Forma contratti bancari-finanziari Inquadramento normativo
Forma contratti bancari-finanziari Inquadramento normativo
Il tema della forma nell’ambito bancario/finanziario attiene alla regolarità formale dei contratti quadro (art.23 TUF), e dei contratti bancari (art.117 TUB).
E’ necessario esaminare i vari settori dell’attività bancaria/ finanziaria in cui tali obblighi formali si esplicano.
Nell’ambito del credito al consumo - art. 125 bis comma 1 D. lgs. n. 385/93 (T.U.B.) come modificato dal D.lgs. n. 141/10 per quanto qui interessa - disciplina i requisiti sia formali, sia sostanziali del contratto di credito, stabiliti in un’ottica di tutela del consumatore. I contratti debbono essere redatti su supporto cartaceo o su altro supporto durevole che soddisfi i requisiti della forma scritta nei casi previsti dalla legge; “contengono in modo chiaro e conciso le informazioni e le condizioni stabilite dalla Banca d'Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR. Una copia del contratto e' consegnata ai clienti”. Il CICR può prevedere che, per motivate ragioni tecniche, particolari contratti, compresi quelli di credito al consumo, possano essere stipulati in altra forma; negli stessi termini si pone l’art. 117, comma 2 TUB.
In attuazione di tale disposto le Disposizioni di Trasparenza della Banca d’Italia chiariscono che il documento informatico soddisfa i requisiti della forma scritta nei casi previsti dalla legge: l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta è disciplinato dagli artt. 20 e 21 del D. lgs. n. 82/20051 come successivamente modificato ed in caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo ex art. 117 comma 3.
Art. 21 D.lgs. n. 82/05 : l documento informatico, cui e' apposta una firma elettronica, ((soddisfa il requisito della forma scritta e)) sul piano probatorio e' liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualita', sicurezza, integrita' e immodificabilita'. ((2. Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche di cui all'articolo 20, comma 3, ha altresi' l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile. L'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria. Restano ferme le disposizioni concernenti il deposito degli atti e dei documenti in via telematica secondo la normativa anche regolamentare in materia di processo telematico.)) 2-bis). ((Salvo il caso di sottoscrizione autenticata)), le scritture private di cui all'articolo 1350, primo comma, numeri da 1 a 12, del codice civile, se fatte con documento informatico, sono sottoscritte, a pena di nullita', con firma elettronica qualificata o con firma digitale. Gli atti di cui all'articolo 1350, numero 13), del codice civile ((redatti su documento informatico o formati attraverso procedimenti informatici sono sottoscritti, a pena di nullita', con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale.)) ((2-ter. Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 110, ogni altro atto pubblico redatto su documento informatico e' sottoscritto dal pubblico ufficiale a pena di nullita' con firma qualificata o digitale. Le parti, i i
La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice ex art. 127 TUB quanto al contratto di credito al consumatore.
A livello contenutistico l’art. 125 bis comma 8 TUB stabilisce che il contratto di credito deve contenere a pena di nullità le informazioni essenziali sul tipo di contratto, le parti del contratto, l’importo totale del finanziamento, le condizioni di prelievo e di rimborso: da ciò segue che non può essere richiesta o addebitata al consumatore alcuna somma se non sulla base di espresse previsioni contrattuali ex art. 125 bis comma 5 TUB e in particolare sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto dall’art. 121, comma 1 lett. e) TUB, non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo l’art. 124 TUB. La nullità della clausola non comporta nullità dell’intero contratto come specificato dall’art. 125 bis comma 6 lett. a TUB.
Nei casi di assenza o di nullità delle clausole contrattuali relative al TAEG, questo equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Nessuna altra somma è dovuta dal consumatore a titolo di tassi di interessi, commissioni e spese ( art. 125 bis comma 7, lett. a, TUB).
Nei casi di assenza o di nullità delle clausole contrattuali relative al la durata del credito, la legge prevede che la durata sia di trentasei mesi ex art. 125 bis, comma 9 TUB.
Una copia del contratto deve essere consegnata al cliente ex art. 125 bis comma 1 TUB. Le Disposizioni di Trasparenza della Banca d’Italia prevedono che la consegna, quando ha ad oggetto una copia cartacea, venga attestata mediante apposita sottoscrizione del consumatore, ulteriore rispetto alla firma del contratto, apposta sull’esemplare del contratto conservato dal finanziatore. Nel caso di conclusione di contratti mediante strumenti informatici o telematici, la consegna di copia del contratto può avvenire attraverso lo strumento informatico o telematico impiegato, a condizione che sia su supporto durevole; ne viene così acquisita attestazione esplicita del cliente, separatamente dalla sottoscrizione anche in via informatica o telematica.
In caso di offerta contestuale di più contratti l’art. 125 bis comma 3 TUB ( diversi dai contratti collegati di cui all’art. 121 comma 1 lett. d) TUB) prevede che il consenso del consumatore debba essere acquisito distintamente per ciascun contratto mediante documenti separati.
fidefacenti, l'interprete e i testimoni sottoscrivono personalmente l'atto, in presenza del pubblico ufficiale, con firma avanzata, qualificata o digitale ovvero con firma autografa acquisita digitalmente e allegata agli atti.)) 3. ((COMMA ABROGATO DAL D.LGS. 26 AGOSTO 2016, N. 179)). 4. ((COMMA ABROGATO DAL D.LGS. 26 AGOSTO 2016, N.
179)). 5. Gli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici ed alla loro riproduzione su diversi tipi di supporto sono assolti secondo le modalita' definite con uno o piu' decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro delegato per l'innovazione e le tecnologie.fidefacenti, l'interprete e i testimoni sottoscrivono personalmente l'atto, in presenza del pubblico ufficiale, con firma avanzata, qualificata o digitale ovvero con firma autografa acquisita digitalmente e allegata agli atti.)) 3. ((COMMA ABROGATO DAL D.LGS. 26 AGOSTO 2016, N. 179)). 4. ((COMMA ABROGATO
DAL D.LGS. 26 AGOSTO 2016, N. 179)). 5. Gli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici ed alla loro riproduzione su diversi tipi di supporto sono assolti secondo le modalita' definite con uno o piu' decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro delegato per l'innovazione e le tecnologie.
