COMMISSIONE STRAORDINARIA PER LA TUTELA E LA PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI
X V I L E G I S L AT U R A
COMMISSIONE STRAORDINARIA PER LA TUTELA E LA PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI
RAPPORTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE SULLA CONDIZIONE DI ROM, SINTI E CAMINANTI IN ITALIA
Approvato dalla Commissione il 9 febbraio 2011
CONCLUSIONI A GUISA DI INTRODUZIONE | Pag. | 3 | |
1 | PREMESSA | " | 8 |
2 | Rom, Sinti e Caminanti in italia | " | 10 |
2.1 | Il problema dei dati | " | 10 |
2.2 | Consistenza numerica | " | 17 |
2.3 | Provenienza | " | 19 |
2.4 | Status civile | " | 21 |
2.5 | Mondo di mondi | " | 26 |
2.6 | Giudizi e pregiudizi | " | 30 |
2.7 | Devianza e criminalità | " | 33 |
2.8 | Porrajmos: uno sterminio dimenticato | " | 36 |
2.9 | La comunità internazionale e l'Italia | " | 37 |
3 | Aspetti specifici | " | 45 |
3.1 | Un popolo di bambini | " | 45 |
3.2 | Nomadi chi? | " | 46 |
3.2.1 | Il paese dei campi e il popolo delle discariche | " | 48 |
3.2.2 | Ispezioni della Commissione ad alcuni campi | " | 50 |
3.2.3 | Focus. L'esperienza di Roma: positività e criticità | " | 56 |
3.2.4 | Oltre i campi: buone pratiche nel settore abitativo | " | 59 |
3.3 | Minori, scuola, istruzione, formazione professionale | " | 61 |
3.3.1. | L'esperienza delle associazioni nelle scuole di Roma | " | 68 |
3.3.2 | Buone pratiche di inserimento e casi concreti | " | 71 |
3.4 | Lavoro | " | 73 |
3.5 | Finanziamenti europei | " | 75 |
4 | I Rom i n Europa | " | 79 |
4.1 | Discriminazione multipla | " | 82 |
4.2 | Diritto di soggiorno nell'Unione Europea | " | 84 |
4.3 | Il caso francese | " | 88 |
4.4 | I progressi in ambito europeo | " | 90 |
4.5 | Il caso della Spagna | " | 94 |
4.6 | Il caso della Serbia | " | 98 |
4.7 | Il caso della Romania: visita della Commissione a Bucarest | " | 101 |
Conclusioni a guisa di introduzione
La conclusione dell‟indagine della Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato permette di formulare alcune considerazioni e di avanzare alcune proposte e ipotesi di lavoro da sottoporre al dibattito politico e istituzionale.
Come è stato più volte ripetuto l‟obbiettivo del lavoro non era e non è quello di sciogliere le diverse posizioni politiche presenti su questo difficile argomento ma piuttosto di offrire alla discussione parlamentare una base di conoscenza condivisa che renda possibile un confronto più costruttivo.
Naturalmente la scelta di conoscere, in questo caso più che in altri, è di per sé una scelta politica. E non solo perché si tratta di rompere un circolo vizioso, una spirale nella quale ignoranza e pregiudizio si alimentano reciprocamente, ma perché la conoscenza porta alla luce degli spaccati sociali e delle condizioni di vita così drammatiche che possono essere tollerate solo se si decide di non guardarle, se si gira la testa dall‟altra parte quando si incontra un bambino mendicante o si passa davanti a uno dei campi che costeggiano le periferie di tante nostre città.
Decidere di rompere questo velo di ignoranza, decidere di conoscere e di sapere è il punto di partenza senza il quale nessuna politica può essere costruita.
È necessario un progetto nazionale che parta dai numerosi punti di osservazione presenti nel territorio, renda omogenei i metodi di ricerca e di raccolta di dati e di informazioni, proceda alla loro sistematica elaborazione, li integri con indagini quantitative e con ricerche qualitative appropriate e costruisca per questa via una banca dati nazionale attendibile. Questo progetto non è possibile senza il dialogo, il coinvolgimento, la diretta partecipazione dei diretti interessati. Come vedremo più avanti questa partecipazione non è disponibile spontaneamente ma richiede lavoro e formazione. Questa è la prima proposta.
La seconda riguarda il Piano Nazionale sulla questione di Rom e Sinti la cui mancanza è stata criticata da ultimo dai molti organismi internazionali che hanno osservato negli anni e nei mesi scorsi il nostro Paese. La mancanza di una strategia nazionale limita o impedisce l‟utilizzazione di quelle stesse risorse europee che sono a disposizione di politiche di integrazione.
Ma l‟espressione Piano Nazionale non può portare con sé la nociva illusione che siano su una questione come questa possibili soluzioni univoche e omogenee: solo risposte pragmatiche, differenziate, concrete possono portare nella direzione giusta e queste comportano articolazione e decentramento e la responsabilità diretta delle istituzioni locali. Quindi l‟unico piano nazionale possibile è una strategia fondata su una ricca articolazione capace di rispondere alle diverse domande e alle diverse esigenze. Ma questa articolazione non può significare che ciascuno viene lasciato solo davanti ai problemi e che le risorse disponibili restano in larga misura inutilizzate.
Il passo nella direzione giusta può essere rappresentato dalla costituzione di una task force nazionale al servizio delle istituzioni locali, delle organizzazioni non governative, delle rappresentanze dei Rom esistenti che aiuti a passare dalle idee e dalla volontà al progetto, alla sua formulazione tecnica e amministrativa e alla sua implementazione. In questa direzione si sono mossi e si muovono molti paesi europei.
La terza proposta riguarda la questione della regolarizzazione: nel rapporto il tema è analizzato con cura ed esaminando le diverse situazioni. In particolare va evidenziata la questione del riconoscimento della cittadinanza per i minori, nati e cresciuti in Italia per i quali una soluzione si impone allo stesso modo – e forse ancora di più – che per le altre centinaia di migliaia di bambini e adolescenti nella stessa condizione nella vasta realtà della nostra immigrazione.
La quarta proposta riguarda le politiche.
Ci sono due punti di grande valore culturale e soprattutto simbolico che richiederebbero un intervento legislativo specifico. Abbiamo il dovere di compiere un atto di riparazione inserendo il genocidio dei Rom tra quelli che vengono ricordati ogni anno il 27 gennaio nel Giorno della Memoria.
E si deve riaprire il capitolo della legge 482 del 1999 che riconosce le minoranze linguistiche italiane per includervi la minoranza Rom e la sua lingua, il romanès. È paradossale, come è stato fatto notare di recente, che il riconoscimento dell‟esistenza della minoranza Rom esista ma solo in negativo, in particolare
attraverso gli atti del Ministero degli Interni che per le sue funzioni si occupa in primo luogo di questioni di sicurezza.
Si tratta di aspetti simbolici ma nessuno può sottovalutare l‟importanza straordinaria che i simboli assumono.
Il primo punto pratico è invece quello dei campi.
Si tratta di una realtà che, con pochissime eccezioni, non esiste in altri paesi europei. E si tratta di una realtà caratterizzata, per usare il linguaggio delle convenzioni internazionali, da condizioni inumane e degradanti. Si tratta di realtà incompatibili con qualsiasi progetto di inclusione e integrazione dove si riproducono quelle condizioni di crudele emarginazione i cui effetti si riversano poi nella vita delle città. È lì che generazione dopo generazione si perde il popolo delle discariche, un popolo fatto per più del quaranta per cento da bambini fino ai quattordici anni.
È necessario un programma graduale di chiusura dei campi, a partire da quelli più degradati, e di offerta di soluzioni abitative diverse, accettabili e accettate, cioè discusse e confrontate. Gli esempi di tante e diverse buone pratiche alle quali riferirsi per fortuna non mancano.
Il secondo punto pratico è quello dei bambini e della scuola. Tra le tante esperienze emerge quella della Comunità di Sant‟Xxxxxx ispirata a una incentivazione dell‟assolvimento degli obblighi scolastici attraverso una politica di borse di studio gestita sulla base di regole precise e del loro rigoroso rispetto. Anche in questo caso il coinvolgimento delle famiglie appare determinante e in particolare
– soprattutto per quanto riguarda la fase prescolare che è così importante per anticipare i processi di socializzazione e prevenire la formazione e il consolidamento di handicap culturali – andrebbe esaminato con cura la possibilità di coinvolgere direttamente le madri (spesso, occorre ricordarlo, giovanissime madri) nei percorsi educativi.
Il terzo punto pratico riguarda il lavoro. Essere riconosciuti come Rom è un ostacolo a trovare lavoro, anche per chi aveva iniziato percorsi di formazione lavoro che apparivano promettenti. Si possono pensare azioni positive, cioè incentivi o disincentivi che attenuino questa discriminazione?
Ed è dall‟altro lato possibile fare emergere e offrire un quadro più regolare e al tempo stesso più dignitoso ad attività che già oggi contribuiscono al reddito e alla sopravvivenza delle famiglie, come quella che abbiamo visto nel campo di Napoli Capodichino della raccolta e della vendita del ferro a 13 centesimi al chilo e 130 euro alla tonnellata o alle attività di recupero e riciclo di materiali nel quadro della raccolta differenziata? E una nuova legge sullo spettacolo viaggiante oltre che rispondere ai problemi dei Sinti giostrai che ancora svolgono la loro attività non potrebbe cercare di riconoscere e regolare in un modo utile per i diretti interessati e per l‟insieme dei cittadini il lavoro degli artisti di strada?
L‟ultimo problema che vogliamo sottolineare è quello della partecipazione. Non spenderò parole per dire come sia una questione essenziale, una conditio sine qua non. E nello stesso tempo è uno dei problemi più difficili.
La realtà associativa appare oggi estremamente frammentata e attraversata da conflitti di gruppo e settari. E tuttavia rimane un punto di partenza e un interlocutore necessario.
Ma il punto è come investire per formare dentro le comunità Rom e Sinti una leva di operatori sociali, di mediatori culturali che siano la rete intorno alla quale la partecipazione può essere organizzata con una certa continuità. Questo richiede risorse ma sono risorse destinate a produrre risparmi rilevanti in altri campi da quello dell‟assistenza a quello della sicurezza.
E nello stesso tempo sono risorse investite sul futuro non solo dei Rom ma della nostra società, dell‟Italia e dell‟Europa.
La ricerca condotta dalla CRI su 4927 Rom e Sinti dei campi di Roma ci offre da un lato il dato drammatico che solo il 2,8% della popolazione è al di sopra dei 60 anni, il che rafforza l'ipotesi di una speranza di vita tragicamente al di sotto degli standard del nostro paese. Ma dall‟altro ci parla di oltre un 40% di bambini e di fanciulli al di sotto dei 14 anni e ci dice quante possibilità, quante speranze di miglioramento possano essere costruite.
Per una volta siamo soddisfatti del nostro lavoro e speriamo che sia accolto come un contributo a una discussione di merito.
Fuori dalla demagogia e dalle semplificazioni sappiamo che si tratta di una questione difficile che nessuno in Europa ha risolto e che non ha soluzioni facili. È un campo nel quale si può procedere solo per sperimentazione, correggendo via via gli errori e imparando dall‟esperienza.
Per questo però c‟è bisogno che la politica si comporti responsabilmente, a maggior ragione perché si tratta di una delle questioni più impopolari con la quale misurarsi.
1. PREMESSA
La Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, nell'ottobre del 2009, ha iniziato un'indagine conoscitiva sui problemi concernenti la condizione delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti in Italia.
Le questioni che riguardano Rom, Sinti e Caminanti, infatti, non sono mai state oggetto di un'analisi approfondita e sistematica da parte del Parlamento. E troppo spesso, esse sono state affrontate unicamente sotto il profilo del cosiddetto decoro urbano, della sicurezza o dell'ordine pubblico.
Per altro verso tutti gli stati europei considerano un problema i Rom e in generale le popolazioni che a tali gruppi vengono assimilate, il che rende complessa l'attuazione di politiche volte all'integrazione.
La comunità internazionale, in particolare gli organismi europei, dà un giudizio fortemente critico sulle politiche seguite da diversi paesi con riferimento a Rom, Sinti e Caminanti. Il giudizio negativo ha colpito volta per volta la Repubblica Ceca, la Francia e altri paesi. Anche l'Italia si è dovuta confrontare con le critiche su questo o quell'aspetto della propria politica, critiche che non hanno risparmiato certi atteggiamenti della società civile. Il nostro paese, quest'anno, è stato sottoposto alla Universal Periodical Review da parte del Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu: tra le
92 raccomandazioni che riguardavano l'Italia, ben 10 si sono concentrate sul trattamento riservato alle minoranze Rom e Sinti.
Il 10 marzo del 2010, l‟Alto Commissario dell‟Onu per i Diritti Umani, Xxxx Xxxxxx, è stata ascoltata in audizione dalla Commissione per i diritti umani del Senato ed ha avuto parole di sconcerto e di forte critica rispetto a quanto riscontrato nel corso dei sopralluoghi nei campi Rom dei giorni precedenti.
In Italia, esistono undici leggi regionali su Rom, Sinti e Caminanti e un reticolo di provvedimenti locali e ordinanze municipali, ma manca un piano nazionale che fissi univocamente le linee di intervento che siano allo stesso tempo flessibili (rispetto alle diverse esigenze e al contesto territoriale) e condivise nella loro applicazione, mancanza che, peraltro, è stata sottolineata dall'Anci, l'Associazione nazionale dei Comuni Italiani, nel corso dell'audizione in Senato.
L'indagine promossa dalla Commissione ha l'obiettivo di costruire una base di conoscenza condivisa. Essa non pretende di risolvere i problemi e la diversità di posizioni presenti nel dibattito politico. Semmai, attraverso l'indagine conoscitiva della Commissione, si vuole fornire, ai diversi orientamenti e alle diverse opinioni, un tessuto conoscitivo che superi gli stereotipi e un punto di partenza attraverso cui le opinioni si possano confrontare in modo costruttivo. Una migliore conoscenza dei fenomeni può portare all'individuazione di politiche più efficaci nel garantire sicurezza e integrazione.
L'indagine ha utilizzato principalmente lo strumento delle audizioni. Sono stati ascoltati dalla Commissione studiosi, membri di organismi internazionali, esponenti di enti locali, sindaci, rappresentanti di associazioni italiane e internazionali nonché membri delle comunità italiane di Rom, Sinti e Caminanti. Oltre alle audizioni, la Commissione ha effettuato alcune visite sul campo per verificare in prima persona le condizioni di vita in alcuni insediamenti: sono state visitate alcune realtà abitative dei Rom ed è stata effettuata una missione in Romania. Infine sono stati presi in considerazione, nella stesura del presente rapporto, i documenti approvati da organismi internazionali, europei, nazionali e locali; le indicazioni e le raccomandazioni della Commissione Europea e del Consiglio d'Europa; il rapporto sulle minoranze redatto dal Governo italiano; i materiali informativi messi a disposizione della Commissione dalle personalità audite.
Nella prima parte del rapporto viene affrontato il contesto della presenza di Rom, Sinti e Caminanti in Italia: consistenza numerica, zone di provenienza e di insediamento, aspetti culturali, status giuridico. Nella seconda vengono analizzati aspetti specifici della loro condizione: le problematiche abitative; l'accesso a servizi come scuola e sanità; la condizione lavorativa; le questioni relative alla sicurezza e alla criminalità; la situazione dei minori. Nella terza parte viene tracciato un confronto con le normative internazionali e di altri stati europei.
Questo lavoro non può rappresentare un punto d'arrivo sulla conoscenza delle questioni che riguardano le popolazioni Rom, Sinti e Caminanti in Italia ma costituisce una base di partenza sia per ulteriori studi e approfondimenti sia per
eventuali iniziative di tipo normativo o amministrativo.
2. Rom, Sinti e Caminanti in Italia
2.1 Il problema dei dati
Uno dei principali problemi con cui ci si scontra nell'affrontare le questioni che riguardano le popolazioni Rom è quello dell'assenza di dati certi. Questo gap non è una specificità italiana ma è anzi una difficoltà comune a gran parte dei paesi europei. Non esistono dati certi sul numero della popolazione Rom presente in Italia e in Europa, sul livello di istruzione e di disoccupazione, sull'aspettativa di vita e sulla mortalità infantile, sulla situazione abitativa e sul tasso di disoccupazione, sulla percentuale di stranieri e apolidi e sull'accesso ai servizi sociali, sanitari e di welfare. Non si conosce il reddito medio o il grado di integrazione.
Senza queste informazioni decisive diventa molto difficile mettere a fuoco i problemi e elaborare risposte politiche appropriate e utilizzare al meglio le risorse; senza indicatori in grado di valutare i cambiamenti di queste condizioni nel tempo e nello spazio diventa impossibile valutare gli effetti delle scelte politiche. Senza statistiche disaggregate risulta difficile stabilire obiettivi, determinare gli strumenti in grado di perseguirli e fare valutazioni sull'impatto delle singole decisioni. Una migliore conoscenza sul mondo Rom e Sinti è necessaria per spezzare il circolo vizioso dell'ignoranza e del pregiudizio: l'ignoranza infatti genera pregiudizi, i pregiudizi alimentano l'ignoranza.
Secondo il rapporto «No data – No progress», del giugno 2010, nell'ambito della «Decade of Roma inclusion 2005-2015» sostenuto dalla «Open society foundation» promossa Xxxxxx Xxxxx, cui partecipano dodici paesi europei (Albania, Bosnia Erezegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Macedonia, Montenegro, Romania, Serbia, Slovacchia e Spagna), «la carenza di dati sulle comunità Rom rimane il maggiore ostacolo» per valutare condizioni di vita e costituisce un limite, per i governi, alla messa in atto di politiche appropriate e alla
possibilità di valutarne l'impatto. È infatti ampiamente accertato che i Rom in Europa sono sottostimati (o non contati del tutto) nelle statistiche ufficiali, come i censimenti nazionali.
Perché è così difficile avere dati precisi sulle popolazioni Rom? Intanto perché, come ha spiegato Xxxxxxxx Xxxxxxx nel corso dell'audizione presso la Commissione per i diritti umani del Senato del 20 aprile 2010, molti degli appartenenti a questi gruppi mettono in atto strategie mimetiche allo scopo, laddove è possibile, di essere assimilati al resto della popolazione: non è un mistero infatti che dichiararsi Rom o Sinti, da un punto di vista delle strategie individuali, non sia conveniente, visti i pregiudizi e gli stereotipi che accompagnano, nell'opinione comune, queste popolazioni: «Gli antropologi studiano da cinquant'anni il tema dell'identità culturale ed etnica ed è noto che si tratta di un concetto chewing gum. È certo che si dà priorità all'autoidentificazione, all'autodenominazione ed all'autoascrizione ad una comunità. Per i Rom e i Sinti, invece, si pone il problema della doppia figura: poiché essere etichettati come zingari è assolutamente stigmatizzante e siccome è noto che i gagé [i non zingari in lingua romanì, Ndr] sanno che molti di loro non si autodenominano Rom o Sinti, questi ultimi di fronte agli stessi gagé non si definiscono nemmeno in questo modo. È invece importante verificare come si definiscono all'interno delle proprie comunità e quali sono le reti attive nel loro gruppo, tra le famiglie. Ad esempio, molti giostrai sono Sinti e quando si presentano ai gagé è ovvio che negano di esserlo; non gli conviene ammetterlo perché altrimenti si alzerebbe subito un muro».
Rispetto ad altre popolazioni, l'unico strumento possibile per attribuire l'identità Rom a una data persona è poi proprio l'autoascrizione: un francese, un marocchino, un kazako hanno un'entità statale di riferimento, un documento che prova l'appartenenza a un dato paese, una lingua comune di riferimento; oppure, è il caso degli appartenenti alla religione ebraica, esiste una fede comune alla quale fare riferimento e che in un certo senso fa da collante rispetto all'identificazione di una persona in quanto appartenente a un gruppo.
Per i Rom, minoranza priva di territorio, tutto ciò non è possibile: se si prendono in esame i documenti di identità di Rom o Sinti si trovano cittadini italiani
o provenienti da paesi comunitari; o ancora apolidi; la lingua, il Romanes, non è parlata da tutte le persone che si identificano in Rom e Sinti; non esiste uno Stato di riferimento; non esiste una religione comune; le stesse tradizioni culturali sono diverse a seconda delle diverse traiettorie migratorie vissute dai singoli gruppi famigliari. Il nomadismo, ad esempio, che viene comunemente ritenuto un tratto distintivo delle popolazioni Rom e Sinti, a ben vedere non lo è: le trasformazioni sociali e economiche dell'ultimo secolo hanno determinato la scomparsa o il drastico ridimensionamento di molte delle attività che erano alla base del nomadismo. Quanti sono effettivamente nomadi? Secondo le informazioni raccolte da associazioni e enti pubblici, questa percentuale si aggira intorno al 3% (ma sui numeri c'è grande incertezza). Si tratterebbe quindi di una piccola minoranza. Ma anche in questo caso mancano dati affidabili, come mancano informazioni precise sulla percentuale e il numero complessivo di persone che vivono in campi autorizzati e insediamenti abusivi.
Quali strade percorrere per reperire dati certi? Una delle proposte che, a livello europeo, è presa in considerazione, tra timori e discussioni, è quella di un censimento su base etnica, non solo per i Rom, ma per tutti i gruppi di minoranza. I dati etnici possono infatti essere raccolti in modo da proteggere la privacy individuale e, allo stesso tempo, rendere disponibili quelle informazioni disaggregate per le singole comunità che sono decisive a sostenere lo sforzo delle istituzioni pubbliche nel contrasto a razzismo e discriminazione.
Uno strumento del genere, si dice, se maneggiato con grande cautela, potrebbe fornire informazioni decisive per valutare le condizioni di vita di gruppi e minoranze di cui si sa ancora poco e di cui è difficile valutare il reale grado di integrazione nella società. Ma questa opzione si scontra sia con obiezioni di principio - in un certo senso decisive - sia con difficoltà di carattere pratico e organizzativo.
Censimento etnico (ethnic informations): pro e contro. Alcune perplessità avanzate in linea di principio sul metodo del censimento etnico possono essere superate prendendo in esame le normative dell'Unione europea e di diversi Stati membri riguardo la tutela dei dati personali. L'Unione europea, a questo riguardo,
non proibisce espressamente la raccolta di dati etnici ma delega agli Stati membri la scelta. L'Unione europea ritiene che dati su base etnica possano essere raccolti ad alcune condizioni: primo, che sia rispettata la privacy dei singoli individui; secondo, che questi dati siano utilizzati a livello aggregato; terzo, che servano per contrastare diseguaglianze e discriminazioni. Di fatto, però, quasi tutti gli Stati, fatta eccezione per la Gran Bretagna, sono molto restii nell'utilizzare questo tipo di strumento.
In particolare, le raccolte di dati sono regolate fondamentalmente da due tipi di leggi: quelle sulla protezione dei dati personali e quelle che governano la conduzione di indagini statistiche.
La stessa Commissione europea (2000/43/EC) ha osservato, riguardo alla mancanza di dati disaggregati sulle minoranze: «La scarsità di dati etnici nella maggior parte degli Stati membri intralcia un appropriato monitoraggio dell'applicazione della legislazione comunitaria. Ci sono state obiezioni alla raccolta di questo tipo di dati basate sul fatto che questo avrebbe violato le disposizioni della direttiva europea sulla protezione dei dati. Questo non riflette la realtà. […]. Sono gli Stati membri a decidere se i dati etnici devono essere raccolti per produrre statistiche per contrastare la discriminazione, provvedendo al rispetto della direttiva sulla protezione dei dati personali».
Ma oltre alle obiezioni di principio esistono dubbi sull'efficacia di un censimento effettuato su base etnica. Molti sostengono che un censimento etnico, in particolare per quanto riguarda le comunità Rom e Sinti, difficilmente possa produrre dati e informazioni utili e precise. Esso si scontrerebbe con la scarsa propensione all'autoascrizione "ufficiale" a tali comunità da parte dei suoi membri, vista la generale opinione negativa che connota, nella popolazione maggioritaria, gli appartenenti a tali popolazioni; e con la difficoltà materiale di "contattare" tutti gli appartenenti a tali gruppi, quando una buona parte vive in insediamenti precari o abusivi.
Gran Bretagna e Romania. Già dai primi anni '90 la Gran Bretagna ha introdotto alcuni cambiamenti ai propri sistemi per il censimento e la raccolta dati. Il Governo aveva rilevato che “sono necessarie statistiche altamente dettagliate per implementare azioni politiche positive”. La raccolta di informazioni sull'etnia o la
religione è basata su leggi che regolano la produzione di dati sensibili, in particolare la Law on statistcs, il Data protection act e il Race relation (amendment) act del 2000: quest'ultimo consente di derogare al divieto di acquisire dati etnici. Tutto il processo è poi supervisionato da autorità per la protezione dei dati, dall'istituto di statistica e dalle agenzie per la protezione dei minori. Informazioni etniche vengono raccolte anche sui luoghi di lavoro, nelle scuole e in altre istituzioni, sempre allo scopo di migliorare la conoscenza dei gruppi di minoranza e facilitare processi di inclusione e di superamento delle discriminazioni. Nel settore educativo, ad esempio, il dipartimento per i bambini, la scuola e la famiglia (Dcsf), raccoglie dati sull'etnia degli alunni nelle scuole pubbliche, attraverso il Pupil level annual school census (Plasc). Il censimento degli alunni utilizza una classificazione su base etnica: bianchi, asiatici, neri, meticci, e altre categoria, con tre o cinque sottocategorie per ogni risposta principale. Le autorità educative locali possono anche scegliere se adottare un lista più ampia di opzioni etniche, con informazioni che riguardano il paese o la regione di nascita o di provenienza, per calibrare in modo ancora più preciso la pianificazione scolastica. Questo processo consente poi la ricostruzione, a livello nazionale, di dati etnici sugli studenti. Un risultato pratico è che si possono destinare risorse specifiche per quei gruppi che in determinate aree del paese sono a rischio di ritardo scolastico e, nel tempo, di valutarne gli effetti.
Una forma di censimento etnico è stata utilizzata anche dalla Romania, proprio per quanto concerne la raccolta di informazioni sulla popolazione Rom. E il caso della Romania è emblematico di quali siano i limiti, forse invalicabili, di questo strumento. Il dato illuminante riguarda la popolazione: secondo le stime ufficiali, in Romania vi sarebbero 535.000 Rom. Le stime raccolte da diversi enti e associazioni e comunemente assunte come più realistiche, come si vedrà nella parte di questo rapporto dedicata alla Romania, parlano di una cifra che oscilla tra 1,5 e 2 milioni di persone, addirittura 3 milioni se si tengono in considerazione i matrimoni misti.
