COLLEGIO DI COORDINAMENTO
COLLEGIO DI COORDINAMENTO
composto dai signori:
(CO) MASSERA Presidente
(CO) XXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia (CO) LUCCHINI GUASTALLA Membro designato dalla Banca d'Italia
(CO) FERRETTI Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(CO) SARZANA DI X. XXXXXXXX Membro di designazione rappresentativa
dei clienti
Relatore Avv. XXXXXXX XXXXXXXX
Seduta del 17/10/2018
FATTO
Con ricorso ricevuto in data 01/02/2018, i ricorrenti hanno esposto:
di agire in qualità di eredi del titolare di una carta Bancomat emessa dall’intermediario resistente;
che tale titolare era deceduto in data 28/04/2016 nell’ospedale dove era stato ricoverato dal 03/04/2016;
che, dopo il decesso, il personale ospedaliero aveva consegnato loro gli effetti personali del defunto;
che solo in seguito i ricorrenti si erano accorti che non era stato riconsegnato loro il portafoglio del de cuius;
che in data 05/05/2016 uno dei ricorrenti, recatosi in una filiale dell’intermediario resistente, era stato informato che tra il 19/04 e il 23/04/2016 ignoti avevano effettuato con la suddetta carta Bancomat n. 5 prelievi per un totale di € 4.750,00 e, più precisamente, n. 4 prelievi da € 1.000,00 ciascuno e n. 1 prelievo da € 750,00;
che in data 06/05/2016 era stata sporta denuncia in relazione a quanto accaduto e il giorno successivo era stato presentato all’intermediario il modulo per il disconoscimento delle operazioni di cui sopra;
che, a seguito del riscontro negativo dato dall’intermediario alla richiesta di rimborso delle operazioni sopra indicate, i ricorrenti avevano presentato un nuovo reclamo, pure respinto dall’intermediario stesso.
Ciò premesso, i ricorrenti hanno chiesto al Collegio territoriale di accertare il loro diritto al rimborso integrale dei prelievi disconosciuti.
L’intermediario ha presentato le proprie difese ed eccepito in via pregiudiziale il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, atteso che:
dai documenti allegati al ricorso risultava che i ricorrenti non erano gli unici eredi del de cuius;
secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la partecipazione al giudizio dei coeredi poteva essere richiesta dal convenuto debitore in relazione ad un concreto interesse all’accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del proprio debito; in casi analoghi, i Xxxxxxx ABF avevano affermato il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti in assenza di una domanda promossa da tutti i coeredi (decisioni n. 8371/16 e n. 7591/15).
Nel merito, l’intermediario ha contestato la fondatezza del ricorso e allegato che:
tutte le operazioni disconosciute erano state effettuate immediatamente dopo il furto della carta e prima del blocco della stessa, con l’utilizzo del dispositivo originale e la corretta digitazione del PIN e in assenza di qualsivoglia anomalia;
dal breve lasso temporale intercorso tra il furto e l’utilizzo dello strumento di pagamento poteva desumersi, non soltanto che il PIN fosse conservato unitamente alla carta sottratta, ma anche che il suddetto codice fosse facilmente individuabile e associabile alla carta;
tali circostanze dimostravano la colpa grave dell’utilizzatore nella custodia della carta di pagamento e delle relative credenziali, in violazione delle previsioni del d.lgs. n. 11/2010 e degli obblighi posti a suo carico dal contratto relativo alla carta di pagamento;
in altri casi caratterizzati dalle medesime circostanze di fatto l’ABF aveva ritenuto sussistente la colpa grave dell’utilizzatore (ex multis, Collegio di Roma, decisioni n. 7166/15 e n. 9854/16).
Ciò premesso, l’intermediario ha chiesto al Collegio di dichiarare il ricorso inaccoglibile.
I ricorrenti hanno presentato una memoria di replica, con la quale hanno affermato che le SS.UU. della Suprema Corte avevano affermato il principio secondo cui i crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, sicché ciascuno dei partecipanti può agire anche singolarmente per far valere il diritto di credito, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi (sentenza n. 24657 del 28/11/2007).
