AIGA
AIGA
CORSO DI FORMAZIONE
22 - 29 aprile, 5 maggio 2009
Tecniche di redazione dei contratti Compravendita, locazione, appalto
Costruzione e gestione del patrimonio immobiliare
Appalto privato: definizione; differenze rispetto all’appalto pubblico ed altri tipi contrattuali; subappalto; ius variandi; determinazione del corrispettivo
(avv. Xxxxxxxx Xxxxxx)
APPUNTI
1 - Definizione
Con il contratto d’appalto, una parte assume l’obbligo di realizzare un’opera o eseguire un servizio in cambio di un corrispettivo in danaro, fornendo i mezzi necessari ad ottenere il risultato convenuto ed assumendo il rischio dell’esecuzione del contratto. L’obbligazione è di risultato.
Da questa definizione consegue che:
- l’appaltatore è, di regola, un imprenditore: soltanto un’impresa può fornire l’organizzazione necessaria all’esecuzione dell’appalto;
- il rischio della esecuzione del contratto è a carico dell’appaltatore: basti pensare che, ai sensi dell’art. 1673 c.c., se la cosa oggetto del contratto perisce, il committente sopporta esclusivamente il rischio relativo alla materia che aveva eventualmente fornito, per il resto il rischio grava interamente sull’appaltatore;
- è attribuita all’appaltatore anche la responsabilità per eventuali danni subiti da terzi (salve le ipotesi in cui il committente si ingerisca nella attività dell’esecutore);
- l’attività è svolta dall’incaricato in autonomia rispetto al committente.
Nonostante l’attribuzione pressoché integrale del rischio all’appaltatore, l’appalto non è qualificabile come contratto aleatorio. Nei contratti tecnicamente aleatori, infatti, l’incertezza riguarda il conseguimento stesso di una (o di entrambe) le prestazioni; nell’appalto, invece, le due prestazioni (esecuzione dell’opera o del servizio, pagamento del corrispettivo) sono certe e preventivamente determinate; l’incertezza riguarda il loro effettivo valore economico. Secondo la giurisprudenza, l’appalto non diventa aleatorio neppure nelle ipotesi in cui le parti escludano la revisione dei prezzi (con conseguente possibilità anche di una forte oscillazione del valore del corrispettivo rispetto a quello dell’opera) ovvero concordino il c.d. prezzo chiuso, in forza del quale il corrispettivo è stabilito in maniera globale al momento della stipulazione, non è modificabile e può, quindi, rivelarsi - in concreto - inadeguato, a causa di eventuali errori compiuti dall’appaltatore nel momento in cui ha stimato le quantità dei lavori da eseguire, ovvero in relazione alle effettive difficoltà incontrate nell’esecuzione del contratto.
1.1 - Appalto a regìa
Se dalla disciplina del contratto deriva una pesante ingerenza del committente sulla autonomia dell’appaltatore - che viene sostanzialmente esclusa, in quanto l’esecutore diventa strumento passivo dell’iniziativa del committente - si parla di appalto a regìa. Ne consegue che:
- il committente risponde dei danni a terzi provocati nell’esecuzione dell’appalto (mentre, in via generale, il principio è opposto);
- addirittura, secondo la giurisprudenza, l’appaltatore risponde in maniera limitata dei difetti dell’opera.
1.2 - Lavori in economia
Nei “lavori in economia” il committente gestisce direttamente il lavoro o il servizio e stipula contratti di acquisto dei materiali o contratti d’opera; diversamente dall’appalto gli incaricati non forniscono la propria organizzazione e non operano in autonomia.
2 - Forma
Il contratto di appalto non richiede la forma scritta ad substantiam
(se non per dare un senso a questo incontro).
Tuttavia, ai sensi del comma 5 dell’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008 (“in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”), i contratti di appalto, di subappalto e di somministrazione - se stipulati da un datore di
lavoro nell’ambito del ciclo produttivo della propria azienda - sono nulli se in essi non vengano “specificamente indicati .... i costi relativi alla sicurezza del lavoro con particolare riferimento a quelli propri connessi allo specifico appalto”. In questi casi l’appalto sembra dover essere redatto in forma scritta: non è dato comprendere come, in relazione ad un contratto verbale, sia possibile indicare specificamente i costi relativi alla sicurezza.