Ecco allora che calibrare le scelte politiche, il tipo di interventi e il loro eventuale grado di efficacia, su stime che, seppur ufficiali, fotografano in maniera assolutamente fuorviante la realtà diventa, oltre che inutile, controproducente.
Quali dati raccogliere sui Rom? E tuttavia, avere dati certi è una condizione essenziale non solo per conoscere le condizioni di vita di una popolazione ma anche per agire correttamente.
Il rapporto «No data – No progress» suggerisce sei indicatori assolutamente necessari sia per valutare le condizioni di vita dei gruppi Rom all'interno di un paese sia per mettere in pratica e monitorare politiche per favorire l'integrazione.
1. Popolazione totale. Conoscere il numero totale di una minoranza è importante e di estrema utilità quando si tratta di adottare decisioni e allocare risorse. Nei paesi partecipanti al progetto le stime ufficiali riguardo alla popolazione Rom sono drammaticamente inferiori a quelle acquisite dalle diverse organizzazioni indipendenti, il che chiama in causa la qualità delle procedure messe a punto dai governi per rilevare le espressioni di appartenenza etnica in un modo appropriato a riflettere l'identità individuale. Nella maggior parte dei paesi i censimenti sono eseguiti ogni 10 anni, e sono l'unica opportunità per raccogliere dati etnici disaggregati. È interessante notare che i dati ufficiali sottostimano la presenza di Rom in un range tra il 55% e il 90% rispetto ai dati raccolti da associazioni non governative e onlus.
2. Educazione: completamento dell'istruzione primaria. Il parametro scelto per valutare l'educazione è quello del completamento del ciclo di istruzione primaria. La frequenza scolastica, l'iscrizione alle scuole del pre-obbligo o il grado di istruzione secondaria sono strumenti utili per stimare il successo scolastico, mentre il parametro scelto a riferimento valuta anche la capacità del sistema scolastico di portare alla piena educazione i suoi alunni. Nella maggior parte dei paesi del «Decade project» questi dati mancano completamente.
3. Lavoro: disoccupazione. Questi elementi sono considerati fondamentali per capire l'impatto delle politiche per l'occupazione tra i Rom, uno degli aspetti più importanti delle politiche di integrazione.
4. Salute: mortalità infantile. Questo indicatore è stato scelto come esempio per valutare il grado di accesso ai servizi sanitari e la qualità delle condizioni di vita. Il tasso di mortalità infantile è infatti influenzato dalle cure materne
prenatali e dalle condizioni di vita del neonato; questo indicatore è anche significativo in quanto il tasso di natalità tra i Rom è tendenzialmente più alto rispetto al resto della popolazione.
5. Abitazione: istituzione di campi o insediamenti con basse condizioni di vita. Nei dodici paesi in esame, la segregazione abitativa dei Rom è di vaste proporzioni. Molti vivono in insediamenti rurali o in quartieri urbani ad alta densità di Rom, contraddistinti da alta povertà, bassa qualità delle abitazioni e da un limitato accesso ai servizi pubblici. La segregazione abitativa è poi direttamente correlata con l'accesso al lavoro, all'educazione, ai servizi sanitari e sociali. Anche in questo caso mancano dati ufficiali.
6. Discriminazione: numero di casi presentati dai Rom agli organismi di parità. La discriminazione verso i Rom è un tema che attraversa tutte la aree di politiche di intervento. Il numero dei reclami sollevati verso gli organismi per la promozione della parità di trattamento, previsti dalla direttiva 2000/43 del Consiglio d'Europa, può essere un indicatore per capire quanto siano state implementate le misure per combattere la discriminazione. Poiché questi organismi sono di istituzione relativamente recente e poco conosciuti l'incremento numerico dei casi sollevati dalle popolazioni Rom potrebbe suggerire che è maggiormente diffusa la conoscenza di questi organismi come sedi alle quali rivolgersi nei casi di discriminazione. Una volta radicate le attività di questi organismi, il numero di ricorsi diverrebbe indicatore affidabile rispetto alle politiche di integrazione.
Come uscire da questa impasse? La necessità di ottenere informazioni precise e dettagliate sulla condizione dei Rom in modo da favorire processi di inclusione e integrazione, si scontra con la difficoltà di ottenerle, anche attraverso strumenti collaudati come i censimenti. In realtà molte informazioni sono già reperibili, soprattutto a livello locale. Le strutture degli enti locali, i dipartimenti che nei vari Comuni si occupano di Rom, i servizi sociali, le associazioni e le onlus che portano avanti progetti di cooperazione nei vari territori, conoscono spesso in modo approfondito e preciso la situazione di Rom e Sinti nei diversi contesti. In quali campi essi vivono, quali sono le condizioni igieniche e sanitarie, quali i problemi e
le opportunità di lavoro, quale la frequenza scolastica dei minori. Si tratta di un patrimonio immenso di dati che per loro natura sono però frammentari, raccolti in modo spontaneo e con metodologie diverse, basati più sull'esperienza diretta che non su una corretta elaborazione statistica, riferiti a realtà molto specifiche e quindi non facilmente generalizzabili. È da questi dati che si potrebbe partire per costruire una conoscenza più precisa e diffusa: dalla raccolta, dall'elaborazione, dalla sistematizzazione di questa considerevole quantità di informazione proveniente "dal basso". È necessario però che queste fonti di conoscenza vengano attivate attraverso un progetto nazionale che preveda un investimento volto a garantire l'uniformità dei metodi di ricerca e di raccolta dei dati e il loro trattamento; che alimenti suvey quantitative e indagini qualitative mirate alla conoscenza dei diversi aspetti che riguardano la presenza dei Rom sul territorio. E che sappia superare il problema di come coinvolgere queste popolazioni nella costruzione di questi elementi di conoscenza; è un caso questo nel quale può tornare attuale ed efficace la metodologia sociologica della con-ricerca.
2.2 Consistenza numerica
In mancanza di un censimento ufficiale, la stima della consistenza numerica delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti nel nostro Paese è particolarmente difficile da effettuare: mancano infatti criteri precisi per classificare una persona o un gruppo come appartenente alle minoranze Rom, Sinti o Caminanti.
In ogni caso, esistono diverse stime sulle presenze di Rom, Sinti e Caminanti in Italia.
Secondo un rapporto del ministero dell'Interno, dell'aprile 2006, dal titolo Pubblicazione sulle minoranze senza territorio1 «i risultati, pur non potendo essere considerati dal punto di vista statistico un censimento dettagliato, offrono comunque una stima numerica di circa 140.000 presenze totali di Rom, Sinti e Caminanti».
1 xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/ export/sites/default/it/assets/files/13/La_pubblicazione_sulle_minoranze_senza_territorio.pdf
Tale stima è confermata sia dalla Comunità di Sant'Xxxxxx, che stima una presenta di 130.000 persone, sia dall'Anci che in un documento destinato all'audizione presso la Commissione (5 maggio 2010), parla di «130/150.000 Rom e Sinti». Anche l'Anci mette in guardia però rispetto alla reale consistenza delle popolazioni: «Si tratta di dati molto incerti. La difficoltà nel censire queste persone rimanda a un problema di carattere più generale, che è quello delle condizioni abitative e di vita, in generale, in cui si trovano molte famiglie».
Secondo l'Unirsi (Unione Nazionale e Internazionale dei Rom e dei Sinti in Italia) e l'Opera Nomadi è più realistico un dato intorno alle 170.000 presenze, una stima che terrebbe conto di quanti preferiscono non esplicitare la propria appartenenza a gruppi Rom, Sinti e Caminanti. In ogni caso gli individui appartenenti alle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti, rappresentano in Italia una percentuale sulla popolazione intorno allo 0,2%, una delle più basse d'Europa. In Romania sono circa 1.800.000 e rappresentano l'8% della popolazione, in Bulgaria sono circa 700.000 pari all8,4%, in Repubblica Ceca 250.000 pari al 2,4%, in Grecia
200.000 pari al 2%, in Spagna tra 650 e 800.000 pari all'1,6%, in Francia 280.000 pari allo 0,5%. Xxxxxxxx Xxxxxxx, nel libro I Rom d'Europa. Una storia moderna (Laterza, 2009), individua poi un gruppo di paesi Balcanici (Romania, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Serbia e Macedonia) in cui vive il 61,5% della popolazione "zingara" d'Europa, con percentuali sulla popolazione che oscillano tra l'11% e il 3,8%. E conclude: «Nella nuova Unione a venticinque Stati i Rom costituiscono la minoranza più numerosa e, formalmente, la meno riconosciuta».
Il Consiglio d'Europa, che dal 1995 ha istituito una Commissione di esperti incaricata di studiare la situazione dei Rom nei Paesi membri, ha fornito altri dati (verranno riportati al punto 4). Il Consiglio d'Europa stima la presenza complessiva in Europa di 11.155.000 Rom (nei documenti internazionali, perlatro, l'espressione "Roma" include tutti i gruppi che in senso lato possono essere ascritti a questa realtà); sempre secondo i dati raccolti dal Consiglio d'Europa, in Italia vivrebbero circa 170-180 mila Rom.
2.3 Provenienza
Secondo l'Opera Nomadi, circa la metà dei Rom e Sinti residenti in Italia hanno la cittadinanza italiana mentre l'altra metà è proveniente principalmente dai Balcani e dalla Romania; probabilmente, nel corso degli ultimi anni, l'equilibrio si è spostato in questa seconda direzione con l'arrivo di numerosi gruppi provenienti soprattutto dalla Romania.
Anche la già citata pubblicazione del Ministero dell'interno offre un quadro:
«Dei Rom, l‟assoluta maggioranza, proviene dai paesi della ex Jugoslavia, dall‟Albania e dalla Romania. L‟afflusso continuo e massiccio di profughi dalla Bosnia e di nuovi gruppi Rom dall‟ex Jugoslavia, Romania, Albania, Polonia fa sì che questo dato si possa considerare ulteriormente cresciuto. Irrilevante, ma non inesistente, la presenza di Rom e Sinti cittadini di paesi comunitari2».
Nel rapporto redatto dall'Anci per la Commissione (sopraccitato), rispetto alla provenienza di Rom e Sinti in Italia, si legge: «Le popolazioni Rom e Sinti in Italia sono presenti sin dal 1400. [...] In Italia Rom e Sinti sono presenti in tutte le Regioni: dai Sinti Piemontesi e Lombardi, ai Rom abruzzesi, cilentani, pugliesi, campani, ai Caminanti siciliani, ai Rom kalderasa, arrivati in Italia sin dalla fine della seconda guerra mondiale [...]. La gran parte di queste famiglie risiede in abitazioni, siano esse case popolari o appartamenti di proprietà».
Nello specifico, a partire dagli Anni '60 sono giunte in Italia le prime comunità Rom appartenenti ai paesi dell'ex Jugoslavia e tale flusso migratorio si è ulteriormente intensificato all'inizio degli Anni '90 con lo scoppio della guerra civile. Come spiega la dottoressa Xxxxxxx Xxxxxxx nel saggio Gruppi zingari in Italia contenuto nella volume Rom, Sinti, Kalé ... xxxxxxx e viaggianti in Europa di Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxx (Edizioni Lacio Drom, Roma, 1995) e citato dalla pubblicazione del Ministero dell'interno «le difficoltà economiche nei paesi dell‟Europa orientale e soprattutto la guerra nell‟ex Jugoslavia hanno portato un flusso sempre crescente di nuovi gruppi zingari in Italia». Dalla ex Jugoslavia sono quindi arrivate famiglie
2 Romania e Bulgaria il 1° gennaio 2007 sono entrate a far parte dell'Unione Europea.
appartenenti a differenti gruppi e religioni: dalle regioni meridionali e centrali provengono i khorahané di religione islamica, dalla Serbia i dasikané, cristiano- ortodossi, dalla Bosnia i zergarja, ancora musulmani, dal Montenegro i rundasha. Altri gruppi e famiglie sono poi arrivati dal Kosovo e dall'Albania.
Tale flusso migratorio, prosegue l'Anci, «si è ormai interrotto da anni e si può parlare di una stabilizzazione delle famiglie appartenenti a questi gruppi. Parliamo quindi, anche in questo caso, di persone da tempo non più nomadi».
Le ultime ondate migratorie, iniziate verso la metà degli Anni '90 con la caduta dei regimi comunisti nei paesi dell'est europeo, sono quelle dei Rom romeni e bulgari: il flusso da tali paesi, anche per effetto dell'ingresso nell'Unione Europea, è ancora attivo.
Dal censimento effettuato dalla Croce Rossa Italiana, nel 2008, in tutti gli insediamenti Rom conosciuti sul territorio di Roma, e che ha coinvolto 4.927 persone, emergono alcune informazioni interessanti. Circa il 67% è cittadino di paesi della ex Jugoslavia (i due terzi di essi provengono dalla Bosnia); il 23% è costituito da Romeni e i cittadini italiani sono solo il 4,5%. Ma se si confrontano i dati relativi alla cittadinanza con quelli del paese di nascita si vedrà che mentre i Romeni sono nella quasi totalità nati in Romania, solo un terzo dei Rom provenienti dalla ex Jugoslavia sono nati in quei paesi: circa due terzi di dei Rom originari della ex Jugoslavia sono invece nati in Italia e rappresentano oltre la metà di tutti i Rom nati in Italia (contro il 4,5% di cittadini italiani). Questo ci conferma che mentre l'arrivo dalla Romania è relativamente recente, per quanto riguarda la ex Jugoslavia il flusso è iniziato negli anni Sessanta e ha conosciuto una seconda fase in occasione del conflitto che sconvolto quei paesi tra il 1991 e il 1995. Parliamo quindi di una popolazione che in parte consistente risiede nel nostro paese da circa mezzo secolo e, se si tiene conto della loro età media, di persone che sono nate qui e qui hanno vissuto l'intera loro vita.
Se quindi da un lato molti dei Rom cittadini italiani sono comunemente considerati immigrati, dall'altro molti Rom stranieri sono nati in Italia senza essere riconosciuti come cittadini italiani.
Attualmente, secondo il Rapporto del ministero, le comunità “sprovviste di
territorio” sono sostanzialmente presenti in tutto il territorio nazionale ed in particolare nelle grandi e medie città nelle quali possono distribuirsi meglio. I Rom stranieri sono presenti al nord, sud e nelle isole mentre i Sinti sono presenti in gran parte al nord e al centro.
Una scheda fornita da Opera Nomadi reca nel dettaglio quali gruppi Rom e Sinti sono presenti in Italia, in quali regioni si trovano, e quali sono le caratteristiche principali dei diversi gruppi3.
2.4 STATUS CIVILE
Scrive Xxxxxx Xxx, ordinario di Diritto del lavoro all'Università di Cagliari, nel saggio Xxxxxxx xxxxxxx. La condizione dei Rom in Italia tra stereotipi e diritti negati (presente nel volume Rom e Sinti in Italia, Ediesse 2009): «Le comunità che
3 Ecco in sintesi le specifiche del rapporto. Sinti giostrai. Si tratta dei primi Rom e Sinti giunti via terra in Italia all'inizio del 1400. Sono tutt'ora diffusi in tutte le regioni del centro-nord e in estate si spostano al sud e nelle isole. L'occupazione tradizionale che caratterizza questi gruppi è quella di giostraio anche se lentamente questo mestiere va scomparendo. Molti ora lavorano come rottamatori o venditori di bonsai artificiali. In migliaia poi hanno acquistato microaree agricole per ricrearvi un habitat in grado di ospitare la famiglia estesa. Si contano almeno 10 gruppi di Sinti, a seconda della zona di provenienza e del dialetto regionale parlato, che ha ormai soppiantato la lingua romanì: Sinti piemontesi (presidenti in tutto il Piemonte);Sinti lombardi (Lombardia, in Emilia e in Sardegna); Sinti mucini (cioè “mocciosi; sono i più poveri); Sinti emiliani (Xxxxxx Xxxxxxx centrale); Sinti veneti (presenti nel Veneto); Sinti marchigiani (Marche, nell'Umbria e nel Lazio); Sinti gàckane (localizzato in tutta l‟Italia centro-settentrionale); Sinti estrekhària (Trentino-Alto Adige Austria); Sinti kranària (nella zona della Carnia); Sinti krasària ( zona del Carso). I Sinti, complessivamente, contano circa 30.000 unità.
Rom abruzzesi e molisani (presenti, oltre che in Abruzzo e Molise, anche in Campania, Puglia, Lazio, Umbria, Toscana, Emilia, Veneto, Trentino Alto Adige e Lombardia). Rom napoletani (detti Napulengre) Rom cilentani (stanziati da secoli nella zona sud del salernitano in diversi centri; Rom lucani; Rom pugliesi; Rom calabresi (presenti in tutte le province della Calabria. Sono i Rom più poveri presenti nel nostro paese); Caminanti siciliani; Rom harvati (Rom immigrati in Italia dal nord della Jugoslavia); Rom kalderasha (presenti in Italia dal XIX secolo, sono l'ultimo gruppo di autentica tradizione seminomade) Rom lovara (Rom di cittadinanza spagnola o francese) transitano per lunghi periodi in Italia per motivi economici o per i raduni della chiesa evangelica; Rom jugoslavi. Secondo Opera Nomadi i Rom jugoslavi presenti in Italia sono circa 40.000 e sono situati in tutte le regioni, tranne la Basilicata e il Molise. Si suddividono in due gruppi principali: i Rom khorahanè, musulmani (i quali a loro volta comprendono i seguenti sottogruppi: i cergarija vlasenicaqi, originari della città bosniaca di Vlasenica, giunti nel 1967 a Milano e che vivono prevalentemente nei campi del centro-nord; i cergarija crna gora, provenienti da Bosnia, Croazia e Erzegovina; i shiftarjia e mangiuppi, originari del Kosovo, che sono il gruppo più numeroso; i kaloperija, provenienti da famiglie miste e legati ai cergarija vlasenicaqi). Il secondo grande gruppo di Rom jugoslavi è rappresentato dai Rom dasikhané, di religione cristiano-ortodossa (sono sottogruppi di questo secondo gruppo i kanjarija e affini, originari della Serbia e presenti nel centro-nord d'Italia, nonché nella zona di Napoli e in Sicilia; i rudari, serbi di origine romena).
Rom rumeni. Dopo i primi arrivi dalle città di Craiowa e Timisoara, dalla Romania si registra un esodo continuo verso l'Italia e il resto d'Europa. Le comunità più grandi sono stanziate a Roma, Milano, Napoli, Bologna, Bari e Genova.
sinteticamente identifichiamo con l'appellativo di Rom si compongono di almeno tre categorie di soggetti dotati di un differente patrimonio di diritti: cittadini italiani, cittadini di altri Stati membri (dell'Unione Europea, Ndr), extracomunitari. A questi se si vuole potrebbero aggiungersi gli apolidi e i rifugiati».
Come è stato ricordato all'inizio della presente relazione (punto 2.2) i Rom e Sinti aventi cittadinanza italiana sarebbero circa la metà dei presenti sul territorio, con un'altra metà di stranieri di cui il 50% proveniente dalla ex Jugoslavia e il restante dalla Romania, con presenze minori da Bulgaria e Polonia. Per quanto riguarda le popolazioni provenienti da Romania, Bulgaria e Polonia si tratta - oggi - quindi di cittadini di Stati membri dell'Unione e quindi di immigrati regolari. Per quanti invece provengono dai paesi della ex Jugoslavia la situazione è molto più complicata, essendo "extracomunitari": una quota di essi è presente sul territorio nazionale con regolare permesso di soggiorno; una quota è rappresentata dai "richiedenti asilo"; una parte è invece "irregolare", cioè senza permesso di soggiorno. Tra i richiedenti asilo e gli irregolari è rilevante la quota di "apolidi": si tratta di Rom provenienti dalla ex Jugoslavia i quali, come ha sottolineato nella sua audizione in Commissione Xxxxxx Xxxxxxxxxxx, presidente dell'Anci e Sindaco di Torino, «sono cittadini di uno Stato non più esistente e quindi hanno un'oggettiva difficoltà ad acquisire documenti validi di identità, e questo va anche al di là della presenza irregolare nel nostro paese».
Esiste però un paradosso: «L'idea diffusa nei Gagé dello zingaro come straniero, nel senso di estraneo, ma anche di non cittadino, negli anni ha contagiato negli anni anche le istituzioni. Tutto ciò riguarda e colpisce maggiormente chi abita nei "campi". Non è raro che le pubbliche amministrazioni concepiscano uffici comuni per stranieri e nomadi: spesso può accadere che un Rom o un Sinto italiano debbano rivolgersi per far valere i propri diritti a questi uffici, che non dovrebbero avere competenza alcuna su italiani e sedentari. Allo stesso modo molte direttive ministeriali – ad esempio nel campo dell‟istruzione – danno indicazioni per gli immigrati e i nomadi (intendendo l‟insieme dei Rom e Sinti), considerandoli un insieme da dividere. Non è solo un problema terminologico. È un errore di conoscenza e valutazione, che ha ricadute sulle condizioni concrete di vita
quotidiana dei Rom e Sinti di cittadinanza italiana. , con l‟unica differenza costituita dalla non "espellibilità"»4.
Un'altra situazione particolare riguarda i minori, figli (e sempre più spesso nipoti) di Rom provenienti da quella che fu la Jugoslavia: si può stimare si tratti di circa 15.000 giovani. Nati e cresciuti nel nostro paese, non ne hanno ottenuto la cittadinanza e si trovano in uno status giuridico molto particolare. Il problema principale è legato alla cittadinanza e di conseguenza è relativo al documento di identità. È la situazione dei Rom giunti in Italia negli anni ‟60 e ‟70 dalla Jugoslavia e di quelli giunti dopo il 1990, “profughi” negli anni delle guerre balcaniche. Molti (ma non tutti) possedevano documenti di identità rilasciati dalla Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia-RSFJ (passaporto rosso per i maggiorenni, bianco per i minorenni, carte di identità). Il problema è che i nuovi Stati nati dalla dissoluzione della Jugoslavia non sempre hanno riconosciuto i Rom come loro cittadini, per diverse ragioni che si potrebbero così riassumere:
• talvolta i Rom sono nati o hanno risieduto in zone che hanno cambiato maggioranza etnica dopo la guerra (es. mussulmani nell‟attuale Repubblica Serba di Bosnia o serbi nell‟attuale Bosnia croato-mussulmana);
• la distruzione di molti uffici anagrafici ha comportato la richiesta di “prove” che spesso i Rom residenti all‟estero non posseggono;
• a chi era nato nel territorio del nuovo Stato è richiesta la residenza (che chi viveva all‟estero, non ha);
• alcuni sono nati sul territorio di uno stato e hanno risieduto su quello di un altro (es. nato in Serbia, vissuto in Bosnia): nessuno lo riconosce cittadino;
• altri sono nati in uno Stato da genitori di un altro Stato (es. nato in Croazia da genitori bosniaci);
• a chi è nato all‟estero è richiesta la registrazione nel comune di residenza dei genitori (che talvolta ha cambiato maggioranza etnica e non accetta nuove iscrizioni);
4 Documento inviato alla Commissione dalla Comunità di Sant'Xxxxxx, pag 5.
• c‟è il problema dei maggiorenni che non hanno fatto il militare;
• generalmente si rimprovera ai Rom il fatto di non aver combattuto per la nascita del nuovo Stato.
Questa situazione ha fatto sì che molte persone si siano ritrovate in Italia senza passaporto e prive di un qualsiasi documento di identità valido. Per semplificare si potrebbero evidenziare alcune tipologie:
1. Persone giunte in Italia senza documenti di identità (hanno vissuto molti anni qui, ma sempre senza documenti). Anche se spesso sono “noti” alle autorità italiane (magari con nomi diversi) – poiché sottoposti a rilievi fotodattiloscopici – non posseggono una cittadinanza e quindi sono inespellibili (ma anche “insanabili”).
2. Bambini nati in Italia da persone di cui al punto 1: spesso riconosciuti all‟anagrafe da genitori con nomi alquanto “fantasiosi”, sono cresciuti in Italia, ma non hanno né documenti di identità, né cittadinanza. Spesso posseggono “prove” del loro soggiorno continuativo (vaccinazioni, scolarizzazione, ecc.), ma questo non li aiuta a risolvere il loro status. Questa condizione, con l‟adolescenza, è un fattore che spinge verso l‟illegalità.
3. Persone giunte in Italia con documenti jugoslavi “regolari”, ma che non hanno ottenuto documenti dai nuovi stati: scivolati nell‟irregolarità, vivono da anni qui, ma non avendo documenti di identità non possono “sanarsi” e non avendo cittadinanza sono inespellibili.
4. Figli nati in Italia da genitori di cui al punto 3 o figli di genitori regolari che non hanno ottenuto per diverse ragioni la cittadinanza (e quindi il passaporto) del paese dei genitori: nati e cresciuti qui, talvolta presenti nel permesso di soggiorno dei genitori, “scompaiono” a 14 o 18 anni e diventano “invisibili”.
5. Situazioni particolari: genitori, “sposi” o conviventi di cittadini italiani che non riescono a regolarizzare la propria posizione poiché privi di documento di identità.
6. Ci sono poi alcuni casi (rari) di non iscrizione all‟anagrafe o di iscrizioni con nomi falsi dei genitori; persone che non riescono pertanto a rintracciare neanche i propri certificati di nascita: anche se veramente nati in Italia,
non c‟è traccia delle loro generalità (si tratta talvolta di orfani o di figli di persone con gravi disagi).
Le situazioni esposte dimostrano come una parte dei Rom provenienti dalla ex Jugoslavia siano da considerare apolidi de facto. Con estrema difficoltà possono però divenirlo de jure, essendo necessario esibire, al momento della presentazione in via amministrativa della domanda di riconoscimento dello status di apolide, certificato di residenza e permesso di soggiorno»5.
In sostanza, «moltissimi dei Rom ex-jugoslavi sono generalmente inespellibili (perché regolari, perché privi di cittadinanza, perché “socialmente inseriti”, perché genitori di minori privi della cittadinanza, perché coniugati con persone regolari, ecc.). In questo senso anche la decisione della Corte Europea dei Diritti Umani che ha autorizzato il reingresso in Italia di alcune famiglie di Rom espulsi in Bosnia dalle autorità italiane6, dimostra quanto il tema sia delicato.
Andrebbe quindi trovato uno strumento di “emersione” per chi – per diverse ragioni – è inespellibile, ma perennemente “irregolare”: questo favorirebbe anche un possibile inserimento o reinserimento sociale ed eviterebbe la permanenza in uno stato di limbo dal quale è quasi scontato scivolare nell‟illegalità. Potrebbe forse essere questa una delle funzioni positive dei neo Commissari di recente istituzione .
Peraltro, nonostante molti dei “regolari” siano “lungo-residenti”, pochissimi hanno ottenuto la Carta di Soggiorno: è evidente che il perenne stato di “precarietà giuridica” per persone che ormai vivono stabilmente in Italia, comporta un‟instabilità che lede all‟inserimento nel tessuto sociale e spinge ai margini della nostra società»7.
