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A s s o c i a z i o n e p e r g l i S t u d i I n t e r n a z i o n a l i e C o m p a r a t i s u l D i r i t t o d e l l a v o r o e s u l l e R e l a z i o n i i n d u s t r i a l i
In collaborazione con il Centro Studi Internazionali e Comparati Xxxxx Xxxxx
I collaboratori familiari
tra obbligo assicurativo Inail ed applicabilità delle norme in materia di prevenzione
di Xxxxxxx Xxxxxxxx
Premessa
Il presente contributo pone a confronto l’evoluzio- ne delle disposizioni concernenti l’obbligo assicu- rativo Inail dei collaboratori familiari con l’evolu- zione delle norme in materia di prevenzione con- cernenti gli stessi soggetti. Il raffronto sarà utile ad evidenziare come la scelta legislativa per gli anni passati in relazione a questi soggetti sia andata nel- la direzione di un ampliamento della tutela sul pia- no della assicurazione cui per molto tempo non ha fatto riscontro un’attenzione definita ai temi della prevenzione cui questa categoria ha avuto accesso in parte solo con il d.lgs. n. 81/2008.
Se consideriamo il tessuto economico/produttivo del nostro Paese costituito in gran parte da piccole e medie imprese, da imprenditori individuali, da esercizi commerciali e laboratori artigianali, viene spesso all’evidenza che l’attività lavorativa è pre- stata da soggetti che appartengono alla cerchia fa- miliare del datore di lavoro. Ciò determina che spesso attività lavorativa e relazione familiare sono coesistenti. L’attività lavorativa è prestata dal col- laboratore familiare a titolo gratuito diversamente da quanto accade nel lavoro subordinato dove il lavoro si presume prestato a titolo oneroso. Il lavo- ro gratuito utilizzato in luogo del rapporto subordi- nato può sfociare in lavoro sommerso. Analoga-
mente anche la creazione illegittima di un rapporto subordinato, allorquando si è in presenza di una prestazione tra familiari, comporta un illecito sul piano fiscale – in quanto consente un risparmio fi- scale non dovuto – ed un illecito sul piano previ- denziale per la indebita maturazione di prestazioni sociali e di un diritto alla pensione.
La presunzione di gratuità del lavoro familiare
Mentre nel caso di rapporto di lavoro subordinato sussiste il contratto e quindi la volontà di rendere la prestazione lavorativa al fine di ottenere in cambio una retribuzione, nel lavoro familiare manca un qualsiasi intento negoziale, manca l’animus contra- endi e la corrispettività della prestazione. Infatti il lavoro familiare è ispirato da una affectionis vel benevolentiae causa, un’attitudine alla solidarietà e all’assistenza reciproca fra i coniugi e i componenti della famiglia. È il caso anche dei religiosi, o di quanti svolgono attività di volontariato, oltreché, in particolar modo, del lavoro prestato nel contesto familiare, per solidarietà ed affettività, quale obbli- go connaturato al vincolo familiare o coniugale, avente lo scopo di migliorare le condizioni di esi- stenza, materiali e spirituali, dell’intero nucleo fa- miliare.
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Registrazione n. 1609, 11 novembre 2001 – Tribunale di Modena
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La nozione di contesto familiare
Nell’ambito del nucleo familiare, la famiglia è l’in- sieme delle persone legate da vincolo coniugale, di parentela o di affinità. Secondo il codice, il vincolo di parentela e di affinità si estende fino al 6° grado. In merito al vincolo coniugale occorre precisare che, per giurisprudenza consolidata, il legame ge- nerato dalla convivenza more uxorio, fondato sulla comunanza spirituale ed economica tra i soggetti, è equiparato al legame matrimoniale, così che può aversi lavoro gratuito non solo tra marito e moglie, ma anche tra due partner che di fatto convivono (Xxxx. 29 maggio 1991, n. 6083; Cass. 15 marzo
2006, n. 5632).
Per quanto concerne la parentela il legame può es- sere valutato in linea retta o collaterale. Si discute poi se sia necessaria, come sostengono alcuni, la convivenza perché scatti la presunzione di onerosi- tà oppure no.
Il TU n. 1124/1965, art. 4, n. 6
Il TU n. 1124/1965 prevede all’art. 4, n. 6, la tutela dei seguenti soggetti: il coniuge, i figli, anche natu- rali o adottivi, gli altri parenti, gli affini, gli affiliati e gli affidati del datore di lavoro che prestano con o senza retribuzione alle di lui dipendenze opera ma- nuale, ed anche non manuale ove si tratti di sovrin- tendenti. Con una modernità estrema, il TU assog- getta ad obbligo assicurativo in senso ampio questa tipologia di soggetti. La lettura che ne darà la giuri- sprudenza negli anni successivi ne restringerà la portata, statuendo che debba trattarsi di prestazione di lavoro resa alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro anche in assenza di retribuzio- ne. Secondo le disposizioni del TU l’elemento di gratuità della prestazione non era di ostacolo all’as- sicurabilità purché quest’ultima venisse svolta alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro con adibizione ad una delle attività rischiose di cui all’art. 1, dunque purché, in presenza dei requisiti che tipizzano la subordinazione, l’assenza della retribuzione non escluda l’assicurabilità a condi- zione ovviamente che sussista l’adibizione ad una attività rischiosa. In realtà, di per sé il TU conside- ra in senso ampio la possibilità della tutela. La let- tura che ne ha dato nel tempo il TU risale al 1965 e quindi è di molto anteriore alla data di formulazio- ne dell’art. 230-bis c.c. (1975) che ha introdotto,
per la prima volta, nel nostro ordinamento giuridi- co l’istituto dell’impresa familiare.
