CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO PRIMO
SOMMARIO: 1. Fatto giuridico, atto giuridico e negozio giuridico. – 2. Teoria del negozio giuridico e sistematica del cod. civ. – 3. Attitudine psichica all’at- to giuridico ed al negozio giuridico. – 4. L’autonomia privata. – 5. I condi- zionamenti dell’autonomia privata. – 6. Volontà ed autoregolamento. – 7. Struttura plurilaterale e natura patrimoniale del contratto. – 8. Gli elementi del contratto. – 9. L’art. 1325 cod. civ. e i «requisiti» del contratto.
1. La nozione di fatto giuridico, inteso in senso lato 1, abbraccia tutti gli eventi al cui prodursi consegue una modificazione della si- tuazione giuridica 2.
Fatto giuridico
1 Al fatto giuridico, oltre che all’atto e al negozio giuridico, è dedicata la tratta- zione di X. XXXXX (con la collaborazione di P. XXXXXXX), La parte generale del dirit- to civile. Il fatto, l’atto, il negozio, in Trattato di diritto civile diretto da X. Xxxxx, Torino, 2005, pp. 7-115.
2 L’orientamento dottrinale prevalente tende a collegare fatti giuridici ed effetti giuridici con un nesso di causalità, ravvisando nei primi l’idoneità a produrre i se- condi, anche se, nelle sue espressioni più consapevoli della particolare dinamica degli effetti giuridici, non manca di avvertire che l’attitudine dei fatti a produrre effetti giuridici dipende dalla norma giuridica (così: R. DE XXXXXXXX-F. MAROI, Istituzioni di diritto privato, Milano-Messina, 8a ed., 1952, I, p. 91; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 9a ed., 1966, p. 111) o che il nesso configu- rabile tra fatti ed effetti giuridici non è di causalità naturale ma di causalità giuridica (cfr.: X. XXXXXXXXX, v. Fatto giuridico, in ffnc. giur., XIV, Roma, 1989, p. 1 s.).
Ha assunto però consistenza sempre maggiore la tendenza a spiegare la dina- mica degli effetti giuridici prescindendo dalla configurazione di un nesso causale, cfr. le prese di posizione, anche se tutt’altro che uniformi, di: A.E. CAMMARATA, Il significato e la funzione del fatto nell’esperienza giuridica, in Formalismo e sapere giuridico, Milano, 1963, p. 271 ss.; X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile diretto da X. Xxxxxxxx, 2a ed., Torino, 1950, p. 3; R. SCO- GNAMIGLIO, Fatto giuridico e fattispecie complessa (note critiche intorno alla dina- mica del diritto), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, p. 337 ss.; ID., v. Fattispecie, in ffnc. giur., XIV, Roma, 1989, p. 1 ss.; X. XXXXXXXXXX, Note sul concetto di fatti- specie giuridica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, p. 457 ss.; ID., v. Fattispecie, in ffnc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 930 ss.; X. XXXXXXX, v. Fatto giuridico-Fattispecie,
Fattispecie
Fattispecie
astratta
Fattispecie concreta
Il termine «fattispecie» viene talvolta adoperato come sinonimo di «fatto giuridico» ma se lo si utilizza, come di solito si fa, per desi- gnare la descrizione che una norma fa di un fatto al quale ricollega determinati effetti giuridici, l’identificazione non appare appropria- ta. La fattispecie così intesa ha infatti riguardo ad una serie indeter- minata di eventi e non ad un evento concreto, sicché è necessaria- mente delineata in termini generali («fattispecie astratta») e non può, nel contempo, designare il fatto giuridico concreto al quale la norma ricollega gli effetti giuridici dalla stessa previsti.
L’uso del termine «fattispecie» al posto di «fatto giuridico» può apparire più giustificato se si adoperi il termine per designare la «fat- tispecie concreta», vale a dire il fatto concreto che corrisponda alla descrizione astratta del fatto esposto nella norma 3.
In considerazione della formulazione delle norme giuridiche il me- todo seguito tradizionalmente dal giurista per accertare se un evento le renda operanti è quello c.d. della «sussunzione», cioè del raffron- to dell’evento concreto con quello descritto in astratto dalla norma, volto ad accertare se il primo presenti le note che caratterizzano la fattispecie astratta.
A questo metodo è stato contrapposto, anche in Italia, un meto- do diverso 4, sul quale ci soffermeremo in seguito (v. appresso § 35) ma che, comunque, ai fini della rilevanza della norma nella produzio- ne degli effetti giuridici, non nega rilievo alla descrizione della fatti- specie astratta che nella stessa si rinviene.
Autorevole dottrina ha di recente espresso una prognosi infausta sul futuro del concetto di fattispecie alla luce della contemplazione
in Noviss. Dig. it., VII, Torino, 1961, p. 124 s.; N. IRTI, v. Rilevanza giuridica, in Noviss. Dig. it., XV, Torino, 1968, p. 1111 s.; X. XXXXX XXXXX, X xxxxxxxxx xxxxxxxxx- xx, Xxxxxx, 0000, p. 140 ss.; F.G. SCOCA, Contributo sul tema della fattispecie pre- cettiva, Perugia, 1979, p. 25 ss.
Sulla dinamica degli effetti è d’obbligo il richiamo alle profonde riflessioni di
X. XXXXXX, v. fffficacia giuridica, in ffnc. dir., XIV, Milano, 1965, p. 437 ss.
Mostra di ignorare questa problematica: P.G. XXXXXXXX, x. Fattispecie, in Di- gesto civ., VII, Torino, 1992, p. 223 ss.
Tende a svalutare la rilevanza del dibattito X. XXXXX, op. cit., p. 10 ss.
3 Sulla distinzione tra fattispecie astratta e fattispecie concreta cfr. per tutti: X. XXXXXXXXXX, v. Fattispecie, cit., p. 927.
X. XXXXXX, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari (1939), Camerino, rist. 1978, p. 3 s. propone invece una tripartizione, aggiungendo la fattispecie reale, che ha le connotazioni che sono consuetamente ritenute proprie della fattispecie concreta. Nella sua prospettazione la fattispecie concreta è, allo stesso modo di quella astratta, un’astrazione che l’interprete ricava da una fattispecie reale, individuata nel tempo e nello spazio, depurandola con un processo di semplificazione di elementi minori al fine di raffrontarla alla fattispecie astratta e di sussumerla nella stessa.
4 Cfr.: X. XX XXXX, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, p. 121 ss.
di fenomeni – quali lo spostamento dei criteri di decisione dalla leg- ge ai valori e la tendenza delle parti a sottoporre al giudice non più stati di fatto contrari al diritto ma situazioni complesse – che sono certamente rilevabili nel moderno atteggiarsi della realtà giuridica 5. Si tratta però di fenomeni che non appaiono avere, allo stato, consi- stenza e diffusione tali da poter sostenere le conclusioni alle quali questa dottrina perviene. Tanto più se si tiene conto della legislazio- ne di origine comunitaria che, in netta controtendenza rispetto a que- sti fenomeni, appare volta ad espandere, con l’introduzione di disci- pline molto dettagliate, il ricorso allo strumento della fattispecie 6. La “prospettiva rimediale” che, secondo una dottrina autorevole, do- vrebbe valere ad individuare casi nei quali la tutela giuridica di de- terminati interessi si realizzerebbe senza fare ricorso ad una fattispe- cie legale 7, non sembra resistere alla puntuale risposta che le è stata data mettendo in evidenza la possibilità di individuare fattispecie an- che nei casi esemplificati illustrando tale prospettiva 8.