Ai sensi del terzo comma dello stesso art. 26, il “datore di lavoro committente” deve redigere un “unico documento di valutazione dei rischi”, nel quale siano indicate le misure adottate per eliminare o ridurre al minimo i pericoli derivanti dalle interferenze tra l’attività dei propri dipendenti e quella dei dipendenti dell’appaltatore: questo documento “è allegato al contratto di appalto o di opera”, ovvero il contratto stipulato dal datore di lavoro con l’impresa terza.
Ai sensi dell’art. 100, comma 2 dello stesso d.lgs. n. 81/2008, anche “il piano di sicurezza e coordinamento è parte integrante del contratto di appalto”.
Il piano di sicurezza e coordinamento è costituito da una parte descrittiva e da una parte normativa, redatte in relazione alla complessità dell’opera ed alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione, finalizzate alla prevenzione e alla riduzione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori.
L’art. 26, terzo comma, e l’art. 100 del d.lgs. n. 81/2008 non prevedono la sanzione della nullità per l’ipotesi in cui il documento di valutazione dei rischi ed il piano di sicurezza non siano allegati al contratto, questa lacuna, quindi, non inficia la validità dell’accordo tra le parti (mentre l’art. 131, comma 5, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 - “codice dei contratti pubblici” - prevede espressamente che i contratti pubblici d’appalto o di concessione privi del piano di sicurezza “sono nulli”) .
Occorre tuttavia tener presente che ai sensi dell’art. 101 del medesimo decreto, il committente deve trasmettere il piano di sicurezza (e l’eventuale omissione è punita con una sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 157) “a tutte le imprese invitate a presentare offerte per l’esecuzione dei lavori”.
Nello schema del legislatore, quindi, l’impresa che stipula il contratto ha necessariamente preso visione del piano di sicurezza: se ciò è avvenuto, le previsioni di tale piano fanno parte del contratto e l’appaltatore è tenuto a seguirle, senza poter chiedere un corrispettivo aggiuntivo in relazione agli oneri economici che possano derivare dal loro rispetto; ma il piano sembra far parte del contratto anche se il committente non lo ha reso noto all’appaltatore, in questo caso potrebbe sorgere una controversia in ordine agli oneri economici connessi.
Ne consegue la necessità che il piano di sicurezza venga redatto, reso noto alla controparte contrattuale (anche per evitare la relativa sanzione
amministrativa), allegato al contratto e preso in considerazione nella determinazione del corrispettivo.
3 - Il contratto di appalto pubblico
3.1 - La scelta dell’appaltatore
La differenza fondamentale tra il contratto d’appalto pubblico (cioè quello che ha per oggetto lavori pubblici o di pubblica utilità, ovvero servizi resi ad un soggetto pubblico) e l’appalto privato consiste nel procedimento di scelta del contraente.
Il committente privato sceglie l’appaltatore liberamente: l’appalto è un contratto intuitu personae.
I soggetti ai quali si applica il codice dei contratti pubblici (che non sono soltanto le pubbliche amministrazioni, ma anche soggetti con forma privata, come le società per azioni, che rientrino nella definizione di organismo di diritto pubblico che il nostro ordinamento ha mutuato dal diritto comunitario) devono seguire procedure formalizzate (in misura maggiore o minore secondo il tipo di contratto ed il suo valore) per la scelta dell’appaltatore.
E’ opportuno tener presente che, sempre più spesso, soggetti formalmente privati (società per azioni o a responsabilità limitata) devono essere qualificati, sulla base delle definizioni contenute nel codice dei contratti pubblici, come organismi di diritto pubblico. Pertanto, quando una società intende affidare un appalto, occorre in primo luogo verificare la sua effettiva
natura, se cioè sia o meno sottoposta alla disciplina del codice dei contratti pubblici. Z impossibile in questa sede esaminare la nozione di organismo di diritto pubblico: si tratta di un soggetto partecipato o finanziato da enti pubblici, che persegue finalità di interesse non industriale o commerciale. Non solo: ai sensi del comma 2 dell’art. 18 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, tutte le società - a partecipazione pubblica totale o di controllo - devono adottare regolamenti recanti “criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità ed imparzialità”.
3.1.1 - In realtà, anche i committenti privati quando affidano appalti di un certo rilievo tecnico e/o economico svolgono procedure di selezione degli appaltatori. Ovviamente queste procedure, non obbligatorie, sono frutto di scelte di autonomia privata.
Il committente, però, una volta che decida di disciplinare (in maniera più o meno dettagliata) le modalità di individuazione dell’appaltatore, è tenuto a rispettare le regole che ha stabilito e che danno un contenuto specifico al canone della correttezza precontrattuale fissato dall’art. 1337 c.c..