Con propria ordinanza in data 10 ottobre 2018, il Collegio di Bologna ha rimesso la decisione del ricorso al Collegio di coordinamento, ai sensi del punto 5 della Sez. III delle Disposizioni della Banca d’Italia sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari e dell’art. 8, comma 1, del Regolamento per il funzionamento dell’Organo decidente dell’ABF, sottoponendo al Collegio di coordinamento stesso la seguente questione di diritto: “se, a fronte della caduta del credito in comunione, giusta l’apertura della successione a causa di morte del creditore, sussista o meno il potere del singolo coerede di pretendere l’adempimento dell’obbligazione pro quota ovvero per l’intero, senza che il debitore possa rifiutare l’adempimento ovvero eccepire il difetto di legittimazione deducendo la necessità del litisconsorzio”.
DIRITTO
1, Ritiene questo Collegio di coordinamento che la questione di diritto sottopostagli da quello di Bologna comporti l’analisi di due distinti profili, il primo sostanziale e il secondo processuale.
Quanto al primo, questo Collegio deve esaminare la questione se i crediti del de cuius si dividano automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote e, quindi, operi nel nostro ordinamento il principio di diritto romano in base al quale nomina et debita ipso iure dividuntur, oppure entrino a far parte pro indiviso della comunione ereditaria.
Una volta risolto questo primo problema, occorre porsi il secondo e, quindi, chiedersi se i coeredi assumano le vesti di litisconsorti necessari nei giudizi diretti all'accertamento dei crediti ereditari ed al loro soddisfacimento.
2. Ai fini della decisione della questione sostanziale sopra richiamata rilevano le seguenti norme codicistiche:
l’art. 727, comma 1, c.c. (norme per la formazione delle porzioni), il quale prevede che “le porzioni devono essere formate, previa stima dei beni, comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità, in proporzione dell'entità di ciascuna quota”;
l’art. 752 c.c. (ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi), il quale dispone che “i coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto”;
l’art. 757 c.c. (diritto dell'erede sulla propria quota), a norma del quale “ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all'incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari”;
L’art. 760 c.c. (inesigibilità di crediti), il quale prevede che “non è dovuta garanzia per l'insolvenza del debitore di un credito assegnato a uno dei coeredi, se l'insolvenza è sopravvenuta soltanto dopo che è stata fatta la divisione” (comma 1) e che “la garanzia della solvenza del debitore di una rendita è dovuta per i cinque anni successivi alla divisione” (comma 2, enfasi aggiunte).
3. Fermo quanto precede, deve questo Collegio evidenziare che con riferimento al profilo sostanziale sopra richiamato, i Collegi territoriali dell’ABF si sono uniformati alla più recente giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., tra le altre, Cass., 13/10/1992, n. 11128; 21/01/2000, n. 640; 05/09/2006, n. 19062; 25/05/2007, n. 12192; 28/11/2007, n. 24657 e 24/01/2012, n. 995), la quale – discostandosi dall’indirizzo più risalente di cui si dirà in seguito – ritiene che “i crediti ereditari non si divid[a]no automaticamente tra i coeredi in ragione delle proprie quote, ma entr[i]no a far parte della comunione ai sensi degli articoli 727, 757 e 760 cod. civ., venendo ripartiti tra gli stessi al momento della divisione dell'intera massa ereditaria” (così, tra le altre, Collegio di Roma, decisione n. 5399/16; conf. Collegio di Roma, decisione n. 7591/15 e, più recentemente, Collegio di Napoli, decisione n. 1189/18).
4. Venendo a considerare il profilo processuale cui si è pure sopra fatto cenno, si deve qui evidenziare che la giurisprudenza della Cassazione ha visto succedersi due indirizzi tra loro contrastanti in merito all’esistenza di un litisconsorzio necessario tra i coeredi che intendano far valere un credito del de cuius caduto in successione.
Più precisamente, secondo primo e più tradizionale orientamento sopra accennato, poiché i debiti e i crediti del de cuius si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, i congiunti di persona deceduta a causa del fatto illecito altrui possono, ove agiscano iure hereditario, chiedere il ristoro del danno, ciascuno nei limiti della propria quota (in questo senso, Cass., 05/01/1979, n. 31). Con analoga argomentazione Cass., 28/02/1984, n. 1421, ha escluso, con riguardo alla domanda di risarcimento del danno proposta da un coerede, la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri i coeredi. La sentenza n. 4501 del 05/05/1999 ha poi affermato che la prestazione assistenziale o previdenziale può essere richiesta, dopo la morte dell'avente diritto, da
ciascun coerede nei limiti della propria quota (nello stesso senso, Cass., 09/08/2002, n. 12128; 29/03/2004, n. 6237; 05/04/2004, n. 6659).
