RECEPIMENTO DELLA NUOVA REGOLAMENTAZIONE PRUDENZIALE INTERNAZIONALE
Vigilanza Creditizia e Finanziaria
RECEPIMENTO DELLA NUOVA REGOLAMENTAZIONE PRUDENZIALE INTERNAZIONALE
PROCESSO DI CONTROLLO PRUDENZIALE AI SENSI DEL SECONDO PILASTRO: DETERMINAZIONE DEL CAPITALE INTERNO ADEGUATO
Il presente documento fornisce un primo schema di Istruzioni di vigilanza inerenti all’applicazione del nuovo Accordo sul Capitale (“Accordo”) e delle direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE, entrambe del 14 giugno 2006, con riferimento al Processo di controllo prudenziale ai sensi del secondo pilastro. Eventuali osservazioni, commenti e proposte possono essere trasmessi, entro il 30 novembre 2006, a: Banca d’Italia, Servizio Concorrenza, Normativa e Affari Generali, Divisione Normativa, xxx Xxxxxx, 00, 00000 XXXX (una copia in formato elettronico dovrà essere contestualmente inviata all’indirizzo: xxx.xxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx).
Documento per la consultazione
Novembre 2006
PROCESSO DI CONTROLLO PRUDENZIALE AI SENSI DEL SECONDO PILASTRO: DETERMINAZIONE DEL CAPITALE INTERNO ADEGUATO
INDICE
PREMESSA 3
1. IL PROCESSO DI CONTROLLO PRUDENZIALE: LINEAMENTI GENERALI 4
1.1 LA VALUTAZIONE DELL’ADEGUATEZZA DEL CAPITALE INTERNO (ICAAP) 5
1.2 LA REVISIONE PRUDENZIALE (SREP) 5
2. ENTRATA IN VIGORE, AMBITO DI APPLICAZIONE E ASPETTI CROSS BORDER 7
2.1 Date di entrata in vigore della disciplina sul secondo pilastro 7
2.2 Ambito di applicazione della disciplina sul secondo pilastro 8
2.3 Le SGR e gli intermediari iscritti nell’elenco di cui all’art. 107 del TUB 8
2.4 La suddivisione dei compiti tra le autorità di vigilanza dei vari paesi 9
3. LA VALUTAZIONE DELL’ADEGUATEZZA DEL CAPITALE INTERNO (ICAAP) 10
3.1 LA PROPORZIONALITÀ NELL’ICAAP 10
3.2 AGGIORNAMENTO PERIODICO DELL’ICAAP 12
3.3 LE FASI DELL’ICAAP 12
3.3.1 L’individuazione dei rischi da sottoporre a valutazione 13
3.3.2 La misurazione dei singoli rischi e del capitale interno necessario a fronteggiarli 13
3.3.3 La determinazione del capitale interno 16
3.4 Lo stress testing 17
3.5 La riconciliazione tra capitale interno complessivo e requisiti di primo pilastro 18
3.5.1 Capitale interno complessivo e copertura dei rischi 18
3.5.2 Capitale interno complessivo e requisiti patrimoniali di primo pilastro 19
4. L’INFORMATIVA SULL’ ICAAP ALL’AUTORITÀ DI VIGILANZA 20
4.1 Lineamenti generali 20
4.2 CONTENUTI E STRUTTURA DELL’INFORMATIVA SULL’ICAAP 21
4.3 PERIODICITÀ DELL’INFORMATIVA SULL’ICAAP 23
4.3.1 Prima applicazione della disciplina 23
4.3.2 La disciplina a regime 23
5. LE RESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI AZIENDALI NELL’ICAAP 24
ALLEGATO 1 - I RISCHI DA SOTTOPORRE A VALUTAZIONE NELL’ICAAP 26
ALLEGATO 2 - RISCHIO DI CONCENTRAZIONE PER SINGOLE CONTROPARTI 27
ALLEGATO 3 - RISCHIO DI TASSO SUL BANKING BOOK 30
ALLEGATO 4 - RISCHIO DI LIQUIDITÀ 33
ALLEGATO 5 – SCHEMA DI RIFERIMENTO PER IL RESOCONTO ICAAP 36
Premessa
La normativa comunitaria in materia di adeguatezza patrimoniale delle banche e delle società di intermediazione mobiliare (1), in coerenza con quanto previsto dal nuovo Accordo sul Capitale (c.d. Basilea 2), prevede l’articolazione della disciplina degli intermediari su tre pilastri, costituiti dai requisiti patrimoniali minimi, dal processo di controllo prudenziale e dalla disciplina del mercato.
Nei documenti di consultazione già pubblicati la Banca d’Italia ha illustrato le scelte normative che intende adottare in materia di calcolo della dotazione patrimoniale minima relativa ai rischi compresi nel primo pilastro e di obblighi informativi che gli operatori debbono assolvere in base alle previsioni del terzo pilastro.
Con il presente documento viene pubblicata, in versione preliminare, la prima parte delle disposizioni relative al secondo pilastro; più in particolare:
- si presentano i lineamenti generali del processo di controllo prudenziale (Supervisory Review Process, SRP);
- si trattano gli aspetti relativi al processo di valutazione dell’adeguatezza del capitale che deve essere condotto dagli intermediari (Internal Capital Adequacy Assessment Process, ICAAP);
- si illustrano gli orientamenti di fondo della Banca d’Italia in materia di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process, SREP); peraltro indicazioni di maggiore dettaglio sui criteri e le modalità di conduzione dello SREP saranno oggetto di un apposito, successivo documento di consultazione.
Nel testo sono recepite le linee guida e gli orientamenti maturati nell’ambito del Comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria (Committee of European Banking Supervisors, CEBS) sul processo di controllo prudenziale (2).
Il documento si articola in cinque parti. Nel capitolo 1 vengono fornite indicazioni sulla struttura complessiva del processo di controllo prudenziale; nel capitolo 2 si tratta dell’entrata in vigore e dell’ambito di applicazione della disciplina (che prevede, tra l’altro, l’applicazione delle disposizioni relative al secondo pilastro anche alle SGR e agli intermediari finanziari previsti dall’art. 107 del TUB), nonché dei rapporti con le autorità di vigilanza estere; nel capitolo 3 si definisce il procedimento di valutazione dell’adeguatezza del capitale interno da parte degli intermediari; il capitolo 4 contiene le disposizioni in tema di informativa che gli intermediari devono rendere all’autorità di vigilanza; al capitolo 5 vengono disciplinati gli ambiti di responsabilità degli organi aziendali con riferimento al disegno, al governo e al controllo del processo ICAAP (3).
(1) Cfr. le direttive 2006/48/CE del 14 giugno 2006, che sostituisce la direttiva 2000/12/CE relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi e al suo esercizio, e 2006/49/CE del 14 giugno 2006, che sostituisce la direttiva 93/6/CEE relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi.
(2) Per le linee guida ufficiali si veda: CEBS guidelines on Supervisory Review Process (GL03) - January 2006; CEBS Guidelines on Supervisory Disclosure (GL05) - November 2005; CEBS Guidelines on Supervisory Cooperation for Cross-border Banking and Investment firms groups (GL09).
Per le linee guida per le quali non si è ancora chiusa la fase di consultazione si veda CEBS Consultation Paper on stress testing under the supervisory review process (CP12) - June 2006; CEBS Consultation Paper on Management of Interest rate risk arising from non-trading activities and concentration risk under the supervisory review process (CP11) - March 2006; “The High Level Principles on Outsourcing,” (CP02) - April 2004.
(3) Esula dagli obiettivi del presente documento la trattazione in xxx xxxxxxxx xxxxx xxxxxxxxx xxx xxxxxxx societario e dei controlli interni, che - una volta concluse le procedure di consultazione in corso a livello nazionale e in sede CEBS - formeranno oggetto di apposite disposizioni di Xxxxxxxxx.
La Banca d'Italia invita gli operatori a fornire i propri commenti, soprattutto sugli argomenti evidenziati negli appositi riquadri.
1. Il processo di controllo prudenziale: lineamenti generali
Il processo di controllo prudenziale si articola in due fasi integrate. La prima (ICAAP) fa capo agli intermediari, i quali effettuano una autonoma valutazione della propria adeguatezza patrimoniale, attuale e prospettica, in relazione ai rischi assunti e alle strategie aziendali; l’altra (SREP) è di pertinenza della Vigilanza, che riesamina tale processo attraverso il confronto con gli intermediari e l’utilizzo del proprio sistema di analisi e valutazione dei soggetti vigilati (Risk Assessment System, RAS); al termine del riesame l’autorità formula un giudizio complessivo sull’intermediario.
In via generale gli intermediari devono disporre di solidi sistemi di governo societario, di una chiara struttura organizzativa, di processi efficaci per l’identificazione, la gestione, la sorveglianza e la segnalazione dei rischi nonché di adeguati meccanismi di controllo interno.
Con riferimento specifico alle tematiche di adeguatezza patrimoniale, i soggetti vigilati, oltre a rispettare i requisiti patrimoniali a fronte dei rischi inclusi nel primo pilastro, debbono disporre di strategie e processi per valutare e detenere nel tempo il capitale che essi ritengono adeguato - per importo e composizione - alla copertura di tutti gli ulteriori rischi ai quali sono o potrebbero essere esposti.
Gli operatori sottopongono le strategie e i processi che complessivamente costituiscono l’ICAAP a periodica revisione, al fine di assicurarne completezza e proporzionalità rispetto alle eventuali variazioni delle caratteristiche operative, delle dimensioni o dell’attività svolta.
Attraverso lo SREP le autorità di vigilanza svolgono una duplice funzione: da un lato il riesame delle strategie, dei processi, dei sistemi e dei meccanismi predisposti dagli intermediari per conformarsi alle previsioni normative, dall’altro la valutazione dei rischi ai quali essi sono o potrebbero essere esposti.
Il riesame e la valutazione - che devono essere condotti dalla Vigilanza almeno una volta l’anno - sono volti a verificare che i suddetti sistemi, processi e meccanismi nonché la dotazione patrimoniale siano idonei a garantire una gestione e una copertura adeguata dei rischi.
Nel caso in cui emergano profili di inadeguatezza organizzativa ovvero patrimoniale, la Vigilanza impone agli intermediari l’adozione di misure idonee a rimuovere le carenze riscontrate.
L’intero processo di controllo prudenziale (SRP) si conforma ad un principio di proporzionalità, in base al quale:
- i sistemi di governo societario, i processi di identificazione e di gestione dei rischi, i meccanismi di controllo interno devono essere completi e proporzionati alla natura, alle dimensioni e alla complessità delle attività svolte da ciascun intermediario;
- le strategie e i processi utilizzati dagli intermediari per valutare e detenere nel continuo il capitale interno adeguato alla copertura dei rischi devono essere proporzionati alla natura, all’ampiezza e alla complessità dell’attività svolta;
- la frequenza e l’intensità del riesame della situazione aziendale e della valutazione dei rischi da parte dell’autorità di vigilanza devono tenere conto della rilevanza sistemica, delle dimensioni e della complessità degli operatori vigilati.
1.1 La valutazione dell’adeguatezza del capitale interno (ICAAP)
La normativa richiede a tutti gli intermediari di dotarsi di un processo per valutare nel continuo l’adeguatezza della propria dotazione patrimoniale. Da tale processo, che è imperniato su idonei sistemi aziendali di identificazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi, deve scaturire la determinazione di un capitale interno adeguato, in termini attuali e prospettici, a fronteggiare tutti i rischi giudicati rilevanti. Il processo ICAAP deve essere formalizzato, documentato e approvato dagli organi aziendali competenti e periodicamente sottoposto a revisione interna.
Il disegno, l’organizzazione e l’attuazione del processo interno di valutazione dell’adeguatezza del capitale sono interamente rimessi all’autonomia degli intermediari. Con le presenti disposizioni la Banca d'Italia intende fornire indicazioni utili a orientare gli operatori nella concreta applicazione del principio di proporzionalità e nell’identificazione dei requisiti minimi dell’ICAAP che verranno valutati dalla Vigilanza nell’ambito della propria attività di revisione e valutazione prudenziale (SREP).
Il calcolo del capitale interno richiede una compiuta valutazione di tutti i rischi a cui gli intermediari sono o potrebbero essere esposti, sia di quelli considerati nell’ambito del primo pilastro, sia di quelli in esso non contemplati. Nell’allegato 1 è riportato un elenco dei principali rischi che ogni intermediario deve considerare: il rischio di credito; il rischio di mercato; il rischio operativo; il rischio di concentrazione; il rischio di tasso di interesse sul banking book; il rischio di liquidità; il rischio residuale connesso con le tecniche di attenuazione del rischio e quello derivante da cartolarizzazioni, i rischi derivanti da imprecisioni dei metodi di calcolo dei requisiti regolamentari rispetto alle specifiche caratteristiche operative dell’intermediario; il rischio strategico e il rischio di reputazione.
Per la misurazione di alcuni di questi rischi, non inclusi nel primo pilastro, la Banca d’Italia ritiene opportuno fornire alcune indicazioni metodologiche, utili soprattutto per gli intermediari a complessità ridotta (cfr. all. 2 per il rischio di concentrazione per singola controparte, all. 3 per il rischio di tasso di interesse, all. 4 per il rischio di liquidità).
Per altri rischi indicati nell’allegato 1, diversi da quelli di primo pilastro, non si sono ancora affermate - neppure a livello internazionale - definizioni o tecniche di misurazione sufficientemente condivise. La Banca d’Italia non ritiene pertanto opportuno al momento raccomandare scelte metodologiche per la loro misurazione; sollecita tuttavia gli operatori a effettuare valutazioni circostanziate sulla propria eventuale esposizione a tali rischi e sugli strumenti idonei a fronteggiarli, gestirli, attenuarli.