Ammonisce infine Xxx: «A fronte di una diversità di posizione giuridica ascrivibile allo status corrispondente alla cittadinanza, le comunità Rom e Sinti
5 Ibidem, pag 5-7.
6 Alcuni Rom espulsi nel 2000 da Roma verso la Bosnia presentarono un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell‟Uomo e “vinsero” ottenendo di tornare in Italia a spese dello Stato e di ricevere permessi di soggiorno e indennizzi. Sull‟episodio del 2000 cfr. Xxxxxx Xxxxxx, “Cacciati da Roma, cacciati da Vlasenica”, il Manifesto 7 marzo 2000, e soprattutto il testo dell‟“accordo” con l‟Italia successivo alla decisione della Corte: Affaire Xxxxxxxxxxxx et autres er Xxxxxxxxxxxx et Xxxxxxxx c. Italia (Requêtes nos 57574/00 et 57575/00) .
7 Ibidem, pag 7-8.
vivono in comunità dove l'omogeneità è rappresentata prevalentemente dall'appartenenza etnica e non dalla cittadinanza. Ne consegue che, latu sensu, tutti finiscono per essere destinatari di un medesimo trattamento indipendentemente dalla diversità dei diritti astrattamente posseduti». È questa la situazione che si presenta in molti "campi" ed è questa la situazione creatasi, secondo Xxx, in conseguenza del decreto del Presidente del Consiglio del 21 maggio 2008 (G.U. n. 122 del 26-5- 2008) con il quale viene dichiarato lo stato di emergenza in Campania, Lombardia e Lazio: «Poiché lo status degli abitanti dei campi, sotto il profilo della cittadinanza, è composito, comprendendo cittadini dell'Unione Europea, cittadini extracomunitari e cittadini italiani» le misure previste da tale decreto finiscono per coinvolgere Rom e Sinti in quanto tali, indipendentemente dal loro status giuridico.
2.5 Mondo di mondi
Le diverse provenienze geografiche e i differenti tempi d'insediamento di Rom, Sinti e Caminanti in Italia danno esaustivamente conto della difficoltà di considerare queste persone come appartenenti a un unico gruppo o popolazione.
Xxxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx, direttore della Caritas italiana, nell'audizione del 20 ottobre 2009, ha spiegato: «Sappiamo che il mondo romanì è irriducibile ad un unico insieme di tradizioni e tratti culturali, come troppo spesso immagini stereotipate ed informazioni distorte ci portano a pensare. Si tratta piuttosto di un "mondo di mondi", poiché è costituito da popolazioni estremamente eterogenee, portatrici di innumerevoli influenze storico-culturali, suddivise in gruppi e sottogruppi distinti e spesso in conflitto fra loro. Riconoscere l‟esistenza delle diverse anime della cultura Rom, mettendo da parte le generalizzazioni, è il presupposto essenziale per affrontare il tema Rom e Sinti».
Lo stesso termine Rom, nell'uso corrente, non indica tanto un'appartenenza etnica quanto un legame di affinità. I Rom non sono infatti un gruppo omogeneo né per provenienza né per condizione sociale: sono Rom anche gli imprenditori che girano con i circhi per l'Europa o i grandi calciatori; all'interno dei gruppi Rom c'è
una borghesia, un ceto medio, una classe popolare che lavora in mille differenti settori. Anche sotto l'aspetto delle fedi religiose, il mondo Rom è notevolmente variegato: esistono Rom e Sinti cristiano ortodossi (in particolare Dasikhané provenienti dalla Serbia), musulmani (i cosiddetti Khorakhané, anche loro originari della ex Jugoslavia), nonché molti appartenenti alle chiese evangeliche.
Xxxxxxxx Xxxxxxx, presidente Xxxxx (Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull'Immigrazione) nonché professore ordinario a Torino, in un documento inviato alla Commissione nell'aprile di quest'anno, ha suggerito l'ipotesi, pur con tutte le cautele del caso, che la cultura Rom viva in generale in una sorta di sfasamento temporale rispetto a quelle delle società occidentali: «Mi è sembrato di cogliere, nella comunità Rom, i tratti di una cultura premoderna dolorosamente inserita nella modernità. Mi sono sembrate premoderne le relazioni di genere, quelle tra genitori e figli, tra suocere e nuore, il carattere esteso delle famiglie, la propensione all'endogamia. Così pure la prevalente cultura orale e la conseguente trasmissione dei saperi. Tale può apparire la riluttanza a utilizzare strumenti come la registrazione dei matrimoni, delle nascite, così come il ricorso a giurì d'onore interni alla comunità piuttosto che ai tribunali ordinari. Premoderni si possono considerare l'uso dello spazio (volere vivere all'aria aperta e senza troppe costrizioni nei movimenti) e l'uso del tempo (la difficoltà ad accettare scansioni troppo rigide)».
«I lavori di arrotino, di calderaio, di giostraio, come quelli circensi - prosegue Xxxxxxxx Xxxxxxx - non trovano grandi opportunità nelle economie e nelle attività ludiche contemporanee. Così come premoderno mi è sembrato il valutare lo status all'interno della comunità in base alla capacità di mostrare opulenza, del non badare a spese, persino lo sprecare alla grande se si tratta di festeggiare e celebrare, ma anche la propensione a riutilizzare, a recuperare, a non sprecare nella quotidianità. Ho avuto l'impressione che noi gagè fossimo considerati ingenui schiavi del lavoro e dei suoi ritmi oppressivi, accumulatori di beni superflui, perché, per assenza di tempo libero, non siamo in grado di goderne. Secondo quest'ottica, la perdita di un po' di surplus inutilizzato non dovrebbe arrecare troppo danno. Purtroppo, tale discrepanza di fondo tra valori e regole interne alla comunità, e valori e regole esterne, può indurre in alcune frange una sorta di indifferenza alle regole, di
abbandono anche del vecchio codice d'onore con il risultato di innalzare l'asticella della devianza verso reati più gravi».
Questa discrepanza tra culture, di cui parla Xxxxxxxx Xxxxxxx, è una delle cause profonde delle difficoltà che tutti i paesi europei, e i diversi schieramenti che nel tempo li hanno governati, hanno incontrato e incontrano nell‟affrontare il problema dei Rom.
Come si fa a negare che il principio di reciprocità per il quale ai diritti corrispondono i doveri e l‟inclusione ha come condizione l‟accettazione e il rispetto delle regole, valga anche per i Rom?
E tuttavia come questo principio può essere messo in pratica considerando che i cambiamenti culturali, le trasformazioni delle mentalità hanno tempi diversi da quelli della politica?
E‟ un dovere delle istituzioni promuovere la cultura delle regole, chiederne il rispetto e contrastarne la violazione.
Ma proprio perché ci si muove su un terreno così carico di contraddizioni è essenziale mantenere una rigorosa distinzione tra comportamenti e responsabilità individuali e collettivi: quella distinzione che permette di perseguire senza alcuna concessione tutte le violazioni della legge compiuta da membri della comunità e di rifiutare al tempo stesso che questo si trasformi in uno stigma che colpisce la comunità nel suo insieme, ne aggrava le condizioni, ne impedisce l‟evoluzione.
Questa poliedricità culturale rende altresì problematica la costruzione di strumenti di accoglienza e integrazione nazionali, validi per tutti: «[...] In Italia - spiega l'Anci - sono presenti gruppi Rom profondamente differenti tra loro quanto a provenienze, caratteristiche culturali e tradizioni. L'eterogeneità dei gruppi Rom e Sinti richiede alle amministrazioni locali di doversi misurare con una complessità non generalizzabile, che richiede di diversificare gli interventi in relazione ai bisogni e alle reti e risorse disponibili sui vari territori. Non esistono soluzioni univoche o semplificate».
Ne è convinto anche Xxxxxxxxxx Xxxxxx, docente in sistemi giuridici comparati presso l‟Università di Firenze, che ha partecipato a un'audizione presso la Commissione il 15 luglio 2010. Nel corso dell'audizione ha illustrato un testo,
elaborato in forma di disegno di legge, al termine del convegno internazionale «The legal status of Roma and Sinti in Italy» tenutosi a Milano dal 16 al 18 giugno 20108:
« La mia personale percezione del problema mi porta a ritenere che la forza dell‟immagine – o, se vogliamo, dello stereotipo – dello zingaro, Rom, sinto, o
«nomade» sia così forte da creare talvolta una sorta di inceppamento del funzionamento dello Stato di diritto. Intendo dire che in un mondo in cui l‟identità Rom non creasse certi effetti reattivi nel tessuto sociale e nelle strutture politiche non vi sarebbe bisogno di norme ad hoc, che in ogni caso non attribuiscono nuovi diritti ma aiutano nell‟esercizio concreto di diritti che per tutta una serie di interazioni fra cultura, società ed istituzioni diventano difficili da esercitare quando si è percepiti come appartenenti ad un certo gruppo».
Ad esempio, rispetto alla questione del nomadismo, Xxxxxx spiega: « Noi (nel progetto di legge, Ndr), non abbiamo omesso il fatto – e mi scuso per la circospezione con cui affronto questo tema – che alcuni gruppi Rom pratichino certe forme di mobilità territoriale (peraltro, meno di quanto si creda e spesso in forme che non sono quelle immaginate), ma non abbiamo voluto inserire un diritto astratto al nomadismo. Abbiamo cercato di individuare, nel complesso articolarsi delle regole amministrative – che sono quelle di tutti i giorni e che vanno conosciute in tutte le sfumature tecniche – strumenti che permettessero la pratica di certe forme di mobilità territoriale, tentando di rendere difficile un potere di blocco basato su opzioni politiche derivanti dalla ricerca nell‟ambito del diritto amministrativo di ostacoli minuti in virtù dei quali, senza l‟assunzione di responsabilità dirette, rifiutare, ad esempio, certe autorizzazioni solo perché le persone che le richiedono appartengono ad un certo gruppo».
8 Nel corso della XVI Legislatura, sono stati presentati diversi disegni di legge che riguardano Rom, Sinti e Caminanti: AS 2227, «Disposizioni per l'integrazione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti nel territorio italiano» (d'iniziativa dei senatori Xx Xxxxxx Xxxxx, Amati, Baio e altri); AS 1668, «Modifiche alla legge 15 dicembre 1999, numero 482, per l'estensione delle disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche storiche alle minoranze dei Rom e dei Sinti (d'iniziativa dei senatori Xxxxxxx e Xxxxxxx); AS 2552, «Norme per la tutela e le pari opportunità della minoranza dei Rom e dei Sinti» (d'iniziativa dei senatori Xxxxxxx e Xxxxxxx).
2.6 Giudizi e pregiudizi
La presenza di Rom e Xxxxx è percepita come un problema dalle amministrazioni e dall'opinione pubblica e questo è dovuto in parte a fenomeni oggettivi, quali appunto le differenze culturali e i diversi usi e costumi che sussistono tra le popolazioni Rom, Sinti e Caminanti e la popolazione maggioritaria. L'Istituto per gli Studi sulla pubblica opinione ha provato a fornire i contorni precisi dell'atteggiamento nei confronti di Rom, Sinti e Caminanti in una conferenza, svoltasi a Roma il 22 e 23 gennaio 2008, in cui sono stati presentati i risultati
dell'indagine «Italiani, Rom e Sinti a confronto. Una ricerca quali-quantitativa»9.
La conferenza ha messo in luce come il 35% del campione intervistato sovrastimi la presenza di Rom e Sinti in Italia, collocandola tra l'1 e i 2 milioni di persone. L'84% del campione è poi convinto che gli "zingari" siano prevalentemente nomadi. Questa scarsa conoscenza rispetto alla presenza di Rom e Sinti si accompagna a un'«immagine avversa» nel 47% dei casi, a un'«immagine di emarginazione» nel 35% dei casi, e solo nel 12% dei casi a un'immagine «neutra» o
«positiva». Inoltre il 92% degli intervistati è convinto che Rom e Sinti in molti casi sfruttino i minori; il 92% che vivano di espedienti e furtarelli; l'87% che siano chiusi verso chi non è zingaro; l'83% che abitino per loro scelta in campi isolati dal resto della città. Il 65% è persuaso infine che Rom e Sinti siano tra i popoli maggiormente discriminati.
Ancora Xxxxxxx: «Inoltre, le iniziative locali sono spesso ostacolate dall'opinione pubblica che esprime malumori diffusi quando si tratta di aiutare “zingari”, percepiti come un fattore di rischio per il proprio benessere.
La crisi economica attuale ha rafforzato tali malumori e può consolidare opinioni pericolose che già si esprimono in sedi insospettabili. Una recente sentenza del tribunale dei minori di Napoli rappresenta un segnale di pericolo. Il giudice, condannando una ragazzina Rom di 15 anni in primo grado e in appello a un anno e
9 Ispi (Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione) “Italiani, Rom e Sinti a confronto. Una ricerca quali- quantitativa”, conferenza europea sulla popolazione Rom, Roma 22-23 gennaio 2008: xxx.xxxxxxx.xx/.../0000_Xxxxxxxxxx_Xxxxxxx_xxxxx_xxxxxxxxxxx_xxx_xxxxx.xxx.
mezzo di reclusione, ha portato le seguenti motivazioni: “Le conclusioni indicate sono sostanzialmente confermate dalla relazione depositata in atti dalla quale, a prescindere dalle cause, emerge che l'appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura Rom. Ed è proprio l‟essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che rende, in uno alla mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti, concreto il pericolo di recidiva”. E più oltre: “Sia il collocamento in comunità che la permanenza in casa risultano infatti misure inadeguate anche in considerazione della citata adesione agli schemi di vita Rom che per comune esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole”. Si tratta di un giudizio che contrasta con la linea ancora di recente ribadita dalla Corte Europea di Giustizia nel caso Xxxxxxxxx Xxxxxxxx vs. Bulgaria (Application n. 37193/07), quando ha rilevato la discriminazione su base etnica di una donna Rom condannata alla reclusione.
Il 10 marzo 2010 la Corte ha cassato la sentenza di un giudice bulgaro che nel 2005 aveva negato la sospensione della pena a una donna Rom, malata perché quella “è una comunità per la quale la sospensione di una sentenza è una non sentenza”. I Rom sono catalogati persino dai togati come delinquenti per cultura, se non per natura.
Aggressioni, omicidi, guida in stato di ubriachezza con il seguito di incidenti anche mortali da parte di Rom contro nazionali hanno occupato le cronache italiane. Minore spazio, anche se non nullo, hanno avuto gli assalti dei nazionali ai campi. Ma contro i Rom si riportano diffuse aggressioni fisiche e verbali, comportamenti discriminatori, pure da parte delle forze dell'ordine, questi sono segnalati dalle agenzie specializzate, ma i media li ignorano. Insomma, se i risultati in termini di integrità e buona vita sono pessimi, quelli in termini di relazioni a basso conflitto non sono migliori.
I giudizi negativi sui Rom sono persistenti e diffusi. Nella scala di accettazione delle minoranze risultano sempre come i meno popolari.
Da un sondaggio dell'Eurobarometro sulla discriminazione nell'Unione Europea, emerge che il 47% degli italiani intervistati si dichiara “a disagio” con l'idea di avere un Rom come vicino di casa, contro una media UE del 24%. Anche
una ricerca italiana del 2010, rivolta ai giovani (18-29 anni), in una scala di simpatia che va da 1 a 10, assegna ai Rom il minimo del punteggio (4,1) seguiti da rumeni (5,0) e albanesi (5,2). È facile quindi ipotizzare che le posizioni di rigetto siano da addebitarsi non a pregiudizi etnici, ma a opinioni sulla maggiore propensione dei gruppi sgraditi a commettere azioni delittuose».
Uno dei pregiudizi più diffusi è quello secondo cui "gli zingari rubano i bambini" benché dal dopoguerra ad oggi nessuna sentenza abbia mai condannato un Rom o Sinti per un simile reato (ad eccezione del caso di Xxxxxxxx, la minorenne condannata per aver tentato di rapire una neonata a Napoli nel 2008). Ma, come ha spiegato il professore Xxxxxxxx Xxxxxxx nell'audizione presso la Commissione del 20 aprile 2010, esiste anche l'opinione reciproca, ovvero che i gagé, i non zingari, sottraggano i bambini a Rom e Sinti attraverso procedure di adozione e affidamento. Una ricerca svolta su sette tribunali minorili in un periodo che va dal 1985 al 2005- 2006 mostra che in 21 anni sono stati dati in adozione 258 bambini Rom e Sinti, di cui il 93% Rom e il 7% Sinti; questo dato rappresenta il 2,6% delle procedure di adottabilità portate a termine nel periodo preso in esame. Conclude Piasere: «I Sinti e i Rom in Italia rappresentano una percentuale tra lo 0,1 e lo 0,2 della popolazione totale (una media ipotetica dello 0,15). Se la percentuale delle procedure fosse in analogia con la percentuale della popolazione, le procedure di adottabilità riguardanti i Sinti e i Rom non dovrebbero ammontare a 227 ma dovrebbero essere
13. Piasere si è posto una domanda provocatoria: «In Italia siamo sulla via di un genocidio culturale?» per poi precisare: «La nostra non è una ricerca contro le adozioni, contro i tribunali o gli assistenti sociali, che in tutto il mondo si dice siano quelli che portano via i bambini. Ci mancherebbe! Non è questo il punto. La ricerca è contro le due posizioni estreme: quella secondo cui tutti i bambini Rom dovrebbero essere dati in adozione perché i Rom devono scomparire (dei presidenti di tribunale lo hanno detto chiaramente), e quella secondo cui, al contrario, nessun bambino Rom o Sinti deve essere dato in adozione perché appartenenti a culture diverse; e, proprio per questo motivo, noi abbiamo il diritto di intervenire».
2.7 Devianza e Criminalità
Xxxxxxxx Xxxxxxx: «La questione della criminalità di questa minoranza non può essere spazzata via da due atteggiamenti entrambi ideologici e frettolosi. Il primo rimuove il problema attribuendolo a pregiudizi o a mancanza di alternative, il secondo considera i comportamenti illegali “connaturati” a questa minoranza. Sarebbe invece opportuno capire prima quanti tra loro commettono atti delittuosi, quali atti e perché. Capire se ci siano state evoluzioni negative nel tempo: sfruttamento della prostituzione, traffico di armi e droga, anche se è la micro criminalità che incide di più sull'opinione pubblica, perché tocca da vicino e perché è più visibile. A costruire l'immagine negativa contribuisce anche l'accattonaggio, specie se affidato a minori o a donne molto anziane. E su questo ultimo problema si è fatto poco, perché reprimerlo non basta, se non si indica quali alternative reali di ottenere un reddito da lavoro sono offerte ai Rom. Questa minoranza è intrappolata nel circolo vizioso della cosiddetta “discriminazione statistica”: “siccome pare che in quella comunità ci sia più devianza, non mi fido e non do lavoro”. Quindi gli individui di quella minoranza non hanno vie di uscita e ripiombano in comportamenti, come l'accattonaggio, fastidiosi per la maggioranza o, peggio ancora, si procurano reddito con atti delittuosi di varia gravità che rinforzano il pregiudizio statistico.
Quando si guarda all'incidenza della criminalità in questi gruppi, bisogna ricordare che, in generale, a delinquere sono soprattutto i giovani, i poco istruiti, i disoccupati. In generale i giovani maschi sono più propensi a commettere reati, nel caso dei Rom c'è però una forte incidenza tra le ragazze. È possibile che si tratti di un ulteriore sintomo di sfruttamento di genere più che di una male intesa parità.
Le condizioni di disagio e di emarginazione costituiscono un terreno fertile per la devianza, occorre quindi bonificare quel terreno per il bene di tutti. Alzare muri può servire nell'immediato ad arginare i sintomi, a evitare che le interazioni diventino sempre più conflittuali, ma non è certo una strategia praticabile a lungo termine».
Il Vice Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, prefetto Xxxxxxxxx
Xxxxxxx, ha inviato alla Commissione un documento in cui sono riassunte le
«Operazioni di rilievo in Italia afferenti soggetti nomadi», portate a termine dal giugno 2007 al gennaio 2011.
Dal documento si evince come nel periodo in esame siano state complessivamente condotte 155 operazioni, di cui 7 tra giugno e dicembre del 2007, 26 nel 2008, 70 nel 2009, 48 nel 2010 e 4 nel primo mese dell'anno in corso.
In tutto, sono stati emessi ordini di custodia cautelare per 542 soggetti; sono state arrestate in tutto 234 persone; sono stati emessi provvedimenti restrittivi per 105; sono stati eseguiti 33 fermi; sono state denunciate a piede libero 149 persone; sono stati emessi 11 mandati d'arresto europei.
Dal documento, emerge che i reati contestati più di frequente sono i furti (in generale), seguiti dai furti in appartamento, dalla detenzione, spaccio e/o traffico di stupefacenti, da rapine, ricettazione, usura, truffa, possesso illegale di armi e induzione, favoreggiamento e/o sfruttamento della prostituzione. Sono stati anche portati a termine 26 operazioni di sequestro di beni. Il maggior numero di operazioni è stato condotto nelle aree urbane maggiori e nelle relative province (in particolare 41 operazioni a Roma, 20 a Milano).
Infine, in una scheda sulla situazione dei Rom e Sinti in Italia inviata sempre dal prefetto Xxxxxxx, si sottolinea che in data 2 settembre 2010, è stato istituito l'Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori), presieduto dal Vice Direttore Generale della P.S. – Direttore Centrale della Polizia Criminale, con i seguenti compiti:
• ricevere le segnalazioni trasmesse da istituzioni, associazioni o privati cittadini riguardanti atti discriminatori attinenti alla sfera della sicurezza commessi nei confronti di soggetti appartenenti a minoranze;
• attivare , sulla scorta delle segnalazioni di cui al punto precedente, interventi mirati sul territorio;
• seguire l‟evoluzione delle denunce presentate direttamente alle Forze di Polizia di atti discriminatori commessi in danno di minoranze;
• convocare, anche a richiesta, in relazione all‟oggetto della segnalazione o della denuncia, i rappresentanti delle minoranze interessate; ove necessario
possono essere chiamati a partecipare i rappresentanti delle competenti articolazioni Dipartimento della P.S. e degli organismi centrali delle Forze di Polizia;
• proporre alle forze di Polizia l‟utilizzo di strumenti, anche informatici, per facilitare e incentivare i canali di comunicazione tra cittadini discriminati e il sistema di sicurezza;
• proporre moduli formativi per qualificare in materia gli operatori delle Forze di Polizia;
• favorire i collegamenti con le istituzioni pubbliche o private che si occupano di atti discriminatori (in particolare con l‟UNAR, l‟ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni basate su razza e origine etnica).
L‟organismo è composto:
• dal Direttore dell‟Ufficio di Staff del Vice Direttore Generale della Pubblica Sicurezza – Direttore Centrale della Polizia Criminale;
• dal direttore dell‟Ufficio Tecnico Giuridico e Contenzioso della Direzione Centrale della Polizia Criminale;
• dal direttore del Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale della Polizia Criminale;
• dal direttore del Servizio Informazioni Generali della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione;
• dal direttore del Servizio Immigrazione della Direzione Centrale dell‟Immigrazione e della Polizia delle Frontiere;
• dal direttore del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato;
• dal Capo del II Reparto del Comando Generale dell‟Arma dei Carabinieri.
2.8 Porrajmos: uno sterminio dimenticato
È il termine con cui i Rom indicano il genocidio subito durante la Seconda Guerra mondiale a opera della Germania nazista. Porrajmos (o Porajmos, Poraijmos), in lingua romanés, vuole dire «divoramento», «devastazione». Uno sterminio che al pari di quello degli ebrei fu condotto con scientificità e meticolosità in tutti i paesi occupati dai nazisti. Alla base vi era la considerazione che i Rom fossero una razza inferiore. Le deportazione in massa nei campi di concentramento e sterminio iniziarono nel maggio del 1940 con un primo rastrellamento di oltre 2800 Rom e proseguirono fino al 1944.
Mancano dati certi riguardo al numero delle vittime, ma le stime fornite da studiosi quali Xxx Xxxxxxx, direttore del programma di studi Rom presso l'Università del Texas ad Austin, e Xxxxx Xxxxxx, storico dell'Holocaust Memorial Museum, suggeriscono una cifra che oscilla tra le 500 mila ed il milione e mezzo di vittime.
Per quanto riguarda la persecuzione dei Rom in Italia ad opera del regime fascista, i dati storici raccolti sono scarsi tanto da non permettere ancora di stabilire con certezza come e in che misura gli zingari siano stati perseguitati in Italia. Rom e Sinti furono imprigionati nei campi di concentramento di Agnone (convento di San Xxxxxxxxx), Berra, Bojano (capannoni di un tabacchificio dismesso), Bolzano, Ferramonti, Tossicìa, Vinchiaturo, Perdasdefogu e nelle Tremiti. Si trattava di Rom italiani così come appartenenti ad altre nazionalità, in particolare Rom slavi, fuggiti in Italia a seguito delle persecuzioni in patria.
Quello dei Rom è uno sterminio dimenticato. Nella legge 20 luglio 2000, n.
211 che istituisce il «Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti» si parla, all'articolo 1, «di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati». Non si fa alcun cenno al genocidio dei Rom.
2.9 La comunità internazionale e l'Italia
La situazione dei Rom e dei Sinti in Italia, le loro condizioni abitative, di salute, di accesso al lavoro e ai servizi scolastici, sono stati oggetto di rilievi e osservazioni da parte sia di organismi internazionali, (ad esempio le Nazioni Unite, il Consiglio d'Europa, l'Osce) sia di grandi organizzazioni non governative umanitarie (p.e. Amnesty International e Human Rights Watch).
