Contract
IL FRANCHISING. FORMA E CONTENUTO DEL CONTRATTO (Xxxxxxx XXXXXXXXXXXX)
INDICE-SOMMARIO
1. Forma del contratto. – 2. Requisiti per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale. – 3. Durata del contratto. – 4. Contenuto del contratto. – 4.1. Ammontare degli investimenti e delle spese. –
4.2. Modalità di calcolo e di pagamento delle royalties. – 4.3. Clausola di esclusiva territoriale. – 4.4. Indicazione del know-how fornito dall’affiliante. – 4.5. Riconoscimento del know-how fornito dall’affiliato. – 4.6. Servizi di assistenza dell’affiliante. – 4.7. Condizioni di rinnovo, risoluzione e cessione del contratto.
1. Forma del contratto.
Prima dell’entrata in vigore della legge n. 129 del 2004, il contratto di affiliazione commerciale non richiedeva una forma particolare e, di conseguenza, esso poteva essere stipulato anche verbalmente o risultare dal comportamento concludente delle parti.
Peraltro, la forma scritta era già prevista dal Codice deontologico della Federazione Italiana del franchising, il quale, all’art. 2, precisava che l’accordo di base fra il franchisor ed il franchisee è «oggetto di contratto scritto che definisce diritti e doveri delle parti, garantendo equità».
Il Codice deontologico dell’Associazione Italiana del Franchising a sua volta prevedeva, all’art. 6, che il contratto di franchising dovesse essere redatto per iscritto, in modo chiaro ed esauriente.
La forma scritta era, inoltre, prevista dal Codice deontologico Europeo del franchising agli artt. 1 e 5.2.; tale ultima norma prevede, inoltre, che il contratto dovesse essere consegnato immediatamente all’affiliato.
L’art. 3, 1° comma, della legge in esame dispone ora – soprattutto a tutela dell’affiliato1 – che il contratto sia redatto per iscritto a pena di nullità.
La forma scritta è, dunque, richiesta ad substantiam. E, come è stato osservato dalla dottrina, devono essere redatti per iscritto tutti i documenti che compongono l’accordo (cioè, contratto, manuale operativo, allegati, ecc.)2.
1 Infatti, la forma scritta dovrebbe attirare maggiormente l’attenzione del contraente debole: così FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, p. 74; oltre ad avere finalità di documentazione.
2 Così, ancora, FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, p. 73.
La legge n. 129 del 2004 detta, inoltre, una disciplina transitoria per l’adeguamento degli accordi verbali in essere. In particolare, l’art. 9, 2° comma, stabilisce che gli accordi di affiliazione commerciale anteriori alla data di entrata in vigore della legge (25 maggio 2004), non stipulati in forma scritta, devono essere formalizzati entro un anno.
Con riferimento a tale ultima previsione, il legislatore non esprime una norma sanzionatoria. Pare ragionevole ritenere che anche tale inottemperanza conduca alla nullità, con effetto, tuttavia, dal termine ultimo imposto dalla legge (25 maggio 2005) per l’adeguamento.
2. Requisiti per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale.
In ordine ai requisiti per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale, è opportuno rammentare che già l’art. 2 del Codice deontologico dell’Associazione Italiana del Franchising prevedeva che, prima di costituire la propria rete di franchising, l’affiliante dovesse aver sperimentato sul mercato con successo la propria formula, per almeno un anno e con almeno un’unità pilota.
L’art. 3, 2° comma, della legge n. 129 del 2004 prevede ora che, per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale, l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale.
Manca nella prescrizione legislativa la locuzione “con successo”: pare ragionevole ritenere che essa sia data per scontata dal legislatore. D’altronde, giacché la norma è posta nell’interesse dell’affiliato, una sperimentazione dalla quale non emergesse un risultato positivo per i potenziali affiliati non potrebbe ragionevolmente condurre ad una legittima applicazione della formula commerciale.
Poiché non vi sono specificazioni in ordine all’estensione del mercato, si deve correttamente ritenere che esso si estenda all’area geografica più o meno ampia di potenziale riferimento (l’Italia, l’Europa, il mondo).
La norma non prevede un arco temporale di sperimentazione e, quindi, parrebbe ragionevole assumere come periodo di riferimento quello suggerito dal Codice deontologico e, cioè, almeno un anno.
Né viene specificato se la sperimentazione debba essere effettuata con una o più unità pilota. Pare corretto ritenere che, anche in tale caso, possa ritenersi sufficiente
quanto previsto dal Codice deontologico, e, cioè, che sia sufficiente un’unità pilota; ammesso, beninteso, che la sperimentazione abbia avuto successo.
Atteso lo scopo della norma, e cioè di tutela preventiva dell’affiliato, pare ragionevole ritenere che ogni aspirante affiliato abbia diritto di conoscere l’esito della sperimentazione, così da valutare con cognizione di causa l’opportunità di sottoscrivere il contratto di affiliazione3.
In caso di violazione dell’obbligo di sperimentazione, non sembra plausibile che si possa invocare il rimedio della nullità, che rischierebbe di travolgere tutti i contratti di affiliazione eventualmente stipulati, quanto piuttosto quello dell’azione risarcitoria nei limiti in cui la mancata sperimentazione possa avere arrecato un danno all’affiliato4.
3. Durata del contratto.
Prima dell’emanazione della legge n. 129 del 2004, una durata minima era considerata un elemento fondamentale dell’accordo, che, d’altra parte, poteva essere concluso a tempo determinato o indeterminato. Si riteneva, cioè, che la fissazione di un termine minimo fosse imposta da esigenze di tipo economico e organizzativo, soprattutto al fine di consentire al franchisee l’ammortamento degli investimenti effettuati5.