La violazione di queste regole può portare a conseguenze risarcitorie non del tutto irrilevanti, perchè - al fine di formulare offerte in relazione ad appalti complessi - le imprese possono sostenere costi economici anche consistenti ed il committente dovrà rispondere del pregiudizio subìto (nei
limiti, come è noto, dell’interesse negativo) dalle imprese non selezionate, che avevano fatto affidamento nella conduzione della gara privata in maniera corretta, ovvero nel rispetto delle regole autoimposte dal committente.
Come abbiamo visto, il legislatore ha preso in considerazione la possibilità che il committente privato (pur non essendovi tenuto) abbia avviato una trattativa plurima al fine di individuare l’appaltatore: l’art. 101 del d.lgs. n. 81/2008 impone al committente di trasmettere il piano di sicurezza “a tutte le imprese invitate a presentare offerte per l’esecuzione dei lavori”.
3.2 - L’esecuzione dell’appalto pubblico
Per quanto riguarda la disciplina dell’esecuzione del rapporto contrattuale, le differenze tra appalto pubblico ed appalto privato non sono particolarmente rilevanti.
La disciplina pubblicistica prevede:
- una puntuale disciplina della formulazione delle contestazioni da parte dell’appaltatore, che deve iscriverle nel registro della contabilità di cantiere nel termine di 15 giorni da quando gli eventi dannosi si verificano, affinché il committente possa comprendere l’effettivo andamento economico dell’appalto. In vista di questa finalità anche negli appalti privati viene spesso inserita una disciplina delle riserve, che può essere diversa da quella dettata per gli appalti pubblici, ovvero identica laddove espressamente richiamata dai contraenti;
- più rigorose modalità per l’esercizio del diritto del committente di apportare variazioni all’oggetto dell’appalto (c.d. ius variandi), anche al fine di assicurare il rispetto delle norme sul procedimento di formazione della volontà della pubblica amministrazione;
- norme più favorevoli all’amministrazione in ordine al recesso e alla risoluzione in danno dell’appaltatore;
- una particolare formalizzazione del procedimento di autorizzazione del subappalto.
3.3 - Appalti e concessioni
Sempre nell’ambito del confronto tra settore pubblico e settore privato, è opportuno esaminare la distinzione tra appalto e concessione (che, come l’appalto, è un contratto a titolo oneroso avente ad oggetto lavori o servizi).
Nella sua definizione istituzionale, la concessione è un provvedimento con il quale la pubblica amministrazione amplia la sfera giuridica del destinatario, attribuendogli una porzione delle proprie prerogative.
Nell’ipotesi di concessione di lavori pubblici, il concessionario (come l’appaltatore) deve realizzare un lavoro pubblico o di pubblica utilità, ma il corrispettivo gli deriva dai proventi della gestione dell’opera che ha realizzato (è quella che originariamente si chiamava concessione di costruzione e gestione: l’esempio tipico è quello della concessione autostradale); i proventi
della gestione dell’opera, qualora non sufficienti a compensare il concessionario, possono essere integrati con un corrispettivo in denaro.
La differenza tra concessione di servizi e appalto di servizi è maggiore: l’appaltatore fornisce la propria prestazione direttamente ed esclusivamente alla pubblica amministrazione (x.xx.: la vigilanza dei palazzi comunali; la pulizia degli edifici scolastici); con la concessione vengono affidati servizi pubblici ed il concessionario presta la sua attività non alla pubblica amministrazione, ma - in vista della soddisfazione di un interesse pubblico - a terzi (solitamente la generalità dei cittadini). Anche in questo caso il corrispettivo deriva dai proventi della gestione (che possono o meno essere integrati con un prezzo).
4 – Appalto e contratti d’opera
4.1 – Lavoro subordinato
Nel rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore fornisce una prestazione che consiste in un comportamento, mentre l’appaltatore fornisce un opera ed un servizio (ovvero: un risultato).
Inoltre, mentre l’appaltatore ha un’organizzazione di natura imprenditoriale, il lavoratore presta soltanto la propria attività e si trova inserito all’interno di un’organizzazione di cui non ha la responsabilità.
4.2 - Contratto d’opera
Il criterio distintivo tra appalto e contratto d’opera (art. 2222 c.c.) sta nella natura dei mezzi impiegati dall’incaricato per l’esecuzione dell’opera o del servizio.
Nell’appalto l’impegno è assunto da un imprenditore medio o grande, che utilizza la propria organizzazione e, quindi, i propri dipendenti.