Nazioni Unite. Nel corso della Universal Periodic Revue (Upr) cui il Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu ha sottoposto l'Italia tra febbraio e giugno 2010 a Ginevra, sono state rivolte e al Governo italiano 92 raccomandazioni, dieci delle quali riguardavano la condizione delle minoranze Rom e Sinti nel nostro paese. In particolare il Governo italiano ha accettato le seguenti raccomandazioni:
n. 24 (Cile); chiedeva al nostro paese di portare avanti misure effettive per combattere la discriminazione razziale nei confronti di gruppi vulnerabili di donne, in particolare migranti e Rom.
n. 25 (Bangladesh); invitava a eliminare ogni forma di discriminazione verso le comunità Rom, oltre che nei confronti delle minoranze religiose e dei migranti, per assicurare pari opportunità per il godimento dei diritti sociali, culturali e economici, inclusi il diritto alla casa, alla salute e all'educazione.
n. 28 (Bangladesh, Norvegia, Pakistan e Austria); chiedeva da parte del nostro paese l'adozione di misure contro chi compie atti razzisti contro Rom, Sinti, migranti e musulmani; di condannare duramente gli attacchi contro migranti, Rom, e altre minoranze etniche assicurando al contempo indagini complete da parte della polizia in modo che i responsabili di tali fatti fossero perseguiti dalla Giustizia.
n. 57; sollecitava il Governo italiano a compiere ulteriori sforzi per integrare le comunità Rom e Sinti attraverso azioni positive nell'area dell'educazione, del lavoro, dell'abitazione e dei servizi sociali (Australia); di continuare a contribuire all'integrazione dei Rom e Sinti all'interno delle comunità locali allo scopo di dare loro accesso alla casa, al lavoro, all'educazione e alla formazione professionale (Russia); di continuare gli sforzi per contrastare la discriminazione verso le persone Rom in tutti i settori della società; di cercare di assicurare l'effettiva partecipazione
delle persone Rom a un percorso per assicurare loro un trattamento partitario e non discriminatorio (Finlandia); di assicurare pari diritti ai membri delle minoranze Rome e Sinti, di assicurare che tutti i bambini Rom e Sinti siano iscritti a scuola e di incoraggiare una regolare frequenza scolastica (Svezia); di adottare una legge in via generale un legge contro le discriminazioni tale da garantire che i Rom possano godere di piena eguaglianza nelle possibilità di accesso al lavoro, all'educazione e alla salute (Stati Uniti).
n. 60 (Stati Uniti); suggeriva di continuare a operare per porre fine a intolleranza e discriminazione sociale contro i Rom e, a tale riguardo, assicurare che la polizia e le autorità locali fossero ricevano una formazione adeguata a dare risposte appropriate alle denunce per crimini in cui siano coinvolti Rom, evitando un profiling etnico inappropriato.
Queste sono le raccomandazioni che il Governo Italiano ha accettato in quanto le misure richieste sarebbero già in essere o in corso di attuazione.
Il Governo ha poi accettato tre ulteriori raccomandazioni, fornendo alcune precisazioni:
n. 59 (Serbia); invitava a prestare un'attenzione particolare alla preparazione, realizzazione e valutazione di un progetto pilota per il rimpatrio di un numero di Rom, di origine serba, che attualmente vivono nei campi dislocati in Italia centrale e meridionale, in modo da agevolare politiche adeguate, dignitose ed efficaci per la popolazione Rom.
Il Governo ha specificato che è stato costituito un gruppo di lavoro ad hoc composto da rappresentanti italiani e serbi per elaborare un protocollo di intesa (Mou) che specifichi le misure per il rimpatrio, conforme agli accordi bilaterali.
n. 61; che chiedeva, con riguardo agli sgomberi forzati, di assicurare la piena corrispondenza con il diritto internazionale (Svezia); e la 62, che invitava a valutare tutte le alternative agli sgomberi forzati di Rom e Sinti, anche consultando coloro che sono direttamente colpiti da questi provvedimenti (Australia).
Queste due raccomandazioni sono state accolte ma il Governo ha precisato che le operazioni di sgomberi forzati portate a termine dalla forze di polizia avevano spesso l'obiettivo finale di fornire una migliore sistemazione abitativa per le famiglie
Rom. Gli insediamenti non autorizzati, per loro stessa natura, non possono assicurare condizioni di vita appropriate. Nel guardo della legislazione nazionale, restituire buone condizioni di vita è nell'interesse della società intera, ivi incluse le comunità Rom, Sinti e Camminanti, che sono le più esposte al rischio di abuso e sfruttamento.
Infine sono state respinte le raccomandazioni 56 e 58. La prima esortava ad accrescere gli sforzi per raggiungere e assicurare i diritti dei membri delle minoranze, in particolare delle comunità Rom (Stati Uniti); a proteggere i Rom e Sinti come minoranze nazionali e assicurare che non fossero oggetto di discriminazione da parte di alcuno, compresi i media (Cuba). La seconda sosteneva la necessità di porre in essere tutte le misure necessarie per garantire i diritti dei Rom come indicato dall‟articolo 27 del Patto internazionale dei diritti civili e politici, specificamente emendando la legge del 1999 che richiede il collegamento con un territorio specifico (Danimarca).
Il Governo ha spiegato che già ora i principi costituzionali e leggi specifiche assicurano misure per la protezione delle minoranze linguistiche a tutti i livelli: scolastico, nella pubblica amministrazione, nel settore dei media, e nella topografia municipale. Queste leggi pongono tuttavia per le minoranze linguistiche la condizione della stabilità e della durate degli insediamenti in una determinata area del paese. Dal momento che le comunità Rom e Sinti non ottemperano questi criteri, non possono essere incluse nella lista nazionale delle minoranze linguistiche storiche. Attualmente, la lista cui si riferisce la legge 482/1999 include dodici minoranze ed è aperta a nuovi membri.
Consiglio d'Europa. Il commissario del Consiglio d'Europa per i diritti umani Xxxxxx Xxxxxxxxxx ha presentato nel febbraio del 2009 un rapporto sull‟Italia, redatto dopo una visita nel nostro paese effettuata nel gennaio dello stesso anno. In questa relazione, composta da quattro capitoli e suddivisa in 119 paragrafi, un capitolo (per un totale di 29 paragrafi) è dedicato alla situazione dei Rom e dei Sinti.
Xxxxxxxxxx, dopo aver espresso apprezzamento per il costante impegno del Governo italiano nella cooperazione con il Consiglio d'Europa e nella costante
attenzione riservata alle questioni sollevate nel Memorandum, specie in relazione alle questioni che riguardano Rom e Sinti; e dopo aver accolto con favore le azioni positive intraprese per proteggere e promuovere i diritti umani di Rom e Sinti, ad esempio sostenendo la campagna «Dosta!» del Consiglio d'Europa, finanziando le scuole con un alto numero di immigrati e Rom e sostenendo gli sforzi per l'accesso a un'abitazione per Rom e Sinti, ha mosso alcuni rilievi.
In primo luogo Xxxxxxxxxx ha sottolineato con preoccupazione alcuni casi di cronaca nei confronti di Rom e Sinti, come il pestaggio di una bambina Rom a Pesaro nell'agosto del 2008, lo sgombero forzato per tre volte di 45 famiglie Rom dal campo abusivo di via Salamanca a Roma, gli attacchi ai campi di Ponticelli a Napoli nel maggio del 2008, o gli incendi ai campi Rom milanesi nell'ottobre- novembre 2007. Inoltre, a seguito di una visita ai campi Rom di Roma, quali Xxxxxxxx '900 (ora sgomberato), Cava di Pietralata, Quintiliano, Monte Tirburtino, e via Togliatti, Xxxxxxxxxx ha riferito delle precarie condizioni di vita in quegli insediamenti, del clima di ansia degli abitanti circa l'intolleranza dei residenti locali e della difficile situazione dei Rom provenienti dalla ex Jugoslavia, che sono de facto o de jure apolidi.
Nelle conclusioni e raccomandazioni Xxxxxxxxxx ha esortato il Governo ad adottare strategie nazionali e regionali coerenti e adeguatamente finanziate per attuare piani d'azione di breve e lungo periodo, obiettivi e indicatori per implementare politiche in grado di contrastare efficacemente la discriminazione legale e/o sociale di Rom e di Sinti. Ulteriori osservazioni hanno riguardato il censimento condotto dalle forze di Polizia, insieme alla Croce Rossa e i Vigili Urbani, nelle città di Roma, Napoli e Milano a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza «in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia» (21 maggio 2008). La dichiarazione osserva sostiene che «detti insediamenti, a causa della loro estrema precarietà, hanno determinato una situazione di grave allarme sociale, con possibili gravi ripercussioni in termini di ordine pubblico e sicurezza per le popolazioni locali».
Xxxxxxxxxx ha ricordato che «i dati personali raccolti e elaborati in questo caso sono per definizione "sensibili", in quanto riguardano esclusivamente persone
di una specifica origine etnica o razziale» ed ha sottolineato come il loro utilizzo debba «essere assolutamente necessario per il raggiungimento del proposito delle autorità di assicurare "l'adozione di misure sociali, di integrazione e di welfare, improntate a migliorare le condizioni di vita delle persone Rom"».
Da ultimo Xxxxxxxxxx ha raccomandato di mettere a punto a) un sistema di tutela legale; b) un meccanismo consultivo, a livello nazionale, regionale e locale, di dialogo tra istituzioni e rappresentanti del mondo Rom e Sinti; c) meccanismi idonei ad evitare sgomberi forzati in assenza di una soluzione abitativa alternativa; d) strumenti di tutela dei diritti dei bambini Rom e Sinti.
Nella risposta del marzo 2009 al rapporto Xxxxxxxxxx, il Governo italiano ha precisato che gli sgomberi dei campi Rom abusivi hanno avuto per lo più lo scopo di realizzare una migliore situazione abitativa per le famiglie con donne bambini. Rispetto alla salute nel campo abusivo del Casilino '900 l'amministrazione comunale di Roma ha prolungato un accordo in base al quale la Asl competente veniva delegata a seguire le attività di controllo e prevenzione, ivi compreso un piano di vaccinazioni per i bambini. Inoltre un protocollo redatto per coinvolgere i rappresentanti delle comunità Rom interessate avrebbe regolato sia la gestione dei nuovi campi sia le procedure di trasferimento da quelli abusivi a quelli regolari.
Riguardo al censimento, il Governo ha ricordato come il censimento sia stato considerato necessario per ottenere informazioni dettagliate sul numero di tutte quelle persone (non solo Rom e Sinti) che vivevano nei campi allo scopo sia di garantire loro un maggiore livello di sicurezza sia di per migliorare le loro condizioni di vita. Inoltre, ha precisato il Governo italiano, i dati sono stati raccolti non per costruire database o archivi separati, ma unicamente a fini amministrativi, in conformità alle leggi sulla protezione dei dati personali: l'utilizzo dei dati è stato limitato a scopi umanitari e di assistenza sociale proibendo la raccolta dati sull'appartenenza etnica o religiosa. Rispetto infine alla condizione minorile il Governo ha fatto presente come lo sfruttamento dei bambini fosse diffuso nelle aree metropolitane di Roma, Milano e Napoli, e per questo fosse necessario intervenire con misure repressive nei confronti degli sfruttatori; il Governo ha sottolineato
l'istituzione in alcuni insediamenti di scuole del pre-obbligo e di servizi di accompagnamento a scuola.
Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Nel luglio del 2008 una delegazione dell'Osce ha effettuato una vista in Italia, in particolare a Roma, Milano e Napoli, per verificare la situazione dei Rom e Sinti, a seguito di alcuni gravi episodi di cronaca (l'omicidio Reggiani del novembre 2007 e i roghi di Ponticelli nel maggio 2008) e dopo la dichiarazione, da parte del Governo, dello stato di emergenza e la nomina di commissari straordinari a Roma, Milano e Napoli, nel maggio 2008.
Il rapporto ha rilevato innanzi tutto come la questione Rom in Italia abbia attirato l'attenzione dell'opinione pubblica e una copertura negativa da parte dei media: «Questo è dovuto alla loro alta visibilità, perché sono arrivati in gruppi numerosi, spesso con famiglie allargate e in molti casi perché occupano illegalmente terreni e edifici. I campi illegali o informali sono stati sempre più identificati con i Rom romeni e sono stati oggetto di sensazionalismo mediatico». Rispetto al ruolo dei media, aggiunge «che hanno contribuito a esaltare gli aspetti di sicurezza legati a Rom e Sinti. La copertura mediatica ha messo in rilievo un numero di incidenti e crimini che hanno coinvolto immigrati irregolari, inclusi Rom e Sinti. I titoli negativi hanno contribuito ad una maggiore diffusione del risentimento popolare e hanno fatto aumentare l'ostilità verso Rom e Sinti».
Rispetto allo stato di emergenza, la delegazione Osce ha ritenuto tale provvedimento «sproporzionato in relazione all'attuale dimensione delle minacce alla sicurezza dovute all'immigrazione irregolare e agli insediamenti di Rom e Sinti». Inoltre la delegazione si è detta preoccupata «che le misure adottate, individuando di fatto una particolare comunità denominata Rom o Sinti (o "nomadi"), insieme con i racconti spesso allarmisti e infiammatori dei media [...], abbiano fomentato un sentimento anti-Rom in larga parte della società e abbiano contribuito alla stigmatizzazione delle comunità Rom e Sinti in Italia».
Rispetto alla situazione abitativa, la delegazione Osce ha osservato che «i campi autorizzati costruiti di recente, in aggiunta a un numero limitato di centri di accoglienza, rimangono l'unica strada che le autorità utilizzano per indirizzare la
situazione abitativa dei Rom e Sinti [...] La segregazione residenziale de facto dei Rom e dei Sinti in campi e insediamenti non conduce alla loro integrazione nella società e contribuisce a un'ulteriore marginalizzazione. L'accesso ai servizi pubblici per le persone che vivono nei campi o negli insediamenti illegali è ridotto. Inoltre, c'è un generale sentimento di insicurezza tra i Rom e i Sinti che vivono in questi campi, per paura di sgomberi forzati da parte delle autorità e di atti ostili da parte della maggioranza della popolazione intorno».
In particolare rispetto agli sgomberi la delegazione ha osservato che spesso sono stati portati a termine senza che fosse stata offerta un'abitazione alternativa pur aggiungendo di apprezzare «gli sforzi compiuti a livello municipale per trasferire i Rom da campi illegali a quelli autorizzati e da questi in case regolari (queste politiche sono state implementate con successo a Bologna, per esempio)».
La delegazione, oltre a soffermarsi sui problemi legati al lavoro, alla salute, e alla scolarizzazione dei minori, si è soffermata sulla questione del coinvolgimento delle rappresentanze di Rom e Sinti: «La delegazione nota con rammarico il basso livello di coinvolgimento e rappresentanza dei Rom e Sinti nel dialogo diretto e nelle consultazioni con le autorità. A questo proposito, è stato anche notato che gli interessi e le lamentele delle comunità Rom e Sinti spesso non sono rappresentate direttamente da loro stessi, ma piuttosto attraverso intermediari».
L'Osce ha espresso l'auspicio che l'Italia dia vita ad una «strategia comprensiva tesa a integrare Rom e Sinti» ed ha offerto la propria collaborazione al Governo italiano per redigere un programma nazionale atto allo scopo. Da ultimo ha formulato all'Italia le seguenti raccomandazioni:
• di riconoscere i Rom e Sinti come minoranza nazionale;
• di non designare tale minoranza con il termine "nomadi" ma piuttosto con "Rom" e "Sinti";
• di stimolare le amministrazioni regionali e locali a utilizzare i fondi nazionali, locali e europei per promuovere misure di integrazione;
• di creare una struttura governativa di coordinamento per le politiche sui Rom e Sinti;
• di intraprendere un dialogo diretto con una varietà di rappresentanti Rom e Sinti;
• di trovare una soluzione duratura al problema dei Rom e Sinti apolidi;
• di utilizzare le best pratices locali per affrontare la questione abitativa;
• di non ammettere discorsi improntati all'odio o alla xenofobia da parte di privati cittadini o pubblici ufficiali.
Amnesty International. Da parte sua, Amnesty International, nel rapporto annuale sull'Italia del 2009, ha aggiunto aggiunge che a causa di sgomberi forzati e illegali, molti Rom sono stati costretti a vivere in condizioni di maggiore povertà. Le conseguenze negative hanno colpito sia Rom di nazionalità italiana, sia quelli con cittadinanza di paesi dell'Unione europea o di altri paesi. In contrasto con le norme del diritto interno, che prevedono che le autorità notifichino lo sgombero a ogni persona interessata o pubblichino un ordine o un preavviso di sgombero, i membri della comunità in alcuni casi non erano stati avvisati.
Human Rights Watch. HRW nella parte dedicata all'Italia nel World Report 2010 si limita a riportare le preoccupazioni espresse da Xxxxxxxxxx rispetto alle condizioni di Rom e Sinti, in particolare per quanto riguarda l'aspetto abitativo.
3. Aspetti specifici
3.1 Un popolo di Bambini
Secondo le stime di Opera Nomadi, le comunità dei Rom e Sinti «sono caratterizzate dalla presenza di un'alta percentuale di minori». Il 60% della popolazione Rom e Sinti, prosegue l'Opera Nomadi, ha meno di 18 anni, e di questi il 30% ha un'età tra gli 0 e i 5 anni, il 47% ha dai 6 ai 14 anni e il 23% tra i 15 e i 18 anni.
Dal già citato censimento della Croce Rossa Italiana, sul campione dei 4.927 censiti, il 53,37% ha fino a 20 anni di età (il 29,26% ha meno di 11 anni, il 42,52% meno di 16); mentre appena il 6,32% appartiene alla fascia di età tra i 50 e i 60 anni e solo il 2,81% ha più di 60 anni.
Un dato particolarmente interessante e indicativo delle più generali condizioni di vita dei Rom, è quello relativo all'aspettativa di vita, che può essere considerato come un indicatore sintetico della condizione umana. Xxxxx Xxxxxxxx, coordinatore per i Rom e Sinti presso il Consiglio d'Europa, in un documento trasmesso alla Commissione, riporta alcuni dati: «Uno studio fatto in Slovacchia dimostra che le donne Rom vivono 17 anni in meno che il resto della popolazione femminile. Lo stesso studio dimostra che gli uomini vivono 13 anni di meno che il resto della popolazione maschile.[...] La speranza di vita dei Rom in Europa orientale è di dieci anni di meno del resto della popolazione. [...] In Spagna la speranza di vita dei Rom è di 8-9 anni di meno del resto della popolazione e la mortalità infantile 1,4 volte maggiore. [...] In Ungheria la speranza di vita dei Rom é di 10-15 anni di meno che il resto della popolazione . [...] In Serbia solo una su sessanta persone riesce a vivere fino a 60 anni. Quelli che vivono di riciclaggio di materiali recuperati nei depositi di rifiuti hanno una speranza di vita di 45 anni. [...]. Uno studio fatto nel 1989 dimostra che la speranza di vita in Cecoslovacchia è di 12,1 anni di meno per gli uomini Rom e di 14,4 anni di meno per le donne Rom».
Per quanto riguarda l'Europa dei 27 Stati membri il 51% della popolazione raggiunge i 75 anni, mentre tra le popolazioni Rom la media è del 25,7%; la forbice
è ancora più ampia se si considera l'obiettivo degli 85 anni, raggiunto solo del 4,5% degli appartenenti alle popolazioni Rom, ma dall'11,2% della popolazione dell'Unione Europea10.
3.2 Nomadi chi?
A differenza di quanto comunemente si crede, la stragrande maggioranza dei Rom, Sinti e Caminanti presenti sul territorio italiano non è nomade e ha anzi uno stile di vita sedentario. Spiega Xxxxxxxx Xxxxxxx, nel volume I Rom d'Europa: «[...] stabilità e mobilità costituiscono i poli di un continuum di situazioni di vita di cui è impossibile tracciare un confine netto» aggiungendo che più dell'80% di Rom e Sinti in Europa sono da tempo sedentari. Secondo il Ministero dell'interno nel nostro paese le famiglie che ancora viaggiano in carovana rappresentano il 2-3% dei Rom, Sinti e Caminanti. Ne è convinta anche l'Anci: «In realtà Rom e Sinti non sono da considerare minoranze "nomadi" ma si compongono di famiglie che oramai, per diversi motivi, sono sedentarizzate. [...] Le famiglie appartenenti a gruppi nomadi sono pochissime e riguardano soprattutto alcuni gruppi di Sinti giostrai e Rom Kalderasha. Entrambi i gruppi menzionati sono peraltro in gran parte di nazionalità italiana». Tali considerazioni sono condivise dall'Opera Nomadi e dal Ministero dell'interno, che precisa: «La maggioranza delle famiglie ancora nomadi si ritrova tra i Sinti. Il fenomeno è minimo tra le famiglie Rom e non è mai elettivo, bensì forzato per mancanza di altre possibilità di abitazione o sopravvivenza: le famiglie Rom, nell'ex Jugoslavia, erano infatti sedentarizzate».
La Comunità di Sant'Xxxxxx, al riguardo, sostiene, in un'analisi dettagliata:
10 I dati sull'aspettativa di vita delle popolazioni Rom sono stati elaborati in seno ad un progetto di ricerca finanziato dall'Unione Europa e promosso dalla Fundación Secretariado Gitano, "Health and the Roma Community, Analysis of the Situation in Europe", nell'ambito del Public Health Programme della UE, che ha analizzato le condizioni di vita delle comunità Rom stanzianti in sette Paesi dell'Unione: Grecia, Spagna, Repubblica Ceca, Slovacchia, Portogallo, Romania e Bulgaria. Il progetto è consultabile su, xxxx://xxx.xxxxxxx.xxx/xxxxxx/00/00/Xxxxxx_xxx_xxx_Xxxx_Xxxxxxxxx.xxx
«Per tanti anni in Italia si è utilizzato il termine “nomadi” come sinonimo intercambiabile di Rom, Sinti o zingari. Ma negli ultimi anni, con l‟affermazione di un linguaggio politically correct “nomadi” ha avuto molta fortuna per definire le popolazioni zingare presenti in Italia. I media lo hanno scelto e lo utilizzano comunemente e molte amministrazioni lo hanno introdotto nei propri documenti. Il termine però definisce popolazioni che vivono itinerando di luogo in luogo, senza una base o forma di stanzialità: non è più la realtà degli zingari presenti in Italia. [...] Proprio per questo è necessario affrontare con chiarezza il discorso legato al nomadismo: gli 8-10 milioni di Rom/Zingari europei (Roms, Sintés, Kalés, Kaalés, Romanichels, Boyash, Ashkali, Manouches, Yéniches, Travellers, ecc – secondo una delle definizioni del Consiglio d‟Europa) sono all‟85-90% sedentari. Questo per motivi storici: circa l‟80% dei Rom/Zingari proviene dai paesi dell‟Europa centro orientale, dove già nell‟impero austro-ungarico furono in parte sedentarizzati; successivamente nei paesi comunisti i Rom/Zingari subirono le misure di collettivizzazione con l‟inserimento nelle strutture abitative. Ai Rom/Zingari dell‟est si possono aggiungere i gitanos spagnoli, che da secoli vivono in abitazione, o i Rom/Zingari di antico insediamento in Francia e Italia, come i Rom abruzzesi. Gli unici gruppi ancora nomadi o semi-nomadi sono alcuni manouches in Francia, gruppi Sinti in Italia settentrionale e in Germania, i Travellers in Gran Bretagna e pochi altri. L‟idea degli zingari come un “popolo nomade” è spesso frutto della
precarietà di vita in cui versano da anni.
In quasi tutti i paesi dell‟Europa Orientale esistono quartieri di antico insediamento di Rom/Zingari: le mahalle. Alcune hanno più di 150 anni e dimostrano come la sedentarizzazione sia “antica”. [...]
In Italia da sempre si è guardato ai Rom/Xxxxxxx come a popolazioni nomadi. Da un lato perché esistono gruppi da secoli legati allo spettacolo viaggiante (i più famosi sono i circensi), dall‟altro perché ancora in tempi recenti (negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale) anche gruppi di calderai e ramai vivevano in maniera itinerante interagendo con una economia essenzialmente agricola. Nei paesi e villaggi di campagna, i più anziani ancora ricordano piccole carovane spesso con carri e cavalli che si fermavano nelle periferie. Gli zingari offrivano soprattutto
alcuni servizi legati alla lavorazione dei metalli: stagnare, riparare o realizzare pentole, affilare e riparare utensili, ecc.; altri Rom viaggiavano per commercio – i più noti forse, erano i commercianti di cavalli.
Negli anni però è viepiù mutato il contesto socio-economico della nostra società, facendo perdere di utilità gran parte delle occupazioni tradizionali praticate dagli zingari. Non viaggiando più per motivi di lavoro, gli zingari hanno iniziato sempre più a radicarsi in un territorio.
Ma al mutato contesto sociale e politico italiano ed europeo non ha corrisposto un mutamento di visione dei Rom/Zingari. L‟arrivo dei Rom/Zingari dell‟est ha reso il fenomeno della sedentarizzazione ancora più evidente»11.
3.2.1 IL Paese dei campi e il popolo delle discariche
Sono circa 40 mila i Rom, Sinti e Caminanti che vivono nei campi: questo dato rappresenterebbe quindi tra un quarto e un quinto della popolazione complessiva. Tuttavia non esistono poiché è difficile conoscere la quantità e l'ubicazione esatta di questi campi, in quanto molti insediamenti sono abusivi, abitati da poche decine di persone, oppure resistono per poco tempo.
In ogni caso, la popolazione Rom, Sinti e Caminanti che vive nei campi si concentra principalmente nelle grandi città. A Roma sono stati censiti oltre 100 campi, di cui 7 villaggi autorizzati, 14 campi tollerati e oltre 80 insediamenti abusivi: in questi spazi vivono 7.177 persone. A Milano (dati Ismu) esistono 45 campi (con una popolazione di circa 4.310 persone) ai quali ne vanno aggiunti un centinaio (2.300-3.100 persone) nel resto della provincia12.
I campi consistono in roulotte, container o piccole baracche in lamiera o altri materiali di fortuna. In quelli non autorizzati manca l'acqua corrente, i sistemi fognari, l'illuminazione e il riscaldamento. Le condizione igieniche e sanitarie sono
11 Documento inviato alla Commissione dalla Comunità di Sant'Xxxxxx, pagg 3-4.
molto precarie.
La politica dei campi, spiega Xxxxxxx, inizia verso la metà del Novecento, in seguito all'arrivo dei Rom dalla ex Jugoslavia, non come una precisa scelta nazionale ma come «una politica locale che si allarga a contagio a partire dalle città del nord e che dagli anni Ottanta è supportata finanziariamente e legislativamente da alcune Regioni. In base a questa politica e a questi interventi. L'Italia diventa il "paese dei campi"[...]. Una volta arrivati nel "paese dei campi", molti Rom da secoli sedentari in Jugoslavia devono "riziganizzarsi" alla occidentale e devono, se non diventare nomadi, vivere comunque in un campo senza fognature, in abitazioni con ruote o baracche. Fatti aderire all'immaginario corrente dello "zingaro ex nomade e inurbato", essi lo nutrono e lo modernizzano: oggi per tanti italiani lo zingaro è per definizione quello che abita in un campo fatiscente! La maggioranza di questi Rom, invece, i quali non hanno mai abitato in abitazioni mobili né in un"campo" di cui non hanno nemmeno il termine nella loro lingua, sperano che o kampo sia un momento transitorio della loro vita di profughi»13.
