Contract
I CONTRATTI DERIVATI DEGLI ENTI LOCALI TRA NEOFORMALISMO NEGOZIALE E RIGORE FORMALE DI MATRICE GIUSCONTABILE
di Xxxxxxx Xxxxxxx (*)
Abstract: Il progressivo accentuarsi del ricorso, da parte degli enti territoriali, agli strumenti di finanza derivata, utilizzati sia nella fase di gestione del debito che in quella di ristrutturazione dell’indebitamento esistente, è stato agevolato da un iniziale regime normativo di sostanziale deregulation, avendo il legislatore promosso l’utilizzo dei derivati da parte delle pubbliche amministrazioni, in quanto ritenuti utile strumento da impiegare per la ristrutturazione del debito e la copertura dei rischi finanziari. L’attuale regime normativo, invece, è contraddistinto
– al fine di preservare la salubrità finanziaria dei bilanci pubblici – dal divieto assoluto di stipulazione, anche in sede di rinegoziazione, di contratti relativi a strumenti finanziari derivati. L’articolo, dopo un excursus storico- giuridico, approfondisce il tema della validità dei contratti derivati stipulati dagli enti locali alla luce della giurisprudenza di legittimità.
In Italy formerly local public entities have been authorized – and almost invited – to enter into financial derivatives and they have been deployed both as instruments of risk management and as a tool for refinancing long-term indebtedness. But now public entities are not allowed to stipulate any derivatives at all. The aim of the stricter rules imposed by the law in force is to ensure public financial strength. This article examines the evolution of the Italian legislation and the jurisprudence of the Court of Cassation regarding the validity of financial derivatives contracts.
Sommario: 1. L’autonomia negoziale di diritto privato della pubblica amministrazione. – 2. Gli strumenti di finanza derivata. – 2.1. Il Testo unico della finanza. – 2.2. L’evoluzione della disciplina di settore del comparto delle autonomie territoriali. – 2.2.1. Il regime permissivo. – 2.2.2. Il regime vincolistico. – 3. La regolamentazione dei contratti derivati degli enti locali tra il neoformalismo della legislazione di settore e il rigore formale di matrice giuscontabile. – 3.1. Il neoformalismo negoziale di stampo civilistico. – 3.1.1. La libertà delle forme. – 3.1.2. L’asimmetria negoziale come fonte di debolezza contrattuale e la finalità rimediale del neoformalismo. – 3.1.3. Il regime formale nel settore dell’intermediazione finanziaria. – 3.2. Il regime formale tipico della contrattualistica pubblica e le relative implicazioni giuscontabili. – 3.2.1. La forma scritta ad substantiam e l’unicità documentale.
– 3.2.2. La (non) riconoscibilità del debito fuori bilancio nell’ipotesi di assenza di contratto scritto. – 3.2.3. Il regime formale valevole per i contratti derivati stipulati dagli enti locali. – 4. Considerazioni conclusive.
1. L’autonomia negoziale di diritto privato della pubblica amministrazione
L’articolo 1 (1) della legge 7 agosto 1990, n. 241 (2) stabilisce che la pubblica amministrazione, “nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme del diritto privato salvo che la legge disponga diversamente” (3).
La disposizione de qua è stata inserita dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 (4), mediante la quale il legislatore ha inteso riformare la disciplina del procedimento amministrativo al fine di adeguarla alle innovazioni intervenute nel sistema costituzionale e normativo, nonché all’elaborazione giurisprudenziale.
Le modifiche, apportate direttamente all’impianto originario della legge n. 241 del 1990, hanno riguardato il regime dell’efficacia e dell’invalidità del provvedimento, la disciplina della conferenza di servizi, le modalità di accesso ai documenti amministrativi e l’utilizzo, da parte della pubblica amministrazione, degli strumenti di natura privatistica.
Per quanto attiene, in particolare, a quest’ultimo profilo, l’inserimento, nell’articolato della legge generale sul pro- cedimento amministrativo, della surriprodotta disposizione ha sancito de facto il superamento del dogma che storica- mente attribuiva alla pubblica amministrazione il dovere di agire mediante poteri di imperio e atti unilaterali.
Sulla base della primigenia concezione dell’agere amministrativo il modulo autoritativo-procedimentale costituiva lo strumento esclusivo per la realizzazione dell’interesse pubblico, mentre gli strumenti negoziali privatistici erano ritenuti ontologicamente inidonei al conseguimento di finalità pubblicistiche.
(*) X. Xxxxxxx è avvocato del Foro di Milano.
(1) Rubricato “Principi generali dell’attività amministrativa”.
(2) Recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. (3) Art. 1, c. 1-bis, l. n. 241/1990.
(4) Recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”.
L’evoluzione – a livello dottrinale (5) e giurisprudenziale (6) – ha, tuttavia, progressivamente condotto al supera- mento dell’impostazione tradizionale e al riconoscimento della perseguibilità dell’interesse pubblico da parte della pubblica amministrazione anche mediante il ricorso allo strumento negoziale privatistico.
Il processo di evoluzione è culminato con la positivizzazione, ad opera della citata legge n. 15 del 2005, della capacità di diritto privato della pubblica amministrazione, intesa come espressione dell’acquisita consapevolezza circa l’idoneità dello strumento negoziale privatistico all’attuazione dei fondamentali principi di efficienza, efficacia ed eco- nomicità dell’azione amministrativa (7).
La pubblica amministrazione, pertanto, gode di una generale capacità di diritto privato (8), il cui riconoscimento, tuttavia, non implica che la stessa sia esente in toto da qualsivoglia limitazione, in primis quella di natura funzionale, non essendo consentita la conclusione di negozi incompatibili con le finalità istituzionali perseguite dall’amministra- zione stipulante, limitazione – questa – declinata in termini di vincolo di scopo (9).
Costituisce, invero, principio immanente nell’ordinamento quello secondo il quale l’attività della pubblica ammini- strazione deve essere indirizzata e conformata al perseguimento dell’interesse pubblico alla medesima intestato.
L’ente pubblico che addivenga alla stipulazione di un contratto in regime di diritto privato non gode di una posizione privilegiata, occupando una posizione negoziale di sostanziale parità con il contraente privato (10), cui consegue l’as- soggettamento del medesimo ente alla comune disciplina civilistica: benché il negozio stipulato da una pubblica am- ministrazione sia preceduto, accompagnato e seguìto da una serie di provvedimenti amministrativi che incidono, in vario modo, sul negozio stesso, il regolamento scaturente dal contratto non subisce l’influenza di eventuali provvedi- menti di revoca adottati per ragioni di interesse pubblico o di annullamento per vizi di legittimità del provvedimento cui risulta collegato il contratto; quanto alla fase della relativa esecuzione, al soggetto pubblico non sono riconosciuti specifici poteri di intervento unilaterale riconducibili alla capacità speciale di autotutela, l’esercizio dei quali possa incidere, anche con effetto risolutivo, sul rapporto obbligatorio costituito con il contratto.
La posizione di sostanziale parità giuridica che accomuna la pubblica amministrazione e il contraente privato (more privatorum utitur), anche in termini di pari soggezione al regime di diritto privato, comporta, inoltre, la non vincolati- vità degli schemi contrattuali tipici, potendo il soggetto pubblico non soltanto avvalersi delle figure negoziali tipiche disciplinate dal codice civile, ma anche, in virtù della generale autonomia contrattuale sancita dall’art. 1322 c.c., con- cludere contratti atipici, innominati o misti, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela non confliggenti con le finalità istituzionali proprie del soggetto pubblico (11).
(5) A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 1989, 15a ed.: “Alla realizzazione di tutti i suoi compiti l’ammi- nistrazione provvede […] avvalendosi, di volta in volta, dei propri poteri di diritto pubblico, ovvero della propria autonomia di diritto comune: dei primi, allorquando i compiti da realizzare assumono la veste di pubblica funzione; dei secondi allorquando si concretano semplicemente in servizi pubblici” (p. 942).
(6) Ex multis, Cass., S.U., 5 luglio 1994, n. 6331; Cons. Stato, Sez. IV, 4 novembre 1994, n. 1257; Sez. V, 7 settembre 2001, n. 4680; Sez. VI, 4 dicembre 2001, n. 6073.
(7) X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Manuale di diritto amministrativo, Roma, Neldiritto, 2009, 2a ed.: “l’intento sotteso alla riforma era quello di generalizzare il ricorso agli strumenti privatisti da parte della p.a.” (p. 435). X. Xxxxxxx, Manuale di contabilità e finanza pubblica, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2013, 6a ed.: con riferimento alla legittimazione negoziale della pubblica amministrazione l’A. os- serva che “il principio di legalità, dal punto di vista della legittimazione, assume pertanto rilievo solo in negativo, nel senso che l’ammi- nistrazione non può fare solo quello che sia espressamente previsto (nec ultra vires) ma tutto quello che non sia vietato” (p. 394).
(8) Altro indizio normativo è rinvenibile nell’art. 21-sexies della l. n. 241/1990, il quale conferma, con precipuo riferimento alla materia del recesso dai contratti, la soggezione della pubblica amministrazione alle norme di diritto privato. Ipotesi distinte dal recesso dai contratti sono costituite dalla revoca del provvedimento (cfr. art. 21-quinquies), la quale interviene sull’atto amministrativo e non sul negozio e dal recesso dagli accordi previsti dall’art. 11 della l. n. 241/1990: mentre lo scioglimento unilaterale dal contratto è limitato a ipotesi tassative, dovendo trovare nella legge o nel contratto una clausola che ne legittimi il successivo esercizio, il recesso dagli accordi di cui al menzionato art. 11 non è subordinato a una previsione normativa, potendo la pubblica amministrazione esercitarlo ogniqualvolta ravvisi “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”. La facoltà di recesso è espressione di un potere autoritativo della pubblica amministrazione, che incide unilateralmente su un atto parimenti esercizio di un potere autoritativo, per quanto esplicitato in forma consensuale.
(9) X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, op. cit.: “Gli atti di diritto privato dell’amministrazione sono peraltro pur sempre posti in essere nell’eser- cizio di un’attività volta al perseguimento di un interesse pubblico, partecipando così di una doppia natura, non solo privata ma anche funzionalmente pubblicistica: si tratta pur sempre, quindi, di attività amministrativa in senso lato” (p. 431). X. Xxxxxxx, op. cit.: “il vincolo di scopo preclude l’utilizzo di strumenti contrattuali che non siano confacenti alle finalità istituzionali” (p. 395).
(10) X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, op. cit.: “È proprio la rimarcata attitudine del provvedimento a modificare unilateralmente, in ragione del suo carattere autoritativo, la sfera giuridica dei terzi, in deroga al principio di intangibilità dell’altrui sfera patrimoniale, ad essere indicato quale parametro distintivo rispetto al negozio, che invece presuppone una posizione di sostanziale parità tra le parti” (p. 431). Gli A. evidenziano l’esistenza di «numerosi “elementi di esorbitanza” che connotano il regime dei rapporti contrattuali della p.a. rispetto al modello comune di diritto privato», elementi che attestano la “non equiparabilità dell’attività di diritto privato della p.a. all’azione giuridica dei soggetti privati” (pp. 434-435).
(11) X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, op. cit.: la capacità di diritto privato della pubblica amministrazione è “una capacità di ampia portata, comprensiva anche della possibilità di concludere contratti atipici, innominati o misti” (p. 433). Il Consiglio di Stato ha chiarito che “il principio di tipicità dei contratti non va confuso con il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi. Se, infatti, in forza del principio di legalità vigente nel nostro ordinamento, all’amministrazione è consentita l’adozione dei soli provvedimenti che costituiscono espressione di una specifica attribuzione di potere, al soggetto pubblico non è negata la generale libertà di contrattare ai sensi dell’art. 1322 c.c., sicché esso potrà avvalersi delle figure negoziali tipiche disciplinate dal codice civile, ma potrà anche concludere contratti
2. Gli strumenti di finanza derivata
2.1. Il Testo unico della finanza
Gli strumenti finanziari derivati sono individuati dall’articolo 1 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (12) (c.d. Tuf) e dalle disposizioni ivi richiamate (13).
Si tratta di prodotti il cui valore dipende, rectius deriva, dall’andamento di un’attività sottostante (underlying asset), che può avere natura, indifferentemente, finanziaria (titoli azionari, tassi di interesse, tassi di cambio, ecc.) o reale (caffè, cacao, petrolio, ecc.) (14).