Il principio di proporzionalità trova applicazione con riferimento: 1) al grado di complessità delle metodologie utilizzate per la quantificazione di tutti i rischi che gli intermediari fronteggiano e del capitale interno a copertura dei medesimi; 2) alle modalità di aggregazione dei rischi; 3) al disegno e allo sviluppo degli stress test e dei connessi scenari. Nei capitoli successivi viene fornita una indicazione orientativa sui possibili standard metodologici cui le varie categorie di intermediari possono fare riferimento per dare concretamente attuazione al citato criterio di proporzionalità.
1.2 La revisione prudenziale (SREP)
Lo SREP è il processo con cui le autorità di vigilanza identificano eventuali profili di problematicità, attuali o prospettici, dell’intermediario e valutano se e quali misure prudenziali adottare. A tal fine, la Banca d’Italia, tra l’altro:
- esamina il profilo di rischio e l’esposizione ai singoli rischi del soggetto vigilato;
- riesamina e valuta l’ICAAP aziendale e la connessa quantificazione del capitale interno;
- valuta il sistema di governo aziendale, la qualità e la funzionalità degli organi aziendali, la struttura organizzativa e il sistema dei controlli interni (controllo dei rischi, compliance, audit);
- verifica l’osservanza del complesso dei requisiti prudenziali (ad esempio, il mantenimento dei requisiti per l’utilizzo dei metodi e dei modelli avanzati per la determinazione dei requisiti patrimoniali, le regole sui grandi fidi, i requisiti di trasparenza informativa).
Ai fini dello SREP, assumono fondamentale importanza il dialogo e lo scambio di informazioni tra intermediari e autorità: il riesame e la valutazione dell’ICAAP da parte della Vigilanza si fondano in primo luogo sulla rappresentazione che l’intermediario fornisce del proprio processo di pianificazione del capitale. Al riguardo, al capitolo 4 viene illustrato lo schema di resoconto ICAAP che gli intermediari dovranno rassegnare alla Banca d’Italia con cadenza annuale.
La revisione prudenziale conduce ad una valutazione complessiva della situazione tecnico-organizzativa dell’intermediario. Sulla base di tale valutazione la Vigilanza modulerà l’intensità dell’attività di analisi, cartolare e ispettiva, e dell’azione di intervento.
La Banca d’Italia potrà richiedere alle banche l’adozione di misure riguardanti i seguenti profili:
− rafforzamento dei sistemi e dei processi relativi alla determinazione del capitale interno e al governo dei rischi;
− contenimento del livello del rischio;
− riduzione del rischio anche attraverso restrizioni ad operazioni, ad attività o alla struttura territoriale;
− divieto di distribuire utili o altri elementi del patrimonio;
− detenzione di fondi propri superiori al livello minimo regolamentare (dato dalla somma dei requisiti a fronte dei rischi di primo pilastro: credito, mercato, operativi) anche attraverso l’applicazione alle voci dell’attivo di un trattamento specifico con riferimento ai requisiti patrimoniali.
Quest’ultimo provvedimento, in particolare, è adottato qualora l’applicazione delle altre misure non sia in grado di esplicare i propri effetti correttivi in un arco temporale accettabile.
Le misure prudenziali adottate verranno tempestivamente comunicate all’intermediario; il provvedimento espliciterà le motivazioni della misura prudenziale individuata per il caso concreto.
Nel documento dedicato al processo di revisione prudenziale che si sottoporrà alla consultazione si darà conto delle modalità, dei criteri, degli strumenti con i quali la Vigilanza intende condurre la revisione prudenziale, comunicare agli operatori i risultati della stessa, informarli dell’eventuale necessità di interventi correttivi ovvero dell’applicazione delle misure prudenziali previste dalla normativa.
Le linee guida del CEBS prevedono che le autorità di Vigilanza europee facciano ricorso – per condurre lo SREP - a procedure formalizzate di valutazione dei soggetti vigilati (RAS), che si basano su sistemi di rating della rischiosità degli intermediari e dei loro sistemi di controllo. Generalmente alla base della valutazione del profilo di rischio degli intermediari vi sono strumenti di scoring automatico, dove l’analisi comparativa gioca un ruolo rilevante. La valutazione dei profili qualitativi, del sistema di controllo e della
complessiva situazione dell’intermediario viene invece affidata, in sede sia cartolare che ispettiva, al giudizio degli analisti di vigilanza, ai quali viene richiesto di esprimere - seguendo iter procedurali predefiniti e codificati - una valutazione esplicita di tali aspetti. In sintesi, i sistemi di valutazione del RAS consentono alla Vigilanza di effettuare un’analisi approfondita delle varie aree di attività dell’intermediario, individuando i rischi rilevanti, se e come essi vengono monitorati, gestiti o attenuati, e forniscono indicazioni sul fabbisogno di capitale a copertura dei rischi: rappresentano, pertanto, un indispensabile elemento di confronto con l’ICAAP aziendale.
Nel successivo documento di consultazione dedicato allo SREP si darà conto dei principali interventi di adeguamento che - anche alla luce delle linee guida del CEBS - si stanno conducendo sul sistema dei controlli attualmente utilizzato dalla Vigilanza (4), che peraltro consente già l’analisi e la valutazione dettagliata delle principali aree di rischio aziendale considerate nell’ICAAP e dell’adeguatezza patrimoniale complessiva degli intermediari vigilati.
2. Entrata in vigore, ambito di applicazione e aspetti cross border
2.1 Date di entrata in vigore della disciplina sul secondo pilastro
La nuova regolamentazione sull’adeguatezza patrimoniale delle banche e delle imprese di investimento entrerà in vigore il 1° gennaio 2007. Le norme comunitarie, peraltro, riconoscono alle banche e alle imprese di investimento la facoltà di continuare ad applicare, nel corso del 2007, il metodo di calcolo dei requisiti patrimoniali attualmente in vigore; gli intermediari che si avvarranno di questa deroga saranno, tra l’altro, esentati dagli obblighi di valutazione del capitale interno (5).
Tenuto conto degli oneri connessi con l’adozione di metodologie di misurazione e gestione di rischi in precedenza non presidiati dalla normativa, la Banca d’Italia intende adottare per l’applicazione del secondo pilastro un approccio graduale, per quanto concerne sia i tempi, sia i contenuti.
Le nuove disposizioni sull’ICAAP verranno applicate agli intermediari non appena essi adotteranno, in tutto o in parte, una delle nuove metodologie di calcolo dei requisiti patrimoniali, riferite ai rischi di credito e operativi.
Di conseguenza, gli operatori che applicheranno tali metodologie dal 2008 (avvalendosi della discrezionalità prevista dalla normativa comunitaria o in quanto adotteranno metodi avanzati) saranno esonerati dall’applicazione del secondo pilastro per tutto il 2007.
Il processo di revisione prudenziale sull’ICAAP da parte della Banca d’Italia prenderà avvio contestualmente all’applicazione a ciascun intermediario della disciplina sul secondo pilastro e verrà modulato in funzione dei progressi fatti segnare dalla pianificazione aziendale.
(4) Si veda, da ultimo, per una sintetica illustrazione del sistema dei controlli di vigilanza, la Relazione del Governatore sull’esercizio 2003 – Sezione II - Parte E “l’Attività di vigilanza sulle banche e sugli intermediari” – Criteri e modalità di esercizio dei controlli di vigilanza.
(5) Cfr. Documento per la consultazione “Recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale - Ambito di applicazione dei requisiti prudenziali”, pubblicato nel mese di marzo 2006 (xxx.xxxxxxxxxxxx.xx).
Nel paragrafo 4.3 del presente documento sono contenute le indicazioni di maggiore dettaglio sui tempi e sulla periodicità dell’informativa sul processo ICAAP che gli intermediari devono trasmettere alla Banca d’Italia.
2.2 Ambito di applicazione della disciplina sul secondo pilastro
La disciplina relativa al secondo pilastro è applicata (6):
- a livello consolidato:
1) ai gruppi bancari, ivi inclusi i sottogruppi italiani controllati da un’impresa madre situata in un altro Stato membro dell’UE;
2) ai gruppi di SIM;
3) alle singole banche italiane, non appartenenti a gruppi bancari, che abbiano partecipazioni di controllo congiunto in società bancarie, finanziarie e strumentali;
- a livello sotto-consolidato: alle banche e SIM italiane appartenenti a gruppi bancari, diverse dalla capogruppo, che abbiano partecipazioni di controllo, o di controllo congiunto, in società bancarie, finanziarie e in società che svolgono le attività di cui all’art. 1, comma 1, lettera n del d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 aventi sede in uno Stato extracomunitario;
- a livello individuale: alle banche italiane e alle SIM non appartenenti a gruppi italiani nonchè alle SIM appartenenti a gruppi di SIM esonerate dalla Banca d’Italia dalla vigilanza su base consolidata.
2.3 Le SGR e gli intermediari iscritti nell’elenco di cui all’art. 107 del TUB.
La Banca d'Italia intende applicare a livello individuale le disposizioni relative al secondo pilastro agli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del TUB e alle SGR che non fanno parte di gruppi.
La scelta risponde all’esigenza di mantenere un modello di vigilanza omogeneo per tutti gli intermediari vigilati dalla Banca d'Italia, indipendentemente dalla natura del soggetto che svolge una determinata attività o dall’appartenenza o meno dello stesso a un gruppo bancario o di SIM. L’applicazione del principio di proporzionalità consente di graduare l’ampiezza e la profondità dell’ICAAP e la frequenza e intensità dello SREP in funzione della natura, della dimensione e della complessità dell’intermediario.
L’applicazione delle disposizioni relative al secondo pilastro non si tradurrà, quindi, in un appesantimento degli oneri a carico degli intermediari finanziari e delle SGR, né, necessariamente, in un aumento della dotazione patrimoniale richiesta agli stessi. L’intero processo di controllo prudenziale sarà volto a: i) razionalizzare i flussi informativi di vigilanza; ii) stimolare gli intermediari ad affinare la capacità di autovalutazione del proprio profilo di rischio; iii) rendere più trasparenti per i soggetti vigilati le metodologie di valutazione degli intermediari utilizzate dall’organo di vigilanza.
Con specifico riferimento agli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale, l’applicazione delle disposizioni relative al secondo pilastro è, inoltre, funzionale a sottoporre tali soggetti a requisiti prudenziali “equivalenti” a quelli previsti per le banche,
(6) In conformità al documento di consultazione pubblicato dalla Banca d’Italia sull’ambito di applicazione dei requisiti prudenziali: cfr Documento per la consultazione “Recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale - Ambito di applicazione dei requisiti prudenziali”, pubblicato nel mese di marzo 2006 (xxx.xxxxxxxxxxxx.xx).
in modo che, secondo le previsioni della normativa comunitaria, le esposizioni delle banche nei confronti di tali soggetti ricevano il medesimo trattamento prudenziale riservato a quelle verso gli enti creditizi (7). Per conseguire il carattere della “equivalenza”, la Banca d'Italia ha già manifestato l’intenzione di introdurre per tali intermediari requisiti di primo e di terzo pilastro analoghi a quelli previsti per le banche (8).
Con riferimento alle SGR, per requisiti patrimoniali di cui al primo pilastro si intendono i vigenti obblighi riguardanti l’adeguatezza patrimoniale e il contenimento del rischio. Nell’ambito del processo ICAAP assumono particolare rilievo le valutazioni aziendali in tema di organizzazione amministrativo/contabile e di controlli interni (9).
Le SGR e gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’ art. 107 del TUB non appartenenti a gruppi saranno tenuti ad applicare le disposizioni relative al secondo pilastro a partire dal 1° gennaio 2008.
La Banca d’Italia è interessata a conoscere l’opinione degli operatori circa l’estensione alle SGR e agli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del TUB non appartenenti a gruppi delle disposizioni relative al secondo pilastro a livello individuale.
2.4 La suddivisione dei compiti tra le autorità di vigilanza dei vari paesi
Relativamente ai gruppi con articolazione cross-border all’interno della UE la normativa comunitaria prevede che l’ICAAP sia condotto sia a livello consolidato, dalla capogruppo al vertice della catena di controllo nella UE (impresa madre nella UE), sia a livello sotto-consolidato nazionale (individuale, nel caso di singole filiazioni), dalla banca o dall’impresa di investimento al vertice della catena di controllo in un determinato Stato membro.
In relazione alla possibile articolazione dei gruppi cross-border nell’Unione europea, possono verificarsi in concreto due diverse fattispecie: a) gruppi italiani con filiazioni in altri paesi comunitari; b) intermediari italiani facenti parte di gruppi bancari o di imprese di investimento comunitari.
Coerentemente con le disposizioni comunitarie e con le linee guida del CEBS, la Banca d’Italia:
− nella prima ipotesi, in qualità di autorità responsabile della vigilanza su base consolidata, contatta le altre autorità per definire concretamente le modalità di esercizio coordinato della vigilanza, che si esplica attraverso i “collegi di supervisori”, regolati da accordi scritti di coordinamento e di cooperazione. Tali accordi definiscono in concreto i compiti che le varie autorità devono svolgere, con
(7) La direttiva 2006/48 riconosce ai crediti verso imprese finanziarie e alle garanzie rilasciate dalle stesse il medesimo trattamento prudenziale previsto per le banche, al ricorrere di determinate condizioni: i) le imprese finanziarie sono autorizzate e controllate dalla stessa autorità competente per la vigilanza sulle banche; ii) le imprese finanziarie sono sottoposte a requisiti prudenziali “equivalenti” a quelli previsti per le banche stesse (cfr. Allegato 8, parte 1, punto 28 Direttiva 2006/48).