Ancora la Comunità di Sant'Xxxxxx osserva: «La risposta istituzionale è stata quella di trovare soluzioni per popolazioni nomadi. Molte regioni italiane hanno approvato leggi che prevedevano la creazione di “campi”. Ma i campi realizzati (generalmente) sono state strutture pensate per la sosta temporanea e non per l‟abitazione di gruppi sedentari. Inoltre molte municipalità hanno dato autorizzazioni (temporanee) a “campi” senza le minime strutture d‟accoglienza previste dalla legge (acqua corrente, fogne, luce) e ciò ha comportato che 2-3 generazioni di Rom/Zingari siano sostanzialmente nate e vissute in luoghi non molto dissimili dalle discariche, con tutte le conseguenze umane e sociali. Cito come esempio più clamoroso quello dei circa 30-35.000 rom di origine ex jugoslava. Il primo gruppo è arrivato negli anni ‟60-„70 proveniente dalle diverse regioni del paese (Rudari e Kanijarija dalla Serbia, Kalderasa dalla Croazia, Korakané dalla Bosnia e dal Montenegro), il secondo a partire dagli anni ‟90, a causa della guerra (da Bosnia e Kosovo). Il gruppo giunto quarant‟anni fa è sostanzialmente vissuto e cresciuto in
13 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, I rom d'Europa, Laterza, 2004, pag 86.
vere e proprie discariche nelle nostre città in totale isolamento dalla vita civile e da qualsiasi rapporto positivo con le istituzioni. Tutto ciò ha creato spaesamento soprattutto tra le nuove generazioni, cresciute nella realtà opulenta delle città senza possedere gli strumenti culturali e relazionali per confrontarsi con la società circostante. Una delle conseguenze di questa condizione è indubbiamente stata la crescita della devianza minorile. Ormai in Italia vi sono due o tre generazioni di Rom che sono cresciuti in “discariche” , in perenne ritardo nelle relazioni con il resto del mondo, paria in una società che non li considera e li rifiuta»14.
3.2.2 Ispezioni della commissione ad alcuni campi
Roma. Mercoledì 27 ottobre ha avuto luogo una visita al campo Rom di Castel Romano, presso Roma, vicino Pomezia. Il campo, istituito dal Comune di Roma nel 2005, è articolato in due settori, il campo M e il campo K, e in totale ospita circa 900 persone. Si tratta di un campo attrezzato, vale a dire di abitazioni realizzate in container, con allacci di corrente elettrica, ma prive di acqua corrente. Per cucinare si usano le bombole a gas. I Rom che si trovano a Castel Romano vengono in massima parte da vicolo Xxxxxx, in massima parte, e formano oggi una comunità di oltre mille persone. I Rom di Castel Romano sono per lo più di origine balcanica, ma le comunità insediate nei campi M e K non hanno buoni rapporti tra loro. Durante la visita, nonostante li separino non più di venti metri, nessuno transita da un campo all'altro: le due comunità sono in aperto contrasto fra loro. Nel campo M ci si lamenta che l'attesa per i primi container sia durata più di sei mesi e che in ciascun container si sia costretti a vivere in sette - otto persone. I bambini del campo M sono 245, ma si tratta comunque di numeri che nessuno può verificare. Questi bambini - così sostengono gli abitanti del campo - non vengono aiutati in alcun modo. In tutti e due i campi si lamenta l'assenza di una fermata dell'autobus in corrispondenza dell'insediamento, il che costringe tutti - soprattutto le donne sulle
14 Documento inviato alla Commissione dalla Comunità di Sant'Xxxxxx, pag 4.
quali grava quasi per intero il peso della gestione famigliare - a lunghe, faticose camminate. Nel campo M solo 10 abitanti circa su 300 sono italiani. Una gran parte è sprovvista di documenti e molti, per evitare i controlli, appena arrivati hanno lasciato il campo. La destinazione di coloro che fossero trovati privi di documenti sarebbe il CIE più vicino. Molti dei presenti lamentano discriminazioni sul luogo di lavoro: per evitarle debbono fare in modo di non far sapere di essere Rom. Nel campo K vi sono circa 160 nuclei famigliari, con 5-6 bambini per nucleo (sono gli stessi Rom a riferirlo). Le condizioni di disagio sono palpabili anche qui: pochi lavorano e pochi hanno quindi modo di sostenere le famiglie; l'acqua deve essere prelevata dalle cisterne poste in fondo al campo e comunque il rifornimento non è continuo a causa di frequenti guasti alla pompa. Si cercherà di ovviare al problema attraverso l‟allaccio al vicino acquedotto comunale. Per quanto riguarda l'attività di assistenza sanitaria, nei campi manca un presidio medico permanente, ma ogni settimana un pullman gestito da volontari accompagna chi ne fa richiesta alla Asl di zona. Da quanto si apprende sono stati vaccinati duecento bambini nel corso dell‟anno.
Napoli. La visita ha avuto luogo il 2 novembre 2010 ed è stata preceduta da un incontro presso l'Ufficio Rom e patti di cittadinanza che mette capo al Servizio Contrasto Nuove Povertà e Rete delle Emergenze Sociali del Comune di Napoli. L'Ufficio si occupa della popolazione Rom della città di Napoli. I compiti dell'ufficio riguardano la scolarizzazione, la tutela dei minori Rom, l'accompagnamento sanitario. I campi visitati dai senatori fanno parte dei sei insediamenti che insistono su Napoli est e che sono il frutto di una recente aggressione ai campi Rom di Ponticelli. I Rom a Scampia sono 1500, di cui 460 ospitati in Villaggi di Accoglienza Comunale dove sono stati attivati progetti di vigilanza sociale, di inserimento scolastico, di educazione alla legalità da più di 10 anni. Inoltre a Soccavo, in una ex struttura scolastica, vengono accolti 150 Rom rumeni con numerosi progetti di integrazione, sopratutto riferiti a minori.
Il primo campo visitato dalla commissione si trova nel quartiere Ponticelli sotto il viadotto della tangenziale. In alcune baracche protette da una palizzata di fortuna vivono circa cinquanta persone tutte di nazionalità rumena. Si tratta di Rom che lì
hanno cercato rifugio dopo gli incendi nel quartiere di Scampia. La corrente elettrica viene assicurata per sole due ore da un generatore. L'acqua viene raccolta nei contenitori di fortuna da una fontana pubblica posta a poche decine di metri dal campo. Proprio di fronte alle baracche si trova una discarica abusiva la cui presenza, sebbene sia utilizzata ampiamente anche dai residenti, viene addebitata ai Rom. I servizi igienici sono assicurati da piccole fosse scavate nei dintorni del campo sulle quali è stata realizzata una piccolissima baracca nella quale è posto un rudimentale wc in legno. Quando la fossa si riempie ne viene scavata un'altra. Le baracche destinate ad abitazione sono comunque piccole e molto umide, il terreno è fangoso. I bambini in età scolare raggiungono gli istituti grazie all'impegno del Comune e degli educatori dell'associazione Nea (Napoli Europa Africa): la frequenza pare essere costante fino alla quinta elementare, con l'inizio delle scuole medie la dispersione cresce nettamente.
Il secondo campo risulta dall'occupazione di fatto di una fabbrica abbandonata della Coca Cola nei pressi dell'aeroporto Capodichino (la proprietà del fabbricato chiede che venga sgombrato perché vorrebbe ricavarne un albergo). I Rom hanno realizzato una baraccopoli nel cortile della ex fabbrica, mentre in una parte degli edifici vivono alcuni marocchini e due italiani, uno dei quali usa una decina di cani randagi per proteggere il suo spazio. Le baracche sono state costruite con assi di legno, cartone, infissi e porte dismessi, materiale vario. Per la corrente elettrica ci si serve di generatori, per l'acqua ci si reca all'esterno presso fontane pubbliche. In queste condizioni vivono circa trecento persone. Molti i bambini. In diversi punti del cortile si vedono gatti, che i Rom, così si apprende, hanno portato lì per contrastare la presenza di topi. All'accompagnamento a scuola si dedicano le associazioni convenzionate con il Comune assistite da alcuni abitanti del campo. Le motorette sovraccariche e il materiale accatastato mostrano che qui per sopravvivere ci si dedica alla raccolta del ferro: 13 centesimi al chilo.
Milano. La commissione si è recata nel campo Rom di via Triboniano il 12 novembre 2010. Via Triboniano è un‟ampia strada che costeggia il cimitero Maggiore (Musocco), nel centro di Milano. I primi insediamenti Rom hanno avuto luogo nel 2000, in prossimità di un laghetto vicino al quale alcuni milanesi hanno
costruito delle villette. I Rom sono giunti dapprima in alcune decine, successivamente sono diventati sempre più numerosi, fino a giungere intorno alle mille unità. I primi gruppi provenivano dall'aera balcanica, (soprattutto Bosnia e Macedonia), successivamente sono arrivati Rom della Romania. Nel tempo sono stati realizzati quattro insediamenti di una certa consistenza. Oggi sono presenti in xxx Xxxxxxxxxx 00 famiglie, 425 persone in tutto, con 176 minori. La città di Milano ha iniziato tardi a preoccuparsi di questa difficile realtà. Si è trovata in affanno nel tentativo di dare una sistemazione agli abitanti del campo, così come rispetto allo sforzo di rendere più ordinato e vivibile l‟insediamento. Tra gennaio e giugno 2007 sono giunti i container. Oggi nel campo l'acqua corrente è assicurata, così come i servizi igienici. Gli allacci elettrici sono in massima parte regolari e solo in parte di fortuna: in un settore del campo (ma solo in quello) l‟Enel chiede il pagamento della bolletta. L‟accelerazione nello sgombro del campo è data dal fatto che una delle strade che porterà all‟Expo di Milano 2015 passerà per di qua. Dal mese di settembre 2009 si è cercato di stringere con gli abitanti degli insediamenti un Patto di legalità, impostando su questa base soluzioni articolate, come ad esempio le borse lavoro (un meccanismo in virtù del quale viene assicurato un lavoro nei luoghi di origine, spesato nei primi tempi dall'Italia), o l'assegnazione di alloggi popolari. Alcuni tra gli abitanti di via Triboniano hanno preso una casa in affitto, alcuni sono riusciti ad acquistarne una; altri hanno fatto ritorno in Romania. Quando la questione di via Xxxxxxxxxx appariva ormai sostanzialmente risolta, in particolare attraverso l‟assegnazione di alcuni appartamenti Aler (Azienda lombarda edilizia residenziale): tutto si è temporaneamente fermato in ragione della imminenza, nel 2011, delle elezioni comunali, e delle esigenze di comunicazione politica, finché il 19 dicembre il tribunale di Milano ha accolto il ricorso presentato da dieci Rom del campo di via Triboniano contro il sindaco di Milano Xxxxxxx Xxxxxxx in merito alla mancata assegnazione delle case popolari. Quanto ai problemi della scolarità dei minori del campo, il Comune è in possesso dei seguenti dati: il totale dei minori iscritti nelle scuole è 88. Tra questi la frequenza della scuola primaria è così ripartita: in 8 frequentano meno del 50%; in 51 tra il 50% e l'80%; in 29 oltre l'80%. La frequenza della scuola secondaria risponde alla seguente statistica: : in 8 frequentano meno del
50%; in 30 tra il 50% e l'80%; in 2 oltre l'80%. L'assistenza medica è assicurata dalle Asl di zona. Il tentativo di realizzare un presidio medico fisso, con medici volontari, non è riuscito, perché gli abitanti del campo hanno fatto registrare la tendenza a non recarvisi (prevalentemente per diffidenza e paura di controlli sulla regolarità del loro soggiorno). Viene segnalata su questo una mentalità legata non alla prevenzione ma alla cura: solo in presenza di xxxxxxx si chiede l'intervento del medico.
Torino. Nel pomeriggio del 12 novembre la visita ha avuto luogo a Torino. La commissione ha visitato dapprima l'insediamento abusivo realizzato lungo il fiume Stura. Si tratta di una baraccopoli che si estende per un paio di chilometri, invisibile dalla strada (il Lungostura Lazio). Si tratta di quattro insediamenti successivi realizzati in condizioni di estrema precarietà, dal primo, detto "la Fossa", all'ultimo. La comunità Rom, prevalentemente di rumeni e di kalderasa, vi si è insediata circa quattro - cinque anni fa e comprende 520 persone (ma una stima precisa è impossibile, considerata la velocità di sostituzione dei singoli nuclei). I minori sono circa 80. Le abitazioni sono state realizzate con materiali di fortuna (assi di legno, porte rimediate, pannelli in plastica), prive di acqua, corrente elettrica, riscaldamento. Sulle baracche le associazioni e le autorità hanno apposto un numero identificativo, in base al quale tenere il conto delle strutture realizzate. L'approvvigionamento di acqua deve aver luogo prelevando quanto è necessario da una fonte pubblica che si trova a circa un chilometro di distanza. La luce è assicurata dalle candele e da pochi generatori che funzionano solo per poche ore. Le strutture sono riscaldate da stufe a legna nelle quali vengono bruciati materiali di ogni tipo, spesso tossici. I servizi igienici vengono assicurati da baracchini realizzati su piccole buche. Nel tempo l'area intorno al campo si è trasformata in una gigantesca discarica a cielo aperto: solo in parte si tratta di rifiuti provenienti dagli stessi insediamenti; molti residenti hanno da tempo preso l'abitudine di scaricare lì i rifiuti. Grazie all'attività delle associazioni, in particolare Terra del Fuoco, tra settembre e dicembre 2010, i rifiuti sono stati ripuliti. Tuttavia la situazione è ancora gravissima: tra i rifiuti, specie nelle immediate prossimità del fiume, si vedono i topi. L'assistenza medica è assicurata da volontari della Croce Verde che settimanalmente si recano al
campo e prestano le cure necessarie in base alle segnalazioni ricevute sul posto. Le associazioni cercano di assicurare la frequenza scolastica dei bambini e tuttavia segnalano anche le difficoltà connesse alla impossibilità di garantire ai piccoli l'igiene personale quotidiana. Per sopravvivere i Rom ricorrono all'accattonaggio, riciclano il rame, il ferro, vendono mobili restaurati. Qualcuno ricorre ad attività illegali: nel corso dell'ultimo anno vengono segnalati venti tra fermi e arresti. La sistemazione precaria ha comunque un valore. Viene riferito che una baracca è valutata 200 euro, una roulotte dismessa 300.
Ci si sposta successivamente ai campi di via Germagnano, sulla strada per l'aeroporto di Torino-Caselle. Vi si trovano due tipi di insediamento, uno regolare ed uno, proprio di fronte, irregolare. Nel 2004 il campo attrezzato dell'Arrivore è stato spostato a via Germagnano. Il campo ospita oggi quasi esclusivamente Rom Korahkané slavi, provenienti prevalentemente da Bosnia e Croazia. Si tratta di una comunità formata da circa 220-250 persone, sistemate in strutture in muratura, dotate di acqua corrente, allacci alla rete elettrica, servizi igienici. In un edificio comune è stato realizzato un asilo per i bambini più piccoli, gestito da volontari. La frequenza scolastica dei bambini in età scolare viene gestita attraverso un servizio regolare di pullman. Anche in questo caso l'attività che viene svolta principalmente per acquisire le risorse necessarie alla sopravvivenza consiste nel riciclaggio del ferro, accatastato qua e la nel campo, o caricato sulle motorette.
Sempre su via Germagnano, proprio dall'altro lato della strada hanno preso vita insediamenti abusivi di Rom nella cornice tristemente consueta di baracche prive di tutto. L'acqua viene portata con taniche e altri recipienti, dopo un lungo cammino. Qui vivono circa 300 persone e vicino ai baracchini costruiti sulle buche di cui ci si serve per le necessità fisiologiche, sono ben visibili i topi. Anche qui, nei pressi di un viadotto della tangenziale, si estende una discarica abusiva piena di topi; le baracche vengono riscaldate attraverso stufe in cui si brucia di tutto, comprese plastiche e altri materiali, i cui miasmi risultano irrespirabili.
3.2.3 Focus. L'esperienza di Roma: positività e criticità
Il Piano nomadi lanciato dal Comune di Roma il 31 luglio 200915 si pone come obiettivo la realizzazione di tredici villaggi autorizzati, per un totale di circa
6.000 nomadi sul territorio romano, a fronte dei quasi 7.200 attuali. In particolare è prevista la chiusura degli 80 campi abusivi e dei nove tollerati, la ristrutturazione dei villaggi autorizzati e la realizzazione di nuovi insediamenti.
Roma dovrebbe avere in futuro 13 campi autorizzati con all'interno "presìdi di vigilanza e socio-educativi". In base al piano, Rom e Sinti aventi diritto dovrebbero essere in parte ricollocati in alcuni dei campi ristrutturati e ampliati e nelle nuove strutture. Ciò dovrebbe avvenire in seguito al censimento operato dalle forze dell'ordine e agli eventuali nuovi arrivi, in base ai posti disponibili.
In parallelo ai lavori negli insediamenti il piano prevede un censimento nei campi abusivi e in quelli cosiddetti "tollerati". Ai campi autorizzati dovrebbero poter accedere i Rom e Sinti in possesso del DAST (Documento di Autorizzazione allo Stazionamento Temporaneo), il documento che attesta il diritto a sostare grazie al possesso dei requisiti - in particolare per gli extracomunitari il possesso del permesso di soggiorno e del passaporto (o documento equipollente). Grazie al DAST dovrebbe poter restare nel campo indicato per un massimo di quattro anni.
Per avere il DAST, Rom e Sinti dovranno sottoscrivere un atto d'impegno con il Comune. Questi gli obblighi previsti: fare la piccola manutenzione della piazzola assegnata; rispettare e mantenere efficienti le strutture comuni; pagare le utenze per i consumi familiari, il canone mensile per l'uso della piazzola e dei servizi del campo nonché la tassa dei rifiuti. Infine mandare a scuola i ragazzi: i minori in età scolare alle scuole dell'obbligo, gli altri (non più soggetti all'obbligo scolastico) alle scuole superiori, ai corsi professionali o a svolgere un'occupazione.
Nel corso dell'audizione in Commissione (23 febbraio 2010) Xxxxxxxx Xxxxxxxx, prefetto di Roma e commissario delegato per l'emergenza nomadi nella Regione Lazio, ha affermato: «Gli obiettivi che intendiamo perseguire e realizzare
15 xxxx://xxx.xxxxxx.xxxx.xx/xxx/xxxxxxxxxx/XxxxxxxXxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxx/X000000000/xxxxx %20 nomadi%20schede.pdf
sono rappresentati innanzitutto dalla sicurezza e, quindi, dall‟integrazione. Quando parlo di sicurezza mi riferisco sia alla posizione amministrativa sia all‟esigenza di accogliere i Rom in un campo vigilato 24 ore su 24 a cura del Comune di Roma, che può allo scopo eventualmente avvalersi di istituti di vigilanza. L‟integrazione deve avvenire ovviamente in più fasi, a partire in primo luogo dalla scolarizzazione dei bambini e quindi investendo sui minori e sui giovani, attraverso un‟attività di formazione per i giovani e per gli adulti finalizzata a favorire l‟occupazione sia di questi soggetti, sia di chi sta cercando lavoro e ha già una formazione o, infine, di chi già lavora. [...] L‟integrazione ovviamente deve essere collegata anche ad un‟attività sanitaria, tant‟è che negli stessi campi che intendiamo realizzare o quelli che abbiamo provveduto ad ampliare abbiamo previsto un presidio sanitario con il compito di provvedere alla vaccinazione dei bambini e ad interventi immediati di soccorso nei confronti degli occupanti del campo. [...] L‟auspicio è comunque che in futuro i campi vengano eliminati, magari non quelli di sosta, perché ovviamente ci sarà sempre qualcuno che avrà questo tipo di esigenza. Non bisogna prendere in considerazione solo la stanzialità, tenuto conto che si tratta di nomadi e quindi vi è l‟eventualità che vogliano spostarsi».
Amnesty International, nell'audizione dell'11 marzo 2010, durante la quale ha presentato il rapporto «La risposta sbagliata», sul Piano nomadi di Roma, sottolinea alcuni aspetti positivi del piano stesso, in particolare per quello che riguarda le condizioni abitative: «Per alcune persone che non hanno accesso all‟acqua corrente o all‟elettricità e che vivono in pessime condizioni sanitarie il trasferimento in un campo dove questi servizi esistono costituisce senz‟altro un miglioramento»; e sulla possibilità di ottenere il permesso di soggiorno: «Ovviamente il permesso di soggiorno in Italia è essenziale per gli stranieri sotto molti aspetti, il fatto è che per ottenere il permesso di soggiorno bisogna avere un lavoro e un indirizzo, laddove molti Rom vivono in campi abusivi o simili e quindi non sono in grado ovviamente di dare un recapito. Nello specifico del Piano nomadi accadrà quindi che tutti i nomadi che saranno inviati nei 13 campi avranno un proprio indirizzo, il che certamente faciliterà l‟accesso al permesso di soggiorno».
Amnesty International sottolinea non poche criticità: «Il Piano prevede il
trasferimento di circa 6.000 Rom alloggiati in diversi insediamenti tra autorizzati e tollerati in appena 13 campi situati nella periferia di Roma. Secondo l‟ultimo censimento del Comune i Rom sarebbero oltre 7.200, il che significa che il Piano è destinato a lasciare senza alloggio oltre 1.000 Rom. L‟interrogativo che pertanto al riguardo si pone è chi avrà diritto ad un posto in uno di questi 13 campi e di conseguenza anche quale sia il criterio che stabilisce il possesso o meno di tale diritto. Amnesty International naturalmente ritiene che il diritto ad un alloggio adeguato debba essere comunque garantito, a prescindere dalle circostanze, da qui le nostre principali preoccupazioni rispetto al Piano nomadi». Altro aspetto critico è quello relativo al modo in cui vengono smantellati i campi abusivi: « Nel merito ci risulta, infatti, che dalla sua applicazione centinaia di Rom siano rimasti senza alloggio; molti di essi hanno quindi subito la violazione di alcuni diritti umani, in particolare del diritto a fruire di un alloggio adeguato. [...] Abbiamo contattato i rappresentanti di alcune comunità Rom, in particolare degli insediamenti di Centocelle e Casilino 700, che sono stati oggetto di sgombero senza però alcun preavviso, anzi è risultato che le persone in essi alloggiate non erano neanche al corrente dell‟esistenza del Piano nomadi e in effetti il sindaco di Roma recentemente ci ha confermato come lo sgombero del campo di Casilino 700 non fosse previsto nel suddetto Piano». Un altra debolezza del Piano, secondo Amnesty, è la mancanza di soluzioni che puntino al superamento dell'idea dei campi: «Il Piano nomadi non prevede alcuna misura volta a facilitare l‟accesso dei Rom ad un alloggio convenzionale, anzi, non ne contempla nemmeno la possibilità. Esiste quindi una
«emergenza nomadi» ed un Piano nomadi, ma nessun regolamento vero e proprio che disciplini la situazione di queste persone».
Forti perplessità sono state sollevate da Xxxxx Xxxxxx, presidente dell'Associazione Unirsi: «Come sono stati fatti questi campi? È stato detto tante volte che sono campi regolarizzati ed attrezzati, ma questi campi non sono affatto attrezzati. Noi che conosciamo bene queste realtà possiamo dire che sono "mezzi- attrezzati". Campi come quelli non dovrebbero esistere. Abbiamo dato tantissimi progetti al Comune per cercare di migliorare la situazione ma finché questi campi ospiteranno fino a 2.000 persone e oltre non si potrà mai risolvere il problema».
In definitiva, sostiene Amnesty International, «Il "Piano nomadi" è concepito in modo inadeguato. Non risolverà i problemi sociali da cui ha preso le mosse né assicurerà il godimento del diritto all'alloggio alla maggior parte degli interessati».
3.2.4 Oltre i campi: buone pratiche nel settore abitativo
L'esperienza del Piano nomadi di Roma mette in luce tutta una serie di criticità che suggeriscono come, per risolvere la questione Rom in modo efficace sia sotto il profilo della sicurezza sia dell'integrazione, sia utile provare ad esplorare nuove strade e nuove soluzioni che vadano al di là della cosiddetta "campizzazione".
Alcuni esempi di alternative che hanno avuto esito abbastanza positivo, sono stati forniti dall'Anci.
«Rispetto al tema del superamento dei "macro-campi" interessante appare l'approccio scelto dal Comune di Modena. Sul territorio di Modena il percorso di creazione delle microaree inizia nel 1996, e si conclude nel 2007 con la definitiva chiusura del campo nomadi di strada Baccelliera 25 e l'insediamento di 75 nuclei in 13 nuove aree famigliari. La metodologia scelta è stata il rispetto dell'organizzazione della famiglia allargata tipica di queste comunità. [...] Si è proceduto ad assegnare uno spazio definito ad ogni famiglia allargata, conferendo precise responsabilità di mantenimento e gestione delle aree assegnate. [...] Si è così attivato un processo di conoscenza reciproca in grado di accorciare le distanze, permettendo un "riconoscimento reciproco di attori dello stesso territorio"».
«Il Comune di Padova, grazie a un finanziamento ministeriale, ha promosso, attraverso il metodo dell'autocostruzione, la realizzazione di 11 appartamenti in cui risiedono 32 persone che vivevano nel campo nomadi. Nella realizzazione degli appartamenti sono stati coinvolti 8 Sinti che hanno seguito un percorso di formazione. I nuclei famigliari residenti hanno sottoscritto un regolare contratto di affitto Ater, con un canone calcolato in base al reddito».
Un progetto simile si è avuto a Settimo Torinese, in provincia di Torino, come ricorda Xxxxxxxx Xxxxxxx, già citata più avanti (2.4): «Autocostruzione e autorecupero, come nel caso del Progetto Dado di Settimo Torinese, dove nel 2007
Rom romeni assieme ad altri cittadini stranieri hanno contribuito alla costruzione della comunità dove ora abitano, e dove possono risiedere per tre anni in vista di un alloggio definitivo. È una comunità perfettamente integrata nel tessuto sociale locale e gestita da un‟associazione locale (l'Associazione Terra Del Fuoco, Ndr)».
Sempre l'Anci presenta il caso di Bologna: «A Bologna, nel corso del 2007, il Servizio di Integrazione culturale del Comune ha completato i percorsi di accompagnamento all'integrazione sociale dei nuclei famigliari di Rom romeni ospitati fino ad allora in strutture di emergenza. [...] Il Servizio ha condotto il percorso di integrazione sociale attraverso il reperimento di risorse abitative, la progettazione e l'affidamento in gestione del servizio di accompagnamento all'inserimento abitativo. Il percorso si è concluso con l'inserimento in appartamento di un numero complessivo di 44 famiglie, per un totale di 198 persone».
Xxxxxxxx Xxxxxxx osserva ancora: «È evidente però che non solo le diverse esigenze delle comunità chiedono risposte diverse, ma anche che contesti diversi (città grandi rispetto a medie o piccole), atteggiamenti dei residenti limitrofi ed altro contano nel condizionare le soluzioni. Contemperare esigenze talora confliggenti, non è un‟operazione politicamente facile, ma imboccare, da una parte, frettolose scorciatoie o, dall‟altra, retoriche di rifiuto a priori di qualunque soluzione appena sub ottimale non aiuta. Certo le soluzioni dovrebbero tener conto della necessità prioritaria che bambini e ragazzi possano frequentare la scuola».