Non sembra, d’altro lato, auspicabile il concretarsi del quadro che
5 Cfr.: X. XXXX, La crisi della fattispecie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, p. 36 ss. spec. p. 41 e, per considerazioni critiche, X. XXXXXXXXXX, Nota breve sulla fattispe- cie, in Riv. dir. civ., 2015, p. 247 ss.
X. XXXXXX, aderendo all’orientamento che considera le norme costituzionali prive di fattispecie, ritiene che il sistema costituzionale abbia prodotto «una svolta epocale nella civilistica giuridica», facendo subentrare al paradigma della sussun- zione del fatto entro la fattispecie astratta ed al principio di legalità la ricerca di
«un diritto conformato a giustizia», ispirato a valori prevalenti nel contesto sociale e all’eventuale bilanciamento degli stessi (Il diritto civile tra legge e giudizio, Mila- no, 2017, p. 165 ss., spec. p. 168).
La premessa di questa presa di posizione è però opinabile perché non tutte le norme costituzionali sono prive di fattispecie e perché, come si vedrà, anche quelle che non descrivono fattispecie si attuano con la creazione di fattispecie concrete nel procedimento che l’interprete deve seguire per dare applicazione alle stesse (v.
§ 50). La conclusione è, comunque, esorbitante rispetto alla premessa perché dalla stessa si potevano trarre deduzioni solo per il sistema costituzionale, non per l’in- tero ordinamento giuridico che, per il resto, continua a trovare regola in norme conformate con la previsione di fattispecie.
6 Cfr.: X. XXXXXXXX, Il contratto tra legalità e ragionevolezza, in Foro it., 2015, V,
c. 419. X. XXXXXXX nega che lo schema sillogistico della sussunzione della fattispe- cie concreta nella fattispecie astratta possa dirsi entrato in generale in crisi, rile- vando che rimane saldissimo, per il principio di legalità, nel settore penale e copre ancora vaste aree della vita sociale (Principi, clausole generali, concetti indetermina- ti nell’applicazione giurisprudenziale, in AA.VV., Principi e clausole generali nell’e- voluzione dell’ordinamento giuridico, Milano, 2017, p. 2).
7 Cfr.: A. DI MAJO, Rimedi e dintorni, in ffuropa e dir. privato, 2015, p. 703 ss.
8 X. X’XXXXX, Principi costituzionali e clausole generali: problemi (e limiti) nella loro applicazione nel diritto privato (in particolare nei rapporti contrattuali), in AA.VV., Prin- cipi e clausole generali nell’evoluzione dell’ordinamento giuridico, cit., p. 107 ss.
Atto giuridico
Fatti naturali e comportamenti
umani
Volontà del comportamento
questa dottrina prospetta, nel quale il giudice sarebbe chiamato a decidere su «situazioni di vita», che dovrebbe considerare in tutte le loro particolarità senza poterle ricondurre a fattispecie normative che consentano di equipararle nel trattamento ad altre «situazioni di vita», e avendo ad orientamento della decisione solo «valori» gene- ricamente formulati, che gli lasciano ampia discrezionalità.
In tale situazione sarebbe difficile ipotizzare un efficiente sistema di impugnative della decisione ma verrebbe altresì compromessa non tanto la certezza del diritto, che nessun sistema giuridico è in grado di garantire, ma la calcolabilità delle decisioni, che costituisce indi- spensabile supporto per orientare l’agire dei consociati in uno stato di diritto 9.
Nell’ambito della categoria del fatto giuridico in senso ampio si di- stingue il fatto giuridico in senso stretto dall’atto giuridico. Atto giuri- dico è un fatto giuridico caratterizzato dalla circostanza che si tratta di un comportamento umano, per la rilevanza giuridica del quale assu- me peso, oltre alla consapevolezza, la volontarietà del comportamento. Perché si possa configurare un atto giuridico non è sufficiente consta- tare un comportamento umano volontario. Occorre che la volontarietà del comportamento abbia rilevanza per l’ordinamento giuridico al fine della produzione degli effetti giuridici, nel senso che, in assenza di es- sa, non si producano gli effetti che altrimenti si produrrebbero 10.
Se si prescinde dalla valutazione dell’ordinamento si possono di- stinguere fatti naturali da comportamenti umani, volontari e non. Quando, però, il discorso è condotto nella prospettiva del realizzarsi degli effetti, dato che questi si producono alla stregua della valuta- zione che l’ordinamento giuridico dà dei fatti, va tenuto presente ciò che per l’ordinamento, a tal fine, rileva.
L’ordinamento giuridico può dare rilevanza ai fatti consideran- doli nella loro interezza, in tutta la loro complessità, o attribuendo peso solo a certi aspetti degli stessi. Può quindi accadere che ci si trovi di fronte ad un comportamento umano e che tuttavia, nel di- sporre certi effetti, l’ordinamento giuridico prescinda dalla circo- stanza che l’evento sia prodotto o meno da un comportamento
9 L’incidenza del venir meno dello strumento della fattispecie sulla calcolabilità della decisione è ben presente a N. IRTI: op. ult. cit., p. 989 s.; Calcolabilità webe- riana e crisi della fattispecie, in Riv. dir. civ., 2014, p. 987 ss.; Un diritto incalcolabi- le, in Riv. dir. civ., 2015, p. 11 ss.
10 Sul valore decisivo che, ai fini della distinzione, assume la valutazione dell’ordi- namento cfr.: X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, v. Atto giuridico, in ffnc. dir., IV, Milano, 1959, p. 207; X. XXXXX, v. Atti giuridici, in Noviss. Dig. it., I, 2, Torino, 1968, p. 1505;
X. XXXXXXXXXX, v. Fattispecie, cit., p. 940 s.; X. XXXXX XXXXX, op. cit., p. 220 s. A diverso criterio ispira la distinzione F.G. SCOCA, op. cit., p. 88 ss., spec. p. 92 ss., che vede connotato l’atto giuridico dall’essere esercizio di un potere giuridico.
umano. Può darsi che preveda un comportamento umano ma ne fac- cia conseguire effetti a prescindere dalla volontarietà o meno dello stesso. Può darsi, infine, che contempli gli effetti qualora si tratti di un comportamento umano volontario. Solo in quest’ultimo caso ci troviamo di fronte ad un atto giuridico 11.
In questa chiave, che è quella della valutazione dell’ordinamento, per quanto tocca la distinzione tra fatto e atto giuridico assume peso decisivo la circostanza che, nell’atto giuridico, l’ordinamento attri- buisce rilievo alla volontarietà del comportamento. Si deve trattare di un comportamento posto volontariamente in essere da un sogget- to in grado di intendere e di volere.
Il negozio giuridico è un atto giuridico caratterizzato dalla circo- stanza che per la produzione degli effetti giuridici l’ordinamento tiene conto non solo della volontarietà del comportamento, vale a dire della volontà del soggetto di porre in essere quell’atto, ma anche delle fi- nalità che il soggetto persegue con l’atto. Qui la volontà rileva anche come volontà di dar luogo a certi effetti 12.
Sotto un diverso profilo, che non altera però, nella sostanza, il criterio distintivo, si può dire che nel negozio giuridico, diversamen- te dall’atto in senso stretto, la valutazione dell’ordinamento giuridi- co non ha ad oggetto un comportamento ma l’autoregolamento che le parti hanno dettato 13.
È tale valutazione, non il prodursi di effetti giuridici che può man- care se la valutazione è negativa, a connotare il negozio giuridico.
