L’ART. 83-BIS: EFFETTI DEL FALLIMENTO SUI GIUDIZI ARBITRALI (*)
L’ART. 83-BIS: EFFETTI DEL FALLIMENTO SUI GIUDIZI ARBITRALI (*)
di
Xxxxxxxx Xxxx (**)
Sommario: 1. Il Curatore e l’opzione arbitrale. – 2. Scioglimento del contratto ed improce- dibilità del giudizio arbitrale. – 3. Gli effetti del fallimento sulla convenzione arbitrale. –
4. Sorti del giudizio arbitrale instaurato prima del fallimento (fuori dall’ipotesi di scio- glimento del contratto).
1. Il Curatore e l’opzione arbitrale. – Il legislatore con la novella del 2006 (1) ha inteso occuparsi dei rapporti tra arbitrato e fallimento (2) intro- ducendo l’art. 83-bis con il quale ha predisposto la disciplina degli effetti del fallimento sul procedimento arbitrale; almeno questa è l’idea che si po- trebbe trarre leggendo il titolo (clausola arbitrale) dell’articolo in questio- ne. Del resto, la norma è posta all’interno della sezione IV, capo III, del ti- tolo II dedicata alla regolamentazione degli effetti del fallimento sui rap-
(*) Il presente scritto mi è servito di base per la relazione tenuta al convegno, organiz- zato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, avente ad oggetto «La liquidazione dell’attivo attraverso la conservazione dell’azienda», svoltosi presso la Corte d’Appello di Roma il 5 giugno 2013.
(**) Avvocato in Roma.
(1) La Legge Fallimentare è stata oggetto di numerose modifiche, perché alla prima, ra- dicale riforma attuata con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, hanno fatto seguito il cd. Decreto correttivo e cioè il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 e poi con cadenza quasi annuale si sono succeduti ulteriori interventi, sempre tesi a correggere il tiro, da ultimo (per importanza) è stato introdotto il concordato prenotativo ed è stato subito oggetto di modifiche col cd. «De- creto del Fare». In sintesi, l’impressione che se ne ricava è che il legislatore procede a toppe forzate più che a tappe forzate.
(2) Sul tema dei rapporti tra arbitrato e fallimento, si è formata un’interessante lettera- rura, rimangono comunque fondamentali i contributi di Punzi, Disegno sistematico dell’Ar- bitrato, 2a ed., I, Padova, 2012, pag. 411; Xxxxxxx, in La riforma della legge fallimentare,a cura di Xxxxxxxxx, Bologna, 2006, pag. 176; Xxxxxxxxxx, Compromesso, arbitrato e falli- mento, in Fall., 1996, pag. 413 e ss.; Xxxxxxxxxx, L’amministrazione fallimentare di fronte al- l’arbitrato, in Riv. dir. proc., 1959, pag. 532.
porti giuridici pendenti; inoltre, questa convinzione viene corroborata dal- le profonde, importanti e significativi innovazioni che con la riforma sono state introdotte proprio in subjecta materia. E se tutto ciò non bastasse, il sigillo ad una siffatta idea è costituito dalla Relazione Ministeriale che (for- se pomposamente) afferma che per il tramite di questo nuovo articolo si è
«inserita ex novo la disciplina degli effetti del fallimento in materia di clau- sola arbitrale». Tuttavia, la speranza di avere finalmente una normativa or- ganica in materia di convenzione arbitrale naufraga solo che si legga anche distrattamente il testo dell’art. 83-bis (3). Infatti, la norma non interviene sull’intero e articolato tema dell’arbitrato limitandosi invero ad una singola ed invero piccola frazione, quella della pendenza di un giudizio arbitra- le (4) promosso in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto dal quale il fallimento si è sciolto, e la soluzione del legislatore è stata nel senso dell’improcedibilità dell’arbitrato (5). E così resta il ramma- rico che, pur essendo contemplata l’opzione dell’arbitrato, attraverso l’espressa previsione nell’art. 35 legge fallim. del compromesso stipulato dal curatore, purtroppo non è stata introdotta una disciplina organica del- l’arbitrato né predisposti degli incentivi per favorirne l’utilizzo.
Il curatore può sciogliersi dai contratti pendenti alla data di dichiara-
zione del fallimento, secondo le disposizioni e alle condizioni contenute nell’art. 72 e ss., e la scelta di sciogliersi da un contratto comporta che non può proseguire l’eventuale giudizio arbitrale iniziato ante fallimento (6)e ovviamente scaturente dalla convenzione arbitrale inserita in quel contrat- to. È, quindi, evidente che la norma ha una portata molto limitata perché non disciplina, almeno direttamente, molte ipotesi di arbitrato quale – per esempio – quella del contratto già portato a termine ed esaurito prima del fallimento di una delle parti. Dunque, l’arbitrato, una volta che il curatore si è sciolto dal contratto, non può essere proseguito. Da questo quadro si
(3) Sulla residualità di questa norma e sulla sua mancata esaustività, x. Xxxxxxxx, in La riforma della legge fallimentare, a cura di Xxxxx-Xxxxxxxx, Torino, 2006, I, pag. 491; Sot- giu, Rapporti tra arbitrato e procedure concorsuali, in Punzi, Disegno sistematico dell’arbitra- to, III, cit., pag. 484 e ss.