Nel caso di fissazione di un termine di durata, era poi consuetudine prevedere un rinnovo tacito del contratto, ma solitamente per un periodo più breve di quello iniziale. Evidentemente, la prosecuzione poteva essere evitata mediante la disdetta, da esercitarsi nei modi, forme e termini previsti dal contratto6.
Qualora, invece, il contratto fosse a tempo indeterminato doveva ritenersi sempre possibile l’esercizio del diritto di recesso, purché fosse assegnato alla controparte un congruo termine di preavviso.
D’altronde, lo stesso Codice deontologico dell’Associazione Italiana del Franchising prevedeva, all’art. 7, che il contratto di franchising potesse avere durata determinata o indeterminata. E all’affiliato doveva essere garantita una durata minima
3 Nello stesso senso, FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, p. 79 s., che parla di obblighi di
disclosure.
4 Dello stesso avviso FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, p. 80 s.
5 Così DE NOVA, voce Franchising, in Dig. disc. priv. sez. comm., VI, Torino, 1991, pp. 299 e 303.
6 Sul punto, si veda ZUDDAS, Somministrazione, concessione di vendita, franchising, Torino, 2003, p. 325.
tale da consentire l’ammortamento dell’investimento effettuato e doveva, in ogni caso, non essere inferiore a tre anni, fatta salva l’ipotesi di risoluzione anticipata del contratto, per inadempimento degli obblighi contrattuali di una delle parti. Il Codice aggiungeva, inoltre, che la permanenza in vigore del contratto poteva essere subordinata al raggiungimento di risultati minimi annuali, da parte del franchisee, ad esempio in termini di minimi di acquisto o di vendita; tali minimi dovevano, peraltro, essere ragionevoli, basati sulle precedenti esperienze del sistema di franchising, ma adattati al caso in esame, e dovevano essere frutto di concordi valutazioni delle parti.
La legge n. 129 del 2004 non impone che il contratto di affiliazione commerciale sia stipulato a tempo determinato ovvero a tempo indeterminato e, quindi, non considera elemento essenziale del contratto la fissazione di un termine di durata. Tuttavia, l’art. 3, 3° comma, prevede che, qualora il contratto sia a tempo determinato, l’affiliante debba comunque garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento. Inoltre, la legge stabilisce che il contratto – sia esso a tempo determinato o indeterminato – non possa comunque essere inferiore a tre anni.
Attese le finalità di tutela dell’affiliato, è ragionevole ritenere che la durata minima prevista dalla legge sia inderogabile. E tale durata minima si rende, altresì, applicabile ai contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge.
Come si è detto, la durata minima deve ritenersi applicabile – sebbene non espressamente previsto dalla legge – anche ai contratti a tempo indeterminato; in caso contrario si violerebbe lo spirito della norma, che è quello di assicurare all’affiliato una certa stabilità iniziale, soprattutto al fine di consentire al franchisee l’ammortamento degli investimenti effettuati 7. In alternativa, si potrebbe tuttavia ritenere che il periodo di tre anni costituisca il termine minimo di preavviso che l’affiliante è tenuto a dare all’affiliato, quantomeno nella fase iniziale di esecuzione del contratto.
Dubbi sussistono in merito al regime sanzionatorio applicabile nel caso in cui venga fissato un termine inferiore ai tre anni: la dottrina suggerisce la soluzione del prolungamento ex lege del contratto, cioè la sostituzione automatica della clausola con la prescrizione di legge, ritenendo, per contro, soluzione non adeguata quella della nullità o dell’annullabilità dell’intero contratto8. La tesi è da condividere anche alla luce
7 In tale senso, FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, p. 82.
8 Così, FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, p. 82.
del fatto che una diversa sanzione sarebbe eccessiva e condurrebbe allo “smantellamento” dell’impresa dell’affiliato.
4. Contenuto del contratto.
Prima dell’emanazione della legge sull’affiliazione commerciale, il contratto di franchising era stato qualificato come un contratto a contenuto mutevole, cui possono accedere «obblighi di messa a disposizione di beni immateriali, ma anche impegni in ordine al finanziamento, alla preparazione del personale ed alla stessa tenuta della contabilità: e così, corrispettivamente, obblighi di comportamento a carico del franchisee»9.
Nella prassi, il contratto constava, normalmente, di una premessa contenente le indicazioni economiche relative alle parti e facente parte integrante dell’accordo. La premessa, predisposta dal franchisor, riguardava la presenza e consistenza di quest’ultimo sul mercato, la disponibilità di un marchio, di altri segni distintivi e di un know-how, le modalità di espansione della rete di vendita nell’ambito di un sistema, il numero dei collaboratori e, più in generale, tutti quei dati che potevano consentire agli interessati di avere un quadro chiaro della situazione della rete e delle sue prospettive di sviluppo. Dal punto di vista del franchisee, si indicava il possesso di una licenza, le sue possibilità economico-finanziarie, e così via10.
Facevano, poi, seguito le obbligazioni delle parti11. E, in particolare, per il franchisor: a) l’impegno a concedere al franchisee la licenza d’uso dei propri segni distintivi, nonché a trasferire il proprio know-how e tutte le altre formule o conoscenze segrete che individuano i prodotti o servizi dati in franchising; b) l’impegno a fornire assistenza tecnica e commerciale per avviare l’impresa del franchisee; c) l’impegno a somministrare al franchisee i beni contrattualmente pattuiti, alle condizioni e nei limiti stabiliti; d) l’impegno a fornire consulenza commerciale, promozionale, di marketing durante tutta la durata del rapporto; e) l’impegno ad addestrare il personale che sarà impiegato nell’impresa del franchisee. Per il franchisee: a) l’impegno a pagare un
9 Così, CAGNASSO-COTTINO, Contratti commerciali, in Trattato di diritto commerciale diretto da X. Xxxxxxx, Padova, 2000, p. 144.