Vi è discussione, peraltro, sul come configurare questa volontà degli effetti. Ci si chiede, propriamente, se debba trattarsi di una vo- lontà degli effetti giuridici (intento giuridico) o di una volontà dei risultati pratici (intento empirico). L’orientamento nettamente pre- valente tende ad accontentarsi di questo secondo tipo di volontà, anche in base alla considerazione, invero ineccepibile, che le parti non sempre sono consapevoli degli effetti giuridici 14: esse si rappre- sentano, normalmente, certi risultati pratici che vogliono conseguire. Altra ragione dell’irrilevanza della volontà indirizzata agli effetti giu- ridici va ravvisata nella circostanza che la determinazione degli effetti non compete agli autori del negozio giuridico ma all’ordinamento giu-
Negozio giuridico
Volontà degli effetti
Intento giuridico Intento empirico
11 Cfr.: X. XXXXX, op. loc. ult. citt.
12 Cfr.: X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 125.
13 Così: X. XXXXXXXXXXXX, v. Atto giuridico, in ffnc. forense, I, Milano, 1958, p. 591; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, v. Atto giuridico, cit., loc. cit.; X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 940.
14 Cfr.: X. XXXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 590; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. ult.
cit., p. 205.
ridico 15. Da qui la conclusione che ciò che rileva è il cosiddetto inten- to empirico, cioè la volontà di un certo risultato pratico 16.
La conclusione va recepita con qualche cautela. Xxxx è che le par- ti, normalmente, non hanno piena conoscenza degli effetti giuridici che conseguiranno al negozio giuridico ma è indubitabile che, po- nendo in essere un negozio giuridico, vogliono realizzare non un me- ro risultato pratico ma un risultato pratico garantito dall’ordinamento giuridico. Pure se si muova dall’idea della sufficienza dell’intento em- pirico, non si può prescindere, per la stessa configurabilità del nego- zio giuridico, dal richiedere che le parti abbiano avuto l’intento di vincolarsi giuridicamente. Se non avessero neppure avuto questo in- tento non ci troveremmo di fronte ad un’espressione di autonomia privata e l’atto, qualora non sussistessero ragioni di tutela dell’affida- mento legittimamente riposto nella dichiarazione, non sarebbe ido- neo a produrre effetti di sorta. Le dichiarazioni contrattuali emesse in un contesto didattico o di rappresentazione o di scherzo (v. appresso:
§ 15) sono tipici esempi di dichiarazioni connotate dalla mancanza di
un intento giuridico che valga a renderle impegnative.
Allorché, quindi, si nega l’esigenza di un intento giuridico si esclu- de la necessità di una volontà rivolta ai concreti effetti giuridici, non di un generico intento giuridico, inteso come consapevolezza e vo- lontà di realizzare un assetto di interessi tutelato dall’ordinamento giuridico 17.
Manca la volontà di impegnarsi giuridicamente anche nei Gentle- men’s agreements, accordi con i quali le parti dettano un regolamento di interessi per la cui attuazione non chiedono la tutela dell’ordina- mento giuridico (sicché manca l’intento giuridico), ritenendo suffi- ciente il vincolo della parola data e garanzia adeguata la riprovazione dell’ambiente sociale nel caso che alla stessa si venisse meno 18.
15 Cfr.: X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 85 s., 197.
16 Cfr.: X. XXXXX, op. ult. cit., x. 00 xx. x xx. 0; X. XXXXXXX FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Xxxxxx, x.x., x. 00 ss.
Contro il generalizzato diniego di rilevanza dell’intento giuridico ha preso po- sizione X. XXXXXXXXX (Rilevanza dell’intento giuridico in caso di divergenza dall’in- tento empirico, in Studi economico-giuridici dell’Università di Cagliari, Milano, 1936,
p. 109 ss., spec. p. 137 ss.), il cui scritto è volto, appunto, ad attribuirgliela in caso di divergenza dall’intento empirico tipico ipotizzato legislativamente come caratte- ristico della fattispecie tipica (p. 140).
17 Per la necessità di un, sia pur generico, intento giuridico cfr.: X. XXXXXXXX, Negozi giuridici (corso di lezioni del 1892-1893), 3a rist., Xxxx, 0000, p. 62 ss.; X. XXXXXXXX, Manuale di diritto civile e commerciale, 8a ed., Milano, 1952, I, p. 448.
18 X. XXXXXXXXX, in AA.VV., Il nuovo contratto, Bologna, 2010, p. 471, qualifica il Gentlemen’s agreement “atto di autonomia sociale”.
2. L’elaborazione di una teoria generale dell’atto giuridico appare di ardua realizzazione. La rilevanza assai meno accentuata che, nel- l’atto giuridico in senso stretto rispetto al negozio giuridico, ha la volontà dei soggetti, in relazione anche e soprattutto all’individua- zione degli effetti che ne conseguono, ne fa realtà confrontabili ma non riconducibili ad una sistemazione unitaria 19.
L’elaborazione di una teoria generale del negozio giuridico è, in- vece, antica ed ha dato luogo a costruzioni assai pregevoli 20. Certo, nel concetto di negozio giuridico rientrano realtà varie, perché esso abbraccia: negozi unilaterali e negozi con pluralità di parti, negozi caratterizzati, come il testamento, dall’essere destinati ad operare per il periodo successivo alla morte del loro autore, negozi che non hanno connotazione patrimoniale, come il matrimonio, negozi che sono caratterizzati dalla patrimonialità, come i contratti.
Da qui il dubbio che la preminenza attribuita alla teoria generale del negozio giuridico porti ad appiattire differenze significative fra i vari tipi di negozi. Specie in considerazione del fatto che tale teoria si è formata alla luce della considerazione delle norme dettate per i contratti, con la naturale tendenza a modellare su queste norme an- che la disciplina di figure che dai contratti si distinguono.
Il nostro legislatore ha resistito alla tentazione di imitare l’esem- pio del legislatore tedesco (che nel cod. civ. ha inserito una discipli- na generale del negozio giuridico) ed ha preferito limitarsi a dettare una disciplina compiuta del contratto, senza fare neppure menzione del negozio (nel cod. civ. si distinguono solo contratti ed atti) 21. Da
Teoria del l’atto giuridico
Teoria del negozio giuridico
Sistematica del codice
19 Cfr.: X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Atto giuridico, cit., p. 204. V. però la sistemati- ca degli atti giuridici prospettata da X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, 3a ed., Roma, 1951, pp. 215-263.
Sull’atto giuridico non negoziale – dopo le considerazioni di inquadramento generale di V.M. XXXXXXXXX, Atto giuridico e negozio giuridico, Milano, 1940 e la trattazione compiuta di X. XXXXXXXXX, L’atto non negoziale nel diritto privato ita- liano, Napoli, 1955 – v. ora X. XXXXX, La parte generale del diritto civile. Il fatto, l’atto, il negozio, cit., p. 119 ss.
20 Nella nostra dottrina vanno particolarmente segnalate le opere di X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., di X. XXXXXXX FERRARA, Il negozio giuridi- co nel diritto privato italiano, cit., di X. XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, Pado- va, rist. 1969, di X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit. (pp. 125-165), di X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napo- li, 2ª ed., 1969 (opera di recente analizzata da X. XXXXXXXXXX, Xxxxxx Xxxxxxxx- glio e il metodo realistico, in Studi per i cento anni dalla nascita di Xxxxxx Xxxxxx- xxxxxx, Napoli, 2022, II, p. 1511 ss.). Un quadro vasto e interessante della storia del concetto di negozio giuridico e della sua varia fortuna da noi e nella dottrina e legislazione di molti paesi si trova in X. XXXXX, op. cit., p. 273 ss.
21 Nella Relazione del Guardasigilli al Codice Civile (G.U. 4 aprile 1942) l’atteg- giamento del legislatore è spiegato, semplicemente, con l’ossequio alla nostra tra- dizione giuridica (n. 604).
noi, quindi, la riluttanza ad adottare una sistematica incentrata sulla teoria generale del negozio giuridico si può spiegare con la mancan- za di un puntuale riferimento normativo anche se tale mancanza è, per vero, più apparente che effettiva.