(4) Peraltro, la norma non distingue fra arbitrato rituale ed irrituale e questo induce a ritenere che si applichi ad entrambe le forme di arbitrato, di questo avviso è anche Bove, Ar- bitrato e fallimento, in xxx.xxxxxxxx.xx, 2012, pag. 7 nota 22.
(5) Xxxxx evidenziare che la disposizione si applica non solo alle ipotesi in cui il curato- re (debitamente autorizzato) decide di sciogliersi da un contratto, ma anche ai non pochi casi di scioglimento ipso iure (artt. 72-bis, 76, 77 e 78), cfr. sul punto Apice-Xxxxxxxxxx, Il falli- mento e gli altri procedimenti di composizione delle crisi, Torino, 2012, pag. 223.
(6) A tal proposito, una autorevole dottrina sostiene che l’operatività dell’art. 83-bis legge fallim. è circoscritta alla sola ipotesi che gli arbitri non abbiano ancora accettato l’inca- rico, perché con l’accettazione sorge il rapporto processuale che non può più venir meno no- nostante l’intervenuto fallimento di una delle parti, così Apice-Xxxxxxxxxx, op. cit., pagg. 221 e 222.
può trarre la conclusione che il legislatore ha sbagliato la sede della norma che non andava inserita tra gli articoli che regolano i rapporti pendenti bensì nella I sezione all’interno della disciplina dei rapporti processuali (7). Non solo. Il legislatore ha perso l’occasione di regolamentare in generale i rapporti fra arbitrato e fallimento e soprattutto l’utilizzo dello strumento arbitrale quale modo per il fallimento di risoluzione delle liti (8).
Questo è un tema di ampio respiro perché riguarda il ruolo del curato- re (ma in realtà di tutti gli organi del fallimento) di fronte alla (patologica) crisi della giustizia: la ricerca di strumenti alternativi al processo statale per la definizione delle liti involge e coinvolge tutti i fallimenti o, più precisa- mente, tutti quei fallimenti che comportano un contenzioso: sorge la neces- sità di una fuga dal processo. Infatti, il problema della crisi della giustizia è ormai atavico, sebbene non ci si possa a ciò rassegnare, ed anzi la perdu- rante lunghezza dei processi deve far riflettere sul declino del cd. principio della priorità della giurisdizione e sulla contemporanea esigenza di dar at- tuazione al principio della cd. sussidiarietà della giurisdizione (9).
(7) Della stessa opinione è Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Pado- va, 2009, pag. 332, che considera un fuor d’opera l’inserimento della norma all’interno della disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti pendenti.
(8) Peraltro, la legge fallimentare (in specie l’art. 35) non distingue fra arbitrato rituale ed irrituale; in prima battuta si potrebbe affermare che entrambe le forme di arbitrato siano ammesse, tuttavia un’analisi più approfondita porta a concludere che, se in astratto è con- sentito ricorrere anche all’arbitrato libero, in concreto questo non può essere scelto dal falli- mento per definire delle liti, perché, a sommesso avviso di chi scrive, questo tipo di arbitrato è incompatibile con i principi che regolano il fallimento, in primis l’esigenza di celerità e spe- ditezza dell’intero procedimento concorsuale: l’arbitrato irrituale mal si concilia con questa preminente esigenza. Infatti, il lodo reso a seguito di un arbitrato libero può essere oggetto di impugnative negoziali ovvero posto a fondamento di un procedimento monitorio: in ogni caso, il mancato adempimento comporta l’instaurazione di un giudizio di cognizione con tutti i relativi gradi di giudizio di guisa che i tempi di definizione della lite si allungano, ri- spetto ad una causa davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, perché accanto e prima del contenzioso giudiziale si svolge il procedimento arbitrale; aumento dei tempi di lite che si ri- flettono su quelli della procedura fallimentare. Non solo si allungano i tempi, ma aumentano anche i costi, che si duplicano: prima le spese arbitrali e poi quelle giudiziali. Discorso del tutto diverso vale invece per l’arbitrato rituale, il cui giudizio sostituisce, abbreviandolo in termini di tempo, tutto il primo grado di giudizio, mentre le impugnazioni avverso il dictum degli arbitri hanno un ambito molto circoscritto, in particolare l’impugnazione per nullità, che è limitata ai motivi tassativamente indicati dall’art. 829 c.p.c., e quindi il loro uso è forte- mente ristretto con conseguenti minori tempi per la risoluzione della controversia. L’arbitra- to scelto dal fallimento come modo di risoluzione di liti pone alcuni quesiti alla luce della scarna disciplina positiva; sul tema, in particolare con riferimento alla convenzione arbitrale stipulata dal curatore, debitamente autorizzato, ci si permette rinviarea Xxxx, La stipula del patto compromissorio e la nomina degli arbitri nelle procedure concorsuali, in Riv. dir. fall., 2013, pag. 421 e ss.
