CONTRATTO SCUOLA: COMPLESSITÀ
POSTE ITALIANE SPA
SPEDIZIONE IN A. P. 70% - ROMA
5/2007
AGENZIA PER LA RAPPRESENTANZA
NEGOZIALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
SETTEMBRE OTTOBRE 2007
REDAZIONE XXX XXX XXXXX 000
00000 XXXX
CONTRATTO SCUOLA: COMPLESSITÀ
E INNOVAZIONI
INTERVISTA A XXXXX XXXXXXXXX
IL PESO DEL BACK OFFICE NELLA P. A. ALLA LUCE DELLA FINANZIARIA 2007
MANAGEMENT PUBBLICO: IL DIFFICILE EQUILIBRIO TRA AUTONOMIA
E SUBORDINAZIONE
numero 5 • settembre/ottobre 2007
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DIRETTORE
Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx Xxxx
DIRETTORE RESPONSABILE
Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx
COMITATO EDITORIALE
Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx D’Xxxxx Xxxxxxx D’Auria Carlo Dell’Aringa Xxxxxxxx Della Xxxxx Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
COMMENTI
Contratto Scuola:
complessità e innovazioni
Intervista a Xxxxx Xxxxxxxxx 2
Il nuovo CCNL del Comparto Scuola
di Xxxxxxxx Xxxxxxxx 4
Il peso del Back Office
nelle pubbliche amministrazioni alla luce della Legge finanziaria 2007
di Xxxxxxxxx Di Xxxxxx 10
Xxxxxxx Xxxxxxxx
Xxxxxxxxx Xxxxxxxx
Xxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxx Xxxxxxx Xxxxxxx
OSSERVATORIO AUTONOMIE LOCALI
a cura di Xxxxxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxxx 25
Xxxxxxxx Xxxxxxx
Xxxxx Xxxxxxxxx
COMITATO DI REDAZIONE
Xxxxx Xxxxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx
IN BIBLIOTECA
Management pubblico:
il difficile equilibrio tra autonomia e subordinazione
di Xxxxxxxx D’Xxxxx 36
Xxxxxx Xxxxxx
Xxxxxxx Xxxxxx
Xxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx
SEGRETERIA DI REDAZIONE
Xxxxxxx Xx Xxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx
REDAZIONE
Telefono 0632483265-340
Fax 0000000000
xxxxxxxxxxxxxx@xxxxxxxxxxx.xx xxx.xxxxxxxxxxx.xx
STAMPA
Eurolit srl
Aut. Trib. di Roma n. 630 del 27.12.95 Sped. In Abb. post.
L. 662/96 art. 2 C. 20/c
ANNO XII N. 5 SETTEMBRE OTTOBRE 2007
FLASH NOTIZIE
a cura di Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxx
Attività svolta dall’Aran 42
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA
a cura del Servizio Studi Aran 45
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CONTRATTO SCUOLA: COMPLESSITÀ E INNOVAZIONI
Xxxxx Xxxxxxxxx, componente del Comitato direttivo dell’ARAN con delega per il Comparto Scuola, ci illustra, in questa intervista,
i contenuti più qualificanti della recente Ipotesi di accordo.
Alle prime ore della mattina di domenica 7 ottobre è stata sottoscritta l’Ipotesi
di accordo per il Comparto Scuola. La trattativa è stata molto complessa. Quali sono le innovazioni più importanti di questo contratto?
Bisogna innanzitutto sottolineare che il contratto della Scuola partiva già da un solido impianto realizzato nelle passate tornate contrattuali.
Per quanto riguarda il contratto testé rinnovato, quella che più interessa
i lavoratori del Comparto è, ovviamente, la concessione di aumenti retributivi sulle parti fisse abbastanza significativi, per recuperare il potere d’acquisto dei salari.
Anche dal punto di vista del datore di lavoro vi sono, però, aspetti importanti sul piano salariale.
Soprattutto si è cercato di indirizzare risorse verso l’attività d’insegnamento, come dire il cuore della vita scolastica. Il contratto la valorizza innanzitutto prevedendo che le indennità
e i compensi a carico del fondo d’istituto siano prioritariamente orientati verso l’attività didattica. Si è aumentato altresì l’importo delle ore straordinarie, in misura particolarmente significativa per
i corsi di recupero, per incentivarne lo svolgimento.
Un altro aspetto che tocca in modo rilevante la qualità dell’attività docente è quello riguardante la continuità dell’insegnamento al fine di evitare
il tourbillon di insegnanti, tra supplenti e titolari, che spesso si verifica.
Il contratto vi provvede garantendo la stabilità, fino alla conclusione delle verifiche finali, al supplente
subentrato al docente nella fase finale dell’anno scolastico, e indicando
la stabilità, in particolar modo
per i docenti di sostegno e quelli che insegnano nelle aree a rischio, come criterio base per la contrattazione integrativa di ministero.
In tema di mobilità va anche sottolineato il principio, sempre indirizzato
alla contrattazione integrativa,
di privilegiare (soprattutto, ovviamente, nelle situazioni socialmente
più problematiche, ma non solo) la “vocazione” e la preparazione degli insegnanti.
Ancora sul versante economico retributivo sono state introdotte alcune importanti innovazioni.
Da un lato, si sono ridefiniti
e semplificati i criteri per l’assegnazione alle scuole del fondo d’istituto,
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rendendo più semplice, trasparente ed immediata tutta la procedura.
Su un altro versante, si è resa utilizzabile per il Tfr (e quindi per i fondi pensione, con un vantaggio
soprattutto per i più giovani) la parte di retribuzione accessoria fissa.
Nel passato contratto ci fu un lungo braccio di ferro nelle relazioni sindacali, che cosa è accaduto questa volta?
Si è andati verso un sostanziale consolidamento dell’esistente, rafforzando la contrattazione di ministero su temi cruciali come la mobilità
e la formazione.
Per quanto riguarda la contrattazione d’istituto si sono introdotti tempi certi per l’entrata in vigore degli accordi, istituendo anche una Commissione
di mediazione e conciliazione a livello regionale per tentare la soluzione delle vertenze d’istituto più spinose.
La qualità della scuola dipende anche dall’aggiornamento degli insegnanti, che cosa dice il contratto al riguardo?
Sul capitolo della formazione,
il contratto afferma l’obbligo per l’amministrazione di fornirla al personale, e ritocca in parte l’elenco dei soggetti abilitati ad offrirla. Importante è anche l’enfasi sulla necessità che i risultati della formazione stessa siano monitorati e attentamente valutati.
Viene inoltre istituita una commissione bilaterale per la formazione
(con partecipazione gratuita per tutti i componenti, è bene precisarlo).
Come accade ormai da una decina di anni, il giorno dopo la firma
del contratto si è aperta la polemica sulla mancanza di meccanismi
di carriera.
Personalmente, pur essendo da sempre convinto dell’opportunità di eliminare l’appiattimento che caratterizza
la professione insegnante, credo si debba convenire sul fatto che,
nell’attuale contesto, e finché non sarà definitivamente a regime un serio e condiviso sistema
di valutazione dei risultati del sistema e delle istituzioni scolastiche, il tema della carriera è difficilmente risolvibile a livello contrattuale.
È altresì evidente che il tema
della carriera non è integralmente delegabile alla contrattazione collettiva, ma deve essere costruito innanzitutto in relazione
ad un impianto organizzativo nuovo, il cui disegno non può che essere delineato dalla politica.
Il problema è semmai quello
di cominciare a percorrere la strada della valutazione dei risultati dell’attività d’insegnamento, anche in attesa del decollo (prossimo
venturo?) dei sistemi e delle istituzioni all’uopo create, anche utilizzando
gli spazi consentiti dall’autonomia scolastica.
Desidero qui ricordare che in vista della trattativa per il CCNL
l’ARAN si era sforzata di presentare per tempo una proposta in tal senso, proposta che le Organizzazioni sindacali non hanno condiviso.
Che dire in conclusione?
Si tratta di un accordo che introduce diverse innovazioni positive concrete per la scuola e stabilisce principi importanti ai quali occorrerà dar corpo e realizzazione.
Certo, vi sono diversi altri aspetti che si sarebbero potuti approfondire
e realizzare, se le condizioni esterne e interne al negoziato fossero state più favorevoli e lo avessero consentito.
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IL NUOVO CCNL
DEL COMPARTO SCUOLA
A datare dall’Atto d’indirizzo del Comitato di settore, il 29 maggio 2007, ancora una volta il rinnovo contrattuale
del Comparto Scuola ha registrato lunghe interruzioni legate all’incertezza sulle effettive risorse finanziarie disponibili e alla correlata assenza delle XX.XX. dal tavolo contrattuale, sia pure per lo sviluppo della sola parte normativa.
Soltanto a metà settembre, per effetto di alcune precisazioni del Ministero della pubblica istruzione nel frattempo intervenute, è stato possibile riprendere utilmente la contrattazione, conclusasi il 7 ottobre u.s., pertanto
in tempi concretamente rapidi
e ristretti. Va tuttavia evidenziato che la trattativa ha registrato un’improvvisa e forte accelerazione per effetto
del D.L. 1° ottobre 2007 n.159 che, all’art. 15, comma 2, ha previsto
la retrodatazione al 1° febbraio 2007 per incrementi di stipendio previsti successivamente a tale data,
a condizione che i relativi contratti fossero definitivamente sottoscritti entro il 1° dicembre.
Il comprensibile e conseguente desiderio, soprattutto da parte delle XX.XX.,
di velocizzare il negoziato ha comportato che talune materie, bisognevoli
di maggiore approfondimento istruttorio o legate all’introduzione di provvedimenti normativi non ancora emanati, siano state rimandate a successive sequenze
contrattuali, come d’altra parte consentito dalle impostazioni generali dello stesso Xxxx d’indirizzo.
Già con il precedente XXXX 0000-0000 l’Agenzia aveva redatto un testo coordinato comprensivo di tutte
le disposizioni contrattuali vigenti nel Comparto, sì da produrre una sorta di testo unico, il primo dall’entrata
in vigore del D.Lgs. n. 165/2001, idoneo a rinvenire in modo esaustivo e chiaro tutte le norme che disciplinano
il rapporto di lavoro del personale interessato. Nel tempo questa strutturazione del testo ha dimostrato di averne realmente semplificato
la lettura e la consultazione, contribuendo altresì a ridurre significa- tivamente contenzioso e controversie. La stessa impostazione, pertanto,
è stata coerentemente curata
e conservata con l’attuale CCNL. A distanza di un paio di settimane dalla firma dell’Ipotesi di accordo
i commenti della stampa, a cominciare da quelli che riportano l’opinione
del Ministro Xxxxxxx, sembrano essere tutti positivi, meno qualcuno che, giocando un po’ sulle parole, ha parlato di “contratto senza merito”.
Prima di commentare quello che senz’altro c’è di buono nel contratto, dunque, mi pare opportuno fare chiarezza su questa riserva critica.
Il “merito”, come ormai tutti sanno, è un generale (ma ancora troppo generico) parametro di valutazione
a gran voce invocato per premiare chi si impegna nella propria attività lavorativa, conseguendo un incremento di positivi risultati qualitativi, oggettivamente rilevabili e apprezzabili. Detta in questo
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modo sembra un’ovvia banalità:
è logico e incontrovertibile che se qualcuno impiega positivamente una gran parte delle proprie risorse
fisiche, psichiche e culturali per realizzare obiettivi di comune e generale interesse, incrementandone l’utilità
a favore della collettività, ebbene questa è una persona che merita.
Si tratta di stabilire, e qui la cosa diviene meno banale, cosa merita, chi
le attribuisce il meritato e attraverso quale processo di valutazione.
Un’osservazione preliminare, se volete anche questa banale ma forse utile
a comprendere meglio quello che segue, credo debba essere fatta in relazione alla composizione del personale appartenente al Comparto Scuola,
in particolare per quanto concerne
i docenti. Si tratta dell’unica categoria di personale, tra tutte quelle riconducibili ai comparti di contrattazione presso l’ARAN, che annovera tra i propri componenti quasi il 100% di laureati
e specializzati e nel non trascurabile numero di circa 750.000 unità.
Questo, pur scontando la fisiologica percentuale di “inadeguati” che sussiste in qualsiasi organizzazione
di lavoro, privato compreso, comporta un’elevata e qualificata capacità
di analisi critica della propria condizione lavorativa non disgiunta da una certa metabolizzazione dell’esperienza
sul campo, attraverso propri parametri culturali che possono anche essere
da altri non condivisi o non compresi, ma che certamente non sono definibili superficiali o inadeguati.
Le Organizzazioni sindacali che rappresentano i docenti hanno imparato ben presto a non sottovalutare questa capacità di analisi critica.
Infatti, quando nell’ottobre 2003 iniziarono presso questa Agenzia
i lavori della Commissione prevista dall’art. 22 del precedente CCNL 2002- 2005 (quella, per intenderci, incaricata di studiare e proporre i meccanismi
di una carriera professionale per i docenti), l’Agenzia stessa percepì con chiarezza che le Organizzazioni sindacali, singolarmente o tutte insieme, non avrebbero mai formulato per prime una proposta organica e questo, ritengo di poter dedurre, per l’inespresso
ma comprensibile timore delle conseguenze che un qualsiasi passo sul terreno minato della carriera avrebbe potuto provocare nella categoria
dei docenti se conosciuto all’esterno. Si trattava peraltro di un timore non del tutto infondato se confrontato con le esperienze negative degli anni
precedenti, costate alle Organizzazioni sindacali continue crisi di rappresentatività e in qualche caso al Governo
la necessità di sostituire il proprio personale politico (basta rammentare il cd. “concorsone” progettato dall’ex Ministro Xxxxxxxxxx). D’altra parte, l’esperienza fin qui maturata in sede contrattuale mi consente di affermare, sia pure come personale opinione, che non sussiste una pregiudiziale avversione del corpo docente
ad accettare una modifica della propria carriera passando attraverso strumenti di valutazione singola e collettiva
(una pregiudiziale del genere farebbe a pugni con l’elevato livello culturale
che oggettivamente gli va riconosciuto), quanto piuttosto un’assai marcata “diffidenza” nei confronti dei soggetti che, a qualsiasi livello, istituzionale
e non, si candidano a disegnare questa carriera o che si propongono
di esserne i valutatori.
Si tratta, suppongo, di una carenza
di stima e di affidamento che, giustificato o meno che sia, va considerato come dato oggettivo della partita, cercando, magari, di recuperarne positivamente gli aspetti che si basano sulla fiducia.
Tornando ai lavori della predetta Commissione, l’ARAN, sulla scorta di queste intuizioni, pur chiarendo
ripetutamente di non considerarsi essa stessa parte di merito per l’impossibilità di arrogarsi le relative competenze
e dichiarando quindi di voler limitare il proprio ruolo al supporto tecnico e logistico alle parti vere e proprie
(XX.XX. e Ministero), ritenne necessario formulare una proposta scritta che strutturasse organicamente
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le conversazioni e le opinioni fino quel momento espresse a voce ed in ordine sparso. E’ questa una tecnica che l’Agenzia normalmente adotta
nel redigere i contratti nazionali
di lavoro, aspettando l’usuale fucileria di critiche indignate da parte
delle XX.XX. e passando poi ad una fase di contrattazione vera e propria con i reciproci possibili accomodamenti. Nel caso di specie, però, la “proposta” dell’Agenzia non fu frutto di un’autonoma elaborazione ma rese un’interpretazione sistematica
delle diverse opinioni espresse dalle XX.XX., sì che in un certo qual senso esse furono costrette a riconoscersi
nel documento e ad avviare un processo di revisione che non poteva basarsi
su una critica aprioristica quanto piuttosto sulla necessità di arrivare ad enunciati comuni e condivisi, spuntando le singole posizioni.
Il documento conclusivo del lavoro svolto dalla Commissione, sottoscritto formalmente il 24 maggio 2004,
è di particolare importanza perché, pur partendo da una proposta iniziale abbastanza articolata e dettagliata
anche nelle modalità operative, giunge, attraverso una serie di passaggi intermedi, ad un sintetico testo conclusivo che, pur pesando ogni parola fino al rischio di non farsi capire da un terzo e sfuggendo alla determinatezza analitica di alcuni passaggi chiave la cui articolazione viene rimandata alla sede contrattuale, nello stesso tempo enuncia per
la prima volta linee guida e principi generali unitariamente condivisi dalle XX.XX. e che, in sostanza, delineano la possibilità di costruire un percorso di carriera credibile
e attuabile nell’attuale contesto, munito dei necessari ammortizzatori
(fase transitoria) e recettivo (finalmente) della necessità che il docente venga valutato soggettivamente, privilegiando in questa fase il contesto dell’autonomia
scolastica e oggettivamente come parte dell’istituzione scolastica nel suo complesso, attraverso l’intervento
di un valutatore esterno (INVALSI).
Si tratta di un risultato di non poco conto, qualora si consideri che, sia pure attraverso affermazioni prudenti
e sfumate, mai negli ultimi anni le XX.XX. avevano accettato un simile “rischio”
di contestazione da parte di una categoria notoriamente divisa al proprio interno e sospettosa di ogni ipotesi riformista. Sotto questo profilo l’impegno successivamente assolto dalle stesse XX.XX. di consultare la categoria, spiegando ed illustrando il significato
e la necessità di un nuovo assetto della professionalità docente,
ha risposto certo all’obiettivo
di conservare al tavolo contrattuale questa delicata e strategica materia, sottraendola ad un possibile intervento legislativo, qualora la commissione non avesse prodotto una proposta unitaria e condivisa, ma ha rappresentato anche l’assunzione responsabile di un proprio ruolo propositivo che ha scontato
e accettato rischi di contestazione oggettivamente esistenti.
Ciò evidenzia, a mio parere, anche
un sostanziale spirito di collaborazione delle XX.XX. che potrebbe essere ulteriormente incentivato e coltivato, ben al di là delle apparenze che, a torto o a ragione, connotano politicamente le stesse, e che ha condotto
le medesime XX.XX. a chiedere che fossero esplicitamente citati
e rammentati, con l’art. 24 dell’attuale CCNL, gli esiti sottoscritti dalla Commissione il 24 maggio 2004.
Di pari importanza è la seconda parte del citato art. 24, là dove si afferma che “Le Parti stesse si impegnano a ricercare, in sede contrattuale, in coerenza con
lo sviluppo dei processi di valutazione complessiva del sistema nazionale d’istruzione e con risorse specificamente destinate, forme, modalità, procedure
e strumenti d’incentivazione e valorizzazione professionale e di carriera degli insegnanti”.
Sembrerebbe, a questo punto, che XX.XX., ARAN, Ministero della pubblica istruzione e pure i docenti stessi, consultati, abbiano abbastanza
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chiaramente fornito disponibilità a mettere in campo un condiviso processo di valutazione che premi il merito e l’impegno.
La domanda a cui non vi è risposta è “cosa” si meriti. Eh sì, perché a meno
di non ipotizzare seduta stante un taglio dello stipendio a metà del corpo docente con relativo trasferimento dello stesso all’altra metà o, immaginiamo, l’utilizzo dell’accessorio per premiare
il merito (con buona pace di tutti
i progetti didattici in essere, compresi quelli introdotti dal Ministro Xxxxxxx), per rendere operativa e concreta
una diversa carriera dei docenti che risponda alle esigenze richieste dalla società (e pure dai docenti) occorrono non trascurabili risorse finanziarie. E quelle non ci sono.
Di conseguenza, sfuggendo alla facile demagogia, parlerei più correttamente di un “contratto senza mezzi per
il merito” e non di un “contratto senza merito”. Xxxx, l’Agenzia deve rilevare con soddisfazione che, grazie anche allo spirito costruttivo delle Organizzazioni sindacali, in questo contratto è stato possibile introdurre notevoli e diffusi elementi che richiamano la qualità dell’impegno professionale, la verifica dei risultati, la valutazione dei processi formativi e,
molto significativa, un’esternalizzazione dei risultati conseguiti tramite
la comunicazione alle famiglie
degli apprendimenti realizzati in classe. E’ stato attivato un reale percorso che privilegia l’impiego di gran parte
delle risorse per le attività didattiche d’aula (compreso l’aumento a 50 euro per l’ora aggiuntiva d’insegnamento), con ciò mettendo gli studenti veramente al centro di ogni strategia per il successo formativo, elemento che, nell’opinione pubblica, si spera possa anche contribuire a sostenere le giustificate richieste che da tempo provengono dal Comparto per
un miglioramento economico
e professionale del personale, ovvero quella carriera da tutti richiesta.
Qui di seguito sono infine riportati alcuni degli articoli del nuovo contratto maggiormente significativi
degli obiettivi perseguiti.
ART. 4 - CONTRATTAZIONE COLLETTIVA INTEGRATIVA
Il comma 2 è stato modificato con l’introduzione di quattro distinti istituti di contrattazione integrativa nazionale da svolgersi presso il Ministero
della pubblica istruzione:
a) Mobilità: è stato introdotto
il concetto che si possa più facilmente realizzare la coincidenza tra aspirazioni e interessi professionali dell’insegnante con le necessità manifestate dalle singole scuole
e richiamata la materia dell’utilizzazione del personale inidoneo (oltre che di quello soprannumerario), ma, in effetti, l’intero comma è stato ristrutturato
e riscritto per adeguarlo agli obiettivi, condivisi dalle XX.XX., dell’”Intesa per un’azione pubblica a sostegno della conoscenza” sottoscritta tra Governo e XX.XX. il 27 giugno 2007.
b) Formazione: si definiscono gli obiettivi, finalità e criteri di ripartizione delle risorse finanziarie per la formazione del personale e l’accreditamento degli enti formativi, ma soprattutto
si prevede di monitorare l’esito della formazione, con ciò implicitamente riconoscendo l’esigenza di un’attività valutativa.
c) Si prevedono criteri generali per l’esercizio dei diritti sindacali.
d) E’ dedicata particolare attenzione alle scuole che presentano maggiore disagio ambientale e sociale.
Nel comma 3 è stata introdotta una lettera d) finalizzata a costituire uno strumento di assistenza e d’intervento quando, per un qualsiasi motivo,
sia in crisi di tempestività
o di procedibilità la contrattazione presso le istituzioni scolastiche.
ART. 6 - RELAZIONI A LIVELLO DI ISTITUZIONE SCOLASTICA
Al comma 2 è introdotto un termine
(15 settembre) per l’inizio delle trattative
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e, se le Parti non giungono ad un accordo entro il 30 novembre, è previsto l’intervento conciliativo e di assistenza della Commissione di cui al precedente art. 4. Al comma 4 è stato introdotto
un termine certo (31 agosto) per il pagamento delle attività svolte.
E’ stato introdotto un nuovo comma 6 per disciplinare, in analogia a quanto già previsto in altri CCNL del pubblico impiego, modalità e tempi della certificazione relativa al contratto integrativo.
