COLLEGIO DI COORDINAMENTO
COLLEGIO DI COORDINAMENTO
composto dai signori:
(CO) MASSERA Presidente
(CO) LAPERTOSA Membro designato dalla Banca d'Italia
(CO) MARINARI Membro designato dalla Banca d'Italia
(CO) RUPERTO Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(CO) XXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore ESTERNI - RUPERTO
Nella seduta del 03/02/2016 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Col ricorso introduttivo del presente procedimento, il ricorrente ha affermato che:
- relativamente a un contratto preliminare di vendita di un immobile da costruire da lui stipulato, l’intermediario resistente gli rilasciava la fideiussione di cui agli artt. 2 e 3 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122 (Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della l. 2 agosto 2004,n. 210);
- il 12 ottobre 2013, poiché la società promittente venditrice non aveva ottenuto il permesso di costruire l’edificio di cui si tratta, il ricorrente intimava all’intermediario resistente di provvedere al pagamento dell’indennità fideiussoria di € 42.000,00, oltre agli interessi legali e al risarcimento dei danni, corrispondenti all’importo versato all’agenzia
immobiliare, pari a € 5.250,00;
- l’intermediario non eseguiva il pagamento richiesto.
Ciò posto, il ricorrente chiede che l’intermediario resistente sia condannato al pagamento di € 42.000,00, oltre agli interessi legali e al risarcimento dei danni pari a € 5.250,00.
L’intermediario non ha resistito al ricorso.
* * *
Il Collegio di Roma, nella riunione del 15 ottobre 2015, rilevata la difformità di orientamenti emersi nei Collegi ABF in ordine alla validità ovvero alla nullità del contratto di garanzia concluso da un confidi in violazione dei limiti che la disciplina di settore pone alla sua operatività, rimetteva l’esame del ricorso al Collegio di Coordinamento.
DIRITTO
L’appendice n. 1 alla fideiussione che è stata rilasciata dall’intermediario resistente (e allegata al ricorso) espressamente prevede quanto segue: «Per patto essenziale, ad integrazione di quanto letteralmente sancito dall’art. 3, D.lgs. n. 122/2005, come da espresso accordo tra le parti (cfr. art. 3 prel.), la presente fideiussione garantisce altresì il rischio del mancato rilascio del permesso di costruire entro e non oltre il termine massimo di 10 (dieci) mesi dalla data di stipula del contratto garantito, nel qual caso potrà essere escussa dal Promissario Acquirente, indipendentemente dalla causa di detto mancato rilascio […]».
Nel caso di specie, non essendo stato rilasciato il permesso di costruire l’edificio acquistato dal ricorrente, questi pretende di esercitare i diritti derivanti dalla garanzia rilasciata dal confidi.
Si pone tuttavia il problema preliminare della validità del contratto di fideiussione di cui si tratta, presupposto di ogni domanda tesa a ottenere l’adempimento delle obbligazioni che ne derivano.
Infatti, occorre anzitutto rilevare che l’intermediario resistente era iscritto nell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal previgente art. 155, 4° comma,
t.u.b.).
L’art. 112, 1° comma, t.u.b., statuisce che i confidi esercitano «in via esclusiva l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali». Ai sensi dell’art. 13 (Disciplina dell’attività di garanzia collettiva dei fidi), 2° comma, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, «I confidi, salvo quanto stabilito dal comma 32, svolgono esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi e dei servizi a essa connessi o strumentali, nel rispetto delle riserve di attività previste dalla legge» (sottolineature aggiunte). Il comma 32 del predetto articolo di legge si riferisce ai confidi iscritti nell’elenco speciale di cui al previgente art. 107 t.u.b., oggi corrispondente all’albo degli intermediari finanziari di cui all’art. 106 t.u.b.: esso non rileva pertanto ai fini del presente giudizio, dato che, come si è già rilevato, l’intermediario resistente era iscritto invece nell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal previgente art. 155, 4° comma, t.u.b.).