L’obbligo della forma scritta non si arresta, peraltro, alla fase conclusiva, ma pervade la vita del contratto bancario, in particolare durante l’esecuzione dello stesso. Infatti, l’art. 125 bis comma 4 TUB stabilisce che nei contratti di credito di durata il finanziatore fornisce periodicamente al cliente, su supporto cartaceo o altro supporto durevole, una comunicazione completa e chiara in merito allo svolgimento del rapporto. Anche su questo fronte le Disposizioni di Trasparenza della Banca d’Italia hanno precisato che la comunicazione sia effettuata almeno una volta all’anno e miri ad assicurare che il consumatore abbia un quadro aggiornato dell’andamento del rapporto. Infine, l’art. 119, comma
4 TUB - richiamato dall’art. 125 bis TUB- stabilisce che il cliente ha il diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre i 90 giorni, copia della documentazione relativa a singole operazioni poste in essere negli ultimi 10 anni, con addebito dei costi inerenti l’estrazione di detta documentazione.
Nell’ambito delle operazioni bancarie, l’art. 117 TUB prevede che i contratti siano redatti per iscritto e un esemplare sia consegnato ai clienti, consentendo al CICR di indicare che, per motivate ragioni tecniche, particolari contratti possano essere stipulati in altra forma. Il comma terzo sanziona con la nullità l’inosservanza della forma prescritta. I contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora. La sanzione della nullità e dell’inefficacia è prevista quanto alle clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati, nonché per quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati. In caso di inosservanza delle disposizioni relative agli interessi, si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'Economia e delle Finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione. b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l'operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto. Infine, La Banca d'Italia può ' prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano uno specifico contenuto determinato ed anche in questo caso i contratti redatti in violazione di tali forme sono nulle, ferma restando la responsabilità della banca o dell'intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni della Banca d'Italia.
Quanto alla modifica delle condizioni contrattuali, cd. ius variandi, l’art. 118 TUB, richiamato dall’art. 125 bis TUB, ammette la possibilità che le parti convengano, con apposita clausola approvata specificamente dal cliente: 1) nei contratti a tempo indeterminato ( ad esempio contratto di conto corrente), la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi, le altre condizioni contrattuali ove
sussista un giustificato motivo. Per “giustificato motivo” secondo la nota di chiarimento 21/2/07 n. 5574 emessa dal Ministero dello Sviluppo deve intendersi un evento di comprovabile effetto sul rapporto bancario: il giustificato motivo può inerire alla sfera soggettiva del cliente ( ad esempio peggioramento del merito creditizio), ovvero derivare da variazioni macroeconomiche ( la nota fa riferimento a variazioni dei tassi e peggioramento del livello inflazionistico, ma lascia aperte anche altre possibilità); 2) negli altri contratti di durata a tempo determinato ( contratti di mutuo, aperture di credito a tempo determinato), la facoltà di modifica unilaterale riguarda la clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse e sempre che sussista un giustificato motivo. E’ oggetto di discussione il concetto di “specifica approvazione” da parte del cliente della clausola avente ad oggetto la facoltà di modifica unilaterale, nel senso che è controverso se: sia necessaria una doppia sottoscrizione ex art. 1341 c.c., o se sia sufficiente negoziare la clausola interessata per mezzo di trattativa individuale ex art. 34, comma 3 del Codice del Consumo.
Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata al cliente espressamente con modalità esplicite anche nell’intitolazione della comunicazione ( di solito “proposta di modifica unilaterale del contratto” ), deve essere fornito un preavviso minimo di due mesi, deve essere rispettata la forma scritta o altro supporto durevole e la modifica si intende approvata se il cliente non recede entro la data prevista. Nel caso di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedenti. Le Disposizioni di Trasparenza della Banca d’Italia precisano che il recesso avviene senza spese, né a titolo di penalità, né a titolo di chiusura del rapporto. Le variazioni contrattuali disposte in spregio a tali prescrizioni, se sfavorevoli per il cliente, sono inefficaci ex art. 118, 3 comma TUB. Secondo l’art. 118, 4 comma le variazioni dei tassi di interesse adottate in conseguenza di decisioni di politica monetaria debbono riguardare contestualmente sia i tassi attivi, sia quelli passivi e debbono essere applicate con modalità non pregiudizievoli per il cliente.
Sull’aspetto delle comunicazioni di variazioni è intervenuta la delibera CICR 4.3.03 che ha prescritto che le modifiche sfavorevoli alla clientela siano evidenziate in maniera chiara e che siano oggetto di una comunicazione personalizzata (cd. documento di sintesi) alla prima occasione utile, anche quando sono segnalate mediante inserzioni nella Gazzetta Ufficiale ( art. 11).
Con riguardo ai contratti di investimento l’art. 23 TUF prevede che i contratti aventi ad oggetto la prestazione dei servizi ed attività di investimento, se conclusi con un cliente al dettaglio2,
2 Controparti qualificate: clienti che possiedono il più alto livello di esperienza, conoscenza e competenza in materia di investimenti e che, pertanto, necessitano del minor livello di tutela previsto dall’ordinamento. Sono compresi: le imprese di investimento, le banche, le assicurazioni, i fondi pensione, gli OICR, le SGR.
Clienti professionali: sono i clienti che possiedono l’esperienza, la conoscenza e la competenza necessarie per assumere decisioni consapevoli. Sono compresi i clienti professionali pubblici indicati con DM n. 236/11 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, i clienti professionali privati di diritto e su richiesta. In quelli di diritto sono compresi i soggetti che al fine di operare nei mercati finanziari sono obbligati ad avere specifica autorizzazione come imprese di investimento, istituti finanziari, organismi di investimento collettivo e società di gestione di tali organismi, imprese di grandi dimensioni (totale bilancio € 20 ml, fatturato netto € 40 ml). In quelli privati su richiesta sono compresi quei clienti
debbono essere redatti in forma scritta, pena la nullità degli stessi. Viene variamente denominato contratto quadro, contratto normativo, master agreement e costituisce la cornice entro la quale si svilupperanno i rapporti tra intermediario e cliente. I contratti relativi alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento non possono contenere pattuizioni di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dai clienti agli intermediari e di ogni altro onere carico dei clienti. Tali clausole di rinvio, se inseriti in tali contratti, sono nulle, trattandosi di nullità relativa azionabile solo da parte dei clienti ed in caso di declaratoria di nullità nulla è dovuto agli intermediari.