Impresa familiare: definizione
L’art. 230-bis c.c. riconosce al familiare che presti la propria attività di lavoro in modo continuativo nella famiglia o nell’impresa familiare il diritto al mantenimento secondo le condizioni patrimoniali della famiglia, il diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa e dei beni acquistati con essi, nonché agli incrementi anche in ordine all’avviamento in proporzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato. Agli stessi familiari, inoltre, è riservato il potere di concorrere alle decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi, gli indirizzi produttivi, la gestione straordinaria e la cessazione dell’impresa. Il legislatore ha quindi introdotto una figura nuova di impresa, che non trova la sua fonte in un rapporto contrattuale, ma discende diretta- mente dalla legge e che alla legge si rifà per la di- sciplina di quello che è, sostanzialmente, un rap- porto fondato sulla solidarietà familiare. Per essere considerati collaboratori familiari dell’impresa i familiari devono partecipare all’attività della stessa in modo continuativo e prevalente. I collaboratori familiari del titolare/imprenditore con i quali è pos- sibile costruire un’impresa familiare sono:
• il coniuge;
• i parenti entro il 3° grado (i discendenti, cioè il figlio, il figlio del figlio ed il pronipote; gli ascen- denti, cioè il genitore, il nonno ed il bisavolo; i col- laterali, cioè il fratello o la sorella, il nipote (figlio di fratello o di sorella) e lo zio);
• gli affini entro il 2° grado (il figlio, solo del co- niuge, e il figlio del figlio; il genitore e il nonno, il fratello e la sorella; il coniuge del figlio (genero o nuora); il coniuge del figlio del figlio, il coniuge del genitore quando non sia anch’egli genitore, il coniuge del fratello, cioè il cognato).
L’impresa familiare rappresenta un istituto associa- tivo del tutto peculiare, a rilevanza interna, che ha carattere “residuale o suppletivo” in quanto è da ritenersi preclusa qualora sia configurabile un di- verso rapporto fra il titolare ed i propri familiari, rispetto a quello tassativamente previsto dall’art. 230-bis c.c. (ad esempio rapporto di lavoro subor- dinato, collaborazione coordinata e continuativa, natura societaria). La ratio dell’istituto è di garanti- re un beneficio economico minimo a quanti, so-
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prattutto donne, si impegnano nella famiglia e nel- l’attività economica del coniuge o del familiare imprenditore per incrementare il benessere comu- ne. Tale beneficio economico consiste nel parteci- pare agli utili e all’incremento di valore dell’impre- sa.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 476/1987
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 476 del 10 dicembre 1987, ha dichiarato l’illegittimità co- stituzionale dell’art. 4, comma 1, n. 6, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui non ricom- prendeva tra le persone assicurate i familiari parte- cipanti all’impresa familiare indicati nell’art. 230- bis c.c. che prestano opera manuale od opera a que- sta assimilata ai sensi del precedente n. 2 del citato art. 4. Di rilievo sono le seguenti considerazioni contenute nella decisione n. 476 del 1987 della Corte Costituzionale:
«Nel capo III del d.P.R. n. 1124 del 1965, ed in particolare nell’art. 4, che determina l’ambito sog- gettivo di applicazione dell’assicurazione obbliga- toria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, è agevole riscontrare la significativa concorrenza di previsioni volte a tutelare lavoratori subordinati (art. 4, comma primo, nn. 1, 2 e 6, con- cernente, quest’ultimo, la specifica ipotesi del lavo- ro subordinato prestato da familiari) e di previsioni volte a tutelare lavoratori che operano senza vinco- lo di subordinazione. Ed infatti, il n. 3 dello stesso art. 4, comma primo, include tra i soggetti assicura- ti l’artigiano, purché presti abitualmente opera ma- nuale nella propria impresa; il successivo n. 7 ha riguardo ai soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, anche di fatto, che prestino opera manuale o di sovraintendenza; altre ipotesi ancora la cennata disposizione prevede (cfr. ad es. nn. 5 ed 8), tutte irriducibili a quella del lavoro subordinato. Xxxxxx, la concorrenza delle dette ipotesi e delle altre sopra considerate mostra l’esistenza, nella le- gislazione di settore, di un principio, implicito nel citato art. 4 (ma vedi anche l’art. 205 dello stesso
d.P.R. n. 1124 del 1965, che sottopone ad assicura- zione obbligatoria i familiari che prestano opera manuale nelle aziende agricole, prescindendo dal requisito della subordinazione), secondo il quale la protezione assicurativa in argomento è indifferente al titolo o al regime giuridico del lavoro protetto e
prende in considerazione questo in quanto lavoro manuale – o di sovraintendenza immediata al lavo- ro manuale – prestato con obiettiva esposizione al rischio derivante dalle lavorazioni indicate nel pre- cedente art. 1. Rispetto a tale principio è ingiustifi- cata, ed integra pertanto violazione dell’art. 3, comma primo, Cost., ed insieme dell’art. 38, com- ma secondo, Cost. – in base al quale a parità di e- sposizione al rischio deve corrispondere parità di tutela assicurativa (sentenze n. 246 del 1986; n. 221 del 1985; n. 55 del 1981; n. 262 del 1976 non- ché la n. 114 del 1977) – la mancata ricomprensio- ne nell’elenco delle persone assicurate, xxxxxxxxx nell’art. 4, xxxxx primo, del d.P.R. n. 1124 del 1965, dei familiari che prestano attività avente i suddetti caratteri obbiettivi se non riconducibile a un rapporto di lavoro subordinato o a un rapporto societario; come è appunto per il lavoro prestato nell’impresa familiare. D’altra parte, una volta in- trodotto l’istituto dell’impresa familiare, in vista della meritoria finalità di dare tutela al lavoro co- munque prestato negli aggregati familiari, non sa- rebbe coerente il diniego di una tutela assicurativa di particolare rilevanza come quella in argomento (diretta a ovviare a rischi attinenti alla vita o all’in- tegrità fisica del lavoratore), in presenza dei requi- siti oggettivi propri del lavoro con essa protetto». La sentenza lascia una sfasatura di ordine soggetti- vo tra i parenti di cui all’art. 4, n. 6, e partecipanti all’impresa familiare sia dal lato datoriale che da quello dei lavoratori: «l’art. 230-bis si presenta più restrittivo sia perché si riferisce solo ad attività im- prenditoriali, sia perché estende la propria tutela fino al 3° grado per i parenti ed al 2° per gli affi- ni» (così A. Xx Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Xxxxxxx, Milano, 2005, 402). A seguito di detta sentenza l’Inail ha emanato la circolare n. 67/1988.