Nel contratto d’opera la prestazione è eseguita dall’incaricato con lavoro prevalentemente proprio. Poiché l’assuntore è un piccolo imprenditore, secondo la definizione dell’art. 2083 c.c., il lavoro può essere svolto anche dai componenti della sua famiglia.
4.3 - Contratto d’opera intellettuale
La differenza in questo caso riguarda l’oggetto della prestazione, in quanto si tratta di una professione intellettuale.
Può aversi, invece, appalto, quando l’attività intellettuale (per esempio la progettazione di un intervento edilizio) costituisca soltanto una parte delle prestazioni che l’incaricato si impegna ad eseguire.
In questo caso, si può avere anche un contratto di appalto nella forma del consulting engineering (nell’ipotesi in cui venga fornita la progettazione e le attività di consulenza accessorie), ovvero del commercial engineering (quando l’incaricato si impegna a progettare e realizzare l’opera, potendo anche fornire l’assistenza tecnica necessaria per il collaudo e l’inizio della gestione).
Se prevale l’attività tipica della professione intellettuale (la progettazione in senso stretto), il rapporto è necessariamente qualificato come contratto d’opera professionale e l’incaricato non può essere una società anonima, ma necessariamente un professionista.
5 – Appalto, vendita, somministrazione
Sul piano teorico, la differenza tra la causa di questi tre contratti è evidente. In concreto, invece, può non essere semplice distinguere l’uno dall’altro.
E la distinzione è rilevante in quanto la disciplina dell’appalto è molto diversa da quella della compravendita (per esempio: nella vendita “res perit domino”, nell’appalto il rischio grava sull’appaltatore; i termini per far valere la responsabilità per i vizi sono diversi; il diritto di recesso spetta al committente e non all’acquirente).
Il criterio distintivo individuato dalla giurisprudenza si fonda sulla maggiore importanza (prevalenza) che la volontà delle parti abbia attribuito alla componente “materia” o a quella “lavoro”; al “dare” o al “fare”.
Pensiamo alle ipotesi in cui il cliente chiede un certo numero di cose mobili che il fornitore deve realizzare: se si tratta di oggetti prodotti in serie, in maniera sostanzialmente identica anche per altri clienti, si tratterà di una compravendita (ovvero di una somministrazione a seconda delle caratteristiche del rapporto); se, al fine di soddisfare le esigenze del
committente, i prodotti devono essere modificati in maniera sostanziale (con prevalenza quindi della componente “lavoro”), si tratterà di un appalto (è il criterio giurisprudenziale della c.d. ordinaria produzione).
Z quindi l’interpretazione della disciplina negoziale che determina gli esiti dell’inquadramento giuridico del rapporto contrattuale.
Devono essere evitate le clausole di stile, le autodefinizioni ed i richiami generici alla disciplina del codice: un contratto non è quello che dice di essere, ma quello che il giudice ritiene che sia sulla base del suo contenuto, al di là della qualificazione operata dalle parti (la Cassazione, sentenza n. 9320/06, ha affermato che “la prevalenza dell’elemento lavoro su quello inerente alla fornitura della materia costituisce criterio fondamentale di distinzione tra appalto e vendita (di cosa futura), mentre il riferimento alla comune intenzione delle parti costituisce criterio suppletivo di differenziazione”).
6 - Subfornitura
Ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge 18 giugno 1998, n. 192 (“Disciplina della subfornitura nelle attività produttive”), “con il contratto di subfornitura un imprenditore si impegna ad effettuare per conto di una impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un
bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente”.
L’elemento caratterizzante di questo schema contrattuale è la dipendenza economica e/o tecnologica del subfornitore rispetto al committente.
Nella qualificazione di questo contratto - che, a seconda del contenuto della prestazione, può essere inquadrato come vendita, somministrazione o, più frequentemente, appalto - non deve trarre in inganno l’utilizzo del termine “subfornitura”: non si tratta necessariamente di un subcontratto; il legislatore fa riferimento alla subordinazione, tecnologica (o funzionale), della prestazione del fornitore rispetto all’attività del committente. Il subfornitore non è necessariamente un subappaltatore; può essere l’appaltatore di un committente che inserisce il prodotto dell’appalto all’interno di un ciclo produttivo più complesso.
