere in via riconvenzionale con domanda vinco- lante per il giudice, che l’accertamento si estenda all’intera area del danno subito dall’attore. Cass. 27 ottobre 0000, x. 00000; contra Xxxx. 23 luglio
1997, n. 6900.
4. Violazione dell’obbligo di buona fede: riflessi sul contratto.
In relazione al contratto di gestione di strumenti finanziari l’obbligo di correttezza ha un peso pecu- liare, perché il suo contenuto è l’affidamento della cura di un affare del mandante, per cui il gestore (che è scelto per le sue qualità professionali) ha un dovere di cautela, di oculatezza ed avvedutez- za e di salvaguardia dell’utilità del gerito e di pro- tezione della sua sfera patrimoniale. Non è suffi- ciente contrapporre l’aleatorietà e la rischiosità delle operazioni di borsa, sia perché ciò non si identifica con la rovinosità ed il puro azzardo, sia soprattutto perché tali caratteristiche non giustificano gli ele- vati costi incontrati nella gestione. Cass. 17 feb- braio 2009, n. 3773.
La violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei dan- ni, ove tali violazioni avvengano nella fase prece- dente o coincidente con la stipulazione del con- tratto d’intermediazione destinato a regolare i suc- cessivi rapporti tra le parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d’investimento o disinvestimento compiute in ese- cuzione del contratto d’intermediazione finanziaria in questione. In nessun caso, in difetto di previsio- ne normativa in tal senso, la violazione dei suac- cennati doveri di comportamento può però deter- minare la nullità del contratto d’intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell’art. 1418, comma 1, c.c. Cass., Sez. Un., 19
dicembre 2007, n. 26724.
Dal fondamentale dovere che grava su ogni contraente di comportarsi secondo correttezza e buona fede – immanente all’intero sistema giuridi- co, in quanto riconducibile al dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 della Costituzione, e sottostante a quasi tutti i precetti legali di comportamento del- le parti di un rapporto negoziale (ivi compresi quelli qui in esame) – il Codice civile fa discendere con- seguenze che possono, a determinate condizioni, anche riflettersi sulla sopravvivenza dell’atto (come nel caso dell’annullamento per dolo o violenza, della rescissione per lesione enorme o della risoluzione per inadempimento) e che in ogni caso comporta- no responsabilità risarcitoria (contrattuale o precon- trattuale), ma che, per ciò stesso, non sono evi- dentemente mai considerate tali da determinare la nullità radicale del contratto (semmai eventual- mente annullabile, rescindibile o risolubile), an-
corché l’obbligo dì comportarsi con correttezza e buona fede abbia indiscutibilmente carattere im- perativo. E questo anche perché il suaccennato dovere di buona fede, ed i doveri di comportamento in generale, sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assur- xxxx, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite. Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724.
L’assunto secondo il quale, nella moderna legi- slazione (anche per incidenza della normativa eu- ropea), la distinzione tra norme di validità e nor- me di comportamento starebbe tuttavia sbiaden- do e sarebbe in atto un fenomeno di trascinamen- to del principio di buona fede sul terreno del giudi- zio di validità dell’atto non è sufficiente a dimostra- re il già avvenuto sradicamento dell’anzidetto prin- cipio nel sistema del Codice civile. È possibile che una tendenza evolutiva in tal senso sia effettiva- mente presente in diversi settori della legislazione speciale, ma un conto è una tendenza altro conto è un’acquisizione. E va pur detto che il carattere sem- pre più frammentario e sempre meno sistematico della moderna legislazione impone molta cautela nel dedurre da singole norme settoriali l’esistenza di nuovi principi per predicarne il valore generale e per postularne l’applicabilità anche in settori ed in casi diversi da quelli espressamente contemplati da singole e ben determinate disposizioni. D’altron- de, non si è mai dubitato che il legislatore possa isolare specifiche fattispecie comportamentali, ele- vando la relativa proibizione al rango di norma di validità dell’atto, ma ciò fa ricadere quelle fattispe- cie nella già ricordata previsione del terzo (non già del primo) comma del citato art. 1418. Si tratta pur sempre, in altri termini, di disposizioni particolari, che, a fronte della già ricordata impostazione del codice, nulla consente di elevare a principio gene- rale e di farne applicazione in settori nei quali analo- ghe previsioni non figurano, tanto meno quando – come nel caso in esame – l’invocata nullità dovreb- be rientrare nella peculiare categoria delle cosiddet- te nullità di protezione, ossia nullità di carattere rela- tivo, che già di per sé si pongono come speciali. Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724.