10 Così ZUDDAS, Somministrazione, concessione di vendita, franchising, Torino, 2003, p. 313 s. Si vedano, anche, BUSSANI-CENDON, I contratti nuovi, Milano, 1989, p. 420.
11 Nel testo si richiama la sintesi operata da XXXXXXX, Il franchising, Milano, 2004, p. 61 ss.
diritto d’entrata e a corrispondere royalties periodiche, nonché un contributo per il sostenimento delle campagne pubblicitarie; b) l’impegno a promuovere lo sviluppo delle attività svolte nella propria zona di competenza, con un obbligo di conformazione agli standard qualitativi e quantitativi, di efficienza e di immagine della rete; c) l’obbligo di mantenere riservati notizie ed elementi ricevuti dal franchisor nell’ambito del rapporto di franchising; l’obbligo di conservazione riservata di documentazione tecnica, quale in particolare il manuale operativo; l’obbligo di restituzione di detto materiale alla conclusione del contratto; d) il divieto di cessione del contratto a terzi, per i quali il franchisor non abbia dato il preventivo consenso scritto e il diritto di prelazione a suo favore in caso di cessione o di affitto dell’azienda da parte del franchisee; e) il divieto di concorrenza; f) l’obbligo di approvvigionamento esclusivo dal franchisor.
Clausola essenziale dell’accordo era, poi, la trasmissione al franchisee dei beni e servizi necessari all’esercizio dell’attività, cioè del c.d. package. Attraverso quest’ultimo, il franchisor procedeva alla trasmissione dei suoi segni distintivi al franchisee. Esso, inoltre, conteneva tutti i punti essenziali dell’accordo (aspetti commerciali, addestramento del personale, problemi di marketing e di pubblicità)12.
Al contratto potevano, poi, accedere clausole accessorie. E così, ad esempio, la possibilità di dare corso ad iniziative pubblicitarie centralizzate, a cura del franchisor, e, in sede locale, a cura del franchisee; il diritto del franchisor di aprire un nuovo punto di vendita nella stessa località, fermo restando il diritto di prelazione in capo al franchisee; la clausola arbitrale13 o l’istituzione di un foro obbligatorio14.
Una compiuta regolamentazione era, peraltro, contenuta nei codici deontologici già più volte richiamati.
In particolare, il Codice deontologico della Federazione Italiana del Franchsing stabiliva che il contratto dovesse contenere: tipo e modalità dei pagamenti iniziali (diritti di entrata) e continuativi (royalties); durata del contratto, condizioni per il rinnovo
12 Sul punto, si veda più ampiamente DEVASINI, Il sistema franchising, Milano, 1990, p. 99 ss.
13 La validità della clausola arbitrale è stata, di recente, ammessa da Cass., 20 giugno 2000, n. 8376, in
Rep. Foro it., 2000, voce Arbitrato, n. 49.
14 Per una più compiuta descrizione delle clausole minori, si veda ZUDDAS, Somministrazione, concessione di vendita, franchising, Torino, 2003, p. 326.
(eventualmente tacito), momento e durata del preavviso; eventuali diritti di proprietà riservati al franchisor nel caso il franchisee manifestasse l’intenzione di cedere l’attività; esclusiva territoriale accordata al franchisee e, nel caso fossero comprese eventuali condizioni di espansione, la priorità che gli veniva riconosciuta per assicurargli questa espansione; le modalità secondo cui erano regolati gli apporti di ciascuna delle parti nel caso di conclusione del contratto; le disposizioni particolari in materia di acquisiti, vale a dire l’identificazione dei fornitori e del tipo delle forniture; come era assicurato il trasporto delle merci rese disponibili dal franchisor e chi ne avrebbe sopportato i costi; le condizioni di pagamento; i servizi che il franchisor metteva a disposizione del franchisee nei settori: commerciale, promozionale, pubblicitario, amministrativo, tecnico, finanziario e fiscale oltre che per la gestione in generale; condizioni secondo le quali tali servizi dovevano essere resi; obblighi del franchisee relativamente alla comunicazione dei dati di gestione e la formazione permanente. Dovevano, inoltre, essere presenti nel contratto le seguenti clausole: durata dello stesso che non doveva essere breve e comunque doveva consentire l’ammortamento degli investimenti iniziali; cause e modalità di rescissione (causa motivata, preavviso e contropartita); uso della ditta e dell’immagine del franchisor; allestimento dell’esercizio commerciale; zona di operatività dell’esclusiva (potenziale espansione commerciale del franchisor); collaborazione esclusiva; patto di non concorrenza (contrattuale e post-contrattuale); rosa dei pagamenti nel xxxxx xxx xxxxxxxxx (xxxx, ammontare e finalità); fornitura di servizi ed assistenza.
Il Codice deontologico europeo del franchising stabiliva che il contratto di affiliazione dovesse indicare chiaramente i rispettivi obblighi e responsabilità delle parti ed ogni altra condizione materiale del rapporto, con correttezza e senza ambiguità. Il Codice contemplava, inoltre, una serie di elementi essenziali e imprescindibili che il contratto doveva contenere: i diritti concessi all’affiliante; i diritti concessi all’affiliato; i prodotti e/o servizi forniti dall’affiliato; le obbligazioni dell’affiliante; le obbligazioni dell’affiliato; i termini di pagamento da parte dell’affiliato; la durata del contratto, che doveva essere sufficientemente lunga per consentire all’affiliato di ammortizzare i propri investimenti iniziali specifici di affiliazione; le condizioni per ogni rinnovo del contratto; i termini secondo i quali gli affiliati potevano vendere o trasferire l’attività in affiliazione ed i possibili diritti di prelazione dell’affiliante a questo riguardo; le condizioni relative all’uso dei segni distintivi dell’affiliante (marchio, marchi di
servizio, marca, insegna del negozio, logo o ogni altra identificazione); il diritto dell’affiliante di adattare il sistema di affiliazione a nuovi o mutati metodi; i termini di cessazione del contratto; le condizioni per la pronta restituzione al momento della cessazione del contratto di qualsiasi bene materiale o immateriale appartenente all’affiliante o ad altri.