ART. 12 - CONGEDI PARENTALI
Alla fine del comma 2 è stato esplicitato che l’astensione obbligatoria per maternità è da considerarsi servizio effettivo. Questo per evitare inutili
e ricorrenti contenziosi.
ART. 15 - PERMESSI RETRIBUITI
Al comma 1 è stata introdotta la figura del convivente, non sempre presente nei certificati anagrafici, così come è stato necessario chiarire che i tre giorni per lutto possono non essere continuativi. Il comma 3 è stato modificato per rispondere alle numerose richieste
di chiarimenti pervenute circa
le modalità e i termini di fruizione del congedo per matrimonio.
Nel comma 5 l’espressione indennità di amministrazione è stata sostituita con indennità di direzione, omogeneamente in tutto il successivo testo del CCNL.
ART. 17 - ASSENZE PER MALATTIA
Nel comma 9 è stata aggiunta l’espressione conseguenze certificate per chiarire il regime delle assenze dovute a trattamenti particolari (chemio, raggi…).
Al comma 11 è stato aggiunto comunque l’obbligo di comunicare per le vie brevi la durata presumibile della malattia
in modo da poter tempestivamente provvedere all’eventuale sostituzione.
ART. 21 - INDIVIDUAZIONE
DEL PERSONALE AVENTE DIRITTO DI MENSA GRATUITA
Il testo precedentemente contenuto nell’art. 42 (Capo IV docenti) del XXXX 0000-0000 è stato qui trasposto nell’art. 21 delle parti comuni (docenti e ATA) introducendo non solo il diritto
per entrambi gli insegnanti che eventualmente lavorassero in compresenza durante la mensa (comma 2) ma anche lo stesso diritto per il personale ATA che alla mensa stessa fornisce assistenza (comma 5).
ART. 24 - (ex art. 22) INTENTI COMUNI
Richiama i lavori della Commissione istituita ai sensi dell’art. 22 del CCNL 24.07.2003, formalizzati con un Accordo sottoscritto il 24 maggio 2004
e programmaticamente dichiara
di voler perseguire quanto concordato (occorrono tuttavia specifiche risorse, al momento non disponibili).
ART. 26 - (ex art. 24) FUNZIONE DOCENTE
Il comma 3 è stato radicalmente modificato introducendo il confronto tra i docenti nel concordare obiettivi qualitativi di apprendimento nelle varie discipline per gli allievi delle proprie classi e, inoltre, l’esternalizzazione
alle famiglie dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi prefissati.
Si tratta di una piccola rivoluzione copernicana, in quanto finora i docenti avevano comunicato alle famiglie,
in appositi spazi relazionali, giudizi sullo stato di apprendimento
del singolo allievo, ma mai avevano consentito che fosse oggetto d’informazione un piano formativo,
gli obiettivi attesi e quelli effettivamente conseguiti.
ART. 31 - RICERCA E INNOVAZIONE
Anche questo è un articolo di nuova introduzione rispetto al precedente testo, particolarmente significativo e importante perché, al comma 2, assevera il concetto che le scuole positivamente valutate dal sistema
nazionale in termini di apprendimento degli alunni potranno ricevere risorse aggiuntive.
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ART. 37 - (ex art. 34)
RIENTRO IN SERVIZIO DEI DOCENTI DOPO IL 30 APRILE
Il comma 1 è stato modificato per chiarire che ineludibili ragioni di continuità didattica impongono il mantenimento del supplente anche per gli scrutini
e le valutazioni finali (sarebbe assurdo consentirli a chi è rimasto lontano dalla classe per quasi tutto l’anno scolastico).
ART. 40 - (ex art. 37) RAPPORTO
DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO
Al comma 3 è stato introdotto
un chiarimento, peraltro già oggetto di una comune intesa con le XX.XX., al fine di evitare che ricorrenti
e non di rado strumentali ritardi nella giustificazione delle assenze potessero ancora costituire
il presupposto per frequenti ricorsi
al Giudice del lavoro, con soccombenza dell’Amministrazione.
Ugualmente, nel corpo del comma medesimo, è stato necessario chiarire che il completamento dell’orario settimanale comporta il pagamento della domenica, così come previsto dal codice civile, a sua volta richiamato dall’ex art. 142.
Il comma 4 è stato modificato adoperando un’espressione meno assoluta, ma comunque concettualmente identica e tautologica.
ART. 53 - (ex art. 52) MODALITA’ DI PRESTAZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO
E’ stato aggiunto, all’inizio dell’articolo, un nuovo comma 1 che responsabilizza la funzione organizzativa del DSGA.
ART. 62 - SEQUENZA CONTRATTUALE
E’ la previsione generale di riesame della materia con l’approntamento (comma 2) delle relative risorse.
Da rilevare che al comma 3, lettera a) si fa riferimento all’art. 49.
Si tratta di un mero errore di stampa, in quanto il riferimento esatto
è ovviamente all’art. 50.
ART. 63 - (ex art. 61) FORMAZIONE IN SERVIZIO
Il comma 1 è stato parzialmente
modificato facendo riferimento all’Intesa sottoscritta il 27 giugno 2007 tra il Ministro per le riforme
e le innovazioni nella pubblica amministrazione e le Confederazioni sindacali. E’ stato anche cassato
il riferimento alla direttiva del Ministro in quanto ora la materia è oggetto
di contrattazione nazionale.
Al comma 2 sono state correttamente introdotte le iniziative di formazione anche per il personale ATA, programmate dal DSGA (il collegio dei docenti non ha ovviamente competenza).
ART. 65 - (ex art. 63) LIVELLI DI ATTIVITÀ
Nel comma 2 si è precisato che l’amministrazione scolastica periferica è quella regionale e che essa, comunque, interviene su richiesta delle istituzioni scolastiche
(per evitare interferenze e conflitti).
ART. 67 - (ex art. 66) I SOGGETTI CHE OFFRONO FORMAZIONE
Nel comma 2 si riconosce che soggetti qualificati sono innanzitutto proprio le scuole, è tolto il riferimento ai non più esistenti IRRE e introdotto il richiamo all’Agenzia di formazione prevista dalla Legge Finanziaria n. 296/2006.
ART. 71 - COMMISSIONE BILATERALE PER LA FORMAZIONE
E’ un nuovo articolo con il quale viene accolta la proposta di una Commissione bilaterale per la formazione, senza alcun onere aggiuntivo di qualsiasi natura.
Xxxxxxxx Xxxxxxxx
Dirigente generale XXXX
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IL PESO DEL BACK OFFICE NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
ALLA LUCE DELLA LEGGE FINANZIARIA 20071
INTRODUZIONEE PRECISAZIONI METODOLOGICHE
Le autorità politiche ed economiche europee (e internazionali) concordano nell’attribuire ai Governi e alle pubbliche Amministrazioni degli Stati membri una funzione propulsiva al processo
di sviluppo e crescita economica.
Il costo delle burocrazie e delle organizzazioni pubbliche risulta ormai eccessivo e pone a tutti i Paesi moderni un problema di riqualificazione
in termini di efficacia ed efficienza2. Non è più procrastinabile, pertanto, l’elaborazione di piani di intervento in grado di contribuire alla nascita
di un nuovo concetto di Amministrazione, in grado di offrire più servizi,
di maggiore qualità ed in modo più veloce. Un’amministrazione agile che sappia creare un modello orizzontale nel rapporto con i suoi utenti e che sia permeata dallo spirito
della concorrenza e del mercato3.
È in questo ampio contesto che si pone il problema di ri-organizzazione
del Back Office (di seguito B.O.)
e della riduzione del suo peso specifico all’interno delle amministrazioni centrali e periferiche.
La finalità del presente lavoro è, pertanto, quella di evidenziare le recenti
tendenze delle amministrazioni centrali (Ministeri e Agenzia delle entrate)
in relazione all’incidenza del B.O. sul totale delle risorse impiegate,
allo scopo di sottolinearne l’eccessiva rilevanza sia in termini di risorse umane che economiche. L’importanza di tale studio ha ricevuto una spinta propulsiva in seguito alle disposizioni della Legge Finanziaria 2007 concernenti, comma 404, la razionalizzazione e ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento dei Ministeri. In particolare, la lettera f del medesimo comma individua
la necessità di “riduzione delle dotazioni organiche in modo che il personale utilizzato per funzioni di supporto (gestione delle risorse umane, sistemi informativi, servizi manutentivi
e logistici, affari generali, provveditorati e contabilità) non ecceda comunque
il 15 per cento delle risorse umane complessivamente utilizzate da ogni amministrazione, mediante processi di riorganizzazione e di formazione
e riconversione del personale addetto alle predette funzioni che consentano di ridurne il numero in misura non inferiore all’8 per cento all’anno fino
al raggiungimento del limite predetto”. La disposizione normativa è alquanto generica nella sua formulazione e lascia pertanto ampi spazi di interpretazione insieme a molteplici problemi
di applicazione.
Il primo aspetto che è necessario chiarire attiene al significato
della locuzione “funzioni di supporto”. In questa sede, essa si utilizzerà come
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sinonimo della formula internazionale
B.O. ed, essendo lo spazio nel quale si andrà ad operare, è di estrema importanza definirne i confini.
In opposizione al Front Office, esso raggruppa la parte dell’attività
e del sistema informativo col quale l’utilizzatore finale (cittadino, imprese, ecc.) non si confronta direttamente.
Ci si riferisce pertanto alla progettazione, realizzazione e verifica degli strumenti, dei processi e delle procedure
di lavoro, di presidio dei flussi interni all’amministrazione. In altre parole esso è il luogo (fisico e non) dove confluiscono i flussi informativi dell’ente e dove questi vengono lavorati prevalentemente ai fini esterni4.
Nell’impossibilità di monitorare tutte le amministrazioni centrali, si è proceduto all’individuazione
di un panel rappresentativo composto di due Ministeri con portafoglio – Comunicazioni ed Economia e Finanze (MEF) – della Presidenza del Consiglio e dell’Agenzia delle entrate.
I primi due possiedono le “tipiche” caratteristiche di amministrazione centrale e si prestano utilmente all’analisi anche per la differenza
in termini dimensionali, ove il Ministero delle comunicazioni conta circa 1.660 dipendenti (tra sede centrale e sedi regionali) e il MEF conta complessivamente ben 16.611 impiegati. La Presidenza del Consiglio, invece, viene considerata per il suo aspetto peculiare di super-amministrazione comprendente – oltre l’apparato amministrativo di Palazzo Chigi – anche i Ministeri senza portafoglio
ed il Dipartimento della protezione civile; pertanto dovrebbero essere considerati globalmente circa 4.166 impiegati5. L’ultima, l’Agenzia
delle entrate, viene selezionata perché
– pur essendo in senso proprio una pubblica amministrazione –
ha risentito più delle altre delle riforme organizzative degli ultimi anni6
e presenta quindi (anche in materia di B.O., come si avrà modo di vedere
in seguito) caratteristiche manageriali più vicine ad imprese private che
ad enti pubblici.
Entrando maggiormente nel dettaglio della ricerca, si chiariranno di seguito altre scelte di tipo metodologico.
Le attività e le funzioni di ciascun Dipartimento o Direzione generale sono state suddivise in due macro famiglie: attività core, ovvero le “tipiche” funzioni cui l’amministrazione è squisitamente deputata e attività
di B.O. che comprendono, come già sottolineato, tutte le operazioni di auto- amministrazione funzionali alle attività core e non direttamente visibili
o riscontrabili dagli utenti finali delle pubbliche amministrazioni.
In relazione alle specificità del concetto di B.O., sono state prese in considerazione solamente le risorse impiegate a livello centrale, trascurando la parte (seppur ingente) di impiegati a livello periferico.
Ciò non solo perché le funzioni di supporto sono (o dovrebbero
essere), per definizione, accentrate ma anche perché, a livello empirico,
sarebbe stato arduo se non impossibile verificare la percentuale di B.O.
in ciascun ufficio locale.
In effetti, il problema della rappresentazione fedele della realtà si presenta anche
a livello centrale ed è necessario premettere che possono esserci imperfezioni a livello unitario e, quindi, trascurabili in una visione d’insieme.
Certamente più rimarchevole
(e comunque difficilmente stimabile) è la sottorappresentazione dell’incidenza del B.O. nelle analisi
di seguito riportate dovuta all’evidente mancanza di informazione sul livello di questo nelle Direzioni e Uffici deputati precipuamente ad attività core. In altre parole, è del tutto ragionevole immaginare che vi sia uno
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TABELLA 1: PERSONALE IN RUOLO NEGLI ORGANI CENTRALI INTERESSATI ALLA RICERCA7 | |||||||
AREA | D.G. 1 | D.G. 2 | D.G. 3 | D.G. 4 | D.G. 5 | D.G. 6 | C.T.I. |
Dirigente I f. | 1 | 0 | 0 | 1 | 1 | 1 | 0 |
Dirigente II f. | 4 | 3 | 4 | 1 | 3 | 2 | 3 |
C3A | 18 | 5 | 6 | 21 | 4 | 10 | 6 |
C3T | 2 | 5 | 1 | 2 | 21 | 2 | 33 |
C2A | 10 | 1 | 4 | 10 | 0 | 6 | 8 |
C2T | 1 | 1 | 1 | 4 | 14 | 0 | 16 |
C1A | 14 | 8 | 4 | 14 | 2 | 3 | 1 |
C1T | 6 | 2 | 4 | 5 | 47 | 0 | 43 |
B3A | 27 | 17 | 14 | 31 | 9 | 14 | 10 |
B3T | 1 | 1 | 0 | 1 | 8 | 1 | 1 |
B2A | 37 | 25 | 13 | 24 | 10 | 7 | 16 |
B2T | 7 | 5 | 2 | 0 | 0 | 0 | 3 |
B1A | 4 | 1 | 0 | 2 | 0 | 0 | 1 |
B1T | 3 | 0 | 0 | 0 | 3 | 0 | 2 |
A1A | 6 | 5 | 7 | 7 | 2 | 3 | 1 |
TOT. | 141 | 79 | 60 | 123 | 124 | 49 | 144 |
Fonte: elaborazioni su dati Ministero delle comunicazioni. Situazione al 14.5.2007
“zoccolo duro” di B.O. anche laddove le funzioni svolte sono quelle “tipiche” dell’ente, perfino ove queste abbiano dirette esternalità sugli utenti e ciò
si spiega col fatto che tutte le linee funzionali necessitano di processi interni auto-referenziali e propedeutici alla realizzazione degli obiettivi amministrativi. Il limite dell’esperimento empirico effettuato passa quindi per queste due esigenze: da un lato,
il restringimento del campo d’indagine agli uffici centrali e dall’altro, il vincolo di calcolare il peso relativo del B.O. considerando solamente le risorse impiegate nelle Direzioni
o nei Dipartimenti finalizzati regolarmente al supporto8.
Le esperienze che verranno proposte
sono, nonostante quanto affermato fin qui, assolutamente comparabili tra loro e forniranno importanti spunti
di riflessione. Essendo pertanto superfluo indugiare ancora su precisazioni preliminari, si rimandano al momento dell’analisi di ciascuna amministrazione ulteriori eventuali appunti di carattere metodologico o tecnico.
MINISTERO DELLE COMUNICAZIONI
Si è accennato come, per un’analisi circa l’incidenza delle funzioni
di supporto, sia d’uopo considerare solamente le risorse umane prestanti servizio a livello centrale (così da evitare sommarie approssimazioni)
ed escludere dal computo generale gli uffici di staff del Ministro, ovvero
l’Ufficio di gabinetto, quello legislativo e l’Ufficio stampa, il servizio di controllo interno, la segreteria del Ministro,
del Vice Ministro (ove presente)
e dei Sottosegretari; in altre parole,
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FIGURA 1: DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE UMANE RISPETTO ALLE ATTIVITÀ CORE E DI B.O. |
Fonte: elaborazioni su dati Ministero
vanno a far parte dell’indagine soltanto le strutture tipicamente burocratico - amministrative e non quelle tecnico - politiche.
Il Ministero delle comunicazioni
(di seguito il Ministero) si compone9
di sei Direzioni generali (tra le quali vi è il Segretariato generale) e dell’Istituto superiore delle comunicazioni
e delle tecnologie dell’informazione (CTI). A livello periferico, il personale in ruolo è dislocato nei 16 Ispettorati territoriali su base regionale (alcune regioni risultano evidentemente accorpate) grazie ai quali il Ministero esplica un servizio di monitoraggio
e controllo delle frequenze radio. Come riportato nella tabella 1, il computo totale dei dipendenti aggrega
il Segretariato generale (DG 3)
e le Direzioni generali, unitamente all’Istituto superiore CTI. Le prime due colonne evidenziate mostrano
il personale, diviso per fasce di reddito, della Direzione generale gestione risorse umane (DG 1) e della Direzione generale per la gestione delle risorse strumentali e informative (DG 2), ovvero i reparti squisitamente deputati ad attività di B.O. La DG 1 si compone,
a sua volta, di 4 Uffici che svolgono – rispettivamente – affari relativi allo stato giuridico del personale, concorsi e reclutamento; relazioni sindacali
e formazione; contenzioso del lavoro; gestione amministrativo-finanziaria, bilancio, quiescenza e previdenza.
Sono tre, invece, gli Uffici presenti nella DG 2, imputati rispettivamente agli acquisti di beni e servizi; ai sistemi informativi automatizzati e raccolta
di dati statistici; alla sicurezza delle reti e tutela delle comunicazioni
(per il Ministero).
Tutti i suddetti Uffici si occupano
di quelle funzioni definite “di supporto” non solo secondo l’accezione internazionale richiamata nella prima parte del lavoro, ma anche secondo quanto stabilito dalla lettera f
della Legge Finanziaria (gestione
delle risorse umane, sistemi informativi, servizi manutentivi e logistici, affari generali, provveditorati e contabilità).
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Un discorso a parte merita invece
il Segretariato generale il quale, pur avendo al suo interno – con estrema probabilità – risorse di supporto all’attività ministeriale, non può considerarsi un reparto di B.O. in quanto i 4 Uffici al suo interno parrebbero occuparsi di attività tipicamente core, come appunto la pianificazione normativa e il coordinamento,
le relazioni esterne e il rapporto con l’utenza, le relazioni internazionali e,
in ambito amministrativo e contabile, solo funzioni di coordinamento e vigilanza.
È parso quindi opportuno annoverare il Segretariato generale (DG 3)
tra l’insieme delle attività primarie. L’ammontare delle risorse per il B.O. è di 220 unità, compresi ovviamente i Dirigenti di prima e seconda fascia, mentre per le attività core a livello centrale vi sono 500 funzionari per
un totale complessivo di 720 dipendenti di tutte la fasce.
Il grafico (fig.1) mostra in maniera appropriata la porzione che all’attività di supporto è riservata presso il Ministero tenendo conto – lo si ripete – solo
degli Uffici non politici e accentrati. Risalta immediatamente che la percentuale dei dipendenti impiegati in attività
di B.O. ha un valore più che doppio rispetto al tetto del 15% imposto
dalla Finanziaria e ciò desta non pochi motivi di preoccupazione specie
alla luce di alcune riflessioni sulle quali è il caso indugiare. Anzitutto, il dato del 30,56% tende a sottostimare
il valore reale globale, comprensivo cioè degli Ispettorati territoriali10
e di quello che in precedenza è stato definito lo “zoccolo duro del B.O.” celato anche in ciascuna Direzione generale svolgente attività core
e soprattutto nel Segretariato generale. Inoltre, se l’asse dell’analisi viene
spostata dal dato meramente numerico relativo alle risorse umane (così come indicato dalla Legge) al valore
della spesa per personale, si scopre che la percentuale rimane sostanzialmente invariata, riducendosi solo dell’1,02% sul livello comunque altissimo
del 29,54%. Infine, anche la dirigenza non può essere considerata
una variabile fondamentale per incidere sul peso delle funzioni di supporto.
Con un peso relativo del 3,64%, infatti, essa non modifica la struttura dei costi i quali, al netto dei dirigenti, toccano quota 29,36%.
Lo sforzo di osservare la questione
in esame da diverse prospettive è utile non solo a comprendere in maniera più approfondita la dimensione
e l’importanza del singolo fenomeno “Ministero delle comunicazioni” ma lascia spazio anche a preziosi contributi di carattere comparativo tra le varie amministrazioni del panel qui considerato. Prima di passare a questa fase, però, occorre evidentemente rendere conto degli esiti di tutte le altre indagini.
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
La Presidenza del Consiglio (di seguito la Presidenza) possiede degli aspetti assolutamente peculiari rispetto
agli altri Ministeri e, come già anticipato, proprio per questo si inserisce
nel contesto della ricerca accrescendone il valore. Detto questo, bisogna (anche in tal caso) definire i confini dell’analisi, sintetizzando il metodo che ha consentito un approccio proficuo e sistematico all’osservazione della “super- amministrazione” in oggetto, più simile
– in teoria – ad un raggruppato complesso di ministeri e dipartimenti.
Per l’estrema complessità nella sua organizzazione11, è utile individuare sei grandi direttrici di attività, uffici
e dipartimenti che la compongono chiarendo, per ciascuno di essi,
la rilevanza ai fini della ricerca.
La prima struttura unisce tutti gli Uffici
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di diretta collaborazione del Presidente del Consiglio. A seguire, vi sono
gli Uffici strettamente appartenenti
alla Presidenza. Fanno capo alla Presidenza del Consiglio, inoltre, alcuni importanti Dipartimenti tra cui quello della Protezione civile. Infine, alcuni Dipartimenti facenti riferimento
alla Presidenza sono stati affidati
a ministri senza portafoglio e quindi: Rapporti con il Parlamento, Coordinamento delle politiche comunitarie, Affari regionali, Attuazione del programma di Governo, Riforme istituzionali, Pari opportunità, Funzione pubblica, Innovazione tecnologica, Politiche per la famiglia, Politiche giovanili e attività sportive.
La Presidenza ospita anche quattro importanti Conferenze con finalità di coordinamento dei rapporti fra il Governo e le Autonomie locali:
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano; Conferenza Stato-città ed autonomie locali; Conferenza unificata Stato- regioni-città-autonomie locali; Commissariato dello Stato per la Regione siciliana. A chiudere il cerchio, l’Ufficio nazionale per il servizio civile.
Come appare da questa interminabile elencazione, uno studio del genere – che abbia come finalità quella di “pesare” il B.O. all’interno di una macchina burocratica talmente complessa –
ha necessariamente bisogno di operare coraggiose scelte metodologiche,
in parte autonomamente prese,
in parte forzate da oggettive difficoltà empiriche. Come si è detto a proposito del Ministero delle comunicazioni, anche per la Presidenza si è deciso
di selezionare degli Uffici e Dipartimenti svolgenti in maniera unica e sistematica funzioni di supporto, trascurando inevitabilmente di esaminare quanto “sacche” di B.O. si annidino in ciascun altro Dipartimento. In questo caso, però (a differenza di quello precedente ove le differenze potevano essere considerate pressoché inconsistenti), è
doveroso sottolineare che la sottostima del dato qui riportato è davvero significativa trovandosi, in ciascuna struttura, processi di supporto, per così dire, istituzionalizzati in Uffici con frequente occorrenza nei Dipartimenti affidati ai Ministri senza portafoglio.