(9) La funzione giurisdizionale è fondamentale ed ineliminabile, il principio della cen- tralità della giurisdizione è fondante in qualunque democrazia ma dirò di piùè proprio di qualunque ordinamento statale, come osservava Satta, il primo atto posto in essere da un
Ma si può andare oltre, la giurisdizione – intesa ovviamente come ac- certamento non come tutela esecutiva – può ben essere affidata a soggetti privati. Ecco così la possibilità, ma direi piuttosto l’opportunità per il cura- tore di compromettere in arbitri la lite. Inoltre, stante la crisi della giustizia statale, il ricorso a strumenti alternativi di risoluzione della lite quali la me- diazione e l’arbitrato diventano non più una mera opportunità bensì un ve- ro dovere per gli organi del fallimento, ed in primis per il curatore, il quale nel metter mano al programma di liquidazione deve porsi il problema di unoo più strumenti per una rapida risoluzione delle eventuali controversie cui può ovvero deve andare incontro. Si pensi alle controversie che il falli- mento «subisce», all’ipotesi – per esempio – in cui l’affittuario o l’acqui- rente dalla procedura concorsuale di un’azienda agiscono nei confronti del fallimento per i motivi più variopinti pur di sottrarsi ai propri obblighi o per ottenere una riduzione del prezzo; in questi casi, la pendenza di con- troversie impedisce la chiusura del fallimento, ma soprattutto impedisce il riparto delle somme incassate dalla vendita o dall’affitto dell’azienda: si tratta di un’evenienza particolarmente grave perché incide sul tessuto so- ciale (si pensi ai crediti dei lavoratori che restano insoddisfatti) e sul tessuto economico (si pensi ai fornitori). In altri termini, la liquidità realizzata dalle dismissioni invece di essere reimmessa nel circuito delle famiglie e delle im- prese viene drenata.
Se tutto ciòè vero, diventa compito degli organi del fallimento quello di ipotizzare soluzioni rapide per le eventuali liti (10): i creditori potrebbe-
nuovo stato è l’istituzione di un Tribunale: ogni rivoluzione per prima cosa istituisce un tri- bunale rivoluzionario; l’esigenza di giustizia è insita in ogni società. Della giurisdizione non si può fare a meno e lo Stato deve costituzionalmente garantire ad ogni cittadino la tutela giuri- sdizionale. Ma altro è il principio della priorità della giurisdizione cui noi italiani siamo par- ticolarmente legati: quando sorge una lite noi siamo naturalmente portati a pensare che la sua risoluzione debba essere affidata ai Giudici dello Stato. Non è (più) così: un approccio maturo, moderno e se vogliamo globalizzato deve essere nel senso che le liti vanno risolte at- traverso il dialogo; id est quella che in termini giuridici è la negoziazione oppure attraverso l’intervento di un terzo imparziale. Solo quando non si riesce a comporre amichevolmente una lite si deve andare dal giudice. Questo è il cd. principio di sussidiarietà della giurisdizio- ne (come efficacemente posto in rilievo proprio dalla scienza processualcivilistica, si pensi a Xxxxx, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, pag. 1205 e ss.; Xxxxxx, La conciliazione stragiudiziale come metodo di ADR, in Foro it., 2003, V, pag. 165 e ss.).
(10) Xxxxxxxx, la stipula del patto compromissorio rappresenta un momento di forte co- ralità degli organi della procedura dovendovi tutti partecipare, con il giudice delegato ed il comitato dei creditori, che, sebbene con competenze diverse, partecipano entrambi alla for- mazione dell’atto e, in ultima analisi, all’autorizzazione e soprattutto alla proposizione del- l’arbitrato. Infatti, per giungere alla stipula della convenzione arbitrale, occorre innanzitutto una funzione propositiva del curatore, che all’esito di una valutazione di opportunità reputi conveniente compromettere in arbitri le eventuali liti già sorte ovvero nascenti da un contrat- to e questa valutazione deve poi essere condivisa e fatta propria dal comitato dei creditori, al
ro a buon diritto lamentarsi di un’attività di liquidazione che non ha previ- sto una soluzione al problema della crisi della giustizia.
La comune obiezione all’uso della mediazione e soprattutto dell’arbi- trato consiste nel loro costo (ovviamente una procedura di negoziazione non ha costi per il fallimento perché svolta direttamente dal curatore, salvo che non voglia farsi assistere da un avvocato). Non vi è dubbio che media- zione e arbitrato hanno un costo senz’altro elevati, quanto meno se lo si pa- rametra al costo economico di un processo ordinario.
Tuttavia, questa constatazione vale nella misura in cui l’approccio alle ADR è un approccio basico o meglio superficiale. Infatti, il costo di una mediazione o di un arbitrato può essere concordato sia con chi gestisce l’ADR sia con la controparte. Nulla vieta – per esempio – che il curatore stipuli un accordo in virtù del quale sarà la controparte a farsi carico per in- tero delle spese di mediazione o di arbitrato, almeno tutte le volte che sarà questa a promuovere la controversia.
Ancora, il curatore potrebbe (debitamente autorizzato) concordare in anticipo con un organismo di mediazione o con il mediatore oppure con la camera arbitrale o con gli arbitri il loro compenso. Xxxx, si potrebbe ipotiz- zare che sia il tribunale fallimentare a stringere delle convenzioni con le ca- mere arbitrali o di mediazione oppure direttamente con i professionisti che assumeranno questi incarichi. Per queste vie, il costo economico di una ADR viene considerevolmente ridimensionato rendendo senz’altro appeti- bile, oltre che efficiente ed efficace, l’uso di questi strumenti ad finiendam litem.