La circolare Inail n. 67/1988
Con la circolare in oggetto l’Inail statuì che i fami- liari di cui trattasi (ossia, secondo il disposto del richiamato art. 230-bis c.c., il coniuge, i parenti entro il 3° grado, gli affini entro il 2°), che prestino attività lavorativa manuale o di sovraintendenza ad opera manuale altrui nell’ambito dell’impresa fa- miliare, devono essere assicurati contro gli infortu- ni sul lavoro e le malattie professionali anche in assenza del requisito della subordinazione o di un
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vincolo societario tra essi ed il datore di lavoro, sempre che sussistano i presupposti oggettivi. Si intende che, come per la generalità dei lavoratori, per il configurarsi dell’obbligo assicurativo, l’atti- vità lavorativa manuale o di sovraintendenza deve essere svolta in via non occasionale. Si sottolineava che, avendo la pronuncia della Corte Costituziona- le regolato l’ipotesi residuale dei familiari parteci- panti all’impresa familiare di cui all’art. 230-bis c.c., la particolare decorrenza non riguardasse i pa- renti del datore di lavoro che si trova nelle condi- zioni previste dal citato art. 4, comma 1, n. 6 e n. 7, per i quali l’obbligo assicurativo sussisteva e conti- nua a sussistere indipendentemente dalla sentenza stessa. Circa il regime contributivo da applicare, in mancanza di retribuzione effettiva o convenziona- le, per il calcolo dei premi dovrà farsi riferimento alle retribuzioni cosiddette di ragguaglio a norma dell’art. 30 del già citato TU. Per quanto riguarda i familiari coadiuvanti del titolare artigiano e dei so- ci di imprese artigiane, si ricorda che sono prese in considerazione le retribuzioni annuali prescelte da- gli interessati e che comunque non possono essere inferiori alla retribuzione minima annua calcolata sulla base di quella minima giornaliera fissata dalla legge. L’evoluzione indotta nel sistema dalla deci- sione della Corte Costituzionale è servita con rife- rimento a questi soggetti ad elidere l’elemento del- la necessaria subordinazione. Se si pensa alla for- mulazione generale di cui all’art. 4, n. 1 e n. 2, che prevede sul piano generale l’assoggettabilità ad obbligo assicurativo di «coloro che in modo per- manente o avventizio prestano alle dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione e di coloro che, trovandosi nelle condizioni di cui al preceden- te n. 1, anche senza partecipare materialmente al lavoro, sovraintendono al lavoro di altri», non è difficile cogliere la novità assoluta che la tutela ap- prestata ai collaboratori familiari nell’impresa fa- miliare introduceva nel sistema.
La circolare Inail n. 29/1990
A seguito della emanazione della circolare n. 67/1988, riguardante la tutela assicurativa dei par- tecipanti all’impresa familiare, vennero posti quesi- ti in ordine alla assicurabilità dei familiari che ope- rano in aziende non configurabili come impresa familiare. Ciò indusse l’Inail ad emanare un’ulte-
riore circolare nel maggio del 1990 secondo la qua- le, ai sensi dell’art. 230-bis c.c., a meno che non sia configurabile un rapporto diverso (quale, ad esem- pio, una società di fatto), allorquando il titolare di una impresa viene coadiuvato dal coniuge, da pa- renti entro il 3° grado, da affini entro il 2°, si con- cretizza sempre l’istituto dell’impresa familiare. Cosicché, quando si tratti di figure di familiari di- verse da quelle avanti menzionate, la collaborazio- ne non occasionale con il titolare di una impresa configura una impresa non familiare che può dar luogo o ad un rapporto di lavoro subordinato o ad un rapporto di tipo societario. Nel primo caso, co- me è ovvio, le persone in questione sono assicurate allo stesso modo di un qualsiasi altro lavoratore dipendente. Nel secondo caso l’obbligo della tutela sussiste solo nell’ipotesi in cui i soggetti in questio- ne possano essere considerati come soci di fatto, cioè quando svolgano una attività manuale in posi- zione sia pure solamente funzionale di subordina- zione alle direttive della società, come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Circa il regime contributivo, vanno prese in considerazione le retribuzioni effettive e- ventualmente corrisposte e, in mancanza di queste, si deve fare riferimento alle retribuzioni cosiddette “di ragguaglio” a norma dell’art. 30 del TU appro- vato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124. Nel caso di imprese artigiane, valgono le retribuzioni annua- li prescelte dagli interessati che, comunque, non possono essere inferiori alla retribuzione minima annua calcolata sulla base di quella minima giorna- liera fissata dalla legge. Sussisteva l’obbligo di i- scrizione di detti soggetti nei libri paga e matricola salvo che per le imprese artigiane come da circola- re n. 70/1997.