L’art. 37 del Reg. Consob intermediari n. 16190/07 ( preceduto dall’art. 30 Regolamento Consob intermediari n. 11522/98 ante MIFID) indica gli elementi essenziali del contratto avente ad oggetto la prestazione di uno o più servizi di investimento in favore del cliente al dettaglio. Tale contratto, deve: 1) specificare i servizi forniti, le caratteristiche, le tipologie di strumenti finanziari e di operazioni interessate ( tale norma è stata ritenuta non superflua dalla Consob, pure in presenza dell’art. 1325 c.c., per la necessità di un’adeguata indicazione in dettaglio); 2) indicare il periodo di efficacia, le modalità di rinnovo del contratto e le modalità per introdurre modifiche del contratto;3 3) indicare le modalità con le quali il cliente può impartire ordini e istruzioni all’intermediario al fine di rendere edotto il cliente delle modalità con le quali l’ordine è considerato valido ed efficace; 4) prevedere la frequenza, il tipo ed i contenuti della documentazione da inoltrare al cliente per la rendicontazione al fine, sempre, della trasparenza dei costi in relazione alle attività poste in essere dall’intermediario; 5) specificare le remunerazioni spettanti all’intermediario o i criteri oggettivi per la loro determinazione e gli incentivi eventualmente ricevuti o corrisposti dall’intermediario; 6) indicare se e con quali modalità e contenuti viene prestato, in connessione con il servizio di investimento, anche il servizio di consulenza in materia di investimenti4.; 7) indicare altre eventuali condizioni contrattuali5; 9) indicare eventuali procedura di conciliazione e arbitrato per la risoluzione stragiudiziale di controversie.
Clienti al dettaglio: sono i clienti che necessitano del maggior livello di tutela, in quanto sprovvisti dell’esperienza, delle conoscenze e delle competenze proprie delle prime due categorie. Gli intermediari sono, pertanto, tenuti a rispettare tutte le norme di condotta stabilite dal TUF e dal Regolamento Intermediari.
3 Il contratto può essere a tempo determinato o indeterminato e nel primo caso può essere previsto anche un rinnovo tacito, salva la compatibilità con il regime delle clausole vessatorie.
4 Ciò è particolarmente rilevante nei contratti relativi a mera esecuzione di ordini, in quanto si tratta di attività non accompagnata dal servizio di consulenza in via informale, come, di fatto, avveniva con il precedente Reg. Interm. n. 11522/98 ante MIFID.
5 In questo ambito sono di particolare rilievo le clausole di versamento della provvista e dei cd. margini che regolamentano tempi e modalità con le quali i clienti debbono effettuare i versamenti e mantenere predeterminati livelli di provvista a garanzia dell’esecuzione delle posizioni contrattuali.
Il requisito della forma scritta si applica solo al contratto quadro e non anche ai singoli ordini impartiti dal cliente all’intermediario. Sul punto la Consob con comunicazione del 21.5.10 n. 100471466 (come già chiarito con precedente comunicazione DI730396 del 21.4.2000) ha precisato che il requisito della forma scritta ad substantiam è espressamente previsto per la conclusione del contratto quadro, mentre per i singoli ordini vige il principio della libertà di forma, ferma restando l’adozione di cautele idonee a garanntire la riconducibilità dell’ordine all’effettivo cliente.
Naturalmente ove le parti abbiano previsto uno specifico obbligo formale e in assenza di pattuizioni in deroga, dovrà presumersi che l’osservanza di detto obbligo sia essenziale ai fini della validità della singola operazione in base all’art. 1352 c.c..
In particolare, nell’ambito dei contratti derivati vi è la tendenza ad utilizzare contratti quadro basati su modelli standard che prevedono: un capitolato generale (master agreement); un allegato (schedule), mediante il quale le parti possono adattare il formato standard alle loro specifiche esigenze, modificandone le previsioni; eventuali garanzie (credit support).
Le confirmations indicano e specificano i termini economici di ciascuna operazione che sono stabiliti nel contratto quadro.
Tale standardizzazione rende più agile la conclusione delle operazioni, in quanto i termini contrattuali sono negoziati a monte e richiamati in occasione della stipula del derivato ( immediati vantaggi si hanno in occasione anche di eventi quali risoluzione per inadempimento con chiusura delle operazioni e necessaria valorizzazione delle stesse). Un modello particolarmente in voga in ambito internazionale è il modello ISDA ( predisposto dall’International Swaps and derivatives Association), presente in due versioni, la prima del 1992 e la seconda del 2002, che prevede: a) i criteri per il calcolo del valore di risoluzione nell’ipotesi di risoluzione anticipata; b) le fattispecie di risoluzione anticipata e di sospensione degli obblighi di pagamento, con riguardo alla forza maggiore ed al factum principis; c) le clausola di close – out netting e la loro portata: si tratta di clausole regolanti l’interruzione dei rapporti ed il pagamento del saldo netto); d) l’estensione delle operazioni che possono essere stipulate ai sensi dell’ISDA Master.
Un altro modello avente diffusione soprattutto in ambito europeo è l’EMA (European Master Agreement for Financial Transactions), a sua volta composto da dieci documenti e da un indice delle definizioni.
Non può trascurarsi che una tale legenda può di fatto influenzare l’applicazione delle norme codicistiche e del TUF, laddove impedisca il sindacato su termini giuridici che sono stati predeterminati tra le parti.