Alla categoria degli strumenti finanziari derivati sono riconducibili variegate tipologie, accomunate da tre “elementi unificanti”: il primo (e principale) elemento è costituito dalla differenzialità derivativa, da intendersi come “l’intento di trarre vantaggio dalla differenza di due valori variabili: ad essa le parti mirano; su essa fanno leva per il persegui- mento dei rispettivi interessi; è essa che costituisce il cuore dell’operazione economica”; il secondo elemento è costi- tuito dal capitale nozionale, da intendersi come “la somma di denaro astrattamente assunta quale base di calcolo dei reciproci flussi finanziari tra le parti”; il terzo elemento è costituito dalla «possibilità – tipica dei derivati – di scio- gliersi […] avvalendosi dell’opzione “mark to market”» (15).
xxxxxxx, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela non confliggenti con le finalità istituzionali. Ne consegue che la determi- nazione di un ente pubblico di concludere un contratto atipico non può essere censurata per il solo fatto che il negozio non corrisponde alla figura tipica disciplinata dal codice civile con un determinato nomen iuris, oppure perché è stato utilizzato quel nomen […] per indicare un negozio parzialmente non corrispondente al tipo (Cons. St., Sez. IV, 4 novembre 1994 n. 1257)” (Sez. V n. 4680/2001, cit.). Il Consiglio di Stato ha ritenuto insussistente un obbligo per le pubbliche amministrazioni di ricorrere solo a strumenti negoziali nominati e tipici, in quanto, “pur dovendo le p.a. operare nei limiti consentiti dalla legge, alcuna disposizione vieta alle stesse di operare anche con contratti atipici ed anzi il sempre maggiore utilizzo di strumenti privatistici al fine della realizzazione di bisogni generali di rilievo pub- blicistico costituisce una conferma dell’assenza, in astratto, di una limitazione di carattere generale all’autonomia contrattuale dell’am- ministrazione, anche con riferimento ai contratti atipici” (Sez. VI n. 6073/2001, cit.).
(12) Recante “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52”.
(13) G.F. Campobasso, Contratti. Titoli di credito. Procedure concorsuali, in Id., Diritto commerciale, vol. III, Torino, Utet, 2014, 5a ed.: gli strumenti finanziari derivati “sono denominati anche prodotti derivati perché il loro valore deriva dall’andamento delle quotazioni delle attività finanziarie che sono assunte come parametro di riferimento (c.d. sottostante)” (p. 212). X. Xxxxx, Manuale di diritto commer- ciale, Torino, Utet, 2006, 12a ed.: il Tuf ha relegato “la figura del valore mobiliare ad un ruolo sistematicamente del tutto marginale”, imperniando la disciplina su una nozione di strumento finanziario alla quale “per certi profili ed a specifici fini aggiunge quella più ampia di prodotto finanziario”; gli strumenti finanziari costituiscono una “una categoria chiusa […] Il carattere chiuso della categoria degli strumenti finanziari si comprende invece alla luce della circostanza che tale categoria risulta essenzialmente diretta ad individuare in quali ipotesi l’esercizio di determinate attività risulta riservato ai soggetti indicati dalla legge: ciò che accade appunto qualora esse abbiano ad oggetto strumenti finanziari. Logico allora che le ipotesi in cui diviene operativa siffatta riserva, che rappresenta in fondo un limite alla iniziativa economica privata che la Costituzione qualifica in via di principio come libera (art. 41, 1° comma), siano rigidamente predeterminate per legge: e che dunque predeterminati per legge risultino non solo gli strumenti finanziari, ma anche le attività che li abbiano ad oggetto, i cc.dd. servizi di investimento, e che sono appunto riservate a determinati soggetti” (pp. 717-719). Per l’elencazione degli strumenti derivati il c. 2-ter dell’art. 1 del Tuf rinvia al c. 1-bis, lett. c), nonché all’all. I, sez. C, punti da 4 a 10.
(14) G.F. Campobasso, op. cit.: gli strumenti finanziari possono essere collegati a valori mobiliari o valute (in tal caso “presentano analogie con i contratti di borsa a termine, dato che, al pari di questi, vengono di regola eseguiti alla scadenza in via differenziale, senza dar luogo alla consegna dei titoli o delle valute assunti come termine di riferimento”) oppure a indici di borsa o finanziari (in tal caso si tratta di “veri e propri contratti differenziali in quanto la prestazione convenuta consiste puramente e semplicemente nel pagamento di una somma di denaro pari alla variazione dell’indice di riferimento fra il giorno di conclusione del contratto e quello di scadenza”) (pp. 212- 213). X. Xxxxxxx, op. cit.: gli strumenti finanziari derivati comprendono «una molteplicità di contratti il cui valore “deriva” da quello dei sottostanti elementi finanziari ed il cui schema negoziale prevede l’acquisto o la vendita della grandezza finanziaria sottostante ad una data futura e ad un prezzo prefissato, ovvero il regolamento del differenziale fra il tasso di interesse, di cambio o di un altro indicatore determinato nel contratto e il medesimo ad una data prestabilita» (p. 503); il fenomeno del ricorso agli strumenti finanziari derivati “s’in- quadra nell’elaborazione di strategie finanziarie volte a permettere ai soggetti operanti sul mercato di garantirsi da rischi finanziari connessi alla loro attività o di realizzare una gestione attiva dell’indebitamento, adeguandolo all’evoluzione delle condizioni di mercato per fruire delle opportunità derivanti dalle oscillazioni dei tassi d’interesse” (p. 506).
(15) Cass., S.U., 23 febbraio 2023, n. 5657. Per quanto attiene alla rilevanza del mark to market, i Giudici di legittimità hanno sottoli- neato “il ruolo che nell’ambito del profilo causale di tali contratti svolge l’elemento del rischio, la cui essenzialità, posta anche in relazione con la natura professionale dei soggetti coinvolti, ha indotto […] ad affermare che, ai fini della valutazione in ordine alla meritevolezza di tutela degl’interessi perseguiti dalle parti, e quindi alla liceità del contratto, occorre verificare se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi” (Cass., Sez. I, 7 novembre 2022, n. 32705); hanno, altresì, affermato la necessità dell’indicazione degli elementi e criteri per determinare il mark to market, ovvero la necessità che “gli elementi ed i criteri utilizzati per la determinazione del mark to market siano resi preventi- vamente conoscibili da parte dell’investitore, ai fini della formazione dell’accordo in ordine alla misura dell’alea, in assenza del quale la causa del contratto resta sostanzialmente indeterminabile” (Cass. n. 32705/2022 cit.); hanno, conclusivamente, enunciato il seguente prin- cipio di diritto: «In tema di “interest rate swap”, la meritevolezza di tutela del contratto va apprezzata “ex ante”, non già “ex post”, non potendosi far dipendere la liceità del contratto dal risultato economico concretamente conseguito dall’investitore, né utilizzare il giudizio di meritevolezza a fini di un riequilibrio equitativo; ne consegue che, ai fini della validità del contratto ed indipendentemente dalla sua finalità di copertura (“hedging”) o speculativa, devono essere preventivamente conoscibili, ai fini della formazione dell’accordo in ordine
Per quanto attiene, invece, agli elementi di differenziazione la prima distinzione, all’interno della categoria, è quella tra derivati simmetrici e derivati asimmetrici: con la sottoscrizione dei primi entrambi i contraenti (id est, venditore e acquirente) si impegnano a effettuare, alla data di scadenza prestabilita, una determinata prestazione; con la sottoscri- zione dei secondi, invece, soltanto il venditore si impegna a effettuare una determinata prestazione a favore del com- pratore, a carico del quale è previsto il pagamento di un prezzo (c.d. premio), in virtù del quale acquisisce il diritto di decidere, in relazione a una data futura, se procedere o meno all’acquisto del bene sottostante. La seconda distinzione concerne la tipologia del mercato di riferimento ed è tracciabile tra derivati negoziati sui mercati regolamentati e deri- vati over-the-counter (c.d. Otc): i primi sono rappresentati da contratti aventi caratteristiche standardizzate e predefinite dall’autorità del mercato di riferimento, riguardanti, essenzialmente, l’attività sottostante, la durata, il taglio minimo di negoziazione e le modalità di liquidazione (16); i derivati Otc sono, invece, negoziati direttamente tra le due parti fuori dai mercati regolamentati e di essi i contraenti possono stabilire in assoluta libertà le relative caratteristiche (17).
Nella prima categoria rientrano strumenti quali futures (18), options (19), warrants e covered warrants, mentre nella seconda categoria rientrano swap (20) e forward.
Le principali finalità associate alla negoziazione di strumenti finanziari derivati sono: i) la copertura (hedging), ovvero la protezione del valore di una posizione da variazioni indesiderate nei prezzi di mercato; ii) la speculazione (trading), ovvero la realizzazione di un profitto basato sull’evoluzione attesa del prezzo dell’attività sottostante (21);
iii) l’arbitraggio, ovvero lo sfruttamento del momentaneo disallineamento tra l’andamento del prezzo del derivato e quello del sottostante, andamenti destinati a coincidere alla scadenza del contratto.
La finalità di copertura ricorre, in particolare, nelle ipotesi in cui un soggetto, avendo in precedenza contratto un debito a tasso variabile, intenda proteggere la propria posizione contro il rischio di aumento del tasso di interesse sul mercato.
Con la comunicazione n. DI/99013791 del 26 febbraio 1999 la Commissione nazionale per le società e la borsa (id est, Consob) ha precisato i “criteri di qualificazione” in base ai quali classificare le operazioni in strumenti finanziari derivati, nonché indicato le caratteristiche che un’operazione deve possedere per essere considerata “di copertura”: in primis deve essere stata “esplicitamente posta in essere per ridurre la rischiosità” connessa ad altre posizioni detenute dal medesimo investitore; in secundis deve sussistere un’accentuata “correlazione tra le caratteristiche tecnico-finan- ziarie (scadenza, tasso d’interesse, tipologia etc.) dell’oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato a tal fine”; le precedenti caratteristiche devono essere assicurate e “documentate da evidenze interne degli intermediari” (22).
alla misura dell’alea, gli elementi ed i criteri utilizzati per la determinazione del “mark to market”, in assenza del quale la causa del negozio resta sostanzialmente indeterminabile» (Cass. n. 32705/2022 cit., massima rv. 666129-01).
(16) X. xxx. (Xx) x. 000/0000 xxx Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il reg. (Ue) n. 648/2012 (c.d. regolamento Mifir). Mifir è l’acronimo di Markets in Financial Instruments Regulation.
(17) Con il reg. (Ue) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012 sugli strumenti derivati Otc, le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni (c.d. regolamento Emir) il legislatore eurounitario ha imposto a tutti gli operatori del settore nuovi e stringenti obblighi allo scopo di ridurre i rischi sistemici connessi al mercato dei derivati negoziati fuori dai mercarti regolamentati. Emir è l’acronimo di European Market Infrastructure Regulation.
(18) G.F. Campobasso, op. cit.: il future è “un contratto uniforme a termine su strumenti finanziari con il quale le parti si obbligano a scambiarsi alla scadenza un certo quantitativo di determinate attività finanziarie ad un prezzo prestabilito; ovvero, nel caso di future su indici, a liquidarsi una somma di danaro pari alla differenza fra il valore dell’indice di riferimento alla stipula del contratto ed il valore dello stesso indice nel giorno di scadenza” (p. 213).
(19) G.F. Campobasso, op. cit.: il contratto di opzione si differenzia dal future “essenzialmente perché una delle parti, verso pagamento di un corrispettivo, si riserva la facoltà di scegliere se realizzare o meno lo scambio” (p. 213).
(20) X. Xxxxxxx, op. cit.: lo swap è “un contratto derivato simmetrico con il quale due soggetti si impegnano a scambiare periodica- mente delle somme di denaro calcolate applicando al medesimo capitale (detto nozionale) due diversi parametri riferiti a due diverse variabili di mercato. Il capitale nozionale, invece, è oggetto di scambio tra le parti soltanto in alcune tipologie di swap. […] Gli swap vengono utilizzati con diverse finalità: per trasformare la natura di un’attività o di una passività (ad esempio, una posizione da tasso fisso a tasso variabile o viceversa), per motivi di copertura oppure con finalità speculative” (pp. 505-506).
(21) X. Xxxxxxx, op. cit.: la funzione speculativa incide sulla struttura causale del contratto con conseguenti “rischi di insolvenza legati a diversi fattori, connessi soprattutto all’andamento complessivo del mercato, con l’aggravamento che l’inadempimento di uno o più operatori può incidere sull’inadempimento degli altri” (pp. 503-504).