(8) Si veda il documento di consultazione “Recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale - Ambito di applicazione dei requisiti prudenziali”, pubblicato nel mese di marzo 2006 (xxx.xxxxxxxxxxxx.xx). In particolare, verrebbero previsti requisiti patrimoniali a fronte dei rischi di credito, operativi, di mercato e di cambio.
(9) Si veda il Regolamento della Banca d'Italia del 14 aprile 2005 in materia di gestione collettiva del risparmio, Titolo II, Capitolo V e Titolo IV, Capitolo III.
l’obiettivo di evitare duplicazioni di attività e di ridurre l’onere della supervisione per i gruppi europei;
− con riguardo alla seconda fattispecie, definisce la profondità dei propri controlli sui sottogruppi o sulle filiazioni nazionali di gruppi europei anche sulla base dell’esistenza e del contenuto degli accordi di coordinamento e cooperazione promossi dalle autorità home. Nel determinare l’intensità della propria attività di revisione prudenziale, la Banca d’Italia tiene conto della rilevanza sistemica del sottogruppo o della filiazione sul mercato nazionale.
3. LA VALUTAZIONE DELL’ADEGUATEZZA DEL CAPITALE INTERNO (ICAAP)
3.1 La proporzionalità nell’ICAAP
Rientra nella responsabilità di ciascun intermediario la definizione di un processo di determinazione del capitale interno (ICAAP) adeguato al proprio profilo di rischio e di operatività, così come dimostrare alla Banca d’Italia che l’ICAAP assicura una gestione e una copertura adeguata dei rischi assunti.
In termini generali, la Banca d’Italia si attende che gli intermediari adottino sistemi e processi per la quantificazione del rischio via via più sofisticati in relazione alla natura, all’ampiezza e alla complessità dell’attività svolta.
In tal senso nell’ambito dell’ICAAP il principio di proporzionalità trova specifica applicazione da parte dei singoli operatori con riferimento ai seguenti aspetti (sui quali vengono fornite indicazioni più puntuali nei successivi paragrafi):
- grado di sviluppo delle metodologie utilizzate per la quantificazione dei rischi e del capitale;
- modalità di determinazione del capitale interno complessivo;
- tipologia e caratteristiche degli stress test utilizzati;
- articolazione dei sistemi di governo e controllo dei rischi;
- livello di approfondimento e estensione delle rendicontazioni sull’ICAAP rese all’autorità di vigilanza.
Tenuto conto che la normativa comunitaria non fornisce indicazioni puntuali per la concreta applicazione del principio di proporzionalità e che l’interpretazione di tale concetto nei diversi contesti nazionali dipende dalle caratteristiche dei sistemi finanziari nazionali, la Banca d’Italia ritiene utile - per facilitare la concreta attuazione di tale principio da parte degli operatori - fornire una ripartizione indicativa degli intermediari vigilati dalla Banca d’Italia in tre macro-gruppi, che identificano, in linea di massima, intermediari con diversi gradi di complessità operativa.
Nel primo gruppo rientrano gli intermediari che ottengono la convalida per l’utilizzo dei metodi IRB per il calcolo dei requisiti a fronte del rischio di credito, o del metodo AMA per il calcolo dei requisiti a fronte del rischio operativo, ovvero dei modelli interni per la quantificazione dei requisiti sui rischi di mercato.
Nel secondo gruppo rientrano:
1) i gruppi bancari e le banche non appartenenti a gruppi che utilizzano metodologie standard, con attivo consolidato o individuale superiore a 3,5 miliardi di euro;
2) i gruppi di SIM e gli intermediari non bancari non appartenenti a gruppi che superano le seguenti soglie:
- gruppi di SIM e SIM: patrimonio gestito superiore a 10 miliardi di euro; o controvalore annuo di negoziazioni in conto terzi o in conto proprio superiore a 150 miliardi di euro;
- SGR: somma dei patrimoni gestiti superiore a 10 miliardi di euro;
- intermediari di cui all’art. 107 del TUB: totale attivo superiore a 3,5 miliardi di euro Nel terzo gruppo rientrano:
1) i gruppi bancari e le banche individuali che utilizzano metodologie standard, con attivo consolidato o individuale inferiore a 3,5 miliardi di euro;
2) i gruppi di SIM e gli intermediari non bancari che non superano le soglie sopracitate. Rientrano in ogni caso nel terzo gruppo le SIM attive solo nel collocamento e nella raccolta ordini.
In osservanza del principio di responsabilità e autonomia degli intermediari, la Banca d’Italia si attende una piena applicazione del criterio di proporzionalità da parte dei soggetti vigilati, anche all’interno di ciascuno dei tre gruppi identificati (in particolare con riferimento al secondo gruppo, nell’ambito del quale maggiore è la variabilità delle configurazioni operative e di governo societario degli operatori che vi sono compresi).
E’ auspicabile, quindi, che gli intermediari operino scelte coerenti tra gli approcci di quantificazione del rischio adottati nell’ambito del primo pilastro e le metodologie di auto- valutazione del capitale interno ai fini del secondo pilastro. Parimenti, ciascun intermediario identifica le aree di rischio in cui si rendono necessarie metodologie di valutazione più complesse e le aree in cui, avuto riguardo alla tipologie di rischi assunti, possono essere idonee metodologie più semplici.
La ripartizione degli intermediari in tre gruppi ai fini del secondo pilastro risponde all’obiettivo di agevolare gli operatori, contenendo il più possibile gli oneri di adeguamento ai requisiti normativi e evitando di gravare gli intermediari con richieste non proporzionate rispetto alla natura dell’attività svolta: si tiene conto delle peculiarità di quelli che adotteranno metodologie interne per il calcolo dei requisiti patrimoniali e si enucleano dai restanti intermediari quelli di minore complessità operativa.
La suddivisione ha peraltro carattere indicativo, in quanto:
- gli intermediari che volessero utilizzare metodologie più sofisticate di quelle suggerite dall’appartenenza ad uno dei tre gruppi sono tenuti a far conoscere tale intendimento all’organo di vigilanza, illustrando le ragioni di tale scelta;
- la Banca d’Italia si riserva in ogni caso la possibilità di richiedere a singoli intermediari l’adozione di standard, metodologie, processi organizzativi differenti da quelli associati al proprio “gruppo di riferimento”, in modo da cogliere al meglio, ad esempio, il profilo di rischio di intermediari in forte evoluzione, ovvero con operatività specializzata e rilevante su segmenti di mercato caratterizzati da elevata complessità.
La Vigilanza farà riferimento alla medesima ripartizione in gruppi sopra illustrata per modulare, su base proporzionale, le modalità e l’intensità del processo di revisione prudenziale. L’intensità con cui verrà condotto lo SREP terrà comunque in dovuto conto anche il grado di problematicità dell’intermediario.
La Banca d’Italia è interessata a conoscere l’opinione degli operatori circa i criteri e le soglie utilizzati per la ripartizione degli intermediari vigilati in tre gruppi al fine di agevolare la concreta applicazione del principio di proporzionalità.
3.2 Aggiornamento periodico dell’ICAAP
La misurazione e la gestione dei rischi e la determinazione del capitale interno sono processi che ogni intermediario è tenuto ad effettuare su base continuativa.
Ai fini del confronto con l’autorità di vigilanza gli intermediari provvedono a determinare con cadenza annuale:
- il livello di capitale interno calcolato con riferimento alla fine dell’ultimo esercizio chiuso, tenendo conto di eventi significativi intervenuti tra tale data e il momento di determinazione del capitale;
- il livello di capitale interno con riferimento alla fine dell’esercizio in corso, tenendo conto della prevedibile evoluzione dei rischi e dell’operatività.
Nella pianificazione annuale gli operatori dovranno anche identificare le azioni correttive da intraprendere in caso di errori o di scostamenti dalle stime e individuare le eventuali connesse necessità di provvista patrimoniale.
In ogni caso, la determinazione del capitale interno è coerente con il piano strategico pluriennale; pertanto quantificazioni del capitale interno che facciano riferimento a esercizi successivi a quello corrente dovranno essere coerenti con lo sviluppo operativo e patrimoniale tracciato dall’intermediario nel proprio piano strategico.
Ferma restando, quindi, la cadenza annuale della determinazione del capitale interno ai fini del confronto con l’autorità di vigilanza, la cadenza di misurazione delle esposizioni ai singoli rischi è di norma più ravvicinata e viene definita in relazione sia alla tipologia di rischi, sia alle metodologie di misurazione degli stessi. Per contro si ritiene che - in assenza di eventi innovativi o straordinari - la cadenza di aggiornamento degli scenari di stress test possa essere superiore all’anno, tenuto conto dell’opportunità di dare stabilità ai medesimi per agevolare la valutazione intertemporale delle prove di stress.
3.3 Le fasi dell’ICAAP
Il processo di determinazione del capitale interno adeguato può essere scomposto nelle seguenti fasi: 1) l’individuazione dei rischi da sottoporre a valutazione; 2) le metodologie di misurazione dei singoli rischi e del capitale interno necessario a fronteggiarli; 3) le modalità di determinazione del capitale interno complessivo.
Ciascuna fase del processo ICAAP è interessata dal principio di proporzionalità. L’individuazione dei rischi da parte degli intermediari, il grado di sviluppo delle metodologie utilizzate per misurarli, le modalità scelte per l’aggregazione dei requisiti relativi ai singoli rischi, le prove di stress che si effettuano per accertare la robustezza delle metodologie devono essere proporzionati alla natura, alle dimensioni e alla complessità degli intermediari.
Il criterio di proporzionalità assume particolare rilevanza per le SGR, che presentano una limitata esposizione a rischi diversi da quelli operativi.
Nei paragrafi seguenti si forniscono alcune indicazioni agli operatori su come è possibile interpretare, per ciascuna fase dell’ICAAP, il principio di proporzionalità. Le indicazioni vengono fornite per facilitare i singoli intermediari nel determinare la propria posizione relativa rispetto al concetto di proporzionalità e per rendere note le attese della Vigilanza per ciascuno dei tre gruppi di intermediari in relazione alla complessità operativa che li caratterizza.
Si tratta di indicazioni di massima, che il singolo intermediario e la Vigilanza possono ritenere non completamente adeguate per singole fattispecie, in particolare per quei casi in cui il solo criterio dimensionale non riesce a discriminare correttamente l’effettiva complessità operativa del singolo intermediario. In tali circostanze sarà di volta in volta la Vigilanza ovvero l’intermediario a farsi promotore di un confronto sul punto, al fine di addivenire ad una visione condivisa dell’approccio da seguire per la pianificazione dell’ICAAP.
In ogni caso, nell’ambito del processo di revisione prudenziale, la Vigilanza effettua una circostanziata valutazione del grado di rispondenza tra le scelte e le valutazioni degli operatori in materia di proporzionalità e il profilo di rischio degli stessi.
3.3.1 L’individuazione dei rischi da sottoporre a valutazione
Ciascun intermediario - qualunque sia la propria dimensione o complessità operativa - deve effettuare una autonoma e accurata valutazione dei rischi ai quali è esposto, avuto riguardo alla propria operatività e ai mercati di riferimento. Tale analisi deve considerare almeno i rischi di cui all’allegato 1. In proposito, gli operatori avranno cura di definire per quali tipi di rischi non ricompresi nel primo pilastro è opportuno adottare un approccio quantitativo, che può condurre alla determinazione di capitale interno per fare fronte ai medesimi, e per quali invece si ritengono più appropriate, in combinazione o in alternativa, misure di gestione, controllo o attenuazione.
Ciascun operatore deve essere in grado di identificare chiaramente le fonti di generazione dei vari tipi di rischio, siano esse collocate a livello di unità operativa ovvero di entità giuridica. Più in particolare, in caso di strutture di gruppo la corretta individuazione delle fonti di assorbimento patrimoniale a livello consolidato consente di evidenziare se in capo alle varie entità giuridiche il patrimonio regolamentare individuale copre adeguatamente i rischi effettivamente presenti presso le singole componenti.
Ciascun intermediario potrà adottare ai fini ICAAP definizioni e terminologia di propria scelta. Occorrerà peraltro che l’intermediario sia in grado di spiegare nel dettaglio alla Vigilanza le definizioni adottate, le metodologie utilizzate, l’effettiva considerazione di tutti i rischi rilevanti nonché le differenze, per i rischi del primo pilastro, tra il sistema adottato internamente e quello regolamentare.
3.3.2 La misurazione dei singoli rischi e la determinazione del capitale interno necessario a fronteggiare ciascuno di essi
Per capitale interno a fronte di ogni singolo rischio si intende il capitale a rischio, ossia la misura del capitale necessario per coprire le perdite eccedenti un dato livello atteso delle stesse (10).
Il capitale interno a fronte di ciascun rischio esprime dunque il fabbisogno di capitale calcolato dall’intermediario internamente: per i rischi di primo pilastro esso si confronta con il requisito patrimoniale regolamentare.
La scelta delle metodologie di misurazione dei rischi e la connessa determinazione del capitale interno dovranno essere ispirate al principio di proporzionalità.
In tal senso, per agevolare soprattutto gli operatori di piccole dimensioni o a ridotta complessità operativa, la Banca d’Italia propone talune metodologie semplificate per
(10) Tale definizione presuppone che la perdita attesa sia fronteggiata da accantonamenti di pari entità; ove questi ultimi fossero inferiori, il capitale interno dovrà far fronte anche a questa differenza.
l’identificazione e la gestione di alcuni rischi compresi nell’allegato 1. Si tratta del rischio di concentrazione per singoli prenditori e del rischio di tasso sulle attività del banking book, per i quali è possibile fare ricorso ad algoritmi - facilmente replicabili dagli intermediari - per dimensionare l’esposizione ai medesimi e l’eventuale requisito interno di capitale. Le principali caratteristiche di tali metodologie semplificate sono illustrate negli allegati 2 e 3; delle medesime si darà conto in maggiore dettaglio successivamente, una volta raccolti i commenti e i suggerimenti dell’industria al presente documento.