6 Detta comunicazione recita: “La direttiva in materia di servizi di investimento e la conseguente normativa italiana di recepimento prescrivono la forma scritta ad substantiam solo per il contratto quadro, mentre le modalità di disposizione dei singoli ordini da parte del cliente sono ispirate al principio di libertà delle forme, ferma restando l’adozione delle necessarie cautele sostanziali che garantiscano ragionevolmente la riconduzione dell’ordine all’effettivo cliente titolare”.
Principali questioni in giurisprudenza
Con riguardo alla documentazione viene affermato un vero e proprio diritto alla documentazione da Cass. civ., n. 15669/07: “in materia di esecuzione del contratto di conto corrente bancario, il suo scioglimento ai sensi dell'art.78 legge fall. per effetto del fallimento del cliente, non estingue con immediatezza ogni rapporto obbligatorio fra le parti, sussistendo anche per l'epoca successiva una serie di obbligazioni, ancora di derivazione contrattuale e corrispondenti posizioni di diritto soggettivo; in particolare la pretesa del curatore, che subentra nell'amministrazione del patrimonio fallimentare ai sensi degli artt.31 e 42 legge fall., è un diritto che promana dall'obbligo di buona fede, correttezza e solidarietà, declinandosi in prestazioni imposte dalla legge (ai sensi dell'art.1374 cod.civ.), secondo una regola di esecuzione in buona fede (ex art.1375 cod.civ.) che aggiunge tali obblighi a quelli convenzionali quale impegno di solidarietà (ex art. 2 Cost.), così imponendosi a ciascuna parte l'adozione di comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del "neminem laedere", senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte;posto che tra i doveri di comportamento scaturenti dall'obbligo di buona fede vi è anche quello di fornire alla controparte la documentazione relativa al rapporto obbligatorio ed al suo svolgimento, il predetto diritto alla documentazione trova fondamento e regolazione inoltre nell'art.8 legge 17 febbraio 1992,n.154 e compiutamente nell'art. 119 del T.U.L.B. (d.lgs. 1 settembre 1993,n.385), che già pone a carico della banca l'obbligo di periodica comunicazione di un prospetto inerente allo svolgimento del rapporto ed attribuisce al cliente ovvero a chi gli succeda anche solo nell'amministrazione dei beni il diritto di ottenere - a sue spese, per gli ultimi dieci anni, indipendentemente dall'adempimento del dovere di informazione da parte della banca e anche dopo lo scioglimento de rapporto - la documentazione di singole operazioni registrate sull'estratto conto (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ordinato all'istituto di credito la consegna alla curatela del fallimento delle informazioni riguardanti numero dei conti intrattenuti dal fallito, garanzie prestate, movimenti bancari, saldi attivi con gli interessi maturati, modalità di estinzione dei conti, ritenendo che per tali richieste non fosse necessario altro che l'inquadramento del rapporto di conto corrente, senza onere dell'istante di indicare in dettaglio gli estremi delle singole operazioni e prescindendo dall'utilizzazione finale potenziale della documentazione, essendo la richiesta non giudizialmente indirizzata e risolvendosi nella piena tutela della posizione di amministratore del patrimonio fallimentare)”.
La giurisprudenza di merito sull’art. 119 TUB in relazione all’art. 210 c.p.c. si è espressa nei seguenti termini: “nel caso in cui il correntista non produca la documentazione necessaria a sostenere la sua domanda, né dimostri di aver azionato in tempo utile lo strumento di cui all'art. 119 c IV TUB, non potrà trovare accoglimento la richiesta di emissione di un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.
rivolto alla banca ed avente ad oggetto la documentazione contabile inerente al rapporto bancario. Difatti, l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. non può supplire al mancato assolvimento dell'onere della prova a carico della parte istante; proprio ciò si verificherebbe ove si ordinasse alla banca di esibire la documentazione che parte attrice non ha mai diligentemente richiesto, avendo avanzato la domanda ex art. 119 c IV TUB solo dopo aver iniziato la controversia. Il correntista, avendone la concreta possibilità, deve richiedere copia della documentazione bancaria prima dell'instaurazione del giudizio, al fine di predisporsi la prova dei fatti fondanti le proprie domande e, prima ancora, per dare corpo e consistenza alle allegazioni in fatto che è chiamata a svolgere in sede di citazione per la individuazione della controversia. In difetto di domanda di consegna della documentazione contabile formulata ante causam, lo strumento istruttorio ex art. 210 c.p.c. ha una chiara finalità esplorativa, finalizzato ad indagare se la prova possa essere rinvenuta nei documenti di cui si chiede l'esibizione” ( App. Napoli, 15.7.15; Trib. Oristano, 4.12.14; Trib. Padova, 29.5.16). Nello stesso senso è orientato il Tribunale di Milano.
In merito agli oneri probatori di produzione del contratto bancario, si distinguono le seguenti ipotesi:
a) il correntista assume non sia mai stato sottoscritto un contratto scritto di apertura conto corrente, e quindi non siano mai state pattuite per iscritto le condizioni economiche di tale contratto, in violazione art.117 TUB (interessi ultralegali, commissioni, spese, valute, anatocismo, ecc.). Il correntista assume l’inadempimento della banca, che è quindi onerata dell’obbligo di provare il suo adempimento, e quindi onerata dell’obbligo di produrre copia del contratto scritto. E’ irrilevante che il correntista abbia già chiesto o meno alla banca di consegnargli il contratto scritto, avvalendosi del disposto di cui all’art.119 TUB, posto che l’onere di produzione non ricade sul correntista, che quindi non ha neppure interesse a rivolgere alla banca un ordine di esibizione ex art.210 c.p.c.;
b) il correntista assume che la banca non ha pattuito in modo specifico e determinato le condizioni del contratto di conto corrente, ma non che manca un contratto; non nega, quindi, l’esistenza di un contratto scritto, ma contesta la legittimità della pattuizione formalizzata in contratto. In questo caso è onere del correntista produrre la copia del contratto a sostegno degli assunti; può rivolgere alla banca istanza di esibizione ex art.210 c.p.c. , solo qualora abbia già azionato una richiesta ex art.119 TUB, in tempo utile per averne risposta entro il termine decadenziale di cui all’art.183 c.6 n.2 c.p.c. ( con la conseguenza che l’istanza di esibizione è ammissibile solo se l’interessato non avesse altro modo di procurarsi il documento Cass. civ. n. 149/03). L’istanza di esibizione potrà essere accolta solo nei limiti in cui la banca abbia l’obbligo di conservare il documento, e quindi nei limiti di cui all’art.119 TUB, che menziona “documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi 10 anni”
c) il correntista assume che un contratto scritto c’era, che è stato perso, e che conteneva pattuizioni illegittime. Tale ipotesi ricade nell’ipotesi sopra indicata, gravando sul correntista
l’onere di dimostrare l’illegittima pattuizione e ricadendo quindi sul correntista la negligenza di avere perso il contratto.