(22) Il Tuf demanda al Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Consob, l’individuazione – mediante apposito regolamento – dei “clienti professionali pubblici”, nonché dei “criteri di identificazione dei soggetti pubblici che su richiesta possono essere trattati come clienti professionali e la relativa procedura di richiesta” (art. 6, c. 2-sexies, Tuf). La mancata qualifica come cliente professionale pubblico comporta l’equiparazione del medesimo al cliente al dettaglio, con conseguente applicazione delle maggiori tutele informative e comportamentali apprestate dall’ordinamento in favore dei soggetti non professionali, proprio al fine di riequilibrare, mediante una tutela giuridica rafforzata, il difetto di conoscenze e di abilità che pone il cliente al dettaglio in una condizione di debolezza nei confronti degli operatori professionali. Con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze n. 236 del 11 novembre 2011 sono stati individuati quali “clienti professionali pubblici” il Governo della Repubblica e la Banca d’Italia (cfr. art. 2). Ai sensi dell’art. 1, c. 1, lett. b), per “cliente professionale” si intende “il cliente che possiede l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di operazioni e di investimenti finanziari e per valutare correttamente i rischi che assume”.
2.2. L’evoluzione della disciplina di settore del comparto delle autonomie territoriali
2.2.1. Il regime permissivo
Il progressivo accentuarsi del ricorso, da parte degli enti territoriali, agli strumenti di finanza derivata, utilizzati sia nella fase di gestione del debito che in quella di ristrutturazione dell’indebitamento esistente, è stato agevolato da un iniziale regime – normativo e regolamentare – di sostanziale deregulation, avendo il legislatore promosso l’utilizzo dei derivati da parte delle pubbliche amministrazioni, in quanto ritenuti utile strumento da impiegare per la ristrutturazione del debito e la copertura dei rischi finanziari.
Nel contempo, il ricorso agli strumenti di finanza derivata è divenuto per gli enti territoriali una sorta di “prassi”, consolidatasi in ragione della ridotta liquidità a loro disposizione a seguito della diminuzione dei trasferimenti erariali, avvenuta in un contesto correlato alla loro maggiore autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
Con l’articolo 35 (23) della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (24) il legislatore ha stabilito che gli enti territoriali “possono deliberare l’emissione di prestiti obbligazionari destinati esclusivamente al finanziamento degli investimenti” con espresso “divieto di emettere prestiti obbligazionari per finanziare spese di parte corrente” (25).
In attuazione di tale norma il Ministro del tesoro ha adottato – mediante il decreto n. 420 del 5 luglio 1996 – il “Regolamento recante norme per l’emissione di titoli obbligazionari da parte degli enti locali”, costituente la prima disposizione intervenuta a disciplinare l’utilizzo e la sottoscrizione, da parte degli enti locali, degli strumenti finanziari derivati: il decreto de quo ha introdotto la facoltà, rectius l’obbligo, insorgente in caso di previa effettuazione di un’ope- razione di prestito in valuta estera, di utilizzare gli strumenti finanziari derivati per la trasformazione della sottostante operazione “in un’obbligazione in lire”, circoscrivendo, tuttavia, detta facoltà, dal punto di vista tipologico, allo stru- mento denominato currency swap (ovvero swap (26) su valuta) e, dal punto di vista finalistico, allo scopo di “copertura del rischio” con espressa esclusione dell’introduzione di ulteriori elementi di rischio.
Successivamente, il legislatore statale è intervenuto con l’articolo 41 (27) della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (28), mediante il quale – al precipuo fine di “contenere il costo dell’indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica” (29) – ha demandato al Ministero dell’economia e delle finanze di coordinare “l’accesso al mercato dei capitali” da parte degli enti territoriali (30), abilitati all’emissione di titoli obbligazionari con rimborso del capitale in un’unica soluzione alla scadenza (bullet), previa adozione delle modalità di ammortamento imposte ex lege al fine di precostituire i mezzi finanziari necessari per l’estinzione, alla relativa scadenza, del prestito obbligazionario (bullet ammortizzato) (31).
Con il decreto n. 389 del 1° dicembre 2003 (32) il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, ha imposto l’obbligo di «prevedere la copertura del rischio di cambio mediante “swap di tasso di cam- bio”», intendendosi tale “un contratto tra due soggetti che assumono l’impegno di scambiarsi regolarmente flussi di interessi e capitale espressi in due diverse valute, secondo modalità, tempi e condizioni contrattualmente stabiliti” (33).
(23) Rubricato “Emissione di titoli obbligazionari da parte di enti territoriali”.
(24) Recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”.
(25) Art. 35, c. 1, l. n. 724/1994. Il c. 10 dell’art. 35 della l. n. 724/1994 demandava al Ministro del tesoro di determinare, mediante apposito regolamento, “le caratteristiche dei titoli obbligazionari nonché i criteri e le procedure che gli enti emittenti sono tenuti ad osservare per la raccolta del risparmio”. La disposizione era stata resa oggetto di interpretazione autentica da parte dell’art. 5 (“Emissione di prestiti obbligazionari”) del d.l. 25 maggio 1996, n. 287 (“Disposizioni urgenti in materia di finanza locale per l’anno 1996”), decaduto per mancata conversione, il quale – testualmente – recitava: “L’articolo 35 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modifica- zioni, si interpreta nel senso che agli enti locali ivi previsti è consentito emettere prestiti obbligazionari anche in valuta e sui mercati esteri; a tal fine la delibera di approvazione del prestito deve prevedere l’obbligo della copertura del rischio di cambio ed attestare che il costo effettivo sopportato dall’ente non è superiore al rendimento lordo dei corrispondenti titoli di Stato emessi sul mercato interno, aumentato di un punto, secondo quanto stabilito dal comma 6 del citato articolo 35”.
(26) Gli swap sono contratti a termine che prevedono lo scambio, a scadenze prestabilite, di flussi finanziari, calcolati con modalità fissate alla stipulazione del contratto.
(27) Rubricato “Finanza degli enti territoriali”.
(28) Recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)”. (29) Art. 41, c. 1, l. n. 448/2001.
(30) Cfr. art. 41, c. 1, l. n. 448/2001.
(31) L’art. 41, c. 2, l. n. 448/2001 impone ex lege la struttura di ammortamento: “costituzione, al momento dell’emissione, di un fondo di ammortamento del debito” (sinking fund) ovvero “conclusione di swap per l’ammortamento del debito” (amortising swap). X. Xxxxxxx, op. cit.: con riferimento al fenomeno del ricorso agli strumenti finanziari derivati da parte degli enti territoriali l’A. osserva che è “assai recente, poiché in precedenza l’indebitamento di essi consisteva in mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti (a tasso fisso) o con istituti bancari a tassi stabiliti entro i limiti massimi fissati dall’autorità di Governo. L’art. 41 della legge finanziaria 28 dicembre 2001 n. 448 ha legittimato le regioni e gli enti locali a procedere alla conversione dei mutui in corso in presenza di condizioni di rifinanziamento che consentano una riduzione del valore finanziario delle passività” (p. 507).
(32) Recante il “Regolamento concernente l’accesso al mercato dei capitali da parte delle province, dei comuni, delle città metropo- litane, delle comunità montane e delle comunità isolane, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni, ai sensi dell’articolo 41, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448”.
(33) Art. 3, c. 1, d.m. economia e finanze n. 389/2003.
In una logica di raggiunta autonomia finanziaria il decreto ministeriale de quo ha, altresì, riconosciuto agli enti territoriali la possibilità di effettuare operazioni in strumenti derivati (quali, a titolo esemplificativo, swap di tasso di interesse (34) e forward rate agreement (35)), circoscrivendo, nel contempo, detta possibilità “esclusivamente in cor- rispondenza di passività effettivamente dovute” (36).
La conclusione di contratti è, tuttavia, stata improntata a criteri di affidabilità, essendo stato all’ente territoriale consentito di trattare “soltanto con intermediari contraddistinti da adeguato merito di credito, così come certificato da agenzie di rating riconosciute a livello internazionale” (37).
Con la successiva circolare esplicativa del 27 maggio 2004 (38) il Ministero dell’economia e delle finanze ha chia- rito che le tipologie di operazioni derivate ammesse sono da intendersi nella forma detta plain vanilla, cioè secondo la struttura più elementare, con esclusione di qualsiasi forma di opzionalità, al fine precipuo di garantire “il contenimento dell’esposizione dell’ente ai rischi finanziari conseguenti al rialzo dei tassi di interesse […] con l’obiettivo del conte- nimento del costo dell’indebitamento”.
La circolare ha, invece, espressamente escluso l’ammissibilità di “operazioni derivate riferite ad altre operazioni derivate preesistenti, in base alla considerazione che nessun derivato è configurabile come una passività”, precisando, in aggiunta, che nell’ipotesi in cui si sia verificata una variazione della passività sottostante a un derivato “la posizione nello strumento derivato può essere riadattata sulla base di condizioni che non determinino una perdita per l’ente” e che “solo nel caso in cui l’ente ritenga di dover chiudere la posizione nello strumento derivato è ammissibile la con- clusione di un derivato uguale e di segno contrario con un’altra controparte”.
(34) L’interest rate swap (Irs) è il contratto mediante il quale due parti si accordano per scambiarsi reciprocamente, a scadenze presta- bilite e per un periodo di tempo predefinito al momento della stipula, pagamenti calcolati sulla base di tassi di interesse differenti (gene- ralmente, uno fisso e uno variabile), applicati a un capitale nozionale. Il contratto non prevede scambio di capitali, ma solo di flussi finan- ziari corrispondenti al differenziale tra gli interessi calcolati sul capitale nozionale al tasso prestabilito. Generalmente l’acquirente dell’Irs è il soggetto che, avendo già contratto un debito a tasso variabile, si impegna a pagamenti a tasso fisso, ricevendo, in cambio, pagamenti a tasso variabile, mentre il venditore dell’Irs è il soggetto che si impegna, in cambio del tasso fisso, a corrispondere interessi a tasso variabile. Con precipuo riferimento all’autorizzazione alla stipulazione di interest rate swap e alla (correlata) questione del riparto competenziale tra organi istituzionali dell’ente locale al fine dell’autorizzazione alla stipulazione di interest rate swap, le Sezioni unite civili della Corte di cassazione (cfr. sent. 12 maggio 2020, n. 8770, in questa Rivista, 2020, 4, 300, con nota di X. Xxxxxxxx, I requisiti di validità dei contratti Irs stipulati dagli enti locali) hanno affermato la competenza dell’organo consiliare in ragione non solo delle “condizioni sostanziali di tali forme di finanziamento”, ma anche della “necessità di assicurare il coinvolgimento degli schieramenti assembleari di minoranza, i quali sono chiamati ad esercitare un controllo sull’operazione finanziaria”, trattandosi di operazioni che incidono “sull’entità globale dell’in- debitamento dell’ente […] tenendo presente che la ristrutturazione del debito va accertata considerando l’operazione nel suo complesso”. Xxxxx, quindi, enunciato il seguente principio di diritto: “L’autorizzazione alla conclusione di un contratto di swap da parte dei comuni italiani, in particolare se del tipo con finanziamento upfront, ma anche in tutti quei casi nei quali la negoziazione si traduce comunque nell’estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero nel loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, deve essere data, a pena di nullità, dal consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. i), Tuel di cui al d.lgs. n. 267 del 2000, non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell’indebitamento dell’ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, di competenza della giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria ex art. 48, comma 2, dello stesso testo unico; in particolare, tale autorizzazione compete al consiglio comunale ove l’IRS negoziato dal comune incida sull’entità globale dell’in- debitamento dell’ente, tenendo presente che la ristrutturazione del debito va accertata considerando l’operazione nel suo complesso, con la ricomprensione dei costi occulti che gravano sul rapporto”. Il Consiglio di Stato si è espresso in senso diametralmente opposto (cfr. sent. 30 giugno 2017, n. 3174): la Sezione V, chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimità della delibera adottata dalla giunta di un’amministrazione comunale di annullamento in autotutela delle precedenti delibere con cui la medesima amministrazione aveva autoriz- zato la stipulazione, nonché la successiva rimodulazione di alcuni contratti di swap per la ristrutturazione del debito esistente nei confronti della Cassa depositi e prestiti e riveniente da mutui pluriennali, ha ritenuto l’art. 203 del Tuel non pertinente alla risoluzione della fattispecie concreta in quanto riferibile unicamente all’ipotesi di “assunzione di nuovi debiti a carico del bilancio dell’ente locale, con conseguente variazione in corso di esercizio del limite complessivo dell’indebitamento già previsto nell’atto fondamentale di programmazione econo- mico-finanziaria dell’ente e degli impegni a carico degli stanziamenti del bilancio medesimo” e, nel contempo, ha escluso la rilevanza applicativa dell’art. 42, c. 2, Tuel, in quanto con tale norma il legislatore «ha inteso riservare al consiglio comunale, organo a legittima- zione democratica diretta dell’ente locale, la competenza su “atti fondamentali” di quest’ultimo» e, in particolare, “su quegli atti compor- tanti oneri certi a carico del bilancio pluriennale, fonte attuale sul piano contabile di impegni di spesa per esercizi futuri”; secondo i Giudici amministrativi, gli swap “si collocano al di fuori di questo schema”, non essendo “riconducibili alla fattispecie delle spese plu- riennali prevista dalla lettera i)”; pertanto, “la conclusione di swap non può essere considerato un atto di assunzione di una spesa plu- riennale, ma deve essere qualificato come atto di gestione dell’indebitamento dell’ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, legittimamente adottabile dalla giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria ex art. 48, comma 2, del testo unico di cui al d.lgs. n. 267 del 2000”.