Il Codice deontologico dell’Associazione Italiana del Franchising prevedeva inoltre, all’art. 4, la presenza eventuale di un contratto preliminare di franchising. Tuttavia, aveva cura di precisare che l’utilizzo di un contratto preliminare di franchising doveva essere limitato ai casi in cui esso risultasse assolutamente indispensabile, per il corretto perseguimento degli obiettivi di sviluppo del sistema di franchising, da parte del franchisor. Tale contratto, peraltro, non doveva, in nessun caso, sostituire od integrare, in tutto od in parte, il contratto definitivo di franchising e doveva chiaramente indicare i tempi e le modalità di instaurazione del rapporto e di sottoscrizione del contratto definitivo.
Anche l’art. 4 della legge n. 129 del 2004 prevede un contenuto minimo del contratto; peraltro, molto meno articolato rispetto a quelli previsti dai codici deontologici. In particolare, stabilisce che il contratto debba espressamente indicare:
a) l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività;
b) le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, e l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato;
c) l’ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante;
d) la specifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato;
e) le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato;
f) le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione;
g) le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.
4.1. Ammontare degli investimenti e delle spese.
Al fine di fissare ex ante l’investimento complessivo che l’affiliato è chiamato a fare nella fase di start-up, la legge richiede che il contratto di affiliazione commerciale
indichi l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività.
Gli “investimenti” riguardano, in particolare, gli oneri che l’affiliato deve sostenere per implementare l’attività d’impresa, e devono, quindi, essere strettamente connesse con l’attività in affiliazione. Esse riguardano, in particolare, le spese di allestimento dei locali nei quali verrà esercitata l’attività.
Le “spese d’ingresso” concernono l’eventuale diritto d’ingresso imposto dall’affiliante. Per “diritto d’ingresso” (o “initial fee” o “front fee”) si intende, ai sensi dell’art. 1, 2° comma, lett. b), l’eventuale cifra fissa, rapportata anche al valore economico e alla capacità di sviluppo della rete, che l’affiliato deve versare al momento della stipulazione del contratto di affiliazione commerciale. Il legislatore ha avuto cura di precisare che nel contratto devono essere indicate le eventuali spese di ingresso, sul riflesso che non sempre e non necessariamente queste sono presenti.
Pare corretto ritenere che l’indicazione delle spese e degli investimenti costituisca un elemento essenziale del contratto; con la conseguenza che l’eventuale omissione conduca alla nullità del contratto stesso.
4.2. Modalità di calcolo e di pagamento delle royalties.
Il compenso erogato dall’affiliato consiste, normalmente, di una parte fissa – il cosiddetto “canone d’ingresso” – e di una parte variabile – le royalties –. Il contratto, come si è detto, deve indicare la parte fissa, nonché le modalità di calcolo (e di pagamento) della parte variabile. Quest’ultima è, ai sensi dell’art. 1, 2° comma, lett. c), la percentuale che l’affiliante chiede all’affiliato commisurata al giro d’affari del medesimo o in quota fissa, da versarsi anche in quote periodiche.
La legge contempla la possibilità che si possa prevedere una sorta di franchigia, cioè di soglia minima della parte variabile del compenso riconosciuto all’affiliante. La base di computo di tale soglia minima, cioè l’incasso minimo, deve essere espressamente indicata nel contratto. In mancanza di tale indicazione si deve ritenere che non sia prevista una franchigia.
Costituiva prassi diffusa nel passato la previsione, in aggiunta, di vari contributi dovuti dal franchisee al franchisor per la pubblicità istituzionale, per la promozione e la pubblicità nazionale, per l’assistenza specialistica e per i servizi di consulenza. Anche tali elementi aggiuntivi dovranno, in futuro, formare oggetto di espressa pattuizione.
Qualora venga omessa l’indicazione delle modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, si deve ritenere che il contratto sia nullo per mancanza di una clausola essenziale. Per contro, la mancata indicazione dell’un incasso minimo che l’affiliato deve realizzare non inficia la validità del contratto, trattandosi soltanto di clausola eventuale.
4.3. Clausola di esclusiva territoriale.
La clausola di esclusiva territoriale era presente nella maggior parte dei contratti stipulati antecedentemente alla legge n. 129 del 2004. Essa era normalmente reciproca e, da una parte, vincolava il franchisee a non vendere beni o a somministrare servizi in concorrenza con il franchisor e, dall’altra, quest’ultimo a non servirsi di altri franchisee nella stessa area territoriale. La funzione, evidentemente, era quella di tutelare – da una parte – gli investimenti effettuati dall’affiliato e – dall’altra – di garantire all’affiliante una rete distributiva omogenea. L’estensione della zona di esclusiva dipendeva dal tipo di attività e dal numero di potenziali clienti.