Per affrontare il problema dell'abitazione, tenendo conto delle diverse esigenze delle popolazioni Rom e Sinti e dei differenti contesti sociali e urbani, esiste una gamma di strumenti e di possibilità abitative-insediative:
− abitazioni ordinarie, di produzione pubblica;
− abitazioni ordinarie, di produzione privata di cui sostenere l'acquisto, ad esempio con strumenti di accesso al mutuo;
− abitazioni ordinarie, di produzione privata da affittare sul mercato privato, eventualmente con sostegni pubblici;
− autocostruzioni, accompagnate e sostenute dal movimento cooperativo, con progetti di inserimento sociale;
− affitto di cascine in disuso di proprietà pubblica;
− aree di sosta per i gruppi che hanno uno stile di vita itinerante;
− regolarizzazione della presenza di roulotte in aree agricole di proprietà di famiglie Rom e Sinte;
− in xxx xxxxxxxxxxx, xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxx00.
3.3 Minori, scuola, istruzione, formazione professionale
Anche per quanto riguarda il livello di scolarizzazione di Rom, Sinti e Caminanti i dati, per quanto sempre difficili da verificare, forniscono un quadro di forte ritardo e di grande penalizzazione. Secondo Opera Nomadi, sarebbero almeno 20 mila i Rom sotto i dodici anni, in grandissima parte romeni e jugoslavi, che evadono l'obbligo scolastico in Italia e si stima che «i restanti coetanei Rom e Sinti siano in un generalizzato ritardo didattico di non meno di tre anni».
Il già citato censimento della Croce Rossa nei campi Rom di Roma, sui 4.927 censiti, nel 41,42% dei casi non ha rilevato alcun livello di istruzione, anche se probabilmente questo dato non coincide con il tasso reale di analfabetismo; l'8,44% ha completato il ciclo di studi elementari e il 13,29% ha conseguito la licenza media. Soltato l'1,10% ha ottenuto un diploma quinquennale di scuola superiore e solo lo 0,26% è giunto alla laurea quinquennale.
Le radici di questa scarsa scolarizzazione, scrive il Ministero dell'interno nel già citato rapporto, andrebbero ricercate non tanto nel nomadismo, quanto nelle
«difficili condizioni economiche nonché in una certa diffidenza verso la scuola, vista come espressione di una società che si è mostrata ostile e che per la sua azione assimilatrice è vista come pericolosa per la propria identità». Nelle comunità zingare che vivono in buone condizioni economiche «i giovani cominciano a frequentare le scuole superiori e qualcuno anche l'università, fatto questo ormai non eccezionale in altri paesi europei».
Per quanto riguarda poi le difficoltà di inserimento e di apprendimento
16 Xxxxxx Rom, 2010, p. 11
scolastico Opera Nomadi, nel convegno nazionale del 3 e 4 dicembre 2009, ha provato ad individuare alcune cause: l'appartenenza a una cultura prevalentemente orale, il fatto che all‟interno di molti gruppi familiari i minori parlino il romanès e che l‟italiano sia la seconda quando non la terza lingua, la mancanza di un percorso pre-scolastico che favorisca la socializzazione con l'ambiente formativo, il forte analfabetismo ancora diffuso in alcuni gruppi di Rom e Sinti, la mancanza in molti casi di una politica di accoglienza da parte delle scuole.
Secondo la Comunità di Sant'Xxxxxx «La legislazione italiana relativa all‟accoglienza di minori Rom e sinti è piuttosto avanzata nel panorama europeo (che non di rado vede la presenza di “classi speciali” o l‟automatica equiparazione dei minori Rom con i bambini disabili). [...] Che l‟evasione esista è fuor di dubbio, e in alcuni casi sarebbe talmente semplice “scovarla” ed evitarla, che è evidente una mancanza di volontà in questa direzione. Un esempio su tutti: nelle grandi città nei “campi” autorizzati esistono censimenti piuttosto precisi delle persone – e quindi dei minori – presenti; ma questi dati non sono mai “incrociati” con quelli delle iscrizioni o della frequenza scolastica. Così possono esserci “evasori” totali in strutture “pubbliche”. Ancora più grave è il problema legato agli abitanti dei “non luoghi”: quasi sempre si tratta di minori Rom romeni o di “slavi” che per vari motivi non rientrano nei “campi” autorizzati e vivono in piccole baracche sparse sul territorio o in camper. Spesso le amministrazioni hanno osteggiato il loro inserimento scolastico motivando questa scelta con il fatto che le famiglie “non dovevano fermarsi, e l‟inserimento scolastico avrebbe costituito una scusa per farlo”. Considerazione che viola le leggi italiane sui minori e che si è comunque dimostrata miope: le famiglie sono rimaste sul territorio e i minori non sono stati scolarizzati. A ciò si aggiunge una “normale” indifferenza istituzionale verso le situazioni di maggiore marginalità sociale: chi comunica alle famiglie arrivate che i minori devono andare a scuola? Generalmente nessuno, e sebbene la legge non ammetta ignoranza a fare le spese di questa indifferenza sono sempre i minori.
Esiste peraltro un protocollo d‟intesa “per la tutela dei minori zingari, nomadi e viaggianti tra Ministero Istruzione, Università, Ricerca Direzione Generale per lo Studente e Opera Nomadi”, stipulato nel 2005, con validità di tre anni,
rinnovato nel 2009, che non ha dato grandi risultati, a detta dell‟organizzazione, per mancanza di finanziamenti. Ma diversi enti locali, in convenzione con associazioni e cooperative, hanno da anni avviato progetti di scolarizzazione che hanno contribuito all‟inserimento scolastico di migliaia di bambini Rom nati e cresciuti in Italia non ancora scolarizzati. Li dove è accaduto, l‟aver attrezzato adeguatamente delle aree abitative fornite di rete idrica ed elettrica ha favorito l‟inserimento e la frequenza scolastica. D‟altra parte, la creazione di inserimenti molto grandi e densamente abitati e spesso concentrati nelle medesime aree della periferia (fenomeno presente nei grandi centri urbani) non ha favorito l‟inserimento scolastico: gravitando in molti sulla stessa area geografica le scuole non “riescono” ad accogliere tutti. Si verifica una comprensibile parcellizzazione delle iscrizioni – per evitare grandi concentrazioni in una classe –; si adotta una sorta di numero “chiuso”, con conseguente “sparpagliamento” dei vari minori in più plessi scolastici. Questo fa si che quando l‟accompagnatore è unico (ad esempio l‟ente che gestisce per conto dell‟amministrazione) l‟arrivo nelle scuole dei bambini provenienti dal medesimo insediamento avvenga in tempi diversi: se il primo entrerà puntuale alle 8,30, l‟ultimo non sarà in classe prima delle 9,30, e lo stesso avverrà al momento dell‟uscita.
Si è poi spesso proposto un processo di intervento che ha nei fatti totalmente deresponsabilizzato i genitori dinanzi all‟istituzione scolastica, ma anche in relazione ai propri figli: è sempre qualcun altro ad esercitare compiti e funzioni spettanti ai genitori, lo iscrive a scuola, lo accompagna, parla con gli insegnanti, ritira la scheda di valutazione, si confronta coi genitori degli altri bambini, ecc.
Tutto ciò ha portato, in taluni casi, ad una pericolosa situazione di “separazione” nella testa e nella vita di alcuni bambini Rom e Sinti, che spesso vedono l‟istituzione scolastica come qualcosa di lontano ed estraneo al loro mondo. L‟insuccesso peggiora questa situazione, alcune volte in maniera irreparabile. Bisognerebbe sempre più coinvolgere gli adulti Rom e Sinti nel percorso scolastico dei propri figli: solo così si può evitare ai piccoli l‟umiliazione di presentarsi “orfani” al mondo della scuola, e ai genitori Rom e Sinti di vivere una “genitorialità limitata” e continuare a guardare con diffidenza al medesimo mondo. Anche la formazione e la
presenza di mediatori culturali Rom e Sinti contribuirebbe a superare il gap tra famiglia e scuola.
Un altro punto dolens è rappresentato dalla proposta educativa e dai risultati. Talvolta ci si accontenta del fatto che i bambini Rom e Sinti frequentino le scuole e lo facciano senza disturbare: come se questo fosse l‟unico obiettivo. Spesso problemi oggettivi - come quello della scarsa igiene personale di alcuni bambini, o della mancanza di materiale didattico – sembrano inficiare a priori la possibilità di un positivo inserimento e di buoni risultati didattici. Accade così che bambini nati in Italia, che frequentano la scuola dalla prima elementare, finiscano il primo ciclo senza una corretto apprendimento della lettura e scrittura. E non è raro riscontrare casi in cui i minori Rom e Sinti sono tenuti in classe a “disegnare”, mentre il gruppo classe fa altro. Anche in questo bisognerà con più risolutezza compiere il passo dall‟accoglienza della diversità, alla parità di trattamento. Il sottolineare le criticità non deve far scomparire tanti esempi di buon inserimento e successo che esistono: insegnanti encomiabili, scuole aperte a molte iniziative, genitori presenti e partecipi. Ma un grande numero di bambini – soprattutto tra chi proviene dai campi – ancora deve quotidianamente fare i conti con quanto esposto»17.
La Comunità di Sant'Xxxxxx avanza una proposta: «Proprio per dare un segnale nel campo della scolarizzazione e mettendo a frutto 30 anni di presenza accanto a Rom e Sinti, nel 2008 la Comunità di Sant‟Xxxxxx ha fatto nascere il programma “Diritto alla Scuola, Diritto al Futuro”, pensato per ottenere quello che al livello europeo si definisce scolarizzazione di qualità: una frequenza assidua, un apprendimento come gli altri minori, buoni risultati. Il programma, implementato e realizzato in collaborazione con le scuole del territorio e le associazioni che in questi anni si sono occupate della scolarizzazione, nel suo primo anno di attuazione ha dato risultati eccezionali, facendo si che il programma divenisse una best practice al livello europeo .Il programma ha come obiettivi la prevenzione e il contrasto dell‟evasione scolastica e la promozione di una piena partecipazione degli alunni Rom alla vita della scuola; aumentare la percentuale di successo nel completamento
17 Documento inviato alla Commissione dalla Comunità di Sant'Xxxxxx, pagg. 9-10.
dei differenti percorsi scolastici, educando le famiglie alla piena comprensione del ruolo della scuola nella crescita dei minori. I primi due anni di implementazione del progetto hanno portato la frequenza dei borsisti dal 52% all‟82%.
Prevede dei criteri cardine:
Concessione Borse di studio per alunni Rom e Sinti meritevoli concesse direttamente alle famiglie Rom; interventi di coinvolgimento dei genitori e delle famiglie rudare e delle famiglie del territorio; interventi di sensibilizzazione finalizzati al contrasto dell‟antigitanismo; attività extracurricolari a cui partecipano minori Rom aperte a tutti i minori della scuola; docenza aggiuntiva in orario extrascolastico; utilizzo di un mediatore culturale Rom con funzione di raccordo con le scuole e le istituzioni del territorio; coinvolgimento dei genitori dei minori coinvolti dal progetto. Il Progetto ha peraltro anche un forte radicamento civico, rifacendosi all‟art. 34 della Costituzione, “La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore,(…) è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze(…). Articolo costituzionale nato in un contesto umano e sociale della società italiana non molto dissimile da quello che oggi vivono i Rom. Un esempio innovativo che potrebbe facilmente estendersi18».
Risultati raggiunti
I grafici di seguito riportati sono relativi alla frequenza scolastica dei bambini Rom ed evidenziano gli ottimi risultati conseguiti dal progetto negli ultimi due anni scolastici.
Il grafico primo si riferisce esclusivamente alla totalità degli alunni delle scuole Xxxxx Xxxxx e Xxxxxxxx XXXXX. Il mese di febbraio 2009 è stato evidenziato in rosso perché è il mese in cui sono stati sottoscritti i primi contratti di borsa di studio. La minore frequenza scolastica nei mesi invernali, in particolare dicembre e gennaio, è dovuta principalmente all‟influenza stagionale.
18 Documento inviato alla Commissione dalla Comunità di Sant'Xxxxxx, pagg. 11.
Il grafico che segue mostra l‟aumento della frequenza scolastica degli alunni Rom delle scuole Xxxxx Xxxxx e Xxxxxxxx XXXXX da gennaio 2009 a gennaio 2010. La firma dei primi contratti e l‟erogazione delle prime borse di studio hanno contribuito notevolmente all‟aumento della frequenza scolastica degli alunni Rom.
Le borse di studio erogate inizialmente solo ad alcuni alunni Rom e le attività di laboratorio aperte a tutti i bambini hanno avuto un effetto moltiplicatore che ha profondamente trasformato la frequenza scolastica non solo dei bambini beneficiari della borsa di studio, ma dell‟intera popolazione Rom della scuola come evidenziato nel grafico successivo che mostra il progressivo aumento della frequenza scolastica di tutta la popolazione Rom a partire proprio da febbraio 2009.
Così come per il problema dell‟abitazione anche per quanto riguarda l‟adempimento dell‟obbligo scolastico la partecipazione appare una risorsa essenziale. Osserva ancora Xxxxxxx: «Le famiglie Rom sono talvolta restie a mandare i figli a scuola, sia perché considerano inutile un‟istruzione che poi non produce né occupazione né reddito, sia perché temono sia portatrice di valori antitetici destabilizzanti della loro autorità. Le famiglie italiane a loro volta resistono alla presenza di Rom, come di altre minoranze, perché temono lo scadimento della didattica. Per questo e altri motivi si rileva una maggiore propensione dei bambini e ragazzi Rom a frequentare la scuola irregolarmente, a non completare l'istruzione dell'obbligo, a ottenere peggiori risultati. Tra i motivi dei ritardi nel percorso educativo e degli abbandoni, c'è anche la difficoltà a svolgere i compiti a casa per l'assenza di spazi adeguati, per le difficoltà dei genitori, di qui l'utilità di approntare dopo scuola destinati soprattutto a loro. Purtroppo i ragazzi Rom si allontanano dall'istruzione anche perché hanno il timore fondato di essere oggetto di mobbing, e di questo rischio anche i loro genitori sono consapevoli.
L'ostilità nei confronti dei Rom riguarda non singoli comportamenti, ma un'intera comunità, bambini inclusi. Questo induce ad una considerazione di fondo. Per i Rom più che per altre minoranze è cruciale accettare la ricetta del filosofo canadese, Xxxxxxx Xxxxxx. Non si possono privare gli individui di un elemento essenziale per il loro benessere, che consiste nel “riconoscimento” di dignità alla loro comunità di appartenenza. Gli individui che appartengono a quel gruppo sono
constretti in una condizione di terribile inferiorità, se – come osserva la nostra filosofa politica Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx – devono vergognarsi di apparire in pubblico per quello che sono, cioè se il loro aspetto esteriore rivela un'appartenenza comunitaria disprezzata. La ricetta è eticamente ancora più cogente, quando si parla di bambini, ma non si può applicare solo a loro, non si può applicare solo nella scuola, se vogliamo che funzioni. Un conto è disapprovare alcune prassi e reprimere comportamenti delittuosi, un altro conto è manifestare un continuo indistinto disprezzo per la comunità nel suo insieme».
Da un altro punto di vista, che integra e non contraddice queste affermazioni, la Comunità di Sant'Xxxxxx afferma: "D‟altra parte – è l‟altra faccia della medaglia
– con l‟alibi della differenza “culturale”, si transige abbastanza a cuor leggero su alcune realtà largamente diffuse: basti pensare all‟inottemperanza dell‟obbligo scolastico o ai matrimoni degli infradiciotenni. Ma il problema non è il rispetto di presunti dati culturali, bensì far osservare a tutti la legge italiana e le norme che tutelano i minori e inserirli in un sistema di diritti/doveri.
Talvolta sembra che l‟atteggiamento delle istituzioni ondeggi tra il romanticismo e la fuga dalle responsabilità. La sintesi di questi due atteggiamenti è quella di non considerare i minori Rom (nel bene e nel male) uguali agli altri bambini.
Vi sono stati dei comportamenti schizofrenici da parte delle istituzioni su cui occorre riflettere, perché hanno ricadute gravi sui Rom."
3.3.1 L'esperienza delle associazioni nelle scuole di Roma
Nel Comune di Roma da una ventina d'anni è attivo un servizio per la scolarizzazione dei bambini Rom e Sinti che vivono nei campi autorizzati, e che è attualmente gestito dalle associazioni Casa dei diritti sociali, Arci Solidarietà Lazio e Ermes, ascoltate in audizione dalla Commissione il 2 marzo 2010. Spiega Xxxxxx Xxxxxxxxxx, presidente dell'Arci Lazio: «A Roma nei primi anni '90 erano iscritti a scuola e non regolarmente frequentanti solo poche decine di bambini su una
popolazione che già allora si aggirava intorno alle 5-6.000 persone. Oggi, nei cosiddetti campi attrezzati o comunque in quelli nei quali vi è un intervento sociale da parte delle istituzioni e delle associazioni, pressoché tutti i bambini sono iscritti a scuola e la frequenza migliora, ovviamente, nei campi attrezzati, ovvero laddove il nucleo familiare è stato alloggiato in un container con acqua calda e una qualche forma di riscaldamento. La situazione rimane preoccupante per i campi non attrezzati. In tali situazioni la frequenza scolastica, purtroppo, si riduce e in alcuni casi anche notevolmente». Xxxxxxxx Xxxxx Xx Xxxxxx, presidente della cooperativa Ermes: «Attualmente rispetto al risibile numero iniziale di inizio anni Novanta, i ragazzi e i bambini iscritti sono la maggioranza – parliamo di oltre 2.200 alunni nella fascia d‟età scolare – ed è andato sempre crescendo sia il numero dei ragazzi che frequentano le scuole elementari e medie, sia quello di chi frequenta la scuola materna con l‟acquisizione, quindi, di quei prerequisiti che migliorano le condizioni di ingresso nella scuola elementare e dunque favoriscono da parte di questi alunni il conseguimento di risultati analoghi a quelli dei loro coetanei italiani».
L'inserimento è facilitato dalla presenza di mediatori, come racconta Xxxxx Xxxxxxxxx, responsabile dei progetti di scolarizzazione della Casa dei diritti sociali:
«Appare come elemento fondamentale ed irrinunciabile la partecipazione attiva e qualificata delle persone residenti nei campi, come anche l‟associazionismo espresso dai Rom. È importante perché sono essi stessi a mettere in gioco tutte le proprie risorse in un percorso di cittadinanza attiva, emancipazione ed autonomia. [...] Negli ultimi due anni il 45% cento circa degli operatori coinvolti appartiene alle comunità Rom, alcuni dei quali peraltro ricoprono incarichi di responsabilità; essi sono i protagonisti di un percorso di confronto, di assunzione di responsabilità e di partecipazione attiva».
Xxxxxxxx Xxxxx Xx Xxxxxx: «È stato fondamentale il ruolo non soltanto degli operatori e degli educatori italiani, ma anche dei mediatori Rom, che si sono formati via via negli anni e che hanno messo le loro conoscenze a disposizione della comunità e del nostro sistema educativo. Nei primi anni l‟attenzione si è concentrata soprattutto sull‟inserimento scolastico, successivamente si è posto l‟accento anche sugli aspetti di cura del percorso scolastico. Tant‟è che nei primi anni, anche dal
punto di vista delle amministrazioni si è teso ad attribuire una maggiore importanza al trasporto dei minori dai loro insediamenti alle scuole. Successivamente, invece, anche su indicazione congiunta delle scuole e degli enti gestori della scolarizzazione, è stata avviata in collaborazione con gli istituti scolastici più sensibili alla problematica una serie di percorsi di scolarizzazione effettiva, che ha fatto sì che lo sforzo si concentrasse maggiormente sugli aspetti didattici e di valorizzazione del vissuto dei minori all‟interno della scuola e della partecipazione dei genitori. Di conseguenza, negli anni abbiamo assistito ad una presenza crescente di alunni Rom, non soltanto in termini di frequenza, ma anche di qualità. Tant‟è che a partire dal 2002, un numero rilevante di minori ha conseguito la licenza media, un risultato che forse può sembrare banale, ma che negli anni precedenti aveva rappresentato un obiettivo difficilissimo da raggiungere. Nel periodo successivo, infatti, un numero sempre crescente di minori ha cominciato a frequentare le scuole superiori ed i corsi di formazione professionale, fino ad arrivare agli ultimi anni, in cui alcuni di questi hanno conseguito anche titoli di scuola media superiore».
Nonostante quindi importanti miglioramenti nel livello di istruzione dei Rom e dei Sinti, permangono alcuni grossi problemi. Spiega ancora il presidente di Arci Lazio, Xxxxxx Xxxxxxxxxx: «Un esempio valido per tutti è quello del quartiere San Paolo di Roma e nello specifico del campo di Vicolo Savini e della comunità che vi risiedeva che è stata però trasferita a venti chilometri dal centro abitato, praticamente a ridosso della città di Pomezia. Ricordo che i bambini presenti in quel campo venivano accompagnati dalle madri negli asili nido e nelle scuole materne. [...] La nostra associazione seguiva anche alcuni ragazzi che andavano autonomamente sia alle scuole medie che alle superiori. Ebbene, a seguito del suddetto trasferimento i 250 bambini iscritti a scuola sono stati distribuiti in 50 complessi scolastici collocati in quartieri che vanno da Spinaceto a San Paolo, passando per Tor de‟ Cenci, il che significa che ogni giorno cinque pullman, con altrettanti operatori, devono accompagnarli scuola per scuola, affrontando serie difficoltà. [...] Tutto ciò ha determinato un arretramento rispetto ad una soluzione che sembrava positiva ai fini del miglioramento delle condizioni di vita di una comunità insediata in un campo non attrezzato». Un altro aspetto problematico è quello relativo allo status giuridico:
«Una delle difficoltà che si incontrano quando si comincia a registrare un numero consistente e gradualmente crescente di ragazzi che dopo la terza media si iscrivono alle scuole superiori, è il fatto che questi ragazzi molto spesso, a causa dello status giuridico, raggiunta la maggiore età, ritornano ad essere degli "invisibili", anzi, a volte le difficoltà cominciano già a 16 anni, quando magari devono partecipare a stage di inserimento professionale. La mancanza di uno status giuridico in tal caso diventa un handicap terribile ed è doppiamente negativo, sia per la storia del ragazzo sia per quello che potrebbe significare una sua eventuale esperienza positiva per i suoi fratelli, cugini e per tutti coloro che potrebbero considerarlo un modello».
3.3.2 Buone pratiche di inserimento e casi concreti
Secondo l'Anci, «i dati circa l'aumento del tasso di scolarizzazione dei bambini e adolescenti che vivono in situazioni non degradate conferma il legame diretto tra le condizioni di vita e l'integrazione scolastica. Gli interventi più completi sono quelli che riescono ad agire sia nel sostegno alle famiglie affinché comprendano l'importanza della scuola e ne sostengano l'importanza da parte dei figli, sia nel supportare l'istituzione scolastica nell'accogliere, comprendere e adeguare le proprie strategie didattiche alle esigenze e bisogni di questi bambini e bambine».
Il Comune di Milano, nei progetti che ha finanziato volti a favorire il processo di scolarizzazione dei minori Rom e Sinti, ha promosso l'attivazione di un servizio svolto da mediatrici Rom che effettuano il loro lavoro sia all'interno delle classi sia delle comunità. Attraverso l'utilizzo delle mediatrici il Comune di Milano non solo interviene sui minori e sulle famiglie ma favorisce anche il processo di emancipazione delle donne della comunità.
Secondo Xxxxxxxx Xxxxxxx, «un esempio relativo al coinvolgimento degli alunni è il workshop di fotografia organizzato in una scuola media di Torino da un‟associazione locale. Si tratta di un progetto accompagnato dal centro di ricerca FIERI, nell‟ambito di un più vasto programma di importazione e adattamento di
buone pratiche a livello europeo. In questo caso, riprendendo un‟esperienza di Budapest, alcuni alunni Rom hanno documentato la propria scuola attraverso fotografie, con il duplice obiettivo di prevenire la loro elusione scolastica e di migliorare la conoscenza degli alunni Rom da parte degli altri alunni. Per favorire l‟interazione si dovrebbero estendere le pratiche di co-tutoring, cioè di accompagnamento nello svolgimento dei compiti a casa e nel superamento di difficoltà anche psicologiche ad opera di compagni di scuola più grandi e competenti».
Dal convegno nazionale di Opera Nomadi del 2009, emerge invece come a Napoli, dopo cinque di vita del progetto comunale Napoli-Zona Nord gestito da Opera Nomadi di Napoli (oggi ribattezzato “Attività specifiche per minori Rom ed extra-comunitari”), «la percentuale di minori Rom che frequenta le scuole materna ed elementare con una certa regolarità è del 50% circa. La percentuale scende a circa il 20% nella scuola media, per i motivi che ben conosciamo: necessità di contribuire all‟economia familiare, per le femmine al ménage domestico e, in più, precoce avviamento al matrimonio. Il principale ostacolo alla frequenza è rappresentato dalla necessità economica della famiglia, che impiega i bambini per il mangel (termine romanés traducibile con mendicare o piccoli scambi, Ndr)». L'Opera Nomadi oltretutto segnala la mancanza «di mediatori culturali Rom, formati ufficialmente con un corso regionale, che intervengano nei rapporti con le maestre e nella promozione di un clima favorevole all‟apprendimento e vicino al vissuto dei piccoli Rom. I pochi mediatori che in passato si era riusciti a formare con enormi sforzi sono fuggiti nel Nord Italia per problemi con la comunità Rom ortodossa, ma anche per la discontinuità dei pagamenti e la mancata valorizzazione a livello locale del loro importantissimo ruolo interculturale».
3.4 Lavoro
Il lavoro è una questione centrale per valutare il grado di integrazione sociale delle popolazioni Rom all'interno del territorio. Di fatto, non esistono dati attendibili riguardanti il tasso di disoccupazione ma la condizione lavorativa di Rom e Sinti risulta problematica a livello nazionale, a causa delle costanti difficoltà di inserimento, della mancanza di qualificazione professionale, della marginalità sociale nella quale vengono a trovarsi.
Il censimento effettuato dalla Croce Rossa nei campi Rom romani, coinvolgendo 4.927 persone, ha constatato che, rispetto al campione intervistato, nel 72,60% dei casi non è possibile rilevare alcuna occupazione. Sempre rispetto al campione, i lavori più frequenti sono poi il ferraiolo (4,9% dei casi, che sale all'8,37% tra gli uomini), la casalinga (4,04%, ma il 7,99% tra la popolazione femminile), il venditore ambulante (3,51% dei casi, senza particolari differenze di genere), collaboratrice domestica (1,18% dei casi, 2,31% tra le donne) e manovale (1,16%, 2,32% tra gli uomini).