Il più recente orientamento della Corte di Cassazione richiamato nel paragrafo precedente afferma invece l’esistenza di un litisconsorzio necessario tra i coeredi che facciano valere il credito ereditario e lo fa partendo dall’opposta premessa che – come visto – i crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria. A supporto dell’esistenza di del litisconsorzio le sentenze della Corte di Cassazione di cui si è detto e, in particolare, Cass., 21/01/2000, n. 640, e 05/09/2006, n. 19062, evidenziano che il mantenimento della comunione ereditaria dei crediti sino alla divisione soddisfa l'esigenza di conservare l'integrità della massa e di evitare qualsiasi iniziativa individuale idonea a compromettere l'esito della divisione stessa.
4. A risolvere il contrasto sopra delineato è giunta la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 24657 del 28/11/2007, la quale, innovando rispetto ad entrambi gli indirizzi giurisprudenziali sopra riportati ha affermato che anche nell’ipotesi in cui il coerede intenda far valere il credito del de cuius trova applicazione “il principio generale, affermato dalla costante giurisprudenza [della] Corte, secondo cui ciascun soggetto partecipante alla comunione può esercitare singolarmente le azioni a vantaggio della cosa comune senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri partecipanti, perché il diritto di ciascuno di essi investe la cosa comune nella sua interezza (cfr. Cass. 22 ottobre 1998 n. 10478, 17 novembre 1999 n. 12767, 28 giugno 2001 n. 8842, 6 ottobre 2005 n. 19460).
In questa prospettiva ogni coerede può agire per ottenere la riscossione dell'intero credito, non ponendosi la necessità della partecipazione al giudizio di tutti gli eredi del creditore, atteso che la pronuncia sul diritto comune fatto valere dallo stesso spiega i propri effetti nei riguardi di tutte le parti interessate, restando peraltro estranei all'ambito della tutela del diritto azionato i rapporti patrimoniali interni tra coeredi, destinati ad essere definiti con la divisione.
L'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi può essere richiesta dal convenuto debitore, se ed in quanto egli abbia interesse ad una pronuncia che faccia stato anche nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione”.
Secondo le Sezioni Unite, quindi, da un lato il coerede è legittimato ad agire singolarmente per far valere l’intero credito caduto in successione, ma, dall’altro, il convenuto che si assume debitore ha la facoltà di chiedere l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi qualora abbia interesse ad ottenere una pronuncia che faccia stato nei loro confronti.
5. I collegi territoriali dell’ABF hanno fatto proprio l’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con riferimento al profilo sostanziale, come si è visto sopra, ma se ne sono discostati con riferimento a quello processuale.
Per maggiore chiarezza e data la sua rilevanza ai fini della soluzione della questione oggi sottoposta a questo Collegio, è opportuno riportare qui per esteso il passaggio della già citata decisione del Collegio di Roma n. 7591/15 che per prima ha affrontato ex professo la questione.
In particolare, il Collegio di Roma ha ritenuto che la conclusione raggiunta dalle Sezioni Unite in merito alla legittimazione ad agire del singolo coerede meriti “di essere vagliata con attenzione, perché rischia di condurre a corollari forieri di svolgimenti che mortificano proprio la ratio sottesa alla regola generale” e che “il corollario tratto dalla Suprema Corte lascia molto perplessi anche perché non distingue le iniziative individuali di tutela, volte a proteggere il bene comune o ad accertare la sussistenza di crediti, che sono suscettibili di avvantaggiare anche gli altri coeredi che non le hanno promosse, da iniziative individuali
che non perseguono una funzione di protezione o di accertamento ma implicano l’appropriazione e, di fatto, la liquidazione di tutto il credito o anche di una sola parte di esso, nei limiti della propria quota”.