2. Scioglimento del contratto ed improcedibilità del giudizio arbitrale. – Venendo in medias res, il primo profilo da esaminare concerne il significato concreto della norma contenuta nell’art. 00-xxx xxxxxx xx xxx xxxxxxx deve essere valutata non tanto con il metro giuridico quanto piuttosto con quel- lo economico: il curatore è libero di scegliere se sciogliersi o meno dal con- tratto principale, tuttavia questa scelta, se è pendente un giudizio arbitrale attivato in virtù di una clausola compromissoria prevista in quel contratto, è foriera di conseguenze economiche laddove il curatore decida per lo scio-
quale è attribuito il potere di autorizzare la firma della convenzione ai sensi del novellato art. 35 legge fallim. ovvero ai sensi dell’art. 104-ter; ma il patto prevede anche la partecipazione del giudice delegato (e non solo tutte le volte in cui si sostituisce ex art. 41, co. 4, legge fallim. al comitato dei creditori), il cui potere di controllo e vigilanza si manifesta in due direzioni: la prima consiste nell’essere previamente informato, se il patto comporta la compromissione in arbitri di una lite di valore superiore ai 50.000,00 euro (art. 35, co. 3, legge fallim.), ovvero nell’autorizzarlo ai sensi dell’ottavo comma dell’art. 104-ter legge fallim.; la seconda consiste nel suo potere di nomina degli arbitri come previsto dal nuovo art. 25 n. 7 legge fallim.; in ar- gomento, x. Xxxx, La stipula del patto compromissorio e la nomina degli arbitri nelle procedu- re concorsuali, cit., pag. 434 e ss.
glimento. Infatti, dire (11) che lo scioglimento comporta l’improseguibilità dell’arbitrato vuol dire in realtà che questa scelta viene sanzionata con l’im- procedibilità che si sostanzia per il fallimento nell’impossibilità di giovarsi dell’esito positivo di quel giudizio. Mi spiego. Qualunque giudizio, anche quello arbitrale, non sopravvive mai alla dichiarazione di fallimento tutte le volte in cui i diritti lì fatti valere devono essere accertati con le forme e i modi previsti dalla legge fallimentare; per tutte le liti cd. passive vige la vis attractiva del tribunale fallimentare, il diritto reale o personale vantato dal terzo nei confronti dell’imprenditore poi fallito deve essere accertato nelle forme dell’accertamento del passivo. Solo i giudizi attinenti alle liti cd. atti- ve possono proseguire, gli altri sono destinati all’estinzione per poi essere eventualmente riproposti secondo gli schemi processuali fissati dalla legge fallimentare nel rispetto della par condicio creditorum (12) secondo la regola generale posta dall’art. 52, co. 2, legge fallim.
Pertanto, l’improseguibilità sancita dall’art. 83-bis, con riferimento alle liti passive, nulla aggiunge alle regole generali già previste dalla legge falli- mentare; la sua portata innovativa si esplica unicamente in relazione alle liti attive che non possono essere coltivate attraverso la prosecuzione del giu- dizio arbitrale. Il curatore – è questo il senso della norma – deve sapere che, se si scioglie dal contratto, rinuncia ai vantaggi che stava per acquisire con il giudizio arbitrale. È una forma di ritorsione: è vero che le ragioni cre- ditorie non andranno perdute perché potrà essere comunque promosso un giudizio davanti l’autorità giudiziaria ordinaria ma è del pari vero che ciò comporta per il fallimento una perdita di tempo ed una perdita di denaro. Perdita di tempo sotto vari profili: innanzitutto, perché vuol dire dover ri- proporre ex novo il giudizio, poi perché il giudizio davanti al giudice xxxxxx è naturalmente più lungo del giudizio davanti agli arbitri, ancora perché, nella collassata situazione in cui versa da decenni (cioè già in epoca ben an- teriore alla riforma della legge fallimentare) la giustizia civile, il giudizio or- dinario è patologicamente più lungo di quello arbitrale. è appena il caso di sottolineare che questa perdita in termini di tempo si risolve in un danno economico per il fallimento (recte, per i creditori dell’impresa fallita) in quanto allontana il momento dell’effettivo recupero e di conseguenza il ri- parto delle relative somme. Perdita di denaro, perché abbandonare il giu- dizio arbitrale ed intraprenderne un altro ordinario comporta, oltre al co-
(11) È stato giustamente osservato che l’art. 83-bis legge fallim. obbliga il curatore a da- re la stessa sorte al contratto e all’arbitrato (che da quello trae origine), v. De Santis, Xxxx’op- ponibilità al curatore fallimentare della convenzione di arbitrato stipulata dal fallito, alla luce delle riforme della legge concorsuale, in Studi offerti a Xxxxxxxx Xxxxx, Napoli, 2010, pag. 364.
(12) Si tratta di un punto assolutamente pacifico, v. da ultimo Apice-Xxxxxxxxxx, Il fallimento e gli altri procedimenti di composizione delle crisi, cit., pag. 219.
sto di questo nuovo giudizio, un debito in relazione all’attività arbitrale fin là svolta e cioè il pagamento del compenso verso il legale della società falli- ta e verso gli arbitri per la loro prestazione.