La legge n. 192/98 contiene una disciplina di particolare favore per il subfornitore, che si sostituisce automaticamente a quella difforme concordata dalle parti (mi riferisco in particolare ai termini di pagamento, agli interessi sui ritardati pagamenti, al tentativo obbligatorio di conciliazione prima di intraprendere il giudizio, all’esecutività ex lege del decreto ingiuntivo ottenuto dal subfornitore per i propri crediti verso il committente).
Z quindi essenziale individuare una subfornitura: il committente, pur rispettando quanto stabilito nel contratto, può risultare inadempiente ed andare incontro a pesanti conseguenze economiche.
7 - Subappalto
La natura intuitus personae del contratto di appalto impone che, qualora l’appaltore decida di attribuire ad un altro imprenditore l’esecuzione (integrale o parziale) della prestazione oggetto del contratto principale, il subaffidamento sia autorizzato dal committente.
La cessione del contratto di appalto è chiaramente diversa dal subappalto: nella cessione l’appaltatore sostituisce a sé un altro soggetto nella posizione contrattuale; con il subappalto si instaura un nuovo rapporto contrattuale che ha un oggetto (in tutto o in parte) uguale al rapporto principale.
Dal contratto di subappalto derivano rapporti giuridici tra appaltatore (subcommittente) ed il subappaltore, il quale non può formulare domande nei confronti del committente principale.
Poiché il subappalto è un contratto di appalto, della sua esecuzione risponde il subappaltore nei confronti dell’appaltatore e dei terzi. Ovviamente, nei confronti del committente continua a rispondere l’appaltatore.
Il subappalto non autorizzato dal committente è, secondo la dottrina, viziato da nullità - o annullabilità - relativa: l’invalidità potrebbe essere fatta valere esclusivamente dal committente, nell’interesse del quale è posto il divieto di subappalto non autorizzato (diversa è la questione per il subappalto pubblico: la norma che impone la preventiva autorizzazione è di
ordine pubblico, in quanto posta a tutela dell’interesse pubblico al rispetto delle norme inderogabili sull’individuazione dell’appaltatore).
Il problema dell’invalidità relativa del subappalto non autorizzato ha un modesto rilievo pratico: l’interesse concreto del committente, infatti, non è quello di porre nel nulla il subappalto, ma di far sì che l’opera o il servizio siano eseguiti dall’appaltatore che lui ha scelto. Questo interesse viene soddisfatto impedendo al subappaltatore l’esecuzione della prestazione del contratto principale.
Il subappalto, anche se non autorizzato, è valido ed efficace tra le parti che lo hanno stipulato: l’appaltatore, se non è stato autorizzato dal committente, sarà responsabile del proprio inadempimento, in quanto non sarà in grado di consentire l’esecuzione del subappalto.
Sul piano della configurazione della disciplina contrattuale occorre tener presente che il subappalto:
- viene, a volte, espressamente vietato nel contratto principale: si tratta di una ripetizione della norma del codice. La previsione ha un’utilità concreta se è oggetto di una clausola risolutiva espressa;
- può essere consentito in maniera generica: questa disposizione trasforma l’appalto in un contratto con cui il committente dà all’altro contraente il compito di scegliere il vero appaltatore;
- può essere autorizzato ma con limiti oggettivi (per determinate attività, magari di particolare complessità tecnica) e/o soggettivi (il subappaltore viene preindividuato, come accade di solito negli appalti pubblici; ovvero deve possedere certi requisiti che ne garantiscano l’affidabilità);
- ovviamente segue lo stesso schema di un contratto di appalto. Nel predisporlo, tuttavia, occorre tener presente che è collegato al contratto principale e quindi:
- l’oggetto (dell’opera o del servizio subappaltati) deve essere descritto allo stesso modo: occorrerà a questo fine richiamare i capitolati dell’appalto principale;
- il termine di esecuzione concesso al subappaltatore deve essere più breve di quello a disposizione dell’appaltatore: quest’ultimo, infatti, dovrà verificare il lavoro del subappaltatore prima di sottoporlo al collaudo del committente principale;
- le modalità ed i tempi di pagamento devono, almeno in parte, dipendere da quelli previsti nel contratto principale.
8 - Prezzo
L’art. 1657 c.c. rimette la determinazione del prezzo alla volontà delle parti, in subordine “alle tariffe esistenti o agli usi” e, in mancanza, alla valutazione del giudice.
Z evidente la necessità che il contratto d’appalto sia particolarmente preciso sulla determinazione del corrispettivo.
Il prezzo viene determinato a misura o a corpo (nell’appalto c.d. a
forfait).