“Soprattutto [prosegue il Collegio romano] quando la controversia […] riguarda crediti pecuniari, una iniziativa del singolo coerede mirata a riscuotere gli stessi, lungi dall’avvantaggiare la massa ereditaria, rischia di pregiudicare le ragioni degli altri coeredi; né vale obiettare che il coerede che agisce nei limiti della sua quota non può, per definizione, pregiudicare gli interessi degli altri partecipanti alla comunione ereditaria: il pregiudizio è da ravvisare nel fatto che, consentendo al singolo coerede di riscuotere un credito ancorché pro quota e, più in generale, di compiere atti dispositivi senza il coinvolgimento degli altri coeredi, si arreca un vulnus all’integrità della massa e si rischia di compromettere l’esito della divisione.
Potrebbero inoltre esservi altri elementi debitori/creditori in grado in incidere sulla ripartizione dei beni ereditari (crediti compresi) che l’iniziativa del singolo farebbe saltare Alla luce delle considerazioni che precedono, questo Collegio ritiene condivisibile la regula iuris fatta propria dalla citata pronuncia della Cassazione n. 24657/2007, secondo cui i crediti ereditari non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle proprie quote, ma entrano a far parte della comunione.
Ritiene tuttavia meritevole di revisione la conseguenza che la Cassazione ne ha tratto, nella misura in cui ha finito per accreditare iniziative individuali dispositive del diritto di credito senza il coinvolgimento degli altri coeredi con evidente pregiudizio per l’integrità della massa ereditaria e compromissione del buon esito della futura divisione. In particolare, nel caso che qui ci occupa, in cui il singolo coerede chiede lo svincolo delle somme accreditate sul libretto di risparmio intestato al de cuius, la richiesta del singolo coerede, anche se limitata alla quota ad esso spettante, implica la determinazione estintiva del rapporto di deposito e, nei fatti, la liquidazione della propria quota ereditaria.
Proprio per queste ragioni la richiesta del singolo coerede non può essere accolta se non con il consenso degli altri coeredi, come pure l’ABF ha avuto modo di puntualizzare attraverso vari altri pronunciamenti (v., ad esempio: decisioni Collegio ABF di Napoli nn. 310/2012 e 452/2011; decisioni Collegio ABF di Milano nn. 2012/2012 e 2182/2011). Pienamente legittimo, per conseguenza, appare l’operato dell’intermediario nel caso di specie” (enfasi aggiunta).
5. A completamento del quadro sopra delineato si deve qui richiamare la recente ordinanza n. 27417, resa dalla Corte di Cassazione in data 20/11/2017, la quale pure ha sollevato critiche nei confronti della decisione delle Sezioni Unite n. 24657/2007, ma di segno opposto rispetto a quelle mosse dai Collegi territoriali dell’ABF.
Si afferma, infatti, nella citata ordinanza che “la lettura delle motivazioni della sentenza della Sezioni Unite n. 24657/2007, alla quale pur dichiara di volersi conformare la sentenza impugnata, consente di avvedersi che la Corte riconosce a ciascun coerede di poter agire nei confronti del debitore del de cuius per la riscossione dell'intero credito ovvero della quota proporzionale a quella ereditaria vantata, senza la necessità del coinvolgimento degli altri coeredi, e soprattutto senza che venga in alcun modo precisato che l'iniziativa del coerede sia ammessa solo allorquando avvenga nell'interesse della comunione.
Appare evidente che nel ragionamento delle Sezioni Unite, ferma restando la necessità di ricomprendere nell'eventuale divisione dell'asse ereditario i crediti, l'avvenuta riscossione da parte di un coerede di tutto o parte del credito stesso, potrà incidere nell'ambito delle operazioni divisionali dando vita a delle pretese di rendiconto, tramite anche eventuali compensazioni tra diverse poste creditorie, ma senza che ciò precluda al singolo di poter
immediatamente attivarsi per la riscossione anche solo del credito in proporzione della sua quota.
La connotazione dell'azione del singolo coerede in chiave finalistica, distinguendo quindi tra iniziativa nell'interesse della comunione ovvero nel proprio personale interesse, non trova affatto riscontro nella decisione delle Sezioni Unite, e nei fatti verrebbe a riproporre, laddove come nel caso in cui non vi sia l'adesione di un coerede alla richiesta di riscossione, una sorta di surrettizio litisconsorzio necessario, posto che tale mancata adesione imporrebbe la necessaria partecipazione al giudizio avente ad oggetto la domanda di pagamento, di tutti i coeredi, ancorché al fine di stabilire se la richiesta di pagamento sia strumentale o meno al soddisfacimento della comunione.