La clausola di esclusiva, a favore del franchisor o del franchisee, consentiva di individuare puntualmente l’area di operatività dei contraenti15. Essa – come già si è detto – operava di regola in modo reciproco, nel senso che il franchisor si impegnava a non svolgere nello stesso territorio la medesima attività e il franchisee a non vendere prodotti di altra impresa. Come è stato sottolineato dalla dottrina, tale clausola aveva
«tra l’altro lo scopo di rendere più stretta la collaborazione fra le parti attraverso una reciproca limitazione della libertà di iniziativa economica ed una forma di protezione territoriale»16.
Capitava, peraltro, molto spesso – pur in presenza della clausola – che il franchisor si riservasse la possibilità di servirsi anche di altri canali (ad esempio dettaglianti) per distribuire i propri prodotti nella stessa zona di esclusiva. Tale possibilità doveva considerarsi legittima soltanto se espressamente prevista nel contratto.
Prima dell’emanazione della legge n. 129 del 2004, era controverso in dottrina se la clausola di esclusiva costituisse un elemento essenziale dell’accordo o quanto
15 Sul punto, si veda DELLI PRISCOLI, Patto di esclusiva e rapporti fra franchisees, in Giur. comm., 2001, I, p. 581 ss.
16 In tale senso, ZUDDAS, Somministrazione, concessione di vendita, franchising, Torino, 2003, p. 319.
meno un elemento naturale17. La giurisprudenza, per parte sua, si era pronunciata in senso negativo circa il carattere di essenzialità di tale clausola18.
Il Codice deontologico dell’Associazione Italiana del Franchising per parte sua prevedeva, all’art. 9, che il contratto di franchising dovesse indicare l’ambito di un’eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante. Quindi, anche per esso la clausola di esclusiva era soltanto eventuale.
Neppure secondo la legge n. 129 del 2004, la clausola di esclusiva non costituisce elemento essenziale del contratto. Ne è prova il fatto che l’articolato stabilisce che il contratto debba specificare l’ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante.
La mancata previsione, che pertanto non incide sulla validità del contratto, garantisce una maggiore libertà di azione sia per l’affiliante sia per l’affiliato. Per l’affiliante, nel senso che non gli è preclusa la possibilità di insediare altre unità di vendita, sia dirette sia indirette, nello stesso ambito territoriale dell’affiliato; per l’affiliato, nel senso che la sua attività può esplicarsi senza limiti territoriali.
4.4. Indicazione del know-how fornito dall’affiliante.
Come ricordato in un precedente capitolo, la legge n. 129 del 2004 offre una definizione del know-how. In particolare, stabilisce che esso comprende le conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita, la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali. Esso consiste, in particolare, in quel patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate, derivante da esperienze maturate dall’affiliante, e permette all’affiliato di operare sul mercato secondo le stesse modalità che caratterizzano l’affiliante.
La dottrina aziendalistica, prima d’ora, qualificava a sua volta il know-how come l’insieme delle conoscenze maturate nel tempo dall’affiliante sugli aspetti tecnici,
17 Per un’attenta ricostruzione del dibattito, si veda ZUDDAS, Somministrazione, concessione di vendita,
franchising, Torino, 2003, p. 319 ss.
18 Pret. Lecce, 24 ottobre 1989, in Giur. it., 1991, I, 2, cc. 197 e 731, con note di LA PLACA, Contributo alla ricerca dei limiti giuridici del contratto di franchising, e di FRIGNANI, Un “nome” al contratto tra Benetton e rivenditori. La conclusione è stata confermata da Trib. Lecce, 9 febbraio 1990, in Foro it., 1990, I, c. 2978, con nota di VACCA’, Interpretazione ed integrazione dei contratti di franchising.
commerciali e gestionali del settore in cui opera19. Carattere essenziale dello stesso era, inoltre, considerata la sua “originalità”20; da considerarsi, peraltro, non alla stregua di “nuovo” o “recente”, potendo anche essere risalente nel tempo e continuare ugualmente ad essere di grande successo.
Una definizione del know-how era, inoltre, contenuta nel Regolamento CEE n. 4087 del 1988, il quale lo definiva come un patrimonio di conoscenze pratiche, non brevettate, derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante. Sempre secondo il Regolamento citato, il know-how doveva essere segreto, sostanziale e accertato o identificato21.
Una definizione molto più articolata di know-how era, poi, fornita dal Codice deontologico europeo del franchising, che lo identificava con il «complesso di informazioni pratiche non brevettate, risultante dall’esperienza e dalla sperimentazione dell’affiliante che è segreto, sostanziale e identificato». “Segreto” nel senso che, considerato come un complesso di nozioni o nella precisa configurazione o connessione dei suoi elementi, non è generalmente noto né facilmente accessibile; inoltre, esso non è limitato nel senso che ogni componente individuale del know-how dovrebbe essere totalmente sconosciuto e non ottenibile al di fuori dell’attività del franchisor. “Sostanziale” poiché il know-how include informazioni indispensabili per il franchisee per la vendita dei beni o per la prestazione di servizi al consumatore finale ed in particolare per la presentazione dei prodotti alla vendita, per l’utilizzo di beni in funzione alla prestazione di servizi, per i comportamenti con i clienti, per la gestione amministrativa e finanziaria; in aggiunta, in quanto il know-how deve essere utile per il franchisee e ne deve accrescere le capacità competitive in particolare migliorando i suoi risultati o aiutandolo ad entrare in nuovi mercati. “Identificato” nel senso che deve essere descritto in modo sufficientemente comprensibile, tale da consentire di verificare se corrisponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità; inoltre, il know-how può essere esplicitato sia nel contratto di affiliazione commerciale o in un documento separato oppure redatto in qualsiasi altra forma appropriata.