Nell’appalto a misura le parti concordano i prezzi unitari di ciascuna lavorazione, che poi dovranno essere moltiplicati per le quantità delle lavorazioni eseguite. Nella redazione di un appalto a misura è quindi indispensabile individuare un adeguato elenco prezzi: altrimenti i prezzi mancanti dovranno essere determinati dalle parti, via via che ne emerga la necessità.
Quando il prezzo è determinato a corpo, il corrispettivo è stabilito per l’opera ultimata al di là della quantità effettiva delle lavorazioni da eseguire.
Il corrispettivo può essere determinato anche in parte a corpo ed in parte a misura.
Il metodo di determinazione del prezzo a misura è (in astratto) un criterio matematico: in realtà, è così soltanto se viene redatto un elenco prezzi completo. Altrimenti le parti dovranno concordare i c.d. “nuovi prezzi”, che possono rivelarsi necessari per lavorazioni non prezzate al momento della stipulazione del contratto.
Al fine di evitare la necessità di trovare nuovi accordi nel corso dell’esecuzione del contratto, è possibile individuare criteri di determinazione
dei prezzi mancanti, facendo riferimento a prezziari ufficiali - solitamente scontati - pubblicati da qualche autorità (Ministero lavori pubblici; Camera di commercio; Bollettino degli ingegneri; ecc.), ovvero ai prezzi indicati nell’elenco originario per categorie di lavoro simili alle categorie nuove.
Nel contratto di appalto a corpo o a forfait, il prezzo solitamente è “chiuso” anche nel senso che le parti escludono la possibilità della revisione (cioè del meccanismo, previsto dall’art. 1664 c.c., di adeguamento del prezzo quando i costi dell’appalto siano mutati). E’ tuttavia possibile stabilire un prezzo a corpo suscettibile di revisione.
Al fine di ridurre l’alea economica dell’appalto, è indispensabile - affinché l’appaltatore possa compiere in maniera più attendibile le proprie valutazioni - che l’intervento da realizzare sia descritto in maniera precisa.
Molto spesso nell’appalto a corpo è presente l’elenco prezzi e l’attribuzione percentuale, alle varie categorie di lavori, del prezzo complessivo concordato. Questi elementi sono strumentali alla determinazione delle somme da pagare all’appaltatore man mano che l’esecuzione procede. In altri termini: fermo il prezzo complessivo finale, viene misurato il lavoro via via svolto per poter pagare gli acconti sulla base degli stati di avanzamento dei lavori.
Un elenco prezzi completo è utile, anche nell’appalto a corpo, al fine di determinare il corrispettivo di eventuali varianti dell’opera (che possono essere compensate a corpo, con la necessità di un nuovo accordo tra il
committente e l’appaltatore sulla base dell’entità della variante; ovvero a misura, in relazione all’elenco prezzi, esistente o concordato in corso d’opera).
9 - La revisione prezzi
L’art. 1664 (che prevede due ipotesi diverse) introduce una disciplina finalizzata a limitare il rischio economico a carico dell’appaltatore.
Ai sensi del primo comma, quando - per circostanze non prevedibili al momento della stipulazione del contratto - il costo dei materiali o della mano d’opera sia aumentato o diminuito tanto da comportare una variazione del prezzo superiore al 10%, l’appaltatore o il committente possono chiedere l’adeguamento del corrispettivo nella misura eccedente tale soglia (ovvero: per aumenti fino al 10%, la revisione non è ammessa; se l’aumento è del 12%, l’adeguamento è del 2%). Oscillazioni del 10% del prezzo complessivo, quindi, rientrano nell’alea economica ordinaria dell’appalto.
Si tratta di un’ipotesi speciale di eccessiva onerosità sopravvenuta: a differenza di quanto previsto dall’art. 1467 c.c., la parte che subisce questa eccessiva onerosità non può chiedere la risoluzione, ma può soltanto domandare l’adeguamento del prezzo.
Se il prezzo aumenta per circostanze verificatesi quando l’appaltatore è in ritardo nell’esecuzione dei lavori, l’appaltatore stesso non ha diritto alla revisione in quanto l’aumento è a lui imputabile.
In maniera uguale e contraria, l’appaltatore ha diritto alla revisione anche per il primo 10% di aumento, nell’ipotesi in cui la variazione si sia verificata quando il contratto avrebbe dovuto essere già integralmente eseguito e non lo è stato per fatto imputabile al committente.
