Contratto in generale Interpretazione e ricostruzione dell’atto di autonomia privata: il caso dei consorzi di urbanizzazione* Commento a Cass., 15 settembre 2021, n. 24940 COMMENTI Andrea Maria Garofalo**
Interpretazione e ricostruzione dell’atto di autonomia privata: il caso dei consorzi di urbanizzazione*
Commento a Cass., 15 settembre 2021, n. 24940
COMMENTI
Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx**
Sommario: I. CASO. – II. QUESTIONI DI DIRITTO. – III. COMMENTO: 1. Ricostruzione dell’assetto di interessi e inter- pretazione (soggettiva e oggettiva) della dichiarazione. – 2. Accordi contrattuali costitutivi di servitù e di diritti personali di godimento: interpretazione e ricostruzione. – 3. Le servitù “nascoste” nei regolamenti dei consorzi di urbanizzazione e negli altri regolamenti privati.
Nella sentenza in commento la Corte di cassazione si trova a interpretare il regolamento di un consorzio di urbanizzazione e, in particolare, a decidere circa la qualificazione di taluni vincoli edificatori quali servitù o diritti obbligatori. Il contributo, partendo dalla pronuncia della Su- prema Corte, indaga il tema dell’interpretazione e della ricostruzione di clausole contrattuali e più in generale negoziali, cercando di individuare i criteri che, per lo più implicitamente, vengono di norma utilizzati per qualificare taluni vincoli quali diritti reali o personali.
In the commented decision, the Court of Cassation had to interpret the rules of an urbani- sation consortium (“consorzio di urbanizzazione”) and, in particular, to decide whether to qualify certain building restrictions as easements or obligations. The paper, starting from the Supreme Court’s ruling, investigates the issue of the interpretation and construction of contractual clauses and, more generally, of clauses of legal transactions, seeking to identify the criteria which, mostly implicitly, are usually used to qualify certain restrictions as rights in rem or in personam.
Parole chiave: Interpretazione e ricostruzione del contratto e del negozio - Consorzi di ur- banizzazione - Vincoli di natura reale assimilabili alle servitù - Accertamento su contenuto re- ale od obbligatorio della pattuizione - Interpretation and construction of contracts and legal transactions - Urbanisation consortia - Rights in rem similar to easements - Assessment of the real or obligatory nature of rights arising from a contract
* Contributo pubblicato all’esito di valutazione.
** Ricercatore di Diritto privato, Università di Trento, xxxxxxxxxxx.xxxxxxxx@xxxxx.xx.
I. CASO
Il caso deciso dalla sentenza in commento è ricorren- te e assai conosciuto alla prassi, soprattutto di qual- che anno fa: un soggetto acquistava un fondo incluso nel perimetro di un Consorzio di urbanizzazione, il cui regolamento imponeva di osservare talune regole per l’edificazione di edifici (1). In particolare, le nor- me consortili stabilivano talune limitazioni e alcune previsioni procedimentali per la costruzione di certe opere: in particolare, veniva richiesto che prima di iniziare le opere per la realizzazione di costruzioni civili fosse richiesta un’autorizzazione del Sindaco, le cui prescrizioni generali e particolari sarebbe stato necessario rispettare nel corso dell’edificazione (2). Un altro soggetto, proprietario di un terreno limitro- fo, conveniva in giudizio il vicino, deducendo che egli aveva realizzato un edificio in violazione delle norme consortili e delle disposizioni amministrative applica- bili al caso di specie. Di tale edificio chiedeva, dunque, la rimozione.
Il Tribunale di Latina prima, e la Corte d’appello di Roma poi, condannavano l’originario convenuto alla
(1) Il Regolamento del Consorzio Tiberia di Sperlonga può esse- re reperito, con tutte le successive modifiche vigenti al 1997 (anno di instaurazione del contenzioso), all’url xxxx://xxx.xxxxxxxxxxx- xxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxxxx.xxxx.
(2) In base all’art. 8, «nel territorio costituente il comprensorio del Consorzio non possono essere eseguite, senza le prescritte au- torizzazioni di cui all’art. 9, le opere seguenti: a) costruzioni civili, rustiche in muratura, legno od altro materiale, muri di cinta, chio- schi, edicole ecc.; b) scavi interni, e modificazioni al suolo condo- miniale o privato, comprese le opere e le costruzioni sotterranee;
c) apertura di strade private, cave a cielo aperto o sotterranee. Ogni opera a carattere permanente in muratura o altro materia- le dovrà essere costruita in base a un progetto esecutivo, firmato da un ingegnere, architetto o geometra iscritto all’Albo, nei limiti delle rispettive attribuzioni ai sensi della legge sull’esercizio pro- fessionale». Stando al successivo art. 9, «la domanda di autorizza- zione ad eseguire le opere di cui all’art. 8 deve essere indirizzata al Sindaco di Sperlonga, firmata dal proprietario o dal suo legale rap- presentante, dal progettista e direttore dei lavori, e presentata in copia all’ufficio tecnico del Consorzio. Il Sindaco, esaminati i pro- getti e relativi allegati di cui art. 10, sentito il parere della Commis- sione Edilizia Comunale, ed eventualmente quello degli altri Enti interessati, rilascia nei termini e con le modalità del Regolamento Edilizio Comunale e di quello consorziale la necessaria autorizza- zione ad iniziare ed eseguire i lavori secondo le prescrizioni gene- rali o particolari della autorizzazione stessa». L’art. 10 enumera poi gli allegati alla domanda di autorizzazione (pianta d’insieme, piante quotate dei piani, prospetti con quote dei piani stradali e dei giardini, documento attestante la denuncia del progetto agli effetti dell’Imposta Comunale di Consumo, relazione illustrativa con indicazione di materiali e colori dei prospetti, copia autentica di eventuali convenzioni tra confinanti).
riduzione in pristino, mediante demolizione, della co- struzione realizzata.
Contro la decisione di seconde cure reagiva il proprie- tario cui era stata ordinata la demolizione, affidandosi a diversi motivi di ricorso per cassazione. Quello di maggiore interesse, ai nostri fini, è il secondo, con cui il ricorrente ricordava come la violazione della nor- mativa amministrativa in tema di edilizia consenta la riduzione in pristino solo nei limiti dell’art. 872 c.c. (e, dunque, quando a venire trasgredite sono le nor- me degli artt. 873 ss. c.c. in tema di distanze o quelle pubblicistiche da esse richiamate) e, inoltre, come gli artt. 8 ss. del Regolamento del Consorzio non avreb- bero potuto intendersi nel senso di attribuire caratte- re di realità – sub specie di servitù reciproche – all’ob- bligo, assunto da ciascun membro del Consorzio, di realizzare costruzioni civili solo previa autorizzazione del Sindaco (e, ciò, anche perché l’art. 6, comma 4, del Regolamento attribuiva al Consorzio stesso, e solo al Consorzio, la legittimazione a chiedere in tali casi la riduzione in pristino (3)).
Il motivo, come osservato dalla Suprema Corte, era formulato in modo tale da risultare inammissibile. Tuttavia, presumibilmente per ribadire un principio di diritto avvertito come importante, il Collegio pro- cedeva a prendere in esame la censura, chiarendo le ragioni per cui la ricostruzione giuridica evocata dal ricorrente non poteva essere condivisa.
Secondo la Cassazione le convenzioni tra privati che stabiliscono limitazioni e vantaggi reciproci a favo- re e a carico delle proprietà individuali (soprattutto se queste si riferiscono alle modalità di edificabilità) vanno intese come volte a restringere o ampliare in modo definitivo i poteri connessi alla proprietà, ossia
(3) In base al comma 4 dell’art. 6 «le eventuali contravvenzio- ni daranno diritto al Consorzio di provvedere all’esecuzione dei lavori di ripristino del buono stato delle cose, salvo rivalsa corri- spondente alla spesa sopportata, a norma dell’art. 14 dello Statuto del Consorzio». Secondo il ricorrente tale previsione avrebbe at- tribuito al Consorzio, e solo al Consorzio, il diritto di reagire alla violazione delle norme consortili di cui agli artt. 8 ss. del Regola- mento; a dire il vero, però, quest’opinione non appare del tutto convincente, non foss’altro perché nei primi tre commi dell’art. 6, cui evidentemente si riferisce il potere di ripristino di cui al com- ma 4, vengono menzionati oneri e obblighi dei singoli consorziati relativi al rispetto delle opere eseguite dal Consorzio, rinviandosi peraltro alla disciplina dell’art. 7 (rubricato «norme generali per l’esecuzione di opere», ma relativo a costruzioni e opere dei singoli
«per allacciamento alla rete stradale di uso di tutti i consorziati») e non a quella degli artt. 8 ss. (già in precedenza richiamati); senza dire, peraltro, che il diritto di ottenere la riduzione in pristino sot- teso all’azione confessoria non appare per nulla corrispondente al potere di ripristino di cui alla norma consortile poc’anzi trascritta.
ad attribuire a ciascun fondo vantaggi e oneri che gli ineriscono come una sua qualità. Ne deriva che tali pattuizioni fanno sorgere diritti di servitù, a carattere ovviamente reale, anche qualora – aggiunge la Cor- te – il testo contrattuale non parli affatto di servitù. Dalla violazione della servitù, ovviamente, deriva il potere del proprietario del fondo dominante di agire in giudizio, anche se del caso per chiedere la demoli- zione dell’opera realizzata in contrasto con la servitù stessa.
A sostegno di tale lettura la Suprema Corte richiama alcuni suoi orientamenti: a fronte di servitù per van- taggio futuro va distinta la servitù che presuppone la costruzione degli edifici, nel qual caso si deve applica- re l’art. 1029, comma 2, c.c. (e «la costituzione non ha effetto [o per lo meno l’effetto reale non sorge] se non dal giorno in cui l’edificio è costruito»), dalla servitù
– corrispondente a quella a giudizio – indipenden- te dalla costruzione e inerente al suolo, in relazione alla quale può farsi applicazione dell’art. 1029, com- ma 1, c.c. (con conseguente effetto reale immediato) (4); i divieti di costruire oltre certi limiti comportano
«un’immediata limitazione dell’edificabilità del fon- do», restringendo poteri di godimento e di utilizza- zione e al contempo accrescendo l’utilitas del fondo contiguo (5); le pattuizioni con cui i proprietari di più lotti vicini, compresi in una lottizzazione, stabiliscono i criteri cui ognuno dovrà conformarsi nell’edificazio- ne, rientrano nei casi descritti dall’art. 1029, comma 1, c.c. (6); i consorzi di urbanizzazione, aventi la na- tura di associazioni atipiche con aspetti sia associativi che di realità, si reggono sull’interesse «a disciplinare l’utilizzazione del comprensorio in vista della sua ur- banizzazione», tanto che «i consortisti assumono ob- blighi propter rem e costituiscono a carico dei terreni siti nel comprensorio (…) una serie di servitù recipro- che (soggette a trascrizione perché siano opponibili ai terzi), allo scopo di assicurare nel tempo il rispetto dei diritti e obblighi che ne derivano» (7).
II. Questioni di diritto
Come è facile appurare, la Corte di cassazione è ferma e risoluta nell’intendere quale servitù la previsione del Regolamento consortile che richiedeva di munirsi di una certa autorizzazione per procedere a edificare.
(4) Cfr. Cass., 14 gennaio 1982, n. 235, in Mass. Giust. civ., 1982.
(5) Cfr. Cass., 3 agosto 1984, n. 4624, in Mass. Giust. civ., 1984. (6) Xxx. Xxxx., 00 xxxxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxx xx., 1996, I, 2464. (7) Xxx. Xxxx., 00 xxxxxxx 0000, x. 00000, in Corr. giur., 1993, 49.
La lettura della motivazione della sentenza non con- sente, però, di ritenersi del tutto soddisfatti: dove si legge che «le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla pro- prietà, attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inserisce come qualitas fundi, ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù», non si ha modo di com- prendere quando si sia di fronte a convenzioni che stabiliscono «reciproche limitazioni o vantaggi a fa- vore e a carico delle rispettive proprietà individuali», né perché nelle clausole di un regolamento consortile volte a regolare talune facoltà edificatorie debbano per forza di cose rinvenirsi convenzioni con le quali le parti intendono restringere o ampliare «i poteri con- nessi alla proprietà (…) con caratteristiche di realità». Al netto della dinamica processuale, che come s’è det- to non imponeva alla Corte di esprimersi sul punto (stante l’inammissibilità del motivo di ricorso che glielo sottoponeva), la presa di posizione della Cassa- zione a dire il vero non sembra andare molto oltre una mera tautologia, come peraltro non di rado avviene allorché la giurisprudenza si trova a risolvere questio- ni di stampo in senso lato ermeneutico. Una petizione di principio che, ovviamente, nasconde un altro inter- rogativo: l’equazione tra la necessità di munirsi di una certa autorizzazione e il diritto di servitù è davvero il risultato della semplice attribuzione di un nomen a un’operazione economica privata o deriva piuttosto dalla risoluzione di più ampie e complesse questioni interpretative e ricostruttive?