19 MARRONE, Il franchising, Milano, 2004, p. 44.
20 PETTINATO, Il franchising: che cos’è e come funziona, Milano, 1999.
21 Per una migliore specificazione delle citate qualità, si veda infra.
Il Codice deontologico dell’Associazione Italiana del Franchising prevedeva, all’art. 8, che nel contratto di franchising dovesse essere indicato chiaramente il know- how fornito dal franchisor al franchisee.
La legge n. 129 del 2004, all’art. 4, lett. d), prevede a sua volta che nel contratto sia fornita la specifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato. Dunque, qualora le indicazioni relative al know-how siano contenute in dettaglio nel manuale operativo e richiamate in via di sintesi nel corpo del contratto, è opportuno che in quest’ultimo si dica espressamente che il manuale operativo ne costituisce parte integrante22.
Da ultimo, vale la pena di rammentare che la Commissione Europea considera clausole indispensabili per evitare che il know-how vada a vantaggio dei concorrenti: l’obbligo di non concorrenza durante la vigenza del contratto con cui si vieti al franchisor l’esercizio di un altro negozio di franchising nel territorio concesso e per gli stessi prodotti; il divieto per il franchisee di cedere il suo contratto di franchising, di subaffittare il suo negozio, di costituire una subconcessione in franchising, di cedere la sua azienda in gestione o di nominare un direttore senza il consenso del franchisor.
Poiché l’indicazione del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato viene considerata dal legislatore come parte essenziale del contratto, si deve ritenere che l’eventuale omissione sul punto costituisca causa di nullità del contratto.
4.5. Riconoscimento del know-how fornito dall’affiliato
Nello svolgimento del rapporto potrebbe accadere che l’affiliato apporti, a sua volta, know-how. La legge, nel contemplare tale possibilità, stabilisce che nel contratto di affiliazione commerciale si debbano prevedere le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto dell’affiliato.
Il tenore letterale della norma lascia intendere che tale previsione sia soltanto facoltativa. Se ciò fosse vero, si rischierebbe di rendere privo di tutela legislativa il contributo eventualmente fornito dall’affiliato.
Si tenga, peraltro, presente che il know-how generato dall’affiliato deve essere apprezzabile non soltanto dallo stesso ma su tutta la rete e, quindi, dall’affiliante. E la norma, al fine di evitare problemi di contenzioso che potrebbero sorgere con riferimento alla valutazione dell’apporto, opportunamente stabilisce che nel contratto debbano essere contemplate le modalità di riconoscimento.
22 Così, FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, p. 84.
Occorre, peraltro, rilevare che il riconoscimento dell’apporto del know-how da parte dell’affiliato non è considerato dal legislatore essenziale; ne discende che l’eventuale mancanza di una clausola ad hoc non determini l’invalidità del contratto.
4.6. Servizi di assistenza dell’affiliante.
La dottrina aziendalistica antecedente alla legge n. 129 del 2004 considerava elemento essenziale dell’accordo la prestazione, da parte del franchisor, di un’assistenza in xxx xxxxxxxxxx, xxxx per tutta la durata del rapporto contrattuale. L’assistenza, in particolare, doveva consistere in un continuo supporto tecnico, commerciale, amministrativo e pubblicitario da parte del franchisor a favore del franchisee23.
L’assistenza tecnica poteva riguardare, ad esempio, l’assortimento dei prodotti, lo stock iniziale, le procedure di approvvigionamento, il riassorbimento dei prodotti forniti, la gestione dell’invenduto.
Il supporto commerciale consisteva, per lo più, nell’assistenza nel rinnovo dei locali, nell’addestramento e nella formazione del personale.
L’assistenza amministrativa aveva, spesso, ad oggetto la messa a disposizione da parte del franchisor di un’ampia gamma di strumenti che potevano andare dal registratore di cassa al sistema informatico, al piano dei conti, agli indici gestionali della rete.
Il supporto pubblicitario si estrinsecava nella promozione e qualificazione dell’insegna a livello nazionale, nella pubblicità e promozione a livello locale, e così via.
Il Codice deontologico dell’Associazione Italiana del Franchising a sua volta prevedeva, all’art. 8, che nel contratto di franchising dovesse essere indicato chiaramente il tipo, l’entità ed il periodo dell’assistenza e della formazione fornita dal franchisor al fracnhisee e che i relativi dati dovessero essere contenuti in un allegato, da aggiornare periodicamente.
Sempre nella prospettiva di offrire la massima tutela possibile all’iniziativa economica dell’affiliato, la legge n. 129 del 2004 – facendo proprie le indicazioni della dottrina e della prassi – stabilisce che nel contratto siano indicate le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione.
23 Così MARRONE, Il franchising, Milano, 2004, p. 48 ss.
L’indicazione delle caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, e formazione è considerata essenziale dal legislatore. Si deve, pertanto, concludere che l’eventuale omissione sul punto determini la nullità del contratto.
4.7. Condizioni di rinnovo, risoluzione e cessione del contratto.
Secondo la ricostruzione operata dalla dottrina antecedente alla legge n. 129 del 2004, varie potevano essere le cause di scioglimento del contratto.
In primo luogo, il contratto poteva sciogliersi anticipatamente per mutuo dissenso.