Per quanto concerne invece i rimanenti rischi di cui all’allegato 1, non compresi tra quelli di primo pilastro, si precisa che:
- in materia di rischio di liquidità non è ancora possibile, allo stato attuale di evoluzione delle prassi aziendali e della regolamentazione, prevedere una metodologia acettata dalla Vigilanza per il calcolo della posizione netta di liquidità (che le nuove disposizioni comunitarie chiedono agli operatori di misurare). Tuttavia si ritiene opportuno fornire, nell’allegato 4 al presente documento, alcune linee guida alle quali tutti gli operatori, a prescindere dalla loro dimensione o complessità operativa, possono ispirarsi nel definire i sistemi e le procedure per il monitoraggio e il controllo di tale rischio, in attesa di poter fornire indicazioni più dettagliate;
- il rischio residuale e i rischi derivanti da operazioni di cartolarizzazione verranno trattati in un successivo documento di consultazione.
Va, infine, rammentato che l’introduzione degli IAS e, in particolare, l’uso da parte degli intermediari della cosiddetta Fair Value Option comportano rilevanti implicazioni, oltre che di carattere patrimoniale (11), anche di carattere organizzativo (12). I relativi profili di vigilanza verranno regolamentati nell’ambito della prossima revisione della disciplina sugli assetti organizzativi e sui controlli interni.
Ciò premesso, gli intermediari del terzo gruppo possono fare riferimento alle metodologie regolamentari standard per i rischi compresi nel primo pilastro: il metodo di base per i rischi operativi, il metodo standardizzato per i rischi di credito e per quelli di mercato. Relativamente agli altri rischi di cui all’allegato 1, non inclusi nel primo pilastro, la Vigilanza:
- propone che tali intermediari valutino il rischio di concentrazione su singoli prenditori e il rischio di tasso di interesse sul banking book attraverso l’utilizzo degli algoritmi semplificati proposti negli allegati 2 e 3 e che facciano riferimento alle linee guida contenute nell’allegato 4 per delineare il proprio sistema di monitoraggio del rischio di liquidità;
- valuterà in sede SREP, con un approccio complessivo, i sistemi di controllo e attenuazione dei rischi adottati dagli operatori, verificandone l’aderenza alle linee guida e alla regolamentazione di tempo in tempo vigente.
Gli intermediari del secondo gruppo possono adottare metodologie di misurazione dei rischi del primo pilastro anche diverse da quelle utilizzate a fini regolamentari; del pari, relativamente ai rischi del secondo pilastro, gli stessi potranno fare ricorso a metodologie diverse da quelle semplificate indicate dalla Vigilanza. In tal modo gli intermediari appartenenti a tale gruppo potranno sviluppare, per il proprio ICAAP, analisi più sofisticate, qualora maggiormente rispondenti alle proprie specifiche caratteristiche operative; ciò anche nella prospettiva di sperimentare metodologie più avanzate, in vista di
(11) Per quanto attiene ai riflessi di carattere patrimoniale, con le disposizioni di vigilanza del novembre 2005 sono state previste rettifiche da apportare ai dati di bilancio (cosiddetti “filtri prudenziali”) volte a salvaguardare la qualità del patrimonio di vigilanza e a ridurne la potenziale volatilità (cfr. Bollettino di Vigilanza n. 11/2005).
(12) Si veda: Supervisory guidance on the use of the fair value option for financial instruments by banks
(Basel Committee on Banking Supervision), June 2006.
un futuro eventuale riconoscimento delle metodologie interne ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte dei rischi di primo pilastro.
Relativamente ai rischi del secondo pilastro è comunque consentito l’utilizzo delle metodologie semplificate predisposte dalla Vigilanza; resta nella responsabilità di ciascun intermediario valutare compiutamente la rispondenza di ciascuna metodologia semplificata al proprio profilo di rischio e, ove del caso, la necessità di sviluppare strumenti più sofisticati. Per i rimanenti rischi non inclusi nel primo pilastro valgono per gli intermediari del secondo gruppo le stesse considerazioni svolte per gli intermediari del terzo gruppo.
Gli intermediari del primo gruppo definiscono in piena autonomia le metodologie di misurazione più adeguate ai fini della determinazione del capitale interno a fronte di ciascun rischio. La Vigilanza si attende che gli intermediari appartenenti a questo gruppo sviluppino modelli statistici di calcolo del VaR o di altre misure della perdita massima potenziale in cui l’intermediario potrebbe incorrere entro un certo intervallo di confidenza e un certo arco temporale. Nel processo di revisione prudenziale la Vigilanza analizzerà anche i risultati delle prove di stress condotte sui rischi di credito e di mercato.
Per tutti i rischi non compresi nel primo pilastro, gli intermediari di questo gruppo definiscono, sulla base delle proprie specifiche caratteristiche di operatività e del proprio profilo di rischio, sistemi di quantificazione del capitale adeguati e solidi sotto un profilo metodologico. Per quanto attiene in particolare ai rischi indicati nella lista di cui all’allegato 1, pur avuto presente che per taluni di questi non si sono ancora sufficientemente affermate robuste e condivise metodologie di misurazione cui fare riferimento, la Vigilanza si attende da parte di tali intermediari - caratterizzati da una maggiore complessità operativa – un impegno particolare per l’identificazione e la valutazione della loro entità, da affinare con l’evolvere delle metodologie, nonché del consolidarsi delle esperienze in tale ambito.
Lo sviluppo di modelli che tengono conto della diversificazione all’interno di ciascun rischio deve fondarsi su analisi estremamente robuste, visti gli effetti che ne possono derivare sulla determinazione del relativo capitale interno. Più in particolare, per quanto attiene al rischio di credito, va tenuto presente che la formula per il calcolo del requisito patrimoniale tiene già conto del livello di diversificazione riferibile a intermediari grandi e ampiamente diversificati a livello internazionale. Ne deriva che ipotesi sulle correlazioni formulate nell’ambito dei suddetti modelli meno conservative di quelle previste per i metodi IRB verranno esaminate sulla base di criteri restrittivi, sia per le banche del gruppo 2 che per quelle del gruppo 1.
La Banca d’Italia è interessata a conoscere l’opinione degli operatori circa:
- le metodologie semplificate qui proposte agli operatori come primo termine di riferimento per determinare l’eventuale ammontare di capitale interno a fronte del rischio di concentrazione per singoli prenditori e del rischio di tasso di interesse sul banking book;
- il grado di sviluppo di metodologie avanzate per la determinazione del capitale interno a fronte di ciascun rischio, nonché l’affidabilità e la robustezza delle stime di correlazione sottostanti a tali modelli.
3.3.3 La determinazione del capitale interno complessivo
L’analisi dei diversi rischi considerati e la determinazione del capitale interno da parte dell’intermediario a fronte di ciascuno di essi conduce per sommatoria alla quantificazione di un ammontare di capitale interno complessivo. Peraltro, la funzione economica di tale aggregato non si esaurisce nella copertura delle perdite inattese a fronte di tutti i rischi rilevanti, ma è collegata a una pluralità di fattori che possono contribuire a determinarne l’ammontare, tra i quali: il livello delle immobilizzazioni tecniche e finanziarie; l’esigenza di far fronte a operazioni di carattere strategico quali ristrutturazioni, ridefinizioni di attività, acquisizioni; la necessità di conferire elasticità alla struttura degli oneri finanziari; il mantenimento di un adeguato standing sui mercati di capitali che permetta di accedere alle diverse fonti di finanziamento a costi più contenuti.
Inoltre, nella determinazione del capitale interno complessivo assume particolare rilevanza la valutazione dell’esistenza di benefici da diversificazione tra i diversi tipi di rischio.
La complessità di tale valutazione rende opportuno delineare una concreta applicazione del principio di proporzionalità, in base alla quale:
- gli intermediari del gruppo 3 determinano il capitale interno secondo un approccio “building block” semplificato, che consiste nel sommare ai requisiti regolamentari del primo pilastro eventuali allocazioni di capitale per fronteggiare gli altri rischi rilevanti per l’intermediario, che possono essere determinati secondo le metodologie semplificate individuate dalla Vigilanza;
- gli intermediari del gruppo 2 possono seguire lo stesso percorso indicato per quelli del gruppo 3. A differenza di questi ultimi essi possono fare ricorso a metodologie interne differenti da quelle indicate dalla Vigilanza per la determinazione del capitale interno a fronte dei singoli rischi di primo e di secondo pilastro; in ogni caso, devono produrre una misura di capitale interno distintamente per ciascuno dei rischi rilevanti e prevedere che il capitale interno complessivo sia almeno pari alla somma di quelli riferiti a ciascun rischio;
- gli intermediari del gruppo 1 effettuano, anche in ambito di aggregazione dei rischi, riflessioni più avanzate; ciò vale, in particolare, per quelli che hanno sviluppato metodologie statistiche di determinazione del capitale interno a fronte dei diversi rischi. Di norma, partendo dalla misura del capitale interno a fronte dei singoli rischi, si perviene a una misura di capitale interno complessivo utilizzando metodologie di aggregazione che tengono conto della necessità di ricondurre il capitale interno a fronte dei vari rischi ad una base confrontabile, considerate le differenze circa la forma della distribuzione, il livello di confidenza, l’orizzonte temporale di riferimento.
Gli intermediari di questo gruppo dovranno dimostrare che nella determinazione del capitale interno complessivo essi hanno tenuto conto di tutti i rischi rilevanti per la loro attività in modo accurato e affidabile. In particolare, essi dovranno con adeguato grado di accuratezza, documentare e spiegare:
- la misura di rischio sottostante alla determinazione del capitale interno (VaR, conditional VaR, ecc);
- l’algoritmo di aggregazione utilizzato e come sono state risolte le problematiche di aggregazione di rischi misurati su orizzonti temporali differenti e con distribuzioni sottostanti eterogenee;
- ogni altra metodologia di calcolo del capitale interno complessivo basata sulla simulazione di variazione simultanea di tutti i fattori di rischio.
Con riferimento specifico al trattamento della diversificazione tra rischi, la Banca d’Italia ritiene che non si possa ancora riconoscere ai fini prudenziali l’applicazione di
ipotesi diverse da quella di perfetta correlazione positiva tra i rischi. La Banca d’Italia ritiene tuttavia che sia utile, anche ai fini di un prospettico riconoscimento a fini prudenziali, che gli intermediari appartenenti a questo gruppo approfondiscano la propria analisi delle correlazioni tra rischi. In tale ambito gli operatori avranno cura di documentare e dettagliare, all’interno del proprio ICAAP, il trattamento riservato alla correlazione tra rischi e in particolare i fondamenti metodologici sottostanti a ipotesi di correlazione inferiori a quella perfetta, fornendo evidenza empirica alla robustezza delle stesse, anche attraverso prove di stress.
La Banca d’Italia è interessata ad acquisire dagli operatori informazioni utili a valutare il grado di avanzamento delle prassi aziendali in materia di aggregazione dei rischi e trattamento delle correlazioni, in particolare con riferimento alla disponibilità di dati necessari alla stima di queste ultime.
3.4 Lo stress testing
Gli intermediari effettuano prove di stress per la valutazione dell’adeguatezza del capitale interno. Gli stress test consentono agli intermediari di ottenere informazioni aggiuntive rispetto alla propria effettiva esposizione a diversi fattori di rischio, contribuendo a formare una più esaustiva valutazione dell’adeguatezza delle risorse patrimoniali. I risultati delle procedure di stress test sono oggetto di valutazione da parte della Vigilanza nell’ambito del processo di revisione prudenziale.
Come già anticipato nell’ambito del documento di consultazione dedicato ai sistemi IRB per il rischio di credito (13) per stress testing si intendono le tecniche quantitative e qualitative con le quali gli intermediari valutano la propria vulnerabilità ad eventi eccezionali ma plausibili; esse si estrinsecano nel valutare gli effetti sulle condizioni economico/finanziarie dell’intermediario di eventi specifici (analisi di sensitività) o di movimenti congiunti di un insieme di variabili economico-finanziarie in ipotesi di scenari avversi (analisi di scenario).
La conduzione di prove di stress consente agli intermediari di:
- utilizzare analisi di tipo “what if” per valutare l’esposizione al rischio e il capitale necessario a coprire il medesimo in circostanze avverse;
- effettuare una verifica del risultato e dell’accuratezza dei modelli di valutazione del rischio (in particolare per identificare effetti di non linearità nell’aggregazione dei rischi);
- analizzare le sensitività dei piani strategici a medio termine, e valutare le conseguenti variazioni del capitale.
Secondo gli orientamenti che si vanno delineando in sede europea, in linea di principio gli intermediari dovrebbero effettuare prove di stress appropriate in relazione alla natura di ciascuno dei fattori di rischio rilevanti per la propria operatività, identificando una gamma di circostanze avverse, improbabili ma ritenute plausibili, nelle quali i rischi individuati come rilevanti possono materializzarsi; nella definizione delle prove di stress si dovrebbe tenere conto dei costi paragonati ai benefici della costruzione
(13) Documento per la consultazione “Recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale - Metodo dei rating interni per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito”, pubblicato nel mese di agosto 2006 (xxx.xxxxxxxxxxxx.xx).
di scenari particolarmente articolati e complessi, dove sono numerosi gli effetti di correlazione tra fattori di rischio. Inoltre, la natura, la profondità e il grado di dettaglio delle prove di stress dovranno essere correlati al livello di patrimonializzazione dell’impresa, nonché alla robustezza delle proprie procedure di prevenzione e di attenuazione del rischio.