L’art. 1324, infatti, detta che, salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibi- li, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale.
La norma non fa altro che sanzionare, sostanzialmente, l’appli- cabilità in via analogica delle disposizioni dettate per i contratti, in quanto non afferma, puramente e semplicemente, l’applicazione delle stesse agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale ma la subordina ad una valutazione di compatibilità.
Si potrebbe forse sottolineare che qui il discorso è condotto più in negativo che in positivo. Nel senso che, allorquando si parla di procedimento analogico, si chiede all’interprete di accertare se la fat- tispecie non regolata espressamente abbia caratteristiche comuni ri- spetto a quella regolata, mentre, nel caso in esame, l’art. 1324 afferma l’applicabilità delle norme sui contratti ai negozi unilaterali patrimo- niali tra vivi e prevede la non applicazione solo alla stregua di un giudizio di incompatibilità. Quindi, non giudizio positivo di equipa- rabilità per quanto tocca la ratio e successiva applicazione della nor- mativa, quanto applicazione della normativa, esclusa soltanto dalla constatazione di una situazione di incompatibilità.
Il rilievo, peraltro, varrebbe ad offrire un criterio distintivo, rispet- to al procedimento di applicazione analogica, scarsamente incisivo, perché formalistico ed alquanto sottilizzante 22.
Il dettato dell’art. 1324 non preclude l’applicazione in via analogica delle norme sui contratti sia ai negozi unilaterali mortis causa (pro- priamente all’unico negozio che ha questa caratteristica: il testamento), sia ai negozi inter vivos, unilaterali o plurilaterali, non patrimoniali.
Sarà sempre possibile, esaminando la disciplina dettata per i con- tratti, valutare quali sono le ragioni che hanno indotto il legislatore a dettarla, e, qualora si constati che sussista identità di ratio, applicar- la con procedimento analogico a queste fattispecie non contrattuali.
22 Alla differenza sottile, sia pur sussistente, rispetto al procedimento analogico attribuisce particolare rilievo, invece, X. XXXXXXXXX, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale – Studi, Napoli, 1991, p. 7 ss.; La categoria generale del contratto, ivi, p. 68 ss.
Ad avviso di N. IRTI dall’art. 1324 non è dato trarre argomento a favore o con- tro la categoria del negozio giuridico (Per una lettura dell’art. 1324 c.c., in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 560).
Al senso da attribuire all’art. 1324 ed al criterio della «compatibilità» dallo stesso richiamato dedica pagine interessanti: X. XXXXXXX, Il criterio di compatibilità nella disciplina dei contratti, Varese, 2009, p. 167 ss.
Il sistema seguito dal legislatore, dettando le regole per i contratti ma prevedendone espressamente l’estensione a taluni negozi giuri- dici e poi consentendola anche al di là della previsione attraverso lo strumento dell’analogia, offre quindi una base positiva per la costru- zione, al di là del contratto, della figura più generale del negozio giu- ridico 23, sembrando eccessivo il rilievo che una recente dottrina ha pensato di attribuire, in senso contrario, al modo di operare (analo- gico anziché diretto) della disciplina 24.
3. Proprio perché nell’atto giuridico la volontà rileva solo come volontà di porre in essere l’atto e nel negozio giuridico anche come volontà degli effetti, l’attitudine psichica del soggetto è apprezzata in maniera diversa dall’ordinamento al fine di ricollegare all’atto o al ne- gozio gli effetti loro propri.
Attitudine psichica
del soggetto
23 È di X. XXXXXXX il più significativo contributo alla critica ideologica della categoria del negozio giuridico: Il problema del negozio giuridico, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, p. 449 ss.; v. Negozio giuridico (dottrine gen.), in ffnc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 932, spec. p. 941 ss.; Teoria e ideologia del negozio giuridico, in AA.VV., Categorie giuridiche e rapporti sociali, Milano, 1978, p. 83 ss. (con critica che si estende al contratto); ma vedi dello stesso, su posizioni e con argomentazioni più temperate: Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale già diret- to da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx e continuato da X. Xxxxxxx, Milano, 1988, p. 24 ss.
Una pronta difesa della categoria si leggeva, poco dopo, nella stessa Enciclo- pedia, ad opera di X. XXXXXXXXX, Negozio giuridico (Teoria), in ffnc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 13 ss., con riguardo non limitato alla posizione di X. XXXXXXX ma esteso a critiche di altra natura mosse alla categoria del negozio giuridico (v. i dubbi di X. XXXXXXXX, Interpretazione del testamento, Napoli, 1952, p. 206 ss. e di
X. XXXXXX, Autonomia privata e testamento, Milano, 1970, p. 299 ss.).
È di G.B. FERRI la più ampia ed appassionata difesa della categoria (Il negozio giuridico tra libertà e norma, 5a ed., Rimini, 1995, pp. 23 ss., 89 ss.). V. anche le in- cisive argomentazioni di X. XXXXXX, In difesa del negozio giuridico (1978), in X. XXXXXX, Diritti fondamentali e categorie giuridiche, Milano, 1993, p. 661 ss., le bel- le pagine di X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Atto o forma del negozio giuridico, in AA.VV., Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx (La forma degli atti nel diritto privato), Napoli, 1988, p. 727 s., e ora le riflessioni di X. XXXXXX, Dal contratto al negozio giuridico (Appunti), Torino, 2013, p. 61 ss., il quale ritiene che quella del negozio giuridico sia «una categoria generale non detta, una struttura assente nelle espressioni lin- guistiche ma facilmente pensabile in rapporto al codice» (p. 66).
24 Cfr.: X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., pp. 10, 15 ss.
X. XXXXXXX oppone al tentativo di costruire la rilevanza della categoria del negozio facendo leva sull’art. 1324 il rilievo che l’estensione della disciplina del contratto dispo- sta dalla norma «non appare affatto ispirata al principio di negozialità» (Il negozio giu- ridico tra scienza e diritto positivo – Teoria – Manifestazione – Astrazione – Inefficacia, Milano, 1998, p. 30). Il richiamo alla norma non mira però a trovare una costruzione normativamente unitaria del negozio giuridico quanto, più semplicemente, a rendere evidente la possibilità di riportare ad una disciplina simile, nelle linee di fondo, fatti- specie riconducibili alla figura del negozio giuridico: figura che, appunto, X. XXXXXXX tenta di delineare teoricamente (op. cit., p. 50 ss., spec. p. 63 ss.).
Capacità di agire
Incapacità naturale
Capacità di intendere e di volere
È coerente con la rilevanza riconosciuta alla volontà degli effetti la tendenza a garantire che il soggetto che pone in essere il negozio giuridico sia in grado di rendersi conto dei risultati che con lo stesso si conseguono. Per il negozio giuridico, quindi, si richiede la capaci- tà di agire del soggetto: vale a dire la capacità di badare ai propri in- teressi (cfr. l’art. 414).
In verità, mentre alla mancanza della capacità legale di agire con- segue l’annullabilità del negozio, per rendere annullabile il negozio giuridico posto in essere da soggetto legalmente capace di agire oc- corre che, al momento della conclusione dello stesso, questi si tro- vasse in stato di incapacità di intendere o di volere (incapacità natu- rale) 25 e ricorressero le condizioni stabilite dall’art. 428 (art. 1425).
Questa disciplina, peraltro, non nega il tendenziale orientamento legislativo volto a garantire che il negozio giuridico sia posto in esse- re da soggetto in condizioni di poter valutare gli interessi che con lo stesso regola ma appare dettata dalla considerazione dell’estrema dif- ficoltà, per non dire impossibilità, di accertare, in presenza della ca- pacità di intendere e di volere, la mancanza, al momento del com- pimento del negozio giuridico, nell’autore dello stesso, della capaci- tà di badare ai propri interessi.