Deve pertanto ribadirsi, in adesione a quanto statuito dalle Sezioni Unite, che ogni coerede può agire anche per l'adempimento del credito ereditario pro quota, e senza che la parte debitrice possa opporsi adducendo il mancato consenso degli altri coeredi, dovendo trovare risoluzione gli eventuali contrasti insorti tra gli stessi nell'ambito delle questioni da affrontare nell'eventuale giudizio di divisione” (enfasi aggiunte).
Secondo l’ordinanza in discorso, quindi, il coerede può far valere il credito del de cuius nella sua interezza senza che sia necessario che egli dimostri di agire anche nell’interesse degli altri coeredi e, quindi, della comunione.
6. Ciò premesso, ritiene questo Collegio che l’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte imponga una rivisitazione di quella dei Collegi dell’ABF, al fine di evitare interpretazioni divergenti delle stesse norme che andrebbero a detrimento della certezza del diritto.
D’altro canto, ritiene questo Collegio che la questione processuale di cui si è detto non possa essere risolta se non tenendo conto delle caratteristiche proprie del procedimento avanti all’Arbitro Bancario Finanziario, il quale, da un lato, non ammette l’integrazione del contraddittorio e, dall’altro, sfocia in una pronuncia che non è suscettibile di acquistare l’efficacia di cosa giudicata.
Alla luce di queste considerazioni, ritiene questo Collegio di dover confermare l’adesione di quelli territoriali al consolidato e ben argomentato indirizzo della Suprema Corte che afferma che il credito del dante causa caduto in successione viene ad essere parte della comunione ereditaria e non si divide automaticamente tra i coeredi.
Viceversa, il Collegio ritiene di doversi discostare dall’indirizzo prevalente dei Collegi territoriali con riferimento all’esistenza di un litisconsorzio necessario tra i coeredi che intendano far valere il credito ereditato, poiché tale indirizzo contrasta con la sentenza delle Sezioni Unite n. 24657/2007 e ancor più perché incompatibile con le più liberali conclusioni raggiunte dall’ordinanza n. 27417/2017 sopra richiamata, la quale, come visto sopra, ammette l’azione individuale del coerede anche in assenza della dimostrazione che l’azione stessa è promossa anche nell’interesse degli altri coeredi.
Pure valuta il Collegio di doversi discostare dalla sopra più volte richiamata decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella parte in cui affermano che il preteso debitore che sia stato convenuto dal coerede ha la facoltà di chiedere “l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi […], se ed in quanto egli abbia interesse ad una pronuncia che faccia stato anche nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione”, atteso che, come sopra accennato, la pronuncia dell’ABF non può assumere il valore di cosa giudicata e, pertanto, il resistente non può avere per definizione alcun interesse ad eccepire la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei coeredi e la conseguente inammissibilità del ricorso.
Ritiene infine il Collegio che l’esigenza di tutelare l’intermediario resistente da condotte abusive del coerede che promuova il ricorso senza coinvolgere gli altri coeredi trovi adeguato soddisfacimento nella circostanza che il pagamento che l’intermediario fa nelle
mani del coerede ricorrente ha efficacia liberatoria anche nei confronti degli altri, essendo tale liberazione corollario necessario della legittimazione attiva spettante al singolo coerede (arg. ex art. 1105, comma 1, c.c.).
In conclusione, questo Collegio formula il seguente principio di diritto:
“Il singolo coerede è legittimato a far valere davanti all’ABF il credito del de cuius caduto in successione sia limitatamente alla propria quota, sia per l’intero, senza che l’intermediario resistente possa eccepire l’inammissibilità del ricorso deducendo la necessità del litisconsorzio né richiedere la chiamata in causa degli altri coeredi. Il pagamento compiuto dall’intermediario resistente a mani del coerede ricorrente avrà efficacia liberatoria anche nei confronti dei coeredi che non hanno agito, i quali potranno far valere le proprie ragioni solo nei confronti del medesimo ricorrente”.