Passando all’analisi del testo normativo, possiamo innanzitutto osser- vare che il legislatore ha utilizzato un termine tecnico (proseguito) che ri- troviamo nell’art. 51 legge fallim. in tema di divieto di azioni esecutive e cautelari e soprattutto negli artt. 110, 111, 290 e 305 c.p.c., laddove sono regolamentati proprio gli eventi che colpiscono una delle parti in causa e in questi casi è usato in positivo nell’ottica di rimuovere l’ostacolo per far proseguire il processo, mentre nell’art. 382 c.p.c. è usato in negativo come causa di cassazione senza rinvio. Si pone così il tema del carattere definiti- vo o meno dell’improseguibilità dell’arbitrato; il giudizio arbitrale si con- clude a seguito dello scioglimento del contratto ovvero entra in una fase di quiescenza nel quale resta fin quando non viene rimosso l’evento (dichiara- zione di fallimento) che ha colpito l’imprenditore? La soluzione preferibi- le, in linea con la ratio della norma che sopra abbiamo cercato di individua- re, è quella della estinzione del giudizio arbitrale; questo è stato legittima- mente promosso ma è intervenuto un evento che impedisce la sua naturale conclusione cioè si è verificata una di quelle ipotesi contemplate nell’art. 382, ult. co., c.p.c. (13).
A sostegno di questa soluzione militano anche altri argomenti, fra que-
sti l’opponibilità al fallito tornato in bonis delle scelte compiute dal curato- re e la disciplina codicistica dell’arbitrato che non consente fasi di quie- scenza al di fuori di quelle stabilite dal codice di rito ed infine l’irrazionalità di tener aperto (seppur in una fase dormiente) l’arbitrato con gli arbitri che dovrebbero mantenere per un tempo indefinito (e comunque lungo) la lo- ro carica con tutte le conseguenze anche ai sensi dell’art. 815 c.p.c. in mate- ria di incompatibilità.
Ovviamente, si estingue il giudizio arbitrale con riferimento alle liti che involgono l’imprenditore fallito; se l’arbitrato contempla una pluralità di parti con diritti che travalicano quelli del fallimento, il giudizio potrà pro- seguire, salvo quanto previsto dall’art. 816-quater c.p.c., ed il lodo avrà effi- cacia nei confronti di tutte le altre parti rimanendo invece inopponibile al fallimento.
L’estinzione del giudizio arbitrale ovviamente non travolge l’attività compiuta fino alla dichiarazione di fallimento, in particolare sopravvive l’eventuale lodo non definitivo o parziale reso ante fallimento (14). In que-
(13) Si tratta di un’ipotesi in cui sopraggiunge una carenza assoluta di potestas iudican- di, cfr. in argomento da ultimo Cass. 4 aprile 2012, n. 5375.
(14) Sulla distinzione fra lodo non definitivo su questioni e lodo parziale di merito, x. Xxxxx, op. cit., I, pag. 379 e ss.; Id, op. cit., II, pag. 499 e ss., quanto al diverso regime impu- gnatorio.
sto caso, si pone il problema della stabilità degli effetti del lodo. Infatti, l’art. 827, ult. co., c.p.c. dispone che il lodo che decide parzialmente il me- rito è immediatamente impugnabile, mentre quello che risolve delle que- stioni lo è solo unitamente al lodo definitivo. Quindi, il lodo che ha deciso unao più (ma non tutte le) domande può essere passato in giudicato alla data di dichiarazione del fallimento e di conseguenza il suo contenuto con- dannatorio sarà opponibile al fallimento, se invece è ancora impugnabile ovvero è in corso il giudizio di impugnazione la pretesa reale o personale del terzo sarà ammessa con riserva ex art. 96, co. 3 n. 3, legge fallim. (in ar- gomento v. infra § 4), con l’onere per il curatore di dover impugnare o col- tivare l’impugnazione avverso il lodo parziale (15).
Un altro profilo da esaminare attiene alla facoltà di scelta del curatore: infatti, può accadere che la scelta del curatore se sciogliersi o meno dal contratto intervenga a distanza di tempo dalla dichiarazione di fallimento, magari su sollecitazione dell’altro contraente ex art. 72 legge fallim.; si po- ne, in altri termini, il problema della condotta che gli arbitri devono tenere una volta che sia intervenuto il fallimento di una delle parti. Questa even- tualitàè regolata dall’art. 816-sexies c.p.c. che, nel caso di perdita della ca- pacità legale di una parte, impone agli arbitri di assumere misure idonee per garantire la prosecuzione del giudizio nel rispetto del principio del contraddittorio contemplando in capo agli arbitri un potere discrezionale di sospendere l’arbitrato: gli arbitri, quindi, una volta saputo che una parte è fallita saranno tenuti a sospendere il giudizio arbitrale disponendo nel contempo che l’altra parte si attivi ai sensi dell’art. 72, comma 2, perché il curatore dichiari di subentrare o meno nel contratto.
Infine, dobbiamo porre l’attenzione sul fatto che la norma contenuta
nell’art. 83-bis fa espresso riferimento all’arbitrato sorto in virtù di una clausola compromissoria: nulla dice in merito ad un giudizio arbitrale (sempre relativo ad un contratto da cui il fallimento si scioglie) originato da un patto compromissorio ex art. 807 c.p.c. Il silenzio legislativo non può essere interpretato come consenso alla prosecuzione di quell’arbitrato: la pessima tecnica giuridico-redazionale del nostro legislatore è cosa risaputa, ma proprio per questo non può condurre ad una irrazionale ed irragione- vole disparità di trattamento fra due procedimenti arbitrali che sono asso- lutamente identici; il fatto che l’accordo di rivolgersi ad arbitri si atteggi in forme diverse è un fatto estraneo ed antecedente al giudizio arbitrale ed è
(15) Per il lodo non definitivo su questioni, che per esempio ha rigettato una questione preliminare di merito, si pone il problema che l’impugnazione può essere proposta solo in- sieme al lodo definitivo, che tuttavia nel caso di specie non verrà mai adottato. Questo caso non è stato regolamentato dal legislatore e, dunque, resta all’interprete trovare una soluzione e quella preferibile sembrerebbe essere che l’onere dell’impugnazione scatta una volta che l’arbitrato si sia comunque concluso. Sul tema x. Xxxxx, op. cit., II, pag. 504.
quest’ultimo che l’art. 83-bis legge fallim. ha inteso regolare (16), di conse- guenza diventa improcedibile anche l’arbitrato originato da un compromes- so per una lite relativa ad un contratto dal quale il fallimento si è sciolto.