Detto questo, l’interesse dell’indagine è fatto salvo proprio in considerazione dell’alta incidenza del B.O. nonostante, nel calcolo, al denominatore compaia la somma di tutti i dipendenti
della Presidenza complessivamente considerata (tranne ovviamente
il personale degli Uffici di staff politici) e al numeratore soltanto la “punta”
più visibile e conoscibile delle funzioni di supporto.
Nello specifico, vengono presi in esame il Dipartimento per le risorse umane
e i servizi informatici (DRUSI), l’Ufficio bilancio e ragioneria (UBR) e l’Ufficio per l’acquisizione di beni e servizi
e per la gestione degli immobili (UABSGI). Il primo – DRUSI – provvede infatti: all’acquisizione, alla formazione ed alla gestione del personale
della Presidenza; alle attività di carattere generale, di studio, di analisi
e di verifica delle funzioni organizzative della Presidenza; al supporto organizzativo degli organi collegiali
che operano presso la Presidenza; alla gestione del contenzioso
del lavoro ed assume direttamente
la difesa dell’amministrazione in sede di conciliazione.
L’UBR, d’altro canto, predispone il bilancio preventivo, le relative variazioni ed il conto finanziario
della gestione. L’ufficio svolge inoltre, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 300/99, l’attività connessa al controllo
della regolarità amministrativa e contabile sui provvedimenti
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FIGURA 2: INCIDENZA DEL B.O. IN TERMINI DI RISORSE UMANE |
Fonte: elaborazioni su dati Presidenza
e sui titoli di spesa emessi dai centri di responsabilità e di spesa
della Presidenza. Provvede, altresì, alla registrazione dei relativi impegni
nonché alla validazione dei titoli di spesa. L’UABSGI, infine, provvede, in un quadro unitario di programmazione generale annuale e pluriennale, coerente
con le esigenze di funzionamento della Presidenza e compatibile con le risorse finanziarie, all’approvvigionamento di beni
e servizi, esclusi quelli di competenza del Dipartimento per le risorse umane ed i servizi informatici, nonché
alla gestione ottimale degli immobili e alla razionalizzazione degli spazi per le esigenze delle strutture
della Presidenza. La declinazione, seppur schematica, delle funzioni delle strutture appena richiamate sgombra il campo da ogni equivoco sulla collocazione di esse nel novero delle attività di B.O. e sulla coincidenza
con la lettera della norma di cui
al comma 404 lettera f della Finanziaria.
Venendo ai numeri, si evince come
il DRUSI sia un immenso Dipartimento formato da quasi 700 funzionari
(di tutte le fasce compresi i dirigenti) al quale fa seguito l’UABSGI con 94 dipendenti e l’UBR con 76.
Il personale complessivo della Presidenza è di circa 3.663 unità, cui andrebbero aggiunti naturalmente coloro che
si occupano di supportare l’attività politica, esclusi per i motivi più volte ribaditi. Ne consegue che le attività core abbisognano di circa 2.813 unità. Si rammenta che tale ammontare comprende anche coloro che, all’interno dei vari Dipartimenti
ed Uffici sopra elencati, contribuiscono all’azione amministrativa in tutto
o in parte e che sono sfuggiti inevitabilmente al computo; è legittimo immaginare che una porzione (purtroppo non quantificabile) di queste unità vada traslata al numeratore e cioè vada considerata facente parte del B.O.
Ad ogni modo, la percentuale di B.O. interna alla Presidenza (fig. 2) è assolutamente rimarchevole toccando quota 23,21% e superando di oltre l’8%
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il limite del comma 404.
Basterebbe pertanto solo questo dato per raffigurare un basso livello
di efficienza organizzativa (assumendo
– come ammonisce la Finanziaria – che essa si raggiunga solo laddove il peso delle funzioni di supporto sia al di sotto del 15%) circa l’auto-amministrazione. Infine, andando a considerare il livello dei costi attribuibili ad essa, l’incidenza relativa della dirigenza lascia prefigurare – in termini di spesa –
un esborso più che proporzionale.
A differenza di quanto osservato per
il Ministero delle comunicazioni, infatti, la Dirigenza pesa (sul B.O.) per il 6,08%: il doppio rispetto al caso precedente
e in maniera tale da compromettere sensibilmente la struttura dei costi.
In altre parole, l’incidenza delle funzioni di supporto in termini di costo aumenta di ben 4 punti percentuale se essa
non tiene conto dei dirigenti, rispetto alla generica operazione calcolata
su tutto il personale dell’auto- amministrazione.
Questo dato segna già una netta differenza tra le due amministrazioni analizzate ed offre – con riferimento alla Presidenza – un‘interessante prospettiva di ricerca di possibili soluzioni efficientistiche. Come si dirà nella parte finale del lavoro, infatti,
in questo caso specifico la diminuzione della dirigenza (contestualmente,
si intende, ad una riduzione del personale anche non dirigenziale) avrebbe
un effetto leva sulla riduzione degli oneri finanziari sopportati
dalla Presidenza per le attività di B.O. Ciascun ente, lo si anticipava, possiede caratteristiche peculiari e punti
di debolezza specifici, pertanto gli strumenti di intervento, pur
necessitando di una meta-strategia uniforme ed omogenea, dovrebbero tener conto di tale aspetto.
Si tornerà oltre su codesto ed altri concetti.
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
Quello che si andrà a trattare è forse l’esperimento più apprezzabile sia da un punto di vista scientifico che,
ovviamente, sotto il profilo di ingegneria della pubblica organizzazione e – non ultimo – per il fatto che il Ministero dell’economia e delle finanze (di seguito il Ministero) è una delle autorità incaricate dalla Finanziaria al controllo sul riassetto dei ministeri (v. commi 404 e ss.). Prima però di entrare nel vivo dell’esposizione si introdurrà l’amministrazione interessata, descrivendone in breve i caratteri distintivi.
L’organigramma del Ministero è molto più semplice rispetto a quelli visti
in precedenza, essendo costituito – come noto – da 4 Dipartimenti12:
del Tesoro; della Ragioneria generale dello Stato; dell’Amministrazione generale, del personale e dei servizi; delle Politiche fiscali, Segreterie delle Commissioni tributarie e del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Il Ministero risulta, inoltre, ampiamente articolato su tutto il territorio nazionale grazie alle sedi provinciali e regionali. Differentemente dal modus operandi dei casi precedenti, non sono state selezionate solo alcune strutture svolgenti precipuamente attività
di supporto amministrativo ma, poiché tale amministrazione sta svolgendo
al proprio interno degli studi per adeguarsi alla norma della Finanziaria, si è in possesso della documentazione relativa al peso del B.O. per ciascun Dipartimento.
Si precisa che la metodologia utilizzata dal Ministero per effettuare le stime riportate è quasi del tutto omessa ma, come si avrà modo di verificare, verrà
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in parte criticata in questa sede. Durante il Consiglio dei ministri n. 55 del 15 giugno 2007 è emerso, infatti, uno Schema di decreto di riorganizzazione del Ministero sulla scorta di quanto previsto in particolare dai commi 404- 416 dell’art.1 della Finanziaria. Come si ricava agevolmente dalla lettura, il testo rappresenta il naturale completamento del processo di riorganizzazione avviato con le precedenti riforme, specificando e valorizzando la missione istituzionale dei Dipartimenti
del Ministero secondo i seguenti criteri:
• revisione delle competenze
e rafforzamento del coordinamento in materia di finanza pubblica
e di integrazione dei relativi flussi informativi;
• attribuzione al Dipartimento dell’amministrazione generale del compito di definire indirizzi generali e linee guida in materia di politiche del personale, sentiti gli altri Dipartimenti, prevedendo forme di coordinamento che assicurino una visione coerente e unitaria di tali settori;
• unificazione della gestione del personale, della logistica e dei servizi comuni nel Dipartimento dell’amministrazione generale;
• revisione dell’articolazione territoriale ai sensi dei commi 426-429 della Finanziaria.
Coerentemente con la finalità del presente studio, importa citare quanto più dettagliatamente si prevede per
il Dipartimento dell’amministrazione generale (quello cioè squisitamente di supporto) ovvero quanto si legge nel Capo II dello schema in oggetto. Rispetto all’ordinamento previgente sono state razionalizzate e meglio
precisate le rispettive competenze dei Dipartimenti al fine di evitare
duplicazioni organizzative e di funzioni. Particolarmente innovativo, oltre che coerente con la norma della Finanziaria (gestione unitaria del personale
e dei servizi comuni anche mediante strumenti di innovazione amministrativa e tecnologica), è il ruolo assunto
dal Dipartimento in esame cui sono state completamente affidate le attività di carattere operativo (transazionali
nel testo). In staff ad ogni Dipartimento sono (però) mantenuti nuclei costituiti di una posizione dirigenziale generale con funzioni di coordinamento
con il Dipartimento generale ed uffici di livello dirigenziale non generale
ai quali sono demandate le attività residuali in materia di risorse umane, acquisti e logistica, di competenza dei singoli Dipartimenti. In tal modo, il Dipartimento dell’amministrazione generale, del personale e dei servizi
assume anche il ruolo di “centro servizi” per il Ministero nel suo complesso, ponendo i Dipartimenti quali utilizzatori dei servizi erogati. Tale modello, nell’idea del regolatore, consentirebbe di ridurre in maniera significativa
il personale adibito ad attività di supporto nei singoli Dipartimenti, a seguito delle economie di scala e di specializzazione, conseguenti alla riorganizzazione, permettendo di riallocare parte
del personale che attualmente svolge attività di carattere istituzionale; ciò anche ai fini del rispetto del limite del 15% posto per il personale
di supporto dal comma 404 lettera f della Finanziaria.
Al punto 2.1 f del relativo Piano operativo si delinea l’obiettivo di ridurre
le dotazioni organiche in modo da assicurare il rispetto del limite suddetto mediante processi di riorganizzazione, di formazione e riconversione
del personale addetto alle predette funzioni e si indica (in parte) il metodo di analisi che ha portato all’individuazione delle eccedenze, rispetto al limite
del 15%. Ed è proprio in questa fase
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TABELLA 2: RIPARTIZIONE DELLE RISORSE UMANE ALL’INTERNO DEL MEF | |
Ministero dell’economia Dipendenti in servizio | Dipendenti dedicati |
e delle finanze | al supporto |
Dipartimento del tesoro 923 | 150 |
Ragioneria generale dello Stato 5.256 | 868 |
Dip. amm. generale, personale e dei servizi 6.094 | 2.280 |
Dip. politiche fiscali 3.338 | 956 |
TOT. 15.611 | 4.254 |
Fonte: Ministero dell’economia e delle finanze (dati al 31/12/2006, relativi ai dipendenti in servizio negli uffici centrali e periferici, compresi i comandati in, esclusi i comandati out, fuori ruolo.
Nel totale non è compresa la Scuola superiore dell’economia e delle finanze).
che si riporta una tabella (tab. 2) con la ripartizione delle risorse umane all’interno del Ministero divise per ciascun Dipartimento e comprensive del personale periferico; per ciascun Dipartimento, inoltre, viene indicata la frazione di dipendenti svolgenti attività di B.O.
Prendendo per buona questa analisi, l’incidenza delle funzioni di supporto sarebbe del 27,2% in termini relativi e di 4.254 unità in termini assoluti, prefigurando eccedenze per ben 1.912 unità di personale. Come preannunciato, però, è parso più opportuno – anche sulla scorta di altre esperienze ivi comprese quelle non rientranti nel presente lavoro – discostarsi sensibilmente dalle valutazioni emergenti nel Piano operativo del Ministero, elaborando i dati in modo tale che essi seguano il tracciato
della legge Finanziaria e del Regolamento che disciplina le attività dei Dipartimenti.
In altre parole, mentre si plaude
al calcolo delle frazioni di B.O. anche all’interno dei Dipartimenti titolari
di attività core (scovando quello che è stato qui definito lo “zoccolo duro” del B.O.), non sembra possibile accettare il dato relativo alla porzione di personale del Dipartimento
dell’amministrazione generale dedicata al supporto. Scorrendo, infatti,
la Sezione IV dello Schema
di regolamento di organizzazione del Ministero si legge – articolo 17 –
che il Dipartimento dell’amministrazione generale – articolato in 5 Uffici di livello dirigenziale – “svolge attività di supporto per il Ministero ed ulteriori servizi,
tra cui gli approvvigionamenti delle pubbliche amministrazioni ed il pagamento degli stipendi
delle amministrazioni dello Stato”13.
Detto questo, appare ovvia la scelta di considerare tutto il personale
del Dipartimento in questione come svolgente attività di B.O. (anche se in minima e trascurabile parte tale attività è di supporto anche ad altre amministrazioni).
Le proporzioni, sostituendo il valore numerico di 2.280 con quello più appropriato di 6.094 (v. ancora tab. 2) risorse umane interne al Dipartimento dell’amministrazione generale, mutano in modo assolutamente ragguardevole, arrivando il B.O. a superare – seppur
di pochissimo – le attività core
con 7.936 unità (fig. 3). E tale valore difficilmente è destinato a calare
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attraverso le misure previste, comportando esse solo un mero trasferimento
di funzioni e personale dagli altri Dipartimenti verso quello che potrebbe diventare un mega-Dipartimento
di supporto, ancor più elefantiaco, se possibile, di quello attuale.
Per onestà d’analisi, è giusto restringere
– così come è stato fatto per le altre amministrazioni – il campo d’indagine alla sola sede centrale, eliminando
il personale di supporto e di core delle sedi territoriali.
La mancanza però di informazioni circa il numero di impiegati in attività core disaggregati fra la dimensione centrale e quella locale, impone un’operazione tendente a sottorappresentare il livello di B.O.: al numeratore, infatti, compaiono i dipendenti impiegati
in attività di supporto presso la sede centrale mentre, al denominatore, non cambia l’ammontare complessivo del personale del Ministero.
Ciò, pur avendo come effetto quello di ridurre sensibilmente la porzione di B.O., fotografa una situazione altamente critica (36,45%) nonostante la percentuale andrebbe certamente aggiustata al rialzo, ma esprime – contestualmente – un altro rilevante problema collegato alle sedi regionali e provinciali. Infatti, se il peso relativo scaturente dalla diversa operazione diminuisce di oltre 20 punti percentuale (dal 50,84% al 36,45%),
è da segnalare un altissimo peso delle funzioni di supporto anche in “periferia” ove, per definizione, dovrebbero invece risiedere
(per la quasi totalità) attività di core se non di Front Office.
Si tornerà sulla questione nelle ultime battute del lavoro.
AGENZIA DELLE ENTRATE
Lo schema organizzativo dell’Agenzia risponde ai criteri di efficienza
ed efficacia circa l’articolazione delle attività di core e quelle di B.O.
Infatti, se a livello centrale vi è
una struttura formata da 4 Uffici di staff del Direttore dell’Agenzia e 6 Direzioni generali che possono tutti essere visti come centri di auto-amministrazione dell’ente, a livello periferico si trovano le Direzioni regionali con importanti compiti di core e di coordinamento degli Uffici provinciali e locali, veri
e propri bracci operativi dell’Agenzia: in totale circa 36.213 dipendenti14.
Un siffatto organigramma ha imposto una modifica metodologica ai fini
di un’opportuna rappresentazione
del fenomeno analizzato e, naturalmente, a quelli più alti della corretta comparabilità tra questo dato e quelli emersi per
i Ministeri e la Presidenza. In accordo con il personale intervistato, infatti, si è optato per selezionare due Uffici locali
– uno di medie (148 unità) dimensioni e l’altro di grandi (222 unità) – così
da individuare, in un’amministrazione dotata sia di strutture di supporto
che di core business, il peso relativo del B.O. Per quanto testé premesso, non sarebbe stato opportuno considerare la sede centrale poiché strutturata per controllare, gestire
e sostenere l’attività dell’Agenzia.
I dati riportati in tabella 3 mostrano due situazioni molto diverse in termini dimensionali ma sostanzialmente simili con riguardo all’incidenza delle funzioni di supporto e alla struttura dei costi. Anzi, il trend (se di trend
si può parlare visto che sono solo due i casi) indicherebbe un approccio assolutamente positivo ed efficientistico: al crescere del numero di impiegati, il peso specifico del B.O. tende a diminuire grazie alle opportune leve su economie di scala
e di scopo. In altre parole, una struttura periferica come quelle analizzate, si focalizza sempre di più in attività core,
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FIGURA 3: INCIDENZA TOTALE DEL B.O. IN TERMINI DI RISORSE UMANE |
Fonte: elaborazioni su dati MEF
TABELLA 3: INCIDENZA DEL B.O. IN DUE UFFICI CAMPIONE | |||||||
Uff. Medio | UNITA’ | COSTI | Uff. Grande | UNITA’ | COSTI | ||
PERS NON DIRIG | 133 | €4.690.854,43 | PERS NON DIRIG | 202 | €7.159.763,95 | ||
PERS B.O. | 15 | €501.153,31 | PERS B.O. | 20 | €649.893,77 | ||
INCIDENZA B.O. | 11,28% | 10,68% | INCIDENZA B.O. | 9,90% | 9,08% |
Fonte: dati Agenzia delle entrate relativi al dicembre 2006
concentrando invece le risorse autoreferenziali in maniera positivamente correlata alla crescita dimensionale.
Ciò, è bene enfatizzarlo, si spiega anche per il fatto che una buona parte delle strutture di supporto è accentrata nella sede romana (come si anticipava), permettendo un’opportuna ed efficace declinazione delle risorse e delle competenze. La minore specificità
di queste nelle sedi territoriali
(così come affermano gli intervistati) ne permetterebbe un utilizzo
più versatile e multi-direzionale, impattando utilmente anche sul peso
e sui costi del B.O.
Una media tra le dimensioni mostrate in tabella (fig. 4) evidenzia valori
del tutto nuovi rispetto alle analisi precedenti e se questo si lega in parte alla differente dislocazione dei centri di attività, in buona sostanza essa va attribuita ad un positivo ed opportuno impegno di ri-organizzazione delle
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FIGURA 4: INCIDENZA MEDIA DEL B.O. NEGLI UFFICI TERRITORIALI ANALIZZATI |
Fonte: elaborazioni su dati Agenzia delle entrate
risorse umane volto alla riduzione degli sprechi, all’eliminazione delle duplicazioni di attività e all’efficientamento
delle funzioni di supporto15.
CONCLUSIONI
Questo primo studio si colloca in un solco più ampio nella ricerca di sentieri
di efficientamento delle pubbliche amministrazioni e del miglioramento dell’azione amministrativa.
Una profonda ri-organizzazione
di queste è un passaggio obbligato affinché l’economia nazionale torni su un sentiero di crescita duratura.
Dalla produzione e dall’accesso
a servizi universali e di qualità, di cui le pubbliche amministrazioni rimangono l’asse portante, dipende la stessa disponibilità dei diritti
di cittadinanza previsti dall’ordinamento costituzionale. Investire nella qualità della pubblica amministrazione
è indispensabile per dare efficacia all’azione pubblica nel quadro
di imparzialità, buon andamento
e legalità. Alle risorse necessarie può e deve concorrere la riduzione
degli sprechi e la responsabilizzazione dei centri di spesa.
La riorganizzazione della pubblica amministrazione e delle funzioni pubbliche, a livello centrale e locale, deve essere ispirata all’obiettivo
di accrescere la produttività del sistema Paese. Ciò esige che siano create condizioni di misurabilità, verificabilità e incentivazione della qualità
dei servizi e delle funzioni pubbliche.
In questo modo si valorizzano
le professionalità dei lavoratori pubblici e la dirigenza pubblica può trovare
la motivazione e l’incentivo
per perseguire in modo trasparente e giudicabile la missione che le è assegnata.
Come sottolineato anche nel documento di Intesa sul lavoro pubblico e sulla riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche16, infatti, “Il miglioramento delle funzioni pubbliche richiede
un concorso coordinato:
della legislazione a sostegno della piena contrattualizzazione del rapporto
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FIGURA 5: CONFRONTO DELLE AMMINISTRAZIONI RISPETTO AL LIMITE PREVISTO DALLA FINANZIARIA |
Fonte: elaborazioni su dati emersi dall’indagine. Per il MEF è stata considerata la frazione di B.O. concentrato nella sola sede centrale ai fini di una corretta comparazione con le altre amministrazioni. Per ciascuna di esse, comunque, si rammentano le precauzioni metodologiche chiarite di volta in volta.
di lavoro pubblico; delle disposizioni contrattuali del settore pubblico; della disciplina delle procedure
e del sistema di contrattazione (nazionale e integrativa); dell’esercizio dei diversi e distinti livelli di responsabilità; del sistema dei controlli e della semplificazione e delle regole contabili e amministrative; della infrastruttura tecnologica; delle strutture e dei modi di comunicazione con i destinatari
dei servizi; dei meccanismi di reclutamento e dei sistemi di formazione del personale;
dell’utilizzo delle nuove tecnologie ed in modo particolare del telelavoro. In questo nuovo impianto gli aumenti di efficacia e di efficienza dovranno essere perseguiti ricorrendo
alle esternalizzazioni solo per le attività
no core, limitando il ricorso
alle consulenze nelle pubbliche amministrazioni, e riducendo il numero di incarichi dirigenziali.
Andranno inoltre realizzati risparmi sull’acquisto di beni e servizi e misure che diano piena garanzia di imparzialità e di trasparenza nel sistema
degli appalti pubblici. In tale ultimo senso è diretta anche l’ottimizzazione dei servizi ispettivi e di vigilanza
in materia di lavoro”.
Quanto emerso ha messo in luce tutta la criticità della questione in oggetto e pone seri problemi per il manager pubblico nella fase di pianificazione
e di gestione del cambiamento e, nello specifico, di riduzione
delle risorse umane destinate ad attività di supporto. Tutte le amministrazioni interessate, infatti, conoscono un’incidenza di B.O. sensibilmente superiore al 15%, come mostrato nell’istogramma di seguito (fig. 5), tranne l’Agenzia delle entrate che –
in seguito all’attuazione di strategie proprie di organizzazioni private
e grazie alla specificità del proprio assetto funzionale – si situa ben
al di sotto del tetto indicato (rappresentato dal cono nel grafico). La realtà sarebbe ancora più problematica se si considerassero
le indicazioni esposte circa l’inevitabile tendenza alla sottorappresentazione della frazione di B.O. sul totale
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delle attività core, ove andrebbe legittimamente immaginato uno “zoccolo duro” di auto-amministrazione tale
da far incrementare tali valori. Gli “spazi grigi”, proprio a causa della loro difficile individuazione
e misurazione, potrebbero essere quelli sui quali più difficilmente si riuscirà ad intervenire.