7. Passando all’esame del merito del ricorso, osserva questo Collegio che i ricorrenti disconoscono n. 5 prelievi ATM effettuati mediante la carta bancomat del de cuius, per un totale di € 4.750,00 e, più precisamente,
un prelievo di € 1000,00, eseguito alle ore 20:24 del 19/04/2016; un prelievo di € 1000,00, eseguito alle ore 5:59 del 20/04/2016; un prelievo di € 1000,00, eseguito alle ore 6:00 del 21/04/2017; un prelievo di € 1000,00, eseguito alle ore 22:22 del 22/04/2017; un prelievo di € 750,00, eseguito alle ore 8:14 del 23/04/2017.
A fronte del disconoscimento di cui si è detto, l’intermediario ha fornito la prova dell’autenticazione delle operazioni di cui sopra, nonché quella della loro registrazione e contabilizzazione e dell’assenza di inconvenienti tecnici, come previsto dall’art. 11 del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11.
D’altro canto, l’intermediario non ha fornito elementi di prova atti a dimostrare una grave negligenza del de cuius, titolare della carta, nella custodia della carta stessa e del relativo PIN, come avrebbe dovuto fare a norma dell’art. 12 del citato d.lgs. n. 11/2010. Né è possibile indurre per via presuntiva tale grave negligenza dalla brevità del tempo intercorrente tra il furto della carta e il primo prelievo, secondo il consolidato indirizzo dei Collegi territoriali e del Collegio di coordinamento dell’ABF, non essendo note né la data, né l’ora del furto.
Ciò legittimerebbe di per sé l’accoglimento del ricorso con l’applicazione della franchigia di
€ 150 prevista dal citato art. 12 del d.lgs. n. 11/2010 nel testo vigente all’epoca dei fatti.
La fondatezza del ricorso nei limiti di cui si è detto è poi confermata dal fatto che risultano presenti nel caso di specie alcuni degli indicatori di anomalia previsti dall’art. 8 del d.m. 112/2007, i quali devono far presumere un rischio di frode mediante l’utilizzo di una carta di pagamento a norma dell’art. 3, comma 1, della l. 17/08/2006, n. 266, recante l’istituzione di un sistema di prevenzione, sul piano amministrativo di un sistema di prevenzione delle frodi sulle carte di pagamento.
Il richiamato art. 8 dispone infatti che “1. Si configura il rischio di frode di cui all’articolo 3, comma 1 della legge, quando viene raggiunto uno dei seguenti parametri:
[…]
b) riguardo alle carte di pagamento sottoposte a monitoraggio di cui all'articolo 7, lettera c):
1) sette o più richieste di autorizzazione nelle 24 ore per una stessa carta di pagamento;
2) una ovvero più richieste di autorizzazione che nelle 24 ore esauriscano l’importo totale del plafond della carta di pagamento;
3) due o più richieste di autorizzazione provenienti da Stati diversi, effettuate, con la stessa carta, nell'arco di sessanta minuti”.
Venendo a considerare il caso di specie, questo Collegio osserva che:
il plafond giornaliero per i prelievi ATM della carta di cui al ricorso documentato da parte resistente è pari a € 1.000,00;
dalle evidenze delle operazioni contestate si evince che tale massimale giornaliero è stato esaurito per ben quattro giorni consecutivi e, più precisamente, nelle date del 19, 20, 21 e 22 aprile 2016;
dalla documentazione versata in atti dall’intermediario si ricava inoltre una registrazione, effettuata alle ore 20:46 del 19/04/2016, caratterizzata dalla presenza della dicitura “ANOM. (33)”, la quale pare riconducibile a un tentativo di ulteriore prelievo effettuato dopo il raggiungimento del plafond giornaliero.
Come accennato, tali elementi devono essere valutati nell’ottica del rischio di frode di cui si è detto sopra, evidenziando che un efficiente sistema di monitoraggio avrebbe potuto intercettare e valutare gli elementi stessi al fine di un eventuale blocco dell’operatività dello strumento di pagamento. In ogni caso, l’esaurimento del plafond per diversi giorni consecutivi avrebbe dovuto suggerire all’intermediario quantomeno di attivarsi presso l’utilizzatore della carta per verificare l’autenticità delle operazioni.
Anche sotto questo diverso profilo la domanda della parte ricorrente merita accoglimento, sempre al netto della franchigia di cui al citato art. 12 del d.lgs. n. 11/2010.
PQM
Il Collegio dispone che l’intermediario restituisca alla parte ricorrente l’importo di euro 4.600.
Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e alla parte ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1