3. Gli effetti del fallimento sulla convenzione arbitrale. – Il fallimento può ereditare dal debitore fallito una convenzione arbitrale (17), nelle sue diverse manifestazioni (compromesso, clausola arbitrale o patto d’arbitra- to in materia non contrattuale), che – nella ricorrenza dei requisiti previsti dalla legge – può essere opponibile, recte acquisibile al fallimento secondo la disciplina dettata dall’art. 72 legge fallim. Il compromesso e la conven- zione ex art. 808-bis c.p.c. soggiacciono alla normativa posta dall’art. 72 legge fallim. alla stregua di qualsiasi altro contratto: l’ufficio fallimentare può scegliere tra lo scioglimento o la prosecuzione del patto compromisso- rio a seconda che sia ancora ineseguito ovvero non abbia avuto completa esecuzione prima della dichiarazione di fallimento. Se al patto compromis- sorio non ha fatto seguito nessun atto delle parti (nomina degli arbitri con domanda d’arbitrato o domanda d’arbitrato in caso di arbitri nominati nel compromesso) e, dunque, l’arbitrato non è iniziato, si ricade pacificamente nella fattispecie normativa del contratto ancora ineseguito, mentre la diver- sa ipotesi di compimento di atti successivi alla stipula della convenzione ar- bitrale rientra nella fattispecie del contratto non compiutamente eseguito da entrambe le parti: ma qui viene in rilievo il problema della individuazione dell’inizio del procedimento arbitrale. Se si aderisce all’orientamento della giurisprudenza, secondo la quale la domanda d’arbitrato determina l’inizio dell’arbitrato (18), la fattispecie del contratto che non ha avuto completa esecuzione prima della dichiarazione di fallimento non si configura perché gli effetti del compromesso si sono tutti perfezionati e di conseguenza la di- sciplina dettata dall’art. 72 legge fallim. non si applica; al contrario, aderen- do alla tesi di buona parte della dottrina per la quale il perfezionamento degli effetti del compromesso si hanno solo con l’accettazione degli arbi- tri (19), la normativa prevista dall’art. 72, comma 1, legge fallim. è applica-
(16) In questo senso, cfr. Bove, Arbitrato e fallimento, cit., 10; Canale, in Il nuovo dirit- to fallimentare, diretto da Xxxxx e coordinato da Xxxxxxx, sub art. 83-bis, I Bologna, 2006, pag. 1345.
(17) È da tempo tramontata l’ipotesi dell’incompatibilità tra patto compromissorio sti- pulato dall’imprenditore poi fallito e fallimento; v. sul punto Apice-Xxxxxxxxxx, op. cit., 218 nota 50; Xxxxxxxxxx, L’arbitrato nelle procedure concorsuali, in L’arbitrato. Profili so- stanziali a cura di Xxxx, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da Bigiavi, Torino, 1999, II, pag. 977 e ss.
(18) V. coeteribus Cass. 21 luglio 2004, n. 13516, in Corr. Giur., 2005, pag. 651 con nota di Xxxxxx, La litispendenza arbitrale prima e dopo la novella del 1994: rapporto processuale e rapporto negoziale parti-arbitri.
(19) Cfr. Xxxxx, Commentario al Codice di procedura civile, IV, 2, Milano, 1959, pag.
bile ed il curatore potrà, debitamente autorizzato, subentrare o meno nella convezione arbitrale. Peraltro, la disciplina dell’art. 72 legge fallim. si ap- plica non solo al compromesso, ma anche alla clausola compromissoria al- meno tutte le volte in cui il contratto cui accede ha avuto completa esecu- zione (20). La sorte della clausola è solo apparentemente disciplinata dal- l’art. 83-bis legge fallim.; difatti, l’analisi della nuova normativa contenuta nell’art. 83-bis induce a ritenere – si ripete, v. supra § 2 – che questo artico- lo, invece di regolare l’efficacia della clausola compromissoria contenuta in un contratto stipulato dal fallito in bonis, si limiti a disciplinare la sola ipo- tesi di un arbitrato pendente alla data di dichiarazione del fallimento di- sponendone l’improcedibilità allorché il curatore si sciolga dal contratto che conteneva la clausola compromissoria. A favore di questa soluzione, e cioè dell’applicabilità della normativa posta dall’art. 72. legge fallim. anche alla clausola compromissoria, militano diversi argomenti.