La sentenza in commento, nel far emergere questioni quali quelle testé segnalate, si presta a una revisione del tema dell’interpretazione e della qualificazione: di un tema, cioè, tanto centrale nel discorso giuridi- co, quanto esposto al rischio che l’interprete, anziché affidarsi a categorie volte a sovrintendere al ragiona- mento, finisca per porre in essere scelte interamente fondate sulla sua sensibilità. L’approfondimento de- gli argomenti indicati consentirà di soffermarci poi su ipotesi (dapprima più semplici e in seguito poi più complesse) di interpretazione e ricostruzione di clau- sole in cui solitamente si rinviene la costituzione di diritti di servitù e, infine, di rintracciare ed esprimere quanto vi è di implicito nel ragionamento della Supre- ma Corte poc’anzi sintetizzato.
III. Commento
1. Ricostruzione dell’assetto di interessi e interpretazione (soggettiva e oggettiva) della dichiarazione.
La dottrina tradizionale distingue interpretazione e qualificazione e, all’interno della prima, interpreta- zione soggettiva e oggettiva. Tuttavia, è sufficiente leggere la più importanti opere dedicate a questi temi per rendersi conto che assai varie sono le opinioni sulle implicazioni tra interpretazione e qualificazione (8), così come sul confine tra interpretazione sogget- tiva e oggettiva e finanche sulla legittimità di questa distinzione (pur apparentemente seguita dagli artt. 1362 ss. e 1367 ss. del codice) (9).
Non è ovviamente possibile, qui, ripercorre l’ampio dibattito in tema: ci si limiterà, allora, a offrire una possibile visione d’insieme (che in altra sede, cui si rinvia, si è descritta con maggiore ampiezza (10)).
La distinzione tra interpretazione soggettiva e og- gettiva, in realtà, sembra sottendere una serie di problematiche e di prospettive differenti, da tenere quindi separate. Anzitutto, una prima distinzione da compiere è quella tra operazioni che avvengono in xxx xxxxxxxxx, xxxxx xx xxx xxxxxxxxx x xxxxx xxxx- xx riflessione, essendone scontato il risultato per un interprete posto di fronte all’accordo, e operazioni in- vece che richiedono una valutazione approfondita e che, quindi, avvengono in via ponderata. In tal senso, quindi, potremo distinguere interpretazione sponta- nea e interpretazione ponderata.
Ma non è tutto. L’interpretazione spontanea non è la primissima operazione che, a un livello implicito e mai verbalizzato (data l’autoevidenza e la banalità delle operazioni compiute in via spontanea), viene po- sta in essere. Prima ancora, infatti, l’interprete – per meglio dire: qualsiasi soggetto chiamato a compren- dere l’accordo nella sua esatta portata – cerca nella situazione concreta la presenza di “elementi di fatto”, di valore pragmatico-costitutivo, dalla cui combina-
(8) V. ad esempio, con varietà d’accenti, CASELLA, Il contratto e l’interpretazione, Xxxxxxx, 1961, 160 ss.; SCALFI, La qualificazione dei contratti nell’interpretazione, Istituto editoriale Cisalpino, 1962, 153 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Interpretazione e qualificazione: pro- fili dell’individuazione normativa, in Dir. giur., 1975, 5 ss.
(9) Cfr. tra gli altri, e con opinioni assai diverse, C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, 3ª ed., Xxxxxxx, 2019, 382; XXXXXXX, Senso e consenso. Storia, teoria e tecnica dell’interpretazione dei contratti, II, Tecnica, Xxxxxxxxxxxx, 2015, 620 s.
(10) Cfr. A.M. XXXXXXXX, L’interpretazione e la ricostruzione del contratto nel prisma della pragmatica linguistica, in Studi in ri- cordo di Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx, Jovene, 2021, 325 ss.
zione può derivare, secondo modelli tipici e diffusi a livello socio-giuridico, l’attivazione di un certo assetto di interessi.
Possiamo chiamare quest’operazione “ricostruzio- ne”; e, poiché avviene in sede spontanea, potremmo chiamarla “ricostruzione spontanea”. Tizio ordina un caffè al bar di Caio: questa situazione evoca un ambi- to commerciale, tra estranei, in cui possono avvenire scambi di un certo tipo di servizi e denaro protetti dal diritto. Xxxxx attribuisce a Caio la proprietà di un og- getto a Xxxx per finalità di marketing: è evidente che il senso complessivo dell’accordo è assai diverso da quanto avverrebbe se esso fosse volto a soddisfare fi- nalità liberali. Tizio e la società Alfa sottoscrivono un contratto d’appalto per una ristrutturazione ingente: in tal caso è chiaro che le parti intendono sottostare alle regole del diritto e, al contempo, che il baricentro complessivo del contratto subirebbe uno spostamen- to se, anziché con la società Alfa, il contratto (magari di prestazione d’opera, per una piccola riparazione) fosse concluso con l’idraulico Caio. E l’elenco potreb- be, ovviamente, continuare molto a lungo.
Questi elementi di fatto tratti dal contesto (l’ambito commerciale, la natura del prestatore, l’entità e pri- ma ancora il tipo di prestazione, lo scopo perseguito) vengono immediatamente e intuitivamente proces- sati dalla mente di un qualsiasi spettatore. Inoltre, è proprio alla luce di questi elementi che lo spettatore leggerà e intenderà la dichiarazione: la cui interpreta- zione sarà funzionale a ricavare altri “elementi di fat- to”, che insieme ai primi andranno a formare, in sede ricostruttiva, un compiuto e completo assetto di inte- ressi (11). E una simile interpretazione della dichiara- zione potrà dirsi soggettiva, in tanto in quanto si basi sul significato delle parole all’interno del contesto (le trattative, le condotte post-contrattuali) e del co-testo (il resto della dichiarazione), oppure oggettiva, nella misura in cui valorizzi, pur sempre immediatamente e spontaneamente, proprio il complessivo assetto di interessi, per trarne un’ipotesi ermeneutica.
Ora, queste operazioni spontanee non sempre – anzi, per l’uno o per l’altro verso, mai – risultano sufficien- ti: sicché è necessario poi procedere a un approfondi- mento “ponderato”, che richiede una riflessione non immediata e non scontata, oltre che attenta alle cate-
(11) Così definita, la ricostruzione appare sovrapponibile alla qua- lificazione: si userà, tuttavia, il primo termine, giacché il secondo è di norma utilizzato, in ambito contrattuale, per la sola riconduzio- ne del contratto a un tipo. Sul legame tra interpretazione e indivi- duazione degli interessi v. pure X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Cedam, 1992, 273 ss.
gorie giuridiche (o, per meglio dire, ai modelli quali- ficatori che l’ordinamento giuridico, sistematizzando l’informe materiale sociale che si proietta nell’ordina- mento e che chiede sanzione giuridica, appronta).
Anche qui dobbiamo, però, distinguere problemati- che e prospettive assai differenti.
Anzitutto, può accadere che una parte della dichia- razione risulti di dubbia lettura e richieda un appro- fondimento interpretativo (e, quindi, la soluzione di questioni prevalentemente interpretative) (12). Così, può non essere chiaro se una certa condotta nelle trattative consenta una determinata interpretazione della dichiarazione (e si dovrà allora verificare qual è il peso in astratto, secondo l’ordinamento giuridico, delle condotte nelle trattative e, di qui, qual è il peso concreto di quella specifica condotta); oppure, e come più di frequente avviene, può semplicemente essere
preferire una interpretazione maggiormente in linea con gli stessi) (13).
In secondo luogo, potrà risultare dubbia l’esatta por- tata giuridica del vincolo inteso nel suo complesso: emergeranno allora questioni prevalentemente ri- costruttive (14). Potrebbe non essere chiaro se esso davvero aspiri alla giuridicità, così come se esso vada incluso nell’uno o nell’altro tipo contrattuale; ancora, potrebbe risultare opportuno collegare, all’accordo, certe regole di disciplina non dettate espressamente dalle parti, né incluse nella disciplina dispositiva del tipo. Tali questioni vengono di regola risolte in via unicamente ricostruttiva: ora, per mezzo di un’ope- razione che viene detta di qualificazione (e che, bilan- ciando i vari elementi di fatto, alla luce della forza che astrattamente viene loro attribuita dall’ordinamento
dubbia la lettura della dichiarazione (o di una sua par-
te). Sovverranno, anche qui, argomenti interpretativi soggettivi e oggettivi: potrà allora valorizzarsi quanto relativo alla specifica situazione concreta (condotte pre e post-contrattuali; co-testo) oppure si potrà far leva sull’assetto di interessi già ricostruito (ad esem- pio, il fatto che esso miri a creare un vincolo giuridico costituirà un argomento a favore di una lettura che conservi la validità del contratto, così come il senso e la portata complessivi dell’accordo imporranno di
(12) Secondo la tesi tradizionale (assai nota, ma oggi anche al- trettanto criticata: x. XXXXXXXXXX, La determinazione del regola- mento, in Tratt. contr. Roppo, II, Regolamento, a cura di Xxxxxxx, Xxxxxxx, 2006, 309 s.), gli argomenti di interpretazione soggettiva verrebbero in rilievo in una prima fase ermeneutica, per poi lascia- re spazio, in caso di dubbio, a quelli di interpretazione oggettiva (v. in particolare GRASSETTI, L’interpretazione del negozio giuridi- co con particolare riguardo ai contratti, Cedam, 1983, 128 ss.). Stando all’opinione che si esprime nel testo, invece, la distinzione evocata da questa tesi tradizionale è quella tra una fase sponta- nea e una fase ponderata; all’interno di ciascuna di esse trovano spazio, e hanno un ruolo, argomenti di stampo soggettivo e ogget- tivo. Di ciò è, del resto, sintomo l’estrema varietà di opinioni che è dato reperire in dottrina con riguardo all’assegnazione dell’uno o dell’altro criterio interpretativo, posto dagli artt. 1362 ss. c.c., all’interpretazione soggettiva od oggettiva (v. ad esempio le clas- sificazioni, non del tutto sovrapponibili, di BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, 2ª ed., Esi, 2002, 346 ss., e di CATAUDELLA, Sul contenuto del contratto, Xxxxxxx, 1966, 124 ss.); così come è sintomo il dibattito, assai vivace sotto il vigore del vecchio codice, sulla giuridicità o meno delle norme interpretative (le quali, per l’appunto, nel caso di interpretazione spontanea appaiono in tutto e per tutto conformi a quelle spontaneamente formatesi a livello sociale e di qui proiettatesi nell’ordinamento, mentre nel caso di interpretazione ponderata appaiono essere il frutto di scelte politi- che e tecniche dell’ordinamento e, quindi, all’apparenza sembrano più pregne di giuridicità; sul punto v. X. XXXXXXX, L’interpretazio- ne dei contratti, in Scritti giuridici, V, Xxxxxxx, 1948, 170 ss.).
(13) Xxxx’ottica in cui ci si muove gli argomenti interpretativi di cui agli artt. 1362 ss. c.c. non vengono collocati in ordine gerar- chico tra loro. A ciò potrebbe obiettarsi che il legislatore, nel su- bordinare l’operatività degli artt. 1367 ss. c.c. alla sussistenza di un dubbio interpretativo (diversamente da quanto avviene per le regole di cui agli artt. 1362 ss. c.c.), sembra considerare i rispetti- vi criteri meramente sussidiari rispetto a quelli previsti dalle di- sposizioni che precedono. L’osservazione, però, sarebbe erronea: semplicemente, deve ritenersi che, sancendo le norme di cui agli artt. 1362 ss. c.c., il legislatore tende a sovrapporre interpretazione spontanea e ponderata, tanto da avere solo la prima in mente, al- lorché detta il primo gruppo di articoli, e solo la seconda, allorché si sofferma sui criteri oggettivi. D’altro canto, il fatto che solo con riferimento ai criteri oggettivi il legislatore richieda l’esistenza di un dubbio interpretativo non potrebbe giammai essere inteso nel senso che solo tali criteri operano nel caso di ambiguità, essen- do sicuramente irragionevole escludere gli argomenti soggettivi dall’interpretazione ponderata.