Secondo i Chiarimenti in materia di rilascio di garanzie resi il 7 ottobre 2011 dalla Banca d’Italia, «[…] i confidi iscritti ai sensi dell’art. 155, comma 4, del TUB nell’apposita sezione dell’elenco generale, possono svolgere esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi che consiste nella “prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie” volta a favorire l’accesso delle piccole e medie imprese associate al credito di banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario […], nonché attività connesse e strumentali. A tali operatori è pertanto vietato l’esercizio di prestazioni di garanzie diverse da quelle indicate e, in particolare, nei confronti del pubblico, nonché l’esercizio delle altre attività riservate agli intermediari finanziari».
Con particolare riguardo al caso di specie, l’art. 3, 1° comma, del decreto legislativo n. 122 del 2005 espressamente statuisce che, per quanto qui rileva, «la fideiussione è rilasciata da una banca, da un’impresa esercente le assicurazioni o da intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni». Come si è già rilevato, l’intermediario resistente è iscritto invece nell’elenco
dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal previgente art. 155, 4° comma, t.u.b.).
Pertanto, nella specie l’intermediario resistente ha agito in un ambito che gli era precluso dalla legge, tra l’altro con potenziale rilevanza della sua condotta ai fini della configurabilità del reato di abusiva attività finanziaria ex art. 132 TUB. Oggetto della controversia è, infatti, un rapporto di garanzia individuale (e non collettiva) connesso alla compravendita di un immobile da costruire.
Occorre quindi interrogarsi in ordine alle conseguenze che la violazione di tali norme comporti sul piano civilistico, con particolare riguardo alla validità della garanzia rilasciata dal confidi resistente. Del resto, si tratta di un rilievo officioso cui il Collegio è sicuramente abilitato nel caso di specie, dal momento che, come s’è anticipato, la questione della validità del titolo contrattuale costituisce un presupposto logico necessario per potere eventualmente dichiarare l’intermediario tenuto ad adempiere l’obbligazione da esso derivante.
In effetti, nella giurisprudenza dei Collegi ABF è emersa difformità di indirizzi.
Secondo un primo orientamento, conseguenza della inosservanza dei limiti che la legge impone all’operatività dei confidi non può che essere la nullità del contratto concluso in violazione, quale è la fideiussione che il ricorrente vuole giustappunto qui azionare. Si evidenzia al riguardo che la “conclusione di un contratto rientrante nell’ambito di un’attività riservata da parte di un soggetto che non è autorizzato al suo svolgimento, infatti, determina necessariamente la nullità di quel contratto ex art. 1418 c.c. (cons. Cass. 7 marzo 2001, n. 3272; e, per un caso analogo a quello in esame, Collegio di Milano, decisione n. 1896 del 28 marzo 2014). Non potendo il contratto nullo dispiegare alcun effetto, non è evidentemente possibile dichiarare l’intermediario tenuto al suo adempimento” (così, Collegio di Roma, dec. 8139/2014).
Il diverso e opposto orientamento richiama invece la giurisprudenza della Cassazione civile, sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725 secondo cui “in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (c.d. nullità virtuale), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la
quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all'art. 6, l. n. 1/1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (…); in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, comma 1, c.c., la nullità”, oltre al più generale principio del divieto di venire contra factum proprium, sicché in ogni caso non parrebbe ammissibile per il garante far valere la nullità di un contratto che egli stesso ha stipulato, con la conseguenza che detto contratto deve reputarsi valido e opponibile al garante (v. Collegio di Milano, dec. 1893/2015).
L’esame deve muovere dall’art. 1418, primo comma, cod. civ., a norma del quale la nullità (virtuale) riguarda il contratto “contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente”. L’invalidità del negozio postula dunque un duplice passaggio logico, poiché l’indagine deve toccare: in primo luogo, il carattere imperativo del precetto violato mediante la conclusione del contratto; e, in secondo luogo, eventuali previsioni che valgano a escludere la sanzione della nullità.
Sotto il primo punto di vista, pur non essendo necessario indugiare sul controverso rapporto tra imperatività e inderogabilità, occorre, ciò nondimeno, appuntare l’attenzione su alcuni ‘indici’ rivelatori del carattere imperativo di una norma, quali, per esempio, la strumentalità al perseguimento dell’interesse pubblico ovvero la medesima inderogabilità di essa.