Innanzitutto, la clausola compromissoria è un contratto, al pari delle
altre convenzioni arbitrali, e come tale soggiace alle regole poste dall’art. 72 legge fallim. Non vi possono essere dubbi che la clausola sia un contrat- to, nonostante si sia sostenuto che proprio l’introduzione dell’art. 83-bis legge fallim. confermi la negazione dell’autonomia della clausola compro- missoria dal contratto cui accede (21) avendo il legislatore legato la sorte di quella alla sorte di questo: infatti, è da considerare che la clausola compro- missoria ha propri requisiti di validità ed efficacia, distinti da quelli del contratto cui accede, tanto è vero che questo patto può essere concordato e sottoscritto in epoca diversa dalla stipula del contratto le cui controversie
275; Xxxxxxxxx, V. Processo Arbitrale, in ffnc. dir., XXXVI, Milano, 1987, 307; Punzi, op. cit., pag. 48 ss.
(20) Qualche perplessità sorge quando il contratto è ancora pendente perché in questo caso ragioni di coerenza sistematica potrebbero portare a ritenere che le sorti della clausola compromissoria seguano quelle del contratto, v, in questo senso Trib. Terni 7 febbraio 2001, in xxx.xxxxxx.xx, doc. 3448. Tuttavia, alla luce del nuovo art. 169-bis, legge fallim. si può op- porre che sono state sacrificate proprio queste ragioni di coerenza sistematica per favorire uno strumento più celere e flessibile di risoluzione delle controversie. Nella direzione indica- ta nel testo sembra porsi Trib. Roma 31 ottobre 2011, in Foro it., 2012, I, pag. 558 secondo la quale occorre una espressa accettazione della clausola (anche) quando il fallimento subentra in un contratto.
(21) Di questo avviso, Xxxxxxxxxx Xxxxx, L’art. 83-bis legge fallim. e i problemi irrisolti nei rapporti tra fallimento e giudizio arbitrale, in Studi offerti a Xxxxxxxx Xxxxx, cit., pag. 377; Zucconi Xxxxx Xxxxxxx, Arbitrato, Commento al Titolo VIII del libro IV del codice di pro- cedura civile, sub art. 80ł, a cura di Carpi, Bologna, 2008, 116; tuttavia, questo argomento è ora normativamente contraddetto dalla previsione dell’art. 169-bis, co. 3, legge fallim. (intro- dotto con la L. 134/2012, vulgo nomata «Decreto Sviluppo»), secondo la quale nell’ambito del concordato preventivo «lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compro- missoria in esso contenuta»: si tratta di una disposizione di segno opposto a quella disciplina- ta nell’art. 83-bis, che dunque toglie in ordine alla natura della clausola ogni valenza dogma- tica ad entrambi gli articoli della legge fallimentare.
va a regolare; e la sua autonomia altro non è che un’espressione del suo es- sere un contratto a se stante, sebbene il suo oggetto sia inscindibilmente le- gato al contratto le cui liti vengono compromesse in arbitri (22). Se tutto ciò è vero, la scelta del legislatore è semplicemente coerente con queste carat- teristiche della clausola arbitrale.
Un altro argomento, a suffragio dell’autonomia della clausola, attiene proprio alla nuova disciplina introdotta dall’art. 83-bis legge fallim. in quanto la norma prevede e regola una sola ipotesi, che non attiene all’effi- cacia di un contratto (la clausola compromissoria), ma alla pendenza di un giudizio (arbitrale); si può criticare la scelta di collocare questa norma al- l’interno della sezione IV del capo III in quanto sede non appropriata, co- me si può ritenere che l’intento del legislatore fosse più ampio, ma tant’è: la disposizione disciplina esclusivamente l’effetto dello scioglimento da un contratto su un arbitrato relativo ad una controversia nascente da quel contratto e ciò non ha nulla a che vedere con gli effetti della dichiarazione di fallimento su una clausola compromissoria, che restano regolati dall’art. 72 legge fallim.
4. Sorti del giudizio arbitrale instaurato prima del fallimento (fuori dal- l’ipotesi di scioglimento del contratto). – L’art. 83-bis legge fallim. è la prova che la dichiarazione di fallimento di per sé non travolge un arbitrato pro- mosso in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento; infatti, leggendo la norma a contrario emerge che l’arbitrato prosegue se il curatore non si scioglie dal contratto e così se ne può ricavare un principio generale che è quello che l’arbitrato è insensibile al fallimento di una delle parti: un proce- dimento arbitrale, che nasce da una clausola compromissoria contenuta in un contratto che si è concluso ed ha esaurito i suoi effetti ovvero da un compromesso, o più in generale da una convenzione arbitrale (anche ex art. 808-bis), prosegue dopo la dichiarazione di fallimento di una delle par- ti ed addirittura non si interrompe, a differenza di quanto accade per un processo ordinario. Il concorso fra procedura arbitrale e procedura con- corsuale trova un unico, inossidabile, limite segnato dalle materie che de- vono essere decise necessariamente ed unicamente dal tribunale fallimen- tare (23).
(22) La giurisprudenza ha avuto modo di affrontare il nodo della accessorietà o meno della clausola e ha ripetutamente affermato che si tratta di un contratto ad effetti processuali, che non costituisce un accessorio del contratto nel quale è inserito, ma ha una propria indivi- dualità e autonomia, nettamente distinta da quella del contratto cui accede, cfr. Cass. 31 ot- tobre 2011, n. 22608; Cass. 12 aprile 2005, n. 7535; Cass. 14 aprile 2000, n. 4842; in dottrina
x. Xxxxx, op. cit., I, pag. 653 e ss.