(14) L’idea di ricostruire l’assetto di interessi, a partire dalla concorrenza di più elementi di fatto che si proiettano sullo stes- so assetto colorandolo in modo volta per volta differente, impone di individuare l’economia – o, se si preferisce, il senso o il valo- re – del singolo accordo, esattamente come avviene in Germania in ambito di ergänzende Auslegung (su cui v. FLUME, Allgemei- ner Teil des Bürgerlichen Rechts, II, Das Rechtsgeschäft, 3ª ed., Springer, 1979, 321 ss.). In Italia, la giurisprudenza parla spesso di “indici sintomatici” rilevanti per qualificare il contratto (cfr. Xxxx., sez. lav., 14 maggio 2009, n. 11207, in Riv. it. dir. lav., 2010, II, 865). La dottrina laburistica rinviene in questa tendenza giu- risprudenziale, a dire il vero, l’adesione al metodo tipologico e il conseguente rigetto di quello sussuntivo nella qualificazione del contratto di lavoro (così BALLESTRERO e X. XX XXXXXX, Diritto del lavoro, Xxxxxxxxxxxx, 2017, 131); tuttavia, su un piano più generale deve osservarsi che l’idea dell’assetto di interessi quale portato e quale proiezione del concorso di più elementi di fatto non implica affatto il rifiuto del metodo sussuntivo, se inteso non come piatta e rigida riconduzione del contratto al tipo definito dal legislatore, ma piuttosto e più modernamente come confronto tra gli interessi propri del tipo e gli interessi perseguiti in concreto (sul metodo tipologico v., comunque, DE NOVA, Il tipo contrattuale, Cedam, 1974, 121 ss.).
e di quella che concretamente essi veicolano, attri- buisce all’accordo una certa portata, attribuendogli o negandogli la giuridicità e collocandolo nell’uno o nell’altro tipo); ora, per mezzo di un’operazione di integrazione degli effetti che si dirà derivare ex fide bona (e che è volta a collegare ulteriori regole di di- sciplina, oltre a quelle dispositive del tipo, al concreto assetto di interessi, proprio in ragione della sua con- creta portata (15)).
Infine, non è raro che l’assetto di interessi, nel suo completarsi, incontri delle manchevolezze: ora per- ché la dichiarazione dà vita a una regola che appare sghemba rispetto agli altri interessi e, quindi, al sen- so complessivo del patto; ora perché la dichiarazione non racchiude direttamente una regola, ma semmai intende fornire una qualificazione (che magari ap- pare erronea); ora perché l’assetto di interessi, nel suo completarsi, risulta insufficiente e bisognoso di autointegrarsi. Si pensi, anzitutto, a una clausola risolutiva espressa prevista per qualsiasi ipotesi di inadempimento di una certa obbligazione, anche di scarsissima importanza (16): qui la clausola, pur in astratto diretta a porre una regola, appare inappro- priata rispetto all’assetto di interessi e richiede di ve- nire conformata – ridotta – ermeneuticamente (sal- vo non si dimostri che la stessa clausola attribuisce un peso tale a certi interessi, come quelli inerenti a un adempimento perfetto e privo di qualsiasi, anche lievissima, difformità, da farla ritenere sostenuta da questi stessi interessi e, quindi, correttamente este- sa a qualsiasi ipotesi di inadempimento) (17). Anco- ra, si immagini una clausola di autoqualificazione (e quindi normalmente inidonea a porre una regola),
(15) Quest’ultima operazione, assai vicina a quella che i tedeschi chiamano “interpretazione integrativa”, può anche portare ad escludere tratti di disciplina dispositiva del tipo, allorché inidonei a regolare il contratto, perché inappropriati rispetto al concreto assetto di interessi.
(16) Caso sul quale la giurisprudenza e la dottrina si sono interro- gate, anche di recente: cfr. Cass., 23 novembre 2015, n. 23868, in
magari addirittura smentita dalla restante ricostru- zione dell’assetto di interessi (18): in tal caso ci si po- trà chiedere se, comunque, essa abbia un certo effetto pragmatico (e modifichi quindi, almeno in parte, il complessivo assetto di interessi, pur senza capovol- gerlo fino al punto da imporne una qualificazione nel senso indicato dalle parti stesse). Nel primo caso si potrà parlare di “interpretazione conformativa”; nel secondo, di “depotenziamento (o svuotamento) della dichiarazione”. In entrambi i casi le questioni saran- no – diversamente da quanto affermato per i primi due gruppi di questioni emerse in sede ponderata – di ricostruzione-interpretazione: ossia, non di interpre- tazione, né di ricostruzione, ma semmai di autocor- rezione della ricostruzione, con ricadute anche sulla stessa interpretazione (e con implicazioni potenzial- mente derivanti da una rilettura della dichiarazione alla luce delle problematiche così emerse (19)).
Come si vede, svariati – e alquanto eterogenei – sono i problemi di interpretazione e ricostruzione: e, quin- di, altrettanto differenti sono i luoghi in cui i diversi argomenti, ermeneutici e ricostruttivi, possono ope- rare. Non sempre, come già anticipato, la giurispru- denza individua nitidamente questi diversi ambiti di operatività: anzi, quasi sempre i giudici appaiono affidarsi all’intuizione del caso concreto. Eppure, per quanto interpretazione e ricostruzione inevitabil- mente restino materie in cui è difficile l’astrazione e più forte è il contatto con il fatto, sarebbe necessario distinguere ciò che è diverso e servirsi di categorie dogmatiche, anche al fine di precisare qual è la forza “astratta” dei singoli argomenti o, per meglio dire, la forza tipicamente posseduta in gruppi di casi analo- ghi dai singoli argomenti che possono venire in luce in sede di interpretazione e ricostruzione ponderata (e, più precisamente, nell’ambito delle diverse opera- zioni che si sono descritte). Forza che, a sua volta, solo una tassonomia – eventualmente critica – delle deci- sioni giurisprudenziali consentirebbe di tratteggiare in modo sufficientemente definito (20).
Giur. it., 2016, 2364 (la quale, xxxxxxxxx, attrae il sindacato sulla
gravità dell’inadempimento alla fase esecutiva e, per la precisio-
ne, alla valutazione di conformità a buona fede della condotta del creditore che si avvalga di una clausola risolutiva espressa pur in presenza di un inadempimento difficile da non ritenere, quantun- que considerando le particolarità del caso concreto, assai tenue); in dottrina v. F.P. PATTI, Due questioni in tema di clausola risolu- tiva espressa, in Contratti, 2017, 695 ss.).
(17) Xxxxxxxx, la disciplina contrattuale verrà ritenuta addirittura in tutto o in parte immeritevole: ciò avverrà nel caso in cui il testo appaia veicolare, in tutto o in parte, regole antitetiche rispetto al restante assetto di interessi e così rigide da non poterne nemmeno essere conformate.
(18) A tal riguardo cfr. XXXXX, Il contratto, 2ª ed., in Tratt. dir. priv. Iudica e Xxxxx, Xxxxxxx, 2011, 408; SACCO e DE NOVA, Il contrat- to, 4ª ed., Utet, 2016, 1345 ss.
(19) In questa rilettura avranno un forte peso quelle parti della dichiarazione cui può collegarsi una diversa “forza” dell’elemento di fatto: ad esempio, quei verbi o avverbi cui si ricollega una mag- giore solennità o serietà e, quindi, anche una maggiore importanza
– per le parti – dell’interesse sotteso a una specifica clausola.
(20) La diversa – e assai variegata – descrizione delle fasi inter- pretative e qualificatorie da parte della civilistica è chiaro indice del fatto che, partendo da premesse eterogenee (e quindi da prin-
Proprio in quest’ottica proviamo allora a verificare cosa, nel caso di specie, fosse sotteso all’intuizione giurisprudenziale.
2. Accordi contrattuali costitutivi di servitù e di diritti personali di godimento: interpretazione e ricostruzione.
Proviamo ad applicare i principi discussi a una serie di ipotesi per così dire “semplici” di costituzione del diritto di servitù.
Xxxxx e Xxxx, proprietari di due fondi finitimi, si re- xxxx dal notaio Xxxxxx e, con atto pubblico, stabili- scono che sul fondo Tuscolano, di proprietà di Xxxx, Xxxxx e comunque ogni altro successivo proprietario dell’adiacente fondo possano transitare a titolo di ser- vitù di passaggio.
In questo esempio nulla fa dubitare della corretta qualificazione giuridica: le parti si sono volute attri- buire un diritto di servitù e, quindi, la loro convenzio- ne va qualificata come contratto (di compravendita o di donazione) costitutivo di una servitù: contratto da cui, per l’appunto, sorge una servitù.
Non sembrerebbe esservi nulla di complesso. Sen- nonché, i problemi aumentano tanto più ci distanzia- mo da questa ipotesi limite (21).
Cosa accadrebbe se Xxxxx e Xxxx si promettessero re- ciprocamente, magari nell’ambito di un più vasto ac- cordo, che Tizio potrà transitare sul fondo di Caio? Si tratterà di un accordo da cui discende un diritto personale di Xxxxx o di un contratto costitutivo di una servitù?
Quest’ultimo caso si trova al crocevia di più argo- menti, di stampo sia interpretativo sia ricostrutti- vo-qualificatorio: argomenti che debbono essere resi autonomi e distinti, proprio per palesarli e renderli
cipi generali differenti: ora più liberali, ora più solidaristici, e così via), si giunge a disegnare architetture dissimili, in cui il ruolo gerarchico e cronologico, e finanche la forza “astratta”, dei vari argomenti ermeneutici risulta differente (per rendersene conto è sufficiente leggere le pagine di sintesi di BRUTTI, Interpretare i con- tratti. La tradizione, le regole, Xxxxxxxxxxxx, 2017, 181 ss.). La dif- ficoltà di verbalizzare queste diverse posizioni (a monte e a valle) rende l’interpretazione una materia spesso affidata all’intuizione, più che alla dogmatica: dal che si trae, ad avviso di chi scrive, la necessità di una formulazione di nuove categorie interpretative, modellate sui (e aggiornate ai) più recenti studi sulla comunica- zione umana.
(21) X. XXXXXXXXX XXXX, Introduzione agli artt. 1362-1371, in Codice civile. Commentario diretto da Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 1991, 51. Per altre questioni complesse in tema di interpretazione dei contratti costitutivi di servitù, sebbene parzialmente diverse da quelle di- scusse nel testo, v. in giurisprudenza App. Milano, 3 maggio 2021,
n. 1395, in DeJure, nonché Cass., 9 ottobre 2020, n. 21858, in Rep. Foro it., 2020, voce Contratto in genere, nn. 355-356.
controllabili (ovviando ai rischi di un ragionamento che, altrimenti, si baserebbe sulla semplice intuizione complessiva e finale) (22).
Potrebbe anzitutto accadere che il quesito possa esse- re risolto in sede “spontanea” (e non venga riaperto in sede “ponderata” (23)). Così avviene, ad esempio, se le parti danno atto nel corso delle trattative e poi nel testo dell’accordo che intendono costituire un vero e proprio diritto di servitù, opponibile erga omnes, vin- colandosi a riprodurre il patto in forma idonea per la sua trascrizione; oppure, al contrario, che prevedono la creazione di un diritto personale di godimento, va- levole solo inter partes e inopponibile ai nuovi aventi causa.
Sul punto conviene indugiare, onde evitare un possi- bile equivoco. È vero che, solitamente, l’autoqualifica- zione che le parti danno di un certo contratto non ha alcun valore o ne ha uno scarso (in sede di ricostru- zione-interpretazione può, come si è già visto, avere un qualche peso). Tuttavia, nelle ipotesi testé menzio- nate le cose stanno diversamente, giacché diversa è la situazione: il riferimento nel testo contrattuale alla “servitù” o al “diritto personale” ha anzitutto un ruo- lo nell’individuazione degli interessi perseguiti – nel richiamare il tipo di vincolo che si intende creare – e, per ciò stesso, non diviene un semplice nomen privo di rilievo o dotato di una forza pragmatica solo mini- ma, ma al contrario una formula riassuntiva di regole che immediatamente vengono richiamate (24).