In punto non determinatezza o non compiuta determinabilità degli interessi, è ormai giurisprudenza consolidata di merito quella che dispone, nell’ipotesi di ( ad esempio anche nelle ipotesi in cui sia pattuito un tasso debitore oltre un determinato limite nell’apertura di credito, oltre € 50.000,00 ma non infra) l’applicazione del tasso sostitutivo in un’ottica sanzionatoria per l’istituto di credito. Il quesito usualmente impiegato dal Tribunale di Milano è nei seguenti termini: “effettui il C.T.U. il ricalcolo del conto corrente de quo, utilizzando, il tasso di interesse sostitutivo ex art. 5 L. n. 154/92 trasfuso nell'art. 117 TUB e, quindi, applicando nei dodici mesi precedenti ogni chiusura di conto, il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del Tesori annuali rispettivamente per le operazioni attive e passive, tali dovendo queste essere considerate rispetto all'istituto bancario, sino alla data della regolare pattuizione dei tassi convenzionali e, quindi, utilizzando questi ultimi dalla data della loro pattuizione; ove emergano saldi attivi, anche a seguito del ricalcolo, calcoli gli interessi creditori nei termini di cui sopra”.
La disposizione dell’art. 117 TUB non è stata considerata retroattiva: “le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano degli interessi con rinvio agli usi, o che fissano la misura in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell'usura (introdotte, rispettivamente, con l'art. 4 della legge 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfuso nell'art. 117 del d.lgs. 1° settembre 1983, n. 385, e con l'art. 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108), non sono retroattive, e pertanto, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, non influiscono sulla validità delle clausole dei contratti stessi, ma possono soltanto implicarne l'inefficacia "ex nunc", rilevabile solo su eccezione di parte, non operando, perciò, quando il rapporto giuridico si sia esaurito prima ancora dell'entrata in vigore di tali norme ed il credito della banca si sia anch'esso cristallizzato precedentemente” (Cass. civ. n. 6550/13).
In punto estensione del contratto quadro, si è posto il problema dell’accertamento dell’ambito oggettivo di un contratto quadro relativo alla prestazione di servizi di investimento. E’ stato affermato che il giudice non può fermarsi all’intitolazione enunciativa del contratto, ma deve esaminare l’intero contenuto delle pattuizioni contrattuali, astenendosi dal conferire rilievo, ai sensi dell’art. 1362 c.c., al comportamento successivo dell’investitore, laddove tale condotta si sia sostanziata nel conferimento di ordini di borsa privi del necessario fondamento causale nel contratto quadro, per avere gli stessi ecceduto dai limiti oggettivi. La S.C. ha cassato la sentenza che aveva escluso la responsabilità dell’intermediario per danni derivante dall’esecuzione di operazioni su derivati esteri, senza tener conto che il contratto quadro sottoscritto dall’investitore, pur riferendosi genericamente, nell’intitolazione, alla negoziazione di strumenti finanziari collegati a valori mobiliari quotati nei mercati regolamentati ed ai relativi indici, conteneva una clausola che limitava espressamente l’oggetto del contratto al servizio di negoziazione di prodotti derivati italiani ( Cass. civ. n. 17341/08).
Quanto alla mancanza di firma del contratto quadro, recenti pronunce della Corte d’Appello di Milano (e di altri giudici di merito) ribadiscono il principio della forma scritta ad substantiam, che impone la sottoscrizione scritta da parte di entrambi i contraenti (ancorché non contestuale ma effettuata in momenti diversi o in copie distinte). Tra i principi alla base della normativa finanziaria e bancaria (legislativa e regolamentare) si pone l’esigenza di garantire al cliente, nel relazionarsi all’istituto di credito, chiarezza e trasparenza nel comprendere le regole del rapporto che instaura con detto contraente.
In tale prospettiva va intesa la prescrizione, a pena di nullità, della forma scritta del contratto quadro (o di conto corrente), in linea con la valorizzazione nel diritto comunitario di una formalizzazione scritta del contratto, non più soltanto volta a responsabilizzare il consenso delle parti in taluni contratti di particolare incisività nelle relazioni sociali, ma destinata piuttosto a dare rilievo alla conoscibilità delle regole contrattuali da parte di quei contraenti, che si trovino in posizione di inferiorità rispetto ad altri. Essenziale diviene con ciò, da un lato, la redazione da parte della banca di un atto che comprenda le regole minime normativamente prescritte e, dall’altro, la sottoscrizione di tale atto da parte del cliente, che in tal modo viene, sia responsabilizzato circa la serietà dell’impegno negoziale che va ad assumere, sia informato circa il contenuto e la portata della negoziazione.
Al contrario, l’assenza della firma della banca non priva di contenuto il contratto redatto per iscritto e la conoscibilità per il cliente delle regole in esso contenute, né la banca può ritenersi avere uno specifico interesse a sottoscrivere un modulo che essa stessa ha predisposto e che quindi ben conosce (la sottoscrizione della banca rileva in termini di consenso alla ricezione dell'incarico di negoziazione, ma nelle controversie all'esame del tribunale non è contestato il fatto che la banca si sia sottratta al mandato ricevuto, invocandosi la nullità del contratto solo in quanto privo della firma della banca).