Sul piano della disciplina contrattuale si può ipotizzare:
- di escludere del tutto la revisione prezzi: l’appalto non diventa aleatorio, ma semplicemente aumenta il rischio economico gravante sull’appaltatore (e, allo stesso modo, sul committente se si esclude la revisione anche in diminuzione);
- si può ridurre o aumentare la percentuale di variazione, oltre la quale la revisione opera.
Un’ultima notazione in materia di giurisdizione: è noto che le controversie tra il committente pubblico e l’appaltatore, in ordine all’esecuzione dell’appalto, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario.
Tuttavia, il comma 3 dell’art. 244 del d.lgs. n. 163/2006 attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative “alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo”. Anche prima del codice del 2006, erano affidate al giudice amministrativo le controversie sull’an del diritto alla revisione, mentre rientravano nella giurisdizione ordinaria le liti sulla sua quantificazione e riscossione.
Pertanto, in relazione ad un provvedimento negativo della revisione, ovvero al silenzio serbato dall’amministrazione sulla richiesta dell’appaltatore, quest’ultimo deve introdurre un giudizio di fronte al giudice amministrativo.
Questo riparto di giurisdizione (probabilmente opinabile sul piano dell’opportunità) sembra fondarsi sulla considerazione che la valutazione della domanda di revisione implica un giudizio, da parte dell’amministrazione, di discrezionalità tecnica.
Il secondo comma dell’art. 1664 disciplina l’ipotesi della c.d. sorpresa geologica.
Si tratta di eventi naturali, non previsti dalle parti al momento della stipulazione del contratto, che abbiano reso “notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore”. In questo caso, l’appaltatore ha diritto ad un equo compenso, che dovrà essere calcolato in relazione alla maggiore onerosità sopravvenuta della prestazione.
Anche in questa ipotesi, quindi, l’appaltatore - a differenza di quanto previsto nella disciplina generale - non può domandare la risoluzione del contratto, ma ha diritto all’adeguamento del compenso (che non subisce la franchigia del 10%).
Sul piano della disciplina contrattuale occorre osservare che anche questa previsione è derogabile; in particolare l’equo compenso:
- può essere escluso del tutto;
- può essere ammesso solo se il costo aumenti oltre un certo limite;
- può essere escluso quando la maggiore onerosità sia imputabile a determinate cause (o perchè sono prevedibili fin dall’inizio e allora comunque la norma non opererebbe; oppure perchè - seppure non ne sia prevedibile il verificarsi - l’appaltatore ne può stimare i costi e può ritenerli sostenibili).
Z chiaro che la “sorpresa geologica” può sconvolgere l’equilibrio economico dell’appalto: escludere in questa ipotesi il compenso può avere poco senso in un appalto di modesta importanza, in relazione al quale un evento rilevante può stravolgere le previsioni dell’appaltatore; mentre appare più ragionevole nell’appalto di un’opera di maggiori dimensioni, in relazione alla quale l’appaltatore può sostenere questo rischio con il maggior utile che gli deriva dalla esecuzione dell’intero appalto.
10 - Recesso
Ai sensi dell’art. 1671, il committente - in qualsiasi momento, anche dopo l’inizio dell’esecuzione della prestazione - può recedere dal contratto, corrispondendo all’appaltatore le spese sostenute, il prezzo dei lavori eseguiti ed il mancato guadagno.
Queste voci sono pressoché identiche a quelle che il committente dovrebbe pagare in caso di risoluzione per suo inadempimento. Il legislatore,
però, ha voluto accordargli il diritto potestativo - che, sulla base delle disposizioni generali, i contraenti non hanno - di liberarsi dal contratto.
Secondo la disciplina generale dei contratti, come è noto, ciascuno dei contraenti può ottenere l’esecuzione dell’accordo anche contro la volontà dell’altra parte. Nell’appalto, invece, il committente può ordinare all’appaltatore di interrompere l’esecuzione del contratto, corrispondendogli le somme indicate nella norma in esame.
L’importo che il committente deve pagare è costituito:
- dal prezzo dei lavori eseguiti, la cui determinazione sarà semplice negli appalti a misura, più complessa negli appalti a corpo;
- dalle spese sostenute dall’appaltatore (che ovviamente non si siano ancora trasformate in lavori e, quindi, non siano compensate dal prezzo di quanto eseguito);
- dal mancato guadagno, che è dato dalla differenza tra il prezzo contrattuale (ovviamente diminuito del prezzo dei lavori eseguiti, che il committente deve pagare per intero) ed i costi previsti per il completamento dell’appalto.