(35) X. Xxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, Manuale di diritto civile, Roma, Neldiritto, 2015, 6a ed.: il forward rate agreement “ha la funzione di stabilire in anticipo il tasso di un deposito a termine, con finalità, tanto di copertura dal rischio di volatilità dei tassi di deposito, quanto di mera speculazione” (p. 1882).
(36) Art. 3, c. 3, d.m. n. 389/2003.
(37) Art. 3, c. 4, d.m. n. 389/2003.
(38) Intitolata: “Decreto 1° dicembre 2003, n. 389 recante Regolamento concernente l’accesso al mercato dei capitali da parte delle province, dei comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni, ai sensi dell’art. 41, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448. Circolare esplicativa”.
2.2.2. Il regime vincolistico
A partire dall’anno 2006, a causa dell’intensificarsi del ricorso, da parte degli enti territoriali, agli strumenti finan- ziari derivati e dell’emergere di situazioni potenzialmente rischiose per gli equilibri finanziari degli enti interessati, si sono registrati i primi interventi di stampo marcatamente regolatorio dell’autonomia negoziale: il legislatore ha dettato una disciplina progressivamente più restrittiva, culminata nell’attuale regime normativo, il quale è contraddistinto dal divieto assoluto di stipulazione, anche in sede di rinegoziazione, di contratti relativi a strumenti finanziari derivati ovvero di contratti di finanziamento con componenti derivate (39).
Il primo intervento di questa “nuova” tendenza normativa si è avuto con la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (40), mediante la quale il legislatore ha elevato al rango di principi fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica alcuni dei criteri che erano stati previsti in sede regolamentare e amministrativa dai precedenti decreti e circolari mini- steriali.
Il normatore ha in primis ribadito il condizionamento della facoltà di concludere operazioni in strumenti derivati al perseguimento di finalità di mera copertura: le operazioni di gestione del debito tramite utilizzo di strumenti finanziari derivati “devono essere improntate alla riduzione del costo finale del debito e alla riduzione dell’esposizione ai rischi di mercato” e possono essere concluse “solo in corrispondenza di passività effettivamente dovute, avendo riguardo al contenimento dei rischi di credito assunti” (41).
In altri termini, il ricorso agli strumenti di finanza c.d. innovativa è consentito esclusivamente per finalità conser- vative, essendo da escludere a priori la perseguibilità di un intento speculativo. Ciò in virtù della dirimente considera- zione che i mezzi finanziari a disposizione dell’ente territoriale, acquisiti sotto forma di tributi, trasferimenti e prestiti da altri settori istituzionali dell’economia, sono ontologicamente destinati al soddisfacimento di obiettivi di interesse generale o, comunque, di rilevanza economica e sociale, da attuare mediante l’erogazione di servizi collettivi.
Con la circolare esplicativa 22 giugno 2007, n. 63013 (42), il Ministero dell’economia e delle finanze, dopo aver richiamato le “innovazioni legislative introdotte in materia”, ha affermato che «la definizione degli swap come soli strumenti di “gestione” del debito è riconfermata dal fatto che in nessuna delle norme richiamate si fa menzione degli strumenti derivati; pertanto, alla luce di quanto sopra, gli strumenti derivati non sono configurabili come operazioni di indebitamento» (43).
Con la successiva legge 24 dicembre 2007, n. 244 (44), il legislatore, a seguito dell’aumentata consapevolezza circa i potenziali rischi che le operazioni di finanza c.d. innovativa possono comportare, è intervenuto mediante l’imposizione di ulteriori prescrizioni: i contratti aventi come oggetto strumenti finanziari derivati devono essere “informati alla mas- sima trasparenza” (45), nonché rispettare determinati requisiti contenutistici, per la cui concreta individuazione la legge ha rinviato a un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, da emanare sentite la Consob e la Banca d’Italia (46); per ogni contratto in derivati l’ente sottoscrittore “deve attestare di aver preso piena conoscenza dei rischi e delle
(39) Per un approfondimento, v. X. Xxxxxxx, Indebitamento degli enti locali e strumenti di finanza derivata, in Finanza e tributi locali, 2021, 1, 27.
(40) Recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”.
(41) Art. 1, c. 736, l. n. 296/2006. Il c. 736 dell’art. 1 della l. n. 296 del 2006 qualifica le norme in esso contenute come “principi fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica di cui agli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione”. Con il successivo c. 737 il legislatore ha inserito due commi nel testo dell’art. 41 della l. n. 448/2001: il c. 2-bis, mediante il quale è stato introdotto l’obbligo di trasmissione documentale al Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento del tesoro (adempimento ag- giuntivo rispetto agli obblighi di comunicazione periodica dei dati relativi alla situazione finanziaria previsti dalla l. n. 448/2001) dei contratti relativi a operazioni di ammortamento del debito con rimborso unico a scadenza e operazioni in strumenti derivati “prima della sottoscrizione dei contratti medesimi”, trasmissione costituente, per espressa previsione normativa, “elemento costitutivo dell’efficacia degli stessi”; il c. 2-ter, mediante il quale è stato introdotto, con riferimento alle operazioni che “risultino in violazione alla vigente nor- mativa”, l’obbligo di “comunicazione alla Corte dei conti per l’adozione dei provvedimenti di sua competenza”. Il riferimento alla “com- petenza” della Corte dei conti, stante la sua genericità, è tale da ricomprendere tutte le funzioni alla medesima riconosciute a tutela della finanza pubblica riferita all’intera comunità amministrata (id est, funzioni giurisdizionali in tema di responsabilità amministrativa, compe- tenze di controllo sulla gestione finanziaria, competenze ausiliarie e referenti nei confronti del Parlamento). All’atto della trasmissione il contratto deve essere corredato dell’ulteriore documentazione in esso eventualmente richiamata (a titolo esemplificativo, la confirmation ovvero altro contratto con il quale si definiscono le condizioni economiche e gli elementi identificativi dell’operazione, la schedule o altro documento equivalente, ecc.).
(42) Intitolata: “Non applicabilità delle delegazioni di pagamento alle operazioni in derivati concluse da enti territoriali. Circolare esplicativa”. Il ministero ha adottato la circolare in quanto ha ritenuto opportuno “chiarire alcuni aspetti interpretativi inerenti l’utilizzo delle delegazioni di pagamento disciplinate dall’articolo 206 del Testo unico degli enti locali (Tuel) - decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.
(43) Il ministero ha ricordato che “già nella circolare esplicativa del decreto del Mef 389/2003 si richiamava una considerazione di carattere generale tale per cui nessun derivato è configurabile come una passività”.
(44) Recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)”. (45) Art. 1, c. 381, l. n. 244/2007.
(46) Art. 1, c. 382, l. n. 244/2007.
caratteristiche dei medesimi, evidenziando in apposita nota allegata al bilancio gli oneri e gli impegni finanziari deri- vanti da tali attività” (47).
Il rispetto delle prescrizioni imposte è stato reso “elemento costitutivo dell’efficacia dei contratti” (48).
Nell’anno 2008 è stata introdotta, mediante decretazione d’urgenza, una disciplina particolarmente stringente, recata dall’articolo 62 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (49), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,
n. 133 (50).
In particolare, la legge di conversione n. 133 del 2008 è intervenuta sul testo dell’articolo 3 (51) della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (52), introducendo nel comma 17, in aggiunta alle operazioni di indebitamento già tipizzate (id est, l’assunzione di mutui, l’emissione di prestiti obbligazionari e le cartolarizzazioni di flussi futuri di entrata), la previsione relativa al “premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate” (53).
Nella primigenia versione, l’articolo 62, dopo l’incipit, costituito da una clausola di mera qualificazione (54) e come tale priva di reale forza precettiva, ha approntato una disciplina di duplice natura: l’una transitoria, consistente nel divieto espresso, seppur temporaneo, per gli enti territoriali di stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari deri- vati; l’altra a regime, consistente in una normativa regolamentare attuativa, demandata al Ministro dell’economia e delle finanze, il quale avrebbe dovuto adottare, dopo aver sentito la Banca d’Italia e la Consob, un regolamento me- diante il quale individuare la tipologia di strumenti finanziari derivati sottoscrivibili da parte degli enti territoriali, nonché fissare i criteri e le condizioni per la conclusione delle relative operazioni.
Il detto divieto è stato temporalmente circoscritto fino alla data di entrata in vigore di tale regolamento ministeriale. La disposizione in esame è stata oggetto di svariati interventi legislativi di modifica.
In particolare, l’articolo 3 della legge 22 dicembre 2008, n. 203 (55) ha completamente riscritto l’articolo 62, intro- ducendo un regime disciplinatorio caratterizzato, in senso innovativo, dalla previsione della sanzione della nullità – di natura relativa (potendo essere fatta valere “solo dall’ente”) – per i contratti aventi come oggetto strumenti finanziari derivati e per i contratti di finanziamento aventi una componente derivata stipulati in violazione delle (emanande) norme regolamentari (ovvero privi dell’attestazione scritta, da parte del soggetto competente alla sottoscrizione del contratto per l’ente pubblico, “di avere preso conoscenza dei rischi e delle caratteristiche” del contratto medesimo) (56), nonché dall’introduzione dell’obbligo di allegazione al bilancio di previsione e al bilancio consuntivo di una “nota
(47) Art. 1, c. 383, l. n. 244/2007.
(48) Art. 1, c. 384, l. n. 244/2007.
(49) Recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”.
(50) La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sui ricorsi proposti in via di impugnazione principale da alcune regioni e vertenti sulla legittimità costituzionale dell’art. 62 del d.l. n. 112/2008 per questioni attinenti al riparto tra Stato e regioni delle rispettive competenze legislative di cui all’art. 117 Cost., ha in primis ritenuto giustificato il (censurato) ricorso alla decretazione d’urgenza per la disciplina della materia. Ha sottolineato come la ratio dell’intervento normativo, precipuamente volto a regolamentare l’accesso degli enti territoriali alle contrattazioni sul mercato dei valori mobiliari (contrattazioni idonee, per loro natura, ad alterare i complessivi equilibri finanziari del mercato di riferimento) mediante la previa individuazione della tipologia di contratti che detti enti possono stipulare e delle componenti derivate che possono prevedere nei relativi contratti di finanziamento, sia duplice, mirando su un piano generale alla tutela, in prospettiva macroeconomica e per fini di uniformità sull’intero territorio nazionale, della stabilità del mercato mobiliare e del risparmio e su un piano particolare alla tutela del complesso delle risorse finanziarie pubbliche (ontologicamente destinate al raggiungimento di finalità di carattere pubblico, dunque, di generale interesse per la collettività) e degli equilibri economici a livello di finanza regionale e locale. Secondo il Giudice delle leggi è “innegabile, infatti, che i derivati finanziari scontino un evidente rischio di mercato, non preventivamente calcolabile, ed espongano gli enti pubblici ad accollarsi oneri impropri e non prevedibili all’atto della stipulazione del contratto, utilizzando per l’operazione di investimento un contratto con caratteristiche fortemente aleatorie per le finanze dell’ente. Si tratta, pertanto, di una disci- plina che, tutelando il mercato e il risparmio, assicura anche la tutela del patrimonio dei soggetti pubblici” (Corte cost. 18 febbraio 2010, n. 52).
(51) Rubricato “Disposizioni in materia di oneri sociali e di personale e per il funzionamento di amministrazioni ed enti pubblici”.
(52) Recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)”.