In ordine alla legittimità del recesso, la dottrina muoveva dal presupposto che il contratto di franchising dovesse essere considerato un contratto di durata24. Da tale qualificazione si faceva discendere la conseguenza che le eventuali lacune contrattuali dovevano essere integrate, sul piano generale, dalla normativa dei rapporti di durata (es. recesso). In particolare, si riteneva che se il contratto era a tempo indeterminato si potesse sempre recedere, fermo restando l’obbligo, in capo al recedente, di dare un congruo preavviso25. Una parte della dottrina non mancava, peraltro, di rilevare che «il mancato rinnovo del contratto alla scadenza o il recesso ad nutum con breve preavviso (quando il contratto è a tempo indeterminato) possono… prestarsi ad abusi a danno dell’affiliato, esposto al rischio di perdere la clientela e di non poter recuperare (in tutto o in parte) gli investimenti per l’allestimento del punto di vendita e per l’acquisto delle scorte di merce»26. Nella pratica, poi, si era soliti prevedere ipotesi di recesso del
24 In tale senso, CAGNASSO-COTTINO, Contratti commerciali, in Trattato di diritto commerciale diretto da
X. Xxxxxxx, Padova, 2000, p. 145.
25 CAGNASSO-COTTINO, Contratti commerciali, in Trattato di diritto commerciale diretto da X. Xxxxxxx, Padova, 2000, p. 145, sottolineano che tale interpretazione discendesse dalla normativa generale e comunque dal principio secondo cui (art. 1375 c.c.) il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.
26 In tale senso, CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 3. Contratti. Titoli di credito. Procedure concorsuali3, Torino, 2001, p. 36, il quale richiamava anche Pret. Roma, 11 giugno 1984, in Giur. it., 1985, I, 2, p. 710, che, in presenza di un rapporto a tempo indeterminato risolto con preavviso di tre mesi e mezzo, disponeva con provvedimento di urgenza la prosecuzione del contratto per altri dieci mesi al fine di consentire lo smaltimento delle scorte. Lo stesso Autore sottolineava come lo stesso legislatore avesse apportato un intervento correttivo con l’introduzione del divieto di abuso di dipendenza economica (art. 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192), cioè della «situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di
franchisor per eventi fortuiti o non legati ad uno specifico inadempimento del franchisee, quali la sua morte, interdizione o inabilitazione, la dichiarazione di fallimento e così via.
Era, invece, controverso se nel contratto a tempo determinato fosse ammissibile il recesso per giusta causa prima del decorso dell’eventuale termine minimo previsto27.
Se stipulato a tempo determinato, il contratto poteva poi sciogliersi per scadenza del termine, salva la necessità della disdetta qualora fosse prevista la proroga tacita.
Sotto il profilo della risoluzione del contratto, diversi potevano essere gli inadempimenti da parte di entrambi i contraenti. Tuttavia, per poter configurare una causa legittima di risoluzione del contratto, la dottrina riteneva che l’inadempimento non dovesse essere di scarsa importanza, a norma dell’art. 1455 c.c., ed in ogni caso tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti, in applicazione analogica della regola prevista per la somministrazione dall’art. 1564 c.c.28. La giurisprudenza, per contro, aveva ritenuto talvolta rilevanti anche inadempimenti non gravi29. Particolari clausole risolutive espresse erano, d’altro canto, previste contrattualmente in presenza di inadempimenti del franchisee (perdita delle
obblighi»; il patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza economica è nullo ed espone comunque al risarcimento dei danni nei confronti dell’impresa che ha subito l’abuso.
27 Per la soluzione negativa, si veda ZUDDAS, Somministrazione, concessione di vendita, franchising, Torino, 2003, p. 338.
28 In tale senso, ZUDDAS, Somministrazione, concessione di vendita, franchising, Torino, 2003, p. 344, il quale, con riferimento al franchisor, richiama l’ipotesi di un’inadeguata assistenza nel periodo iniziale del rapporto nell’allestimento del punto vendita, la mancata consegna di merci, l’omessa comunicazione di informazioni o il mancato compimento di altre attività indispensabili per il buon funzionamento del punto vendita; per il franchisee, una scorretta utilizzazione dei segni distintivi, il mancato rispetto degli standard previsti, la diffusione di un know-how segreto e, più che un semplice mancato pagamento relativo ad una determinata singola fornitura, un comportamento che, specie agli occhi dei terzi, comporti una perdita di immagine dell’intera catena di franchising.
29 Quali semplici mancati pagamenti da parte del franchisee: Trib. Roma, 20 aprile 1995, in Foro it., 1996, I, c. 306. Ha considerato, invece, inadempimenti gravi la violazione dell’esclusiva (App. Milano, 4 giugno 1996, in Contratti, 1996, p. 585, con nota di DI LIDDO, Violazione dell’obbligo di esclusiva e risoluzione), la violazione del diritto di marchio del franchisor (Trib. Monza, 19 ottobre 1988, in Giur. it., 1989, I, 2, c. 860, con nota di INTROVIGNE, Marchi di servizio, insegne e franchising) e del suo diritto all’immagine commerciale (Trib. Milano, 23 novembre 1994, in Giur. it., 1994, I, 2, c. 381, con nota di XXXXXXXX, Sul danno all’immagine del franchisor).
autorizzazioni amministrative, vendita di prodotti diversi, uso illegittimo dei segni distintivi, e così via)30.
Si riteneva, infine, che la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta dovesse essere assoggettata alle regole comuni, tenendo conto dell’inquadramento della figura tra i contratti di durata31.
Tornando all’ipotesi fisiologica di scadenza del termine di durata del contratto, si riteneva che si producesse nello stesso momento la cessazione immediata di tutti i suoi effetti, con l’obbligo in capo al franchisee di restituire l’insegna al franchisor, col divieto di far uso dei suoi segni distintivi o il suo know-how, al fine di evitare pregiudizio all’immagine dell’affiliante32.
Nel caso di contratto a tempo indeterminato si era invece, da più parti, ipotizzata la necessità di un congruo preavviso, anche se non previsto dal contratto, al fine di tenere conto degli investimenti fatti dal franchisee, dell’esistenza di scorte e dell’avviamento commerciale33.