Conf.: La nullità del contratto per contrarietà a
norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, c.c., postula che siffatta violazione atten- ga ad elementi intrinseci della fattispecie negozia- le, cioè relativi alla struttura o al contenuto del con- tratto, e quindi l’illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative per la formazione del con- tratto, ovvero nella sua esecuzione, non determina la nullità del contratto, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento a detta ipotesi, come accade nel caso disciplinato dal combinato dispo- sto degli artt. 1469-ter quarto comma, e 1469-xxxx- xxxxx, xxxxx xxxxx, c.c., in tema di clausole ves- satorie contenute nei cd. contratti del consumato-
re, oggetto di trattativa individuale. Cass. 29 set- tembre 2005, n. 19024.
Gli artt. 1175 e 1375 c.c. - imponendo rispetti- vamente la correttezza al debitore e al creditore e la buona fede nell’esecuzione del contratto - pre- suppongono rapporti obbligatori e negozi giuri- dici validi ed efficaci e non possono essere util- mente invocati con riferimento all’annullamento degli atti di volontà negoziale. (Sulla base di tale principio la S.C. ha rigettato il ricorso che, tra l’al- tro, invocava la violazione dei suddetti articoli ai fini dell’annullamento dell’atto di dimissioni del la- voratore). Cass. 6 ottobre 2005, n. 19415.
Contra: La nullità delle deliberazioni dell’assem-
blea delle società per azioni per illiceità dell’ogget- to, ai sensi dell’art. 2379 c.c. - nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche intro- dotte dal D.Lgs. n. 6 del 2003 - ricorre solo in caso di contrasto con norme dettate a tutela dell’inte- resse generale, tale da trascendere quello del sin- golo socio, mentre il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela dell’interesse dei singoli soci o di gruppi di essi determina un’ipotesi di sem- plice annullabilità della delibera. Pertanto, dato che il diritto di opzione è tutelato dalla legge solo in funzione dell’interesse individuale dei soci (a man- tenere inalterata la propria partecipazione percen- tuale nella società), è annullabile - e non affetta da nullità - la deliberazione che sacrifichi il diritto di opzione, anche se al solo scopo di azzerare frau- dolentemente la partecipazione del socio alla so- cietà, dovendosi ritenere che in quest’ultimo caso sia configurabile un eccesso di potere, inteso come violazione del canone di buona fede nell’esecu- zione dei rapporti contrattuali, al quale consegue l’annullabilità dell’atto. Cass. 7 novembre 2008,
n. 26842.
Il principio della buona fede oggettiva, intesa come reciproca lealtà di condotta delle parti, deve accompagnare il contratto in tutte le sue fasi, da quella della formazione a quelle della interpreta- zione e della esecuzione, comportando, quale ine- ludibile corollario, il divieto, per ciascun contraen- te, di esercitare verso l’altro i diritti che gli deriva- no dalla legge o dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono pre- ordinati nonché, il dovere di agire, anche nella fase della patologia del rapporto, in modo da preserva- re, per quanto possibile, gli interessi della contro- parte, e quindi, primo tra tutti, l’interesse alla con- servazione del vincolo. L’apprezzamento della sle- altà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento pur avendo altre vie per tutelare i propri interessi, deve necessariamente ripercuotersi sulla valutazione della gravità dell’inadempimento stesso, che del- l’abuso del creditore della prestazione costituisce l’interfaccia (nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto contrario a buona fede il comportamento di un locatore che aveva chiesto la risoluzione del contratto di locazione per mancata corresponsio- ne dei canoni di locazione, nonostante fosse debi-
tore nei confronti della società conduttrice, per una serie di lavori sull’immobile preso in affitto, per una somma ben più importante dell’ammontare dei canoni di locazione richiesti). Cass. 31 maggio 2010, n. 13208.
5. Buona fede e rapporti di lavoro.
In tema di selezione del personale, il datore di lavoro privato che, in forza di apposite clausole di contratto collettivo (nella specie, artt. 50 e 51 del CCNL del personale delle Poste italiane del 26 no- vembre 1994 e del relativo accordo integrativo del 26 ottobre 1995), è obbligato, nella valutazione del personale da promuovere (nella specie, nell’area quadri di II livello), a rispettare i principi di obietti- vità e trasparenza, deve rendere note le ragione della scelta, pur discrezionale, effettuata, manife- stando all’esterno le motivazioni che la sorreggo- no (sebbene senza la necessità della redazione di appositi verbali delle operazioni di selezione), a nulla rilevando che le norme contrattuali non preveda- no espressamente un obbligo di motivazione e la formazione di graduatorie, giacché tali adempimenti sono implicitamente connessi con l’obbligo di os- servare criteri di obiettività e trasparenza e con quello di conformarsi ai principi di correttezza e buona fede nell’adempimento delle obbligazioni. Cass. 22 gennaio 2009, n. 1631.