Una capacità così intensa non è invece richiesta nell’atto giuridi- co in senso stretto, ove è sufficiente la capacità di intendere e di vo- lere (v. l’art. 2046, con norma dettata per l’atto illecito ma di portata generale) 26.
Nell’atto giuridico l’ordinamento non attribuisce peso all’inido- neità del soggetto a badare ai propri interessi perché gli effetti del-
25 La giurisprudenza appare divisa sul grado di incapacità necessario per giusti- ficare l’applicazione dell’art. 428. Talvolta richiede un’incapacità totale o quasi (cfr.: Cass. 22 maggio 1995, n. 5620; Cass. 24 ottobre 1998, n. 10571, in Riv. not.,
1999, II, 1034 con nota di X. XXXXX; Cass. 6 dicembre 2001, n. 15480, in Riv.
not., 2002, II, 1531 con nota di X. XXXXXXXXX; Cass. 27 ottobre 2008, n. 25845, in Giur. it., 2009, p. 1929 con nota di X. XXXX SPINA; Cass. 15 aprile 2010, n. 9081; Cass. 23 dicembre 2014, n. 27351). Talvolta richiede un perturbamento psi- chico grave ma che non esclude le capacità intellettive e volitive (cfr. Cass. 14 maggio 2003, n. 7485, in Riv. it. dir. lav., 2004, II, 136 con nota di X. XXXXXXXXX; Cass. 15 gennaio 0000, x. 000, xx Xxx. xxx., 0000, XX, 000; Cass. 18 marzo 2008, n. 7292, in Giust. civ., 2009, I, 451 con nota di X. XXXXX; Cass. 1° settembre 2011, n. 17977; Cass. 2 novembre 0000, x. 00000. X. XXXXXX sostiene che si tratta di con- trasto giurisprudenziale apparente perché le decisioni più rigorose sono state pro- nunciate in tema di validità di testamenti e devono ritenersi ispirate al favor testa- menti (L’incapacità naturale all’esame della giurisprudenza: un contrasto tra massime?, in Contratto e impr., 2012, p. 1468 ss.). Xxxx è, peraltro, che la giurisprudenza me- no rigorosa si è pronunciata in tema di impugnativa di dimissioni del lavoratore e perciò è stata, probabilmente, ispirata dal favor per il lavoratore subordinato.
26 Cfr.: X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 110.
l’atto sono fissati dall’ordinamento giuridico, prescindendo dalla vo- lontà di questi.
I vizi che inficiano la volontà degli effetti, proprio perché questa non ha alcuna incidenza sul prodursi degli stessi, non avrebbero mo- tivo per incidere sulla validità dell’atto.
4. Si è detto che nel negozio giuridico rileva anche la volontà dei risultati.
Non si tratta di rilevanza immediata, nel senso che la volontà del soggetto sia idonea per forza sua propria a provocare effetti, ma di rilevanza mediata, che suppone un rapporto soggetto-ordinamento giuridico. In altre parole, una rilevanza consentita dall’ordinamento giuridico.
A monte dei tanti negozi giuridici che vengono posti concretamen- te in essere è dato delineare una situazione di legittimazione dei priva- ti all’attività negoziale, dipendente da una presa di posizione dell’or- dinamento giuridico, che riconosce agli stessi il potere di disporre dei propri interessi e ricollega, nella maggior parte dei casi, effetti giuridi- ci tendenzialmente corrispondenti a tali disposizioni. In questo senso si può configurare una sfera di autonomia lasciata ai privati (il termi- ne non è ignoto al codice che intitola l’art. 1322 «autonomia contrat- tuale») 27.
Autonomia, etimologicamente, sta a significare potere di dettare norme a se stesso. Nel caso è più proprio parlare di un potere di rego- lare i propri interessi. L’ordinamento, lasciando ai privati una sfera di autonomia, non ha certo attribuito loro il potere di dettare norme.
Caratteristiche considerate tradizionalmente proprie della norma giuridica sono l’eteronomia, vale a dire l’essere la regola posta da al- tri 28, la portata generale della regola e l’astrattezza della sua formu- lazione 29. Si tratta di connotazioni che non trovano generale con- senso 30: comunque, nessuna di queste caratteristiche è dato ravvisa-
Autonomia privata
Autoregolamento e norma
27 Il tema dell’autonomia privata, magistralmente trattato da X. XXXXXXXX in una relazione letta al 17° convegno nazionale dell’UGCI tenuto nel 1966 (pubbli- cata in Ius, 1967, p. 3 ss. col titolo L’autonomia dei privati), è stato rivisitato da X. XXXXXXX, L’autonomia negoziale, 2a ed., Torino, 2014. Ne offre ora una lettura ricca di riferimenti e di ampio respiro X. XXXX, v. Autonomia contrattuale, in ffnc. dir. – I tematici – Contratto, diretto da X. X’Xxxxx, Milano, 2021, p. 1 ss.
28 Cfr.: V.M. XXXXXXXXX, Atto giuridico e negozio giuridico, cit., p. 28; X. XXXXXX-
XXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, 2a ed., Napoli, 1969, p. 100 s.
29 V.: X. XXXXXXX, Diritto civile e commerciale, 4a ed., I, Padova, 2004, pp. 6 e 9 ss.; X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, 19a ed., Napoli, 2019, p. 3; P. TRI- MARCHI, Istituzioni di diritto privato, 20a ed., Milano, 2014, p. 1.
30 Contro la necessaria estraneità del comando cfr.: X. XXXXX, L’autonomia pri- vata, Xxxxxx, 0000, x. 00 xx.
xx nell’autonomia in questione 31, che viene qualificata come auto- nomia privata, e che designa il potere, concesso dall’ordinamento ai privati e dall’ordinamento garantito, di regolare i propri interessi.
Da qui la scarsa persuasività degli orientamenti dottrinali, netta- mente minoritari anche se autorevoli, che ravvisano nel negozio giu- ridico una fonte di norme 32.
Orientamenti ai quali l’affermazione dell’art. 1372, 1° comma («Il contratto ha forza di legge tra le parti») 33 non offre alcun effettivo so- stegno: con essa si è, infatti, inteso solo sottolineare, in maniera un po’ enfatica, il valore giuridicamente vincolante dell’impegno contrattuale. D’altra parte, anche in una visione pluralistica degli ordinamenti giuridici, l’individuazione di un ordinamento privato 34 non esime dal- l’esigenza di accertare il fondamento di legittimazione dello stesso, e se tale fondamento va ravvisato nell’ordinamento statale 35 il discor- so perde di conclusività, in quanto occorrerebbe pur sempre far ca- po all’ordinamento statale per attribuire validità ed operatività all’or-
dinamento privato.
Pure l’assunto che generalità ed astrattezza connotino necessariamente la nor- ma giuridica è autorevolmente contestato, cfr.: X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, cit., p. 43; X. XXXXXX, Teoria generale del diritto e dello stato, Milano, 1952, pp. 37 s., 87 s.; ID., Teoria generale delle norme, Torino, 1985, p. 10 s.; X. XXXXX- FULLI, v. Atto normativo, in ffnc. dir., IV, Milano, 1959, p. 245 ss.; X. XXXXXXX,
v. Norma (teoria gen.), in ffnc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 343 ss.
31 Salvo ad intendere (come fa X. XXXXXXX, op. cit., p. 343 s.) l’eteronomia non come provenienza della regola da soggetto diverso da quello che deve attuarla ma come mera “esteriorità” della norma (che non può negarsi anche quando la stessa sia stata posta dal soggetto che è poi tenuto ad applicarla).