(22) Una terza possibile qualificazione è quella di patto da cui de- riva un titolo precario per il passaggio di Xxxxx (con conseguente qualificazione del consenso di Xxxx come atto di semplice tolle- ranza). Spesso – anche se non inevitabilmente – sono sufficienti le operazioni svolte in sede spontanea per distinguere la semplice tolleranza dalla creazione di un vincolo giuridico più o meno ir- retrattabile a carico di chi concede il passaggio: così avviene, ad esempio, se Tizio oralmente concede all’amico Xxxx la possibilità di transitare sul suo fondo a fronte di una richiesta informale e in un contesto privo di particolare serietà (intesa come “gravità”). Laddove così non fosse, il quesito verrebbe per lo più sciolto in via di ricostruzione ponderata: ossia verificando se la forza pragmati- ca delle espressioni usate (ad esempio, la loro solennità e la loro gravità) e degli altri elementi di fatto (come la serietà del contesto) è tale da sostenere interessi corrispondenti alla creazione di un vincolo giuridico o meno.
(23) O per lo meno “apparentemente” non venga riaperto, in ragione del fatto che gli esiti delle operazioni ponderate (di rico- struzione-interpretazione) risultano in tutto e per tutto conformi a quelli delle operazioni spontanee.
(24) Diverso sarebbe se, ad esempio, le parti intendessero dar vita a un vincolo personale, regolandolo come tale, e lo chiamassero “servitù”: nel qual caso il nomen per lo più arretrerebbe a una au- toqualificazione priva di rilievo (ovviamente, tutto dipende dalle peculiarità del caso e dall’esatto incrocio tra argomenti di stampo
Non è però detto che le operazioni condotte in via spontanea siano sufficienti per risolvere ogni questio- ne. E sono proprio questi ultimi casi quelli per noi più rilevanti: casi in cui v’è da chiedersi di che xxxxxx è il dubbio che si apre e in quale luogo ideale – tra quelli indicati nel paragrafo precedente – esso opera e cerca una soluzione (25).
Anzitutto, si deve verificare se la dichiarazione tocchi, per quanto in modo ambiguo, questioni più o meno latamente relative alla tipologia di vincolo: in queste ipotesi, e cioè ove affiorasse un dubbio già in sede di interpretazione spontanea (26), lo si dovrebbe poi ri- solvere in sede ponderata e, più precisamente, in sede di interpretazione ponderata.
Tuttavia, non è affatto semplice rinvenire casi in cui l’accordo appaia regolare questi profili, seppur in modo oscuro; di norma, infatti, più che involuto a tal riguardo, l’accordo sembrerà semplicemente non prendere in alcuna considerazione questi profili (27).
diverso: ma, di massima, in ipotesi del genere si sarebbe portati a dire che la questione si risolve svuotando di senso la clausola di autoqualificazione, la cui incompatibilità con l’assetto di inte- ressi potrebbe palesarsi già in sede spontanea o per lo meno in sede ponderata). Lo stesso avverrebbe, peraltro, se al richiamo alla “servitù” non potesse, in concreto, essere attribuito il ruolo di ri- ferimento per relationem a una serie di regole: allora residuereb- bero tutti i problemi di cui si parlerà a breve, mentre l’espressione “servitù” finirebbe per ridursi a una autoqualificazione o poco più.
(25) Corre l’obbligo di una precisazione: in qualsiasi modo si ri- sponda al quesito appena posto nel testo, comunque non si potrà ritenere che il dubbio circa il tipo di vincolo sorto dal contratto ne comporti la mancata conclusione per dissenso tra le parti. È ben vero che sussiste, secondo un certo orientamento, dissenso allorché le parti non concordano su un elemento essenziale del contratto (come la scelta del tipo) e, così, anche quando residua un dubbio al riguardo; tuttavia, allorché la scelta è tra due tipi di cui l’uno, in un certo senso, contiene l’altro (producendo effetti sostanzialmente analoghi, ma più penetranti), deve ritenersi che le parti abbiano concordato sugli aspetti essenziali del contratto, residuando solo una lacuna su un elemento che risulta, in con- creto, non dirimente. Le parti, in un certo senso, concordano su un assetto di interessi corrispondente a quello di due o più tipi: e, pur a fronte di tale margine di genericità, l’accordo pattizio deve comunque considerarsi sufficiente per escludere ogni problema di dissenso. In generale, sul dissenso occulto v., in dottrina, XXXXX- XX, Il dissenso occulto nella teoria generale del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, 31 ss.
(26) Nel senso che la dichiarazione appare prendere in considera- zione il tipo di effetti divisati (ponendo una regola al riguardo: o espressa, o per relationem con richiamo di un certo tipo di effetti), ma ciò fa in modo ambiguo, come facilmente appurabile già con- frontando, in sede di interpretazione spontanea, la dichiarazione con l’interrogativo circa il tipo di vincolo avuto di mira dalle parti.
(27) Se Xxxxx promette a Caio di pagare una fornitura «entro dieci giorni», potrà essere oscuro se il termine decorre dalla conclusio- ne del contratto o dalla consegna del bene. Se Tizio promette a
Detto in altri termini: per quanto in linea teorica non possa escludersi che le espressioni utilizzate nel con- tratto, per la loro natura o per come intese dalle parti (anche alla luce delle trattative intercorse), evochino il tipo di effetti (obbligatori o reali) del contratto e, però, al contempo risultino prive di sufficiente chia- rezza a tal riguardo, in concreto lo spazio che residua per questa casistica è molto ridotto, sicché difficil- mente i casi di dubbio risulteranno afferire a una que- stione davvero interpretativa.
Proviamo ad esemplificare. Perché si prospetti una questione schiettamente interpretativa dovrebbe emergere che le parti, nel definire la natura dell’effet- to prescelto, hanno utilizzato espressioni ambigue od oscure (ad esempio: «Xxxxx concede a Xxxx il diritto di passare per il suo fondo per dieci anni. Il diritto potrà essere opposto anche dagli eredi e dagli aven- ti causa di Xxxx, tutelati nelle forme del diritto reale nei confronti di Xxxxx e di chi per esso, a loro volta personalmente obbligati a rispettare il diritto di con- troparte»). E, però, è molto raro che ciò avvenga: da un lato, è assai difficile ipotizzare che una simile in- certezza compaia interrogando il testo contrattuale in sede di interpretazione spontanea, così come avviene per i dubbi genuinamente interpretativi (si dovrebbe a tal riguardo dimostrare che, a prescindere dall’e- satta ricostruzione dell’assetto di interessi all’interno dell’ordinamento giuridico, proprio in tale sede non sia chiaro quali effetti vogliano le parti); da un altro lato, di regola l’espressione usata non risulta equi- voca nel porre una regola dal contenuto oscuro, ma piuttosto appare di peso incerto nel permettere la ri- conduzione del patto all’una o all’altra qualificazione (appare, cioè, destinata a una rilettura in sede pon- derata, in virtù della necessità di ricostruire l’assetto di interessi secondo le forme di qualificazione offerte dall’ordinamento) (28).
Caio di «lasciarlo transitare» per il suo fondo, il punto non è tan- to comprendere se l’espressione sottende un certo tipo di effetti, giacché l’espressione, di per sé, non è ambigua (è, semmai, incerta la qualificazione).
(28) Semmai un quesito interpretativo sarà quello emergente dalla necessità di interpretare una dichiarazione come questa: «il vincolo sarà opponibile ai soggetti che acquisteranno l’edificio». In tal caso potrebbe in concreto risultare ambiguo se con «acquisto dell’edificio» s’intenda la cessione di un diritto di superficie o, vi- ceversa, di qualsiasi diritto di proprietà sul fondo. Come si vede, in casi del genere a essere in questione è l’esatta lettura della regola, e non già la sua riconduzione all’uno o all’altro modello qualifica- torio. Ancora, un problema di interpretazione ponderata – questo sì probabilmente tale da riguardare la riconduzione del vincolo contrattuale ai diritti personali o a quelli reali – potrebbe essere
Va quindi escluso che, per lo meno il più delle volte, gli accordi che danno vita a vincoli di cui non è chiara la natura (se reale od obbligatoria) pongano interro- gativi da sciogliere tramite un’interpretazione ponde- rata (29). Ne consegue, quale corollario, che il dubbio in parola dev’essere di tipo diverso: l’incertezza, in altri termini, non compare già in sede spontanea, ma emerge piuttosto in sede di ricostruzione ponderata e, quindi, in virtù delle scelte qualificatorie imposte dall’ordinamento giuridico (rispetto alle quali, in ipo- tesi, l’accordo non assume una posizione netta); e il superamento di tale incertezza richiederà, inevitabil- mente, l’utilizzo di argomenti diversi rispetto a quelli usati in ambito di interpretazione ponderata (o, per meglio dire, di argomenti che, anche ove analoghi a questi ultimi, opereranno in un modo almeno parzial- mente differente) (30).
Utilizzando la schematizzazione di cui al paragrafo precedente, le questioni che vengono in luce potranno inquadrarsi nella ricostruzione-interpretazione. La particolarità è che qui non vi è una dichiarazione da depotenziare e da leggere come veicolo di (certi) inte- ressi, ma semmai una dichiarazione già di per sé de- potenziata, risultando già in ipotesi insufficiente per individuare l’assetto di interessi divisato dai contra-
per supplire a una scelta pattizia mancante e, quindi, per integrare l’accordo (31).
Detto in altri termini: non si tratta, in questi casi, di una questione esclusivamente ricostruttiva (sub spe- cie di qualificazione), ossia di una questione che ri- chiede semplicemente di bilanciare il peso reciproco di più elementi di fatto tali da spingere verso l’una o l’altra qualificazione. Al contrario, nell’ipotesi in pa- rola si deve valutare se le dichiarazioni che mirano a costituire un vincolo, a prescindere da quanto indica- to (evidentemente insufficiente), rechino in sé indici che esprimano pragmaticamente interessi tali da ren- derle più consentanee con la costituzione di un diritto reale oppure di un diritto obbligatorio; al contempo, si deve verificare se nel restante assetto di interessi, per come ricostruito, sussistano indici da valorizzare nell’uno o nell’altro senso (32).
Se tutte le considerazioni su cui ci si è diffusi sono condivisibili, è d’xxxx chiederci quali argomenti ven- gano in rilievo per superare la perplessità ricostrutti- vo-interpretativa che si è individuata.
Il riferimento testuale a specifici soggetti a favore e a carico dei quali sorge il vincolo dovrebbe far pro- pendere per un diritto personale (33), mentre la men-
enti. Le parti, pur potendo approvare certi interessi in
modo preciso (quelli corrispondenti al tipo di vincolo prescelto), hanno evidentemente omesso di farlo: sic- ché l’interprete è chiamato a valorizzare gli elementi di fatto – e quindi gli interessi – non direttamente per proporre una qualificazione corretta, ma piuttosto
quello che si pone ove le parti, durante le trattative, indichino che le regole edificatorie si applicheranno nei soli loro confronti e, poi, in sede di accordo facciano invece riferimento a delle «servitù»: in una simile ipotesi potrebbe risultare dubbio se tale riferimen- to costituisca una semplice clausola di autoqualificazione erronea oppure sia volto a superare quanto le parti si erano dette durante le negoziazione. Risulterà allora necessario comprendere il valore reciproco di argomenti interpretativi diversi (in particolare, quelli legati al contesto) e, al contempo, verificare se il contratto, per il suo tenore, confermi un utilizzo tecnico del termine «servitù» (e quindi un richiamo per relationem delle regole che connotano i vincoli reali).
(29) O comunque che essa, pur quando venga in rilievo al fine di interpretare segmenti di dichiarazione, consenta di individuare interessi sicuramente riconducibili alla costituzione di un diritto reale limitato o di un diritto personale.
(30) Si tratterà, per la precisione, di un dubbio che tale è in virtù della limitata scelta qualificatoria dell’ordinamento, rispetto alla quale il dictum xxxxxxxx appare non del tutto chiaro ed esauriente.
(31) Quest’ipotesi è ben diversa da quella in cui ci si chiede se, alla luce del tenore del testo, le parti si siano volute vincolare giu- ridicamente o meno (o, per esempio, abbiano voluto dar vita a una garanzia personale anziché a una semplice dichiarazione vincolan- te sul piano dell’affidamento). Lì, infatti, il problema è di stampo ricostruttivo, richiedendosi di soppesare i vari elementi di fatto (e pure quello veicolato dalla dichiarazione) per il loro “peso” prag- matico; qui, invece, vi è una vera e propria lacuna lasciata aperta dalle parti nell’individuazione degli interessi complessivi: lacuna non risolvibile semplicemente valutando la forza reciproca degli elementi di fatto, ma piuttosto tale da richiedere una vera e pro- pria (auto)integrazione dell’assetto di interessi.