Le metodologie approntate dagli intermediari per effettuare prove di stress dovranno ispirarsi al principio di proporzionalità. Più in particolare:
- gli intermediari del terzo gruppo potranno effettuare analisi di sensitività rispetto ai principali rischi di primo e secondo pilastro da essi assunti, tra i quali almeno il rischio di credito, il rischio di concentrazione del portafoglio crediti e il rischio di tasso di interesse sul banking book. Per effettuare le prove di stress su questi ultimi due rischi gli intermediari potranno fare riferimento alle metodologie semplificate predisposte dalla Vigilanza e presentate negli allegati 2 e 3. Prove di stress relative al rischio di credito potrebbero consistere nella valutazione dell’impatto patrimoniale che si registrerebbe nel caso in cui il rapporto tra l’ammontare delle partite anomale (sofferenze e incagli e, a partire dalla data di relativo censimento negli archivi aziendali, crediti ristrutturati e past due) sugli impieghi aziendali si attestasse su livelli comparabili a quelli verificatisi nella peggiore congiuntura creditizia sperimentata dall’intermediario nel corso degli ultimi due cicli economici (indicativamente potrebbe essere preso in considerazione un quindicennio). Le SGR e le SIM appartenenti a questo gruppo dovranno prevedere di effettuare prove di stress almeno sul rischio operativo;
- gli intermediari del secondo gruppo dovrebbero effettuare analisi di sensitività rispetto a fattori di rischio autonomamente identificati e considerati rilevanti in relazione al proprio specifico profilo di rischio, fermo restando che sono tenuti a utilizzare almeno la procedura prevista all’allegato 3 per valutare l’impatto di uno shock sui tassi di interesse relativamente alle attività del banking book;
- gli intermediari del primo gruppo dovrebbero utilizzare una combinazione delle tecniche di analisi di sensitività e analisi di scenario, queste ultime con una più ampia copertura tra linee di prodotto e aree geografiche, fermo restando che sono tenuti a utilizzare almeno la procedura prevista all’allegato 3 per valutare l’impatto di uno shock sui tassi di interesse relativamente alle attività del banking book.
Infine, indipendentemente dall’appartenenza ad uno dei gruppi di cui sopra, gli intermediari operanti nell’attività di trading dovrebbero adottare procedure di stress testing variabili in relazione alla complessità della propria operatività (sulla base ad esempio del fatto che operino in prodotti con profili di rischio non lineare, quali le opzioni), tenendo conto, tra l’altro, della volatilità.
3.5 La riconciliazione tra capitale interno complessivo e requisiti di primo pilastro.
3.5.1 Capitale interno complessivo e copertura dei rischi
La misurazione del rischio - in condizioni normali e in situazione di stress – costituisce un passaggio fondamentale nella determinazione del capitale interno; in quest’ottica, la scelta del grado di propensione al rischio più idoneo alle proprie caratteristiche ha carattere strategico e deve essere adeguatamente esplicitata e motivata nell’ICAAP.
Tale profilo verrà valutato nell’ambito dello SREP; in particolare gli intermediari del primo gruppo che useranno modelli statistici di determinazione del capitale interno dovranno considerare e giustificare l’impatto della scelta di diversi intervalli di confidenza.
Ciò premesso, l’ICAAP deve condurre alla determinazione di un capitale interno complessivo sia con riferimento alla fine dell’ultimo esercizio chiuso, sia, in un’ottica prospettica, con riferimento alla fine dell’esercizio in corso. In entrambe le ipotesi, gli operatori dovranno essere in grado di illustrare come le risorse patrimoniali ritenute idonee a fini interni si riconciliano con la definizione regolamentare del patrimonio di vigilanza: in particolare dovrà essere spiegato l’utilizzo a fini interni di strumenti patrimoniali non computabili nel patrimonio di vigilanza.
Nel dettaglio, applicando anche in questo ambito il principio di proporzionalità, gli intermediari del gruppo 1 e quelli del gruppo 2 che adotteranno metodologie di misurazione dei rischi diverse da quelle utilizzate per la quantificazione dei requisiti patrimoniali del primo pilastro o da quelle suggerite dalla vigilanza dovranno indicare in che misura il capitale interno complessivo da essi determinato differisce dal requisito minimo di primo pilastro in quanto:
- basato su intervalli di confidenza diversi da quelli impliciti nel requisito minimo di primo pilastro;
- si basa su ipotesi di correlazione all’interno dei singoli rischi diverse da quelle previste nel requisito minimo di primo pilastro (14);
- è relativo a rischi non considerati o considerati solo parzialmente nel primo pilastro, ovvero a rischi specifici dell’azienda;
- si basa su ipotesi di non perfetta correlazione tra rischi;
- è a copertura del rischio derivante da circostanze particolarmente avverse;
- è a disposizione di operazioni di crescita interna e esterna.
3.5.2 Capitale interno complessivo e requisiti patrimoniali di xxxxx xxxxxxxx
Gli intermediari devono operare con una dotazione di patrimonio di vigilanza pari o superiore al livello determinato dalla somma dei requisiti patrimoniali minimi previsti per i rischi inclusi nel primo pilastro (credito, mercato, operativi).
Tenuto conto della necessità di fronteggiare rischi ulteriori rispetto a quelli ricompresi nel primo pilastro, la Vigilanza si attende che di norma gli intermediari operino
- per autonoma decisione - con livelli di patrimonio di vigilanza superiori al requisito patrimoniale minimo.
L’autorità di vigilanza riesamina l’ICAAP e accerta che:
- il patrimonio di vigilanza sia almeno pari al requisito patrimoniale minimo (15);
- l’ammontare di capitale interno complessivo, determinato con riferimento a tutti i rischi, inclusi quelli non compresi nel primo pilastro, sia coerente con quello che la Banca d’Italia, sulla base dei propri sistemi di analisi e valutazione, ritiene complessivamente idoneo per quel determinato intermediario.
Peraltro nei casi in cui, al termine del confronto in sede SREP:
- la Vigilanza ritenga che l’intermediario debba disporre di un patrimonio di vigilanza di quantità superiore a quella determinata attraverso il processo ICAAP;
- le valutazioni aziendali e quelle della Vigilanza coincidano ma l’intermediario non mantenga o non consegua i livelli patrimoniali concordati;
(14) Tale fattispecie ricorre solo per gli intermediari del primo gruppo, i quali utilizzano modelli interni riconosciuti a fini prudenziali che implicano un trattamento regolamentare delle correlazioni.
(15) Il requisito patrimoniale minimo è dato dalla somma dei requisiti sui rischi di credito, di mercato ed operativi determinati nella misura ordinaria prevista dalla normativa ovvero maggiorata nel caso di applicazione di coefficienti patrimoniali specifici ex art. 53 TUB.
la Banca d’Italia si riserva di attivare le misure prudenziali previste dalla normativa, tra le quali l’applicazione di un requisito patrimoniale specifico, che assume carattere obbligatorio, superiore al requisito minimo ordinario a fronte dei rischi di cui al primo pilastro. Il relativo provvedimento viene disposto qualora le altre misure prudenziali previste dalla normativa siano ritenute inefficaci ovvero non in grado di esplicare i propri effetti in un arco di tempo adeguato (16).
4. L’INFORMATIVA SULL’ ICAAP ALL’AUTORITÀ DI VIGILANZA
4.1 Lineamenti generali
Gran parte delle attività necessarie a definire un processo ICAAP sono già, di norma, svolte dagli intermediari; lo sforzo di affinamento metodologico, di raccolta e coordinamento delle informazioni, di comunicazione di gran parte delle medesime all’esterno che si richiede con la nuova normativa è pur tuttavia rilevante.
Tutti gli intermediari - tranne le SGR - saranno infatti tenuti, in virtù della nuova normativa prudenziale, a fornire all’esterno dell’azienda una serie articolata di informazioni quali-quantitative e di dati concernenti l’esposizione ai rischi, le modalità di gestione, controllo e attenuazione degli stessi, i requisiti di patrimonio generati da tali esposizioni, le caratteristiche principali del proprio sistema di pianificazione delle risorse patrimoniali.
Più in particolare, tali informazioni dovranno essere contenute, obbligatoriamente, nella documentazione di bilancio, negli schemi segnaletici di vigilanza relativi ai requisiti prudenziali (che verranno aggiornati per adeguarli agli schemi definiti in sede comunitaria per le segnalazioni prudenziali relative ai rischi del primo pilastro (17)), nell’ambito degli schemi utilizzati per l’informativa da rendere al pubblico ai sensi del terzo pilastro (18).
La rendicontazione sull’ICAAP all’organo di vigilanza che di seguito si delinea tiene conto del fatto che molte informazioni saranno già disponibili per l’autorità di vigilanza in virtù degli obblighi segnaletici e informativi sopra citati.
Tenuto conto di quanto sopra, in questa sede vengono illustrate le caratteristiche fondamentali e la struttura della rendicontazione ICAAP, tralasciando aspetti di maggiore dettaglio, che troveranno una successiva definizione, una volta completata la normativa di vigilanza in materia sia di informativa al pubblico sia di schemi di segnalazioni prudenziali menzionate.
In termini generali viene prevista una rendicontazione all’organo di vigilanza che risponda alle seguenti finalità:
- flessibilità di utilizzo e proporzionalità delle richieste informative a carico degli intermediari: si è optato per un unico schema di reporting per tutti e tre i gruppi di intermediari, con informazioni richieste articolate in sei aree o sezioni tematiche. Tuttavia la profondità e l’estensione di ciascuna sezione è modulare, in funzione della complessità organizzativa e operativa dell’intermediario (si veda al successivo paragrafo
4.2 per il dettaglio delle aree informative);
(16) Resta fermo che il provvedimento in parola può anche derivare, come avviene già oggi, dall’accertamento - in sede cartolare o ispettiva - di anomalie gestionali o del mancato rispetto delle normative vigenti che dovessero emergere al di fuori del processo di revisione dell’ICAAP.
(17) Cosiddetto progetto COREP, si veda CEBS - Cover Note to the Final Report on the Framework for Common Reporting of the New Solvency Ratio (COREP/06/01 13 January 2006)
(18) Cfr. Documento per la consultazione “Recepimento della nuova regolamentazione prudenziale
internazionale - Informativa al pubblico”, pubblicato nel mese di luglio 2006 (xxx.xxxxxxxxxxxx.xx).
- applicazione del principio di economicità delle richieste informative: le informazioni di natura quali-quantitativa già disponibili presso l’intermediario - sia quelle che lo stesso rende pubbliche in osservanza di altre disposizioni normative, sia quelle predisposte a fini interni - sono ritenute valide anche ai fini del reporting sull’ICAAP. Pertanto, qualora l’intermediario disponga già di documenti che forniscono le informazioni relative a una o più parti delle sei aree informative, sarà sufficiente fare rinvio alla documentazione esistente senza predisporre documenti appositi ai fini di rendicontazione all’autorità sull’ICAAP. Nel caso in cui la documentazione si dimostrasse inadeguata, insufficiente o fossero necessari chiarimenti, la Vigilanza rappresenterebbe l’esigenza di integrazione della stessa avviando in tal modo il confronto e il dialogo con gli intermediari;
- gradualità dell’entrata in vigore: sono previsti obblighi di reporting più contenuti in termini di informazioni richieste (c.d. reporting ICAAP semplificato, si veda al successivo paragrafo 4.3 per l’entrata in vigore) in sede di prima applicazione della pianificazione patrimoniale interna con riferimento al primo semestre 2007 o 2008: ciò per consentire un affinamento graduale della pianificazione patrimoniale interna e della rappresentazione dell’ICAAP alla Vigilanza;
- semplificazione delle incombenze amministrative: la cadenza delle rendicontazioni ICAAP è di norma annuale e la data di inoltro alla Vigilanza è allineata a quella delle segnalazioni prudenziali; per alcune sezioni informative non è obbligatorio l’aggiornamento annuale se non sono intervenute variazioni di rilievo; pertanto, per alcune sezioni di natura strutturale e descrittiva, sarà possibile confermare le informazioni rassegnate l’anno precedente. Infine, per le informazioni quantitative della rendicontazione (cfr. aree informative 4 e 5 di cui al paragrafo successivo e all’allegato 5) gli intermediari potranno replicare i contenuti dello schema segnaletico prudenziale, che verrà aggiornato per recepire le nuove norme comunitarie.
4.2 Contenuti e struttura dell’informativa sull’ICAAP
Il resoconto ICAAP è finalizzato a consentire alla Vigilanza di effettuare una valutazione documentata e complessiva sia delle caratteristiche qualitative fondamentali del processo di pianificazione patrimoniale, sia delle grandezze considerate sotto un profilo di esposizione complessiva ai rischi e di quantificazione del patrimonio ritenuto adeguato a fronteggiarli.
Il resoconto ICAAP viene inviato alla Banca d’Italia unitamente alle delibere e alle relazioni con le quali gli organi aziendali si sono espressi sul processo ICAAP, secondo le rispettive competenze e attribuzioni (si veda il successivo par. 5).
Il rendiconto ICAAP che l’intermediario rassegna alla Vigilanza ha un duplice contenuto: descrittivo e valutativo.
L’ICAAP deve infatti in primo luogo consentire alla Vigilanza di comprendere: la struttura, sotto un profilo organizzativo e metodologico, del processo di pianificazione del capitale e quella dei sistemi di misurazione, monitoraggio e gestione dei rischi rilevanti; gli scenari strategici e competitivi nei quali l’intermediario ha collocato la propria pianificazione patrimoniale a medio termine e, in particolare, annuale; la ripartizione delle competenze tra le varie funzioni o strutture aziendali preposte alla gestione o ai controlli interni.