Non acquista rilevanza decisiva, sotto questo punto di vista, la circostanza che la conclusione del contratto possa integrare una fattispecie di illecito penale, atteso che detta
eventualità non importa, di per sé sola, la invalidità del negozio, specialmente là dove l’accordo non incida direttamente sulla ratio del precetto penale.
L’esigenza cui il carattere imperativo della norma è funzionale merita qualche attenzione in più poiché il tema si lega strettamente con l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente” di cui all’art. 1418, primo comma, cod. civ. La deroga alla nullità virtuale, infatti, non si esprime in una espressa clausola di ‘salvezza’ del contratto concluso in violazione della norma imperativa. Del resto, se così fosse, la nullità (nei casi non coperti dalla deroga espressamente prevista) sarebbe testuale e nemmeno varrebbe interrogarsi sulla imperatività del precetto.
Alla ‘salvezza’ del negozio, invece, può giungersi sulla scorta di ulteriori indici normativi, di talché la nullità andrebbe esclusa ogni qualvolta la legge assicuri la effettività della norma imperativa violata (ossia il soddisfacimento della specifica ratio di essa) mediante rimedi diversi rispetto alla invalidità del negozio.
Come è stato già osservato, i limitati ambiti di operatività riconosciuti ai confidi danno ragione dei controlli meno incisivi, cui essi sono soggetti, rispetto non solo alla vigilanza prudenziale che caratterizza l’attività bancaria in senso stretto, ma anche a quella relativa agli intermediari finanziari. A fronte di ciò e, in particolar modo, del divieto di rilasciare garanzie a beneficio del pubblico, la invalidità del contratto, la cui contrarietà alle norme imperative anzidette tende ad approssimare finanche la impossibilità giuridica dell’oggetto (e dunque la nullità ‘strutturale’), non sembra trovare idonea alternativa nelle sanzioni penali ovvero – come è accaduto nel caso di specie – nel successivo provvedimento di ritiro dell’iscrizione comminato al confidi.
Del resto, le ragioni poste a supporto dell’orientamento che postula la perdurante validità del contratto non sono del tutto convincenti e, pertanto, paiono superabili.
Esse, invero, ruotano intorno alla distinzione tra regole di comportamento e regole di validità e alle ben note sentenze nn. 26724 e 26725 del 2007, rese dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Esse concernono la violazione di regole (inderogabili) di comportamento, con particolare riguardo ai doveri di protezione e di informazione nella fase prenegoziale ed esecutiva. Ipotesi affatto diversa dalla speciale capacità richiesta
dalla legge per la stessa conclusione del negozio. Né si potrebbe ridurre i limiti operativi imposti ai confidi dalla disciplina di settore a mero dovere di informare il cliente sul superamento del limite. Se, infatti, una tale condotta valesse a escludere la invalidità del contratto, si finirebbe per trasformare una norma da imperativa a dispositiva, frustrando la stessa esigenza di tutela del beneficiario della garanzia che invece è alla base degli anzidetti limiti operativi. Del resto, se è vero – come insegna la giurisprudenza della Cassazione – che l’inosservanza di doveri comportamentali è fonte di responsabilità anche nel caso di validità del contratto successivamente concluso, è altrettanto vero che la responsabilità precontrattuale ex art. 1338 cod. civ. presuppone, e non supera, la invalidità del negozio.
Inoltre, si deve rilevare che le sentenze delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, alle quali esplicitamente si ispira il descritto orientamento di taluni Collegi ABF, chiariscono che «l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità del disposto dell’art. 1418, 1° comma, c.c. è in effetti più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo. Vi sono sicuramente ricomprese anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo».
Alla luce di quanto sin qui osservato, si deve pertanto ritenere che, ai sensi dell’art. 112, 1° comma, t.u.b., fosse vietato all’intermediario resistente, in quanto iscritto nell’elenco dei confidi previsto dall’art. 112, 1° comma, t.u.b. (e già dal previgente art. 155, 4° comma,
t.u.b.), di stipulare il contratto di fideiussione oggetto del presente giudizio. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, c.c., tale contratto è stato stipulato in violazione di una norma imperativa ed è pertanto affetto da nullità.
Nella delineata prospettiva, non può tuttavia trascurarsi che l’accertata nullità si rifletterebbe in un ingiusto pregiudizio per il ricorrente, il quale perderebbe il diritto all’indennizzo per una violazione di norme, perpetrata attraverso la stipulazione del contratto, cui egli non ha dato causa.