In termini conformi è la specifica sanzione prevista in caso di violazione di tale regola di forma, sanzione espressa quale nullità relativa, ossia nullità che può essere fatta valere solo dall'investitore (art.23 comma 3 TUF) o dal correntista (art.127 comma 1 TUB) e, pertanto, dal solo soggetto nel cui interesse la regola è sancita (e non già dalla banca, cui quindi non si riconosce alcun interesse tutelato dalla forma scritta).
A tale proposito, è significativo l’orientamento assunto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, nell’ottica della tutela rafforzata in ambito consumeristico, ha comunque rimesso ai singoli Stati membri l’individuazione dei rimedi alle violazioni contrattuali. In particolare, nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea C-227/08 del 17.12.09 concernente la conclusione dei contratti fuori dei locali commerciali, nonché la questione delle conseguenze nel caso in cui il consumatore non sia stato informato del suo diritto di recedere da un contratto di questo tipo, è stato affermato che spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali per garantire la salvaguardia dei diritti di cui gli amministrati godono ai sensi dell’ordinamento comunitario, in forza del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, a
condizione, tuttavia, che tali modalità non siano meno favorevoli di quelle applicabili a situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività). In particolare, la Corte, in riferimento prima alla direttiva 93/13, e poi anche alla direttiva 87/102, ha ammesso che in vista di tale tutela e della realizzazione delle finalità di tali direttive il giudice nazionale possa rilevare d’ufficio talune questioni. Per quanto riguarda la direttiva 93/13 vengono in rilievo le sentenze Océano Grupo (C- 240/98 e 244/98), Cofidis (C- 473/00) e Mostaza Claro (C- 168 – 05). Nella sentenza Xxxxxx Grupo la Corte ha sottolineato che il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse La Corte ha affermato che l’obiettivo perseguito dall’art. 6 della direttiva 93/13 – il quale obbliga gli Stati membri a prevedere che le clausole abusive non vincolino i consumatori – non potrebbe essere conseguito se questi ultimi fossero tenuti a eccepire essi stessi l’abusività di tali clausole; ha, infatti, sottolineato che vi è il rischio non trascurabile che, soprattutto per ignoranza, il consumatore non faccia valere il carattere abusivo della clausola oppostagli e per tale ragione la tutela effettiva del consumatore può essere ottenuta solo se al giudice nazionale viene riconosciuta la facoltà di valutare d’ufficio tale clausola. Negli stessi termini sono la sentenza Xxxxxxx e la sentenza Mostaza Claro, dove è stabilito che la direttiva 93/13 implica che un giudice nazionale chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione di un lodo arbitrale rilevi la nullità dell’accordo arbitrale ed annulli il lodo, nel caso in cui ritenga che tale accordo contenga una clausola abusiva, anche qualora il consumatore non abbia fatto valere tale nullità nell’ambito del procedimento arbitrale, ma solo in quello per l’impugnazione del lodo.
La Corte ha, tuttavia, subordinato l’efficacia del rilievo d’ufficio del giudice alla facoltà per il consumatore di decidere in merito alla validità del contratto concluso in assenza dell’informazione necessaria o per qualunque altro difetto di forma attraverso la quale viene veicolata un’informazione indispensabile per superare la naturale asimmetria informativa tra le parti. In sostanza, secondo la Corte deve essere sempre lasciata al consumatore la facoltà di valutare l’interesse o meno a caducare il negozio con i conseguenti effetti restitutori: infatti, l’art. 6, n. 1, della direttiva 93/13 consente che «il contratto resti vincolante per le parti, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
Trasfondendo tali principi nell’ambito del contratto bancario/finanziario, nell’ipotesi in cui la forma scritta sia incompleta (es. contratto quadro che non prevede la forma degli ordini, o contratto di conto corrente che non indica il tasso d’interesse), oppure la forma sia inesistente (perché non esiste un contratto scritto o perché non è firmato dal cliente), solo il cliente può dolersene e denunciare il vizio (formale) del contratto che ritenga lesivo del suo interesse (sostanziale).
Ove invece il contratto, completo nel suo contenuto cartaceo, fosse unicamente privo della sottoscrizione da parte della banca, non potrebbe il cliente rinvenire in ciò alcuna lesione del proprio interesse sostanziale, posto che la mera carenza formale di firma non potrebbe in ogni caso legittimare la banca ad impugnare l’atto dalla stessa predisposto e quindi a sottrarsi -per tale ragione- alle regole in esso sancite.
Né può confondersi la lesione dell’interesse tutelato del cliente a pretendere la formalizzazione cartacea del contratto che racchiuda le regole del mandato di negoziazione, con la lesione economica che il cliente possa dolersi di aver riportato qualora, nell’ambito del mandato, abbia negoziato una specifica operazione finanziaria tradottasi in perdita; invero l’interesse sostanziale tutelato dalla forma di protezione è leso se il cliente abbia operato in assenza di contratto quadro scritto (e solo lo stesso sarà legittimato a dolersene in quei casi, pur isolati nella vigenza del mandato, in cui rivendichi che tale mancanza l’abbia indotto ad impartire ordini d’investimento senza la consapevolezza delle regole di negoziazione), ma non può detto interesse ritenersi leso se il contratto quadro sia unicamente mancante della firma della banca, mancanza che non priva di contenuto il contratto siglato per iscritto e la conoscibilità per il cliente delle regole in esso contenute.
In questo senso si è espresso più volte il Tribunale di Milano, così osservando: “il contraente che non abbia materialmente sottoscritto l’atto negoziale può validamente perfezionarlo producendolo in corso di giudizio al fine di farne valere gli effetti nei confronti dell’altro contraente, a condizione che, medio tempore, quest’ultimo, pur avendo validamente sottoscritto l’atto, non abbia poi revocato il proprio consenso prima della presentazione della domanda giudiziale, non potendosi, in tal caso, riconnettere alla successiva produzione in giudizio del documento da parte di chi non l’aveva, a suo tempo, sottoscritto, l’effetto di perfezionare efficacemente un contratto in relazione al quale era già venuta meno la volontà dell’altro contraente, con conseguente impossibilità di formazione di quel consensus in idem placitum indispensabile alla nascita di una valida fattispecie negoziale” (x. Xxxx. civ. n. 4905/1998; v. anche nello stesso senso Cass. civ., n. 22223/2006; Cass. civ. n. 13548/2006; Cass. civ. n. 2826/2000). Tale ragionamento, formatosi con riguardo alla categoria tradizionale della nullità, non può che indurre a ritenere insussistente il contratto quadro, proprio in ragione sia della necessaria preesistenza del master agreement rispetto agli investimenti contestati, sia dell’iniziale revoca del consenso manifestata dagli attori con l’instaurazione del giudizio. Tale percorso si attaglia alla figura tradizionale della nullità codicistica, laddove la previsione di una determinata forma e, segnatamente, della forma scritta a pena di nullità risponde al fine precipuo di conferire certezza e pubblicità all’atto e di indurre le parti ad una maggiore responsabilizzazione.