L’ICAAP deve altresì contenere la valutazione dell’intermediario circa il proprio processo interno di pianificazione patrimoniale: devono essere identificate le aree di miglioramento, sia sotto un profilo metodologico sia sul piano organizzativo.
L’intermediario deve rendere nota alla Vigilanza la propria autovalutazione, complessiva e di dettaglio, del processo ICAAP, individuando specificamente le eventuali carenze del processo, le azioni correttive da porre in essere (19), la pianificazione temporale delle medesime.
Attesa la centralità del resoconto ICAAP nel definire e modulare il dialogo tra Vigilanza e intermediari, nonché l’intensità dell’azione di supervisione, è necessario che nel rendiconto ICAAP vengano individuate le funzioni/strutture aziendali alle quali è stata attribuita la responsabilità del processo ICAAP e quelle che hanno compiti di revisione dello stesso: tali funzioni/strutture svolgono il ruolo di interlocutori di riferimento della Vigilanza in materia di ICAAP.
Le aree informative nelle quali si chiede agli operatori di strutturare il proprio resoconto sono le seguenti:
1) principali ipotesi strategiche e di mercato prese a riferimento per la pianificazione ICAAP;
2) governo societario, assetti organizzativi e sistemi di controllo interno connessi con l’ICAAP;
3) metodologie e criteri utilizzati per l’identificazione, la misurazione, l’aggregazione dei rischi e per la conduzione degli stress test;
4) stima e componenti del capitale interno con riferimento alla fine dell’esercizio precedente e, in un’ottica prospettica, dell’esercizio in corso. Eventuali obiettivi di capitale a medio termine in presenza di un piano strategico pluriennale. Eventuali metodi di allocazione del capitale interno;
5) computabilità a fini di vigilanza delle componenti a copertura del capitale interno; riconciliazione del capitale interno con il requisito minimo patrimoniale e con il patrimonio di vigilanza;
6) autovalutazione dell’ICAAP, identificazione delle aree suscettibili di miglioramento e pianificazione degli interventi previsti sul piano patrimoniale od organizzativo.
Le scelte relative alla profondità e estensione del documento, così come alla documentazione alla quale fare rinvio, sono rimesse all’autonomo giudizio degli intermediari.
Ciò premesso, al fine di ridurre gli oneri amministrativi a carico degli operatori e di facilitare il processo di revisione dell’ICAAP da parte della Vigilanza, si ritiene utile fornire nell’allegato 5 maggiori dettagli sul contenuto informativo atteso per le singole aree informative. Fermo restando che la ripartizione in sei aree informative va utilizzata da tutte e tre le categorie di intermediari, per gli intermediari del gruppo 3 il rendiconto potrà avere un’articolazione più contenuta rispetto a quella proposta nell’allegato 5.
Gli intermediari appartenenti a gruppi con impresa madre comunitaria, che effettuano in Italia un ICAAP su base individuale o sotto-consolidata forniranno un raccordo sintetico con l’ICAAP condotto a livello consolidato dall’impresa capogruppo comunitaria.
(19) Ad esempio in termini di: processo di pianificazione, approvazione e comunicazione interna degli obiettivi; rischi che meritano un presidio – di tipo metodologico, patrimoniale o organizzativo - più accurato; rafforzamento di risorse sotto un profilo quali-quantitativo; inadeguatezza della ripartizione di competenze tra le strutture di gestione e di controllo dei rischi.
La Banca d’Italia è interessata a conoscere l’opinione degli operatori circa la struttura, i contenuti e la periodicità della rendicontazione ICAAP.
4.3 Periodicità dell’informativa sull’ICAAP
4.3.1 Prima applicazione della disciplina
In sede di prima applicazione della nuova disciplina gli obblighi a carico degli operatori saranno articolati secondo le modalità di seguito illustrate.
Le banche e le SIM che applicheranno la nuova normativa su base consolidata nel primo semestre del 2007 o del 2008 saranno tenuti a redigere e a trasmettere alla Vigilanza:
- nei mesi di ottobre (rispettivamente 2007 o 2008) una prima rendicontazione ICAAP semplificata riferita alla situazione al 30 giugno;
- dopo sei mesi, ossia ad aprile (rispettivamente 2008 o 2009) una rendicontazione ICAAP completa riferita alla situazione al 31 dicembre.
Tenuto conto dei diversi termini per l’invio delle segnalazioni di vigilanza, gli intermediari tenuti al rispetto della nuova disciplina su base individuale redigono e trasmettono alla vigilanza a settembre (2007 o 2008) la rendicontazione ICAAP semplificata e a marzo (2008 o 2009) quella completa, riferite sempre, rispettivamente, al 30 giugno e al 31 dicembre.
Le banche e le SIM che si adegueranno alla nuova normativa su base consolidata nel secondo semestre del 2007 saranno tenute ad effettuare la rendicontazione ICAAP completa in corrispondenza di aprile 2008. La data di invio per gli intermediari non appartenenti a gruppi sarà fissata invece a marzo 2008.
La previsione di una rendicontazione ICAAP “semplificata” risponde alla richiamata esigenza di gradualità nell’applicazione della nuova normativa. In tale sede gli intermediari potranno, infatti:
- valutare il capitale interno solo con riferimento, oltre che ai rischi del primo pilastro, agli altri rischi per i quali la Vigilanza ha indicato metodologie semplificate di misurazione di un eventuale requisito prudenziale (tasso di interesse e rischio di concentrazione);
- utilizzare metodologie di misurazione e aggregazione dei rischi e di stress testing ad uno stadio di definizione ancora non completamente affinate.
Le SGR e gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale previsto dall’art.
107 del TUB saranno tenuti ad effettuare la rendicontazione ICAAP completa in corrispondenza di marzo 2009.
4.3.2 La disciplina a regime
Dopo la prima applicazione (sia che l’ICAAP sia stato prodotto nel 2007 che nel 2008), tutti gli intermediari dovranno trasmettere annualmente con riferimento al 31 dicembre una rendicontazione ICAAP completa.
Il documento ICAAP completo verrà rassegnato ogni marzo/aprile (aprile nel caso dei gruppi e marzo nel caso degli intermediari non appartenenti ai gruppi) e, partendo dalla dotazione patrimoniale della chiusura dell’anno precedente, pianificherà le strategie di assunzione di rischio e di relativa copertura patrimoniale per l’esercizio in corso, sino a dicembre.
5. LE RESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI AZIENDALI NELL’ICAAP
La determinazione del capitale interno è frutto di un processo organizzativo complesso, che è parte integrante delle gestione aziendale e contribuisce a determinare le strategie e l’operatività corrente degli intermediari. Tale processo richiede il coinvolgimento di una pluralità di strutture e professionalità (funzioni di pianificazione, risk management, internal audit, contabilità etc.) e il fattivo contributo delle società facenti parte del gruppo.
La responsabilità ultima del processo ICAAP è rimessa agli organi di governo dell’intermediario, secondo le rispettive competenze e prerogative. L’individuazione, nel concreto, degli organi, delle funzioni o delle strutture aziendali cui compete la responsabilità dei vari elementi costitutivi del processo ICAAP, dell’approvazione (ed aggiornamento) di quest’ultimo ovvero della sua revisione spetta ai singoli intermediari, che dovranno tenere conto della proprie caratteristiche organizzative e di governo societario.
A quest’ultimo riguardo si osserva che in ciascuna organizzazione societaria, a prescindere dal modello di amministrazione e controllo adottato (monistico, dualistico o tradizionale), sono presenti organi aziendali di vertice cui competono le funzioni di supervisione strategica, di gestione ordinaria e di controllo (20). Detti organi, ciascuno secondo le rispettive funzioni, devono essere coinvolti nel processo ICAAP.
Più in particolare, gli organi che svolgono funzioni di supervisione strategica approvano il processo ICAAP, assicurandosi in particolare che le metodologie adottate e gli obiettivi perseguiti siano coerenti con il profilo di rischio dell’intermediario e con il contesto strategico e operativo di riferimento.
I profili tecnici attuativi del processo ICAAP sono invece, di norma, rimessi agli organi esecutivi, che impartiscono le disposizioni necessarie affinché il processo ICAAP sia rispondente alle esigenze aziendali delineate dagli organi con funzioni di supervisione strategica e in particolare: consideri tutti i rischi rilevanti; incorpori valutazioni prospettiche; utilizzi proporzionalmente le metodologie; sia conosciuto e condiviso dalle strutture interne; sia adeguatamente formalizzato e documentato (oltre a obiettivi, contenuti, metodologie e procedure sottostanti all’ICAAP, devono essere adeguatamente specificati e documentati i ruoli e le funzioni assegnate agli organi e alle strutture aziendali).
E’ poi nella responsabilità delle funzioni sia di supervisione strategica sia di gestione ordinaria assicurare che il processo di determinazione del capitale interno sia parte integrante dell’attività gestionale, assicurandosi che vi sia un effettivo utilizzo del processo
(20) In linea generale, nel modello tradizionale la funzione di supervisione strategica spetta al consiglio di amministrazione, come organo collegiale, mentre la gestione ordinaria spetta al comitato esecutivo e all’amministratore delegato, ove presenti; la funzione di controllo è esercitata dal collegio sindacale. Nel modello dualistico, la supervisione strategica e il controllo fanno capo al consiglio di sorveglianza - quando a quest’ultimo sono attribuite competenze di alta amministrazione – e la gestione ordinaria al consiglio di gestione. Sempre nel modello dualistico, il consiglio di sorveglianza, se non ha competenze di alta amministrazione, svolge soltanto le funzioni di controllo, mentre la supervisione strategica e la gestione ordinaria sono incardinate nel consiglio di gestione. Nel modello monistico la supervisione strategica spetta al consiglio di amministrazione, come organo collegiale, la gestione ordinaria al comitato esecutivo o all’amministratore delegato, la funzione di controllo al comitato per il controllo interno.
ICAAP nelle decisioni d’impresa (21). A tal fine l’organo con funzioni di gestione ordinaria assicura che le decisioni operative derivanti dall’ICAAP siano comunicate a tutte le unità operative coinvolte e che l’attuazione dell’ICAAP sia affidata a risorse quali- quantitativamente adeguate e dotate dell’autorità necessaria a far rispettare la pianificazione. Modifiche significative delle linee strategiche, del contesto operativo di riferimento, del business plan aziendale andranno prese in considerazione dagli organi aziendali e, soprattutto, dalla funzione di supervisione strategica, al fine di promuovere coerenti e tempestivi adeguamenti dell’ICAAP.
Agli organi con funzioni di controllo è affidato il compito di revisione dell’ICAAP; essi accertano, in confronto dialettico con l’organo gestorio, l’adeguatezza, formale e sostanziale, del processo. Le relative valutazioni trovano evidenza in apposite relazioni, da trasmettere alla Banca d’Italia (cfr. paragrafo 4.2).
Infine, gli intermediari possono esternalizzare alcune “componenti” o fasi del complessivo processo di determinazione del capitale interno, a condizione che gli organi aziendali mantengano piena e esclusiva responsabilità dell’ICAAP e della sua coerenza con le specificità e le caratteristiche operative aziendali. In particolare, gli operatori devono porre le usuali cautele per verificare che le prestazioni dei soggetti esterni ai quali è stata delegata una fase dell’ICAAP rispondano ai criteri stabiliti dall’intermediario in termini di qualità, coerenza e replicabilità delle analisi svolte.
(21) In concreto il capitale interno, con i dovuti adattamenti, riveste un ruolo importante nelle scelte relative all’allocazione del capitale tra le diverse unità operative, ovvero nella pianificazione strategica e nella costruzione del budget.
Allegato 1 - I rischi da sottoporre a valutazione nell’ICAAP
Rischi del Primo pilastro
- Rischio di credito (comprende il rischio di controparte, ossia il rischio che la controparte di un’operazione risulti inadempiente prima del regolamento definitivo dei flussi finanziari di un’operazione);
- rischio di mercato;
- rischio operativo.
Altri Rischi
- Rischio di concentrazione: rischio derivante da esposizioni verso controparti, gruppi di controparti collegate e controparti del medesimo settore economico o che esercitano la stessa attività o che trattano la stessa merce o appartenenti alla medesima area geografica (per il rischio di concentrazione verso singole controparti si veda allegato 2);
- rischio di tasso di interesse derivante da attività diverse dalla negoziazione: rischio derivante da variazioni potenziali dei tassi di interesse (si veda allegato 3);
- rischio di liquidità: il rischio che l’intermediario non sia in grado di adempiere alle proprie obbligazioni alla loro scadenza (si veda allegato 4);
- rischio residuo: il rischio che le tecniche riconosciute per l’attenuazione del rischio di credito utilizzate dall’intermediario risultino meno efficaci del previsto;
- rischi derivanti da cartolarizzazioni: rischio che la sostanza economica dell’operazione di cartolarizzazione non sia pienamente rispecchiata nelle decisioni di valutazione e di gestione del rischio;
- rischio strategico;
- rischio reputazionale.
Allegato 2 - rischio di concentrazione per singole controparti
Il requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito previsto dalla direttiva 2006/48 si fonda sull’ipotesi che il portafoglio creditizio sia costituito da un numero molto elevato di esposizioni, ciascuna delle quali di importo scarsamente significativo. Sotto tali ipotesi è possibile calcolare il valore a rischio del portafoglio come somma dei requisiti patrimoniali delle singole posizioni e indipendentemente dalla composizione del portafoglio stesso.
Se però il numero delle posizioni è ridotto, oppure se esistono singole posizioni che rappresentano una percentuale consistente dell’esposizione totale, le ipotesi sulle quali si basa il calcolo del requisito patrimoniale sono violate e il capitale regolamentare allocato a fronte del rischio di credito può non rappresentare una garanzia sufficiente. Le modalità di calcolo del requisito patrimoniale minimo ai sensi del primo pilastro determinano infatti, a parità di altre condizioni, lo stesso requisito per un portafoglio (A) costituito da dieci esposizioni, ciascuna delle quali rappresenta il 10% dell’esposizione totale e per un portafoglio (B) costituito da cento esposizioni, ciascuna delle quali rappresenta l’1% dell’esposizione totale.