(53) La l. n. 133/2008 ha disposto l’inserimento nel testo dell’art. 62 del d.l. n. 112/2008 del c. 3-bis, ai sensi del quale «All’articolo 3, comma 17, secondo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni, dopo le parole: “cessioni di crediti vantati verso altre amministrazioni pubbliche” sono aggiunte le seguenti: “nonché, sulla base dei criteri definiti in sede europea dall’Ufficio statistico delle Comunità europee (Eurostat), l’eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate”». Detta previsione è stata oggetto di ulteriore precisazione in occasione della sostituzione del richiamato c. 17 ad opera del d.lgs. 10 agosto 2014, n. 126 (“Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42”): nel testo attualmente in vigore la dicitura è “l’eventuale somma incassata al momento del perfezionamento delle operazioni derivate di swap (cosiddetto upfront)”.
(54) “Ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica previsti dagli articoli 119 e 120 della Costituzione […]”.
(55) Recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2009)”.
(56) Art. 62, c. 5, come novellato, d.l. n. 112/2008.
informativa che evidenzi gli oneri e gli impegni finanziari, rispettivamente stimati e sostenuti, derivanti da contratti relativi a strumenti finanziari derivati o da contratto di finanziamento che includono una componente derivata” (57). Quanto alla delimitazione temporale del divieto, è stato stabilito che sarebbe perdurato fino alla data di entrata in vigore del regolamento e “comunque per il periodo minimo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore” del decreto medesimo, mentre con riferimento all’ambito oggettivo di applicazione è stata fatta espressamente salva “la possibilità di ristrutturare il contratto derivato a seguito di modifica della passività alla quale il medesimo contratto
derivato è riferito, con la finalità di mantenere la corrispondenza tra la passività rinegoziata e la collegata operazione di copertura”.
L’articolo 62 del decreto-legge n. 112 del 2008 è stato oggetto, in seguito, di una parziale riformulazione da parte della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (58), la quale ha in primis eliminato il rinvio al regolamento del Ministro dell’eco- nomia e delle finanze per l’individuazione della tipologia di strumenti finanziari derivati sottoscrivibili da parte degli enti territoriali: l’eliminazione de qua ha de facto attribuito natura permanente al divieto di “stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati previsti dall’articolo 1, comma 3, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”, di “procedere alla rinegoziazione dei contratti derivati già in essere alla data di entrata in vigore” della disposizione medesima e di “stipulare contratti di finanziamento che includono componenti derivate” (59).
Sul testo dell’articolo 62 del decreto-legge n. 112 del 2008 è, altresì, intervenuta la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (60), la quale ha previsto, in relazione a quanto disposto dal secondo periodo del comma 2 del menzionato articolo 62 e limitatamente agli enti locali di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (61), che “la durata delle operazioni di rinegoziazione, relative a passività esistenti già oggetto di rinegoziazione, non può essere superiore a trenta anni dalla data del loro perfezionamento” (62).
(57) Art. 62, c. 8, come novellato, d.l. n. 112/2008.
(58) Recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)”.
(59) Art. 62, c. 3, come novellato, d.l. n. 112/2008. La norma ha, altresì, espressamente previsto alcune eccezioni al divieto, consen- tendo le operazioni volte, a titolo esemplificativo, all’estinzione anticipata e totale del contratto relativo agli strumenti finanziari derivati ovvero alla ristrutturazione del contratto a seguito della modifica della passività di riferimento. Quanto al regime disciplinatorio, ferma restando la sanzione della nullità, l’obbligo gravante sul soggetto competente alla sottoscrizione del contratto per conto dell’ente pubblico di attestazione di aver preso conoscenza dei rischi e delle caratteristiche del sottoscrivendo contratto è stato ampliato, dal punto di vista contenutistico, fino a ricomprendere anche le “variazioni intervenute nella copertura del sottostante indebitamento” (c. 4, come novellato).
(60) Recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)”.
(61) Recante il “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”.
(62) Art. 1, c. 537, l. n. 190/2014. Per quanto attiene al trattamento contabile dei contratti derivati degli enti territoriali, specifiche prescrizioni sono poste dal principio contabile applicato della contabilità finanziaria di cui all’allegato n. 4/2 al d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118 (“Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 24”). I Giudici contabili, dopo aver ricordato che “il principio della prudenza, il quale deve trovare applicazione in tutto il sistema di bilancio, esige che nel documento di previsione debbano essere iscritte solo le entrate che si prevede siano accertabili nel periodo amministrativo considerato con una predisposizione del bilancio di previsione estremamente accorta”, hanno definito “anomala” la “applicazione dei flussi positivi dei derivati alla copertura di spesa corrente ripeti- tiva”, trattandosi di entrata avente “natura di plusvalenza […] con necessaria appostazione al tiolo IV (e non al titolo I o al titolo III) e destinazione a spese di investimento (e non correnti, neppure se non ripetitive), ovvero alla compensazione con i futuri flussi negativi, vincolandola a tale finalità nell’avanzo di amministrazione” (Corte conti, Sez. contr. reg. Liguria, 30 dicembre 2011, n. 128). Per un approfondimento, v. X. Xxxxxxx, Il trattamento contabile delle operazioni in derivati dell’ente locale, in Finanza e tributi locali, 2022, 5- 6, 5. Con riferimento alla sottoscrizione da parte di un’amministrazione comunale di un contratto derivato interest rate swap del tipo plain vanilla i Giudici contabili hanno ritenuto che “[l]a sottoscrizione di un contratto derivato, facendo insorgere contemporaneamente obbli- gazioni a carico e a favore dell’ente, è destinato a produrre degli effetti patrimoniali che debbono essere congruamente valutati sotto il profilo dell’utilità e della remunerazione, analogamente a quanto dovrebbe avvenire per ogni atto di disposizione delle risorse dell’ente”, mentre con precipuo riferimento agli obblighi di contabilità ricadenti sull’ente locale hanno osservato che “la necessità di avere completa cognizione di tutti gli elementi informativi incidenti sulla determinazione dei flussi scambiati viene in rilievo sotto un duplice profilo: infatti, da un lato, in applicazione dei principi di veridicità, integrità ed attendibilità del bilancio dovrebbero essere contabilizzati appositi stanziamenti in uscita da imputare al titolo I, spese correnti, per i differenziali negativi ed al titolo III in entrata per i differenziali positivi senza operare alcuna compensazione tra le obbligazioni e, dall’altro lato, in applicazione anche dei principi di una sana e prudente gestione finanziaria, dovrebbe essere costituito un apposito fondo di accantonamento destinato ad assorbire gli eventuali rischi futuri connessi alle operazioni di finanza derivata (che, quindi, presuppone sia la conoscenza del mark to market che la possibilità di compiere una valutazione del rischio – “value to risk”)”; conseguentemente, secondo i Giudici contabili, non costituisce una condotta rispondente ai canoni di sana e prudente gestione finanziaria “porre in essere operazioni finanziarie, comprese quelle derivate, in assenza di una compiuta conoscenza del valore delle operazioni medesime e delle reali condizioni economiche alle quali l’operazione era posta in essere”: il mancato svolgimento, in sede di decisione circa la stipulazione del contratto derivato, di una “adeguata istruttoria relativamente […] alla ingegneria finanziario dello strumento […] al suo valore di mercato, all’esistenza di costi impliciti, agli scenari probabilistici futuri […] al suo impatto sui futuri equilibri di bilancio” costituisce un contegno fonte di responsabilità per danno erariale (Corte conti, Sez. giur. reg. Veneto, 12 aprile 2023, n. 24).
3. La regolamentazione dei contratti derivati degli enti locali tra il neoformalismo della legislazione di settore e il rigore formale di matrice giuscontabile
3.1. Il neoformalismo negoziale di stampo civilistico
3.1.1. La libertà delle forme
Nell’impianto codicistico vige il principio generale della libertà delle forme di manifestazione della volontà nego- ziale, costituendo la forma uno specifico requisito di validità del contratto esclusivamente “quando risulta che è pre- scritta dalla legge sotto pena di nullità” (63).
Ove prescritto, il requisito formale “trova fondamento […] nell’esigenza di responsabilizzazione del consenso e di certezza dell’atto, in funzione della sicurezza della circolazione dei diritti” (64).
3.1.2. L’asimmetria negoziale come fonte di debolezza contrattuale e la finalità rimediale del neoformalismo
Per “contratto asimmetrico” si intende un modello contrattuale nell’ambito del quale le posizioni delle parti con- traenti sono caratterizzate da una significativa asimmetria in termini di forza negoziale, declinabile, a seconda dei casi, come asimmetria informativa, economica o relazionale.
Il diverso, rectius asimmetrico, potere negoziale può dipendere da fattori come le qualità personali di uno dei con- traenti oppure le obiettive condizioni di mercato (65).
L’asimmetria assume specifica rilevanza nel momento genetico del rapporto, in quanto idonea a incidere – alteran- dolo – sull’equilibrio sinallagmatico.
Il legislatore è intervenuto in un’ottica di bilanciamento delle posizioni contrattuali (66), introducendo un insieme di regole divergenti dalla disciplina generale del contratto di matrice codicistica, per definizione simmetrico (67).
Con l’espressione “neoformalismo” si intende la nuova tendenza del legislatore, manifestatasi con riferimento a determinati e specifici settori, a proteggere il processo di formazione della volontà negoziale attraverso una tutela di tipo formale, funzionale a rendere il contraente in posizione di debolezza contrattuale pienamente consapevole della propria scelta, consapevolezza per il cui raggiungimento si pone come imprescindibile la completa conoscenza del contenuto del negozio.
Il settore “elettivo” di questa nuova “tendenza” è stato quello dei contratti rispetto ai quali la debolezza contrattuale di una delle parti contraenti discende da una situazione di asimmetria informativa: il requisito formale è, infatti, pre- scritto a garanzia del contraente c.d. debole, onde assicurargli la più ampia cognizione del documento negoziale predi- sposto dalla controparte.
Il mancato rispetto del requisito formale è sanzionato con una nuova tipologia di nullità ovvero la nullità c.d. di protezione (68), istituto introdotto con finalità rimediale-sanzionatoria e costituente una species della nullità negoziale, la cui genesi è rinvenibile nella normativa comunitaria sugli scambi, precipuamente volta alla tutela delle situazioni seriali di debolezza contrattuale che si risolvono in rapporti contrattuali sbilanciati.
La nullità di protezione costituisce lo strumento giuridico apprestato dall’ordinamento per riequilibrare i rapporti tra i contraenti (69) e – a differenza dalle ipotesi di nullità codificate dal legislatore nel 1942, la cui ratio risiede nella
(63) Art. 1325, n. 4, c.c.
(64) Cass., Sez. III, 2 settembre 2013, n. 20051.
(65) X. Xxxxx, Appunti di diritto civile, Padova, Cedam, 2008, 398: l’A. osserva che la legislazione “mostra come la debolezza contrat- tuale poggi su due aspetti di fondo: l’asimmetria informativa e la posizione di subalternità nei rapporti tra imprese”.
(66) X. Xxxxx, op. cit.: “il legislatore, nel delimitare l’ambito di operatività delle discipline protezionistiche, si [è] affidato in primo luogo a requisiti soggettivi, quali quelli di consumatore e professionista debole” (p. 399); in altri termini, il legislatore “individua lo status soggettivo del consumatore come potenzialmente esposto al rischio di abusi da parte di soggetti che, in quanto professionisti del settore economico di riferimento, possono comportarsi come contraenti smaliziati” (p. 399).
(67) X. Xxxxx, op. cit.: secondo l’A., il quale individua nell’impianto codicistico un’unica ipotesi di tutela del contraente debole, “la disciplina delle condizioni generali di contratto (art. 1341 c.c.) e del contratto concluso mediante moduli e formulari (art. 1342 c.c.) rappresenta una pionieristica forma di tutela del contraente debole limitata alle contrattazioni di massa. Ciò vuol dire che nell’impianto codicistico originario non vengono prese adeguatamente in considerazione le diverse capacità e competenze nella gestione degli affari, in quanto l’autonomia contrattuale sarebbe, in tale prospettiva, di per sé strumento di tutela, giacché il contraente, se reso pienamente consapevole del contratto, è in grado di decidere se aderire o meno al contratto. Come si vede, in tale impostazione, la nozione di con- traente debole, seppure in nuce, è estremamente ristretta” (pp. 397-398).
(68) Nell’impianto codicistico vige la dicotomia nullità (assoluta)-annullabilità (relativa). Come osservato in dottrina, le ipotesi di nullità previste dal codice civile “trovavano la loro giustificazione nella necessità di fornire adeguata protezione agli interessi generali coinvolti nella vicenda contrattuale che potessero considerarsi sovraordinati rispetto a quelli particolari dei contraenti, i quali, invece, trovavano adeguata tutela nella disciplina della annullabilità del contratto. La diversa natura degli interessi protetti dalle due tipologie di sanzioni (nullità ed annullabilità) ne spiega il differente regime” (X. Xxxxx, op. cit., 397).