La nullità intermedia o anomala o affievolita riguarda la categoria dei consumatori, ossia una categoria debole in ragione dell’indiscutibile asimmetria informativa tra professionista e consumatore ed interviene a riportare le parti su di un piano di parità, con un intervento statale di correzione e
con conseguente deviazione dalle regole contrattuali codicistiche, in coerenza con la tutela costituzionale di cui all’art. 47 Cost..
Il problema si era già posto in relazione alla legge sulle clausole vessatorie, ove l’intervento del giudice al fine, da un lato, di disincentivare prassi scorrette ed arbitrarie da parte del professionista e, dall’altro, di tutelare il contraente debole era stato, da parte della dottrina, subordinato al fatto che il consumatore non avesse, in qualche modo, anche mediante un fattivo comportamento concludente, manifestato una sorta di volontà sanante. Pertanto, il potere di rilievo d’ufficio del giudice deve essere attentamente calibrato, in modo tale da comportare, per il consumatore, solo soluzioni vantaggiose direttamente collegabili all’interesse alla tutela del risparmio ex art. 47 Cost. ed all’integrità del mercato. Ora, proprio l’esercizio di un tale potere officioso incontra il limite derivante da una sorta di sanatoria e di ratifica riscontrabile nella condotta del consumatore che si avvalga del contratto valido ed efficace, ma contenente una disposizione invalida ed inefficace ab origine. Ed, infatti, già il codice civile, all’art. 1423 c.c., prevede espressamente eccezioni rispetto al generale divieto di convalida del contratto nullo, eccezioni accomunate dalla consapevolezza della nullità ora della transazione ex art. 1972 c.c., ora della disposizione testamentaria, ex art. 590 c.c., ora della donazione, ex art. 799 c.c., con l’aggiunta, quanto alle ultime due fattispecie, della concreta esecuzione data alle disposizioni viziate.
La sopra prospettata costruzione della nullità relativa e la conseguente conclusione in merito all’impugnazione del contratto quadro per difetto della sottoscrizione dell’istituto di credito consente di ritenere sussistente un abusivo utilizzo dello strumento della nullità relativa, nei termini illustrati da alcuni tribunali. In particolare, Trib. Torino, n. 1506/11 secondo cui “la previsione di una nullità relativa si presta ad essere sfruttata abusivamente da parte dell’investitore all’interno del processo: questi infatti, nel far valere la nullità per difetto di forma del contratto quadro e, conseguentemente, di tutte le operazioni di investimento da esso sorrette, può però dirigere la propria domanda di restituzione dell’indebito unicamente a quegli investimenti che abbiano determinato delle perdite, invece di prendere atto degli effetti che tale nullità dispiega ex lege nei confronti dell’intero rapporto intercorso tra le parti e che spesso ha avuto esecuzione per anni ed ha riguardato anche investimenti che sono risultati proficui. Si è correttamente parlato di uso selettivo dell’azione di nullità, la quale è azione che presenta indubbie agevolazioni sul piano probatorio (e per tale motivo è stata prescelta quale sanzione posta a tutela della parte ritenuta debole nel contratto di investimento), utilizzata in concreto quale scorciatoia per ottenere più agevolmente quanto in realtà ottenibile con l’azione risarcitoria prevista dall’ultimo comma dell’art. 23 TUF in relazione allo omesse informazioni specifiche dovute per singole operazioni”.
Una tale riflessione giungeva a sanzionare la condotta di chi pretendeva esistente, valido ed efficace il contratto normativo per la maggior parte delle operazioni eseguite e nullo perché nella sostanza inesistente lo stesso documento contrattuale, rispetto a quegli investimenti risultati svantaggiosi; di
conseguenza, considerava intrinsecamente connessi la legittimazione esclusiva del contraente debole ed il di lui interesse ad agire in vista della “configurazione leale e totale della domanda in relazione a tutti gli effetti promananti dalla richiesta dichiarazione di nullità”. Un tale orientamento, se pur condivisibile in generale, è sintomatico della difficoltà di concepire una riserva di legittimazione non ancorata a criteri legislativi predeterminati, cosicché una tale rilevabilità unilaterale ineludibilmente si presta ad un utilizzo scorretto, tanto più quanto comporta il permanere in vita di tutte le altre operazioni vantaggiose poste in essere sulla base della stessa regolamentazione dei rapporti contrattuali.
Un importante revirement si è avuto con Xxxx. civ. n. 5919/16 che ha stabilito: “in tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta "ad substantiam", la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l'ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto con effetti "ex nunc" e non "ex tunc", essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano; ne consegue che tale meccanismo non opera se l'altra parte abbia "medio tempore" revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l'atto incompleto non sia più in vita nel momento della produzione, determinando la morte, di regola, l'estinzione automatica della proposta (art. 1329 c.c.), non più impegnativa per gli eredi. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il contratto quadro di investimento mobiliare formalmente non sottoscritto dalla banca si era perfezionato solo dal momento della produzione nel giudizio intrapreso dall'investitore nei confronti dell'intermediario, con conseguente inefficacia del pregresso ordine di acquisto del cliente).