Questo accorgimento è solo uno
dei diversi motivi per i quali la ricerca non può definirsi completa
ed esauriente ma solamente un punto di partenza per successivi approfondimenti e maggiori elaborazioni (anche di carattere econometrico) per la costruzione
di una piattaforma più solida e sicura, sulla quale poter progettare ed attuare strategie volte al raggiungimento
dei risultati che sia la Finanziaria, sia il mondo della pubblica
amministrazione che quello dei suoi utenti (cittadini, imprese, ecc.)
si aspettano.
Xxxxxxxxx Di Xxxxxx Dottorando di Ricerca Università LUISS Roma
NOTE
1 Il presente articolo rappresenta l’estratto di un saggio in corso di pubblicazione sulla rivista Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, n. 2/2007,
Xxxxxxx editore.
2 Così anche nel Report annuale sull’implementazione della Strategia di Lisbona.
3 In tal senso anche le dichiarazioni del Presidente dell’AGCM (Autorità garante della concorrenza e del mercato) Xxxxxxx Xxxxxxxxx nel luglio del 2006. Corriere della Sexx, 00.0.0000.
4 L’importanza di una precisazione a livello semantico è giustificata, come si vedrà in tutto il lavoro, da una confusione alquanto generalizzata che, almeno nel nostro Paese, impedisce un intervento proficuo teso alla necessaria razionalizzazione di codeste attività.
5 Situazione al 12.10.2006. Fonte: Presidenza del Consiglio.
6 L’Agenzia delle entrate è infatti operativa dal gennaio del 2001 ed è una delle quattro agenzie fiscali nata dalla riorganizzazione dell’Amministrazione finanziaria a seguito del D.Lgs. n. 300/99 e alla quale sono state attribuite funzioni riguardanti le entrate tributarie erariali, non assegnate alle competenze di altre agenzie.
7 Si noti che le denominazioni riguardanti ciascuna Direzione generale e il Segretariato generale non appartengono ad una prassi interna al Ministero ma sono state utilizzate comodamente in questa sede per meri motivi di spazio.
8 Ciò tranne nel caso del MEF. Come si dirà in seguito, infatti, studi interni al Ministero e finalizzati proprio alla stima del peso del B.O. hanno riportato – per ciascun Dipartimento – il numero di dipendenti impiegati in funzioni di supporto.
9 Situazione al 14.5.2007. Fonte: Ministero delle comunicazioni.
10 Le risorse impiegate a livello territoriale sono ragguardevoli. Emerge infatti che ben il 57% del personale si trova dislocato presso i vari Ispettorati regionali (946) e solo il 43% lavora nella sede centrale qui presa in esame (720 appunto).
11 Disciplinata con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 luglio 2002.
12 Si vedano il D.Lgs. n. 300/99 e il D.Lgs. n. 173/2003.
13 Tale impianto è sostanzialmente confermato scorrendo la presentazione del Dipartimento presente sul relativo sito Internet.
14 Dato relativo al dicembre 2006. Fonte: Agenzia delle entrate.
15 Non essendo la sede opportuna per indugiare sui dettagli del percorso avviato questi anni dall’Agenzia, si rammenta comunque che molte informazioni sul punto sono state fornite durante gli incontri col personale dell’ente.
16 Roma, 6 aprile 2007.
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Si riportano qui di seguito le risposte ad alcuni quesiti pervenuti.
In un ente con dirigenti, sulla base delle previsioni dell’art. 14 del CCNL 9.5.2006, è possibile prevedere già per l’anno 2007 il finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato dei titolari di posizione organizzativa a carico del bilancio dell’ente, anziché a carico delle risorse decentrate, dato che il suddetto anno rientrerà comunque nel quadriennio 2006-2009 che formerà oggetto del prossimo rinnovo contrattuale?
La clausola dell’art. 14 del CCNL del 9.5.2006, secondo la quale
gli oneri connessi alla retribuzione
di posizione e di risultato delle posizioni organizzative degli enti dotati di personale con qualifica dirigenziale sono posti a carico del bilancio
degli enti stessi, come si evince anche dal suo titolo, non ha carattere immediatamente precettivo
e dispositivo ma solo meramente programmatico ed anticipatorio. Pertanto solo con la effettiva definizione della nuova disciplina della materia, in occasione del rinnovo per il quadriennio 2006-2009, sarà possibile sapere l’ammontare,
la misura e le modalità con le quali gli attuali costi della retribuzione di posizione e di risultato
delle posizioni organizzative potranno essere posti direttamente a carico dei bilanci degli enti, anche alla luce degli attuali vincoli
di finanza pubblica in materia di spese per il personale e di oneri per i rinnovi contrattuali.
E’ possibile integrare le risorse decentrate dell’ente con gli importi corrispondenti alle percentuali di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 4 del CCNL
9.5.2006 anche per l’anno 2007?
Sulla problematica esposta si ritiene utile precisare quanto segue:
1. il nuovo sistema di possibile
incremento delle risorse finanziarie disponibili per la contrattazione decentrata integrativa, legato
al possesso da parte di ciascun ente di precisi parametri indicativi della effettiva situazione economico- contabile dello stesso, introdotto dall’art. 4 del CCNL del 9.5.2006,
si articola su due diverse modalità, in considerazione della differente natura delle risorse suscettibili
di essere implementate;
2. l’art. 4, comma 1, infatti, in presenza del rapporto tra spesa del personale ed entrate correnti ivi previsto, consente, agli enti, a decorrere
dal 31.12.2005 e a valere per l’anno 2006, di incrementare le risorse decentrate stabili, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del CCNL
del 22.1.2004; tale incremento può trovare applicazione una sola volta, relativamente all’anno 2006 (“Gli ente locali… incrementano... a decorrere dal 31.12.2005 e a valere per l’anno 2006 ”) e, conseguentemente, non può essere ripetuto anche per l’anno 2007, nel senso che allo 0,5% del 2006 si possa aggiungere
un ulteriore 0,5% per l’anno successivo; poiché l’applicazione dell’art. 4, comma 1, ha determinato un incremento delle risorse aventi carattere di certezza e stabilità,
in coerenza con tale natura delle stesse, l’importo corrispondente a tale incremento, calcolato per l’anno 2006, si consolida definitivamente nel tempo tra quelle destinate al finanziamento della contrattazione decentrata integrativa;
3 l’art. 4, comma 2, del CCNL del 9.5.2006, invece, in presenza delle ulteriori condizioni economico-
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finanziarie ivi stabilite, ha consentito, sempre a decorrere dal 31.12.2005 e a valere per l’anno 2006,
un incremento delle risorse variabili, di cui all’art. 31, comma 3, del CCNL del 22.1.2004, nel rispetto delle misure percentuali massime previste nelle lett. a) e b)
del medesimo art. 4, comma 2; anche in questo caso l’incremento può trovare applicazione solo
per l’anno 2006 ed anche in questo caso si deve escludere che gli enti possano fare ricorso alla suddetta clausola contrattuale per implementare le risorse variabili anche per l’anno 2007, pure
in presenza dei parametri dalla stessa previsti; poiché l’applicazione del citato art. 4, comma 2, ha determinato
un incremento per l’anno 2006 delle sole risorse variabili, proprio in considerazione di tale aspetto, il relativo importo non può consolidarsi e non può essere confermato per il 2007
e per gli anni successivi;
4. considerazioni analoghe a quelle dei precedenti punti 2 e 3, valgono anche relativamente alla disciplina dei commi 3, 4 e 5, concernenti
le modalità di incremento delle risorse presso, rispettivamente,
i comuni metropolitani, presso le Camere di commercio e le Regioni.
In un ente presso il quale sia in servizio personale di categoria D, il particolare compenso previsto
dall’art. 17, comma 2, lett. f) del CCNL dell’1.4.1999, come sostituito dall’art. 7 del CCNL del 9.5.2006, può essere riconosciuto anche a lavoratori inquadrati nelle categorie B e C?
Sulla base della disciplina dell’art. 17, comma 2, lett. f), del CCNL dell’1.4.1999, come integrata dall’art. 36, comma 1, del CCNL del 22.1.2004 e dall’art. 7 del CCNL del 9.5.2006, relativamente agli enti la cui dotazione organica prevede posti
di personale di categoria D, si ritiene utile precisare quanto segue:
1. spetta alle autonome determinazioni della contrattazione decentrata integrativa di ciascun ente
la definizione dei criteri per
la individuazione degli incarichi di responsabilità legittimanti l’erogazione dell’indennità e per la quantificazione dell’ammontare
della stessa entro il limite massimo stabilito dal CCNL (€2.500);
2. l’indennità di cui si tratta può essere corrisposta al personale delle categorie B, C e D;
3. non può essere erogata al personale della categoria D, quando lo stesso sia già incaricato della titolarità di posizioni organizzative;
4. l’indennità può essere erogata presso il medesimo ente a personale delle categorie B e C, pure in presenza presso lo stesso di personale della categoria D,
a prescindere da ogni valutazione circa l’attribuzione o meno
a quest’ultimo, sulla base delle previsioni della contrattazione decentrata integrativa, di incarichi legittimanti l’erogazione dell’indennità di cui si tratta
(è evidente che in sede negoziale, l’ente deve attenersi a principi
di buon senso e ragionevolezza, evitandosi situazioni paradossali, come l’esclusione del personale D da ogni incarico o l’attribuzione allo stesso di incarichi di valenza economica più bassa rispetto
a quanto stabilito per il personale delle categoria B e C; situazioni
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di questo genere, infatti, ben difficilmente potrebbero trovare adeguata giustificazione sotto
il profilo organizzativo);
5. ai fini della erogazione della indennità è necessaria la sussistenza
di incarichi o di compiti particolari, preventivamente definiti in sede
di contrattazione decentrata integrativa e formalmente affidati al personale sopra individuato dai competenti responsabili
dei servizi, che impongono la assunzione di una qualche
diretta e specifica responsabilità di iniziativa e di risultato (ad es. coordinamento di altri lavoratori; responsabilità di procedimento complesso, ai sensi della Legge n. 241/90).
La disciplina dell’art. 13 del CCNL del 9.5.2006 ha modificato
le condizioni ed i limiti stabiliti dagli artt. 45 e 46 del CCNL del 14.9.2000 per l’erogazione
dei buoni pasto? In particolare è possibile prescindere, per il personale turnista con orario di 35 ore settimanali, dal requisito della necessaria presenza della prestazione lavorativa prestata
al mattino con prosecuzione anche nelle ore pomeridiane?
La nuova disciplina in materia
di erogazione e fruizione dei buoni pasto, introdotta dall’art. 13 del CCNL del 9.5.2006, risponde ad una precisa esigenza in tal senso espressa direttamente dal Comitato di settore nel suo atto di indirizzo.
Essa non incide, in alcun modo, sulla complessiva regolamentazione
della materia, contenuta degli artt. 45 e 46 del CCNL del 14.9.2000.
Proprio a conferma della loro ulteriore vigenza, gli stessi sono richiamati in principio della nuova clausola contrattuale.
In base alle nuove regole, agli enti del comparto è riconosciuta
la possibilità di individuare, in sede
di contrattazione decentrata integrativa, quelle particolari figure professionali operanti nelle aree della protezione civile, della vigilanza, dell’area scolastica ed educative
e delle attività di biblioteca che, in considerazione della necessità
di assicurare la continuità dei servizi, fermo restando l’attribuzione
del buono pasto, possono fruire di una pausa per la consumazione
del pasto di durata determinata in xxx xxxxxxxxx, xx xxxxxxx xx xxxxxxxx brevità rispetto a quella prevista
nella pregressa disciplina contrattuale.
Proprio in considerazione
delle particolari finalità perseguite
e dei contenuti derogatori alle regole generali, l’indicazione contenuta nella clausola contrattuale delle aree di attività e dei profili eventualmente interessati deve ritenersi esaustiva e, pertanto, suscettibile di ampliamenti o di estensioni analogiche in sede
di contrattazione decentrata integrativa.
La pausa, nelle ipotesi previste, proprio per evitare ogni incidenza sulla continuità del servizio, potrà essere collocata anche all’inizio
o alla fine di ciascun turno di lavoro. Il richiamo alle disposizioni degli artt. 45 e 46 del CCNL 14.9.2000, consente di poter affermare che,
nella attribuzione dei buoni pasto, secondo le integrazioni introdotte dalla nuova disciplina, non si può comunque prescindere dalla necessaria esistenza di prestazioni lavorative sia in orario antimeridiano sia in orario pomeridiano.
Resta confermato, anche, che spetta ai singoli enti valutare le condizioni di bilancio che possono consentire l’organizzazione della mensa
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o l’attribuzione di buoni pasto sostitutivi come pure si deve far riferimento a dette condizioni per quantificare il numero complessivo erogabile in ogni settimana lavorativa.
Nel caso della polizia municipale, qualora l’attività straordinaria sia resa nelle fasce serali a conclusione
del turno pomeridiano, può essere riconosciuto il diritto al buono pasto ai lavoratori interessati, visto che tale fascia oraria ricade in corrispondenza della cena?
In base alla disciplina degli artt. 45
e 46 del CCNL 14.9.2000, non modificata in alcun modo su questo specifico punto dalle disposizioni dell’art. 13 del CCNL del 9.5.2006, il requisito indispensabile per la fruizione
del servizio mensa o in alternativa
dei buoni pasto è quello della necessaria prosecuzione dell’orario di lavoro anche nel pomeriggio, ossia della esistenza di prestazioni lavorative
sia in orario antimeridiano sia in orario pomeridiano; il CCNL, infatti, non attribuisce alcuna rilevanza
alle prestazioni che vengono svolte di sera o in periodo notturno.
Analogamente a quanto accadeva nella preesistente regolamentazione pubblicistica, quindi, le parti negoziali hanno ravvisato proprio nello specifico disagio connesso alla maggiore durata ed alla conseguente, necessaria, continuità della prestazione lavorativa nel mattino
e nel pomeriggio (tenendo conto a tal fine di quella resa a titolo
di lavoro straordinario, di recupero di prestazioni in precedenza non rese, ecc.), la condizione legittimante l’erogazione del beneficio.
Conseguentemente, devono attualmente ritenersi escluse dalla portata applicativa
della previsione contrattuale altre forme di articolazioni dell’orario
di lavoro, diverse da quella ivi stabilita. Neppure sono possibili interpretazioni estensive, in quanto ampliando la sfera di efficacia
(e dei beneficiari) della disciplina contrattuale, si determinerebbe
un maggiore costo a carico dell’ente (con eventuale configurabilità
di una responsabilità per danno erariale).
Si ricorda, infine, che la materia dei buoni pasto non è oggetto di contrattazione decentrata
integrativa, se non nei precisi limiti dell’art. 13 del CCNL del 9.5.2006.
Quali sono le corrette modalità applicative dell’art. 4, comma 1, del CCNL del 14.5.2007 relativo
alla dirigenza del Comparto Regioni- Autonomie locali, con specifico riferimento alla situazione dei dirigenti assunti dal 2.1.2005?
Per la soluzione della specifica problematica delle modalità applicative dell’art. 4 CCNL del 14.5.2007,
in presenza di dirigenti assunti dal 2.1.2005, occorre guardare alle posizioni dirigenziali che essi hanno occupato.
Infatti, se queste erano prive
di titolare alle date sia dell’1.1.2004 che dell’1.1.2005, anche se successivamente ricoperte (dal 2.1.2005), si deve escludere ogni possibilità
di applicazione, sia dell’incremento di €572, 00 sia quello di €1144,00.
Il comma 2 dell’art. 4 del CCNL prevede anche che gli enti possono, comunque, procedere all’adeguamento anche del valore della retribuzione di posizione
dei posti di qualifica dirigenziale non ricompresi nella portata
applicativa del comma 1 del medesimo articolo, tenendo conto degli
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incrementi da questo disposti.
Per tale adeguamento, possibile solo con decorrenza dalla data
del 31.12.2005 (o da altra data successiva), è previsto che gli enti utilizzino
le risorse già destinate, in xxx xxxxxxxxx, xx finanziamento della retribuzione
di posizione e di risultato, secondo le previsioni dell’art. 26 del CCNL
del 23.12.1999, ed ancora, eventualmente ed effettivamente, disponibili in tale anno.
In caso di inesistenza o insufficienza di tali risorse, gli enti potrebbero utilizzare, eventualmente, per
la medesima finalità di adeguamento, anche parte di quelle nuove, corrispondenti all’incremento
dello 0,89% del monte salari dell’anno 2003, per la quota relativa ai dirigenti, previsto dal comma 4 del medesimo art. 4 del CCNL,
con decorrenza dal 31.12.2005 e a valere per l’anno 2006.
Naturalmente, tale possibilità sarà limitata alle sole risorse effettivamente destinate, nell’ambito di quelle complessivamente derivanti dall’applicazione della citata percentuale di incremento
dello 0,89%, al finanziamento della retribuzione di posizione, sulla base delle decisioni a tal fine assunte in sede di contrattazione decentrata integrativa, cui spetta la definizione, ex novo, dei criteri per la ripartizione delle nuove
disponibilità finanziarie tra retribuzione di posizione e retribuzione di risultato (art. 4, comma 5 del CCNL
del 14.5.2007). E’ da escludere, in ogni caso, ogni possibilità di un accollo
di maggiori oneri a carico del bilancio dell’ente.
Gli incrementi della retribuzione di posizione stabiliti dall’art. 4, comma 1 del CCNL della dirigenza
del 14.5.2007 hanno effetto, così come avviene per lo stipendio tabellare,
ai sensi dell’art. 3 del medesimo CCNL, alle scadenze e negli importi previsti,
ai fini del trattamento di quiescenza normale e privilegiato,
della rideterminazione del valore dell’indennità premio di fine servizio, dell’indennità sostitutiva del preavviso, ecc., per i dirigenti collocati a riposo nell’arco di vigenza del contratto collettivo? Da quando si applica
la nuova disciplina della 13a mensilità dei dirigenti, di cui all’art. 5 del CCNL del 14.5.2007, in particolare
ha efficacia retroattiva?
Relativamente alle problematiche esposte, si ritiene utile precisare quanto segue:
a) le previsioni dell’art. 3 del CCNL del 14.5.2007 si applicano solo agli incrementi dello stipendio tabellare e non possono
estendersi, in via analogica, anche agli incrementi della retribuzione di posizione previsti dall’art. 4
del medesimo CCNL; pertanto, tali ultimi incrementi potranno essere utilmente valutati solo sulla base delle specifiche regole, anche sotto il profilo della decorrenza temporale, che
prendono in considerazione anche la retribuzione di posizione
dei dirigenti per la definizione di altri specifici istituti del
trattamento economico, inserendo tale emolumento nella base di calcolo per la loro quantificazione;
b) la nuova disciplina della tredicesima mensilità si applica, secondo
le regole generali in materia di efficacia dei CCNL, solo con riferimento dalla data
di stipulazione del CCNL della dirigenza e cioè dal 14.5.2007, dovendosi escludere ogni forma di retroattività relativa agli anni 2004
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e 2005; pertanto, fino alla data del 14.5.2007, ai fini del calcolo della 13a mensilità, troverà
applicazione la pregressa disciplina dell’art. 3 del CCNL della dirigenza del 12.2.2002; da tale data e per
il periodo successivo, invece, si farà riferimento ai profili innovativi della nuova
regolamentazione dell’art. 5 del CCNL del 14.5.2007 (ivi compresi quelli relativi alla commutabilità del rateo della 13a mensilità relativi ai periodi di congedo parentale
e di congedo per malattia del figlio per i quali è prevista la corresponsione della retribuzione per intero, secondo la disciplina dell’art. 5
del CCNL 12.2.2002).
Gli incrementi della retribuzione
di posizione previsti dall’art. 4, comma 1, del CCNL della dirigenza
del 14.5.2007 si applicano nell’ipotesi dei dirigenti assunti extra dotazione organica, ai sensi dell’art. 110, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000 ed in quella del dirigente assunto con contratto
a termine, ai sensi dell’art. 110, comma 1 del medesimo D.Lgs.
n. 267/2000 per ricoprire un posto vacante della dotazione organica, occupato, sia alla data dell’1.1.2004 che a quella dell’1.1.2005, da altro dirigente successivamente cessato nel corso dello stesso anno 2005?
I dirigenti extra dotazione organica, assunti ai sensi dell’art. 110 del D.Lgs.
n. 267/2000, non possono beneficiare dell’incremento della retribuzione di posizione di cui all’art. 4, comma 1 del CCNL del 14.5.2007.
Infatti, l’art. 4, comma 1 del CCNL del 14.5.2007 limita espressamente gli incrementi da esso recati alle sole
posizioni dirigenziali, previste dall’ordinamento dell’ente
ed effettivamente ricoperte alle date, rispettivamente, dell’1.1.2004
e dell’1.1.2005.
Con riferimento all’ipotesi del dirigente assunto a termine, occorre preliminarmente ricordare che
gli incrementi dell’art. 4 del CCNL del 14.5.2007, hanno carattere “oggettivo” in quanto riguardano la retribuzione di posizione
delle diverse posizioni dirigenziali previste dall’ordinamento dell’ente ed effettivamente ricoperte alle date, rispettivamente, dell’1.1.2004
e dell’1.1.2005 e, quindi, non possono essere considerate un beneficio economico di carattere soggettivo
e personale. Nell’ipotesi considerata, quindi, poiché viene in considerazione un posto di qualifica dirigenziale
già ricoperto alle date previste dell’1.1.2004 e dell’1.1.2005, alla relativa retribuzione di posizione si applicheranno gli incrementi previsti dall’art. 4, comma 1 del CCNL
del 14.5.2007, anche se il dirigente che ne era titolare è cessato
dal servizio successivamente,
in data 1.3.2005. Pertanto, essendosi determinato un incremento del valore economico della retribuzione di quella particolare posizione dirigenziale, della stessa
ne beneficerà anche il dirigente che sia stato, successivamente all’1.3.2005, incaricato della titolarità della medesima, anche se con contratto
a termine.
Un ente ha una propria sede in un altro comune, in cui la ricorrenza del santo patrono coincide con la festività del 25 aprile. In tale ipotesi, è possibile
il recupero o l’indennizzo
della ricorrenza del santo patrono non goduta?
In base all’art. 18, comma 6, del CCNL del 6.7.1995, la ricorrenza del santo patrono deve considerarsi giorno
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festivo solo se ricadente in giorno lavorativo. Tale presupposto, evidentemente, manca (come nel caso sottoposto), ove la ricorrenza del santo patrono venga a coincidere con
una festività infrasettimanale prevista direttamente dalla legge.
Inoltre, la stessa disciplina contrattuale non prevede e non consente (e quindi non possono ritenersi sussistenti diritti in tal senso dei lavoratori), in alcun modo,
il recupero della festività del santo patrono non fruita per qualunque motivo, ivi compreso quello del caso in esame.