(23) Con ciò ci si vuole riferire a quei diritti personali e reali vantati verso l’imprendito- re fallito che devono essere vagliati con le forme dell’accertamento del passivo, perché nulla
In presenza di una di queste materie il giudizio arbitrale è improcedibi- le, tuttavia l’arbitrato non si interrompe ex art. 43 come avviene per i giudi- zi davanti l’autorità ordinaria; in proposito è da osservare che l’arbitrato non conosce l’istituto della interruzione (24), tanto è vero che la disciplina relativa al cd. evento interruttivo che può colpire una parte prevede da un lato un’attività propositiva degli arbitri (che impartiscono le misure idonee per la prosecuzione del giudizio garantendo il rispetto del diritto di difesa) e dall’altro la discrezionale applicazione dell’istituto della sospensione. Pertanto, gli arbitri, in caso di fallimento di una delle parti, provvederanno ai sensi dell’art. 816-sexies c.p.c. e successivamente dichiareranno l’impro- cedibilità dell’arbitrato se per la res litigiosa è competente in via esclusiva il tribunale fallimentare; fuori dai casi in cui opera la vis attractiva del foro fallimentare, l’arbitrato potrà regolarmente svolgersi e concludersi con una decisione nel merito.
Nel perimetro del giudizio arbitrale pendente rientrano anche le ipote-
si del lodo emesso prima della dichiarazione di fallimento e per il quale non sono scaduti i termini per la sua impugnazione ovvero del lodo avverso il quale è pendente un’impugnazione.
Tecnicamente il giudizio arbitrale è ancora pendente proprio perché il dictum degli arbitri è ancora impugnabile ovvero è stato impugnato: questo tema si pone in termini più ampi perché attiene non solo alle liti attive ma anche a quelle passive. Rispetto alle liti attive, se l’esito è stato favorevole, il fallimento potrà senz’altro porre in esecuzione il lodo (ed il soccombente impugnarlo); se invece il lodo ha visto soccombere l’imprenditore poi falli- to, il fallimento potrà impugnarlo ovvero coltivare l’impugnazione. Discor- so diverso per le liti passive e, dunque, per il rapporto tra lodo e ammissio- ne al passivo: la legge fallimentare non regola direttamente questa fattispe- cie, mentre dispone per le sentenze ancora impugnabili che il credito da queste portato deve essere ammesso con riserva potendo il curatore impu- gnarle. Non vi è motivo per non applicare questa disciplina anche al lodo ancora impugnabile (25); del resto, a suffragio di questa tesi è sufficiente ri- chiamare l’art. 824-bis che attribuisce al lodo gli effetti di una sentenza: in- fatti, l’art. 96, co. 3, legge fallim. prevede espressamente l’ammissione con
osta a che le azioni nascenti dal fallimento, quale per esempio l’azione revocatoria, siano trat- tati e decisi in sede arbitrale.
(24) L’interruzione è un istituto estraneo all’arbitrato, che con proprie regole (dettate dal codice di rito) disciplina gli eventi ad esso sottostanti e connessi; x. xxx xxxx, Xxxxxx, Xx- bitrato e fallimento, Padova, 1996, pag. 97 e ss.; Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2010, pag. 123.
(25) La dottrina è sostanzialmente concorde in materia, x. Xxxx, Arbitrato e fallimento, cit., pag. 7, Montanari, Lodi rituali e verifica dei crediti nel fallimento dopo la riforma, in Studi offerti a Xxxxxxxx Xxxxx, cit., pag. 529, e prima della riforma del 2006 v. Vincre, Arbi- trato e fallimento, cit., pag. 113.
riserva con riferimento alla sentenza «del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato» e l’art. 824-bis dispone che dall’ultima sottoscrizione il lodo ha gli effetti della sentenza «pronunciata dall’autorità giudiziaria» e così, in considerazione dell’equivalenza dei termini usati nei due articoli, è lecito ritenere che si possa applicare direttamente il regime previsto dal- l’art. 96, co. 3, al lodo ancora impugnabile.
Qualche dubbio, infine, pone il lodo irrituale sia perché non vi è un termine entro il quale deve essere impugnato sia perché non equivale ad una sentenza. Infatti, l’arbitrato libero conduce ad una determinazione con- trattuale e di conseguenza non è applicabile la normativa ex art. 96, co. 3 n. 3, legge fallim.; piuttosto il terzo potrà porre il lodo quale titolo per un’istanza di ammissione al passivo ed il curatore contestare quel titolo ed impugnarlo e soprattutto potrà sciogliersi da quel lodo ai sensi dell’art. 72 legge fallim. (26).
(26) Nel senso indicato nel testo, x. Xxxxxx, op. cit., pag. 426; ovviamente a conclusione diversa, e cioè per l’applicabilità della disciplina dell’ammissione con riserva, si potrebbe pervenire aderendo alla tesi dell’unitarietà del fenomeno arbitrale, cfr. Xxxxxxxx, in Aa.Vv., Codice di procedura civile commentato, 4a ed., diretto da Xxxxxxx, Milano, 2010, III, sub art. 808-ter, pag. 1263; Xxxxxxx, v. Arbitrato (dir. proc. civ.), in Il Diritto ffnc. giur. Sole 24 Ore, Milano, 2007, I, pag. 554 e ss. Tuttavia, a sommesso avviso di chi scrive, l’unitarietà del fenomeno arbitrale non elimina il differente regime impugnatorio e di effetti tra le due forme di arbitrato che si riflette sulla disciplina applicabile in sede fallimentare.