La circolare Inail n. 97/1997
Nel 1997, la circolare in oggetto delimitava la nozione di impresa artigiana e per mezzo di essa l’Inail, dal 5 giugno 1997, ricomprendeva nell’ob- bligo assicurativo “artigiano” «i soci della S.a.s., prima assicurati come soci non artigiani (accoman- datari ed, eventualmente, accomandanti); gli even- tuali familiari coadiuvanti di cui all’articolo 4, n. 6, del T.U., prima assicurati come familiari non arti- giani, il titolare della S.r.l. artigiana unipersonale, prima non assicurato poiché unico socio della me- desima; gli eventuali familiari coadiuvanti di cui
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all’articolo 4, n. 6, del T.U., prima assicurati come familiari non artigiani». Pertanto, i soci e gli even- tuali familiari coadiuvanti, sono tenuti a corrispon- dere il premio speciale unitario come tutti gli arti- giani autonomi.
L’art. 39, comma 4, del d.l. n. 112/2008: la de- nuncia nominativa del collaboratore familiare
Il d.l. n. 112/2008, convertito con modificazioni nella l. n. 133/2008, ha sostituito il primo periodo dell’art. 23 del d.P.R. n. 1124/1965 con il seguen- te: «Se ai lavori sono addette le persone indicate dall’articolo 4, primo comma, numeri 6 e 7, il dato- re di lavoro, anche artigiano, qualora non siano og- getto di comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 9-bis, com- ma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella legge 28 no- vembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, deve denunciarle, in via telematica o a mezzo fax, all’Istituto assicuratore nominativamente, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, indicando altresì il trattamento retributivo ove previsto». La nuova denuncia è stata introdotta con la semplificazione degli adempimenti burocratici, operata dalla mano- vra economica nel 2008, nella gestione dei rapporti di lavoro. Con decorrenza dal 18 agosto 2008 (data di entrata in vigore del d.m. 9 luglio 2008 che ha approvato il regolamento di attuazione del libro unico del lavoro), per il datore di lavoro, anche ar- tigiano, è stato istituito l’obbligo di denunciare al- l’Inail nominativamente, qualora non siano oggetto di comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro al servizio competente (cioè nei casi in cui non sussista l’obbligo di denuncia trami- te il sistema CO), i collaboratori e i coadiuvanti delle imprese familiari, i coadiuvanti delle imprese commerciali nonché i soci lavoratori di attività commerciali e imprese in forma societaria. L’Inail ha precisato che la nuova denuncia nominativa d’instaurazione del rapporto di lavoro deve essere effettuata almeno un giorno prima dell’inizio del rapporto di lavoro. Il riferimento è, infatti, al rap- porto di lavoro e non all’attività lavorativa nel suo complesso, per la quale resta vigente quanto previ- sto dall’art. 12 del TU n. 1124/1965. Pertanto, la denuncia nominativa in argomento si aggiunge agli obblighi e ai termini prescritti dal citato art. 12. L’Inail ha posto in essere apposita procedura tele-
xxxxxx a tal fine nonché specifico applicativo con- sultabile da parte dei funzionari di vigilanza nel quale si riversano tutti i dati desumibili dalla de- nuncia. Trattasi di applicativo di notevole rilievo se si considera che i soggetti coinvolti sono sottratti alle comunicazioni obbligatorie e non vengono ne- anche iscritti nel libro unico del lavoro. Questa è un’altra specificità che l’attuale sistema riserva alla categoria di soggetti in esame. Il datore di lavoro, anche artigiano, è obbligato ad effettuare la denun- cia nominativa prima dell’inizio dell’attività lavo- rativa.
La nota Inail del marzo 2010 sui collaboratori familiari del socio di società artigiana e non
Da ultimo l’Inail è tornato sul tema estendendo ul- teriormente la tutela del collaboratore familiare. La questione trae spunto dai vincoli imposti dal qua- dro normativo vigente in tema di obbligo assicura- tivo e, precisamente, dall’art. 4, n. 6, e dall’art. 9 del d.P.R. n. 1124/1965 che non consentono, in base ad una interpretazione strettamente letterale, di ricondurre «il coadiuvante familiare del socio di qualsiasi società artigiana e non artigiana» nell’am- bito delle persone assicurate all’Inail.
Con specifico riferimento alla società artigiana si è visto che la circolare del 1997, per effetto dell’e- stensione della nozione di impresa artigiana anche alle società in accomandita semplice e alle società a responsabilità limitata con unico socio, ha assog- gettato al premio speciale previsto per gli artigiani i familiari coadiuvanti di cui all’art. 4, n. 6, del
d.P.R. n. 1124/65 operanti nell’ambito di una im- presa artigiana costituita in forma di S.a.s. e i fami- liari coadiuvanti di cui all’art. 4, n. 6, del d.P.R. n. 1124/65 operanti nell’ambito di una impresa arti- giana costituita in forma di società a responsabilità limitata con unico socio coincidente con il titolare dell’impresa.