Un dipendente, ammesso al beneficio dei permessi per motivi di studio,
di cui all’art. 15 del CCNL
del 14.9.2000 ed avendo fruito solo in parte delle 150 ore a tal fine previste nel corso dell’anno
di riferimento, ha formalmente rinunciato all’ulteriore utilizzo delle rimanenti ore.
E’ possibile riconoscere ad altro dipendente le ore residue, da fruire entro la fine dell’anno solare
di riferimento?
Nel caso in cui le 150 ore annue
di permesso per studi, di cui all’art.15 del CCNL del 14.9.2000, non siano integralmente utilizzate dal lavoratore cui siano state riconosciute per
il corso di studi prescelto, l’ente potrà discrezionalmente attribuire, in presenza di ulteriori richieste, le ore residue ad altro lavoratore, secondo modalità tali da rispettare sempre il vincolo quantitativo massimo del 3%, riferito all’anno solare considerato.
Nel caso prospettato, ai fini della verifica dell’esistenza di ore residuali, non è neppure necessario attendere la fine del corso del lavoratore originario beneficiario dei permessi, in quanto questo vi ha formalmente rinunciato.
Al fine di una corretta applicazione
dell’istituto, si ritiene anche utile precisare, con riferimento
alla medesima fattispecie, che:
a) la attribuzione dei permessi ad altro lavoratore, nel corso
dell’anno, deve comunque avvenire sulla base della graduatoria risultante dall’applicazione dei vari criteri di priorità stabiliti nell’art.15, commi 4 e 5 del CCNL del 14.9.2000, già a suo tempo predisposta;
b) la fruizione da parte del nuovo beneficiario dei permessi residuali dovrà avvenire entro la scadenza dell’anno solare;
c) tale fruizione non vale a precostituire a favore del lavoratore che ne beneficia un diritto all’attribuzione dei permessi di cui si tratta anche per il prossimo anno solare; a tal fine, tutti i lavoratori interessati dovranno comunque presentare una nuova specifica domanda,
con conseguente predisposizione di una graduatoria sulla base
dei citati criteri dell’art. 15, commi 4 e 5 del CCNL del 14.9.2000.
Con riferimento all’istituto della reperibilità, è possibile derogare al limite massimo di sei volte
in un mese? Come si deve interpretare la formulazione dell’art. 23 del CCNL del 14.9.2000, secondo la quale:
“Gli enti assicurano la rotazione tra più soggetti anche volontari”?
Come si devono conteggiare i periodi di reperibilità, in particolare nel caso di un lavoratore che sia collocato
in reperibilità per 19 ore in un giorno e 24 ore in quello seguente, si deve ritenere che lo stesso abbia già effettuato due periodi oppure si tratta di un solo periodo? In presenza
di un periodo di reperibilità di 4 ore,
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ove il dipendente sia chiamato
a rendere una prestazione lavorativa effettiva di 2 ore, quale trattamento economico deve essere erogato
allo stesso?
Relativamente alle problematiche sollevate, si ritiene utile precisare quanto segue:
a) la previsione dell’art. 23, comma 3 del CCNL del 14.9.2000, secondo la quale nessun dipendente può essere collocato in reperibilità per
più di 6 volte in un mese, ha carattere prescrittivo e, quindi, non può essere derogata;
b) la previsione contrattuale sulla rotazione (art. 23, comma 3, ultimo periodo) rappresenta un invito rivolto ai datori di lavoro pubblico a collocare il personale in reperibilità tenendo conto di tutti i lavoratori eventualmente interessati
e valutando, in tale contesto, anche le richieste volontarie avanzate dagli stessi, senza procedere immediatamente e necessariamente all’assegnazione d’ufficio
nei confronti di altri lavoratori non disponibili;
c) le dodici ore richiamate all’art. 23, comma 1 del CCNL del 14.9.2000 rappresentano esclusivamente
il parametro per la misura
del compenso da corrispondere
al dipendente in reperibilità e non possono essere intese come
un limite massimo di durata del turno di reperibilità.
Pertanto, ben può ammettersi, per ipotesi, anche un periodo
di reperibilità di 24 ore. Nel caso prospettato si hanno due periodi distinti di reperibilità, di diversa
durata (uno nella giornata
del sabato di 19 ore; l’altro di 24 ore nella giornata della domenica);
d) se il dipendente in turno
di reperibilità di 4 ore in giorno feriale viene chiamato a rendere una prestazione lavorativa di 2 ore, avrà diritto all’indennità
di reperibilità, maggiorata del 10%, nella misura minima non inferiore a 4 ai sensi dell’art. 23, comma 4, secondo periodo, del CCNL
del 14.9.2000, mentre per le 2 ore di prestazione lavorativa effettivamente rese, a seguito
di chiamata, egli avrà diritto al solo compenso per lavoro straordinario (o, a richiesta, ad equivalente recupero orario, secondo la previsione dell’art. 11 del CCNL del 5.10.2001).
Nel caso in cui ad un dipendente con rapporto di lavoro a tempo parziale verticale al 50% sia stato
riconosciuto il compenso per specifiche responsabilità, di cui all’art. 17, comma 2, lett. f) del CCNL dell’1.4.1999, come sostituito dall’art. 7 del CCNL del 9.5.2006, il suddetto compenso deve essere ridotto
in relazione al tempo di lavoro o può essere corrisposto per intero in quanto suscettibile di essere considerato come collegato al raggiungimento di obiettivi e, quindi, svincolato dalla durata
della prestazione lavorativa?
Sulla base della disciplina dell’art. 17, comma 2, lett. f) del CCNL dell’1.4.1999, come integrata dall’art. 36, comma 1 del CCNL del 22.1.2004 e dall’art. 7 del CCNL del 9.5.2006, spetta alle autonome determinazioni della contrattazione decentrata integrativa di ciascun ente
la definizione dei criteri
per la individuazione degli incarichi di responsabilità legittimanti l’erogazione dell’indennità
e per la quantificazione dell’ammontare
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della stessa entro il limite massimo stabilito dal CCNL (€2.500).
Ai fini della erogazione della indennità di cui si tratta è sempre necessaria
la sussistenza di incarichi o di compiti particolari, formalmente affidati
al personale che ne può essere destinatario dai dirigenti
o dai competenti responsabili dei servizi, che impongono
la assunzione di una qualche diretta e specifica responsabilità di iniziativa e di risultato.
In presenza di un rapporto di lavoro a tempo parziale, si ritiene che debba trovare applicazione la regola generale del riproporzionamento
del trattamento economico
del personale titolare di tale tipologia di rapporto di lavoro in relazione
alla durata stabilita della prestazione lavorativa, sancito dall’art. 6, comma 9 del CCNL del 14.9.2000. Un diverso comportamento sarebbe del tutto ingiustificato ed irragionevole, soprattutto in considerazione
della circostanza, evidente e percepibile, che un lavoratore a tempo parziale rende, comunque, una prestazione ridotta rispetto ad un lavoratore
a tempo pieno e, conseguentemente, si riduce anche la quantità delle attività e delle connesse responsabilità
che giustificano l’erogazione del compenso di cui si tratta.
Gli oneri per gli arretrati dovuti
al personale relativamente al maggiore importo del compenso per lavoro straordinario, derivante dall’applicazione degli incrementi dello stipendio tabellare recati dal CCNL del 9.5.2006, devono trovare copertura esclusivamente nello specifico fondo per il lavoro straordinario, di cui all’art. 14
del CCNL dell’1.4.1999,
oppure possono essere posti a carico del bilancio dell’ente?
Gli oneri per il pagamento degli arretrati per lavoro straordinario conseguenti all’applicazione
degli incrementi dello stipendio tabellare previsti dal CCNL
del 9.5.2006, devono trovare copertura solo ed esclusivamente nelle specifiche risorse di cui all’art. 14 del CCNL dell’1.4.1999.
Pertanto, se l’ente, nel periodo contrattuale 2004-2005, non ha provveduto ad accantonare
le suddette risorse (le percentuali
di incremento degli stipendi tabellari essendo previste in legge finanziaria erano conoscibili e, quindi, erano prevedibili gli effetti sulle misure
dei trattamenti accessori che, ai fini della loro determinazione, fanno riferimento come base di calcolo allo stipendio tabellare) o a ridurre il numero delle ore autorizzabili, per il pagamento delle differenze dei compensi di cui si tratta dovrà utilizzare solo le risorse per lavoro
straordinario previste per l’anno 2006 (primo anno di applicazione
del nuovo CCNL).
Nessuna clausola contrattuale, infatti, autorizza comportamenti degli enti volti a porre gli oneri di cui si tratta direttamente a carico dei bilanci degli enti. Una tale scelta, infatti, avrebbe comportato la necessità della previsione anche
di una specifica copertura finanziaria nel CCNL, il che non è avvenuto.
L’ufficiale di stato civile ed anagrafe, l’ufficiale elettorale ed il responsabile dei tributi, destinatari dell’indennità di cui all’art. 17, comma 2, lett. i)
del CCNL dell’1.4.1999 nella misura massima di € 300, potrebbero,
in alternativa, avere diritto all’indennità per l’esercizio di compiti comportanti specifiche responsabilità, di cui alla lett. f) del medesimo art. 17, comma 2, del CCNL dell’1.4.1999?
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In base all’art. 17, comma 2, lett. f) del CCNL dell’1.4.1999, come successivamente modificato dall’art. 36, comma 1, del CCNL del 22.1.2004 e dall’art. 7 del CCNL del 9.5.2006, spetta alle autonome determinazioni della contrattazione decentrata integrativa di ciascun ente
la definizione dei criteri per
la individuazione degli incarichi di responsabilità legittimanti l’erogazione dell’indennità
e per la quantificazione dell’ammontare della stessa entro il limite massimo stabilito dal CCNL (€2.500). Ai fini della erogazione
della suddetta indennità è necessaria la sussistenza di incarichi o di compiti particolari, preventivamente individuati in sede di contrattazione decentrata integrativa e formalmente affidati al personale individuato
dai competenti responsabili dei servizi, che impongono
la assunzione di una qualche diretta, significativa e specifica responsabilità di iniziativa e di risultato
(ad es., coordinamento di altri lavoratori; responsabilità di procedimento complesso, ai sensi della Legge
n. 241/90; ecc.).
L’art.17, comma 2, lett. i) del CCNL dell’1.4.1999, introdotto dall’art. 36, comma 2, del CCNL del 22.1.2004, ha previsto un ulteriore compenso, nella misura massima di €300 annui lordi, destinato a remunerare,
sulla base delle regole definite
in sede di contrattazione decentrata integrativa, le specifiche responsabilità di una ampia casistica di possibili beneficiari, ivi espressamente indicati; tra le suddette responsabilità sono ricomprese, espressamente, anche quelle del personale
delle categorie B, C e D, attribuite formalmente dagli enti e derivanti dalle qualifiche di Ufficiale di stato civile ed anagrafe ed ufficiale elettorale o da quella di responsabile dei tributi.
Proprio la specificità della previsione dell’art. 17, comma 2, lett. i) del CCNL dell’1.4.1999 (con la individuazione espressa dei destinatari,
delle tipologie di responsabilità legittimanti e del limite massimo
del compenso erogabile in relazione alle stesse) non consente di ritenere che le medesime particolari responsabilità ivi considerate, di per sé sole, possano essere valutate
e compensate, in via meramente alternativa, anche attraverso il ricorso alla diversa disciplina dell’art. 17, comma 2, lett. f) del medesimo CCNL dell’1.4.1999, con la possibilità, quindi, di erogare, per le stesse,
un compenso di importo superiore a €300 annui lordi.
Diversamente ritenendo, l’ente finirebbe per legittimare solo un sistema per remunerare le responsabilità
di cui si tratta in misura superiore a quanto espressamente previsto dalle parti negoziali nazionali.
Il ricorso all’art. 17, comma 2, lett. f) del CCNL dell’1.4.1999 può ritenersi possibile solo se si tratta di definire, in sede di contrattazione decentrata, l’eventuale compenso diretto
a remunerare un incarico
di responsabilità complessiva di una determinata struttura nel cui ambito, tra le altre, rientrano anche quelle
di cui all’art. 17, comma 2, lett. i) del CCNL dell’1.4.1999, come
ad esempio, nel caso di un dipendente cui sia affidato un incarico
di responsabilità complessiva concernente l’ufficio di anagrafe e a cui sia attribuita formalmente
anche la qualifica di ufficiale di stato civile. In questa ipotesi, l’ammontare dell’indennità dell’art. 17, comma 2, lett. f) del CCNL dell’1.4.1999, come
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determinato in sede negoziale locale, compensa tutte le diverse responsabilità gravanti sul dipendente, ivi compresa quella particolare
di ufficiale di stato civile; è evidente, pertanto, che al dipendente non potrà essere riconosciuto anche
il compenso dell’art. 17, comma 2, lett. i) del CCNL dell’1.4.1999.
In materia di cumulo di trattamenti economici, come è noto, il principio generale è che il singolo lavoratore può, legittimamente, cumulare più compensi o indennità “accessorie”, purché questi siano correlati
a condizioni e causali formalmente ed oggettivamente diverse,
come previste e disciplinate dalla contrattazione collettiva,
con conseguente illegittimità della corresponsione di più
di un compenso per la medesima fattispecie. Ciò porta ad escludere che, nel caso di specie, ai lavoratori già incaricati formalmente della più ampia responsabilità dell’ufficio anagrafe, dell’ufficio elettorale
e dell’ufficio dello stato civile, per la quale percepiscono l’indennità
dell’art. 17, comma 2, lett. f) del CCNL dell’1.4.1999, come modificato dall’art. 7 del CCNL del 9.5.2006, possano essere riconosciuti anche
i compensi previsti dall’art. 17, comma 2, lett. i) del medesimo art. 17 del CCNL dell’1.4.1999 in quanto rivestenti la qualifica di ufficiale dello stato civile, di ufficiale elettorale ed ufficiale di anagrafe; infatti, le responsabilità inerenti queste particolari ipotesi debbono ritenersi ricomprese e riassorbite
in quelle più ampie concernenti l’ufficio anagrafe, l’ufficio elettorale e l’ufficio dello stato civile.
Diversamente ritenendo,
la medesima responsabilità darebbe luogo al pagamento di un doppio compenso.
Alcune indicazioni sulla possibilità di cumulo delle indennità in capo
al medesimo lavoratore previste dall’art. 17, comma 2, lett. i) del CCNL dell’1.4.1999, sono già state fornite con l’orientamento applicativo 499- 17F6 36, pubblicato sul sito istituzionale xxx.xxxxxxxxxxx.xx, Comparto Regioni-Autonomie locali, raccolta sistematica, Titolo VI – Trattamento economico, Capo II – Utilizzo delle risorse per le politiche di sviluppo delle risorse umane
e per la produttività.
Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Dirigente ARAN
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MANAGEMENT PUBBLICO: IL DIFFICILE EQUILIBRIO TRA AUTONOMIA
E SUBORDINAZIONE
IL PRIMO RAPPORTO OCAP XXXXX DIRIGENZA PUBBLICA
L’interessante volume a cura di D. Cristofoli,
X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxx “Da burocrati
a manager: una riforma a metà - Primo Rapporto sulla dirigenza pubblica italiana”, n. 1-2/2007 del White Paper dell’OCAP (Osservatorio sul Cambiamento delle Amministrazioni Pubbliche) è interamente percorso
dal quesito di quali siano le condizioni della trasformazione dei dirigenti pubblici in manager e in quale misura tale processo si sia realizzato in Italia (un processo che ha coinvolto – come sottolinea il cap. 2 di D. Cristofoli
e X. Xxxxxx – la gran parte dei maggiori paesi occidentali) nell’ambito della riforma della pubblica amministrazione avviata agli inizi degli anni ’90.
Tutto il dibattito e l’esperienza internazionale (vedi appunto il cap. 2) hanno evidenziato la necessità e anzi l’urgenza – per ridare efficacia
ed efficienza alla pubblica amministrazione, per fornire ai costi giusti i servizi che i cittadini
si attendono – di una trasformazione della dirigenza pubblica dal modello tradizionale, gerarchico-verticista, fondato sulla garanzia del posto fisso e della carriera automatica, il cui compito fondamentale era il rispetto ed il controllo delle procedure formali del processo amministrativo,
ad un management pubblico, al quale
fosse garantita la possibilità, appunto, to manage, di un’effettiva autonomia decisionale, fondata su una distinzione e separazione tra i compiti affidati
alla politica (la definizione degli obiettivi ed il controllo dei risultati) e quelli di gestione amministrativa ed organizzativa
del management nel perseguimento di quegli obiettivi.
A questo proposito, anzi, il rapporto sottolinea che, nella nuova concezione, al management pubblico si richiede una collaborazione alla stessa definizione di quegli obiettivi tanto che nel cap. 3 X. Xxxxxxx sottolinea come
si debba parlare di distinzione, piuttosto che di separazione.
Un management, insomma, orientato ai risultati e alle performances piuttosto che al controllo delle procedure
e le cui prospettive di carriera
e di retribuzione dipendano appunto da tali risultati e dalla loro valutazione. Si tratta, però, di un nodo assai intricato e forse una parte delle difficoltà incontrate nella realizzazione di questo processo sta proprio nella sua complessità.
I pilastri del modello tradizionale della dirigenza pubblica - la piramide
gerarchica, l’impiego a vita e la carriera automatica - avevano il proprio fondamento proprio nell’essere
gli strumenti che garantivano l’autonomia e l’imparzialità della pubblica amministrazione rispetto alle possibili ingerenze politiche e agli interessi
di parte. Ma questo modello entra
in crisi proprio perché quegli strumenti
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di garanzia diventano la base di una sostanziale demotivazione della dirigenza e dell’insieme della pubblica amministrazione al perseguimento,
in modo efficiente ed efficace, degli obiettivi indicati dalla politica;
una questione che diventa tanto più importante in una fase nella quale la questione del contenimento
della spesa pubblica e del miglioramento dei servizi diventano delle priorità dell’agenda politica.
La riforma della pubblica amministrazione avviata in Italia più di un decennio fa - a partire dalla Legge n. 421/92
e dal D.Lgs. n. 29/93 (la prima privatizzazione) – predispone, con una azione di riforma progressiva che si protrae per oltre un decennio, una serie di strumenti finalizzati
al perseguimento di quegli obiettivi, che coinvolgono la riforma dell’accesso alla dirigenza, delle modalità
e del carattere degli incarichi, dei meccanismi di carriera
e di valutazione ed incentivazione della dirigenza. Ma ad oltre dieci anni dall’avvio del processo di riforma,
quel nodo sulla distinzione/separazione tra politica e amministrazione, sull’autonomia, responsabilità
e managerialità del dirigente pubblico non sembra ancora sciolto.
Nel primo capitolo, X. Xxxxx traccia l’excursus dell’evoluzione legislativa di quel processo di riforma – sempre nell’ottica della riforma della dirigenza
– a partire, appunto, dalla prima privatizzazione fino al D.Lgs. n. 80/98
(la seconda privatizzazione) e alla Legge Frattini (Legge n. 145/2002).
Da questa analisi è possibile cogliere il disegno ispiratore della riforma della dirigenza, sullo sfondo
dello scenario della cosiddetta privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico: la distinzione, appunto,
tra direzione politica e autonomia dirigenziale fino al tentativo di creare un mercato della dirigenza attraverso la costituzione di un ruolo unico interministeriale presso la Presidenza del Consiglio ed una banca dei curriculum dei dirigenti pubblici;
un processo di responsabilizzazione ed accountability della dirigenza attraverso l’introduzione dei nuclei di valutazione (con il D.Lgs. n. 286/99
si definiscono i sistemi di valutazione– controllo di regolarità amministrativa, controllo strategico del raggiungimento degli obiettivi fissati dagli organi politici, controllo di gestione dell’efficacia ed efficienza dei processi amministrativi, valutazione dei dirigenti).
Ma ne emergono anche i limiti
e le contraddizioni. Se ne segnalano in particolare alcuni: l’autonomia
nella regolamentazione della dirigenza delle regioni ed enti locali, sulla base del processo di decentramento istituzionale sancito dalla riforma
del titolo quinto della Costituzione, nonostante un generale allineamento alle normative degli enti centrali, determina una attenuazione
della distinzione tra politica
e amministrazione (in particolare le riforme degli anni ’90 hanno notevolmente rafforzato i poteri
di sindaci e presidenti delle province), che sembra il risultato della maggiore prossimità con il corpo elettorale e, quindi, di un’esigenza più forte
da parte della politica di controllo dei meccanismi gestionali
ed amministrativi.
La mancata definizione degli organismi tecnici di valutazione, ha depotenziato questo istituto ed il suo collegamento con gli istituti retributivi incentivanti, che sono risultati distribuiti a pioggia. L’omologazione tra pubblico e privato sembra ancora lontana soprattutto
per “la prevalenza della normativa sulla contrattazione collettiva,
la settorialità della disciplina,
la frammentarietà delle regole”.
X. Xxxxxxx conduce una disamina
di dettaglio della distinzione (più che separazione) tra politica
ed amministrazione, sottolineando
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la difficoltà stessa della distinzione tra i due ambiti di responsabilità
e mette in evidenza come il processo di riforma, nella ricerca di un punto di equilibrio tra indipendenza dell’amministrazione e sua subordinazione agli obiettivi indicati (per sua competenza) dalla politica, avesse messo capo ad una sottolineatura dell’autonomizzazione della dirigenza (soprattutto generale)
anche attraverso la fine delle prerogative ministeriali di revoca o avocazione
di atti o provvedimenti di competenza della dirigenza, decretata dal X.Xxx.
n. 165/2001 (alla quale dovrebbe forse corrispondere una accentuazione della responsabilità).
Oltre alla conservazione del potere di revoca in casi eccezionali, ciò che mantiene il rapporto tra politica
ed amministrazione è il rapporto tra obiettivi e risultati ed il diritto
della politica – che risponde di fronte
al corpo elettorale – di poter perseguire quegli obbiettivi e controllare i risultati. Da questo punto di vista lo strumento forse dirimente a disposizione
della politica è il potere di nomina e di conferma dei dirigenti generali (quella dei dirigenti di base è
una competenza dei dirigenti generali). Anche, da questo punto di vista,
la disciplina aveva definito un giusto equilibrio tra i poteri di scelta
della politica (i dirigenti generali sono di nomina della Presidenza del Consiglio, su proposta del ministro competente) ed i vincoli posti a tale potere di scelta ed a garanzia dell’autonomia
della dirigenza, nella durata minima degli incarichi, nella separazione tra accesso alla funzione dirigente (e quindi alla garanzia economia
ed occupazionale) e conferimento degli incarichi con un tempo massimo, nei vincoli di selezione (criteri oggettivi di selezione, come curriculum,
precedenti esperienze maturate, ecc.)
e di conferma (valutazione dei risultati).
Un equilibrio messo in discussione dal meccanismo dello spoil system all’italiana, introdotto dalla Legge Frattini, che prevede la decadenza automatica degli incarichi dirigenziali generali, all’entrata in vigore
della stessa legge, e l’eliminazione della durata minima degli incarichi (durata minima successivamente reintrodotta e fissata in tre anni):
un modello che sembra determinare una subordinazione completa
del management alla politica.