(32) Il dubbio, qui, non inizia in sede spontanea e non si conclude con una interpretazione ponderata, basata su argomenti soggettivi od oggettivi, che chiarisca una verbalizzazione infelice. Piuttosto, il dubbio sorge perché la dichiarazione, per come letta in sede spontanea, è sghemba rispetto alle forme di qualificazione ordina- mentali e va quindi vista, più che come diretta a porre una regola, come un insieme di indici da cui estrarre corrispondenti interessi, a loro volta da soppesare onde, infine, valutarne la complessiva forza nell’una o nell’altra direzione, anche alla luce del restante assetto di interessi.
(33) In una massima ricorrente in giurisprudenza si legge che la servitù, per poter essere costituita, deve individuare i fondi a favore e a carico dei quali essa sorge. Tale questione, però, è parzialmente diversa da quella che andiamo trattando: l’indicazione dei fondi appare, nella massima, necessaria a rispettare l’onere di forma del contratto costitutivo della servitù, anche in virtù della regola in- terpretativa talvolta seguita dalla Xxxxxxxxxx (x. Xxxx., 0 febbraio 2004, n. 2216, in Rep. Foro it., 2004, voce Contratto in genere,
n. 433), secondo la quale, nei contratti formali, non è consentito
zione dei soli fondi, così come la durata illimitata del vincolo, potrebbero essere valorizzate a favore della natura reale del diritto (34). A sua volta, la totale gra- tuità condurrebbe a prediligere una costituzione di un diritto personale, al fine di conservare un’efficacia del patto anche se privo delle forme della donazione (e sempre ove non si ritenesse che, anche nel diverso caso di contratto obbligatorio, tali forme siano impre- scindibili).
Peraltro, la corrispondenza tra certi indici e taluni in- teressi è, talvolta, assai forte: ad esempio, al ricorrere di un vincolo senza determinazione di durata o di du- rata assai ampia, viene normalmente prediletta una riconduzione alle servitù, senza nemmeno ricercare altri indici potenzialmente contrari. Si tratta di una regola di preferenza che, pur non verbalizzata nell’or-
dinamento, appare normalmente seguita dagli inter- preti (35).
A ben vedere, la massima di Cassazione da cui si è tratto spunto può anzitutto venire intesa – pur nella sua breviloquenza – proprio in questo senso: se una convenzione conclusa tra proprietari di fondi finitimi limita reciprocamente le facoltà di edificabilità (per loro natura fortemente attratte alla dimensione della realità, oltre che per l’implicita e ovvia durata – ad in- finitum – di tali limitazioni), essa va intesa come volta a perseguire interessi corrispondenti alla costituzione di diritti reali limitati (in particolare, di servitù) (36).
3. Le servitù “nascoste” nei regolamenti dei consorzi di urbanizzazione e negli altri regolamenti privati.
Torniamo, ora, al quesito da cui prendevamo le mos- se e che può essere così riassunto: perché nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto possibile collegare
alla volontà privata la costituzione di servitù recipro-
leggere il contratto alla luce di elementi extratestuali (regola, pe- raltro, assai discutibile, essendo preferibile seguire quella teoria di origine tedesca – formulata in antitesi alla Andeutungstheorie
– stando alla quale anche nell’interpretazione dei contratti formali l’interpretazione può valorizzare condotte extracontrattuali affin- ché il requisito formale sia rispettato, fermo restando che, di rego- la, nei contratti più solenni diminuisce il rilievo di tali argomenti interpretativi e che, quanto al rispetto del requisito della forma e all’opponibilità ai terzi, deve distinguersi in base alla specifica funzione cui di volta in volta il primo è piegato: cfr. BORK, Allge- meiner Teil des Bürgerlichen Gesetzbuchs, 4ª ed., Xxxx Siebeck, 2016, 218; in Italia v., in critica alla tesi giurisprudenziale men- zionata, già CIAN, Forma solenne e interpretazione del negozio, Cedam, 1969, 180 ss.). Viceversa, quel che si vuol dire nel testo è che, in presenza di un atto costitutivo di un vincolo di cui è dubbia la natura reale o personale, un argomento valorizzabile si fonda sulla menzione nelle clausole contrattuali di «persone rispetto alle quali il vincolo sorgerà»: infatti, una dizione del genere (ad esempio: «premesso che Xxxxx è proprietario del fondo Corneliano e Caio del fondo Tuscolano, Xxxxx concede a Caio il passaggio per venti anni per il suo fondo») avvicina l’accordo a un contratto a effetti obbligatori, in cui il diritto (personale) nasce con riguardo a certe persone, individuate perché proprietarie di taluni fondi. Di- versamente avverrebbe se il contratto enfatizzasse il legame tra i fondi, più che quello tra le persone (ad esempio: «Tizio, quale pro- prietario del fondo Corneliano, concede a Xxxx, nella sua veste di proprietario del fondo Tuscolano, il diritto di passaggio»; oppure addirittura: «Xxxxx, proprietario del fondo Corneliano, concede a Xxxx e chi altri sarà proprietario del fondo Tuscolano, il diritto di passaggio»).
(34) Si legga, in tal senso, la motivazione di Cass., 20 novembre 2002, n. 16342, in DeJure, secondo cui, in un caso in cui le parti avevano qualificato il loro contratto come costitutivo di diritti di superficie e di servitù, il Collegio avrebbe potuto provvedere a una diversa qualificazione; e proprio una diversa qualificazione, nei termini di contratto volto a creare diritti personali, era tratta da elementi quali la durata limitata nel tempo dei vincoli e il modo di calcolare il corrispettivo e la sua entità (che lo facevano assomi- gliare a un canone, più che a un prezzo).
che, quando tale costituzione non è in alcun modo desumibile dal tenore delle clausole regolamentari? La questione che si è posta è, forse, solo qualificato- ria oppure afferisce all’interpretazione o, ancora, è di tipo diverso? E, in ogni caso, quale forma di interpre- tazione o di ricostruzione ha consentito di rinvenire nell’adesione al Regolamento consortile la volontà di creare servitù reciproche?
Queste domande apparentemente riguardano soltan- to il caso specifico dei consorzi di urbanizzazione (e di quello, rispetto a cui si è pronunciata la Cassazione, di Sperlonga). Tuttavia, tali quesiti possono in realtà es- sere ripetuti in termini analoghi in ogni ipotesi in cui più proprietari convengono, tramite l’adozione di un regolamento, supposte “limitazioni dei poteri connessi alla loro proprietà”: ossia, in ogni ipotesi in cui si voles-
(35) Cfr. TRIOLA, sub art. 1058, in Codice civile. Commentario fondato da Xxxxxxxxxxx e diretto da Xxxxxxxx, Xxxxxxx, 2008, 359. È possibile reperire regole di preferenza simili anche in altre aree dell’ordinamento: ad esempio, a fronte della cessione del godi- mento di un bene per un periodo di tempo molto limitato, sarà normale la qualificazione come locazione o noleggio, e non come dazione di usufrutto.
(36) E sempre nel senso di cui al testo – ossia, come individua- zione e valorizzazione di argomenti di rilievo nella ricostruzio- ne-interpretazione – vanno lette le motivazioni di cui a Xxxx., 3 luglio 2000, n. 8885, in Rep. Foro it., 2000, voce Servitù, n. 30 (secondo cui, tra l’altro, la costituzione di servitù non abbisogna di formule sacramentali), e a Cass., 21 agosto 2012, n. 14580, in DeJure (a mente della quale limitazioni giustificate dall’esigenza
«di imprimere alla zona da edificare […] il carattere di quartiere residenziale di notevole pregio» impongono una qualificazione dei corrispondenti vincoli quali servitù).
se rinvenire, in un regolamento privato (37), la costitu- zione di servitù reciproche. Xx è ovvio che il riferimento primo e più scontato è rappresentato dal regolamento di condominio, con riguardo al quale è assai frequen- te la qualificazione di clausole decise all’unanimità dei condomini come costitutive di servitù reciproche (38). Posto di fronte a questi atti regolamentari, l’interpre- te riterrà in tutti i casi certo che le parti intendano creare vincoli: o, per meglio dire, che l’atto intenda creare vincoli giuridici. La serietà del contesto im- pone di ritenere che siano attivate le forme di tutela giuridica o, per lo meno, che sia approvata dalle parti questa attivazione.
Sempre in sede di interpretazione e di ricostruzione “spontanea” apparirà altrettanto evidente che l’atto sia volto a costituire vincoli relativi all’edificazione, prevedendo una sanzione giuridica per la violazione di regole, per l’appunto, edificatorie.
A fronte di ciò, rimane spesso imprecisato – e così si- curamente nel caso deciso dalla Cassazione – quale forma debba assumere il rimedio per queste violazio- ni. Detto in altri termini, in sede di interpretazione “spontanea”, e quindi senza un ragionamento che tenga in considerazione le qualificazioni ammesse dall’ordinamento giuridico e che sciolga i dubbi emer- si in prima o in seconda battuta, non è possibile com- prendere l’esatta portata dell’accordo.
Passando, allora, al livello dell’interpretazione e della ricostruzione “ponderate”, appare subito da escludere che sussistano questioni specificamente interpretative (di dubbio ermeneutico). Al contrario, è sufficiente leg- xxxx il Regolamento consortile del caso posto all’atten-
zione della Cassazione – o, addirittura, anche solo la sintesi che ne è offerta nella sentenza – per rendersi conto che esso non permetteva di ritenere sorti, im- mediatamente, dubbi ermeneutici da sciogliere in via ponderata. Detto con altre parole, non si può supporre che il testo approvato dal Consorzio regolasse la disci- plina del vincolo, quantunque con parole tali da resta- re ambigue proprio nella parte in cui esprimevano la scelta tra un effetto reale e un effetto obbligatorio (e l’individuazione del soggetto attivo del vincolo reale od obbligatorio): semplicemente, il testo non precisava, nemmeno in modo ambiguo, alcunché al riguardo.
Ne deriva che la questione va inquadrata in un altro ambito: ancora una volta, nella ricostruzione-inter- pretazione. Il che ci richiede, anzitutto, di compren- dere quali siano le qualificazioni offerte dall’ordina- mento per i vincoli i cui si discute: qualificazioni tra cui dovremo poi scegliere, tenendo in considerazione gli interessi pattizi, per come individuati e sottesi alle clausole del Regolamento (a loro volta già interpre- tate) e agli altri elementi di fatto, onde addivenire a un’autointegrazione dell’assetto di interessi (39).
Orbene, da un lato, le regole per l’edificazione potreb- bero corrispondere, nell’ambito di rapporti privatisti- ci, a obblighi vigenti nei confronti di un soggetto terzo diverso dagli stessi aderenti al regolamento (come, nel nostro caso, un consorzio di urbanizzazione o, per stare all’ipotesi più frequente, un condominio) o ad obblighi sussistenti tra gli stessi membri del Consor- zio (tra loro e a vicenda). Da un altro lato, potrebbe sovvenire una qualificazione nei termini di diritti rea- li: per l’appunto, servitù reciproche tra tutti gli appez- zamenti di terreno ricompresi nell’ambito territoriale
su cui il Consorzio incide.
(37) Ci si potrebbe chiedere se ai regolamenti privati possano applicarsi le previsioni interpretative previste per i contratti da-
gli artt. 1362 ss. c.c. (sul punto, v. per tutti DEL PRATO, Contratto e regolamento, in L’ente privato come atto, Xxxxxxxxxxxx, 2015, 258 ss.; v. anche, in relazione ai «negozi complessi», ai «negozi collettivi» e ai «negozi collegiali», XXXXX, Principi sull’interpre- tazione dei negozi giuridici, Jovene, 1952, 39 ss.). L’opinione che pare preferibile è positiva, pur con alcuni accorgimenti: è vero che, in generale, i regolamenti sono soggetti a un procedimento erme- neutico-ricostruttivo analogo a quello dettato per i contratti; tut- tavia, è vero anche che – ad esempio – il ruolo dell’interpretazione contestuale è di norma minore (ossia, solitamente si ricorre a un maggiore formalismo interpretativo).
(38) La qualificazione di tali clausole come costitutive di servitù reciproche è ancor più rilevante oggi, dopo la negazione, da parte della Cassazione, dell’ammissibilità di diritti reali di uso esclusivo (Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 2020, n. 28972, in Foro it., 2021, I, 915): negazione ritenuta, secondo un’opinione condivisibile, im- provvida (cfr. XXXXXXXXXX, L’«uso esclusivo» e il «numerus clau- sus dei diritti reali» secondo le Sezioni Unite, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 547 ss.).