Infatti, il calcolo del requisito patrimoniale con riferimento al portafoglio creditizio avviene, sia nel metodo standardizzato sia in quelli IRB (22), in maniera analoga:
Requisito patrimoniale = 8 % × attivo ponderato per il rischio (RWA) Dove, nel quadro del metodo IRB:
n
RWA =12.5 ×∑Ki × EADi
i =1
[1]
e nel quadro del metodo standardizzato:
n
RWA = ∑ Ponderazio nei × Esposizion ei
i =1
Il metodo di aggregazione per il computo dell’attivo ponderato per il rischio è invariante rispetto alla composizione del portafoglio (cfr. equazione [1]).
Questo approccio comporta una notevole semplicità di calcolo, in quanto il rischio creditizio complessivo è dato dalla somma dei rischi delle singole esposizioni e il rischio di ogni esposizione può essere calcolato indipendentemente da tutte le altre.
(22) I metodi standardizzato e IRB differiscono relativamente ai metodi di quantificazione dei fattori di ponderazione ( Ki ). Nell’ambito dei metodi standardizzato e IRB base, le esposizioni ( EADi ) si calcolano secondo identiche prescrizioni regolamentari. Soltanto il metodo IRB avanzato prevede
elaborazioni statistiche degli operatori bancari per la determinazione dell’esposizione. Per la notazione relativa al metodo IRB cfr. il documento per la consultazione sul metodo IRB di luglio 2006.
La formula trascura il rischio di concentrazione, come dimostra la costruzione dei due portafogli (A) e (B), le cui esposizioni sono caratterizzate dalla medesima qualità creditizia e alla quale corrisponde lo stesso attivo ponderato per il rischio, indipendentemente dal numero delle esposizioni di ciascun portafoglio:
- portafoglio (A):
Ki = 8%, EADi = 10, per i = 1,…,100 🡪 XXXx 0000;
- portafoglio (B):
Ki = 8%, EADi = 1, per i = 1,..,1000 🡪 XXXx 0000.
Il requisito patrimoniale di cui al primo pilastro è identico per (A) e (B), benché il portafoglio (B) sia evidentemente meno rischioso del portafoglio (A), in quanto la perdita causata dall’insolvenza di un solo cliente nel portafoglio (A) corrisponde alla perdita causata dall’insolvenza di 10 clienti nel portafoglio (B). Pertanto si presenta di seguito una possibile metodologia per determinare il requisito di capitale aggiuntivo rispetto a quello di previsto dal primo pilastro per fronteggiare i rischi creditizi.
Metodologia semplificata
Sulla base di approfondimenti della letteratura in materia (23) e di studi svolti nell’ambito del Comitato di Basilea, è stato ricavato un algoritmo semplificato per la quantificazione di capitale per il rischio di concentrazione sulle singole esposizioni (cosiddetto Granularity Adjustment, GA ).
Ipotizzando un modello di portafoglio di tipo CreditMetrics ad un unico fattore (coerentemente con la funzione regolamentare del metodo IRB) e supponendo che tutte le esposizioni siano caratterizzate dai medesimi parametri regolamentari ( PD , LGD ), si ottiene il seguente algoritmo per il computo del capitale aggiuntivo:
n
GA =C × H × ∑EADi
i =1
[2]
Nell’equazione [2] H rappresenta l’indice di Herfindahl calcolato rispetto alle esposizioni, ovvero:
(∑n
EAD 2 )
∑
H = (
i =1 i
[3]
n i =1
2
EADi
)
Il valore della costante di proporzionalità C è stato calibrato coerentemente con il modello analizzato da Xxxxx e Tasche (2005) e dipende dai valori dei parametri regolamentari ( , PD , LGD ). Coerentemente con le scelte metodologiche effettuate nel quadro del modello IRB Foundation la Banca d'Italia si sta orientando sui seguenti valori:
ρ = 18% e LGD = 45% , per i quali, a seconda del valore di PD corrisponde la seguente costante:
PD | 0,5% | 1% | 2% | 3% | 4% | 5% | 6% | 7% | 8% | 9% | 10% |
C | 0,773 | 0,784 | 0,848 | 0,885 | 0,909 | 0,927 | 0,939 | 0,948 | 0,955 | 0,959 | 0,963 |
(23) X. Xxxxx e D. Tasche. Calculating credit risk capital charges with the one-factor model. Journal of Risk. 7, pagg. 85-101, 2005.
X. Xxxxx. Granularity adjustment in portfolio credit risk measurement. Risk measures for the 21st century, Xx. X. Xxxxx, Wiley, 2004.
X. Xxxxxx and X. Xxxxx. Unsystematic credit risk. Risk Magazine, 15, pagg. 123-128, 2003.
In un’ottica prudenziale, si considera appropriato utilizzare come valore di PD il massimo tra 0,5% e la media degli ultimi 3 anni del tasso di ingresso in sofferenza rettificato caratteristico del portafoglio dell’istituzione finanziaria.
A fini esemplificativi, considerando i due portafogli di cui in premessa e calibrando la costante C sulla base di una PD pari all’1%, ( ossia C = 0,784), si ottiene, per il portafoglio A (ovvero per il più concentrato) GA = 7,84 (pari allo 0,8% di RWA, ossia 7,84 euro di ipotetico requisito aggiuntivo rispetto al requisito di 80 euro a fronte del rischio creditizio generato da 1000 euro di RWA), mentre per il portafoglio B (meno concentrato) GA = 0,784 (pari allo 0,08% di RWA). In generale, mantenendo costante l’esposizione totale, GA tende a decrescere all’aumentare del numero delle esposizioni e a assumere valori prossimi allo zero in portafogli altamente granulari, ovvero caratterizzati da un elevato numero di esposizioni di importo modesto.
Si noti che l’equazione [2], a seguito della semplificazione introdotta ipotizzando l’omogeneità degli operatori in termini di PD e LGD, è caratterizzata da un’elevata semplicità di calcolo e per questo fornisce uno strumento facilmente replicabile ma comunque accurato per il monitoraggio del rischio di concentrazione e per il calcolo di un requisito aggiuntivo rispetto a quello di cui al primo pilastro per gli operatori a complessità ridotta. Inoltre GA rappresenta un utile valore di riferimento per gli altri intermediari, fermo restando che la Banca d'Italia si attende da parte degli operatori l’utilizzo di tecniche di quantificazione del rischio il cui livello di accuratezza sia proporzionale alla complessità operativa degli stessi. In particolare, qualora delle istituzioni finanziarie il cui modello interno IRB è stato convalidato volessero fare riferimento alla presente metodologia, esse dovranno apportare alla medesima opportuni affinamenti e, in particolare, calcolare un aggiustamento per la granularità che tenga conto dei valori di PD e LGD specifici di ogni creditore (24).
In merito alla tecnica di quantificazione del rischio di concentrazione e del relativo requisito patrimoniale si richiede l’opinione degli operatori bancari, con particolare riferimento a:
- determinazione della costante C;
- possibili problemi nel calcolo di H;
- introduzione di una soglia minima di esposizione al di sotto della quale il credito è escluso dal calcolo di GA
- computo di GA solo limitatamente ad alcuni sottoportafogli (ad esempio il portafoglio corporate);
- frequenza con la quale è possibile effettuare il calcolo di GA senza eccessivi oneri computazionali.
(24) Ad esempio Xxxxx e Tasche 2005, cfr. nota 23
Allegato 3 - rischio di tasso sul banking book
La Direttiva 2006/48 prescrive che gli intermediari si dotino di norme, processi e strumenti efficaci per la gestione e la sorveglianza del rischio tasso di interesse derivante da attività diverse da quelle di negoziazione (25). Sono previsti interventi da parte delle autorità di vigilanza nei casi in cui l’esposizione al rischio tasso d’interesse sia tale da causare una riduzione del valore economico dell’azienda superiore al 20 % dei fondi propri, in seguito a una variazione ipotetica e imprevista dei tassi (26).
Nell’intento di agevolare gli operatori, la Banca d’Italia ritiene opportuno fornire linee guida metodologiche - coerenti con le indicazioni fornite dal Comitato di Basilea (27) - per la realizzazione di un sistema semplificato per la misurazione del capitale interno a fronte del rischio di tasso del portafoglio bancario.
Metodologia semplificata
L’esposizione al rischio di tasso è misurata con riferimento alle attività e alle passività – delle unità operanti in Italia e all’estero - comprese nel portafoglio bancario (28). La metodologia si presta ad essere applicata sia a livello individuale che a livello consolidato.
1) Determinazione delle “valute rilevanti”
Si considerano “valute rilevanti” le valute il cui peso misurato come quota sul totale attivo oppure sul passivo del portafoglio bancario sia superiore al 5 per cento. Ai fini della metodologia di calcolo dell’esposizione al rischio di tasso (cfr. i seguenti punti 2, 3 e 4) le posizioni denominate in “valute rilevanti” sono considerate valuta per valuta, mentre le posizioni in “valute non rilevanti” vengono aggregate (29).
2) Classificazione delle attività e delle passività in fasce temporali
Le attività e le passività a tasso fisso sono classificate in 14 fasce temporali (cfr. tavola 1) in base alla loro vita residua. Le attività e le passività a tasso variabile sono ricondotte nelle diverse fasce temporali sulla base della data di rinegoziazione del tasso di interesse.
La riserva obbligatoria è collocata nella fascia “fino a 1 mese” (30).
Le sofferenze (al netto delle svalutazioni analitiche) sono collocate nella fascia "5 - 7 anni" conformemente a una stima della vita residua di tali crediti effettuata sulla base del loro tasso di rotazione.
Le operazioni pronti contro termine su titoli sono trattate come operazioni di finanziamento e di raccolta.
(25) Art. 22 e Allegato V.
(26) Art. 124, par. 5.
(27) Principles for the Management and Supervision of Interest Rate Risk, Basel Committee on Banking Supervision, July 2004.
(28) E’ escluso il portafoglio di negoziazione in quanto soggetto a un apposito requisito patrimoniale di primo
pilastro. Cfr. Documento per la consultazione “Recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale - Requisiti patrimoniali sui rischi di mercato”, pubblicato nel mese di ottobre 2006 (xxx.xxxxxxxxxxxx.xx).
(29) Di conseguenza per le sole “valute non rilevanti” si ammette la compensazione tra importi espressi in
valute diverse.
(30) Ciò in coerenza con la frequenza delle operazioni di rifinanziamento principale dell’Eurosistema, il rendimento delle quali è preso a riferimento per la remunerazione della riserva obbligatoria.
I c/c attivi sono classificati nella fascia "a vista" (31) mentre la somma dei c/c passivi e dei depositi liberi è da ripartire secondo le seguenti indicazioni:
- nella fascia "a vista", sino a concorrenza dell'importo dei c/c attivi;
- per il rimanente importo nelle successive quattro fasce temporali (da "fino a 1 mese" a "6 mesi - 1 anno") in misura proporzionale al numero dei mesi in esse contenuti (32).
3) Ponderazione delle esposizioni nette all’interno di ciascuna fascia
All’interno di ogni fascia le posizioni attive sono compensate con quelle passive, ottenendo in tale modo una posizione netta. La posizione netta di ogni fascia è moltiplicata per i fattori di ponderazione indicati nella tavola 1. Questi fattori sono ottenuti come prodotto tra una variazione ipotetica dei tassi - 200 punti base per tutte le scadenze - e una approssimazione della duration modificata relativa alle singole fasce (33).
4) Somma delle esposizioni ponderate delle diverse fasce
Le esposizioni ponderate delle diverse fasce sono sommate tra loro (34). L’esposizione ponderata netta ottenuta in questo modo approssima la variazione del valore attuale delle poste denominate in una certa valuta nell’eventualità dello shock di tasso ipotizzato.
5) Aggregazione delle esposizioni nelle diverse valute
I valori assoluti delle esposizioni relative alle singole “valute rilevanti” e all’aggregato delle “valute non rilevanti” sono sommati tra loro (35). In questo modo si ottiene un valore che rappresenta la variazione di valore economico (36) aziendale a fronte dell’ipotizzato scenario sui tassi di interesse.
6) Determinazione dell’indicatore di rischiosità
L’importo ottenuto al punto 5) viene rapportato al patrimonio di vigilanza ottenendo in questo modo l’indice di rischiosità, la cui soglia di attenzione è fissata al 20 %.
Approfondimenti metodologici
La metodologia presentata si basa su alcune assunzioni semplificatrici fra le quali quella più rilevante appare l’ipotesi di spostamento parallelo della curva dei rendimenti. Inoltre essa non tiene conto delle differenze di volatilità dei tassi relativi alle diverse scadenze e alle diverse valute. Per tale motivo - in coerenza con le indicazioni metodologiche fornite dal Comitato di Basilea - è auspicabile che gli intermediari, tenendo conto dell’effettivo livello di complessità operativa che sperimentano e delle condizioni di mercato che si manifestano, rafforzino la metodologia semplificata con misure basate sulla stima interna degli shock di tasso, in sostituzione o in alternativa alle variazioni parallele di 200 punti base.
(31) Fanno eccezione i rapporti formalmente regolati come conti correnti,ma riconducibili ad altre forme di impiego aventi uno specifico profilo temporale (ad esempio, gli anticipi s.b.f.).
(32) Ad esempio, nella fascia "fino a 1 mese" va inserito 1/12 dell'importo residuo, nella fascia "6 mesi - 1 anno" 6/12.