Da questo punto di vista la sentenza
n. 233/2006 della Corte costituzionale sembra confermare la legittimità
di queste scelte (rese a regime
in alcune regioni) che non violerebbero i principi di buon andamento
e di imparzialità sanciti dagli artt. 97 e 98 della Costituzione1.
Nelle regioni, in virtù della riconosciuta loro competenza legislativa in materia, il pendolo si sposta verso“un’accentuazione del legame fiduciario” tra vertice politico e dirigenza generale (ma in realtà anche di base), sia ampliando l’area
di ingerenza della politica nell’amministrazione, sia attraverso
la nomina a tempo determinato (senza alcuna garanzia di durata minima),
sia attraverso l’applicazione dello spoil system. Una tendenza che abbiamo visto legittimata dalla citata sentenza della Corte.
Ma sono i numeri a fornire il ritratto più eloquente della dirigenza pubblica: le differenze evidenziate nell’excursus normativo qui si fanno più evidenti; spesso si manifestano vistose anomalie. Il terzo capitolo riassume i risultati dell’analisi di D. Cristofoli e X. Xxxxxxx sui dati della Ragioneria generale
del tesoro relativi ai dirigenti in forza degli enti territoriali italiani (ministeri, regioni, province, comuni) al 31/12/04, che prende in esame alcune variabili strutturali: numerosità, sesso, età, anzianità di servizio, modalità
di impiego (collegate all’autonomia), mobilità (in relazione allo sviluppo delle competenze), retribuzione
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(ed il collegamento con le performances). Può essere utile riassumere i lineamenti principali che si possono trarre
da questa analisi. I 15.000 dirigenti pubblici (pari al 3% del totale
dei dipendenti), per un costo complessivo di 1.192 milioni di euro (pari ad un costo procapite di circa 79.000 euro), mostrano caratteristiche per alcuni aspetti omogenee, per altri diversificate nei quattro settori esaminati.
Circa 4.000 (di cui l’11,3% di prima fascia e l’87% di seconda) fanno capo ai 14 ministeri con rapporti, però,
sul totale dei dipendenti molto diversi: 15 dirigenti ogni 100 dipendenti
alla Presidenza del Consiglio, seguita dal Ministero delle attività produttive (9,7/100) e da quello della Sanità (9,3/100) di fronte ad un dato medio
di 2,1/100 (che equivale a 48 dipendenti per un dirigente); alcuni ministeri (Difesa, Esteri, Interno, ecc.) non arrivano ad un dirigente su 100 dipendenti.
Nelle regioni, i circa 5.600 dirigenti fanno capo per il 46% alle 15 regioni
a statuto ordinario e per il 54% a quelle a statuto speciale (la Regione Sicilia
ne ha 2.528): per le regioni a statuto ordinario, il numero dei dirigenti ogni 100 dipendenti sale rispetto a quello dei ministeri ad una media di 7,7 dirigenti/100 dipendenti (cioè 13 dipendenti per dirigente: le regioni con i rapporti maggiori sono il Lazio [14,7/100], e il Molise [10/100]).
Molto indicativo è il rapporto tra dirigenti e cittadini: la media è di 6,7 dirigenti per 100.000 abitanti: ma questa media è composta dagli estremi
del Molise (27,4/100.000) a fronte
dei 3/100.000 della Lombardia. Ma più significativi appaiono i confronti
tra regioni con una popolazione di dimensione simile. Per esempio
Campania e Veneto, la prima con 10 dirigenti e la seconda con la metà (sempre su 100.000 abitanti). Questi dati non sono forniti per la Sicilia.
Il numero di dirigenti per abitante scende significativamente
nelle province (anche se nel confronto bisogna probabilmente tener conto delle diverse competenze in capo
ai due enti): i 1.728 dirigenti corrispondono in media a 3,2 dirigenti per 100.000 abitanti (con i rapporti massimi a Piacenza – 10,2 - e a Siracusa - 6,4): in generale sono le province
del centro nord ad avere i rapporti più elevati (in particolare Xxxxxx Xxxxxxx e Toscana). La quota di dirigenti
nelle province scende anche
in rapporto ai dipendenti: 3,2 ogni 100 (di poco superiore a quella dei ministeri). Per quanto riguarda i comuni,
i dirigenti (per gli 885 su 8.000, che ne hanno) risultano concentrati per il 40% al Nord, il 24,5% al Centro ed 32%
al Sud (Roma ne ha 239, rispetto
ad una media di circa 7 per comune). Nei comuni, la quota dei dirigenti per abitante torna a salire (probabilmente di nuovo per il differente carico
di competenze): 18,7/100.000, in media; la numerosità relativa dipende ovviamente dalle dimensioni dell’area geografica e dalla popolazione.
Per i comuni capoluoghi di provincia non si manifestano differenze significative tra nord, centro e sud, mentre a parità di popolazione sono i comuni del centro a registrare
la maggior numerosità di dirigenti
in rapporto alla popolazione e quelli del sud quella minore. Il rapporto rispetto al numero di dipendenti torna a scendere nei comuni (2,1/100, uguale a quello dei ministeri), con un range di differenze meno ampio degli altri enti: da un massimo di 4,3/100
ad un minimo di meno di 1/100.
La presenza femminile nella dirigenza mostra una tendenza decrescente
dal centro alla periferia: le donne sono il 31% tra i dirigenti nei ministeri
(il 19% nella prima fascia ed 32% nella seconda) rispetto ad una quota
femminile nel personale non dirigente del 50%; nelle regioni, la presenza femminile scende al 26,6% (il 23%
al sud) rispetto a quasi il 49% tra i non
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dirigenti; nelle province scende ancora al 23% rispetto al 40% tra i non dirigenti; la quota risale un po’ nei comuni dove torna al 27% (ma al sud e in parte
al centro, queste percentuali scendono) anche se si manifestano differenze molto forti tra comuni con più della metà di dirigenti donne e comuni dove non ce n’è nessuna.
Per quanto concerne le modalità di impiego dei dirigenti, le differenze tra i vari enti non sono eclatanti ma,
tuttavia, significative, con una tendenza all’aumento del ricorso ai contratti
a tempo determinato via via che si passa dal centro alla periferia: nei ministeri i contratti a tempo
indeterminato sono oltre il 90% e quelli a tempo determinato (il 93% per quelli di seconda fascia ed il 72% quelli
di prima); nelle regioni i dirigenti sono per l’85% a tempo indeterminato, il 10% a tempo determinato ed il 4% direttori generali (quelli fuori dotazione organica sono una parte minima);
nelle province i dirigenti a tempo determinato risultano circa il 15%, con una incidenza maggiore
nel mezzogiorno (18,4%), dove alcune province superano il 70 ed anche l’80% di dirigenti con questo tipo di impiego; per i comuni, invece, solo il 68%
di quelli considerati nell’indagine hanno dirigenti a tempo determinato con una media del 15,5%: anche
in questo caso è il sud del paese a registrare la maggior diffusione
di questa modalità d’impiego; infatti il 50% di quelli meridionali registra una presenza superiore alla media,
contro il 31% del nord ed il 43% del centro.
La maggiore diffusione di contratti a tempo determinato, per i dirigenti in alcune realtà, sembra confermare
le considerazioni della Xxxxxxx in merito al maggior carattere fiduciario rintracciabile nelle legislazione regionale relativamente al rapporto
tra vertice politico e amministrazione, e anzi sembra indicare la volontà
da parte dei vertici politici di sottrarsi ulteriormente ai vincoli comunque derivanti dall’accesso al ruolo
della dirigenza.
Il pendolo si sposta ancora verso una riduzione dell’autonomia del management e di una sua
subordinazione al vertice istituzionale (una tendenza forse motivata anche da vincoli di bilancio, dalle dimensioni
organizzative, da esigenze di flessibilità e che probabilmente meriterebbe
di essere ulteriormente indagata). Non sembrano manifestarsi differenze significative per quanto concerne l’età media dei dirigenti, con una tendenza al ringiovanimento in periferia
(50,7 anni nei comuni, rispetto ai 54 nei ministeri), tra i dirigenti a tempo
determinato, e le donne; analogamente per l’anzianità di servizio si passa
dai circa 23-24 anni dei misteri
e delle regioni, ai 17-18 anni di province e comuni (con le donne con una media di servizio leggermente inferiore).
Per le retribuzioni si manifestano differenze significative: quelle medie onnicomprensive mostrano
un andamento discendente passando dal centro alla periferia: dai circa (ricordiamo che siamo al 31/12/04)
87.000 euro di ministeri (più di 161 mila per quelli di prima fascia e quasi 78 mila per quelli di seconda) e regioni (quasi 159 mila per i direttori generali) agli 80.5 mila delle province (123 mila i dir. gen.) e ai quasi 74 mila nei comuni (circa 80 mila nei comuni maggiori e 60-70 mila in quelli minori). Anche limitandosi
ai comuni capoluogo le retribuzioni medie mostrano differenze significative: dai circa 130 mila
di Agrigento ai meno di 50 mila di Chieti.
Per le province si manifesta
una tendenza a retribuzioni maggiori nel Mezzogiorno.
Per quanto concerne la composizione della retribuzione si manifesta un ruolo modesto della retribuzione di risultato, con una tendenza crescente (insieme
a quella di posizione) in periferia: nei ministeri la retribuzione è
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composta per il 55% dalla retribuzione fissa, il 28% da quella di posizione,
il 12% da quella per indennità accessorie e solo il 5% per quella di risultato (il 7,4% per i dirigenti di prima fascia ed il 4,3 per quelli
di seconda); nelle regioni le proporzioni sono: fissa 52 %, di posizione 29%, indennità 8,5% e di risultato 9,7% (quasi il doppio dei ministeri);
nelle province, le proporzioni sono, rispettivamente, 49%, 32%, 10% e 8,5% (con differenze notevoli tra quattro province nelle quali oltre il 20%
della retribuzione è legato ai risultati
e le 26 dove questa componente è nulla); nel comuni capoluogo, infine, 51,6%, 31,4%, 9% e 8%. Complessivamente, dunque, si manifesterebbe
una struttura della retribuzione più corrispondente allo spirito
della riforma negli enti decentrati che in quelli centrali. C’è da tener conto, però, che è probabile che proprio per questa strada sia passata quella spinta salariale che ha fatto crescere le retribuzioni di fatto nel pubblico impiego sensibilmente al di sopra
di quelle contrattuali.
L’analisi delle correlazioni tra queste variabili (cap. 5) – condotte sui sistemi di pay system dei Comuni, cioè
sulla maggiore o minore introduzione della retribuzione di posizione
e di risultato per i dirigenti, in queste realtà – mostra una maggiore disponibilità dei comuni maggiori all’accettazione e all’adeguamento dello spirito della riforma
della pubblica amministrazione
ed una maggiore resistenza di quelli piccoli.
Secondo gli autori tale maggior propensione sarebbe da collegare – sulla base di alcune premesse teoriche
– alla maggiore sensibilità di questi ultimi alla propria immagine pubblica: potrebbe essere indagata invece
la correlazione con la dimensione e la complessità organizzativa
degli stessi, così come con le risorse disponili dell’ente in rapporto
alla popolazione ed ai compiti.
La seconda correlazione esaminata è
quella con il potere dei dirigenti (misurato dal numero di dirigenti per dipendente): in questo caso ad un alto numero di dirigenti per
dipendente corrisponde una scarsa accettazione ed una maggiore resistenza alla riforma (in quasi la metà di questi comuni esiste solo
la retribuzione fissa); viceversa per un numero basso di dirigenti
per dipendente. Il livello di accettazione risulta correlato positivamente
al controllo sociale e alla pressione istituzionale (misurato dal numero
di comuni della regione che accettano la riforma). Molto interessante infine la correlazione positiva registrata con
l’attenzione del comune alla situazione economico finanziaria (misurata, appunto dalla vicinanza/distanza
da una situazione di pareggio
o di avanzo). Come abbiamo visto precedentemente, a proposito
delle condizioni di impiego, sarebbe di notevole interesse esaminare
la propensione alla riforma in relazione alla dimensione e complessità organizzativa degli enti e alle disponibilità di budget. Anche se, come altre ricerche dimostrano, la disponibilità soggettiva degli attori è una variabile da non trascurare.
Xxxxxxxx D’Xxxxx
Esperto relazioni industriali
1 Gli autori non hanno potuto prendere in considerazione, perché successive alla ricerca, le sentenze cost. nn. 103 e 104 del 2007
che hanno reso più equilibrata la posizione della Corte nel merito.
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EVENTO | CONTENUTO/NOTE |
24 settembre 2007 | Il contratto integra e chiarisce alcune disposizioni |
Accordo quadro | sulle modalità di fruizione delle prerogative |
Intercompartimentale | sindacali nel pubblico impiego |
Contratto collettivo | In particolare sono state precisate, da un lato, |
quadro d’integrazione | le regole che permettono di dare certezza |
del ccnq sulle modalità | e trasparenza alla effettiva volontà associativa |
di utilizzo dei distacchi, | dei lavoratori e, dall’altro, è stata garantita |
aspettative e permessi nonché delle altre prerogative sindacali | la fruizione dei diritti sindacali - distacchi e permessi retribuiti - assieme alla puntuale verifica del rispetto sia della loro entità che delle modalità di utilizzo. |
del 7 agosto 1998 | |
24 settembre 2007 | Questo accordo integra l’Accordo collettivo quadro del 7 agosto 1998 per la costituzione delle rappresentanze sindacali di base (RSU) delle pubbliche amministrazioni e per la definizione del relativo regolamento elettorale. |
Accordo quadro | |
Intercompartimentale | |
Accordo collettivo | |
quadro d’integrazione | |
dell’art. 3 della parte | |
seconda dell’Accordo | |
collettivo quadro per la | |
costituzione delle RSU | |
per il personale dei | |
comparti delle pubbliche | |
amministrazioni e per la | |
definizione del relativo | |
regolamento elettorale | |
26 settembre 2007 | Con la presente Ipotesi di contratto le parti procedono alla nuova ripartizione dei distacchi e permessi il cui contingente complessivo è stato fissato con il CCNQ del 7 agosto 1998 (in sostituzione del vigente CCNQ del 3 agosto 2004 e successive integrazioni), in attuazione degli artt. 43 e 50 del D.Lgs. n. 165/2001. Il presente contratto è valido per il biennio contrattuale 2006-2007. Le tavole di ripartizione dei distacchi e quelle dei permessi (di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5) entrano in vigore dal giorno successivo alla firma definitiva del contratto ed hanno valore sino al nuovo accordo successivo all’accertamento della rappresentatività delle organizzazioni sindacali per il biennio 2008-2009. |
Accordo quadro | |
Intercompartimentale | |
Ipotesi di CCNQ per la | |
ripartizione dei distacchi | |
e permessi alle | |
organizzazioni sindacali | |
rappresentative nei | |
comparti nel biennio | |
2006-2007 | |
27 settembre 2007 | L’interpretazione autentica è stata richiesta dalla |
Accordo quadro | Corte di appello di Torino. La questione concerne |
Intercompartimentale | l’interpretazione autentica dell’art. 18, comma 1 del |
Verbale della riunione | CCNQ del 7 agosto 1998, relativamente all’esistenza |
per l'interpretazione | o meno di un termine per la presentazione |
autentica dell’art. 18 del | della domanda di trasferimento di cui al comma |
ccnq del 7 agosto 1998 | citato. Tenuto conto che la Confedir non ha voluto |
sull’utilizzo dei diritti e delle prerogative sindacali. | sottoscrivere l’Ipotesi di contratto d’interpretazione autentica e, in considerazione del fatto che il Consiglio di Stato, nel parere n. 955/2001, |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
ha ritenuto che i suindicati accordi interpretativi, ai fini della loro validità, devono essere sottoscritti all’unanimità da tutte le parti che hanno a suo tempo stipulato il contratto collettivo da interpretare, le parti hanno preso atto dell’impossibilità di pervenire al richiesto accordo di interpretazione autentica. |
1 ottobre 2007 Il CCNL dei dipendenti degli Enti pubblici non Comparto Enti pubblici economici per il quadriennio normativo 2006-2009 non economici e per il primo biennio economico 2006-2007 CCNL relativo al riguarda circa 60 mila unità. personale dei livelli del Nel Comparto sono ricompresi gli Enti previdenziali Comparto Enti pubblici (INAIL, INPS, INPDAP, IPOST, IPSEMA, ENPALS, ecc.), non economici per il i Consigli e gli Ordini professionali, gli Enti Parco, quadriennio normativo l’ACI e le rispettive strutture provinciali. 2006-2009 ed il biennio Dal punto di vista economico è stato riconosciuto economico 2006-2007 un aumento retributivo medio mensile di circa 117 euro, per tredici mensilità, confermando l’impegno già assunto con l’accordo Governo - Sindacati del 29 maggio scorso, che ha integrato quanto previsto nell’Intesa del 6 aprile, di incrementare tale importo fino al raggiungimento di circa 127 euro, utilizzando le risorse aggiuntive che verranno stanziate nella Legge Finanziaria per l’anno 2008. L’indennità di Ente incrementata di circa 6 euro sarà utile per la base di calcolo nell’indennità di fine rapporto. Il fondo per il salario variabile, definito in contrattazione integrativa, è stato integrato, a partire dal 31 dicembre 2007, di circa 6 euro. Per quanto riguarda gli aspetti normativi è stato dato ampio risalto allo sviluppo delle attività di aggiornamento e formazione del personale e al sistema di classificazione del personale. |
1 ottobre 2007 E’ diventato definitivo l’accordo che istituisce Fondo pensione il Fondo di previdenza complementare per Accordo per l'istituzione i dipendenti dei Ministeri, degli Enti pubblici non del Fondo nazionale di economici, della Presidenza del Consiglio previdenza dei ministri, dell’ENAC e del CNEL. complementare per i Riguarda oltre 320 mila potenziali utenti. lavoratori dei Ministeri, Il Fondo si basa su un sistema di finanziamento Enti pubblici non a contribuzione definita e a capitalizzazione economici, della individuale. Presidenza del Consiglio L’importanza di questa intesa, che segue dei ministri, dell' ENAC e la costituzione del Fondo per il personale del CNEL della scuola e quello istituito per i lavoratori delle Regioni-Autonomie locali e Sanità, tende a generalizzare la previdenza complementare a favore di un’altra fascia della pubblica amministrazione, costituendo un ulteriore tassello a completamento dell’assetto generale del sistema pensionistico. |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE
7 ottobre 2007 Comparto Scuola Ipotesi di CCNL relativo
al personale dei livelli del Comparto Scuola per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio
economico 2006-2007
L’accordo istitutivo del Fondo, al quale dovrà fare rapido seguito la messa a punto dello statuto
e del regolamento elettorale, indica le regole fondamentali che riguardano: gli organi del Fondo, i loro compiti ed il loro funzionamento; l’impiego delle risorse; la misura della contribuzione pari all’1%; le regole per l’adesione; la cessazione dell’obbligo contributivo; l’indicazione
delle prestazioni.
Già con il precedente XXXX 0000-0000 era stato redatto un testo coordinato comprensivo di tutte le disposizioni contrattuali vigenti nel Comparto, una sorta di Testo Unico.
Tale impostazione è stata coerentemente conservata con l’attuale Ipotesi di CCNL il cui testo si compone di quattordici capi, per un totale di 150 articoli e 14 tabelle allegate.
I punti principali del testo contrattuale sono stati innanzitutto:
• la valorizzazione dell’attività di insegnamento e in particolar modo la sua continuità;
• un sostanziale consolidamento delle relazioni sindacali con l’introduzione di una sola modifica che prevede quattro distinti istituti di contrattazione integrativa nazionale da svolgersi presso il MPI (tra cui la formazione e la mobilità);
• l’obbligatorietà dell’amministrazione di fornire
la formazione al personale, introducendo, inoltre, iniziative di formazione anche nei confronti
del personale ATA;
• istituzione di una Commissione bilaterale per la formazione e, soprattutto, la previsione
di un monitoraggio circa l’esito della stessa.
Dal punto di vista economico sono stati semplificati e ridefiniti i criteri per l’assegnazione alle scuole del fondo d’istituto. E’ stata inoltre resa utilizzabile per il Tfr (e quindi per i fondi pensione) la parte
di retribuzione accessoria fissa.
Per quanto concerne gli incrementi contrattuali
è stato riconosciuto un aumento retributivo medio mensile a regime per i docenti di € 139,2 di cui
€ 99,7 al tabellare, per il personale ATA tale aumento corrisponde a € 98,00 di cui € 71,1 al tabellare.
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CORTE COSTITUZIONALE
Sentenza n. 189 del 14 giugno 2007. Trattamento economico dei dipendenti pubblici: sua regolamentazione attraverso i CCNL
Il Tribunale di Marsala ha sollevato
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58 comma 1 della Legge
della Regione Sicilia n. 33/96
e successive modifiche ed integrazioni, nella parte in cui prevede: “l’istituzione di uffici di stampa di cui fanno parte giornalisti a cui si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico nella sua interezza“, dell’art. 16 comma 2 della Legge della Regione Sicilia
n. 8/2000 nella parte in cui stabilisce che: “ai componenti degli uffici stampa si attribuisce la qualifica ed il trattamento contrattuale di capo servizio”, e dell’art. 127 comma 2 della Legge della Regione Sicilia n. 2/2002 nella parte in cui dispone che “in sede di prima applicazione ai giornalisti componenti gli uffici stampa già esistenti presso
gli enti di cui all’articolo 1 della legge regionale n.10/1991, è attribuita
la qualifica ed il trattamento contrattuale di redattore capo, in applicazione
del contratto nazionale di lavoro giornalistico ed in sintonia con l’art. 72 della legge regionale 29 ottobre 1985 n. 41”.
Le norme sono censurate sotto un duplice profilo. Innanzi tutto
il tribunale rimettente ritiene che esse contrastino con quanto stabilito dall’art. 1 comma 3 del D.Lgs.
n. 165/2001 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che è norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica, e dall’art. 2 comma 1 lett. a) della Legge n. 421/92 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, pubblico impiego, di previdenza
e di finanza territoriale), secondo cui “la regolazione mediante contratti individuali e collettivi costituisce
il metodo di disciplina dei rapporti
di lavoro nel settore pubblico”.
In secondo luogo le norme violerebbero i principi fondamentali, che ai sensi dell’art. 117 Cost. sono applicabili anche alle regioni a statuto speciale nei limiti e nel rispetto
degli statuti e delle relative norme
di attuazione, espressi dal combinato disposto degli artt. 9 e 10 della Legge regionale n. 150/2000, secondo il quale i profili professionali degli addetti agli uffici stampa debbono essere individuati e regolamentati dalla contrattazione collettiva senza che dall’attuazione di tale previsione possano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
I giudici costituzionali ritengono fondati i rilievi. La Corte ricorda che il rapporto di impiego alle dipendenze delle regioni e degli enti locali è stato privatizzato e pertanto: “è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che garantiscono l’uniformità di tale tipo di rapporti (cfr. sentenza n. 95/2007).