(39) Non sarà inutile ricordare che la natura giuridica dei consorzi di urbanizzazione è stata assai discussa in dottrina: sul punto v. per tutti, XXXXXXX, Autodisciplina urbanistica, in Contr. e impr., 1985, 573 ss.; XXXXXXXX, Comunione residenziale. Supercondomi- nio, condominio complesso, condominio orizzontale, complesso residenziale, Cedam, 1995, 30 ss. A prescindere dalla più risalente qualificazione del consorzio quale forma di comunione o da quella, più recente, quale associazione non riconosciuta atipica, secondo l’opinione prevalente, cui aderisce la decisione della Cassazione in commento, i membri del consorzio vedono sorgere su di sé delle obbligazioni (che oggi si ritengono collegate alla qualità di con- sorziati dei partecipanti); obbligazioni da tenere scisse dalle li- mitazioni alle facoltà proprietarie, rispetto alle quali si pongono i problemi discussi nel testo (e risolti da quasi tutti, in dottrina, nel senso della loro riconduzione alla categoria delle servitù recipro- che). Cfr. a tal riguardo DELLE MONACHE, Consorzi di urbanizzazio- ne, in Riv. dir. civ., 2008, II, spec. 557 s., nonché PLASMATI, Natura e opponibilità del consorzio di urbanizzazione, Studio civilistico n. 587-2016/C.
All’interno di questo limitato novero di qualificazioni possibili la scelta dev’essere guidata dagli argomenti di tipo ricostruttivo-interpretativo di cui si è detto nel paragrafo precedente.
Rileggiamo, ancora una volta, il dictum della Supre- ma Corte: «le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla pro- prietà, attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inserisce come qualitas fundi, ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù».
Calando le affermazioni nel discorso che si va svol- gendo, potremo dire che, secondo la Cassazione, nel Regolamento consortile (40) ricorrevano numerosi indici utilmente valorizzabili in sede di autointegra- zione dell’assetto di interessi. E, difatti, il testo delle clausole non solo si riferiva a fondi tra loro vicini (in quanto ricompresi tutti in un medesimo ambito ter- ritoriale), ma soprattutto ne precludeva un certo go- dimento, limitando facoltà edificatorie, ossia facoltà fortemente connesse alla realità dei diritti proprietari e il cui esercizio si proietta in una dimensione tempo- rale tale da superare quasi sempre la durata della vita umana. Rispetto a ciò la mancata indicazione nell’at- to della costituzione di servitù, così come la mancata esplicitazione di un tale effetto appaiono ininfluenti, sussistendo elementi fortemente a favore di una rico- struzione dell’assetto di interessi il cui baricentro gra- vita attorno alla realità dei vincoli sorti (41).
Così lette, le parole della Corte sono perfettamente con- divisibili. Il fatto, poi, che le regole edificatorie sancite nel Regolamento replicassero in tutto e per tutto quelle comunali o comunque quelle amministrative (afferma- zione della Cassazione, questa, che si terrà per buona, quantunque susciti delle perplessità (42)) non depone in senso opposto a quanto argomentato. Xxxx, è vero proprio il contrario: basti pensare che il perfeziona- mento di un vincolo contrattuale volto a recepire sul piano privatistico regole di diritto amministrativo ha un senso – e non ridonda nella nullità dell’accordo per l’illusorietà della sua causa (43) – solo ammettendo che il contratto sia volto a estendere i rimedi a disposi- zione del privato in casi in cui, in forza dell’art. 872 c.c. (44), non sarebbe altrimenti disponibile alcuno stru- mento di tutela reale (45). A fronte di ciò, appare poco
(42) Non è semplice verificare la correttezza di questa affermazio- ne, nemmeno visionando i documenti reperibili al link di cui alla nt. 1: troppo poche sono, infatti, le informazioni a disposizione. L’art. 8 del Regolamento, in effetti, richiama una autorizzazione del Sinda- co che, originariamente, poteva assomigliare alla licenza richiesta dalla l. 17 agosto 1942, n. 1150 (artt. 28 e 31) in presenza di un piano regolatore (nel caso di specie, vi era stata una lottizzazione, stando a quanto si può desumere dalla documentazione scaricabile dal sito del Consorzio; e la lottizzazione poteva per l’appunto rappresentare la fonte da cui derivava la necessità di munirsi di una licenza). Al tempo dei fatti di causa, l’autorizzazione avrebbe poi potuto corri- spondere alla concessione edilizia, titolo che aveva dal 1977 sosti- tuito la licenza edilizia. Gli artt. 9-10, tuttavia, aggiungono talune specificazioni che potrebbero non essere del tutto corrispondenti a quanto previsto dagli strumenti comunali: anzitutto, indicano i casi in cui tale autorizzazione è necessaria; di seguito, sanciscono alcune regole da seguire nell’edificazione. Xxx si potrebbe suppor- re che tali articoli non facessero altro che recepire quanto previsto dalla l. n. 1150/1942 e dal piano di lottizzazione e che, anche negli anni successivi, si mantenesse tale corrispondenza. Tuttavia, si po-
xxxxxx immaginare che le cose stessero in modo diverso e che tale
(40) Il richiamo alla “convenzione” parrebbe sottendere un’av- venuta approvazione all’unanimità del testo regolamentare o, co- munque, una sua accettazione in sede di adesione al Consorzio. V. però, sul punto, la successiva nt. 47.
(41) Il fatto che si tratti di clausole regolamentari e, quindi, desti- nate ad essere opponibili anche a soggetti ancora non identificati (specie a fronte dell’impegno, nel caso di specie previsto dall’art. 4 dello Statuto, di vincolare anche i futuri aventi causa all’adesione al Consorzio) rappresenta un indice valorizzabile a favore dell’at- trazione verso la realità dei vincoli, ma non consente di ritenere che la questione sia esclusivamente qualificatoria (e che l’assetto di interessi non richieda alcuna autointegrazione). Del resto, e a tacer d’altro, la durata indeterminata tipica dei consorzi di urba- nizzazione (e anche di quello di Sperlonga) non esclude una loro estinzione, così come la clausola che impone ai consorziati di far aderire all’ente anche i nuovi proprietari può venir letta proprio e anche come conferma del carattere solo personale delle limitazio- ni proprietarie. Insomma, le indicazioni provenienti dall’assetto di interessi, al netto di ogni autointegrazione, non sono sufficienti per provvedere alla qualificazione.
corrispondenza non vi fosse o in seguito sia venuta meno: dal che sorgerebbe quanto meno un dubbio circa l’esatto ruolo riconosciu- to dal Regolamento consortile al Sindaco, la cui autorizzazione non sarebbe quella amministrativa, rilasciata ad altri fini e solo inciden- talmente e casualmente recepita nei rapporti privati endoconsortili, ma semmai una in tutto e per tutto privatistica, rispetto alla quale il Xxxxxxx agirebbe quasi – verrebbe da pensare – da arbitratore. Pure il fatto che Statuto e Regolamento del Consorzio venissero rispetti- vamente approvati dal Comune e vistati dalla Prefettura, peraltro in tempo successivo alla loro iniziale entrata in vigore, non consente, in mancanza di altri elementi, un’esatta qualificazione giuridica.
(43) Su cui v. per tutti BRECCIA, Causa, in Tratt. dir. priv. Xxxxxxx, XIII, Il contratto in generale, 3, Xxxxxxxxxxxx, 1999, 5 ss.
(44) Come noto, in base all’art. 872 c.c. la riduzione in pristino è ammessa, ove siano violate norme di carattere amministrativo, solo se esse sono richiamate dalla disciplina in tema di distanze di cui agli artt. 873 ss. c.c. V. sul punto Cass., 24 maggio 1996, n. 4770, in Xxx. xxxx. xxxx., 0000, X, 00.
(45) V. pure Cass., 5 agosto 1982, n. 4399, in Mass. Giust. civ., 1982.
persuasiva una riconduzione dei vincoli regolamentari alla categoria dei diritti personali, ancorché tutelati in forma specifica: ben più fondato è ritenere che, anche al fine di sottrarsi a ogni dubbio di nullità, l’atto voglia incrementare quanto più possibile il livello di tutela dei singoli proprietari e, quindi, sia volto a concedere agli stessi strumenti di tutela assai forti (come le azioni a tutela dei diritti reali limitati).
In questo senso può allora rileggersi la considerazione della Suprema Corte, secondo cui le pattuizioni sottese a un regolamento consortile, «pur quando introduca- no, come nella specie, limiti di costruibilità attraverso il rinvio alle corrispondenti disposizioni della norma- tiva edilizia comunale, consentono, in caso di mancata osservanza, al proprietario del fondo dominante di agi- re nei confronti del proprietario del fondo servente con l’azione di natura reale per chiedere ed ottenere, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla viola- zione delle norme sulle distanze delle costruzioni pre- viste dagli artt. 872 e 873 c.c., la demolizione dell’opera abusiva ai sensi dell’art. 1079 c.c.». In tal caso, aggiun- ge la Corte, le clausole in parola, volte ad «assicurare all’intera zona particolari caratteristiche di amenità o comodità», introducono «limiti di costruibilità attra- verso il rinvio (…) a corrispondenti disposizioni del regolamento edilizio comunale»: richiamo che «inse- risce le stesse nel rapporto convenzionale e le rende operanti nei confronti delle relative parti».
Ancora, è sempre la Cassazione a ricordare come il testo dell’art. 1029, comma 2, c.c., il cui dettato viene solitamente letto dalla giurisprudenza nel senso che la servitù a favore o a carico di un edificio da costru- ire sorge solo dal momento dell’edificazione (mentre prima il diritto che deriva dalla convenzione privata deve intendersi come personale), non osti all’inter- pretazione – rectius, ricostruzione-interpretazione – addotta, giacché la servitù (reciproca) che impone di rispettare talune regole nell’edificazione non può es- sere fatta rientrare nel paradigma del comma 2, affe- rendo semmai alle ipotesi del comma 1 dell’art. 1029
c.c. (servitù per vantaggio futuro).
A prescindere da ogni dubbio circa la lettura che la giu- risprudenza dà di questo comma 2 (46), e a fortiori da ogni perplessità circa la riconducibilità di questi temi
(46) In giurisprudenza x. Xxxx., 0 agosto 1983, n. 5287, in Mass. Giust. civ., 1983. In dottrina, tra gli altri, cfr. BRANCA, sub art. 1029, 6ª ed., in Commentario del codice civile, a cura di Xxxxxxxx e Branca, Zanichelli – Soc. editrice del Foro it., 1987, 33 ss.; TRIOLA, sub art. 1029, in Commentario del codice civile diretto da Xxxxxxx- xx, Xxxxx Xxxxxxxxx, II (a cura di Xxxxxxxxxx e Xxxxxxx), Xxxxxxxxxxxx, 2012, 760 ss.
alle questioni ermeneutiche, v’è da ritenere corret- ta la conclusione cui giunge la Corte, secondo cui «si verte nell’ipotesi, prevista dal primo comma del cita- to articolo, di servitù immediatamente costituita con carattere ed effetti reali (…) qualora il vantaggio ed il corrispondente peso siano indipendenti da [qualsiasi] realizzazione edificatoria, in guisa da inerire diretta- mente ai suoli non ancora edificati (…), come si verifica normalmente nelle pattuizioni che [vietano] di costrui- re ad una certa distanza dal confine» (e, si potrebbe ag- giungere, come si verifica negli accordi che impongono il rispetto di un certo novero di regole edificatorie).
Infine, va aggiunto che nemmeno un’eventuale assen- za di trascrizione potrebbe, in concreto, condurre a confutare le conclusioni della Suprema Corte: ossia, a confutare la riconducibilità dei vincoli regolamen- tari alla categoria della servitù. La mancanza della trascrizione, infatti, può dipendere da svariati diversi motivi, risultando fatto neutro e irrilevante. Semmai, la decisione preventiva delle parti di non trascrivere, così come la loro condotta successiva consapevolmen- te diretta a non procedere alla trascrizione, potrebbe costituire un argomento – valorizzabile anche in sede di ricostruzione-interpretazione – onde addivenire a una diversa lettura dell’accordo regolamentare; un argomento, comunque, probabilmente insufficiente di per sé solo, se non assistito da altre circostanze tali da sostenere questa differente lettura (47).