(33) La duration modificata approssima la sensitività del valore economico di una posizione ricadente in una fascia rispetto alle variazioni del tasso di interesse di fascia. Il documento del Comitato di Xxxxxxx precisa che essa è stata calcolata ipotizzando che le posizioni ricadenti in ogni fascia avessero un rendimento del 5%.
(34) Di conseguenza è ammessa la piena compensazione tra le esposizioni positive e negative nelle diverse fasce.
(35) Considerare la somma dei valori assoluti corrisponde a ipotizzare in un’ottica prudenziale la combinazione di shock di tasso, positivi e negativi, peggiore per l’intermediario.
(36) Il valore economico è definito coma valore attuale dei flussi di cassa.
Più in particolare, gli shock di tasso relativi alle singole “valute rilevanti” per ogni fascia potranno essere calcolati come 1° e il 99° percentile della distribuzione delle variazioni annuali del tasso di interesse osservate su un periodo di almeno cinque anni (37).
Tavola 1 - Fattori di ponderazione per la metodologia semplificata
Fascia temporale | Scadenza mediana per fascia | Duration modificata approssimata (A) | Shock di tasso ipotizzato (B) | Fattore di ponderazione (C)=(A)x(B) |
A vista e revoca | 0 | 0 | 200 punti base | 0,00 % |
fino a 1 mese | 0,5 mesi | 0,04 anni | 200 punti base | 0,08 % |
da oltre 1 mese a 3 mesi | 2 mesi | 0,16 anni | 200 punti base | 0,32 % |
da oltre 3 mesi a 6 mesi | 4,5 mesi | 0,36 anni | 200 punti base | 0,72 % |
da oltre 6 mesi a 1 anno | 9 mesi | 0,71 anni | 200 punti base | 1,43 % |
da oltre 1 anno a 2 anni | 1,5 anni | 1,38 anni | 200 punti base | 2,77 % |
da oltre 2 anni a 3 anni | 2,5 anni | 2,25 anni | 200 punti base | 4,49 % |
da oltre 3 anni a 4 anni | 3,5 anni | 3,07 anni | 200 punti base | 6,14 % |
da oltre 4 anni a 5 anni | 4,5 anni | 3,85 anni | 200 punti base | 7,71 % |
da oltre 5 anni a 7 anni | 6 anni | 5,08 anni | 200 punti base | 10,15 % |
da oltre 7 anni a 10 anni | 8,5 anni | 6,63 anni | 200 punti base | 13,26 % |
da oltre 10 anni a 15 anni | 12,5 anni | 8,92 anni | 200 punti base | 17,84 % |
da oltre 15 anni a 20 anni | 17,5 anni | 11,21 anni | 200 punti base | 22,43 % |
oltre 20 anni | 22,5 anni | 13,01 anni | 200 punti base | 26,03 % |
(37) Di conseguenza questo approccio stima separatamente due distinti scenari di rialzo/ribasso del tasso di interesse.
Allegato 4 - rischio di liquidità
Lineamenti generali
Il rischio di liquidità si manifesta in genere sotto forma di inadempimento ai propri impegni di pagamento, che può essere causato da incapacità di reperire fondi (funding liquidity risk) ovvero dalla presenza di limiti allo smobilizzo delle attività (market liquidity risk).
Nell’ambito dei rischi di liquidità si comprende anche il rischio di fronteggiare i propri impegni di pagamento a costi non di mercato, ossia sostenendo un elevato costo della provvista ovvero (e talora in modo concomitante) incorrendo perdite in conto capitale in caso di smobilizzo di attività.
La configurazione del rischio di liquidità più studiata nel settore finanziario e sulla quale si concentra generalmente l’attenzione delle autorità di supervisione è quella del rischio di funding: esso ha carattere idiosincratico e può innescare molto velocemente reazioni da parte delle controparti di mercato, che si rendono indisponibili per le usuali transazioni ovvero chiedono in contropartita una remunerazione maggiore; entrambe le circostanze, congiuntamente, possono riverberare i loro effetti sulla situazione di solvibilità dell’intermediario che sperimenta tensioni di liquidità.
Nel corso dell’ultimo quinquennio, in particolare, lo sviluppo di strumenti finanziari con strutture temporali dei flussi di cassa complesse, l’ampia presenza di opzionalità in molti strumenti, il vasto ricorso a forme di liquidity enhancement nelle operazioni di cartolarizzazione e, infine, lo sviluppo di hedge funds e di sistemi di pagamento che operano in tempo reale e su basi multilaterali hanno riacceso l’interesse per il rischio di liquidità da parte dell’accademia, dei supervisori e degli intermediari più grandi, i quali sono più esposti al market liquidity risk a causa dell’operatività multivalutaria, cross- country e su più fusi orari che generalmente li caratterizza.
Non si sono tuttavia ancora affermate metodologie robuste e condivise di misurazione e gestione di tale rischio: gli schemi regolamentari in materia sono ancora piuttosto diversificati nell’ambito dei paesi G10, alcuni dei quali prevedono approcci regolamentari di tipo qualitativo, altri (in alternativa o in concomitanza) limiti di tipo quantitativo, talvolta riferiti a stock, talaltra a misure di liquidity gaps.
Tuttavia, nell’assenza di una visione comune sul fronte definitorio, quantitativo e modellistico, si è comunque formato un consenso generalizzato tra autorità di vigilanza relativamente all’opportunità di indicare all’industria delle best practices che possono contribuire a attenuare l’esposizione a tale rischio, o quantomeno le manifestazioni dei suoi effetti.
In tale ambito si inquadrano le disposizioni introdotte dalla direttiva 2006/48, che con l’allegato V introduce un obbligo di predisposizione di strategie e processi volti a misurare e gestire il rischio di liquidità, e in particolare a monitorare costantemente l’evoluzione della posizione finanziaria netta dell’azienda. La nuova normativa prevede altresì che tutte le istituzioni vigilate approntino dei piani di emergenza.
Al riguardo, la Banca d’Italia ritiene opportuno, nell’intento di agevolare gli operatori nell’interpretazione della nuova disciplina comunitaria, fornire alcune indicazioni
- coerenti con le prassi più diffuse censite nell’ambito delle recenti rassegne condotte dalle
autorità di vigilanza a livello internazionale (38) - relative alla misurazione della posizione finanziaria netta, su base corrente e futura.
La valutazione della posizione finanziaria netta
Gli elementi che consentono la predisposizione di un sistema di monitoraggio della posizione finanziaria netta - semplificato rispetto a metodologie di liquidity at risk ma sufficientemente affidabile e più preciso del semplice utilizzo di limiti operativi in termini di stock - sono i seguenti:
− la costruzione di una “maturity ladder”, che consente di valutare l’equilibrio dei flussi di cassa attesi, attraverso la contrapposizione di attività e passività la cui scadenza è all’interno di ogni singola fascia temporale. La maturity ladder consente di evidenziare i saldi e pertanto gli sbilanci tra flussi e deflussi attesi per ciascuna fascia temporale e, attraverso la costruzione di sbilanci cumulati, il calcolo del saldo netto del fabbisogno (o del surplus) finanziario nell’orizzonte temporale considerato. Le principali scelte metodologiche preventive all’adozione di uno schema di maturity ladder si riferiscono:
1. all’orizzonte temporale di riferimento della posizione finanziaria netta (39);
2. alla definizione delle poste altamente liquide (e dei relativi haircuts) che possono essere smobilizzate in breve tempo per fronteggiare gli sbilanci attesi in relazione ai vari scenari;
3. alla modellizzazione dei flussi di cassa delle poste fuori bilancio, ovvero caratterizzate da opzionalità, ovvero a vista.
- il ricorso alla “tecnica degli scenari”, che ipotizza il verificarsi di eventi modificativi di talune poste nelle varie fasce di cui si compone la maturity ladder. L’analisi dell’impatto di tali scenari sulla liquidità consente di avviare transazioni compensative degli eventuali sbilanci e la definizione in via preventiva di limiti operativi in funzione delle proprie dimensioni e della propria complessità.
- la considerazione delle problematiche specifiche di gestione del rischio di liquidità in un contesto multivalutario, tenendo conto della necessità di gestire pool di riserve liquide denominate in valute diverse per il rifinanziamento con banche centrali che utilizzano collaterals denominati in valute differenti.
Gli strumenti di attenuazione del rischio di liquidità
Al monitoraggio della posizione netta di liquidità si deve affiancare l’adozione di strumenti di attenuazione del rischio, quale è, tipicamente, il piano di emergenza (Contingency Funding Plan). Il CFP considera generalmente le proiezioni dei cash flows e delle fonti di finanziamento di una istituzione finanziaria a date future: tali proiezioni vengono generate da vari tipi di scenario (40), accomunati dalla presenza di aumento degli impegni e degli esborsi di cassa e dalla pressione sulle attività prontamente liquidabili.
(38) Per una rassegna aggiornata delle prassi in uso a livello internazionale presso gli intermediari finanziari si veda il recente lavoro del Joint Forum: “The management of liquidity risk in financial groups”, BCBS,
May 2006
(39) Gli operatori stanno riducendo progressivamente l’orizzonte temporale di monitoraggio del rischio di liquidità, che in media va attestandosi sui tre mesi e in taluni casi arriva ai sei: le scadenze superiori appaiono essere impattate più dalle scelte inerenti la trasformazione delle scadenze, e quindi dalla configurazione temporale che si vuole dare alla struttura di bilancio.
(40) Gli scenari più diffusi sono in genere raggruppabili in tre tipologie: i) scenari di operatività ordinaria, dove
le tensioni di liquidità sperimentate dall’azienda non diventano acute e le contromisure che vengono dispiegate dalla stessa restano nell’ambito dell’ordinaria operatività; ii) scenari di tensioni acute di
Il CFP ha quale principale finalità la protezione del patrimonio dell’intermediario in situazioni di drenaggio di liquidità attraverso la predisposizione di strategie di gestione della crisi e procedure per il reperimento di fonti di finanziamento in caso di emergenza. Gli elementi tipici di un piano di emergenza sono:
− definizione e formalizzazione di una strategia di intervento - che deve essere approvata dai massimi organi amministrativi - che definisca specifiche politiche su determinati aspetti nella gestione del rischio di liquidità, quali:
a) la composizione delle attività e delle passività
b) la diversificazione e la stabilità delle fonti di finanziamento
c) i limiti e le condizioni per l’accesso al mercato interbancario
− catalogazione delle diverse tipologie di tensione di liquidità per identificarne la natura (sistemica o idiosincratica) e le voci di bilancio (attivo e/o passivo) maggiormente interessate nelle diverse ipotesi;
− legittimazione delle azioni di emergenza da parte del management. La strategia di gestione da adottare in caso di tensioni di liquidità deve delineare chiaramente responsabilità e relativi compiti durante una situazione di crisi: deve essere documentata, soggetta periodicamente a revisione, comunicata opportunamente a tutte le strutture potenzialmente coinvolte.
− prevedere stime di back-up liquidity che, in presenza di scenari alternativi siano in grado di determinare con sufficiente attendibilità l’ammontare massimo drenabile dalle diverse fonti di finanziamento.
liquidità a livello della singola istituzione finanziaria, la cui soluzione comporta spesso il ricorso a contromisure di tipo straordinario e sovente legate all’intervento esterno all’azienda; iii) scenari di crisi che interessano tutto il mercato.
Allegato 5 – schema di riferimento per il resoconto ICAAP
1) Linee strategiche e orizzonte previsivo considerato
a) piano strategico e budget annuali; cadenza di revisione del piano strategico e delle sue componenti; eventi straordinari che motivano la sua revisione
b) riconciliazione tra orizzonte temporale del piano strategico e del piano patrimoniale
c) fonti ordinarie e straordinarie di reperimento di capitale
2) Governo societario, assetti organizzativi e sistemi di controllo connessi con l’ICAAP
a) descrizione del processo di definizione e aggiornamento dell’ICAAP
b) descrizione del processo di revisione dell’ICAAP
c) definizione del ruolo e delle funzioni assegnati a fini ICAAP agli organi aziendali
d) definizione del ruolo e delle funzioni assegnati a fini ICAAP alle varie funzioni aziendali (ad esempio: internal auditing; compliance; pianificazione; risk management; eventuali altre strutture, tra le quali: strutture commerciali di Direzione generale e di rete, contabilità e controllo contabile)
e) descrizione dei presidi organizzativi e contrattuali relativi ad eventuali fasi del processo ICAAP oggetto di outsourcing
f) indicazione della normativa interna rilevante per il processo ICAAP (eventualmente da allegare)
3) Esposizione ai rischi, metodologie di misurazione e di aggregazione, stress testing
a) mappa dei rischi: illustrazione della posizione relativa dell’intermediario rispetto ai rischi di primo e di secondo pilastro
b) mappatura dei rischi per unità operative dell’intermediario e/o per entità giuridiche del gruppo
c) tecniche di misurazione dei rischi, di quantificazione del capitale interno, di conduzione dello stress testing
4) Componenti, stima e allocazione del capitale interno
a) quantificazione del capitale interno per ciascun rischio
b) eventuali metodi di allocazione del capitale interno (per unità operative e/o per entità giuridiche)
5) Raccordo tra capitale interno e requisiti regolamentari
a) raccordo tra capitale interno complessivo e requisiti regolamentari
b) elencazione e definizione delle componenti patrimoniali a copertura del capitale interno
c) computabilità a fini di vigilanza delle componenti a copertura del capitale interno
d) stima degli oneri connessi con il reperimento delle eventuali risorse patrimoniali aggiuntive rispetto a quelle correnti
6) Autovalutazione dell’ICAAP
a) identificazione delle aree del processo suscettibili di miglioramento
b) pianificazione degli interventi previsti sul piano patrimoniale od organizzativo