Più in generale, in merito alla questione del coadiu- vante (familiare) del socio di società artigiana e non artigiana, non può sottacersi che tutta la evolu- zione normativa e giurisprudenziale sul tema dei collaboratori familiari stia evolvendo verso il pro- gressivo assorbimento di queste figure nell’alveo dell’obbligo assicurativo Inail. Di rilievo sono le considerazioni contenute nella decisione della Cor- te Costituzionale n. 476/1987 più sopra riportate dove la Suprema Corte conclude rilevando: «D’al-
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tra parte, una volta introdotto l’istituto dell’impresa familiare, in vista della meritoria finalità di dare tutela al lavoro comunque prestato negli aggregati familiari, non sarebbe coerente il diniego di una tutela assicurativa di particolare rilevanza come quella in argomento (diretta a ovviare a rischi atti- nenti alla vita o all’integrità fisica del lavoratore), in presenza dei requisiti oggettivi propri del lavoro con essa protetto». Poiché nel rapporto tra impresa familiare e società muta soltanto la natura giuridica del soggetto imprenditoriale e poiché tale circo- stanza non può da sola determinare l’esclusione dall’obbligo assicurativo del coadiuvante, l’Inail ha ritenuto che, ove il coadiuvante familiare presti la propria opera manuale a beneficio del socio di so- cietà anche non artigiana, con carattere di continui- tà ed abitualità e sotto la direzione del socio, il me- desimo debba essere assicurato. Ovviamente, dette condizioni vengono escluse nel caso di un coadiu- vante familiare che esplichi la propria attività gra- tuitamente per motivi di affezione ed in via occa- sionale ed eccezionale. I coadiuvanti familiari che collaborano stabilmente all’andamento della socie- tà sono equiparabili ai dipendenti ed anche ai soci lavoratori. In tale ottica, si ritiene che i familiari coadiuvanti dei soci di società in nome collettivo e gli accomandanti di S.a.s. coadiuvanti familiari de- gli accomandatari, se partecipano al lavoro azien- dale con carattere di abitualità e prevalenza e se l’impresa è organizzata e/o diretta prevalentemente con il lavoro dei soci e dei loro familiari, siano soggetti anche all’assicurazione obbligatoria Inail. L’obbligo assicurativo, in tal caso, troverà attuazio- ne qualora i coadiuvanti familiari dei soci di tali società siano in possesso dei requisiti generali di assicurazione previsti dagli artt. 1 e 4 del d.P.R. n.1124/1965. Relativamente ai coadiuvanti familia- ri dei soci di una società in nome collettivo ed agli accomandanti di S.a.s. coadiuvanti familiari degli accomandatari, ove si tratti di società artigiane, l’insorgenza dell’obbligo assicurativo è subordina- ta anche alla sussistenza dei requisiti sostanziali previsti dalla normativa vigente in tema di impren- ditore artigiano e di impresa artigiana.
I collaboratori familiari nel d.lgs. n. 626/1994
Al Titolo I, Capo I, art. 1, questo decreto, in merito al campo di applicazione, così disponeva: «Il pre- sente decreto legislativo prescrive misure per la tu-
tela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività privati o pubblici».
Nel definire poi al secondo articolo, comma 1, chi sono i lavoratori precisava: «Agli effetti delle di- sposizioni di cui al presente decreto si intendono per:
a) lavoratore: persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari, con rappor- to di lavoro subordinato anche speciale. Sono equi- parati i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società e degli enti stessi, e gli utenti dei ser- vizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale avviati presso datori di lavoro per agevolare o per perfezionare le loro scelte professionali. Sono altresì equiparati gli al- lievi degli istituti di istruzione ed universitari e i partecipanti a corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, macchine, apparec- chi ed attrezzature di lavoro in genere, agenti chi- mici, fisici e biologici. I soggetti di cui al prece- dente periodo non vengono computati ai fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale il presente decreto fa discendere particolari obbli- ghi;
b) datore di lavoro: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impre- sa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, quale definita ai sensi della lettera i), in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 feb- braio 1993, n. 29, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ov- vero il funzionario non avente qualifica dirigenzia- le, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale».
L’art. 2, comma 1, lett. a, 3° e 4° periodo, ai fini della determinazione del numero di dipendenti dal quale il decreto fa discendere particolari obblighi, esclude dal computo, per espressa disposizione, gli allievi degli istituti di istruzione ed universitari e i partecipanti a corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, macchine, apparec- chi ed attrezzature di lavoro in genere, agenti chi- mici, fisici e biologici.
Inoltre, devono considerarsi esclusi in quanto non rientranti o ricompresi parzialmente nell’ambito di
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applicazione del decreto, anche gli addetti ai servi- zi domestici e familiari, i lavoratori di cui alla l. n. 877/1973 e i lavoratori con rapporto contrattuale privato di portierato (artt. 1, comma 3, e 2, comma 1, lett. a. Xxxxxx considerarsi esclusi in via inter- pretativa, facendo ricorso ai principali orientamenti della giurisprudenza in materia di dimensione delle imprese, i lavoratori in prova, i sostituti dei lavora- tori assenti con diritto a conservazione del posto e i volontari, come definiti dalla l. n. 266/1991.