Le attività economiche in cui sono attivi Rom e Sinti sono estremamente diversificate. Esistono alcune attività tradizionali che vengono tuttora esercitate un po' ovunque: il lavoro dei metalli (ad esempio stagnini, calderai, indoratori); il recupero dei materiali diversi e la loro vendita; il commercio dei cavalli; i mestieri dello spettacolo e del circo (come musicisti, giocolieri, acrobati, danzatori); le professioni legate allo spettacolo viaggiante, in particolare i giostrai; la vendita ambulante o nei mercati (frutta, legumi, robivecchi, tappeti, ecc.); la fabbricazione e la vendita di oggetti diversi come ad esempio violini, cinture, tovaglie, pizzi, oggetti in vimini; i lavori agricoli spesso stagionali. Altri mestieri invece sono in gran parte scomparsi: arrotini, ombrellai, fabbricanti di oggetti in ferro battuto e in legno. Sono invece attività in via di sviluppo il commercio di auto usate, il robivecchi, la manovalanza nell'edilizia, la manutenzione di strade.
Tutti questi mestieri sono concepiti come se si trattasse di una vendita, di beni e servizi, a clienti. Ciò che maggiormente caratterizza Rom e Sinti nello svolgimento di queste attività commerciali è la loro grande adattabilità secondo il luogo, il
momento, l'occasione. Nella cultura Rom il lavoro viene tendenzialmente concepito come una necessità per la sopravvivenza e non come un fine, come una dimensione dell'identità.
Ad un esame più attento, mentre la realtà professionale dei Rom provenienti dalla ex Jugoslavia ha come caratteristica una notevole diversificazione, la condizione lavorativa dei circa 70 mila Rom, Sinti e Camminanti cittadini italiani appare più omogenea. Essa può essere messa più facilmente in relazione con le occupazioni tradizionali.
Fino agli anni '60 in Italia circa 30 mila Sinti nel centro-nord erano dediti allo spettacolo viaggiante mentre altrettanti Rom nel centro-sud erano prevalentemente impegnati nell'allevamento e nel commercio degli equini e nella lavorazione dei metalli.
La diffusione della televisione, del cinema, delle discoteche e dei videogiochi, ha tolto allo spettacolo viaggiante il monopolio del divertimento pubblico. Attualmente meno del 50% dei Sinti vive dei "mestieri" tradizionali.
Le attività invernali delle donne Sinte (la vendita porta a porta di fiori di carta, centrini, asciugamani, ecc.) fatica a supplire alla crisi dell'economia portante della famiglia.
In misura sempre maggiore i Sinti da un lato si sono reinseriti nei circuiti produttivi legati all'artigianato dei bonsai artificiali e delle "bottiglie di vetro modellate sul fuoco"; dall'altro hanno cercato di ritagliarsi uno spazio in piccoli esercizi nel settore dell‟alimentazione o della rottamazione. Centinaia di adolescenti restano però esclusi dalle antiche attività lavorative e stentano a trovare un'occupazione.
Anche i Rom del centro-sud vivono sono fortemente in crisi. Soltanto a Isernia e in qualche Comune dell'Abruzzo, della Puglia e della Calabria si possono trovare singole famiglie in grado di sostentarsi attraverso il commercio di equini. Anche l'artigianato del ferro, un tempo rivolto a contadini, pescatori e casalinghe, è quasi scomparso.
Anche nel centro-sud sono centinaia i Rom che praticano la rottamazione, quasi sempre senza licenza o in centri di raccolta non autorizzati; molti lavorano
nell'edilizia come precari; qualche decina è impiegata nelle amministrazioni come operaio e, in qualche isolato caso, in qualità di addetto amministrativo. Pochi sono attivi nella ristorazione; la cooperazione sociale costituisce un'attività recente e, almeno per ora, assistita dai fondi pubblici.
Tra i Rom provenienti dai Balcani i mestieri più diffusi sono i seguenti: la raccolta e la lavorazione del rame; la fabbricazione di oggetti vari (pentole, vasi, anfore, portafiori); il riciclo di oggetti trovati nelle discariche o nei cassonetti, come ad esempio il ferro, l'alluminio, le batterie di vecchie automobili; la raccolta di altri materiali, come ad esempio, i vecchi elettrodomestici o altri oggetti per la casa.
Senza garanzie e con scarse forme di reddito, molti di questi Rom vivono di questua e di espedienti, strutturando una condizione di vita ai margini della legalità e senza garanzie per il futuro.
3.5 Finanziamenti Europei
Le politiche EU in favore delle popolazioni Rom nel tessuto sociale europeo sono supportate da sostanziosi finanziamenti da parte delle istituzioni di Bruxelles. Per incentivare la coesione sociale ed economica tra le differenti regioni europee e tra gli Stati membri, sono stati istituiti i Fondi strutturali e il Fondo di coesione dell'Unione Europea. I Fondi strutturali e il Fondo di coesione costituiscono gli strumenti finanziari della politica regionale dell‟Unione il cui scopo consiste nell‟equiparare i diversi livelli di sviluppo tra le regioni e tra gli Stati membri. Essi contribuiscono pertanto a pieno titolo all‟obiettivo della coesione economica, sociale e territoriale. I Fondi Strutturali si articolano in due voci fondamentali: il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), istituito nel 1975 e utilizzato per la realizzazione di infrastrutture e investimenti produttivi per la creazione di occupazione nelle imprese; e il Fondo sociale europeo (FSE), istituito nel 1958 allo scopo di favorire l‟inserimento professionale dei disoccupati e delle categorie sociali meno favorite finanziando in particolare azioni di formazione. Inoltre dal 1994 l'Unione europea ha istituito il Fondo di Coesione per accelerare i tempi di
convergenza economica, sociale e territoriale, dei paesi membri con un PIL medio pro capite inferiore al 90 % della media comunitaria (quindi rivolto maggiormente ai paesi dell'Est di recente ingresso nell'Unione Europa)19.
Lo stanziamento per queste Fondi rappresenta un elemento chiave della
strategia UE 2020 per la crescita e l'occupazione, la cui finalità è migliorare la vita dei cittadini comunitari offrendo loro nuove competenze e maggiori opportunità di lavoro. Per il periodo 2007-2013, la dotazione finanziaria assegnata alle finalità descritte è pari a circa 348 miliardi di euro, di cui 278 miliardi destinati ai Fondi strutturali e 70 al Fondo di Coesione. Tale importo rappresenta il 35% del bilancio comunitario, ovvero la seconda voce di spesa. Infatti l'attenuazione delle differenze economiche tra i Paesi membri della UE è diventato un obiettivo prioritario in seguito agli ultimi allargamenti dell'Unione del 2004 e del 2007 con il quale la superficie dell‟Unione è aumentata più del 25%, la popolazione più del 20% ma la ricchezza solo del 5%.
Nel quadro della armonizzazione economica delle diverse regioni europee e delle politiche occupazionali, è stato autorevolmente sottolineata l'importanza di utilizzare i Fondi Strutturali e il Fondo di Coesione anche per favorire l'inclusione di quei settori della popolazione europea maggiormente svantaggiati come le popolazioni nomadi. Tale concetto è stato a più riprese ribadito da Xxxxxx Xxxxx, Commissario UE responsabile per l'occupazione, gli affari sociali e l'inclusione. Il 1° dicembre 2010 nel corso dell'audizione alla Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento Europeo, il Commissario Xxxxx ha espressamente sottolineato come i Fondi Strutturali siano un importante strumento finanziario dal quale gli Stati membri devono attingere per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni Rom20. In particolare ha ricordato come circa 10 miliardi di euro, parte del Fondo Sociale Europeo, siano allocati in tutto il territorio dell'Unione per
19 xxxx://xxxxxx.xx/xxxxxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxxxxx_xxxxxxxx_xxxx_xx.xxx
20 Xxxxxx Xxxxx EU Commissioner for Employment, Social Affairs and Inclusion "Remarks on Roma issues" Hearing in the Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs (EP) Brussels, 1 December 2010.
finanziare misure che promuovano specificamente l'inclusione sociale delle fasce della popolazione maggiormente svantaggiate. Il Commissario ha riconosciuto che tali fondi vengono già utilizzati dagli Stati membri per l'inclusione dei Rom, ma non nella loro interezza e comunque non in maniera efficiente. Per ovviare a queste carenze il 7 settembre 2010 la Commissione ha istituito una Task Force per i Rom incaricata di valutare l'uso dei fondi Ue da parte degli Stati membri. La Task Force esaminerà il seguito che gli Stati membri stanno dando alla comunicazione della Commissione del 7 aprile 201021, in cui venivano chiesti programmi concreti per favorire l'integrazione dei Rom, e valuterà l'uso che viene fatto dei finanziamenti Ue indicando come migliorarne l‟efficacia.
L'Italia appartiene ai paesi che utilizzano i Fondi Strutturali per favorire l'inclusione sociale delle popolazioni svantaggiate, tra cui le popolazioni Rom, anche se risulta che i finanziamenti utilizzati in questo settore siano inferiori rispetto alla media europea. Per il periodo quinquennale 2007-2013, l'Italia ha a disposizione 28 miliardi di euro nel complesso dei Fondi europei, di cui quasi 7 miliardi del Fondo Sociale Europeo che, come ha ricordato il Commissario Xxxxxx Xxxxx, ha tra le sue finalità quella dell'inclusione sociale. Analizzando l'utilizzo di tale Fondo nella programmazione effettuata dall'Italia per il quinquennio in corso, si nota che sono stati previsti 600 milioni di euro per l'attuazione di progetti volti all'inclusione sociale22: secondo i dati della Commissione europea, i 600 milioni di euro previsti dall'Italia per l'inclusione sociale sono una cifra notevolmente inferiore rispetto alla media europea.
21 xxxx://xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxXxxxxxxxXxxxxx.xx?xxxxxxxxxxXX/00/000&xxxxxXXXX
22 xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx_xxxxxx/xxx/xxxxxxx/xx_xx.xxx
ITALIA - Fondo Sociale Europeo - Periodo 2007-201323
Asse prioritario | Finanziamento comunitario | Controparte nazionale | Totale finanziamento |
Adattabilità | 1 048 651 706 | 1 362 982 073 | 2 411 633 779 |
Occupabilità | 2 374 855 825 | 2 824 945 992 | 5 199 801 817 |
Inclusione sociale | 597 207 021 | 757 960 349 | 1 355 167 370 |
Capitale umano | 2 321 712 515 | 2 705 914 191 | 5 000 000 000 |
Transnazionalità | 177 934 587 | 232 917 421 | 410 852 008 |
Capacità istituzionale | 180 543 273 | 207 334 640 | 387 877 913 |
Assistenza tecnica | 237 102 969 | 290 920 515 | 528 023 484 |
Totale | 6 938 007 896 | 8 382 975 181 | 15 320 983 077 |
Utilizzo del FSE da parte dell'Italia rispetto alla media degli altri paesi dell'UE
Inclusione sociale: 597.207.021 Euro su un totale di 6.938.007.896 Euro del Fondo Sociale Europeo (pari al 9% del FSE destinato all'Italia; va tenuto conto che la media europea di utilizzo del FSE per l'inclusione sociale è del 14%).
4. I Rom in Europa
Gli studiosi hanno accertato che le popolazioni Rom in Europa discendono da comunità indiane le quali, intorno al XIV° secolo, migrando dall'Asia arrivarono nel territorio che corrisponde oggi all'Unione Europea.
Il progressivo aumento di flussi migratori delle popolazioni Rom in Europa si è avuto dalla fine del sistema bipolare nel 1989, evento che ha dato la possibilità alle popolazioni Rom e nomadi dell'est di spostarsi verso i paesi dell'Europa occidentale. Inoltre negli ultimi anni l'allargamento dell'Unione Europea verso est a paesi che tradizionalmente ospitavano numerose comunità Rom, ha allargato l'area Shengen e rimosso i controlli alle frontiere interne permettendo la libera circolazione dentro il territorio dell'Unione alle numerose comunità Rom.
Nel 2004 è stato formalizzato l'accesso all'Ue di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca e Ungheria, e nel 2007 di Bulgaria e Romania.
Come accennato all'inizio di questa relazione, il Consiglio d'Europa, che dal 1995 ha istituito una Commissione di esperti incaricata di studiare la situazione dei Rom nei Paesi Membri, ha stimato la presenza delle popolazioni Rom in Europa in 11.155.000 persone24. Attualmente, secondo i dati del Consiglio d'Europa, la presenza più numerosa di comunità Rom in Europa è in Romania, con oltre 1 milione e 800 mila xxxxxxx00. È molto numerosa la comunità Rom in Spagna, 800 mila persone, in Ungheria e Bulgaria (in entrambi i Paesi si calcolano tra le 700 mila e le 750 mila presenze). All'interno del proprio territorio nazionale la Francia registra 400 mila persone Rom, mentre Gran Bretagna e Germania rispettivamente
24 La Committee of Experts on Roma and Travellers del Consiglio d'Europa è stata istituita nel settembre del 1995 ed è un organo intergovernativo specificatamente creato per affrontare le tematiche sulle popolazioni Rom. Si riunisce regolarmente due volte l'anno e la sua composizione è mista, con rappresentanti degli Stati membri, delle Organizzazioni Internazionali e della società civile.
25 La Romania ha la comunità Rom più popolosa dell'Unione Europea, mentre tra i Paesi membri del Consiglio d'Europa, la presenza più significativa è in Turchia (candidata ad entrare anche nella UE) con 2 milioni e 750 mila persone.
250 mila e 105 mila26. Secondo i dati raccolti dal Consiglio d'Europa in Italia sarebbero presenti circa 170-180 mila Rom. Si è visto come i dati raccolti da altre organizzazioni così come quelli del Ministero dell'interno siano diversi.
Le comunità Rom in Europa sono quindi presenti in tutti gli Stati membri e in quei paesi che si sono candidati ad entrare nell'Unione. Le principali istituzioni europee rilevano come le loro condizioni socio-economiche siano tendenzialmente peggiori rispetto al resto della popolazione, pur essendo generalmente in possesso della cittadinanza del paese in cui risiedono o comunque della cittadinanza europea. Sono indicativi alcuni dati riguardanti l'aspettativa di vita degli individui appartenenti alle comunità Rom in confronto con il resto della popolazione dell'Unione Europea.
La recente crisi economica ha inasprito i problemi strutturali che impediscono l'inclusione delle comunità Rom, rendendo più difficile il godimento di alcuni diritti cruciali, come ad esempio l'accesso al lavoro e all'istruzione, il diritto ad un alloggio dignitoso, l'accesso ai servizi pubblici, il diritto alla partecipazione politica attiva e passiva. Recenti studi hanno anche dimostrato che l'esclusione delle comunità Rom provoca importanti conseguenze economiche sia dirette, in termini di costi per le finanze pubbliche, sia indirette con la perdita di produttività27.
La discussione a livello europeo sulle problematiche delle popolazioni Rom e
nomadi si è intensificata dal 2008, anno dal quale le istituzioni comunitarie si sono dotate di strumenti più incisivi per l'inclusione delle minoranze in Europa. Dall'estate del 2008 il Consiglio28, il Parlamento Europeo29 e la Commissione hanno
26 Vedi la pubblicazione del Consiglio d'Europa, "Number of Roma and Travellers in Europe, July 2008 Update". Su, xxxx://xxx.xxx.xxx/x/xx0/xxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxx_xx.xxx.
00 Xx. Xxxxxxx x X. Xxxxxxxxxx, Social exclusion of the Roma – an economic loss to the Czech Republic (2009). Il rapporto analizza i costi dell'esclusione delle popolazioni Rom in Repubblica Ceca: 367 milioni di euro in termini di perdita di produttività e 233 milioni di euro in termini di costi fiscali diretti. Inoltre, Europe and Central Asia Human Development Department, The World Bank, Economic costs of Roma exclusion, Aprile 2010. La Banca Mondiale, studiando l'esclusione delle popolazioni Rom in Serbia, Bulgaria, Romania e Cecoslovacchia, afferma che: "The fiscal losses that these four governments incur as a result of Roma exclusion from the labor market amount to nearly 900 million Euros - to as much as 2 billion Euros - every year".
28 Documenti del Consiglio Europeo: 16616/1/07 e 11018/1/08 REV1; Consiglio Affari Generali: 15976/1/08 REV1 e 17217/09, Consiglio EPSCO: 9721/2/09 REV2 e 10394/09.
posto questi temi nella propria agenda definendo in maniera più dettagliata le proprie politiche. Negli ultimi due anni le iniziative per l'inclusione dei Rom sono diventate parte di un più ampio lavoro della Commissione per l'attuazione del principio di uguaglianza in Europa. Tale impegno si è concretizzato in una più stretta cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione.30.
Le popolazioni Rom continuano però ad essere vittime di persistenti
discriminazioni in molti Stati membri dell'Unione. Nel 2009 un elevato numero di casi di violenza a sfondo razzista contro le comunità Rom, sia contro le persone sia contro le loro abitazioni, è stata denunciato dall'Agenzia dell'Unione Europea per Diritti Fondamentali (EU Fundamental Rights Agency - FRA). Nell'aprile 2009 è stata pubblicata dalla FRA un'indagine EU-MIDIS (European Union Minorities and Discrimination Survey) sulle minoranze europee ed è emerso che i Rom subiscono continuamente violazioni dei loro diritti, abusi, molestie e minacce a sfondo razzista. E questo nonostante i nomadi siano un‟esigua minoranza, a fronte di un gran numero di famiglie e individui stanziali anche da molti anni31.
Le difficoltà maggiori si hanno nell'Europa centrale ed orientale, dove il
trattamento riservato ai Rom è peggiorato in particolare negli ultimi venti anni. Nella Repubblica Ceca il tasso stimato di disoccupazione dei Rom è quasi dieci volte superiore alla media nazionale, attestandosi al 70% a fronte dell'8% del resto della popolazione. Inoltre i Rom vengono impiegati come manodopera non specializzata, situazione aggravata dalla loro scarsa istruzione (in Romania il 40% dei Rom risulta analfabeta). Nell'Europa dell'est si sono registrate gravi discriminazioni anche nei confronti dei bambini, i quali spesso sono stati costretti a frequentare "scuole speciali per minorati psichici". La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha più volte giudicato discriminatoria questa pratica molto diffusa nella
29 Risoluzione del Parlamento, P6_TA(2009)0117, "European Parliament resolution of 11 March 2009 on the social situation of the Roma and their improved access to the labour market in the EU".
30 Come l'Equality Summit, vertice organizzato dalla Commissione e dalla Presidenza di turno dell'Unione Europea. L'ultimo incontro si è tenuto a Stoccolma ospitato dalla Presidenza svedese Gli obiettivi di questo vertice sono stati: " The objectives for this annual Summit are to promote equal rights and equal opportunities for all in the European Union, and to share knowledge and experiences in order to develop more effective ways of counteracting all forms of discrimination".
31 EU Fundamental Rights Agency, Data in Focus Report 1: The Roma, aprile 2009.
Repubblica Ceca, in Slovacchia, in Ungheria, in Romania e in Bulgaria. A titolo esemplificativo può essere citata la sentenza di appello della Corte Europea contro la Repubblica Ceca, che ha stabilito la violazione da parte dello Stato dell'Articolo 14 (divieto di discriminazione) congiuntamente all'Articolo 2 del primo Protocollo addizionale (diritto all'educazione) della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo:
"Since it had been established that the relevant Czech legislation at the relevant time had had a disproportionately prejudicial effect on the Roma community, the applicants as members of that community had necessarily suffered the same discriminatory treatment. Consequently, there had been a violation of Article 14 of the Convention, read in conjunction with Article 2 of Protocol No. 132."
E' stata inoltre registrata una diffusa discriminazione anche da parte della
società civile. Sempre nella Repubblica Ceca quasi l'80% della popolazione intervistata ha un'immagine negativa dei Rom. In un villaggio della Slovacchia è stato costruito un muro per separare i Rom dal resto della popolazione e sempre in Slovacchia vi sarebbero stati alcuni casi di sterilizzazione forzata da parte del personale medico durante un ricovero in ospedale33.
4.1 Discriminazione Multipla
Negli ultimi anni molti studiosi, analizzando le situazioni discriminatorie vissute dalle popolazioni Rom in Europa, hanno cominciato a parlare di
32 Sentenza della Grand Chamber "D.H. and Others v. the Czech Republic" del 13 novembre 2007. La Grand Chamber ha recentemente ribadito tale giurisprudenza nella sentenza del 16 marzo 2010 "Xxxxx and Others v. Croatia", che in un caso simile di bambini Rom assegnati a "scuole speciali per minorati", ha stabilito la violazione dell'Articolo 14 letto congiuntamente con l'Articolo 2 del primo Protocollo addizionale della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.
33 Il muro è stato costruito nella località di Vychod nell‟abitato di Michalovce (regione di Kosice) da una sessantina di famiglie che hanno contribuito personalmente alla realizzazione di un muro in cemento - della lunghezza di 25 metri - che separa le loro case da quelle di un insediamento nomade. Riguardo le sterilizzazioni Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si è pronunciata ad aprile, nel caso "K.H. and Others v. Slovak Republic", stabilendo che la Slovacchia aveva violato il diritto alla vita privata e familiare e il diritto di accesso alla giustizia. Il caso riguardava otto donne Rom che avevano sospettato che, dietro alla loro infertilità, vi fosse la sterilizzazione compiuta durante i parti cesarei effettuati in ospedali nella Slovacchia orientale. Vedi il rapporto annuale di Amnesty International sulla Slovacchia, xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/Xxxxxxxx-Xxxxxxx-0000/Xxxxxxxxxx
"discriminazione multipla". Tale concetto è stato ampiamente dibattuto all'interno dei centri di studio europei che analizzano la situazione dei Rom in Europa, come attesta un accurato rapporto pubblicato nell'aprile 2010 dall' European Roma Rights Center - ERRC, Roma Rights 2, 2009 Multiple Discrimination, che raccoglie numerosi contributi sull'argomento34.
L'atto discriminatorio viene definito “multiplo” laddove lo stesso gruppo
sociale sia discriminato per più motivi e rispetto a più caratteristiche. Questa definizione, apparentemente ovvia, nasconde diverse accezioni. In senso proprio, infatti, tutte le forme di discriminazione sono multiple: per esempio, il fatto di essere discriminati per il colore della pelle determina pratiche sociali di discriminazione che investono automaticamente anche altri aspetti: dalle minori possibilità di poter affittare regolarmente un alloggio alla scarsa offerta di lavoro. Tuttavia, parlando di discriminazione multipla si intende più frequentemente un fenomeno associato ad una pluri-appartenenza, ovvero al fatto che lo stesso soggetto viene osservato come appartenente a più gruppi sociali: ad esempio si può essere soggetti a discriminazione in quanto appartenente alla comunità Rom ed insieme al genere femminile. In questo caso, si ha la discriminazione multipla sia per l'origine Rom, sia per il genere di appartenenza. Vi possono poi essere ulteriori problemi per il Rom che sia disabile, omosessuale o anziano. Alcune ricerche hanno dimostrato che il numero delle persone che hanno pregiudizi verso determinati gruppi etnici sono il doppio rispetto a coloro che hanno pregiudizi contro gli omosessuali e quattro volte più numerosi rispetto a coloro che hanno pregiudizi rispetto ai disabili. È in questo campo che si può generare una discriminazione multipla, quando si è soggetti ad un trattamento discriminatorio per un aspetto della propria individualità (l'essere omosessuale o disabile per esempio) in aggiunta all'esclusione sociale che può derivare dall'essere parte della comunità Rom.
La normativa europea non è però così chiara sulla "discriminazione multipla". Le Direttive Europee che regolamentano le discriminazioni di genere, di razza e di orientamento sessuale non impongono agli Stati membri una legislazione
34 European Roma Rights Center, Multiple Discrimination, Roma Rights, numero 2, aprile 2010.
che sanzioni espressamente i casi di discriminazione multipla. Spesso la normativa europea non prende in considerazione il fenomeno se non in maniera molto generica. Un accenno al concetto di discriminazione multipla si trova solo al paragrafo 14 della Direttiva 2000/43/CE del Consiglio dell'UE del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica:
(14). Nell'attuazione del principio della parità di trattamento a prescindere dalla razza e dall'origine etnica la Comunità dovrebbe mirare, conformemente all'articolo 3, paragrafo 2, nel trattato CE, ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità tra uomini e donne, soprattutto in quanto le donne sono spesso vittime di numerose discriminazioni.
4.2 Diritto di soggiorno nell'Unione Europea
L‟Articolo 19 del Trattato sul funzionamento dell‟Unione europea riconosce alla UE la potestà legislativa in ordine al contrasto di qualsiasi forma di discriminazione35. Sulla base di tale Articolo a partire dal 2000 gli Stati membri hanno approvato alcuni strumenti legislativi che garantiscono ai Rom diritti di fondamentale importanza:
• La direttiva sull‟uguaglianza razziale (2000/43/CE), adottata nel 2000, vieta la discriminazione legata a motivi razziali o di origine etnica sul luogo di lavoro e in altri ambiti, quali l‟istruzione, la sicurezza sociale, la sanità e l‟accesso a beni e servizi.
35 Articolo 19 TFUE (ex articolo 13 del TCE): 1. Fatte salve le altre disposizioni dei trattati e nell'ambito delle competenze da essi conferite all'Unione, il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. 2. In deroga al paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare i principi di base delle misure di incentivazione dell'Unione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, destinate ad appoggiare le azioni degli Stati membri volte a contribuire alla realizzazione degli obiettivi di cui al paragrafo 1.
• La decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia (2008/913/GAI), approvata nel 2008, fornisce le linee guida per le disposizioni legislative e regolamentari che gli Stati membri devono applicare allo scopo di evitare reati di stampo razzista e xenofobo.
• La direttiva sul diritto di spostarsi e soggiornare liberamente entro il territorio dell‟UE (2004/38/CE), adottata nel 2004, garantisce il diritto di libera circolazione all‟interno dell‟UE a tutti i cittadini, a condizione che questi lavorino o siano in cerca di occupazione.
Merita di essere presa in particolare considerazione la direttiva sul diritto di soggiorno all'interno del territorio dell'Unione, che è stata oggetto di analisi da parte dell'Agenzia dell'Unione Europea per i Diritti Fondamentali - FRA, attraverso un rapporto pubblicato nel novembre 2009, The situation of Roma EU citizens moving to and settling in other EU Member States.