(69) Quanto alla legislazione nazionale la “primigenia” forma di nullità c.d. di protezione risale alla l. 6 febbraio 1996, n. 52 (“Dispo- sizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 1994”), mediante la quale era stato introdotto nel codice civile l’art. 1469-quinquies, che sanciva l’inefficacia delle clausole vessatorie inserite nei contratti conclusi con i consumatori. La disposizione è stata abrogata a seguito dell’adozione del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (“Codice del
“necessità di fornire adeguata protezione agli interessi generali coinvolti nella vicenda contrattuale” (70) – “è posta a presidio, non più di interessi generali, ma di interessi settoriali e di categorie di soggetti economicamente deboli” (71).
La divergenza disciplinatoria che connota la nullità di protezione, riveniente dalla specificità del rapporto, ontolo- gicamente caratterizzato da un’asimmetria negoziale, è declinabile in termini di differenziazione della legittimazione al relativo rilievo in sede giudiziale (72).
L’ordinamento, nel momento in cui appresta il rimedio sanzionatorio della nullità a tutela dell’interesse del con- traente debole, demanda al medesimo, nella sua qualità di (unico) titolare dell’interesse protetto, la scelta se attivare o meno il rimedio (73).
In altri termini, la conservazione del contratto è condizionata esclusivamente alla volontà del contraente debole, al quale è rimessa, in ultima analisi, la valutazione di stretta convenienza circa la natura degli effetti (positivi o meno) rivenienti dalla scelta – discrezionale – edi esercitare il rimedio sanzionatorio; diversamente operando, risulterebbe vanificato lo scopo ontologicamente protettivo della tutela apprestata.
Ciò comporta che la relatività non è più appannaggio esclusivo dell’annullabilità e, conseguentemente, essendo connotata da una divergenza disciplinatoria, mette “in discussione la tradizionale dicotomia nullità assoluta/annulla- bilità relativa” (74).
Con riferimento alla nullità di protezione la legittimazione ad agire è differenziata, ponendosi in contrapposizione alla legittimazione generalizzata tipica del regime della nullità di stampo codicistico: la sterilizzazione degli effetti squilibranti discendenti dall’asimmetria informativa è demandata in via esclusiva al contraente debole, rectius protetto.
3.1.3. Il regime formale nel settore dell’intermediazione finanziaria
La tendenza del legislatore al neoformalismo negoziale ha trovato una specifica manifestazione nel settore dell’in- termediazione finanziaria.
Per la redazione dei contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento l’articolo 23 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (75) (c.d. Tuf) ha prescritto la forma scritta e comminato, per il caso di inosservanza di detto requisito, la nullità, declinabile in termini di nullità speciale c.d. di protezione (76).
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, nel settore de quo il requisito della forma scritta ad substantiam deve essere inteso in senso (non strutturale, ma) funzionale, attesa la “chiara finalità della previsione della nullità, volta ad assicurare la piena indicazione al cliente degli specifici servizi forniti, della durata e delle modalità di rinnovo del contratto e di modifica dello stesso, delle modalità proprie con cui si svolgeranno le singole operazioni, della periodicità, contenuti e documentazione da fornire in sede di rendicontazione” (77): il requisito formale “deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti” (78).
consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229”), nel testo del quale compare, per la prima volta, la dizione “nullità di protezione”: l’art. 36 modifica in nullità la sanzione contro le clausole vessatorie quale rimedio posto a presidio del contenuto minimo e inderogabile del contratto del consumatore (“Le clausole considerate vessatorie […] sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto”).
(70) X. Xxxxx, op. cit., 397.
(71) X. Xxxxx, op. cit., 398. L’A. aggiunge che “[s]i supera, in questo modo, l’idea per la quale il soggetto è comunque in grado di realizzare i propri interessi negoziali, e si arriva ad affidare all’ordinamento compiti protezionistici nell’ambito di quei settori caratteriz- zati da condizioni di squilibrio economico, cognitivo ed informativo. Se questa è la ratio, è evidente come il regime della nullità assoluta difficilmente avrebbe dato soddisfacente risposta alle suesposte esigenze. Ciò giustifica – ed è questo il dato più significativo che rompe col passato – la legittimazione relativa che connota la nullità di protezione”.
(72) X. Xxxxx, op. cit.: “mentre dall’art. 1421 c.c. si desumeva un rapporto di regola ed eccezione tra i casi di legittimazione generale e quelli in cui la nullità poteva essere fatta valere solo da determinati soggetti, la previsione di sempre più numerose ipotesi di nullità relative di protezione, ha significativamente alterato tale equilibrio” (p. 398).
(73) X. Xxxxx, op. cit.: nel caso di nullità di protezione “la legittimazione spetterà al solo soggetto titolare dell’interesse protetto e al giudice previa valutazione degli effetti positivi sul primo. Nel caso di nullità assoluta, invece, la legittimazione spetta a chiunque vi abbia interesse ed è rilevabile d’ufficio dal giudice incondizionatamente” (p. 398).
(74) X. Xxxxx, op. cit., 398.
(75) Recante il “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52”.
(76) Cfr., ex multis, Xxxx., Sez. I, 27 aprile 2016, n. 8395. La nullità del contratto, sancita a “tutela dell’investitore a fronte di un’ope- razione in derivati connotata da costi occulti […] non è quella, virtuale (art. 1418, comma 1, c.c.), di cui si sono occupate due ben note pronunce delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) per escludere che essa abbia a prospettarsi in caso di inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, ma una nullità strutturale (art. 1418, comma 1, c.c.), inerente ad elementi essenziali del contratto” (Cass., Sez. I, 10 agosto 2022, n. 24654).
(77) Cass., S.U., 16 gennaio 2018, n. 898.
(78) Xxxx., S.U., n. 898/2018, cit., la quale – con specifico riguardo alla questione della necessità o meno, al fine del rispetto del requisito della forma scritta, della sottoscrizione di entrambe le parti (ovvero sia dell’intermediario che dell’investitore) – ha enunciato il
3.2. Il regime formale tipico della contrattualistica pubblica e le relative implicazioni giuscontabili
3.2.1. La forma scritta ad substantiam e l’unicità documentale
Nella contrattualistica pubblica il referente normativo in materia di regime formale è costituito dal combinato di- sposto degli articoli 16 e 17 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 (79), i quali sanciscono un generale obbligo di adozione della forma scritta.
L’imposizione ex lege del requisito della forma scritta ad substantiam comporta che l’intervenuta stipulazione, da parte della pubblica amministrazione, del contratto non può discendere “da una manifestazione di volontà implicita o da comportamenti meramente attuativi” (80).
La volontà di obbligarsi “non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge” (81), con conseguente irrilevanza, in termini di produzione di effetti negoziali, del “mero com- portamento concludente, anche se protrattosi per anni” (82).
L’imposizione della forma scritta ad substantiam costituisce precipua “espressione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione e garanzia del regolare svolgimento dell’attività am- ministrativa, sul presupposto che solo tale forma consente di identificare con precisione l’obbligazione assunta e l’ef- fettivo contenuto negoziale dell’atto, rendendolo agevolmente controllabile anche in punto di necessaria copertura finanziaria” (83).
Nell’ambito della contrattualistica pubblica il requisito formale rappresenta uno “strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, sia nell’interesse del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia nell’inte- resse della stessa p.a., agevolando detta forma l’espletamento della funzione di controllo” (84).
seguente principio di diritto: “In tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti” (massima rv. 646965- 01).
(79) Recante “Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato”. Le eccezioni al regime formale sono possibili soltanto nei casi previsti dalla legge, quale, a titolo esemplificativo, quello degli acquisiti mediante i fondi economali (per un approfondimento, v. Corte conti, Sez. contr. reg. Calabria, 15 febbraio 2021, n. 66). “In ragione della natura imprenditoriale dell’attività svolta e della sua autonomia organizzativa e gestionale rispetto allo stato e agli enti locali da cui è partecipata, l’azienda speciale di ente pubblico territoriale, pur appartenendo al sistema con il quale la p.a. gestisce i servizi pubblici che abbiano per oggetto produzioni di beni e attività rivolte a soddisfare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, non può qualificarsi, ai fini della normativa sulla forma dei contratti di cui agli articoli 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923 pubblica amministrazione in senso stretto. Ne consegue che per i suoi contratti non è imposta la forma scritta ad substantiam, né sono vietate la stipula per facta concludentia o mediante esecuzione della prestazione ex art. 1327 c.c., ma vige, al contrario, il principio generale della libertà della forma di manifestazione della volontà negoziale” (Cass., S.U., 9 agosto 2018, n. 00000, xxxxxxx xx. 650274-01).
(80) Cons. Stato, Sez. III, 12 settembre 2019, n. 6151. “Il contratto mancante della forma scritta non è suscettibile di sanatoria poiché gli atti negoziali della p.a. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti, né, a tal fine, è sufficiente che il professionista accetti, espressamente o tacitamente, la delibera a contrarre, atteso che questa, benché sottoscritta dall’or- gano rappresentativo medesimo, resta un atto interno che l’ente può revocare ad nutum” (Cass., Sez. VI-2, 14 gennaio 2021, n. 510).
(81) Cass., Sez. III, 11 novembre 2015, n. 22994. Per quanto attiene alla questione della (eventuale) rilevanza delle delibere interne in sede di accertamento della volontà negoziale dell’ente pubblico i Giudici di legittimità hanno enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di contratti degli enti pubblici, stante il requisito della forma scritta imposto a pena di nullità per la stipulazione di tali contratti, la volontà degli enti predetti dev’essere desunta esclusivamente dal contenuto dell’atto, interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c., non potendosi fare ricorso alle deliberazioni degli organi competenti, le quali, essendo atti estranei al documento contrattuale, assumono rilievo ai soli fini del procedimento di formazione della volontà, attenendo alla fase preparatoria del negozio e risultando pertanto prive di valore interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non siano espressamente richiamate dalle parti; né può aversi riguardo, per la determinazione della comune intenzione delle parti ex art. 1362, comma 2, c.c., alle deliberazioni adottate da uno degli enti successivamente alla conclusione del contratto ed attinenti alla fase esecutiva del rapporto, in quanto aventi carattere unilaterale” (Cass., Sez. I, 9 maggio 2018, n. 11190, massima rv. 649029-01. Nella fattispecie scrutinata, riguardante una con- venzione tra comune, provincia e società privata per un appalto di servizi, con anticipazione del corrispettivo a carico della provincia e diritto al recupero nei confronti del comune, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimi i pagamenti in acconto effettuati dalla provincia sulla base di una propria delibera, successiva alla stipulazione della convenzione, ritenuta integrativa del contenuto di questa, la quale, invece, non prevedeva il frazionamento del pagamento in acconti per stati di avanzamento).
(82) Cass. n. 22994/2015, cit. “In tema di attività di diritto civile della p.a., nel cui ambito vige il principio della forma scritta dell’atto a pena di nullità, l’invio della disdetta nel termine previsto negozialmente impedisce che possa ritenersi prorogato per fatti concludenti il contratto scritto, nel quale pure sia pattuita la rinnovazione tacita, atteso che, una volta verificatisi gli effetti della disdetta, le parti possono porli nel nulla solo con un ulteriore atto avente natura contrattuale che, nel caso della p.a., la cui inerzia è insuscettibile d’integrare una condotta produttiva di effetti negoziali, deve rivestire forma scritta ed essere adottato dall’organo legittimato a rappresentare l’ente ed a concludere, in suo nome e per suo conto, i contratti” (Xxxx., Sez. III, 9 maggio 2017, n. 00000, xxxxxxx xx. 644193-01).
(83) Cons. Stato, Sez. V, 29 maggio 2019, n. 3575. (84) Cass., Sez. I, 27 luglio 2004, n. 14099.
Per quanto attiene, specificamente, alla questione interpretativa circa la necessità o meno – con riferimento ai con- tratti conclusi con la modalità della trattativa privata (85) – dell’unicità documentale e della contestualità spazio-tem- porale delle sottoscrizioni esistono due diverse posizioni giurisprudenziali.
L’orientamento più rigoroso richiede, facendo leva sul dato testuale desumibile dall’articolo 16 del regio decreto n. 2440 del 1923, la consacrazione in un unico documento: “i contratti stipulati con la pubblica amministrazione devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta con la sottoscrizione di un unico documento, rappresentando essa strumento indefettibile di garanzia del regolare svolgimento dell’attività negoziale della p.a., nell’interesse sia del cittadino sia della stessa amministrazione” (86).