Infine, i dipendenti assunti a termine (stagionali) vanno computati solo qualora il loro inserimento sia indispensabile per la realizzazione del ciclo produttivo e, con particolare riferimento alle azien- de agricole, gli stagionali vanno computati solo se inclusi nell’organigramma dell’azienda (o dell’uni- tà produttiva) necessario ad assicurarne la normale attività per l’intera annata agraria o, quantomeno, per un rilevante periodo di essa. Sempre con riferi- mento alle aziende agricole, fa eccezione a detto principio il caso previsto dall’art. 10 del decreto in esame, per la cui applicazione si stabilisce espres- samente che il computo dei dipendenti va effettua- to con riferimento ai soli addetti assunti a tempo indeterminato (Allegato I, nota n. 2).
Al contrario, devono considerarsi computabili i dipendenti con rapporto di lavoro subordinato, an- che speciale, i soci lavoratori di cooperative di so- cietà anche di fatto, gli utenti dei servizi di orienta- mento o di formazione scolastica, universitaria e professionale, avviati presso datori di lavoro per agevolare o per perfezionare le loro scelte profes- sionali. Inoltre, dovranno essere altresì ritenuti computabili anche i giovani assunti con contratto di formazione lavoro, gli apprendisti, i titolari di rapporto di lavoro subordinato sportivo, i lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro, i lavoratori in trasferta e i lavoratori a tem- po parziale in misura corrispondente al numero di ore contrattualmente previste. I collaboratori fa- miliari sono esclusi dall’applicabilità del d.lgs. n. 626/1994.
La circolare del Ministero del lavoro n. 154/1996
La circolare chiarisce che ai collaboratori familiari di cui all’art. 230-bis c.c. – vale a dire al coniuge, ai parenti entro il 3° grado e agli affini entro il 2° grado – non si applica il d.lgs. n. 626/1994 perché
questi non vengono richiamati espressamente nem- meno fra gli equiparati e non possono essere inqua- drati nella categoria dei lavoratori con rapporto di lavoro subordinato.
Qui di seguito si riporta il passaggio di interesse:
«Con riferimento ai numerosi quesiti pervenuti in ordine alla applicazione del decreto legislativo n. 626/1994 e successive modifiche, si danno seguito le più urgenti indicazioni operative al fine di age- volare un adempimento uniforme della nuova di- sciplina.
1. Applicazione del decreto legislativo n. 626/1994 e successive modifiche ai collaboratori familiari di cui all’art. 230-bis del codice civile.
Il campo di applicazione relativo ai soggetti benefi- ciari della tutela antinfortunistica e di igiene, viene individuato direttamente dall’art. 1 e dall’art. 2, lettera a), i quali indicano espressamente:
“1) la tipologia generale dei lavoratori a cui si de- vono applicare le misure di tutela (‘i lavoratori con rapporto di lavoro subordinato anche speciale’ – art. 2, lettera a), primo periodo);
2) i soggetti da equiparare a questi ultimi anche se privi di un rapporto subordinato (‘soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che presti- no la loro attività per conto delle società e degli enti stessi, e gli utenti dei servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professio- nale avviati presso datori di lavoro per agevolare o per perfezionare le loro scelte professionali. Sono altresì equiparati gli allievi degli istituti di istruzio- ne ed universitari e i partecipanti a corsi di forma- zione professionale nei quali si faccia uso di labo- ratori, macchine, apparecchi ed attrezzature di la- voro in genere, agenti chimici, fisici e biologici’. – art. 2, lettera a) secondo periodo);
3) i lavoratori subordinati che devono essere esclu- si (gli addetti ai servizi domestici e familiari – art. 2, lettera a), primo periodo);
4) i lavoratori subordinati per i quali le disposizioni si applicano parzialmente (‘i lavoratori di cui alla legge 18 dicembre 1973, n. 877, nonché i lavorato- ri con rapporto contrattuale privato di portierato’)”. Come si vede, il descritto campo di applicazione non ricomprende i collaboratori familiari di cui alla disciplina dell’art. 230-bis c.c., poiché questi ultimi non vi sono richiamati espressamente neanche tra gli equiparati, né sono inquadrabili nella categoria dei lavoratori con rapporto di lavoro subordinato. Infatti, i collaboratori familiari (il coniuge, i parenti entro il 3 grado, gli affini entro il 2 grado), sono
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rilevanti come tali per il nostro ordinamento giuri- dico proprio quando non sia configurabile un rap- porto di lavoro subordinato o, comunque, un rap- porto diverso da quello basato sull’interesse fami- liare.
Né, d’altra parte, l’inclusione dei collaboratori fa- miliari tra i soggetti beneficiari della tutela può es- sere desunta in via interpretativa dall’inclusione dei datori di lavoro delle aziende familiari tra i soggetti destinatari di alcuni obblighi, poiché il datore di lavoro delle aziende familiari si caratterizza per la possibilità di organizzare nella sua impresa sia il lavoro dei collaboratori familiari sia il lavoro di terzi salariati, essendo ininfluente la dimensione dell’impresa stessa. Quindi, gli obblighi a carico degli imprenditori familiari sorgono soltanto in presenza e nei riguardi dei suoi eventuali lavoratori o subordinati, o dei soggetti equiparati rientranti nelle definizioni di cui agli articoli 1 e 2, comma 1. Del resto, già la Corte Costituzionale, con sentenza
n. 212 del 3 maggio 1993 ha confermato il princi- pio che la normativa antinfortunistica e di igiene non può trovare applicazione all’impresa familiare poiché questa è permeata di legami affettivi, onde sarebbe “problematico l’incastro di obblighi e do- veri sanzionati attraverso ipotesi di reato procedibi- li d’ufficio”.