Conseguentemente i principi fissati dalla legge statale in materia costituiscono i tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di uguaglianza,
di garantire l’uniformità, nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti tra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale”. Inoltre, proseguono i giudici, in base a quanto stabilito dalla Legge n. 421/92 e ripreso dall’art. 45 del D.Lgs. n.165/2001, il trattamento economico dei dipendenti pubblici è regolato mediante contratti collettivi e a nulla rileva il fatto che la Regione, nella sua difesa, sostenga di aver rispettato tale
assunto in quanto la norma prevederebbe l’applicazione del contratto collettivo dei giornalisti, le norme regionali infatti
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non si limitano a rinviare alla contrattazione collettiva di un certo settore, ma individuano anche
la qualifica ed il trattamento economico che deve essere riconosciuto,
ed indicano il contratto collettivo di lavoro che deve essere applicato,
rendendo nulla l’autonomia dei soggetti contrattuali che di fatto non possono contrattare alcunché in proposito. “Neppure è possibile sostenere che
le disposizioni sul trattamento giuridico degli addetti agli uffici stampa sarebbero strettamente funzionali
alla regolamentazione di quegli uffici, onde le norme impugnate sarebbero legittime perché dirette, in realtà,
a disciplinare gli uffici stampa. Invero, la definizione della struttura e delle funzioni degli uffici stampa è aspetto diverso da quello dell’individuazione della fonte
della disciplina del rapporto d’impiego di chi a quegli uffici sia addetto.
Né si scorgono le ragioni per le quali l’applicazione del trattamento economico previsto dal contratto collettivo di lavoro giornalistico sarebbe funzionale alla garanzia della trasparenza e dell’obiettività dell’informazione dovuta dalla pubblica amministrazione ai cittadini”.
La Corte dichiara pertanto l’illegittimità costituzionale degli articoli impugnati.
Sentenza n. 158 dell’8 maggio 2007. Il congedo straordinario retribuito ex Xxxxx n.151/2001 spetta anche
al coniuge di soggetto con handicap grave
Il Tribunale di Cuneo, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 42 comma 5 del D.Lgs. n. 151/2001 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità),
nella parte in cui non prevede il diritto del coniuge, di un soggetto con handicap
in situazione di gravità, di ottenere
il congedo straordinario retribuito ivi indicato.
La questione è stata posta all’interno di una controversia di lavoro promossa da un dipendente, al quale l’amministrazione di appartenenza aveva respinto la domanda di poter fruire del congedo in questione,
pur essendo il ricorrente l’unico soggetto in grado di assistere la moglie, disabile grave, in quanto il suddetto art. 42 comma 5 non annovera
il coniuge del disabile tra gli aventi diritto. La norma infatti stabilisce che “la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità di cui all’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992,
n. 104, accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge medesima
da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei benefici di cui all’articolo 33, commi 1, 2 e 3,
della medesima legge per l’assistenza del figlio, hanno diritto a fruire
del congedo di cui al comma 2 dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta.
Durante il periodo di congedo,
il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa;…”.
Il giudice rimettente sottolinea che
la norma“determinerebbe un ingiustificato trattamento deteriore di un soggetto,
il coniuge, tenuto ai medesimi obblighi di assistenza morale e materiale
nei confronti del coniuge disabile” e nel contempo “riserverebbe irragionevolmente una minore tutela sia al nucleo familiare del disabile, rispetto a quella riservata alla sua famiglia di origine, sia al diritto
alla salute dello stesso, la cui realizzazione è assicurata anche attraverso il sostegno economico della famiglia che lo assiste”.
La Corte ritiene fondata la questione e ricorda come già, con una sua precedente sentenza (n. 233/2005),
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aveva sottolineato che “il congedo retribuito si iscrive negli interventi economici di sostegno alle famiglie che si fanno carico dell’assistenza alla persona diversamente abile, evidenziando il rapporto di stretta
e diretta correlazione di detto istituto con le finalità perseguite dalla legge
n. 104 del 1992 ed in particolare
con quelle di tutela della salute psico- fisica della persona handicappata
e di promozione della sua integrazione nella famiglia”.
Pertanto la norma, a prescindere dalla sua collocazione, adempie
all’interesse di “assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall’età e dalla condizione di figlio dell’assistito”.
I giudici ribadiscono poi la centralità della famiglia non solo come strumento per l’assistenza del disabile, ma anche come fattore fondamentale per la sua socializzazione e per lo sviluppo
della sua personalità.
Pertanto la situazione del coniuge convivente con disabile in situazione di gravità, esige la medesima protezione ed il medesimo trattamento rispetto agli altri soggetti indicati
nella norma e quindi la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 42 comma 5 del D.Lgs. n.151/2001,
nella parte in cui non prevede, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti indicati nella norma, anche per
il coniuge convivente con soggetto con handicap in situazione di gravità, il diritto a fruire del congedo ivi indicato.
Sentenza n. 169 del 17 maggio 2007. Limitazioni della spesa per il personale delle pp.aa. dettate dalla legge finanziaria del 2006
Numerose regioni, di cui alcune
a statuto ordinario ed altre a statuto speciale, nonché le Province autonome di Trento e Bolzano, hanno proposto questione di legittimità costituzionale in relazione ai commi da 198 a 206 dell’art. 1 della Legge n. 266/2005
(legge finanziaria per l’anno 2006).
La Corte inizia l’esame dei vari ricorsi
occupandosi per prima cosa di quelli presentati dalle regioni a statuto ordinario.
Il comma 198 impugnato prevede che: “Le amministrazioni regionali e gli enti locali di cui all’articolo 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché gli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando
il conseguimento delle economie di cui all’articolo 1, commi 98 e 107,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo
degli oneri riflessi a carico
delle amministrazioni e dell’IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1 per cento.
A tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto
di lavoro flessibile o con convenzioni”.
Il comma viene impugnato,
in particolare, perché ritenuto
in contrasto con l’art. 117, comma 3
e l’art.119 Cost. in quanto, ponendo per gli anni 2006-2008 un limite determinato alla spesa del personale (in misura pari a quella del 2004 ridotta dell’uno per cento) avrebbe un contenuto specifico e puntuale e non costituirebbe
un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ledendo pertanto l’autonomia finanziaria regionale, inoltre il limite inciderebbe sul dimensionamento
del personale e quindi sulla materia dell’organizzazione regionale
e degli enti regionali, materia questa di competenza legislativa residuale delle regioni. Viene denunciata inoltre
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l’irrazionalità del vincolo in quanto esso riguarda tutte le tipologie
di rapporto di lavoro. La Corte ricorda innanzi tutto come essa più volte, nelle sue decisioni, abbia stabilito
il principio per cui: “il legislatore statale, con una disciplina di principio, può legittimamente imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche
dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia
di spesa degli enti” (sentenze 417/2005 e 36/2004).
Naturalmente, prosegue la Corte, perché tali norme possano essere considerate rispettose dell’autonomia regionale e quindi poter essere qualificate come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, esse debbono soddisfare
i seguenti requisiti che i giudici indicano puntualmente: “in primo luogo che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi anche nel senso di un transitorio contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente,
in secondo luogo che non prevedano strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi”.
L’obiettivo che si pone il comma 198 risponde a quanto sopra essendo teso a contenere entro limiti prefissati
la spesa complessiva per il personale, che rappresenta una delle cause più rilevanti del disavanzo pubblico,
ed ha quindi rilevanza strategica ai fini dell’attuazione del patto di stabilità interno; inoltre la norma ha carattere transitorio essendo prevista per
un periodo determinato, ed in più essa soddisfa anche il secondo requisito perché non indica le modalità per
il conseguimento dell’obiettivo,
lasciando libere le regioni
di individuare tali modalità. La norma, quindi, non lede l’autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali ma va, invece, qualificata come principio fondamentale
di coordinamento della finanza pubblica. Va respinta anche la successiva censura relativa alla sua incidenza sulla organizzazione degli uffici regionali
in quanto: “….il comma 198 pone un principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica la cui fissazione è riservata allo Stato ai sensi dell’art. 117 terzo comma Cost.
Né rileva in contrario che la disposizione denunciata possa avere influenza sull’organizzazione degli uffici regionali e degli enti da essa dipendenti, risolvendosi detta influenza
in una mera circostanza di fatto, come tale non incidente sul piano della legittimità costituzionale”.
I giudici ritengono infondati poi i rilievi mossi ai commi 199, 203, 204 e 205, ritenuti anche essi dalle regioni norme di dettaglio lesive della loro autonomia finanziaria, in quanto trattasi invece
di norme che contengono principi fondamentali: “La natura di principi fondamentali di tali norme deriva, infatti, dal rilievo che esse si limitano o a integrare il contenuto del comma 198 (commi 199, 203 e 204)
o a concorrere al raggiungimento dell’ulteriore obiettivo del miglioramento dei….. saldi (comma 295), e cioè
di un obiettivo ancor più generale di quello perseguito dal comma 198”. Ugualmente non fondati sono i rilievi mossi ai commi 200: “Gli enti destinatari del comma 198, nella loro autonomia, possono fare riferimento, quali indicazioni di principio per
il conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa di cui al comma 198, alle misure
della presente legge riguardanti il contenimento della spesa
per la contrattazione integrativa e i limiti all’utilizzo di personale
a tempo determinato, nonché alle altre specifiche misure in materia
di personale.” e 201: “Gli enti locali
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di cui all’articolo 2, commi 1 e 2,
del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, possono altresì concorrere al conseguimento degli obiettivi di cui al comma 198 attraverso interventi diretti alla riduzione dei costi di funzionamento degli organi istituzionali, da adottare ai sensi dell’articolo 82, comma 11, del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo
n. 267 del 2000, e delle altre disposizioni normative vigenti”. Le norme infatti, attribuendo ai destinatari del comma 198 una mera facoltà cui essi possono avvalersi ai fini dell’attuazione di quanto disposto dal comma 198, non hanno efficacia vincolante e quindi carattere lesivo dell’autonomia di regioni ed enti locali.
Anche l’eccepita incostituzionalità del comma 206 è respinta.
Diversa è la conclusione cui la Corte perviene invece riguardo al comma 202: “Al finanziamento degli oneri contrattuali del biennio 2004-2005 concorrono le economie di spesa
di personale riferibili all’anno 2005 come individuate dall’articolo 1, comma 91, della legge 30 dicembre 2004, n. 311”.
La norma infatti non è correlata
al comma 198 ed impone una precisa modalità di destinazione di risorse proprie delle regioni, ledendo in questo modo l’autonomia finanziaria
delle stesse ed esulando inoltre
dalla competenza legislativa riservata allo Stato. Per tale motivo viene dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 202 dell’art. 1 della Legge n. 266/2005.
Terminata la trattazione delle questioni promosse dalle regioni a statuto ordinario la Corte passa all’esame
dei rilievi promossi dagli enti ad autonomia speciale.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome, nel presupposto che
il comma 198 si applichi anche a loro,
lo impugnano per contrasto con gli artt. 117 comma 3 e 119 Cost. e con le norme statutarie che attribuiscono loro potestà legislativa in materia di ordinamento finanziario, di organizzazione
degli uffici e ordinamento degli enti locali. Inoltre il comma, nel fissare limiti
della spesa per il personale, limiti svincolati da qualsiasi accordo con lo Stato, si porrebbe in contrasto con il precedente comma 148 che prevede, per le regioni a statuto speciale e per le province autonome, che la determinazione delle spese correnti, comprese quelle per
il personale, sia oggetto, per il triennio indicato, di specifici accordi con
il Ministro dell’economia. Da ciò deriverebbe il vizio di irragionevolezza del comma 198. La Corte, nel ritenere, anche in questo caso, infondato
il rilievo di incostituzionalità, chiarisce innanzi tutto che, a differenza
di quanto sostenuto dalle ricorrenti, tale comma non è direttamente applicabile agli enti autonomi e quindi non collide con il comma 148 che prevede in via prioritaria gli accordi con lo Stato; pertanto le norme stabilite per le regioni a statuto ordinario si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, solo ove
non sia stato possibile raggiungere l’obiettivo del contenimento delle spese per il personale perseguendo
la via prioritaria dell’accordo tra le parti. Nessun contrasto tra i due commi, quindi, e nessuna irragionevolezza
del comma 198. Conseguentemente non sono fondati i rilievi ai successivi commi 199, 200, 201, 203, 205, 206.
Per quanto riguarda il comma 202, i rilievi nei suoi confronti restano assorbiti dalla dichiarazione di
illegittimità costituzionale dello stesso.
Sentenza n. 234 del 26 giugno 2007. Inquadramento del personale degli enti pubblici trasferito nei ruoli ATA
del personale scolastico
I Tribunali di Roma, Milano, Taranto,
Oristano, Lamezia Terme, Ancona
e l’Aquila hanno sollevato la questione della legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 218 della Legge n. 266/2005
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(Legge finanziaria per il 2006)
in riferimento a numerosi articoli della Costituzione.
L’articolo sottoposto al vaglio costituzionale, dopo aver fatto salva l’esecuzione dei giudicati formatisi
alla data di entrata in vigore della legge, ha stabilito che il comma 2 dell’art. 8 della Legge n. 124/99 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico) si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli
del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) statale è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento.
I profili di incostituzionalità della norma sarebbero relativi agli artt. 3, 24, 36, 42,
97, 101, 102, 103, 104 e 113 della
Costituzione; la norma contrasterebbe poi con i principi di diritto comune del lavoro e della disciplina generale
dei rapporti di lavoro, di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento
e di certezza delle situazioni giuridiche, e sarebbe inoltre impossibile accedere ad una lettura conforme alla Costituzione della norma medesima.
Poiché le doglianze si basano, preliminarmente, sul fatto che la norma contestata non avrebbe in realtà interpretato l’art. 8, comma 2
della Legge n. 124/99, ma l’avrebbe
di fatto innovato con efficacia retroattiva, violando in tal modo i canoni
di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., i giudici chiariscono
in primis quando ed in quali limiti esiste il divieto di retroattività della legge.
A questo proposito la Corte si riporta a quanto da essa già stabilito
nella sentenza n. 274/2006 nella quale viene testualmente detto che:
“non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente
interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Infatti, il divieto
di retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore
di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore ordinario deve in principio attenersi – non è stato elevato a dignità costituzionale, salva per la materia penale la previsione dell’art. 25 della Costituzione”.
Ed inoltre: “Il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di ‘interpretazione autentica’, che determinano – chiarendola – la portata precettiva della norma interpretata fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti”.
Proseguendo i giudici affermano che la norma contenuta nella legge
di interpretazione autentica non può ritenersi irragionevole ove si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come
una delle possibili letture del testo originario e che l’interpretazione della norma su indicata, nel senso dell’inquadramento stipendiale nei ruoli statali del personale ATA in ragione del maturato economico e non della effettiva anzianità
complessiva conseguita presso l’ente locale, è una delle possibili interpretazioni legittime della norma stessa. Tale interpretazione è stata successivamente avallata anche dall’accordo stipulato il 20 luglio 2000 tra XXXX e rappresentanti sindacali, accordo a sua volta recepito il 5 aprile 2001 dal decreto del Ministro
della pubblica istruzione di concerto con i Ministri dell’interno, del tesoro e della funzione pubblica.
Poiché, come riconosce la Corte, l’art. 8 della Legge n. 124/99 si prestava
a diverse possibili interpretazioni circa
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il riconoscimento dell’anzianità pregressa, bene ha fatto il legislatore a farsi carico della interpretazione autentica della norma attraverso
il disposto dell’art. 1, comma 218
della Legge n. 266/2005, ragionevolezza che deve essere riconosciuta
al legislatore anche laddove la norma censurata fosse da ritenersi non interpretativa ma innovativa-retroattiva.
Altro motivo di contestazione
della norma, da parte dei remittenti, consisterebbe nel fatto che “si sarebbe in presenza di una irrazionale disparità di trattamento tra i lavoratori ATA, provenienti dagli enti locali,
ed i lavoratori ATA inseriti fin dall’origine del loro rapporto di impiego nei ruoli dell’amministrazione dello Stato, nonché tra lavoratori inseriti nello stesso comparto di contrattazione collettiva”. Ma, dicono i giudici, non si può pensare che il fluire del tempo non costituisca “di per sé un elemento diversificatore che consente di trattare in modo differenziato le stesse categorie di soggetti, atteso che
la demarcazione temporale consegue come effetto naturale alla generalità delle leggi” e pertanto non è configurabile nessuna lesione del principio di parità stabilito dall’art. 3 Cost. I giudici riconoscono poi che l’interpretazione che è stata data della norma è coerente con la finalità
che essa doveva raggiungere ed infatti si dice nella sentenza: “In realtà,
la disciplina dettata dall’art. 8, comma 2, della legge n. 124 del 1999, come interpretata dal censurato art. 1, comma 218, della legge n. 266 del 2005, nasce dall’esigenza di armonizzare,
con una normativa transitoria di primo inquadramento, il passaggio
del personale in questione da un sistema retributivo disciplinato a regime
ad un altro sistema retributivo ugualmente disciplinato a regime, salvaguardando, proprio per quanto attiene al profilo economico, i livelli retributivi maturati e attribuendo agli interessati, a partire dal nuovo inquadramento, i diritti riconosciuti al personale ATA statale.
Tutto ciò allo scopo di rendere, almeno
tendenzialmente, omogeneo il sistema retributivo di tutti i dipendenti ATA,
al di là delle rispettive provenienze e, comunque, salvaguardando il diritto di opzione per l’ente di appartenenza nel caso di mancata corrispondenza di qualifiche e profili”.
Non bisogna dimenticare tra l’altro che la Legge n. 124/99 configura questa operazione di trasferimento sulla base del principio della invarianza
della spesa, ed è proprio per questo che nell’accordo ARAN - Organizzazioni Sindacali del luglio 2000 “è stata prevista l’adozione di un meccanismo di valutazione delle anzianità pregresse fondato sul maturato economico e che la su indicata disciplina contrattuale
sia stata fatta propria e sia stata ribadita dall’articolo 1 comma 218 della legge 266/05, ora censurato dai rimettenti”.
Né si può ravvisare una violazione dell’art. 3 Cost. per disparità
di trattamento in materia
di riconoscimento della anzianità pregressa perché il passaggio
da un settore lavorativo ad un altro è avvenuto in base all’applicazione dell’istituto del maturato economico1. Indubbiamente questo criterio avvantaggia chi è all’inizio della carriera rispetto al personale con maggiore anzianità, ma “Questa Corte più volte chiamata a valutare gli esiti
del passaggio dall’ordinamento gerarchico delle carriere a quello delle qualifiche funzionali,
ed in particolare il criterio prescelto
dal legislatore del 1980 del c.d. maturato economico e i successivi interventi volti a temperarne gli effetti meno favorevoli per il personale con notevole anzianità rispetto a quello all’inizio della carriera, ha riconosciuto ampia discrezionalità al legislatore in materia ed ha chiarito che la previsione
di una diversa valutazione delle anzianità pregresse attraverso un discrimine
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temporale non viola il principio
di uguaglianza” (sentenza n. 430/2004). Per quanto riguarda la disparità di trattamento che, in base alla norma censurata si verrebbe a creare tra chi ha già ottenuto un giudicato favorevole
e coloro che invece fossero ancora
in attesa della formazione dello stesso sulla loro richiesta, bisogna ricordare che uno dei limiti che il legislatore incontra nella sua possibilità
di emanare norme con valore retroattivo è dato proprio dall’intangibilità
del giudicato, la cui efficacia non può essere, di regola, annullata.
Se ciò fosse, infatti, si lederebbero
“i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale
e le disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi” (sentenza n. 282/2005).
Conseguentemente la norma fa salve solamente le posizioni di coloro che, all’atto della sua entrata in vigore, fossero già titolari di un giudicato favorevole.
Da ultimo, dice la Corte, non esiste, per il giudice, una esclusività dell’attività di ermeneutica che possa precludere quella spettante
al legislatore, così come invece sostenuto dai rimettenti, in quanto: “l’attribuzione per legge ad una norma di un determinato significato non lede la potestas iudicandi, ma definisce e delimita
la fattispecie normativa che è oggetto della potestas medesima”.
I giudici pertanto dichiarano non fondata la questione della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 218 della Legge n. 266/2005.
Ordinanza n. 298 del 17 luglio 2007. Presunta incostituzionalità dell’articolo 420 bis c.p.c. sull’ accertamento, in via pregiudiziale, di clausole o accordi collettivi nazionali di lavoro
Con questa ordinanza la Corte decide
sulla presunta incostituzionalità dell’art. 360 primo comma n. 3
del codice di procedura civile così come modificato dall’art. 2 del D.Lgs.
n. 40/2006 (Modifiche al codice di procedura civile in materia
di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato) e dell’art. 420 bis (Accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi) sempre del codice di procedura civile, denunciata dal giudice del tribunale civile di Genova chiamato a decidere
su una controversia di lavoro.
I giudici decidono innanzi tutto l’inammissibilità della questione
di legittimità costituzionale dell’art. 360 comma 1 n. 3 e si soffermano invece
sui rilievi rivolti all’art. 420 bis c.p.c. che, secondo il giudice remittente, introdurrebbe irrazionalmente
un meccanismo farraginoso, che frammenta i vari momenti decisori e che rischia di prolungare
eccessivamente la durata del processo. Tutti questi rilievi, dice la Corte, sono infondati.
Infatti, sottolineano i giudici, l’articolo contestato (420 bis: 1- Quando per
la definizione di una controversia di cui all’art. 409 è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità
o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con
sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni. 2-
la sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’avviso
di deposito della sentenza. 3- Copia del ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la cancelleria
del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro venti giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti;
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il processo è sospeso dalla data
del deposito.) ripropone sostanzialmente il modello previsto dall’art. 64 del D.Lgs.
n. 165/2001 per il pubblico impiego contrattualizzato, modello che la Corte ha già ritenuto costituzionalmente legittimo con la sentenza n. 199/2003
e l’ordinanza 233/2002.