Come si vede, il ragionamento della Cassazione na- sconde un articolato ragionamento di stampo inter- pretativo e ricostruttivo, solo breviloquentemente riportato e sintetizzato nella sentenza tramite il ri- chiamo di numerose massime pacifiche. Scioglierlo, e comprendere cosa vi sia al fondo, consente di com- prendere le ragioni della decisione: ma, soprattutto, di rivelare cosa vi sia al di sotto di quelle intuizioni giudiziali che normalmente guidano interpretazione e ricostruzione, onde consentirne la controllabilità e la ripetibilità. In una parola, la calcolabilità.
(47) Nemmeno la mancata approvazione all’unanimità di un re- golamento, in casi in cui ciò è richiesto al fine di consentirgli di creare regole esorbitanti rispetto alle modalità di fruizione di un bene, potrebbe indurre a preferire l’una o l’altra qualificazione (come vincolo reale o personale). Semmai, tale elemento dovrebbe far intendere le clausole come volte a regolare solo quelle mate- rie attingibili a maggioranza semplice: ma, scartata questa ipo- tesi, nessun argomento potrebbe trarsi dalla mancata unanimità nell’approvazione dell’atto regolamentare. Quanto al caso di spe- cie, mancano nella sentenza della Cassazione indicazioni relative all’avvenuta trascrizione e alle modalità di approvazione origina- ria del Regolamento, salvo quanto si è detto alla precedente nt. 28.
CORTE DI CASSAZIONE, sez. II, sentenza 15 settembre 2021, n. 24940; Pres. Di Xxxxxxxx
– Est. Dongiacomo.
Conferma App. Roma n. 1703/2017.
Interpretazione del contratto – Consorzi di urbanizzazione – Limitazioni alla facoltà di edifica- zione – Servitù.
«Le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali, specie in ordine alle modalità di edifi- cabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprietà attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come “qualitas fundi”, ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù. Nell’ipo- tesi, pertanto, di inosservanza della convenzione limitativa dell’edificabilità, il proprietario del fondo dominante può agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell’opera abusiva, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni ex artt. 872 e 873 c.c. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito secondo la quale l’inosservanza del regolamento consortile cui erano vincolate le parti del giudizio, recante limitazioni alle modalità di edificazione, consentiva al proprietario del fondo dominante di agire nei confronti di quello del fondo servente con un’azione di natura reale per ottenere la demolizione dell’opera abusiva ex art. 1079 c.c.)» (mass. uff.).
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Latina, con sentenza del 20/5/2010, in accoglimento della domanda proposta da B.L. con atto di citazione notificato in data 2/1/1997 nei con- fronti di V.L. ed D.C.O., ha condannato V.L. nonché V.A., V.M.T. ed V.E., nella qualità di eredi di D.C.O., deceduta nelle more del giudizio, in solido, alla ridu- zione in pristino, mediante demolizione, della costru- zione realizzata da D.C.O. su un terreno di V.L., censito in catasto al f. Omissis, p.lla Omissis, limitrofo al ter- reno di proprietà dell’attrice, compreso nel perimetro del Consorzio Tiberia di Sperlonga, in quanto edificata in violazione delle norme consortili e delle disposizioni amministrative in tema di edificazione degli edifici.
2. V.L. ha proposto appello avverso la sentenza del Tri- bunale deducendo, in rito, l’improponibilità della do- manda, per essere la controversia di competenza di un collegio arbitrale di tipo irrituale a norma dell’art. 17 dello statuto consortile cui tutte le parti sono vincolate, e, nel merito, l’infondatezza della domanda proposta dall’attrice, sul rilievo, innanzitutto, che il piccolo ma- nufatto non era lesivo di alcun diritto reale della B. né pregiudicava le disposizioni del regolamento consorti- le ed, inoltre, che le disposizioni riportate dall’art. 6 di tale regolamento sono dirette non al singolo consorzia- to ma al Consorzio al quale attribuiscono il diritto di provvedere all’esecuzione dei lavori di ripristino.
B.L. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto, con l’integrale conferma della sentenza appellata. V.A., V.E., nella qualità di eredi di D.C.O., nonché
C.M.C. ed C.A., quali eredi di V.T., già erede di D.C.O., sono rimasti, invece, contumaci.
3. La Corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello ed ha, per l’effetto, confermato la sentenza impugnata.
La Corte ha ritenuto, innanzitutto, che fosse inammis- sibile l’eccezione di improponibilità della domanda per la sussistenza di una clausola di arbitrato irritua- le. Tale eccezione, infatti, ha osservato la Corte, è stata proposta per la prima volta in appello ma, trattandosi di una questione che attiene al merito, non può essere rilevata d’ufficio per cui avrebbe dovuto essere solle- vata dalla parte convenuta, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall’art. 180 c.p.c., comma 2, nel testo in vigore all’epoca dell’introduzione del giudizio. D’altra parte, ha aggiunto la Corte, non assume rilievo che l’appellata avesse accettato il contraddittorio sull’i- stanza, chiedendone il rigetto nel merito, poiché, nel vigore delle preclusioni di cui alla L. n. 353 del 1990, la questione della novità dell’eccezione è sottratta alla disponibilità delle parti ed è pienamente ed esclusiva- mente ricondotta al rilievo ufficioso del giudice.
La Corte, poi, ha ritenuto che fosse infondato il motivo d’appello inerente al merito. La Corte, sul punto, dopo
aver evidenziato che: - il Tribunale, all’esito dell’esame di tutta la documentazione prodotta e dell’espletamen- to di una consulenza tecnica d’ufficio, i cui risultati non sono stati contestati, aveva accertato che il manufatto era stato costruito in violazione sia delle disposizioni amministrative in tema di edificazione degli edifici, sia delle norme consortili previste dagli artt. 8, 9 e 10 del regolamento in atti; - tali norme, in particolare, vieta- no, tra l’altro, le costruzioni civili, rustiche in muratura, legno o altro materiale, muri di cinta, chioschi, edicole, ecc., senza la richiesta di autorizzazione corredata de- gli allegati elencati all’art. 10 ed indirizzata al Sindaco di Sperlonga, firmata dal proprietario o dal suo legale rappresentante, e presentata in copia all’ufficio tecnico del Consorzio; - tale richiesta deve essere seguita da un provvedimento che legittimi il consorziato ad iniziare ed eseguire i lavori secondo le prescrizioni generali o particolari dell’autorizzazione; - il Tribunale aveva rite- nuto che, nonostante il consulente tecnico d’ufficio non avesse riscontrato la violazione delle distanze legali o di altra norma integrativa che consentisse la riduzione in pristino ai sensi degli artt. 872 c.c. e segg., il regola- mento consortile attribuiva vantaggi ed oneri a ciascun fondo con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù: tali pattuizioni, in particolare, determinando reciproche limitazioni o vantaggi a favo- re o a carico delle rispettive proprietà individuali, spe- cie in ordine alle modalità di edificazione, restringono ovvero ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprietà, attribuendo a ciascun fondo un corrispon- dente vantaggio e onere che ad esso inerisce come qua- litas fundi, per cui, in caso di mancata osservanza alla convenzione limitativa della edificabilità, pur quando tali pattuizioni introducano limiti di costruibilità at- traverso il rinvio a corrispondenti disposizioni del re- golamento edilizio comunale, il proprietario del fondo dominante può agire nei confronti del proprietario del fondo servente con l’azione di natura reale per chiede- re ed ottenere, non diversamente dal proprietario dan- neggiato dalla violazione delle norme sulle distanze delle costruzioni previste dagli artt. 872 e 873 c.c., la demolizione dell’opera abusiva; - il Tribunale, in de- finitiva, aveva affermato che, in caso di violazione del regolamento consortile, poteva trovare applicazione la sanzione della demolizione della costruzione realizzata in spregio dei limiti e delle procedure previste; ha rite- nuto che l’appellante non aveva in alcun modo censu- rato tali argomentazioni, “che riconducono gli obblighi imposti ai consorziati dall’art. 6 del regolamento alle caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù”, cui il Tribunale ha ricollegato la legitti-
mazione del proprietario del fondo dominante, e cioè l’attrice B.L., ad agire nei confronti del proprietario del fondo servente, e cioè la convenuta V.L., con un’azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell’opera abusiva. In effetti, ha osservato la Corte, la legittimazione del Consorzio, espressamente prevista dall’art. 6, comma 4, del regolamento, a provvedere direttamente all’esecuzione dei lavori di ripristino nel caso in cui il consorziato abbia violato le norme citate, non può precludere al singolo consorziato l’esercizio dell’azione per ottenere il provvedimento giudiziale di ripristino previsto dall’art. 1079 c.c., in tema di servitù. La Corte, quindi, ha ritenuto che l’appello dovesse essere, in definitiva, respinto, ed ha provveduto a li- quidare le spese in base alla soccombenza ed ai valori medi dello scaglione di valore indeterminabile e com- plessità bassa di cui al D.M. n. 55 del 2014, “tenuto conto delle voci della notula in atti”.
4. V.L., con ricorso notificato il 15/5/2017 (il 14 mag- gio 2017 è stata domenica), ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza della Corte d’ap- pello, dichiaratamente notificata in data 15/3/2017.
B.L. ha resistito con controricorso.
V.A., V.E., nella qualità di eredi di D.C.O., nonché
C.M.C. ed C.A., quali eredi di V.T., già erede di D.C.O., sono rimasti intimati.
La ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie.
5. La Corte, con ordinanza interlocutoria del 26/1/2021, ha rimesso il ricorso alla pubblica udienza.
Il Pubblico Ministero, con conclusioni depositate il 22/6/2021, ha chiesto il rigetto del ricorso.
La controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
6.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la motivazione apparente e/o omessa e/o insufficiente su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’appello si è limitata a ri- chiamare la decisione emessa dal Tribunale omettendo di esaminare i punti fondamentali della controversia.
6.2. La motivazione per relationem, infatti, ha osser- vato la ricorrente, è consentita alla condizione che il rinvio sia operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, essendo necessario che dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto di rinvio.
6.3. Nel caso in esame, al contrario, le doglianze che l’ap- pellante aveva formulato nell’atto di gravame non erano
identiche ai motivi della sua resistenza nel giudizio di primo grado, concretandosi, piuttosto, nella enunciazio- ne dei vizi di motivazione della sentenza di primo grado.
6.4. La Corte d’appello, invece, ha confermato la sen- tenza di primo grado motivando la propria decisio- ne semplicemente condividendone la motivazione ed uniformandosi ad essa senza argomentare l’iter seguito per addivenire al proprio convincimento, spe- cie in relazione alle censure addotte dall’appellante in sede di gravame ed al rilievo per cui, vista la natura dell’abuso, era il Consorzio e non il privato a poter in- traprendere l’azione nei confronti dei contravventori.
7.1. Il motivo è infondato.
7.2. La motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame è, infatti, legittima tutte le volte in cui il giudice d’appello, facendo pro- prie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma del- la pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti in modo che il percorso argomentativo desu- mibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto, dovendo, piuttosto, esse- re cassata la sentenza d’appello allorquando la laconi- cità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ri- tenere che all’affermazione di condivisione del giudi- zio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. n. 20883 del 2019; Cass. n. 28139 del 2018; Cass. n. 14786 del 2016).
7.3. Nel caso in esame, la Corte d’appello, se, da un lato, ha effettivamente motivato il proprio convincimento ri- producendo le ragioni espresse dal giudice di primo gra- do (così come testualmente esposte in ricorso, a p. 6), ne ha, dall’altro lato, condiviso, con proprio appezzamento, le argomentazioni: lì dove, in particolare, ha ritenuto che, in caso di violazione delle norme del regolamento consortile, la legittimazione del Consorzio non preclu- deva al singolo consorziato l’esercizio dell’azione volta ad ottenere dal giudice il provvedimento di ripristino ai sensi dell’art. 1079 c.c., in tal modo, peraltro, implicita- mente ma inequivocamente confrontandosi con le cen- sure svolte dall’appellante (così come esposte in ricorso, a p. 7), che ha, evidentemente, rigettato (ai fini in esame, non importa se a torto o a ragione), sul rilievo che l’in- quadramento dei limiti di edificabilità posti dal regola- mento consortile nello schema delle servitù, con argo- mentazioni non contrastate dall’appellante, escludeva la possibilità di invocare il principio secondo il quale la domanda di riduzione in pristino, con il conseguente ab- battimento del manufatto, non può essere proposta per
il solo fatto che la costruzione sia stata realizzata senza licenza o concessione edilizia.