Concludendo, le argomentazioni suesposte con- ducono ad una risposta negativa al quesito posto, nel senso che le disposizioni di cui ai d.lgs. n. 626/1994 e n. 242/1996 non trovano applicazio- ne nei confronti dei collaboratori familiari di cui all’art. 230-bis del codice civile.
Coerentemente, i collaboratori familiari non devo- no essere computati ai fini dell’applicazione dei diversi istituti normativi condizionati da una deter- minata consistenza numerica».
La sentenza della Corte Costituzionale n. 212/1993
Nella sentenza in oggetto la Corte si pronunciò sul- la legittimità costituzionale dell’art. 3, secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, nella parte in cui escludeva i partecipanti all’impresa familiare dal novero dei soggetti in favore dei quali
– in quanto equiparati ai lavoratori subordinati – deve essere applicata la normativa per la preven- zione degli infortuni sul lavoro, con la conseguente estensione della relativa tutela penale specifica per
le ipotesi di violazioni delle prescrizioni antinfortu- nistiche e delle comuni sanzioni in caso di danni alle persone. Nel caso posto all’attenzione della Corte il pretore rimettente aveva ravvisato un’in- giustificata disparità di trattamento dei partecipanti all’impresa familiare rispetto ai soci di società e di enti in genere cooperativi beneficiari delle misure in materia di prevenzione. La questione venne rite- nuta inammissibile dalla Corte in base alle seguenti argomentazioni «A questa Corte è richiesta una decisione di tipo additivo che inserisca nel testo legislativo in argomento una nuova ipotesi, secon- do cui i titolari dell’impresa sarebbero tenuti a por- re in essere gli strumenti di prevenzione previsti dalla normativa per la sicurezza dei lavoratori, tra i quali dovrebbero rientrare così anche i partecipanti all’impresa familiare medesima. Ma il modulo e- stensivo suggerito dal Pretore di Cervignano del Friuli che vorrebbe l’inclusione dei familiari tra i soggetti protetti, comporta, inevitabilmente, anche la creazione di una fattispecie penale nuova, consi- stente nell’applicazione delle sanzioni descritte dal titolo XI del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 anche ai titolari d’impresa familiare. Inoltre, l’attrazione di quest’ultimo istituto nell’area del rapporto di lavo- ro anche a fini di tutela antinfortunistica, impliche- rebbe la configurabilità di reati colposi contro la vita e l’incolumità delle persone, ove l’inosservan- za delle misure di prevenzione abbia prodotto tali conseguenze lesive. È chiaro come l’intero disegno della prevenzione non avrebbe senso ove si volesse scriminare il profilo sanzionatorio, logicamente correlato a garantire l’osservanza del precetto. Ma l’imputato di cui al giudizio a quo mai potrebbe rispondere per fatti che non costituivano reato al momento in cui furono commessi, onde appare chiara l’assoluta ininfluenza dell’invocata sentenza sul procedimento penale in xxxxx xxxxxxx xx Xxxxx- xx. La garanzia posta dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, esclude infatti che la Corte pos- sa far sorgere una nuova fattispecie penale “così determinando conseguenze sfavorevoli per l’impu- tato” (cfr. sentenze n. 148 del 3 giugno 1983 e n. 108 del 25 giugno 1981). Alla suddetta ragione d’i- nammissibilità per irrilevanza si aggiunge, con a- naloga conseguenza, quell’ulteriore implicazione del principio di legalità che impone una stretta ri- serva di legge in favore dello Stato in materia pe- nale. Tale appartenenza esclusiva della potestà pu- nitiva si appalesa tanto più evidente in rapporto alla peculiarità dell’impresa familiare cui è stata estesa
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l’assicurazione contro gli infortuni (così appagando una diffusa esigenza di tutela del lavoro: cfr. sen- tenza n. 476 del 25 novembre 1987), ma che resta comunque permeata di legami affettivi, onde appa- re quanto meno problematico l’innesto di obblighi e doveri sanzionati attraverso ipotesi di reato pro- cedibili d’ufficio». La assoggettabilità ad obbligo assicurativo Inail in qualche modo soddisfaceva le esigenze di tutela del collaboratore, ma le conclu- sioni cui perveniva la Suprema Corte ingenerano perplessità in considerazione soprattutto dei mec- canismi propri di funzionamento dell’azione di re- gresso e dei suoi nessi con l’azione in sede penale.
La circolare del Ministero del lavoro n. 28/1997
Sul tema dell’assoggettabilità alla normativa di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro delle imprese individuali il cui titolare si avvale di colla- boratori familiari, il Ministero l’anno successivo così precisava: «Nell’ipotesi di un’impresa artigia- na costituita in forma individuale, la tutela antin- fortunistica e di igiene va apprestata obbligatoria- mente nel caso in cui i collaboratori familiari pre- stino la loro attività in maniera continuativa e sotto la direzione di fatto del titolare. Nella ipotesi inve- ce in cui tale subordinazione di fatto non sussista e il familiare esplichi saltuariamente la propria attivi- tà per motivi di affezione gratuitamente ed in veste di alter ego del titolare, la tutela non va apprestata. Il vincolo di subordinazione tra familiari esiste si- curamente nell’ipotesi di formale assunzione con contratto del familiare o nell’ipotesi – che solo un giudice può individuare come tale – di subordina- zione derivante da particolari situazioni di fatto.