Quanto alla questione del rinnovo tacito l’imposizione della forma scritta ad substantiam “determina non solo l’esclusione della possibilità di desumere l’intervenuta stipulazione del contratto da una manifestazione di volontà implicita o da comportamenti meramente attuativi, ma anche la necessità che, salvo diversa previsione di legge, l’in- tera vicenda negoziale sia consacrata in un unico documento, contenente tutte le clausole destinate a disciplinare il rapporto. Ciò vale anche per il rinnovo dei contratti, che, dunque, non può avvenire tacitamente” (87).
Ne consegue, secondo l’orientamento de quo, l’inidoneità – al fine del perfezionamento del contratto – del mero
«scambio di proposta ed accettazione tra assenti (salva l’ipotesi eccezionale prevista “ex lege” di contratti conclusi con ditte commerciali)» (88), essendo, comunque, imprescindibile, per ritenere sussistente una valida manifestazione della volontà negoziale, la sottoscrizione di un unico documento, “sebbene non contemporanea, ma avvenuta in tempi e luoghi diversi” (89).
L’unica eccezione alla (ritenuta) necessità dell’unicità documentale è individuata con riferimento ai contratti con le imprese commerciali ex articolo 17 del regio decreto n. 2440 del 1923, i quali «possono essere conclusi attraverso atti non contestuali, a mezzo di corrispondenza “secondo l’uso del commercio”, non essendo comunque sufficiente che da atti scritti risultino comportamenti attuativi di un accordo solo verbale» (90).
L’orientamento giurisprudenziale meno formalistico, invece, reputa non necessaria la redazione del contratto su un unico documento sottoscritto da entrambi i contraenti, potendo il requisito della forma scritta ad substantiam essere soddisfatto anche mediante lo scambio di (distinte) missive recanti la proposta e l’accettazione, entrambe sottoscritte e tra loro collegate (91).
3.2.2. La (non) riconoscibilità del debito fuori bilancio nell’ipotesi di assenza di contratto scritto
Il mancato rispetto degli obblighi di forma prescritti per la redazione dei contratti della pubblica amministrazione ha, nell’ipotesi in cui si tratti di un contratto passivo, specifiche implicazioni sul piano giuscontabile: si pone, al
(85) Cfr. art. 17 r.d. n. 2440/1923, mentre il precedente art. 16 prevede la forma pubblica amministrativa.
(86) Cass., Sez. I, 15 giugno 2015, n. 12316. Conformi, ex multis, Xxxx., Sez. I, 12 luglio 2001, n. 9428; n. 14099/2004, cit. “I contratti conclusi dalla p.a. richiedono la forma scritta ad substantiam e devono essere consacrati in un unico documento, ciò che esclude il loro perfezionamento attraverso lo scambio di proposta ed accettazione tra assenti (salva l’ipotesi eccezionale prevista ex lege di contratti conclusi con ditte commerciali), mentre tale requisito di forma deve ritenersi soddisfatto nel caso di cd. elaborazione comune del testo contrattuale, e cioè mediante la sottoscrizione – sebbene non contemporanea, ma avvenuta in tempi e luoghi diversi – di un unico docu- mento contrattuale il cui contenuto (nella specie, relativo ad un rapporto di locazione) sia stato concordato dalle parti” (Cass., Sez. III, 17 giugno 2016, n. 12540, massima rv. 640379-01). “I contratti conclusi dalla p.a. richiedono, al fine di soddisfare il requisito della forma scritta ad substantiam, la contestualità delle manifestazioni di volontà delle parti, salva l’ipotesi eccezionale prevista dall’art. 17 del r.d.
n. 2240 del 1923 per i contratti stipulati con ditte commerciali. La proposta e l’accettazione possono, comunque, essere contenute in documenti distinti, purché siano poi consacrate in un unico testo” (Xxxx., Sez. III, 20 marzo 2020, n. 7478, massima rv. 657426-01. Nella fattispecie scrutinata la Suprema Corte ha cassato con rinvio la decisione di appello che aveva ritenuto sufficiente, ai fini del perfeziona- mento del contratto, l’accettazione successiva e separata, per corrispondenza, da parte di una università, della precedente proposta di con- venzione formulata da un’associazione culturale).
(87) Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 23 luglio 2018, n. 1795. (88) Cass. n. 12540/2016, cit.
(89) Ibidem.
(90) Cass., Sez. I, 17 marzo 2015, n. 5263. Nella fattispecie scrutinata la Suprema Corte ha ritenuto che le fatture prodotte in giudizio dalla p.a. convenuta non potessero rappresentare la forma scritta dell’accordo e non fossero suscettibili di rappresentare un comportamento processuale implicitamente ammissivo del diritto sorto dall’atto negoziale non esibito.
(91) “Il requisito della forma scritta, richiesta ad substantiam per la stipulazione dei contratti della p.a., nei contratti conclusi con la modalità della trattativa privata, non richiede necessariamente la redazione dell’atto su di un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, ma può essere soddisfatto anche mediante lo scambio delle missive recanti, rispettivamente, la proposta e l’accettazione, entrambe sottoscritte ed inscindibilmente collegate, in modo da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo, perché questa modalità di stipulazione del contratto, generalmente ammessa dall’ordinamento, non è esclusa per tali contratti dalla formula di cui all’art. 17, r.d.
n. 2440 del 1923” (Cass., Sez. I, 27 ottobre 2017, n. 25631, massima rv. 647056-02). “I contratti stipulati dalla p.a. a trattativa privata ai sensi dell’art. 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, pur richiedendo in ogni caso la forma scritta ad substantiam, possono anche non risultare da un unico documento, ove siano stipulati secondo l’uso del commercio e riguardino ditte commerciali. Peraltro, occorre in ogni caso che il perfezionamento del contratto risulti dallo scambio di proposta e accettazione, non potendo ritenersi sufficiente che la forma scritta investa la sola dichiarazione negoziale della amministrazione, né che la conclusione del contratto avvenga per facta conclu- dentia, con l’inizio dell’esecuzione della prestazione da parte del privato attraverso l’invio della merce e delle fatture, secondo il modello dell’accettazione tacita previsto dall’art. 1327 cod. civ.” (Cass. n. 12316/2015 cit., massima rv. 635756-01).
ricorrere dell’evenienza de qua, un problema di mancata programmazione della spesa, soprattutto alla luce del principio della (necessaria) copertura finanziaria (92).
Con precipuo riferimento agli enti locali il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” (c.d. Tuel) regolamenta la procedura giuscontabile di gestione della spesa pubblica in maniera analitica e puntuale (93), in virtù della dirimente constatazione che “l’azione della pubblica am- ministrazione non è nella disponibilità del singolo ente, ma è funzionale a garantire alla collettività di riferimento che detta azione si svolga nel rispetto del principio di legalità” (94).
Nonostante ciò, a livello di prassi operativa si sono registrate deviazioni del procedimento di spesa dai principi normativi e dalle ordinarie procedure che lo presiedono, deviazioni comportanti de facto passività non precedute dalla preventiva adozione del relativo impegno di spesa: si tratta del fenomeno dei c.d. debiti fuori bilancio, ovvero obbliga- zioni pecuniarie perfezionate dal punto di vista giuridico, ma non da quello giuscontabile (95), in quanto insorte in assenza di un previo specifico impegno contabile di spesa, nonché in violazione dell’ordinario iter di formazione della volontà dell’ente locale.
Per quanto attiene al piano prettamente definitorio, il Ministero dell’interno ha definito il debito fuori bilancio come
– testualmente – la “obbligazione verso terzi per il pagamento di una determinata somma di denaro che grava sull’ente, non essendo imputabile, ai fini della responsabilità, a comportamenti attivi od omissivi di amministratori e funzionari, e che non può essere regolarizzata nell’esercizio in cui l’obbligazione stessa nasce, in quanto assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa degli enti locali” (96).
Nel contempo, il detto ministero ha individuato i requisiti – di carattere generale – che l’obbligazione pecuniaria deve possedere per essere riconosciuta come “debito fuori bilancio”: i) certezza, “cioè che esista effettivamente una obbligazione a dare, non presunta ma inevitabile per l’ente”; ii) liquidità, “nel senso che sia individuato il soggetto creditore, il debito sia definito nel suo ammontare, l’importo sia determinato o determinabile mediante una semplice operazione di calcolo aritmetico”; iii) esigibilità, “cioè che il pagamento non sia dilazionato da termine o subordinato a condizione”.
Secondo la Magistratura contabile, il debito fuori bilancio, il quale “sorge per il fatto che lo stesso si è perfezionato giuridicamente, ma non contabilmente” (97), può essere definito come quel “debito costituito da obbligazioni pecunia- rie, relative al conseguimento di un fine pubblico, valide giuridicamente ma non perfezionate contabilmente […] e che, pertanto, rappresenta, sostanzialmente, una obbligazione dell’ente locale, valida sul piano giuridico, ma assunta in violazione del procedimento giuscontabile di spesa normativamente previsto” (98).
In estrema sintesi, il debito fuori bilancio rappresenta un’obbligazione pecuniaria perfezionata a livello di ordina- mento civilistico, insorta, però, in assenza di un previo specifico impegno contabile di spesa, nonché in violazione dell’ordinario iter di formazione della volontà dell’ente locale.
(92) Il Giudice delle leggi ha chiarito che «il canone costituzionale dell’art. 81, terzo comma, Cost. “opera direttamente, a prescindere dall’esistenza di norme interposte” (ex plurimis, sentenza n. 26 del 2013)» e affermato che “costituisce principio generale che tutte le risorse stanziate in bilancio siano già interamente impegnate e dirette a sovvenire a spese già ivi previste (ex multis, sentenze n. 171 del 2021 e n. 209 del 2017)” (Corte cost. 2 dicembre 2021, n. 226).
(93) Le fasi previste dal Tuel sono quattro: l’impegno (cfr. art. 183 Tuel), la liquidazione (cfr. art. 184 Tuel), l’ordinazione (cfr. art. 185 Tuel) e il pagamento (cfr. art. 185 Tuel). Come chiarito dal principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria di cui all’allegato n. 4/2 al d.lgs. n. 118 del 2011, gli elementi costitutivi dell’impegno di spesa, avente il proprio presupposto in un’obbligazione giuridicamente perfezionata assunta dall’ente, sono la ragione del debito, la somma da pagare, il soggetto creditore, la scadenza dell’ob- bligazione e la specificazione del vincolo costituito sullo stanziamento di bilancio. L’impegno di spesa si perfeziona mediante l’adozione dell’atto gestionale, il quale – previa verifica della ricorrenza dei suddetti elementi costitutivi e della sussistenza della necessaria copertura finanziaria – dà atto degli effetti di spesa in relazione a ciascun esercizio finanziario contemplato dal bilancio di previsione. L’assunzione dell’impegno di spesa, inteso “quale accantonamento e destinazione di una somma per la realizzazione di una determinata iniziativa onerosa”, costituisce “un atto non meramente formale […] bensì necessario a garantire la copertura finanziaria della spesa” (Corte conti, Sez. II centr. app., 2 marzo 2018, n. 125) e risponde a criteri giuscontabilistici di carattere generale, “volti ad assicurare la corretta gestione delle risorse pubbliche” (ibidem) e a consentire agli amministratori di “conoscere con esattezza, di volta in volta, l’entità delle risorse a disposizione” (Corte conti, Sez. contr. reg. Liguria, 12 dicembre 2016, n. 99).
(94) Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 22 novembre 2017, n. 326.
(95) La locuzione “fuori bilancio” è “da intendere riferita ad una fattispecie non considerata negli indirizzi programmatici e nelle autorizzazioni di bilancio approvate dal consiglio, sia a livello annuale, sia pluriennale, perfezionate dalla giunta con la definizione ed approvazione del Piano esecutivo di gestione” (cfr. principio contabile n. 2 per gli enti locali sulla “Gestione nel sistema del bilancio” approvato in data 18 novembre 2008 dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali istituito presso il Ministero dell’in- terno).
(96) Ministero interno, circ. n. 21 del 20 settembre 1993.
(97) Corte conti, Sez. contr. reg. Trentino-Alto Adige, 25 luglio 2018, n. 35.
(98) Corte conti, Sez. contr. reg. Veneto, 1 settembre 2017, n. 461. Il debito fuori bilancio “rappresenta un’obbligazione verso terzi per il pagamento di una somma di denaro, assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano il procedimento finanziario di assunzione degli impegni di spesa da parte degli enti locali” (Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 18 marzo 2020, n. 34).