32 Cfr.: X. XXXXXX, op. cit., p. 139 ss.; X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 54 s.; XXXXX
XXXXXX, Frammenti di un dizionario giuridico, x. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 26 ss.; X. XXXXX, op. cit., p. 16 ss.
Il rilievo che tale impostazione colloca sullo stesso piano della norma il nego- zio, che nella norma fonda la sua rilevanza (X. XXXXXXXXXXXX, op. cit., p. 134 s.), non può dirsi superato configurando il negozio giuridico, nel contempo, come nor- ma e come fattispecie e, più precisamente, come fonte di produzione di norme e come fattispecie di norme aventi natura di fonti di validità (così X. XXXXX, op. cit.,
p. 17 ss.). Vi è tra norma e fatto un’antinomia insuperabile, che non ne consente la convivenza in un’unica realtà giuridica, cfr., al riguardo, per una critica puntuale e per la natura di fattispecie del negozio giuridico: F.G. SCOCA, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, cit., pp. 223 s. nt. 1 e 245 s. note 36 e 37.
33 Richiamata da X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 55. Su di essa cfr.: X. XX XXXX, Il contratto ha forza di legge, Milano, 1993, p. 7 ss.
34 Operata da SALV. ROMANO, nel quadro della concezione istituzionale del di- ritto (Autonomia privata, Milano, 1957, p. 25 ss.).
35 Così SALV. ROMANO, op. cit., p. 26, per il quale l’autonomia privata è caratte- rizzata proprio dalla relazione dell’ordinamento privato con l’ordinamento statale, che lo tutela ricollegandovi efficacia.
Chiedersi, a questo punto, se l’ordinamento, lasciando ai privati una sfera di autonomia, abbia attribuito loro un potere o si sia limi- tato a riconoscere un potere che già esercitavano sul piano sociale, ha scarso rilievo, se si vuole mantenere il discorso sul piano giuridi- co. Su questo piano, infatti, l’autonomia privata assume rilevanza so- lo ad opera dell’ordinamento, sia che lo stesso la crei, attribuendo il potere, sia che la riconosca, attribuendo rilevanza giuridica ad un potere che rilevava solo sul piano sociale.
Il riconoscimento ai privati del potere di regolare i propri inte- ressi si spiega tenendo conto che l’ordinamento non può discipli- nare autoritativamente tutti i rapporti tra i consociati, perché sa- rebbe impossibile prevedere tutte le situazioni e regolarle. Né ha interesse a farlo, perché non è dato, nella maggior parte dei casi, individuare un interesse generale a che rapporti che toccano esclu- sivamente singoli consociati siano regolati in un modo piuttosto che in un altro.
Se, normalmente, non vi è interesse dell’ordinamento al “modo” della regola, c’è però un interesse generale a che questi rapporti tro- vino, comunque, una regola. In mancanza di regole, infatti, la solu- zione dei conflitti di interessi sarebbe lasciata all’arbitrio ed alla for- za dei singoli con intollerabile turbamento dell’ordine sociale.
Ciò spiega la garanzia offerta dall’ordinamento alla composizione pacifica dei conflitti di interessi attraverso l’esercizio dell’autonomia privata e con lo strumento del negozio giuridico. Garanzia che si esplica sia controllando la corretta formazione della volontà dei sog- getti titolari del potere di autonomia, sia offrendo agli stessi la pos- sibilità di ottenere l’attuazione coattiva dell’assetto di interessi rea- lizzato con il negozio giuridico, sia dettando effetti giuridici che, nella maggior parte dei casi, tendenzialmente armonizzano con le regole poste dalle parti.
La tutela che il nostro ordinamento riserva all’autonomia privata non è direttamente garantita a livello costituzionale, nel senso che non può affermarsi che la costituzione abbia elevato l’autonomia privata a diritto fondamentale 36, ma trova nell’art. 41, 1° comma, Cost., che garantisce la libertà dell’iniziativa economica, indiretto
Autonomia privata e ordinamento
Ragione del riconoscimento dell’autonomia privata
Autonomia privata e mercato
36 Cfr.: X. XXXXXXXX, Premessa ad AA.VV., I contratti in generale, a cura di X. Xxxxxxxxx, nel Trattato dei contratti diretto da X. Xxxxxxxx ed X. Xxxxxxxxx, 2ª ed., Torino, 2006, p. XLVIII s.; G. ALPA, Le stagioni del contratto, Bologna, 2012, p.
128. Al dibattuto problema dell’individuabilità di una tutela costituzionale dell’au- tonomia privata ha dedicato, a suo tempo, attenta indagine X. XXXXX, Utilità so- ciale e autonomia privata, Milano, 1975, p. 26 ss.
All’iniziativa economica e al modo nel quale l’art. 41 Cost. l’ha regolata ha de- dicato approfondita riflessione G. OPPO, L’iniziativa economica, in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 309 ss.
fondamento, quale strumento indispensabile per l’esercizio di tale libertà 37.
Sulla stessa linea argomentativa si può trarre dall’art. 16 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione Europea, che riconosce la libertà di impresa, una tutela indiretta dell’autonomia privata 38.
L’autonomia privata è, comunque, solidamente ancorata al no- stro ordinamento giuridico perché costituisce presupposto e ragione della tutela dei contratti e della disciplina degli stessi: tanto più oggi, nel quadro dell’ordinamento europeo, che alla libertà economica si ispira come valore fondamentale.
L’iniziativa economica, alla quale l’art. 41 Cost. ha, nei suoi tre commi, articolato riguardo, quando si realizza con processi produt- tivi è finalizzata allo scambio di prodotti contro prezzi e, normal- mente, attraverso scambi intermedi, ha a suo riferimento finale i con- sumatori.
Il mercato è il luogo (ideale) degli scambi, dei quali l’esercizio del- l’autonomia privata, con la conclusione di contratti di scambio, è lo strumento, ma non costituisce una realtà autonoma rispetto all’or- dinamento giuridico perché non può operare senza regole giuridi- che che lo ordinino 39.
A sua volta, peraltro, l’attività economica che si svolge nel merca- to ha anche regole proprie, che la scienza economica studia ma che non costituiscono espressioni di dover essere, bensì deduzioni di ef- fetti da cause: così – per fare esempi elementari – la constatazione che all’abbassarsi dei prezzi dei prodotti corrisponde un aumento della quantità dei prodotti venduti 40 o quella che la concorrenza tra imprenditori avvantaggia i consumatori.
37 Ha ravvisato una tutela costituzionale indiretta Corte Cost. 21 marzo 1969, n.
37, in Foro it., 1969, I, c. 781.
Xxx X. XXXXXXXXX, Negozio giuridico e iniziativa economica privata, in G. BE- NEDETTI, Studi, cit., p. 97 si può andare oltre e sostenere che l’autonomia privata trova diretta tutela nell’art. 41 Cost.
38 Cfr.: X. XXXXXXXXXXXX, Principi generali, clausole generali e nuove tecniche di controllo dell’autonomia privata, in Annuario del contratto 2010, Torino, 2011, p. 26 s.
39 Scrive N. IRTI: «il mercato, in quanto ordine degli scambi, ha bisogno di norme ordinatrici … ogni mercato è quale viene disegnato dal suo proprio statuto giuridi- co» (L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, p. 11).
Sul mercato e la sua regolazione cfr., per tutti: X. XXXXXXXXX, Il mercato: modelli di organizzazione, in AA.VV., L’azienda e il mercato, nel Trattato di diritto commercia- le e di diritto pubblico dell’economia diretto da X. Xxxxxxx, Padova, 1979, p. 337 ss.