Pertanto, in mancanza di un regolare contratto di assunzione o di intervento dell’autorità giudiziaria, anche nel caso delle ditte individuali va presunta la semplice collaborazione tra familiari, assimilabile a quella dell’impresa familiare di cui all’art. 230 bis del codice civile, e quindi non trova applicazione la normativa di sicurezza che si applica ai lavoratori subordinati».
La circolare del Ministero del lavoro n. 30/1998
Con riferimento ai collaboratori familiari di cui all’art. 230-bis c.c. e collaboratori familiari nel- l’ambito di una ditta individuale, con la circolare in
esame il Ministero precisava: «Con circolare n. 154/96 è stato chiarito che i collaboratori familiari di cui alla disciplina dell’art. 230 bis del Codice civile non sono inquadrabili nella categoria dei la- voratori con rapporto di lavoro subordinato. Con successiva circolare n. 28/97, si è ulteriormente precisato che nell’ipotesi di una ditta individuale la normativa di prevenzione si applica ai collaboratori familiari solo nel caso in cui sia riscontrabile un preciso vincolo di subordinazione e non una sem- plice collaborazione tra familiari. Il vincolo di su- bordinazione tra familiari esiste sicuramente nell’i- potesi di formale assunzione con contratto del fa- miliare o nell’ipotesi – che solo un giudice può in- dividuare come tale – di subordinazione derivante da particolari situazioni di fatto. Pertanto, in man- canza di un regolare contratto di assunzione o di un intervento dell’autorità giudiziaria, anche nel caso delle ditte individuali va presunta la semplice col- laborazione tra familiari, assimilabile a quella del- l’impresa familiare di cui all’art. 230 bis del Codi- ce Civile, e quindi non trova applicazione la nor- mativa di sicurezza che si applica ai lavoratori su- bordinati». L’elemento da cui il legislatore fa di- scendere l’applicazione della normativa de qua è, in ultima analisi, l’esistenza di una prestazione svolta in regime di subordinazione, secondo i xxxx- ni del Codice civile e, sulla scorta di tale principio, diventa consequenziale escludere dall’ambito della tutela prevenzionistica del d.lgs. n. 626/1994 an- che:
• i lavoratori autonomi (artt. 2222 ss. c.c.);
• i lavoratori con rapporto di agenzia e di rappre- sentanza commerciale;
• gli associati in partecipazione (art. 2549 c.c.);
• i soci di cooperative o di società, anche di fat- to, che non prestino attività lavorativa. Erano co- munque applicabili le misure di sicurezza ed igie- ne previste dal d.P.R. n. 547/1955 e dal d.P.R. n. 303/1956 (con esclusione dei collaboratori convi- venti con il titolare).
I collaboratori familiari nel d.lgs. n. 81/2008
Per la prima volta con il d.lgs. n. 81/2008 i collabo- ratori familiari dell’impresa familiare hanno acces- so alle norme in materia di prevenzione sulla base di una previsione diretta ed esplicita. All’art. 3, comma 12, è previsto: «Nei confronti dei compo- nenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-
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bis del codice civile, dei piccoli imprenditori di cui all’articolo 2083 del codice civile dei coltivatori diretti del fondo, degli artigiani e dei piccoli com- mercianti e dei soci delle società semplici operanti nel settore agricolo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21». L’art. 21 prevede che «I com- ponenti dell’impresa familiare di cui all’artico- lo 230-bis del codice civile, i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’articolo 2222 del codice civile, i piccoli imprenditori di cui all’articolo 2083 del codice civile e i soci delle so- cietà semplici operanti nel settore agricolo devono:
a) utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III;
b) munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III;
c) munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie gene- ralità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in re- gime di appalto o subappalto.
2. I soggetti di cui al comma 1, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a pro- prio carico hanno facoltà di:
a) beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41, xxxxx restando gli obblighi previsti da norme speciali;
b) partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali».
Conclusioni
L’assoggettabilità ad obbligo assicurativo Inail del collaboratore familiare viene garantita dal TU sicu- rezza con rinvio alla sola subordinazione in presen- za di attività rischiosa ed in assenza anche di retri- buzione. Nel caso dell’impresa familiare passa at- traverso il superamento del requisito stesso della subordinazione che invece resta fermo quale capo- saldo insuperabile ai fini della applicabilità delle norme in materia di prevenzione a questi stessi soggetti. Fortunatamente anche in Italia il legislato- re si è reso conto dell’insufficienza di questa nozio- ne e di questo parametro ai fini della individuazio- ne dei soggetti che popolano il mercato del lavo- ro e così è stato possibile, attraverso il d.lgs. n.
81/2008, finalmente schiudere il novero dell’appli- cabilità delle norme in oggetto anche ai collabora- tori familiari. Diversamente per questa specifica e particolare categoria di lavoratori, si sarebbe creato un evidente anacronismo ed indirettamente anche una penalizzazione per l’impresa familiare se è ve- ro che investire in prevenzione significa evitare i costi, talvolta davvero rimarchevoli, dell’infortunio e della malattia professionale per la singola azienda e per l’intera collettività.
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Dirigente Inail
* Il presente contributo è pubblicato anche in
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