LIBRO IV
Il lavoratore che lamenti la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di osservare, nel- l’espletamento di una procedura concorsuale per la promozione ad una qualifica superiore, criteri di cor- rettezza e buona fede in ordine allo svolgimento delle procedure e al rispetto della “par condicio” fra gli aspiranti (e, in particolare, il principio di obiettività e trasparenza, da cui deriva la necessità di motivare la scelta di un candidato piuttosto che un altro), chie- dendo il risarcimento dei danni derivantigli dalla perdita della possibilità di conseguire la promozio- ne (perdita di “chance”), ha l’onere di provare an- che gli elementi atti a dimostrare, pur se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo delle probabilità, la possibilità che egli avrebbe avuto di conseguire la promozione, non avendo diversamente nessun in- teresse processuale ad una dichiarazione di illegitti- mità di una procedura concorsuale alla quale sia in- differente. Cass. 2 febbraio 2009, n. 2581.
L’obbligo di fedeltà, la cui violazione può rile- vare come giusta causa di licenziamento, si sostan- zia nell’obbligo di un leale comportamento del la- voratore nei confronti del datore di lavoro e va col- legato con le regole di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.. Il lavoratore, pertan- to, deve astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 c.c., ma anche da tutti quelli che, per la loro natura e le loro con- seguenze, appaiono in contrasto con i doveri con- nessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o creano situa- zioni di conflitto con le finalità e gli interessi del- l’impresa stessa o sono idonei, comunque, a lede- re irrimediabilmente il presupposto fiduciario del
rapporto stesso. Ne consegue che è suscettibile di violare il disposto dell’art. 2105 c.c., e di vulnerare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel lavoratore un esercizio da parte di quest’ulti- mo del diritto di critica che, superando i limiti del rispetto della verità oggettiva, si sia tradotto in una condotta lesiva del decoro della impresa datoria- le, suscettibile di provocare con la caduta della sua immagine anche un danno economico in termini di perdita di commesse e di occasioni di lavoro. Cass. 10 dicembre 2008, n. 29008.
I limiti interni che connotano i poteri del priva- to datore di lavoro sorgono in presenza di disposi- zioni, contrattuali o normative, che dettino le re- gole di esercizio del potere discrezionale, sul pia- no sostanziale o su quello del procedimento da se- guire, regole suscettibili di essere integrate e pre- cisate dalle clausole generali di correttezza e buo- na fede (artt. 1175 e 1375 c.c.). Nell’ambito del rap- porto di lavoro “privatizzato” alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il Giudice (ordinario) sot- topone a sindacato l’esercizio dei poteri, esercitati dall’amministrazione nella veste di datrice di lavoro, sotto il profilo dell’osservanza delle regole di corret- tezza e buona fede, siccome regole applicabili an- che all’attività di diritto privato alla stregua dei prin- cipi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Cass. 26 novembre 2008, n. 28274.
Nell’ambito delle procedure di promozione del personale, il datore deve attenersi ai principi gene- rali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) a cui ciascun contraente deve uniformarsi nel- l’esecuzione dell’obbligazione; un giudizio sui can- didati alla selezione rispettoso dei suddetti principi richiede che il soggetto designato a tale operazio- ne renda note le ragioni della sua scelta, che è si discrezionale, ma sottoposta a vincoli procedimen- tali. È evidente che una procedura che privilegi l’obbiettività e la trasparenza esige che siano manifestate all’esterno le motivazioni che sorreg- gono la scelta di un candidato piuttosto che un altro, anche senza la necessità della redazione di verbali delle operazioni di selezione, nonché la formazione di graduatorie. A nulla rileva che le norme dei contratti collettivi di lavoro non preve- dano espressamente un obbligo di motivazione e la formazione di graduatorie, poiché siffatti adem- pimenti sono implicitamente connessi con l’obbli- go di osservare criteri di obbiettività e trasparenza e con l’obbligo di osservare i principi di correttezza e buona fede nell’adempimento delle obbligazioni. Cass. 2 febbraio 2009, n. 2581.
L’obbligo di fedeltà - la cui violazione può rile- vare come giusta causa di licenziamento - va colle- gato ai principi generali di correttezza e buonafede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e comporta quindi che il lavoratore debba astenersi non solo dai com- portamenti espressamente vietati dall’art. 2105 c.c. ma anche da qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione del-