40 È giusta l’osservazione che, nella società odierna, il prezzo non si commisura più, né in via esclusiva né in via prevalente, al bene o al servizio (direi alla qualità e alla quantità dell’offerta degli stessi nel mercato) ma è rapportato anche alle regole contrattuali che ne disciplinano l’acquisizione, cfr.: X. XXXXXXXXXX, La disciplina
Si tratta di regole che l’ordinamento giuridico non può modifica- re, sicché il legislatore non può non tenerne conto, quando detta re- gole giuridiche al mercato, nel valutare l’impatto che le stesse avran- no sull’economia.
Il rapporto tra ordinamento giuridico e mercato può atteggiarsi nei modi più vari.
Si può andare da un controllo autoritativo del mercato, che giun- ga quasi a snaturarlo, ad interventi molto contenuti, che lascino di- spiegare l’autonomia dei privati nella maniera più libera. Si possono adottare soluzioni intermedie.
Il nostro Paese ha vissuto l’esperienza di un diffuso intervento pubblico nell’economia, al quale ha fatto seguito, a partire dagli an- ni ’80 e in concomitanza con l’affermarsi della Comunità Europea, un radicale cambiamento di prospettiva, teso a porre il mercato e le sue esigenze al centro del sistema 41.
La costituzione economica comunitaria è orientata ad un ordi- namento di economia di mercato, fondato sulla libertà di iniziativa economica e sulla libera concorrenza 42, alla quale ultima può anche essere considerata strumentale, in una certa prospettiva, la tutela dei consumatori 43.
Il rapporto tra ordinamento giuridico e mercato non può, peral- tro, atteggiarsi in modo che l’operare del primo sia visto come me- ramente funzionale al secondo. L’interesse al più efficace funziona- mento del mercato non può essere avallato come interesse assoluta- mente preminente, perché l’ordinamento non potrebbe sacrificare ad esso altri interessi fondamentali. Considerazione che l’art. 41, 2° comma, Cost. ha tenuto ben presente quando, dopo il riconoscimen- to della libertà dell’iniziativa economica privata, ha posto limiti alla stessa, precisando che: «Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla di- gnità umana» 44.
dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in AA.VV., Diritto privato europeo, II, Padova, 1997, p. 499; X. XXXXXX, Il mercato: attività pri- vata e regole giuridiche, in Scritti in onore di ff. Romagnoli, Milano, II, 2000, p. 46 s.
41 Sul tema, e su questo radicale cambiamento di prospettiva, cfr. X. XXXXXXX, Persona e iniziativa economica privata nella costituzione, in Persona e mercato a cura di X. Xxxxxxx, Padova, 1996, p. 33 ss.
42 Cfr.: L. DI NELLA, Mercato e autonomia contrattuale nell’ordinamento comu- nitario, Napoli, 2003, p. 67.
43 Cfr.: L. DI NELLA, op. cit., p. 124 e ora, in maniera più approfondita, S. MA- ZAMUTO, Il contratto di diritto europeo, 3a ed., Torino, 2017, p. 101 ss.
44 Analogo l’orientamento di P. XXXXXXXXXX, Mercato, solidarietà e diritti uma- ni, in P. XXXXXXXXXX, Il diritto dei contratti tra persona e mercato, Napoli, 2003, pp. 245, 248, 260 ss.
Costituisce conferma di questa lettura dell’art. 41 Cost. il 4° com- ma del novellato art. 118 Cost., che consente lo svolgimento di atti- vità di interesse generale da parte di «cittadini, singoli e associati … sulla base del principio di sussidiarità» solo a seguito di «autonoma iniziativa» degli stessi, così escludendo che l’autonomia privata pos- sa essere rivolta al conseguimento di interessi generali per effetto di coazione esterna.
La tutela di altri interessi fondamentali è però condizionata, in fatto, dalla disponibilità di risorse economiche, e quindi dalla situa- zione economica del Paese. Da qui il reciproco condizionamento tra ordinamento giuridico e mercato, vale a dire tra regole giuridiche riguardanti il mercato e regole economiche del mercato, che condu- ce ad equilibri che necessitano di adeguamenti costanti 45.
Comunque, l’autonomia privata incontra, sul piano giuridico, so- lo i limiti posti dall’ordinamento giuridico. La circostanza che si e- serciti nel mercato non comporta l’assoggettamento della stessa ad interessi del mercato che non siano tutelati dall’ordinamento 46.
L’autonomia privata, come non può diventare strumento del mer- cato non può essere trasformata, senza negarla in radice, in strumen- to per la realizzazione di finalità pubbliche o per il soddisfacimento di diritti fondamentali.
Alla funzionalizzazione dell’autonomia privata, e quindi del con- tratto, all’utilità sociale, agli interessi generali, ai valori costituziona-
45 La problematica del difficile equilibrio tra esigenze del mercato e tutela della persona è stata affrontata da X. XXXXXX nell’ampio saggio prima citato (v. nota 40), ove ha conclusivamente affermato che la dogmatica giuridica ha bisogno, nell’af- frontare il tema cruciale del rapporto tra attività economicamente rilevante e valu- tazione giuridica, «di raccordare i modi della sua contrattualizzazione con la razio- nalità complessiva del sistema giuridico assunto a filtro della varietà di informazio- ni provenienti dall’ambiente sociale circostante», ed ha rivolto l’invito ad avviarsi fiduciosamente lungo questa strada, supportati dalla consapevolezza che: «tra l’atteggiamento stupidamente dogmatico di chi si attacca alle formule e quello so- stanzialmente cinico di chi subisce l’esistente vi è sempre lo spazio intelligente di un atteggiamento critico» (op. cit., p. 63).
Al suggestivo invito non si accompagnano però concrete indicazioni sul per- corso da seguire e sulle cautele da adottare. Né se ne potevano attendere, per il
taglio teorico dello stesso, dal successivo scritto che X. XXXXXX ha dedicato al tema:
Ancora su persone e mercato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, p. 423 ss.
46 Diversamente E. LA ROSA, Tecniche di regolazione dei contratti e strumenti ri- mediali. Qualità delle regole e nuovo assetto dei valori, Milano, 2012, p. 99 s., che prefigura un controllo penetrante dell’autonomia privata, assoggettandola agli in- teressi del mercato.
Sulla tendenza dell’ordinamento comunitario a funzionalizzare l’autonomia pri- vata all’obiettivo di promuovere l’unione economica e monetaria e l’equilibrato svi- luppo delle attività economiche negli stati membri, cfr.: L. DI NELLA, op. cit., p. 307.
li, propugnata da taluni 47, frappone decisivo ostacolo l’art. 41 Cost. La norma, nel tutelare, nel 1° comma, la libertà di iniziativa economi- ca (e indirettamente l’autonomia privata), non la fa certo prevalere su interessi generali e diritti fondamentali, in quanto li indica, nel 2° comma, come limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica.
Si tratta, peraltro, di limiti esterni dell’autonomia privata: non di princìpi ispiratori della stessa.
L’autonomia privata, che è strumento dell’iniziativa economica, non può essere esercitata in danno di interessi costituzionalmente tu- telati ma non può essere vista, essa stessa, come mezzo per realizzarli.
Hanno con evidenza anche maggiore natura di limiti esterni del- l’autonomia privata gli interventi previsti dal 3° comma dell’art. 41 Cost., che contempla la possibilità di indirizzare e coordinare l’atti- vità economico privata a «fini sociali» ma la subordina a riserva di legge e a puntuali indicazioni («la legge determina i programmi e i controlli opportuni ...»).
Comporta una compressione dell’autonomia privata anche la pro- spettazione dottrinale che propone il superamento della contrapposi- zione dialettica tra «volontà del privato e volontà dell’ordinamento» con la configurazione di una vicenda unitaria imperniata sul princi- pio di ragione 48. Il principio di ragione imporrebbe, infatti, secondo questa dottrina, di conformare l’atto di autonomia ai princìpi della solidarietà e della parità sostanziale 49, rendendolo, quindi, strumen- to per la realizzazione degli stessi.