8.1. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 12 disp. gen., all’art. 6 del regolamento consortile ed agli artt. 872, 873 e 1079 c.c., ha censurato la sentenza im- pugnata nella parte in cui la Corte d’appello, nonostan- te la consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio avesse escluso la violazione delle norme sulle distanze o di altra normativa integrativa che consentisse la ridu- zione in pristino ai sensi degli artt. 872 c.c. e segg., ha ritenuto che la costruzione del manufatto da parte del- la convenuta in violazione delle norme consortili previ- ste dagli artt. 8, 9 e 10 del regolamento del Consorzio, che prescrivono le modalità e le procedure attraverso le quali ottenere dal Comune il titolo abilitativo, vale a dire l’autorizzazione a costruire, consentisse all’attrice la proposizione della domanda di riduzione in pristino.
8.2. Così facendo, infatti, ha osservato la ricorrente, la Corte d’appello, attraverso un’errata applicazione ana- logica delle norme previste dagli artt. 872, 873 e 1079 c.c., ha ritenuto di poter equiparare, sostanzialmente, il caso della costruzione realizzata senza alcuna autorizza- zione, come quella oggetto della contestazione in esame, in quanto realizzata in violazione delle norme di cui agli artt. 8, 9 e 10 del regolamento del Consorzio, al caso della costruzione realizzata in violazione delle distanze, laddove, in realtà, il manufatto realizzato dalla convenu- ta non è stato costruito in violazione delle norme sulle distanze bensì senza autorizzazione edilizia e senza il rispetto delle procedure amministrative contemplate dagli artt. 8, 9 e 10 dello statuto consortile.
8.3. D’altra parte, l’art. 6 dello statuto individua in modo analitico le opere e gli obblighi cui le parti sono assoggettate al fine di procedere alla costruzione di opere all’interno di zone ricadenti nell’ambito appli- cativo del Consorzio, stabilendo, però, che, in caso di contravvenzioni a tali obblighi, è solo il Consorzio e non anche il singolo consorziato ad essere legittimato a richiedere la riduzione in pristino.
8.4. In ogni caso, ha concluso la ricorrente, quando la doglianza dei proprietari interessati in senso opposto alla costruzione eseguita da un vicino è fondata solo sull’assenza, come nel caso in esame, della licenza o della concessione edilizia, e cioè sulla violazione di norme non richiamate dall’art. 871 c.c., il privato non ha il diritto alla riduzione in pristino per cui la solu- zione della Corte d’appello e del primo giudice, che ha legittimato la richiesta di riduzione in pristino da parte dell’attrice mediante la sussunzione delle nor-
me relative all’acquisizione del titolo abilitativo nello schema delle servitù e la qualificazione del relativo obbligo tra le qualitas fundi, appare erronea.
Omissis
11. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando l’o- messa pronuncia della nullità del contratto associativo e dell’inopponibilità alla stessa del vincolo ivi stabili- to, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’appello non ha dichiarato la nullità della clausola contenuta nell’art. 4 dello statuto consortile a tenore della quale fanno parte del Consorzio i proprie- tari dei fondi nonché i loro eredi o aventi causa, sen- za, tuttavia, considerare che la clausola in questione, lì dove prevede la successione automatica della parte- cipazione associativa non solo agli eredi ma anche agli aventi causa, è nulla e che, pertanto, il vincolo associa- tivo non è opponibile agli aventi causa dei consorziati che non abbiano espresso la volontà di succedere nella partecipazione consortile del loro dante causa. Omissis
13.1. Il secondo motivo è parimenti infondato.
13.2. Il ricorrente, in effetti, non si confronta con la ratio della decisione assunta: la quale, invero, lun- gi dal ricondurre la vicenda in esame alla violazione delle norme amministrative che integrano la discipli- na in materia di distanze tra le costruzioni contenuta nell’art. 873 c.c., ha, in sostanza, ritenuto, con statui- zione che la ricorrente non ha specificamente censura- to se non con la mera dichiarazione del suo dissenso, che il regolamento consortile ha, in realtà, costituito reciprocamente vantaggi a favore ed oneri a carico del- le proprietà individuali dei singoli consorziati, specie in ordine alle modalità di edificazione, con caratteristi- che di realità inquadrabili nello schema delle servitù, e che tali pattuizioni, pertanto, pur quando introducano, come nella specie, limiti di costruibilità attraverso il rinvio alle corrispondenti disposizioni della normativa edilizia comunale, consentono, in caso di mancata os- servanza, al proprietario del fondo dominante di agire nei confronti del proprietario del fondo servente con l’azione di natura reale per chiedere ed ottenere, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla viola- zione della norme sulle distanze delle costruzioni pre- viste dagli artt. 872 e 873 c.c., la demolizione dell’opera abusiva ai sensi dell’art. 1079 c.c..
13.3. Questa Corte, invero, ha avuto più volte modo di affermare che le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla pro-
prietà, attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come qualitas fundi, ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù, senza che siffatto carattere venga meno qualora le parti non la menzionino espres- samente, e che, pertanto, nell’ipotesi, come quella in esame, di (accertata) inosservanza della convenzione (contenuta, nella specie, nel regolamento consortile) limitativa, con carattere di realità (concernendo sin da subito i fondi confinanti), dell’edificabilità, il proprie- tario del fondo dominante può agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell’ope- ra abusiva, non diversamente dal proprietario danneg- giato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni previste dagli artt. 872 e 873 c.c. (cfr. Cass. n. 4770 del 1996; Cass. n. 4624 del 1984).
In effetti, “al fine di accertare se... i contraenti abbia- no inteso costituire una servitù prediale a vantaggio o a carico di fondi esistenti ovvero dei costruendi edi- fici, è necessario far ricorso al criterio dell’attualità e meno dell’utilitas in cui si concreta il contenuto della servitù, poiché se l’utilitas presuppone la costruzione degli edifici, nel senso che, in loro mancanza, il con- tenuto del rapporto risulterebbe privo dell’inerenza necessaria a dare vita concreta alla servitù (come, ad esempio, nel caso di servitù di veduta, di stillici- dio, di acquedotto per dotare di acqua l’erigenda co- struzione), si verte nell’ipotesi contemplate dell’art. 1029 x.x., xxxxx 0 x, xxxxxxxx, xx xxxxx xxxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxx ha efficacia meramente obbligatoria, in quanto la servitù sorge soltanto con la realizzazione della costruzione, mentre, qualora il vantaggio ed il corrispondente peso siano indipendenti da tale rea- lizzazione edificatoria in guisa da inerire direttamen- te ai suoli non ancora edificati con carattere di real- tà – come si verifica normalmente nelle pattuizioni che, vietando di costruire ad una certa distanza dal confine, limitano, da un lato, l’edificabilità del fon- do servente, restringendo i poteri di godimento e di utilizzazione inerenti al relativo diritto di proprietà, e attribuiscono, dall’altro, i corrispondenti vantaggi al contiguo fondo dominante, ancora prima e indipen- dentemente dalla sua avvenuta edificazione –, si verte nell’ipotesi, prevista dal primo comma del citato arti- colo, di servitù immediatamente costituita con carat- tere ed effetti reali” (Cass. n. 1267 del 1996, in motiv.; Cass. n. 8227 del 1997; Cass. n. 8885 del 2000; Cass.
n. 235 del 1982; Cass. n. 5287 del 1983). Si tratta di un concetto che questa Corte ha espresso sin dalla sentenza n. 4142 del 1976: quando, in particolare,
aveva chiarito che “le pattuizioni con le quali i proprie- tari di più lotti vicini, compresi in una lottizzazione di aree fabbricabili, stabiliscono i criteri ai quali ciascuno dovrà conformarsi nell’esecuzione degli edifici da co- struirsi, rientrano nella figura della servitù a favore o a carico di un edificio da costruire, di cui al capoverso dell’art. 1029 c.c., tale diritto ha natura reale sin dall’o- rigine, dovendo ritenersi costituito a favore del suolo su cui l’edificio dovrà sorgere ed al quale mira preci- samente ad assicurare i cospicui vantaggi derivanti da una determinata futura utilizzazione edificatoria, che, secondo le comuni regole in materia di rapporti di vici- nato tra proprietari confinanti, sarebbe invece vietata”. I divieti di costruire ad una certa distanza dal confine ovvero quelli di edificare oltre certi limiti comporta- no, sotto questo profilo, un’immediata limitazione dell’edificabilità del fondo (servente), che si sostanzia, per un verso, nella restrizione dei poteri di godimento e di utilizzazione del medesimo e, per altro verso, in un altrettanto immediato accrescimento dell’utilitas del contiguo fondo (Cass. n. 8227 del 1997).
In effetti, le pattuizioni con le quali vengono poste a cari- co di un fondo ed a favore di altri limitazioni di edificabi- lità, restringono permanentemente i poteri connessi alla proprietà dell’area gravata e mirano ad assicurare stabil- mente e correlativamente particolari utilità a vantaggio del proprietario dell’area contigua, sicché tali pattuizio- ni si atteggiano, rispetto ai terreni che vi sono conside- rati, a permanente minorazione della loro utilizzazione da parte di chiunque ne sia o ne divenga proprietario, ed attribuiscono al fondo vicino un corrispondente van- taggio che a questo inerisce come qualitas fundi, ossia con caratteristiche di realità tali da inquadrarsi nello schema delle servitù, senza che siffatto carattere venga meno qualora le parti non parlino espressamente di ser- vitù (Cass. n. 14580 del 2012).
Tale principio trova applicazione anche per l’ipotesi in cui pattuizioni di tale natura siano contenute nel- le clausole di uno statuto consortile, onde assicurare all’intera zona particolari caratteristiche di amenità o comodità, ed abbiano introdotto, com’è accaduto nel caso di specie, i limiti di costruibilità attraverso il rin- vio (diretto o indiretto, e cioè per il tramite dell’au- torizzazione comunale) a corrispondenti disposizioni del regolamento edilizio comunale, atteso che tale ri- chiamo inserisce le stesse nel rapporto convenzionale e le rende operanti nei confronti delle relative parti (cfr. Cass. n. 4399 del 1982).
13.4. I consorzi di urbanizzazione, in effetti, costituiti dai proprietari dei terreni situati in un’area destinata a insediamenti abitativi o turistici proprio per realiz-
zare, mantenere e gestire i servizi e le attrezzature ne- cessarie all’utilizzazione dell’intera area, possono ben avere (e di regola hanno) natura di associazioni atipi- che, con aspetti sia associativi che di realità, derivanti questi ultimi dall’assunzione da parte dei consorziati di obblighi propter rem oppure dalle costituzioni di reciproche servitù.
L’interesse, comune ai proprietari di terreni situati in aree destinate a insediamenti industriali, abitativi o turistici, a disciplinare l’utilizzazione del compren- sorio in vista della sua urbanizzazione, spinge, infat- ti, i detti proprietari a convenire particolari rapporti associativi, in base ai quali i predetti proprietari si impegnano a realizzare sui propri terreni i servizi e le attrezzature prescritte negli strumenti urbanistici, nonché a manutenerli e a gestirli.
I consortisti, in particolare, assumono obblighi prop- ter rem e costituiscono a carico dei terreni siti nel comprensorio (che restano tuttavia di loro proprietà) una serie di servitù reciproche (soggette a trascrizione perché siano opponibili ai terzi), allo scopo di assicu- rare nel tempo il rispetto dei diritti e obblighi che ne derivano (Cass. n. 11218 del 1992).
Ne consegue che, in caso d’inosservanza della pattuita limitazione di inedificabilità – come quella contenuta nello statuto del Consorzio nel cui territorio insistono i fondi di proprietà delle parti (v. le clausole contenute ne- gli artt. 8, 9 e 10 dello statuto così come trascritte in ricor- so, p. 10) – il (singolo) proprietario del fondo dominante può direttamente agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale (confessoria servitutis ex art. 1079 c.c.) per chiedere ed ottenere la ri- messione in pristino ed il risarcimento del danno, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla viola- zione delle norme sulle distanze nelle costruzioni ai sensi degli artt. 872 e 873 x.x. (Xxxx. x. 00000 del 1993).
14. Il quinto motivo è inammissibile. La ricorrente, in effetti, non illustra, con la dovuta specificità, per qua- li ragioni la questione posta (della quale la sentenza impugnata non tratta in alcun modo) la riguardi (e sia, quindi, rilevante ai fini della decisione sull’impu- gnazione avverso la stessa), in quanto, appunto, in ipotesi, avente causa di consorziato senza aver, a sua volta, aderito al Consorzio, con la conseguente inop- ponibilità nei suoi confronti delle clausole consortili. Omissis
16. Il ricorso, per l’infondatezza o l’inammissibilità di tutti i suoi motivi, dev’essere, quindi, respinto. Omissis