Il contraente di un contratto per cui è prevista la forma scritta "ad substantiam", privo del possesso della scrittura per averla consegnata all'altro contraente che si rifiuta di restituirla, non può provare l'esistenza del rapporto avvalendosi della prova testimoniale, poiché non si verte in un'ipotesi di perdita incolpevole del documento ai sensi dell'art. 2724, n. 3, c.c., bensì di impossibilità di procurarsi la prova del contratto ai sensi del n. 2 del medesimo articolo”.
Ed, ancora, negli stessi termini si pone Cass. civ. n. 8395/16: “nel contratto di intermediazione finanziaria, la produzione in giudizio del modulo negoziale relativo al contratto quadro sottoscritto soltanto dall'investitore non soddisfa l'obbligo della forma scritta "ad substantiam" imposto, a pena di nullità, dall'art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998 e, trattandosi di una nullità di protezione, la stessa può essere eccepita dall'investitore anche limitatamente ad alcuni degli ordini di acquisto a mezzo dei quali è stato data esecuzione al contratto viziato”.
In sostanza con tali decisione i giudici di legittimità hanno osservato che “la forma scritta, quando è richiesta ad substantiam, è insomma elemento costitutivo del contratto, nel senso che il documento deve essere l'estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere un determinato contratto avente una data causa, un dato oggetto e determinate pattuizioni, sicché occorre che il documento sia stato creato al fine specifico di manifestare per iscritto la volontà delle parti diretta
alla conclusione del contratto. In particolare: “E’ di tutta evidenza che documentazione quale quella in questo caso depositata dalla banca (contabili, attestati di seguito, eccetera), indipendentemente dalla verifica dello specifico contenuto e della sottoscrizione di dette scritture non possiede i caratteri di estrinsecazione diretta della volontà contrattuale, tale da comportare il perfezionamento del contratto, trattandosi piuttosto di documentazione predisposta e consegnata in esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto il cui perfezionamento si intende dimostrare e, cioè, da comportamenti attuativi di esso e, in definitiva, di comportamenti concludenti che, per definizione, non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale”.
Con la sentenza n. 7283/13 la S.C., quanto all’omesso esame del profilo concernente la mancata contestazione, ad opera del cliente, delle note e dei rendiconti inviati dalla banca, ha osservato che, una volta esclusa la sussistenza del contratto normativo, tanto era sufficiente a determinare la nullità delle operazioni di investimento successivamente compiute dalla banca, per difetto di un indispensabile requisito di forma richiesto dalla legge a protezione dell’investitore, con esclusione di ogni possibilità di ratifica tacita.
A mio avviso la sanzione della nullità appartiene alla stagione del cosiddetto neoformalismo e si connota per una finalità di informazione del contraente debole nel cui interesse sono conformate come invalidità relative. Tali caratteristiche fanno sì che in tale materia risulti inadeguata la visione strutturalistica del formalismo e come sia preferibile un approccio funzionalistico. Con l’adozione di una concezione procedimentale si possono inquadrare le formalità informative come momenti di una sequenza di attività in cui la nullità è la sanzione per il mancato raggiungimento dello scopo cui ciascuna di esse era finalizzata, secondo la logica di cui all’art. 156 c.p.c.. In conclusione, il contratto non si dovrà considerare nullo semplicemente per inesatta rispondenza ad unno schema statico, ma solo laddove a il vizio abbia anche impedito che il passaggio procedimentale interessato raggiungesse lo scopo cui era preordinato, il che non accade di certo qualora manchi solo la firma del funzionario di banca e non di colui che doveva essere informato.
Altri hanno considerato la volontà del cliente di convalidare il contratto quadro viziato sarebbe desumibile in modo implicito: ed, invero, nell’utilizzo selettivo della nullità, il cliente manifesterebbe la propria volontà di avvalersi degli effetti prodotti dal contratto in relazione alle operazioni non contestate in giudizio. Come è evidente, però, si tratterebbe di un’impostazione formalistica e, come da taluni rilevato, non suffragata neppure dall’art. 1423 c.c. che non lascia spazi in merito alla categoria della nullità relativa – non essendo disposto alcunché di diverso dalla legge quanto alla nullità relativa.
Altro profilo problematico nei rapporti cliente- banca in relazione a tale figura di nullità relativa (che può essere fatta valore ex art. 23 TUF ed ex art. 127 TUB solo dal cliente) attiene all’ammissibilità o meno della domanda riconvenzionale della banca, che tenti di caducare tramite detta nullità anche gli investimenti fruttuosi per il cliente. Tale domanda, sulla base della ricostruzione sistematica
dell’art. 23 comma 9 TUF non sembra ammissibile per difetto di legittimazione o piuttosto da rigettare nel merito. Del resto, il potere di rilievo officioso da parte del giudice si giustifica esclusivamente nel caso in cui la declaratoria di nullità venga ad essere formulata a vantaggio del contraente protetto, come non è sicuramente l’intermediario.
Per certi aspetti, pare corretto il richiamo alla figura dell’abuso del diritto. Infatti già le disposizioni del codice in tema di nullità ex art. 1421 c.c. evidenziano come la stessa nullità assoluta non sia caratterizzata da un incondizionato allargamento dei soggetti legittimati a far valere il vizio invalidante. L’art. 1421 c.c. infatti individua la legittimazione attiva a colui che agisce per far valere un interesse meritevole di tutela. La forma vincolata imposta dall’art. 23 TUF unisce alle finalità di certezza dei traffici quella di garantire un testo contrattuale trasparente capace di informare il cliente in merito alla vicenda giuridica che lo lega all’operatore finanziario. Nell’avvalersi degli effetti della nullità solo in reazione a determinate operazioni di investimento, il contraente protetto tradisce profondamente tale funzione, utilizzando uno strumento giuridico in modo inappropriato ed errato, perseguendo un interesse non meritevole di tutela.
Le conseguenze della nullità sono condensate nella decisione n. 26724/07 delle S.U. della Corte di Cassazione ( rilevante nella distinzione tra norme di validità e norme comportamentali), che si è espressa nei seguenti termini: “in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta "nullità virtuale"), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all'art. 6 della legge n. 1 del 1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. "contratto quadro", il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del "contratto quadro"; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, primo comma, cod. civ., la nullità del cosiddetto "contratto quadro" o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso”.