5. La non costante corrispondenza degli effetti giuridici alle rego- le dettate dalle parti si spiega tenendo conto che l’indifferenza del- l’ordinamento per il “modo” di risoluzione del conflitto di interessi tra privati non costituisce un dato costante. Talora si prospetta un interesse generale a che la disciplina si atteggi in un certo modo: ciò spiega il ricollegarsi, all’atto di autonomia, di effetti giuridici che pre- scindono da un conforme intento delle parti e sono destinati a pro- dursi anche a fronte di un intento contrario.
Il fenomeno, che è di sempre, si è, mano a mano, accentuato. Attualmente il campo nel quale gli effetti collegati al negozio pre-
Limiti all’autonomia privata
47 Cfr.: X. XXXXXXXXXXX, I mobili confini dell’autonomia privata, in Il diritto dei contratti tra persona e mercato, cit., p. 15 ss.; X. XXXXXXXXX, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del No- tariato, Napoli, 2008, p. 189 s.; X. XX XXXX, op. cit., p. 153; P. LAGHI, L’incidenza dei diritti fondamentali sull’autonomia privata, Padova, 2012, p. 111.
48 X. XXXXXXX, op. cit., p. 39 s. (sul principio di ragione cfr. le pp. 38 xx. x 00 xx.).
00 X. XXXXXXX, op. cit., p. 45. Più ampia valutazione della tesi di X. Xxxxxxx ho fatto nello scritto: L’uso abusivo dei principi, in Riv. dir. civ., 2014, p. 758 ss.
L’estendersi dell’utilizzazione degli strumenti
negoziali
scindono dall’esistenza di regole conformi dettate dalle parti abbrac- cia interi settori dell’esperienza giuridica. Si pensi alla materia del lavoro, che è in buona parte imperativamente regolata con norme ispirate alla tutela del lavoratore subordinato, al settore dei contratti agrari, disciplinati in buona misura da norme imperative, ispirate all’intento di favorire una delle parti (il coltivatore diretto), ritenuta portatrice di interessi meritevoli di particolare tutela.
A fronte di questo fenomeno se ne è manifestato un altro, di se- gno diverso: l’estendersi dell’utilizzazione delle categorie del nego- zio, del contratto, dell’accordo, al di là dell’ambito che, tradizional- mente, era considerato loro proprio.
Xxxxxxx vissuto l’esperienza di accordi tra governo e sindacati, talvolta, addirittura, di leggi concertate: cioè di normative le quali hanno dato attuazione, in qualche misura, ad accordi tra governo e parti sociali. Queste vicende, peraltro, non hanno palesato un’esten- sione dell’ambito di operatività dell’autonomia privata, perché l’ac- cordo non è stato strumento per l’esercizio di questa ma è servito ad altro fine.
Discorso diverso vale con riguardo al fenomeno, che ha pure as- sunto dimensioni imponenti, della sempre maggiore utilizzazione de- gli strumenti privatistici per lo svolgimento di attività ispirate a fini di interesse pubblico.
Spesso, allorché l’attività svolta comporti l’esigenza di regolare rapporti con privati, l’ente pubblico non opera in posizione di su- premazia con atti autoritativi ma cerca di pervenire ad una regola- mentazione concordata, attuata attraverso il contratto di diritto pri- vato. Altre volte, il fine pubblico viene perseguito attraverso soggetti di diritto privato (società) controllati dalla mano pubblica: è questo il variegato settore delle partecipazioni statali, settore, peraltro, ora pervaso da crisi così grave (anche per la sua inconciliabilità con i princìpi ispiratori della comunità europea), da motivare la spinta decisa ad un disimpegno dello Stato, realizzato o da realizzare attra- verso le c.d. «privatizzazioni».
In questi modi si è, certamente, realizzato un consistente amplia- mento dell’ambito di operatività dell’autonomia privata, sicché si può dire che ciò che la stessa ha perso in incisività (per l’aumentare di condizionamenti pubblici sul modo di atteggiarsi degli assetti di in- teressi) ha guadagnato in estensione 50.
50 Alle problematiche qui considerate hanno dedicato saggi importanti: X. XXXX- XXXXXX, Il diritto privato ed i suoi attuali confini, in Scritti minori, Napoli, 1988, p. 441 ss.; ID., La crisi del contratto nella società contemporanea, ivi, p. 795 ss.; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Variazioni sul contratto, in Libertà e autorità nel diritto civi- le-Altri saggi, Padova, 1977, p. 93 ss.
Il problema di fondo non è però quello della perdita di peso del- l’autonomia privata ma piuttosto quello della stessa possibilità di af- fermarne la sopravvivenza anche quando i privati appaiono espro- priati del potere di dettare liberamente regole ai propri interessi.
Proprio le dimensioni assunte dal fenomeno della determinazio- ne autoritativa dell’assetto di interessi hanno, infatti, indotto a parla- re di crisi dell’autonomia privata 51.
Affermazioni del genere appaiono peraltro eccessive, dato che il fenomeno – sia pure incisivo ed esteso – è ben lontano dall’aver rag- giunto dimensioni tali da poterlo rendere atto a caratterizzare l’in- tera realtà negoziale. Si tratterebbe, se mai, di espungere quei settori nei quali abbia assunto carattere prevalente. Tale procedimento, pe- raltro, potrebbe ritenersi corretto solo se fosse considerata nota ca- ratterizzante l’autonomia privata non il potere di sottoporre a regola i propri interessi ma quello di dettare la regola dei propri interessi.
Il potere di regolare i propri interessi, che connota l’autonomia privata, non deve però necessariamente esercitarsi col dettare regola agli stessi. Laddove, pur mancando la possibilità di atteggiare libe- ramente le regole di un determinato rapporto, resta la libertà di co- stituirlo o meno e perciò di optare per un diverso assetto di interes- si, il soggetto esercita, sia pure in maniera meno incisiva, il potere di regolare i propri interessi 52.
Sarebbe eccessiva la preoccupazione di veder confusi, in questa prospettiva, i confini tra atto e negozio giuridico. La preoccupazio- ne avrebbe ragion d’essere per chi delineasse la distinzione conside- rando esclusivamente gli effetti: ravvisando l’atto in senso stretto là dove gli effetti prescindano dalla volontà del suo autore ed il nego- zio dove risultino alla stessa conformi. I fatti giuridici (intesi in sen- so ampio) non sono, peraltro, direttamente produttivi di effetti giu- ridici ma concorrono, nella dinamica che dà vita all’effetto, a rende- re concreto il comando posto dalla norma giuridica 53.
Il concretarsi della norma dipende dalla valutazione che l’ordi- namento giuridico fa dei fatti giuridici 54.
Nell’atto giuridico l’ordinamento valuta il comportamento del sog- getto che lo pone in essere; nel negozio giuridico valuta anche il com-
“Crisi” del- l’autonomia privata
Potere di sotto- porre a regole i propri interessi
Effetti giuridici e valutazione dell’ordina- mento
51 Contro questa conclusione cfr.: X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 470; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, op. cit., p. 104 s.
52 Si intende che il configurare in tal modo l’autonomia privata porta ad inten- derla in maniera significativamente diversa da quella che discende dal caratteriz- zarla come potere di autodeterminazione del regolamento contrattuale, cfr.: P. BARCELLONA, v. Libertà contrattuale, in ffnc. dir., XXIV, 1974, Milano, p. 492.
53 Rinvio, al riguardo, alle considerazioni svolte nella v. Fattispecie, cit., p. 932 ss.
54 Cfr.: X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 933 s.