Nella prassi, si era poi soliti prevedere contrattualmente che, dopo lo scioglimento del contratto, il franchisee non potesse svolgere, per un certo periodo di tempo, attività concorrente in via diretta od indiretta, dovesse osservare il dovere di segretezza e non potesse utilizzare il know-how ed i software dei quali fosse venuto a conoscenza, a meno che nel frattempo fossero divenuti di pubblico dominio34.
Veniva, invece, posto in capo al franchisor l’obbligo di riacquistare dal franchisee le merci in giacenza. In alternativa, le parti potevano optare per un prolungamento del contratto al fine di esaurire i prodotti in giacenza.
Una questione particolarmente delicata – e risolta negativamente dalla prevalente dottrina35 – era se al franchisee, in applicazione analogica delle norme sull’indennità di fine rapporto prevista per il contratto di agenzia, maturasse un diritto all’indennità di clientela.
30 Sul punto, cfr. ZUDDAS, Somministrazione, concessione di vendita, franchising, Torino, 2003, p. 346.
31 Così FRIGNANI, Il contratto di franchising, p. 46.
32 Così ZUDDAS, Somministrazione, concessione di vendita, franchising, Torino, 2003, p. 339.
33 Per una ricostruzione delle posizioni della dottrina e della giurisprudenza, si veda FRIGNANI, Il franchising, Torino, 1990, p. 114 s.
34 Cfr. ZUDDAS, Somministrazione, concessione di vendita, franchising, Torino, 2003, p. 342.
35 Sul punto, si veda CAGNASSO-COTTINO, Contratti commerciali, in Trattato dir. comm., diretto da X. Xxxxxxx, IX, Padova, 2000, p. 399 s.
Il Codice deontologico della Federazione Italiana del Franchising, all’art. 8, stabiliva che: a) in caso di rescissione o cessazione del contratto era indispensabile che il franchisee rinunciasse senza ritardo all’insegna ed a tutti i disegni e modelli specifici legati all’utilizzo di questa insegna; b) se il franchisor, sotto qualsivoglia forma, intendeva cedere a terzi la sua rete di franchising, doveva essere assicurata la continuità del contratto e dovevano essere integralmente rispettati i diritti del franchisee; c) qualunque eventuale clausola di non concorrenza avente vigore dopo la rottura o cessazione del contratto doveva essere precisata contrattualmente sia per quanto concerne la durata che la competenza territoriale; d) qualora il contratto di franchising prevedesse un conferimento di competenze in caso di disaccordo, era necessario che queste competenze venissero riservate ai tribunali del luogo in cui aveva sede il punto vendita o l’esercizio del franchisee.
Il Codice deontologico dell’Associazione Italiana del Franchising a sua volta prevedeva, all’art. 10, che il contratto di franchising dovesse indicare chiaramente i possibili casi di scioglimento dello stesso. Aggiungeva, inoltre, che l’eventuale risoluzione automatica del contratto, per inadempimento di una delle parti, dovesse essere limitata agli inadempimenti di clausole importanti per la corretta impostazione e gestione del sistema di franchising; mentre, per i casi di violazione di obblighi contrattuali di minore rilevanza, dovesse essere prevista una procedura di messa in mora della parte che avesse commesso la violazione, per dare modo ad essa di sanare l’inadempimento. Stabiliva, infine, che il contratto dovesse espressamente indicare le condizioni dell’eventuale rinnovo, dell’eventuale cessione del contratto, nonché contenere specifiche previsioni relative alle obbligazioni delle parti dopo la cessazione dello stesso, per qualsiasi motivo intervenuta, in particolare per quanto riguardava la cessazione dell’uso dei segni distintivi dell’affiliante, da parte dell’affiliato.
Analogamente, la legge n. 129 del 2004 stabilisce espressamente che il contratto di affiliazione commerciale debba prevedere le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.
La circostanza per cui, secondo il disposto legislativo, il contratto deve contenere le condizioni di rinnovo, induce a ritenere che il rinnovo non possa essere considerato un fatto automatico.
Come osservato dalla dottrina, le condizioni di rinnovo possono riguardare: il preavviso entro il quale manifestare la volontà di rinnovo; il prolungamento di eventuali
garanzie ed il loro ammontare; gli eventuali nuovi target da raggiungere; le nuove condizioni economiche36.
Evidentemente, si potrebbe prevedere contrattualmente un rinnovo tacito alla scadenza in caso di mancata disdetta in tempo utile.
L’indicazione delle condizioni di risoluzione consente alle parti di esplicitare quali fra le obbligazioni sono da ritenersi essenziali e la cui violazione conduce alla risoluzione del contratto.
Atteso che il contratto di affiliazione è fondato sull’intuitus personae37, pare opportuna la precisazione legislativa in forza della quale devono essere specificate contrattualmente le condizioni di cessione del contratto, affinché non siano soltanto rimesse al consenso a posteriori dell’una o dell’altra parte.
Occorre, infine, domandarsi cosa accada nel caso in cui il contratto non preveda le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.
Qualora manchino le condizioni di rinnovo si deve ritenere, per salvaguardare la validità del contratto, che quest’ultimo non possa essere rinnovato; in altri termini, un eventuale rinnovo in assenza di una clausola che ne disciplini le condizioni dovrebbe più correttamente qualificarsi alla stregua di una novazione del contratto. Analogamente, se non sono indicate le condizioni dell’eventuale cessione del contratto, questa deve essere ritenuta non ammissibile.
Infine, l’eventuale mancanza delle condizioni di risoluzione comporta, probabilmente, l’applicazione della disciplina prevista in via generale per i contratti.
36 Così, FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, p. 86.
37 Viene, infatti, considerato elemento fondamentale la fiducia nella serietà e nella capacità dell’affiliato.