Per quanto riguarda la disciplina contrattuale:
- il diritto di recesso può essere escluso (ma è una previsione contraria alla natura del contratto);
- se ne possono ridurre le conseguenze, per esempio predeterminando l’importo del mancato guadagno, ovvero escludendolo;
- poiché la giurisprudenza non è chiarissima in proposito, è opportuno precisare nel contratto che il recesso è efficace anche se vi è controversia sull’indennizzo ed il committente non l’ha pagato;
- un problema frequente è quello della disponibilità del cantiere. Infatti, se l’appaltatore non lo restituisce spontaneamente, può essere complesso per il committente riappropriarsene: l’appaltatore potrebbe reagire con un’azione possessoria nei suoi confronti. In una recente sentenza (16 ottobre 2008), la Corte d’Appello di Napoli ha affermato che la detenzione qualificata (e quindi meritevole di tutela possessoria) dell’appaltatore - in quanto finalizzata all’esecuzione del contratto - cessa a seguito dell’esercizio del diritto di recesso, che impedisce la prosecuzione dei lavori; pertanto, se il committente receduto rientra nel possesso del cantiere, non commette uno spoglio: l’appaltatore avrebbe dovuto comunque abbandonare l’area nella quale non doveva più svolgere alcuna attività. Z, ovviamente, consigliabile tentare di rendere spontaneo il rilascio del cantiere a seguito del recesso: a questo fine la previsione più efficace potrebbe essere quella di una consistente penale giornaliera, a carico dell’appaltatore, per il ritardo nella restituzione.
11 - Jus variandi
Le variazioni all’oggetto dell’appalto sono disciplinate dagli artt.
1659, 1660 e 1661 del codice civile.
Queste tre norme sono apparentemente chiare, ma è difficile prevedere gli effetti che possono derivare dalla loro applicazione, in quanto contengono definizioni di non univoca interpretazione (“equa indennità”, “notevole entità”, “equo indennizzo”), che impongono di inserire nel contratto una disciplina puntuale delle modalità e delle conseguenze delle varianti.
L’art. 1659 disciplina le variazioni concordate. Z, ovviamente, un’ipotesi non problematica. La norma precisa che, se il prezzo è stato determinato in maniera globale, l’appaltatore non ha diritto ad un compenso per le varianti o le aggiunte.
L’art. 1660 prevede le variazioni necessarie del progetto, ovvero quelle che sono indispensabili perchè l’opera possa essere compiuta a regola d’arte.
L’appaltatore è tenuto ad eseguire queste varianti, con corrispondente adeguamento del corrispettivo, fino al c.d. sesto quinto (in aumento o in diminuzione) del prezzo originario. In altri termini, dato un appalto il cui prezzo era 100, a seguito delle variazioni necessarie il corrispettivo può ridursi ad 80 o aumentare fino a 120. Se le varianti necessarie
comportano un aumento o una diminuzione superiori, l’appaltatore può recedere dal contratto ed “ottenere, secondo le circostanze, un’equa indennità”.
Il committente, invece, può recedere dal contratto solo se le variazioni necessarie “sono di notevole entità” ed in questo caso è tenuto a corrispondere un equo indennizzo (che ovviamente sarà inferiore a quello che dovrebbe pagare nell’ipotesi di recesso ai sensi dell’art. 1671 c.c.).
Infine, l’art. 1661 disciplina le “variazioni ordinate dal committente”.
Se queste variazioni non superano il sesto quinto, l’appaltatore è tenuto ad eseguirle con adeguamento del prezzo. Se superano il sesto quinto, l’appaltatore può rifiutarne l’esecuzione e pretendere di proseguire i lavori come originariamente progettati (salvo ovviamente il diritto di recesso del committente). Se le varianti disposte dal committente comportano riduzioni del prezzo, l’appaltatore avrà diritto all’indennizzo previsto dall’art. 1671 c.c. in materia di recesso (ovvero: rimborso delle spese sostenute e mancato guadagno in relazione ai lavori non eseguiti).
Ai sensi del secondo comma dell’art. 1661 c.c., l’appaltatore non è tenuto alla prosecuzione dei lavori (e, quindi, può pretendere di eseguire il progetto originario), quando si verifichi il c.d. stravolgimento del contratto, cioè variazioni che comportino “notevoli modificazioni della natura dell’opera o dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previste nel contratto”. Si tratta di
un profondo cambiamento qualitativo (anche se non quantitativo in relazione al prezzo) dell’appalto.