Il legislatore è intervenuto, in via rimediale, approntando un’apposita disciplina volta a procedimentalizzare la ri- conduzione del debito fuori bilancio “all’interno della sfera patrimoniale dell’ente, ricongiungendo debito e volontà amministrativa sul piano dell’adempimento” (99).
Dal punto di vista giuscontabile il perfezionamento dell’obbligazione presuppone il riconoscimento, da parte dell’ente debitore, della sua legittimità, riconoscimento da formalizzare seguendo la procedura appositamente prevista dall’articolo 194 (100) del Tuel, norma avente “carattere eccezionale”, la quale, come chiarito dai Giudici contabili, non legittima l’ente locale a effettuare spese in difformità dai procedimenti disciplinati dalla legge, ma è volta, “nei casi previsti e tipizzati dalla norma de qua, [a] ricondurre particolari tipologie di spesa nel complessivo sistema di bilancio” (101), in tal modo sanando sia il presupposto giuridico (id est, obbligazione assunta in conformità alla norma) che quello contabile (id est, imputazione della spesa occorrente in capo all’ente che ha provveduto al relativo ricono- scimento) (102).
Il riconoscimento della legittimità del debito fuori bilancio rientra nella competenza deliberativa del consiglio co- munale, “organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo” (103) dell’ente locale, cui è demandato, in gene- rale, il governo dell’attività di gestione finanziaria e, in particolare, il vaglio della legittimità del titolo del debito «in termini di “pertinenza”, cioè inerenza alle competenze di legge attribuite all’ente, e di “continenza”, vale a dire, di esercizio delle stesse in modo conforme all’ordinamento», nonché il reperimento dei mezzi finanziari di copertura della spesa (104).
La valutazione con esito positivo della riconoscibilità del debito fuori bilancio comporta l’adozione di un’apposita delibera (105), mediante la quale, in ossequio al principio della (necessaria) copertura finanziaria, è “ripristinata la fisiologia della fase della spesa” (106) e sono indicate le risorse – da individuare, a loro volta, tra le fonti di finanzia- mento consentite dall’ordinamento giuscontabile – utilizzabili per la copertura finanziaria della spesa riveniente dall’as- sunzione del nuovo impegno contabile (107).
(99) Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 22 luglio 2013, n. 339. Nell’ordinamento contabile degli enti locali la primigenia menzione dei debiti fuori bilancio risale all’art. 1-bis del d.l. 1 luglio 1986, n. 318 (“Provvedimenti urgenti per la finanza locale”), convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 1986, n. 488, intervento normativo “animato” dal precipuo intento di consentire a comuni e province di sanare i debiti fuori bilancio, rendendoli in primis visibili agli effetti dei risultati della gestione e in secundis oggetto di appositi provvedi- menti finalizzati al riequilibrio della gestione nell’ottica del rispetto del pareggio finanziario.
(100) Con precipuo riferimento all’art. 194 Tuel, l’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, istituito presso il Mini- stero dell’interno, ha osservato che detta norma ha “carattere eccezionale”, essendo “finalizzata a ricondurre nei casi previsti e tipici, particolari tipologie di spesa nel sistema di bilancio” e che, in virtù del particolare carattere posseduto, “non consente di effettuare spese in difformità dai procedimenti disciplinati dalla legge”. L’Osservatorio ha, altresì, testualmente definito “tassativa” l’elencazione, conte- nuta nell’art. 194 del Tuel, dei casi in cui è consentito all’ente locale il riconoscimento – postumo – della legittimità di debiti non previsti in sede di programmazione annuale e di bilancio.
(101) Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, n. 326/2017, cit.
(102) «La legge regionale di riconoscimento di un debito fuori bilancio deve, ai sensi del comma 3 dell’art. 73 del d.lgs. n. 118 del 2011, contestualmente individuare nel bilancio “le disponibilità finanziarie sufficienti per effettuare le spese conseguenti” a tale ricono- scimento. Le risorse occorrenti, quindi, non possono che essere rinvenute nel bilancio di previsione che gestisce l’esercizio in cui la spesa è introdotta. Del resto, l’individuazione della copertura deve essere contestuale alla previsione dell’onere, oltreché congrua e attendibile (sentenze n. 226, n. 156 e n. 106 del 2021 e n. 197 del 2019), per cui la legge regionale di riconoscimento di un debito fuori bilancio deve apprestare la relativa copertura facendo riferimento alle risorse finanziarie in quel momento effettivamente disponibili» (Corte cost. 28 marzo 2023, n. 51). Il principio dell’annualità del bilancio sancito al punto 1 dell’Allegato 1 (“Principi generali o postulati”) al d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118 (“Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42”), nonché con il principio applicato 9.1 dell’Al- legato 4/2 (“Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria”) al d.lgs. n. 118/2011 “rappresentano […] norme inter- poste rispetto all’art. 117, secondo xxxxx, lettera e), Cost.” (Corte cost. 2 maggio 2023, n. 81).
(103) Art. 42, c. 1, Tuel.
(104) Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, n. 339/2013, cit.
(105) Pur avendo la giurisprudenza di legittimità riconosciuto l’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 1988 c.c. anche agli atti della pubblica amministrazione (ex multis, Cass., Sez. III, 29 maggio 2003, n. 8643), al quesito se la delibera consiliare postuma di rico- noscimento della legittimità del debito fuori bilancio possa valere come ricognizione di debito i giudici della Suprema Corte di cassazione hanno risposto negativamente, in virtù della dirimente constatazione che la delibera consiliare è “un mero atto interno, avente come desti- xxxxxxx il diverso organo dell’ente legittimato a esprimerne la volontà all’esterno e carattere meramente autorizzatorio ma non è idonea a far sorgere un valido rapporto contrattuale” (Xxxx., Sez. II, 13 maggio 2022, n. 15303): “La delibera comunale con la quale, in sede di riconoscimento di debito fuori bilancio, il Comune destina una somma al pagamento del corrispettivo dell’opera eseguita, in assenza di un valido contratto a monte fonte di obbligazione, non può configurarsi come ricognizione postuma di debito, non innovando, pertanto, il detto riconoscimento la disciplina che regolamenta la conclusione di contratti da parte della p.a., né introducendo una sanatoria per i contratti eventualmente nulli o comunque invalidi, come quelli conclusi senza la forma scritta richiesta ad substantiam” (ibidem).
(106) Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, n. 34/2020, cit.
(107) Cfr. art. 193, c. 3, e art. 194, cc. 2 e 3, Tuel. I Giudici contabili hanno chiarito come “in una corretta gestione finanziaria l’emersione di un debito non previsto nel bilancio di previsione debba essere portata tempestivamente al consiglio dell’ente per l’adozione dei necessari provvedimenti, quali la valutazione della riconoscibilità, ai sensi dell’art. 194, comma 1, e il reperimento delle necessarie coperture secondo quanto previsto dall’art. 193, comma 3, e 194, commi 2 e 3” (Corte conti, Sez. autonomie, 23 ottobre 2018, n. 21, in questa Rivista, 2018, 5-6, 42, con nota di A.M. Quaglini).
Per quanto attiene al trattamento giuscontabile da riservare al debito riveniente da un contratto (passivo) affetto da nullità, in quanto non stipulato in forma scritta, i Giudici contabili, dopo aver precisato che l’assenza della forma scritta “determina la deficienza strutturale dell’atto, ossia la mancanza e l’impossibilità originaria di un elemento costitutivo”
(108) e sottolineato l’inidoneità del contratto privo della forma scritta “a produrre gli effetti suoi propri nei confronti dell’amministrazione pubblica” (109), hanno affermato che «il difetto di forma scritta nei contratti con il comune determina la mancata costituzione dell’obbligazione contrattuale nei confronti dell’amministrazione con la conse- guenza che non vi può essere “debito” fuori bilancio da riconoscere» (110).
Invero, al fine della sua applicabilità l’articolo 194 del Tuel “presuppone l’esistenza di un’obbligazione giuridica- mente perfezionata nei confronti dell’ente locale” (111): «proprio perché il contratto che difetta di forma scritta ad substantiam […] non costituisce un’obbligazione giuridicamente perfezionata, “non risulta applicabile l’art. 194 Tuel che rappresenta una disciplina eccezionale, relativa ad ipotesi tassative e di tendenziale stretta interpretazione” (ex multis Sez. contr. Lombardia, parere n. 65 del 22 febbraio 2013)» (112).
Ne consegue l’imputabilità del rapporto obbligatorio (non all’ente locale, ma) direttamente all’amministratore, fun- zionario o dipendente intervenuto nella contrattazione.
3.2.3. Il regime formale valevole per i contratti derivati stipulati dagli enti locali
Nell’ipotesi in cui l’investitore in strumenti finanziari derivati sia un ente locale concorrono rimedi diversamente modulati dall’ordinamento per il caso di inosservanza del requisito formale.
La giurisprudenza di legittimità – intervenuta sulla questione della conciliabilità, nell’ambito della contrattualistica pubblica, della nullità speciale di protezione prevista dall’articolo 23 del Tuf con la regola generale della forma scritta ad substantiam valida per i contratti stipulati dai soggetti pubblici – ha riconosciuto la “prevalenza del regime della forma scritta ad substantiam che è propria dei contratti della pubblica amministrazione” (113): nell’ipotesi in cui l’ente locale sia parte di un contratto stipulato con un intermediario finanziario e assoggettato al requisito formale prescritto dal Tuf non trova applicazione l’articolo 23 del decreto legislativo n. 58 del 1998 (114).
Conclusione – questa – alla quale la giurisprudenza di legittimità è pervenuta valorizzando la ratio sottesa al rigore formale imposto nella contrattualistica pubblica: la forma scritta “non è volta a tutelare gli interessi sia pure pubblici ma settoriali (cioè inerenti all’ambito delle attribuzioni) di un determinato ente pubblico, quanto gli interessi generali della collettività che soverchiano quelli dell’ente pubblico che è parte in causa, quale strumento di garanzia del rego- lare svolgimento dell’attività amministrativa e di tutela delle risorse pubbliche, in attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della p.a., a norma dell’art. 97 Cost.” (115).
Nella concorrenza del regime disciplinatorio di cui all’articolo 23 del decreto legislativo n. 58 del 1998 con quello di cui all’articolo 17 del regio decreto n. 2440 del 1923 “deve assicurarsi prevalenza alla disciplina dettata da quest’ul- tima norma, con la conseguenza che la nullità è rilevabile d’ufficio ed è insuscettibile di qualsiasi forma di sanatoria” (116).
4. Considerazioni conclusive
Il settore dell’intermediazione finanziaria è annoverabile tra quelli nell’ambito dei quali ha trovato espressa mani- festazione la tendenza del legislatore nazionale al neoformalismo negoziale, quale esplicazione, a livello normativo, dell’intento di proteggere il processo di formazione della volontà negoziale attraverso una tutela di tipo formale, fun- zionale a condurre il contraente in posizione di debolezza contrattuale alla piena consapevolezza della scelta operata con la stipulazione del contratto.
Al detto fine il decreto legislativo n. 58 del 1998 ha imposto, in sede di stipulazione dei contratti relativi alla pre- stazione dei servizi di investimento, il requisito della forma scritta ad substantiam, la cui inosservanza è sanzionata con la nullità c.d. di protezione: la specialità di quest’ultima risiede nella regola della legittimazione ad agire differenziata, essendo il contraente debole, rectius protetto, l’unica parte contrattuale legittimata al relativo rilievo in via giudiziale.
Nell’ipotesi di contratti derivati stipulati dagli enti locali la concorrenza tra il requisito formale prescritto dal Tuf e il rigore formale tipico della contrattualistica pubblica è stata risolta, dalla giurisprudenza di legittimità, con il ricono- scimento della prevalenza della disciplina recata dal regio decreto n. 2440 del 1923. Ciò in ragione dell’esigenza – sottesa all’imposizione della forma scritta ad substantiam – consistente nella tutela degli interessi generali della collet- tività, i quali soverchiano quelli – seppure pubblici, ma, comunque, settoriali – dell’ente locale che è parte del contratto,
(108) Corte conti, Sez. contr. reg. Trentino-Alto Adige, n. 35/2018, cit.
(109) Ibidem.
(110) Ibidem.
(111) Ibidem.
(112) Ibidem.
(113) Cass. n. 25631/2017, cit.
(114) Cfr. Cass. n. 25631/2017, cit. (115) Cass. n. 25631/2017, cit.
(116) Ibidem.
essendo lo scritto inteso quale strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa e di tutela delle risorse pubbliche, in attuazione del canone costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione.
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