Per quanto riguarda l’irrazionalità della norma questa è insussistente in quanto non vi è applicazione obbligatoria della stessa in tutti i casi in cui si ponga una questione
di interpretazione o di validità della clausola collettiva, ma il suo utilizzo è invece rimandato al ragionevole
e responsabile apprezzamento
del giudice. In relazione poi al paventato allungamento dei tempi del processo, la Corte ritiene invece che: “l’articolo 420 bis - letto in connessione l’articolo 146 bis disp. Att. c.p.c. e con i commi 4, 6 e 7 dell’art. 64 del D.Lgs. n. 165/2001, prescrive termini perentori brevi sia
per l’impugnazione in cassazione per saltum avverso la sentenza pronunciata dal giudice di merito, sia per
la riassunzione della causa davanti allo stesso giudice dopo la decisione
della Corte di Cassazione, assicurando, in tempi ragionevoli, la soluzione
di questioni ermeneutiche di interesse collettivo che reclamano decisioni immediate entro il primo grado
di giudizio. Senza contare che analoghe economie di giudizio – pure apprezzabili ai sensi dell’art. 111 Cost. – possono essere realizzate secondo l’intero meccanismo processuale introdotto dall’art. 420 bis – con riferimento ad altri processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione su cui
la Corte di cassazione sia già stata chiamata a pronunciarsi (commi 6 e 7 dell’art. 64 del D.Lgs. n. 165/2001 appena richiamati)”.
L’art. 420 bis c.p.c. ha attribuito in xxx xxxxxxxx, xx xxxxxxx xxx xxxxxx,
la possibilità di utilizzare parte
della procedura che l’art. 64 del D.Lgs.
n. 165/2001 prevede per le controversie dei pubblici dipendenti, allargando così la sfera degli strumenti utilizzabili
dal giudice anche nelle controversie di lavoro privato, nei casi in cui sia necessaria una decisione pregiudiziale su validità, efficacia o interpretazione di norme o contratti collettivi
e completando, con la previsione dell’impugnazione con ricorso immediato per cassazione, il disegno volto a rafforzare la funzione nomofilattica delle decisioni della Corte di Cassazione.
I giudici costituzionali, nella sentenza, dicono che l’applicazione di tale norma non è obbligatoria ma rimandata
al ragionevole e responsabile apprezzamento del giudice quindi, si ritiene ragionevolmente, il giudice
la utilizzerà non quando ci sia accordo sulla efficacia, validità o interpretazione, ma quando ci sia contrasto tra le parti sul punto o il giudice sostenga addirittura una interpretazione terza.
In questi casi però, il giudice che si trovasse a dover decidere
pregiudizialmente riguardo alla validità, efficacia o interpretazione di un CCNL relativo ad un rapporto di lavoro pubblico, dovrà comunque seguire,
a parere di chi scrive, la procedura prevista dall’art. 64 del D.Lgs.
n. 165/2001, in quanto norma speciale per il settore pubblico, che inserisce il necessario passaggio attraverso l’ARAN e che quindi garantisce, con la procedura contrattuale in esso
prevista ed alla quale partecipano tutte le parti che hanno stipulato il contratto de quo, quella che è la vera interpretazione della norma
o del contratto in contestazione.
Sentenza n. 329 del 27 luglio 2007. Decadenza dall’impiego ottenuto con la produzione di documenti falsi
e possibilità di concorrere ad altro impiego nell’amministrazione pubblica
Con questa sentenza la Corte ha deciso sulla questione di legittimità
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costituzionale dell’art. 128, secondo comma del DPR n. 3/57 (Testo unico delle disposizioni concernenti
lo statuto degli impiegati civili
dello Stato) sollevata dal TAR regionale della Puglia. La norma censurata stabilisce che l’impiegato dichiarato decaduto ai sensi dell’art. 127
dello stesso decreto, e cioè quando
sia accertato che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile, non può concorrere ad altro impiego nell’amministrazione dello Stato.
Dinnanzi al tribunale amministrativo pendeva ricorso, presentato
da una docente, con il quale veniva richiesto l’annullamento, previa sospensiva, delle graduatorie permanenti del concorso formate dal dirigente
del centro servizi amministrativi
di Lecce, limitatamente alla mancata inclusione in esse della stessa docente, esclusione avvenuta in applicazione dell’art. 128, secondo comma del DPR n. 3/57.
La ricorrente, avendo dichiarato di avere una certa percentuale
di invalidità civile, aveva ottenuto un contratto di lavoro a tempo determinato per l’anno scolastico 2002/2003. Successivamente
l’amministrazione, avendo accertato, a seguito di un controllo d’ufficio, che l’invalidità reale della docente comportava una riduzione
della capacità lavorativa del 37%, quindi inferiore al minimo del 46% previsto dalla legge (Legge n. 68/99 art. 1 comma 1 lett. a): Norme per il diritto al lavoro dei disabili), aveva disposto
con decreto la sua esclusione dalle graduatorie permanenti per
l’anno 2002/2003, la nullità del contratto annuale di lavoro e la decadenza dall’impiego ai sensi dell’art. 127, comma 1 lett. d) del DPR n. 3/57.
Il giudizio promosso contro il decreto
di esclusione si era risolto con
una sentenza, poi passata in giudicato, che rigettava l’impugnativa in quanto
il giudice aveva ritenuto che l’ignoranza, da parte della ricorrente, della misura di invalidità minima prevista
dalla legge, non fosse scusabile e neppure inevitabile.
In base ai motivi di ricorso presentati dal tribunale rimettente la Corte definisce gli ambiti della domanda dovendo essa decidere se: “la norma censurata, anche in considerazione
del carattere definitivo della esclusione dai concorsi ad altro impiego nell’amministrazione dello Stato, violi:
a) l’art. 3 Cost., per irragionevolezza, atteso che la diversa gravità obiettiva dei fatti presupposti (dal reato di falso alla irregolarità documentale) contrasterebbe con il principio – enucleato dalla giurisprudenza costituzionale – della gradualità sanzionatoria e del tendenziale superamento di sanzioni rigide, volto a salvaguardare il parallelismo fra gravità delle condotte e conseguenze
sanzionatorie; b) gli artt. 4, 35 e 51 Cost., essendo il difetto di ragionevolezza suddetto di tale gravità da comprimere altri diritti a valenza costituzionale, quali il diritto al lavoro e il diritto
di accedere agli uffici pubblici;
c) l’art. 97 Cost., sotto il profilo che, impedendo definitivamente ad alcuni soggetti di partecipare alle selezioni per l’accesso agli impieghi pubblici senza
la verifica in concreto della presenza di gravi elementi ostativi, sarebbe
violato il principio del buon andamento della pubblica amministrazione
in riferimento alla migliore utilizzazione delle risorse professionali potenzialmente a disposizione”.
I giudici iniziano la disamina chiarendo in primis quale è il quadro normativo cui occorre fare riferimento
e cominciano dall’esame dell’art. 2 del testo unico delle disposizioni concernenti gli impiegati civili
dello Stato (DPR n. 3/57) che stabilisce, laddove determina i requisiti generali per l’accesso all’impiego pubblico (art. 2 comma 5), che tra coloro che
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non possono accedere all’impiego
vi siano “coloro che siano stati destituiti (all’esito del procedimento disciplinare) o dispensati (per insufficiente rendimento) dall’impiego”.
Il successivo art. 127 del decreto stabilisce a sua volta quali sono le ipotesi
di decadenza dall’impiego e tra esse inserisce la fattispecie dell’impiego conseguito mediante la produzione
di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile; questa ipotesi viene poi ulteriormente sanzionata dall’art. 128 in base al cui disposto l’impiegato,
decaduto ai sensi della fattispecie sopra detta, non può concorrere ad altro impiego nell’amministrazione
dello Stato. La norma impugnata, specifica poi la Corte: “non è inclusa nel processo di contrattualizzazione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni”; essa infatti, concernendo i requisiti per l’accesso, rientra nei procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro previsti dall’art. 2, comma 1 lett. c) della Legge n. 421/1992, esplicitamente richiamati dall’art. 69, comma 1 del D.Lgs. n. 165/2001, proprio per escluderne la contrattualizzazione.
Passando in maniera più specifica alla normativa per il personale della scuola, viene ricordato che
il relativo testo unico (art. 402, comma 4 del D.Lgs. n. 297/94) prevede che per essere ammessi ai concorsi si debbono possedere i requisiti di accesso richiesti per gli impiegati civili dello Stato
e che inoltre, per il personale della scuola, l’art. 70, comma 8
del D.Lgs. n. 165/2001 dispone, in modo specifico, che sono fatte salve
le procedure di reclutamento di cui al suddetto D.Lgs. n. 297/94.
A questo punto i giudici passano ad esaminare la norma impugnata
in riferimento alla supposta violazione delle norme costituzionali sopra richiamate (artt. 3, 35, 51, 97)
e stabiliscono la sua conformità a tre delle norme sopra indicate in base alle seguenti considerazioni:
“Il legislatore individua, infatti,
i requisiti negativi necessari per l’ingresso nel rapporto di lavoro pubblico
contemperando il diritto di tutti
di accedere agli uffici pubblici (art. 51 Cost.) con l’esigenza di garantire, anche attraverso la scelta del personale,
il buon andamento e l’imparzialità dell’organizzazione amministrativa (art. 97 Cost.) e il rispetto del dovere di lealtà dei dipendenti pubblici (art. 98 Cost.).
L’art. 128, secondo comma, del DPR
n. 3/57 persegue due obiettivi conformi alla Costituzione. Il primo è di vietare l’instaurazione del rapporto di impiego con soggetti che abbiano agito
in violazione del principio di lealtà, che costituisce – come notato – uno dei cardini dello stesso rapporto
(art. 98 Cost.). Il secondo è di tutelare l’eguaglianza dei concorrenti, pregiudicati dalla sleale competizione con chi abbia partecipato alla selezione con documenti falsi o viziati
(art. 97 Cost)”.
La Corte rileva invece la non conformità della norma con l’art. 3 Cost. perché: “la preclusione prevista nell’art. 128 censurato colpisce per una durata illimitata nel tempo e automaticamente, senza distinzione, tutti i comportamenti (dalle varie fattispecie di reato in tema di falsità alla produzione di documenti viziati da invalidità non sanabile) rientranti nell’area della decadenza dall’impiego disciplinata dall’art. 127 dello stesso testo unico”.
Tutto ciò contrasta con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Carta costituzionale, in quanto in contrasto con il principio di
adeguatezza tra illecito amministrativo e sanzione (principio che è alla base, dicono i giudici, della razionalità che domina il principio di uguaglianza) affermato dalla Corte fin dalla sentenza
n. 270/86. La preclusione prevista dalla norma, infatti, è illimitata
ed automatica, senza alcuna distinzione dei comportamenti, mentre è invece
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necessario, per i giudici, che le amministrazioni valutino
il provvedimento di decadenza, per ponderare la proporzione tra la gravità del comportamento ed il divieto
di concorrere ad altro impiego.
“La discrezionalità che l’amministrazione pubblica eserciterà in tal modo sarà limitata dall’obbligo di tenere conto
dei presupposti e della motivazione del provvedimento di decadenza, ai fini della decisione circa l’ammissione
a concorrere ad altro impiego nell’amministrazione. Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 128, secondo comma, del DPR n. 3/57, nella parte in cui, facendo discendere automaticamente dalla dichiarazione di decadenza il divieto di concorrere ad altro impiego nell’amministrazione dello Stato, non prevede l’obbligo dell’amministrazione di valutare
il provvedimento di decadenza dall’impiego, emesso ai sensi dell’art. 127, primo comma, lettera d),
dello stesso decreto, al fine della ponderazione della proporzione tra gravità del comportamento e divieto di concorrere ad altro impiego nell’amministrazione dello Stato”.
Si riportano di seguito, brevemente, alcune sentenze di altre Corti che si ritengono particolarmente interessanti.
CORTE DI CASSAZIONE
Sentenza n. 10099 - 2 maggio 2007- Sez. Lavoro. Rapporto tra contratto nazionale ed integrativo
Trattasi di una sentenza importante perché, da quello che ci consta, è
la prima volta che la Corte si pronuncia in maniera così esplicita sul rapporto che intercorre tra la contrattazione collettiva nazionale e la contrattazione integrativa. Con questa sentenza,
infatti, i giudici ribadiscono “l’ordine gerarchico” esistente tra
la contrattazione nazionale e quella integrativa e quindi la nullità
delle clausole contenute nei contratti integrativi che siano difformi rispetto alle previsioni dei contratti nazionali.
Centoquarantuno dipendenti
del Comune di Salerno (vigili urbani) avevano richiesto al giudice del lavoro di riconoscere il loro diritto
al passaggio ad una categoria superiore in virtù di un accordo sindacale stipulato dal comune, che prevedeva, per alcuni suoi dipendenti,
la possibilità di una progressione economica e di categoria, sebbene il CCNL di lavoro del 6 luglio 1995 del Comparto delle Regioni ed Autonomie locali, all’epoca vigente, non prevedesse in alcun modo,
tra gli istituti contrattuali rimessi alla contrattazione integrativa, la materia delle classificazione del personale.
Poiché l’accordo decentrato subordinava la sua validità alla entrata in vigore della nuova disciplina
degli inquadramenti da definire da parte del successivo contratto
collettivo nazionale, la Corte d’appello di Salerno accoglieva l’appello proposto dai dipendenti avverso
la sentenza del giudice di primo grado che aveva invece respinto la loro richiesta. Nel cassare la sentenza
della corte territoriale i giudici
della Corte di Cassazione ribadiscono, come detto, il principio della gerarchia del CCNL sul contratto integrativo, esplicitamente ed inderogabilmente sancita dall’art. 40, comma 3 del D.Lgs.
n. 165/2001, e la conseguente nullità delle eventuali clausole difformi
dei contratti integrativi, sottolineando inoltre che anche il successivo CCNL del 1999, sebbene avesse ampliato
le competenze delegate
alla contrattazione decentrata, aveva previsto la possibilità di un intervento di essa solo in tema di progressioni economiche e sempre entro limiti ben
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definiti, e non mai la possibilità che potesse intervenire stabilendo inquadramenti in categorie superiori.
Pertanto l’accordo richiamato dai ricorrenti è nullo.
Conseguentemente, alla Corte non interessa stabilire, come invece veniva richiesto, se il contratto integrativo avesse natura precettiva o programmatica (in quanto la sua validità sarebbe stata subordinata
alla entrata in vigore dei nuovi ordinamenti stabiliti nel successivo CCNL), perché un accordo sottoscritto in contrasto con la contrattazione nazionale, viola l’art. 40, comma 3
del D.Lgs. n. 165/2001, norma inderogabile di legge, così come sottolineano i giudici, ed è pertanto nullo ab origine e non può pertanto divenire successivamente efficace nel momento in cui dovesse venire
meno la norma con cui è in contrasto. I giudici pertanto accolgono il ricorso promosso dal Comune di Salerno avverso la sentenza della Corte d’appello, per violazione di norme
di diritto.
Sentenza n.11084 del 15 maggio 2007 - trattamento economico accessorio: retribuzione di posizione
“In tema di lavoro pubblico contrattualizzato e di trattamento economico del personale con qualifica dirigenziale, alla stregua dell’articolo 24 comma secondo, del D.Lgs. n. 29/93, come sostituito dall’art. 16 del D.Lgs. n. 80/98 (ora art.24 del D.Lgs. n. 165/2001) – che ha rimesso l’intera disciplina
al contratto individuale, prescrivendo, per il trattamento economico fondamentale, che assuma, come parametri di base i valori economici massimi contemplati dai contratti collettivi per le aree dirigenziali e, per il trattamento economico accessorio, che sia collegato al livello
di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione ed ai risultati conseguiti nell’attività amministrativa e di gestione – la retribuzione
di posizione, che riflette il livello di responsabilità attribuito
con l’incarico di funzione ed esprime lo specifico valore economico di una determinata posizione dirigenziale
al di fuori di ogni automatismo,
non può essere attribuita nella misura massima dell’emolumento per il solo rilievo apicale nel ruolo dirigenziale ricoperto”.
Così ha deciso la Corte nel caso
di un dipendente di una amministrazione provinciale, con qualifica di dirigente
di settore - coordinatore vice segretario generale, che ha chiesto alla amministrazione il riconoscimento
del proprio diritto alla retribuzione di posizione nella misura massima
prevista dal CCNL sul presupposto che le funzioni da lui svolte fossero identiche a quelle attribuite ai dirigenti generali dello Stato. La Corte chiarisce innanzi tutto che la retribuzione
di posizione non può essere fatta rientrare nell’ambito del trattamento economico fondamentale, ma rientra invece nel trattamento accessorio
e pertanto ad essa non è applicabile
la parametrazione sui valori economici massimi previsti dalla contrattazione collettiva per il trattamento economico fondamentale.
Il trattamento economico accessorio infatti è legato ad alcune variabili
da misurare in modo oggettivo, e cioè al livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione ed ai risultati conseguiti nell’attività amministrativa e di gestione. L’emolumento
in questione ha quindi una specifica “funzione di differenziazione e, palesemente, di incentivazione…
e tende ad evitare appiattimenti retributivi e a misurare, al di fuori di ogni automatismo, il valore
economico di ogni posizione dirigenziale.
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Ciò consente… la previsione di una pluralità di fasce retributive anche nell’ambito della medesima qualifica dirigenziale”. Inoltre, proseguono
i giudici, al finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato, “si provvede con i Fondi, la cui consistenza è necessariamente variabile, il che non sarebbe possibile se essi non fossero entrambi estranei al trattamento fondamentale, alimentato da risorse fisse”.
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
– sez. quinta. Sentenza n. 4702 del 7 settembre 2007 - lavoro straordinario e autorizzazione preventiva
La controversia di cui trattasi è sorta prima del passaggio alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie di lavoro pubblico, ma si ritiene che sia importante per i principi che stabilisce i quali sono, a parere di chi scrive, validi ed applicabili anche nel cd. “pubblico impiego privatizzato”.
Il ricorrente promuoveva appello, innanzi ai giudici del Consiglio di Stato, per la riforma della sentenza del TAR della Liguria che aveva respinto
il ricorso con il quale, il ricorrente, chiedeva che gli fossero riconosciute e pagate numerose ore di lavoro straordinario, svolte presso il comune di Genova di cui era impiegato.
I giudici del TAR avevano ritenuto, accogliendo le motivazioni della parte resistente, che il servizio non potesse essere retribuito essendo stato svolto senza la preventiva autorizzazione
del competente ufficio sovraordinato. Ritenendo giusta la decisione del TAR della Liguria i giudici del Consiglio
di Stato chiariscono che il fatto che
un dipendente abbia svolto prestazioni eccedenti l’orario di lavoro non basta, di per sé solo, a far sorgere nel
lavoratore il diritto alla retribuzione, questo diritto infatti è legato
alla esistenza di una formale autorizzazione e, a questo proposito, ricordano la pluralità di funzioni che tale autorizzazione svolge: “tutte riferibili alla concreta attuazione dei principi
di legalità, imparzialità e buon andamento di cui, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, deve essere improntata l’azione della pubblica amministrazione”.
Innanzi tutto l’autorizzazione implica l’esistenza di una preventiva verifica in concreto delle ragioni di pubblico interesse che rendono necessario
il ricorso al lavoro straordinario, diventando, conseguentemente, anche uno strumento per evitare che vengano superati i limiti di spesa fissati
in bilancio dalle amministrazioni, superamento che si rifletterebbe poi in modo negativo sull’equilibrio
dei conti pubblici. Inoltre tale autorizzazione ha anche la funzione di verificare e valutare le concrete esigenze degli uffici, per evitare che si ricorra al lavoro straordinario come fattore ordinario di programmazione
del lavoro, e costituisce poi assunzione di responsabilità gestionale e contabile per il dirigente che la emette: “e ciò sia nel caso che per tale svolgimento
sia preventivamente stabilita l’erogazione del relativo compenso, sia nel caso che lo stesso dia luogo, per il lavoratore, ad un credito compensativo, in entrambi i casi
l’autorizzazione de qua incide sul buon andamento del servizio e sulla economica ed efficiente gestione
delle risorse umane, facente capo al dirigente”.
I giudici sostengono che sono errate le decisioni di alcuni giudici amministrativi di primo grado che
ritengono che in tali casi sia applicabile il principio sinallagmatico e che pertanto il lavoratore abbia comunque diritto alla retribuzione, e che non si possa neppure ritenere che una simile decisione possa trovare il suo
numero 5 • settembre/ottobre 2007
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fondamento sull’art. 36 Cost. Infatti, spiegano, l’applicazione dell’art. 36 Cost. deve essere armonizzata, nell’ambito del lavoro pubblico, con altri principi, di pari rilevanza costituzionale “quali quelli previsti
dall’art. 98 Cost. (che nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che
la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica
del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall’art. 97 Cost.” di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione.
Con quest’ultima considerazione i giudici si pongono in contrasto con alcune decisioni della Corte
costituzionale che ha invece ritenuto applicabile il principio dell’art. 36
a fattispecie relative al pubblico impiego. Come si è premesso all’inizio, la sentenza riguarda fatti verificatisi prima della “privatizzazione
del rapporto di lavoro pubblico” e pertanto ancora di competenza
del giudice amministrativo, ma le su esposte considerazioni hanno una loro validità, seppure in un differente contesto. Allo stato attuale, tutti i CCNL hanno stabilito che il lavoro straordinario debba essere preventivamente autorizzato dal dirigente responsabile (uno per tutti:
La prestazione di lavoro straordinario è espressamente autorizzata
dal dirigente, sulla base delle esigenze organizzative e di servizio individuate dall’ente, rimanendo esclusa ogni forma generalizzata di autorizzazione.
Art. 38 CCNL Comparto Regioni ed Autonomie locali del 14.9.2000).
Si ritiene che aver stabilito, con
il contratto, la necessità della preventiva autorizzazione, comporti che, in casi simili a quello sopra descritto, non sia applicabile - anche nel rapporto
di lavoro privatizzato - tout-court
il disposto dell’art. 36 Cost. o il principio sinallagmatico, e rimangono valide
le osservazioni fatte dai giudici amministrativi circa le funzioni
della preventiva autorizzazione.
Senza dimenticare che essa può essere strumento importante per il dirigente che deve utilizzare il potere organizzatorio ad esso attribuito con
i poteri del privato datore di lavoro, ma contemporaneamente deve rispondere, con responsabilità dirigenziale, dell’organizzazione
e del funzionamento dei suoi uffici e, con responsabilità gestionale
e contabile, dell’utilizzo delle risorse che gli sono state attribuite
per il raggiungimento degli obiettivi assegnati. Ma le suddette responsabilità comportano anche, per il dirigente, un dovere di “sorveglianza” perché non venga effettuato, reiteratamente, lavoro straordinario non autorizzato in quanto, tale “distrazione”, potrebbe poi essere interpretata dal lavoratore come tacita acquiescenza.
a cura di Xxxxx Xxxxxx
Funzionario ARAN
1 Questo istituto è riconducibile alla Legge n.312/80 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato) che si inquadra nel processo legislativo che ha portato, per i pubblici dipendenti, alla sostituzione dell’ordinamento gerarchico con quello
delle qualifiche funzionali. Il passaggio dall’uno all’altro assetto è stato effettuato in base all’isti- tuto del maturato economico, tenendo conto esclusivamente del trattamento economico com- plessivo goduto al momento dell’inquadramento nelle qualifiche funzionali (art. 51 Legge n.
312/80), prescindendo dalla anzianità effettiva.