Pertanto, ad avviso del Collegio, l’affidamento riposto dal ricorrente nella validità del contratto appare meritevole di un’incisiva tutela. E tale non sarebbe quella, ricavabile dal diritto comune, conseguente a un’eventuale domanda risarcitoria (peraltro non proposta dal ricorrente), la quale, ai sensi dell’art. 1338 c.c., rileverebbe alla stregua di ipotesi di responsabilità da culpa in contrahendo e potrebbe pertanto tenere indenne il creditore garantito soltanto dalla lesione del c.d. interesse negativo, con un risarcimento che, in un caso come quello di specie, sarebbe prossimo allo zero.
A una tutela dotata di maggior grado di effettività può invece giungersi facendo ricorso al canone applicativo della analogia iuris. Non è infatti estranea al nostro ordinamento giuridico l’esistenza di un principio, ormai reputabile come generale, disciplinante la nullità contrattuale, che ne limita l’accertamento ai casi in cui da quest’ultimo non riverberino conseguenze pregiudizievoli nella sfera giuridica del contraente che a quella nullità non ha dato causa.
Tale esigenza di particolare tutela ha ispirato l’introduzione nel nostro sistema, a partire dagli anni novanta dello scorso secolo, delle così dette nullità di protezione, orientate principalmente alla salvaguardia degli interessi del consumatore, ma, più in generale, del contraente che, rispetto al rapporto instaurato, viene a trovarsi, incolpevolmente, in una condizione deteriore.
Il rimedio della nullità, infatti, comporta l’accertamento della inefficacia ab origine dell’atto viziato, il quale si considera come se non fosse mai stato stipulato, con conseguenze, quali la ripetibilità dei pagamenti eseguiti o l’inesigibilità delle prestazioni pattuite dalle parti, spesso pregiudizievoli per uno dei contraenti, che avrebbe interesse di gran lunga
maggiore all’esecuzione del contratto piuttosto che all’accertamento della sua inefficacia
ab origine.
Nel quadro delle regole da cui sembra potersi ricavare il principio generale dianzi enunciato, sembra potersene individuare in particolare una che, ad avviso del Collegio, rivela una ratio agevolmente adattabile al caso di specie. Infatti, l’art. 167 del Codice delle assicurazioni private (d.lgs. 209/2005), a fronte della invalidità più radicale sancita nel comma 1, ai sensi del quale «È nullo il contratto di assicurazione stipulato con un'impresa non autorizzata o con un'impresa alla quale sia fatto divieto di assumere nuovi affari», stabilisce, nel comma 2, che «La nullità può essere fatta valere solo dal contraente o dall'assicurato […]». Pur nella consapevolezza della diversità dello strumento tecnico- normativo con cui, nelle due ipotesi (servizi bancari e finanziari, assicurazioni), si giunge alla pronuncia invalidante, trattandosi di nullità virtuale nel primo caso, testuale nel secondo, ad avviso del Collegio non sembra potersi negligere l’identità di ratio che, sotto il profilo dell’interesse ad agire, accomuna le due ipotesi, attesa l’esigenza imprescindibile di assicurare una tutela effettiva al contraente, il quale alla nullità non ha dato causa, rispetto alla sua controparte, autrice della violazione della norma imperativa invalidante il negozio concluso.
Nella cennata prospettiva, la tutela invocata dal ricorrente appare meritevole di considerazione, seppur sotto il solo profilo risarcitorio, corrispondente, tuttavia, al pregiudizio effettivamente subìto, che, nella specie, si sostanzia nelle spese da lui sostenute per la conclusione del contratto con la società costruttrice, e, precisamente, nelle commissioni d’agenzia.
Pertanto, la domanda del ricorrente non può essere accolta nella misura integrale dell’indennità fideiussoria (€ 42.000,00), bensì in quella limitata all’effettivo esborso di € 5.250,00.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio, in parziale accoglimento del ricorso, dispone che l’intermediario corrisponda alla parte ricorrente l’importo di euro 5.250,00, oltre interessi legali dalla data del reclamo al saldo.
Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e alla parte ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1