Attraverso lo studio delle legislazioni nazionali europee ed eseguendo numerose interviste all'interno dei campi nomadi in Europa, la FRA ha analizzato la situazione nel nostro continente giungendo a denunciare il mancato rispetto nei confronti dei Rom, possessori di cittadinanza europea, del diritto di circolare e soggiornare all'interno del territorio dell'Unione36. La relazione pubblicata dall'Agenzia mette in evidenza la situazione dei Rom e le sfide cui essi devono far fronte nell'esercizio di tale diritto che, va ricordato, quando viene negato determina a cascata una diffusa esclusione per quanto riguarda gli alloggi, l'assistenza sanitaria, l'istruzione, l'assistenza sociale.
Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi.
36 EU Fundamental Rights Agency, The situation of Roma EU citizens moving to and settling in other EU Member States, novembre 2009. Per studiare come i cittadini UE esercitano realmente il loro diritto di circolare e liberamente la FRA ha avviato questo progetto di ricerca basato su interviste sul campo. La ricerca, svolta nel 2009 in Francia, Finlandia, Italia, Spagna e Regno Unito, è stata commissionata dal Centro europeo per i diritti dei Rom (ERRC) che a questo scopo ha cooperato con il Dialogo europeo (ED), l'Ufficio di Informazione Europeo sulle popolazioni Rom (ERIO), la Lega finlandese per i diritti umani (FLHR), la Fundación Secretariado Gitano (FSG) e la Fédération nationale des associations solidaires (FNASAT).
L'articolo 6 della Direttiva sul diritto di soggiorno dei cittadini comunitari37 sancisce il diritto di soggiorno in capo ai cittadini Ue in tutti i Paesi membri per un periodo di tre mesi senza alcuna limitazione. Il diritto di soggiorno per un periodo superiore ai tre mesi deve essere garantito ai cittadini Ue, sebbene debbano sussistere determinate condizioni: che siano lavoratori subordinati o autonomi nello Stato ospitante, che dispongano di risorse economiche e che siano iscritti ad un istituto pubblico o privato per seguire un corso di studi o di formazione professionale38. Gli Stati membri possono richiedere ai cittadini europei la registrazione presso le autorità competenti nel caso di periodi di soggiorno superiori ai tre mesi. Secondo la Direttiva queste procedure di registrazione dovrebbero riguardare solo il possesso di un valido documento di riconoscimento e le condizioni di soggiorno. E' inoltre garantito il diritto di soggiorno permanente ai cittadini che hanno regolarmente soggiornato nel paese ospitante per almeno 5 anni.
Quindi, secondo la Direttiva, i cittadini UE, tra cui i cittadini Rom europei, hanno il diritto di poter liberamente soggiornare nei paesi ospitanti dell'Unione. L'articolo 24 della Direttiva stabilisce anche che «[....].ogni cittadino dell'Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato». Viene quindi garantito a tutti i cittadini regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato ospitante il pieno diritto d'accesso alle strutture sociali statali.
Questa Direttiva, molto importante sotto il punto di vista dell'integrazione, ha però avuto significativi problemi nella trasposizione nelle normative nazionali degli Stati membri. In tutte le legislazioni nazionali l'adattamento ai contenuti della Direttiva è stato parziale od omissivo, volto più che altro a complicare le procedure amministrative necessarie per garantire il diritto di soggiorno ai cittadini stranieri comunitari e il conseguente accesso ai servizi sociali nazionali. Nel dicembre 2008, la Commissione UE ha redatto un rapporto sull'applicazione della Direttiva 2004/38/EC nel quale lamenta che, nonostante in alcuni settori gli Stati membri
37 Direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004
38 Articolo 7 della Direttiva 2004/38/CE
abbiano adottato misure più favorevoli per i cittadini comunitari e per i loro familiari rispetto a quanto richiesto dalla direttiva stessa, «in generale l'adattamento alla Direttiva 2004/38/EC è stato piuttosto deludente. Nessuno Stato membro ha attuato la Direttiva effettivamente e correttamente nella sua interezza [ ].. Nei trenta mesi
successivi all'applicabilità della Direttiva, la Commissione ha ricevuto più di 180 reclami individuali, 40 interrogazioni dal Parlamento e 33 petizioni sulla sua applicazione39».
La ricerca della FRA mostra che numerosi cittadini comunitari Rom che si
stabiliscono in un altro Stato membro sono soggetti ad atti di discriminazione ed esclusione sociale, specialmente in conseguenza al fatto che non viene loro garantito il diritto di soggiorno come previsto per i cittadini europei. In tutti i paesi oggetto dello studio, molti cittadini intervistati hanno segnalato principalmente due problemi: le difficoltà connesse alla registrazione ai fini del soggiorno e la difficoltà di trovare un'occupazione sul mercato del lavoro ufficiale del paese di destinazione. Questi due ordini problematici incidono direttamente sull'effettivo godimento del diritto di soggiorno e quindi sulla possibilità di usufruire di un trattamento sociale equiparato rispetto ai cittadini dello Stato ospitante, come previsto all'articolo 24 della Direttiva. Il rapporto della FRA descrive una situazione di disagio per le popolazioni Rom europee, legate alle difficoltà di godimento effettivo di taluni diritti civili, politici, economici e sociali fondamentali (ad esempio il diritto di votare nelle elezioni locali ed europee o di accedere ai sistemi sanitari nazionali, agli alloggi pubblici, all'assistenza sociale e alle misure di integrazione nel mercato del lavoro). Coloro che non riescono a trovare occupazione nell‟economia "emersa" dei paesi di destinazione sono quei cittadini Rom “economicamente inattivi” che finiscono per alimentare gli stereotipi e i commenti più negativi. Tuttavia in realtà, la maggior parte di queste persone è tutto fuorché inattiva. Non essendosi integrate nel tessuto economico sono per la maggior parte occupate in quelle che sono definite “attività
39 Commissione Europea, "Report on the application of Directive 2004/38 on hte right of citizens of the Union and their family memebers to move and reside freely within the territori of the Member States", COM(2008)840 final, Bruxelles, 10 dicembre 2008.
economiche marginali”, quali il riciclaggio del vetro o del metallo, la vendita ambulante, la tinteggiatura di edifici, e così via.
4.3 Il caso francese
La recente decisione del Governo francese (28 luglio 2010) di effettuare sgomberi in oltre 300 campi nomadi dislocati in prossimità delle maggiori città francesi e di rimpatriare i cittadini Rom europei non regolari presenti nei campi, ha suscitato nuove polemiche sulla corretta applicazione della Direttiva 2004/38.
La Direttiva è molto precisa nell'individuare i casi in cui gli Stati possono limitare il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini europei. All'Articolo 27 si legge infatti che «gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica». Al comma 2 viene inoltre specificato che tali provvedimenti, adottati per motivi di ordine pubblico o sicurezza, possono essere esclusivamente correlati a comportamenti individuali e che solo in casi individuali è possibile intervenire. La normativa prevede che prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o sicurezza, lo Stato ospitante debba tenere conto di elementi quali la durata del soggiorno dell'interessato, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare ed economica, l'integrazione sociale e culturale nello Stato ospitante ed eventuali legami con il suo paese di origine.
La politica di allontanamento dei cittadini Rom non regolari dallo Stato francese è iniziata nel mese di marzo 2010 ma è stata perseguita con maggiore intensità da luglio dello stesso anno in seguito ad uno specifico problema di ordine pubblico avvenuto a Saint-Xxxxxx, nella Loira. Dopo esser scappato da un controllo della polizia locale, un ragazzo Rom è morto in circostanze poco chiare provocando la reazione della comunità nomade della zona che ha assaltato la questura e il centro del paese provocando ingenti danni. Il Governo francese ha annunciato l'irrigidimento della politica nei confronti di tutti i cittadini Rom presenti sul
territorio francese prevedendo lo sgombero di 300 campi nomadi entro ottobre 2010 e l'espulsione dei cittadini Rom non regolari (vale a dire coloro che si trovano in Francia da oltre tre mesi e non sono in possesso di un contratto di lavoro o non si sono iscritti ad un corso di studi o di formazione professionale).
Malgrado l'intenzione francese fosse di operare le espulsioni solo nei confronti di quei cittadini europei trovati non in possesso dei requisiti per soggiornare nello Stato francese, tale politica è stata fortemente criticata dalle istituzioni europee. Essa andava infatti ad incidere su un intero gruppo etnico e non si fermava all'esame dei casi singoli come imposto dalla Direttiva.40.
I provvedimenti del Governo francese sono però basati sullo strumento del "rimpatrio volontario", che in teoria non è contemplato dalla Direttiva 2004/38 (le limitazioni ed espulsioni considerate dalla normativa sono di origine coatta e devono essere giustificate da motivi di ordine pubblico). Il "rimpatrio volontario" consiste nel dare del denaro a quei cittadini europei sprovvisti dei documenti necessari affinché tornino volontariamente nel proprio paese di origine. Durante il mese di agosto 2010, la Francia ha sgomberato oltre 100 campi nomadi e rimpatriato circa 700 cittadini rumeni e bulgari versando 300 euro per adulto e 100 euro per minore. La Francia aveva ampiamente utilizzato questa procedura per il rimpatrio di immigrati irregolari ma i risultati erano stati giudicati inadeguati. Nel 2010 è stato adottato un sistema di identificazione, chiamato OSCAR, che attraverso la registrazione delle impronte digitali evita che le persone rimpatriate ritornino in Francia allo scopo di farsi nuovamente espellere ed ottenere un ulteriore pagamento di 300 euro41. Anche la procedura di identificazione attraverso le impronte digitali è stata fortemente criticata dalle istituzioni europee. Oltre ai dubbi di liceità e compatibilità con la Direttiva 2004/38, la pratica del rimpatrio volontario si pone in
40 Direttiva 2004/38. Articolo 27 comma 2: "I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati".
41 OSCAR è l'acronimo di "Outil de Statistique et de Contrôle de l'Aide au Retour". Il sistema è stato istituito nell'ottobre 2009 con Decreto n° 1310 (Décret n° 2009-1310 du 26 octobre 2009 portant création d‟un traitement automatisé de données à caractère personnel relatives aux étrangers bénéficiaires du dispositif d‟aide au retour xxxx par l‟Office français de l‟immigration et de l‟intégration). Il sistema di identificazione è gestito dall'OFII - Office Français de l'Immigration et de l'Intégration.
Vedi, xxxx://xxxxxxxxxx.xxxx.xx/xxxxxxXxxxx.xx?xxxXxxxxxXXXXXXXX000000000000&xxxxxxxxxXxxxxxx.
contrasto con il Principio di non discriminazione enunciato all'Articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea adottata dalle istituzioni UE nel 2007, che con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha acquisito valore giuridico vincolante42. L'Articolo 21 della Carta vieta solennemente ogni forma di discriminazione basata su razza o origine etnica e sociale o appartenenza ad una minoranza nazionale43. Tali critiche sono state mosse al Governo francese anche dal Parlamento europeo che il 9 settembre 2010 ha approvato una specifica risoluzione di condanna44, e da Xxxxxxx Xxxxxx, Commissario di giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza dell'Unione Europea.
4.4 I PROGRESSI IN AMBITO EUROPEO
Malgrado le persistenti difficoltà legate principalmente al riconoscimento del diritto di soggiorno che determina un effetto domino sulle limitazioni di tutti i servizi sociali statali, fin dal 2008 sono state adottate dall'Unione Europea una serie di importanti misure che hanno progressivamente guidato verso una maggiore cooperazione tra attori nazionali, europei ed internazionali.
42 Trattato sull'Unione Europea. Articolo 6 (ex articolo 6 del TUE): 1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
43 Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea. Articolo 21: 1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale.
44 P7_TA-PROV(2010)0312. Si legge nella risoluzione: "Il Parlamento Europeo esprime viva preoccupazione per i provvedimenti adottati dalle autorità francesi nonché dalle autorità di altri Stati membri nei confronti dei Rom e dei nomadi e che ne prevedono l'espulsione; esorta tali autorità a sospendere immediatamente tutte le espulsioni di Rom, invitando nel contempo la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri a intervenire avanzando la stessa richiesta". Inoltre condanna la pratica dell'identificazione attraverso le impronte digitali in quanto in contrasto con la Direttiva sul diritto di soggiorno, con la Direttiva sull'uguaglianza razziale e con la Carta dei Diritti fondamentali della UE: "Il Parlamento europeo sottolinea inoltre che la raccolta delle impronte digitali dei Rom espulsi è illegale e contraria alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (articolo 21, paragrafi 1 e 2), ai trattati e al diritto dell'Unione, in particolare alle direttive 2004/38/CE e 2000/43/CE, e costituisce una discriminazione fondata sull'origine etnica o nazionale".
In particolare il 2 luglio 2008 la Commissione dell'Unione Europea ha emanato la Comunicazione "Non discriminazione e pari opportunità: un impegno rinnovato45" al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Con tale strumento la Commissione ha riaffermato il suo impegno nella lotta alla discriminazione e nella promozione delle pari opportunità, definendo un approccio globale volto a rafforzare le azioni europee anche riguardo le politiche di integrazione delle popolazioni Rom. Il conseguente documento di lavoro della Commissione sugli strumenti e le politiche comunitarie per l‟inclusione dei Rom46 è stato poi oggetto di discussione e dibattito durante il primo Vertice Europeo sui Rom che si è svolto a Bruxelles il 16 settembre 2008.
Il Vertice Europeo sui Rom di Bruxelles ha portato ad una generale mobilitazione ad alto livello delle istituzioni europee, dei governi, delle Organizzazioni Internazionali e della società civile. Il vertice ha messo in evidenza la responsabilità degli Stati e dell'UE sul problema dell'integrazione dei Rom. Durante lo svolgimento del meeting c'è stato un largo consenso sulla necessità di una nuova e più forte partnership tra tutti gli attori chiave in questo settore. Inoltre è risultato evidente come solo un approccio specifico e rispettoso delle diversità culturali potesse portare ad un effettivo progresso e all'inclusione delle popolazioni Rom.
Il messaggio è stato recepito dal Consiglio Affari Generali dell'UE, che nel dicembre 2008 ha approvato un documento con il quale ha accolto i lavori svolti a Bruxelles e ha esortato la Commissione a «continuare e approfondire le discussioni e organizzare un ulteriore Vertice sulle popolazioni Rom» in collaborazione con le successive tre Presidenze dell'Unione a partire dal 201047. Il Consiglio, attraverso le tali conclusioni, unitamente alla richiesta di indire un secondo Vertice, ha approvato pienamente il documento di lavoro della Commissione sugli strumenti comunitari e le politiche per l‟inclusione dei Rom del luglio 2008. Quest'ultimo testo dava
45 Comunicazione della Commissione, COM(2008)420 del 2 luglio 2008.
46 Commission Staff Working Document, SEC(2008)2172 del 2 luglio 2008.
47 Documento del Consiglio 15976/1/08 REV 1 "Inclusion of the Roma", dell'8 dicembre 2008.
mandato agli Stati membri e alla Commissione di sostenere azioni a medio termine volte all'inclusione delle popolazioni Rom48. La Presidenza spagnola dell'UE, nel primo semestre del 2010, ha poi recepito l'invito del Consiglio ad organizzare un secondo Vertice. Tale secondo Vertice Europeo sui Rom si è tenuto a Cordoba nel mese di aprile del 2010.
L'anno prima, nel 2009, l'interazione tra Commissione e Stati membri aveva portato ad un'altra importante iniziativa in ambito europeo: l'European Platform for Roma Inclusion, vertice che si è svolto nell'aprile 2009 in collaborazione tra la Commissione e la Presidenza di turno dell'Unione Europea della Repubblica Ceca. Il vertice, tenutosi a Praga il 24 aprile 2009, ha riunito, sotto la Presidenza di turno dell'Unione, le Presidenze UE del semestre precedente e del semestre successivo, esperti dei Paesi membri e delle Organizzazioni Internazionali, quali il Consiglio d'Europa, la Banca Mondiale, lo UNDP e l'OSCE, e i rappresentanti della Serbia. In Serbia, peraltro, si sono svolti tra il 2008 e il 2009 i lavori di un altro progetto: la Decade per l'Inclusione dei Rom 2005-2015 allargata anche a paesi non europei.
A conclusione del Vertice di Cordoba sono stati approvati i 10 Common Basic Principles on Roma Inclusion, fatti propri l'8 giugno 2009 dalle Istituzioni europee con l'approvazione all'unanimità delle conclusioni del Consiglio dell'Unione europea EPSCO (Occupazione, Politica Sociale, Salute e Consumatori)49. L‟obiettivo dei 10 principi è di offrire alle istituzioni dell‟Unione europea e agli Stati membri una guida per le politiche volte all'inclusione dei Rom, e, malgrado i principi rappresentino una dichiarazione politica non vincolante dal punto di vista giuridico, gli Stati si sono impegnati ad adottarli come piattaforma di base per future iniziative50.
Nelle sue conclusioni, il Consiglio EPSCO (Occupazione, Politica Sociale,
Salute e Consumatori) invita «la Commissione e gli Stati membri, in stretta cooperazione, e secondo le loro rispettive competenze, a prendere in considerazione
48 Commission Staff Working Document, SEC(2008)2172 del 2 luglio 2008.
49 Documento del Consiglio 10394/09, dell'8 giugno 2009.
50 xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxx/xxxx.xxx?xxxXxx000&xxxxXxxxx
i Common Basic Principles, ove appropriato, nella definizione e attuazione di politiche per promuovere la piena inclusione dei Rom, così come nella definizione e attuazione di politiche per la difesa dei diritti fondamentali, in modo che sostengano l'uguaglianza di genere, combattano la discriminazione, la povertà e l'esclusione sociale, e assicurino l'accesso all'educazione, al diritto all'alloggio, alla salute, al lavoro, ai servizi sociali, alla giustizia, allo sport e alla cultura, anche nelle relazioni tra l'UE e i Paesi terzi51».
Nel marzo del 2009 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla
situazione sociale delle popolazioni Rom e sulla loro possibilità di accesso al mercato del lavoro52. La risoluzione è centrata sulle modifiche legislative in ambito europeo necessarie per contrastare l'esclusione dei Rom nel settore lavorativo e impostare una politica coordinata europea volta a migliorare le condizioni di vita delle comunità Rom.
Le modifiche devono essere effettuate alla luce di tre fondamentali obiettivi:
1. il miglioramento delle opportunità economiche per i Rom; 2. la creazione di capitale umano spendibile nel mondo del lavoro; 3. l'incremento delle risorse per lo sviluppo delle condizioni di vita delle comunità Rom.
Il Parlamento europeo ha posto l'accento sulla necessità di accrescere le possibilità di accesso ad un livello più elevato di educazione e formazione per minori e adolescenti Rom. Allo stesso tempo ha rimproverato gli Stati membri per la carenza di politiche di integrazione a livello formativo e professionale. Tale carenza favorisce un inasprimento del livello di discriminazione subito dai Rom in Europa. Specie con riguardo al mercato del lavoro il Parlamento europeo ha auspicato che vi siano maggiori sforzi da parte delle autorità amministrative anche con politiche specifiche di microcredito o strumenti sussidiari all'integrazione dei Rom. Inoltre, il Parlamento europeo ha stanziato nel 2009 un finanziamento di 5 milioni di euro per il progetto pilota “Pan-European Coordination of Roma Integration Methods”, volto a rafforzare nel corso del 2010 gli strumenti di sostegno in quattro ambiti di
51 Documento del Consiglio 10394/09, paragrafo 11.
52 Risoluzione del Parlamento europeo, P6_TA(2009)0117, dell'11 marzo 2009.
intervento: a) l'educazione della prima infanzia; b) il microcredito e l'impiego; c) l'informazione e la sensibilizzazione delle problematiche Rom; d) gli strumenti e i metodi per la valutazione e l'elaborazione dei dati statistici sulle comunità Rom in Europa.
4.5 Il caso della Spagna
Gli sforzi profusi negli ultimi due anni dalle Istituzioni europee per definire le linee guida sulle quali basare le differenti legislazioni nazionali sono stati solo parzialmente recepiti dai singoli Stati membri. Permane, in effetti, una diffusa esclusione dei Rom dai servizi di base in quasi tutti gli Stati europei.
Nel primo semestre del 2010 le iniziative degli organismi europei sul tema dei Rom hanno avuto maggiore impulso per merito della Presidenza di turno UE, la Spagna, paese da sempre particolare attento alla questione.
Lo svolgimento del Secondo Vertice Europeo sui Rom a Cordoba nell'aprile 2010, di cui si è detto, ha valorizzato l'impegno del paese iberico per promuovere una maggiore sensibilizzazione sulle problematiche vissute dalle comunità Rom a livello europeo53.
La Spagna è, ad oggi, lo Stato in Europa che presenta la legislazione più
avanzata riguardo l'accesso ai servizi sociali da parte dei Rom, ed ha appena promulgato, sotto l'egida del Ministerio de Sanidad y Política Social, un Piano d'azione ministeriale per gli anni 2010-2012 al fine di migliorare ulteriormente le condizioni di vita delle popolazioni gitane e perseguirne la piena integrazione54. Il Piano si colloca nel quadro della più ampia politica di inclusione dei Rom promossa da diversi Governi spagnoli. Negli anni ha preso forma una legislazione nazionale
53 Per una comprensione più approfondita dei trattati al secondo Vertice Europeo sui Rom, vedi, Report on the II European Roma Summit, su: xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxx/XxxxXxxxxxx?xxxXxx0000&xxxxXxxxx
00 Xxxx xx xxxxxx xxxx xx Xxxxxxxxx xx xx Xxxxxxxxx Gitana 2010-2012. Vedi, xxxx://xxx.xxx.xx/xxxxxxxxXxxxxx/xxxxxxxxxXxxxxx/xxxx/xxxxXxxxxxxxxxXxxxxx.xxx
particolarmente apprezzabile, anche in considerazione dell'elevato numero di nomadi presenti in Spagna (circa 650-800 mila persone).
Le popolazioni Rom e nomadi, chiamate comunemente Gitanos55, sono presenti nella penisola iberica fin dal XIV° Secolo ed hanno da sempre mantenuto una propria cultura peculiare. In epoca contemporanea, per tutto il periodo franchista e fino alla promulgazione della Costituzione democratica spagnola nel 1978, i nomadi spagnoli sono stati oggetto di discriminazione e vittime di una legislazione repressiva. La Costituzione del '78 riconosce loro la cittadinanza e garantisce il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Per altro verso la lunga storia di intolleranza e di rifiuto dei Gitani da parte della popolazione aveva favorito la coesione delle persone di etnia Rom aggravando i problemi legati all'integrazione sociale e culturale.
La Costituzione spagnola stabilisce il principio di "uguaglianza" come valore superiore dell'ordinamento giuridico e come diritto fondamentale della persona56. Tutti i cittadini spagnoli sono uguali davanti alla legge, lo stato è obbligato ad attuare politiche dirette ad impedire qualsiasi forma di discriminazione. Nel 1978 è stata creata la Commissione Interministeriale per lo studio delle problematiche della comunità nomade, sotto la supervisione del Ministero della Cultura. Nello stesso anno è stata abrogata una norma specifica dell'ordinamento giuridico spagnolo che colpiva le comunità cosiddette zingare. Altre iniziative governative sono state adottate nel corso degli anni '80, come il Programma del "Desarollo Gitano" (1989) con il quale è stata creata un'unità amministrativa - che attualmente dipende dal Ministero della Sanità e della Politica Sociale di Spagna - che ha il compito di formulare proposte legislative appropriate.57.
A livello parlamentare il Congresso dei Deputati ha creato nel 1999 una
Sottocommissione per lo studio della problematica della popolazione nomade, in
55 La parola "gitano" deriva dal latino volgare "aegyptano", modo in cui venivano chiamati i Rom spagnoli tra il XIV° e il XVIII° Secolo, in quanto erroneamente erano considerati provenienti dall'Egitto.
56 Rispettivamente agli articoli 1 e 14 della Carta Costituzionale spagnola. La Costituzione è consultabile sul sito: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/
57 Le informazioni sono tratte dal sito del Ministerio de Sanidad y Política Social di Spagna. Vedi: xxxx://xxx.xxxx.xx/xxxxxxxxXxxxxx/xxxxxxxxxXxxxxx/xxxxxxxxxXxxxxx/xxxx.xxx
seno alla Commissione parlamentare sull'impiego e le politiche sociali, incaricata di redigere un rapporto sulle questioni non ancora risolte riguardo le popolazioni Rom in Spagna. Tra il 1986 e il 1999 il sistema di integrazione spagnolo ha portato all'elezione dell'unico parlamentare europeo di origine nomade, Xxxx de Dios Xxxxxxx Xxxxxxx, attuale rappresentante dell'Osservatorio europeo contro il razzismo e la xenofobia e fondatore della Union Romanì, federazione delle associazioni gitane spagnole.
Nel 2005 il Consiglio Statale del Popolo Gitano, organo consultivo del Governo che promuove la partecipazione e la collaborazione delle strutture pubbliche con la popolazione Gitana. Nel 2007 è stato avviato l'Istituto di Cultura Gitana. Entrambi coinvolti nella stesura del Piano di azione 2010-2012 per le popolazioni nomadi in Spagna.58
L'obiettivo del Piano è diffondere i valori della comunità nomade, rafforzarne
le istituzioni che promuovono la cultura gitana in Spagna, e stabilire una normativa volta ad incrementare la partecipazione delle comunità nomadi nella vita culturale e politica della Spagna.
Il documento precisa che le Amministrazioni pubbliche hanno il dovere di intervenire con politiche volte quotidianamente a superare gli effetti negativi di esclusione, discriminazione e disuguaglianza sociale che affliggono le comunità Rom a livello nazionale, tenendo conto degli impegni internazionali ed europei.
Viene infatti esplicitamente richiamata la Direttiva del Consiglio sull‟uguaglianza razziale (2000/43/CE), adottata nel 2000, che vieta la discriminazione legata a motivi razziali o di origine etnica sul luogo di lavoro e in altri ambiti. Il principio di uguaglianza è stato recentemente ribadito anche con riguardo alla discriminazione multipla attraverso la Ley Orgánica 3/2007 del 22 marzo 2010, che contiene riferimenti al divieto di discriminazione su più livelli:
«L'obiettivo deve essere la lotta contro tutte le forme di discriminazione della popolazione Gitana diretta e indiretta, così come le discriminazioni multiple,
58 Il Piano è stato approvato con Decreto del Consiglio dei Ministri del Governo "Acuerdo por el que se aprueba el Plan de Acción para el Desarrollo del la Población Gitana 2010-2012", il 9 aprile 2010.
tenendo anche conto degli altri fattori diversi da quelli dell'origine etnica, come il sesso, le disabilità, la nazionalità, ecc., garantendo l'uguaglianza di trattamento e di non discriminazione59».
Vengono individuate otto diverse aree di intervento che vanno dalle attività
economiche alla promozione della cultura gitana fino alle azioni necessarie da intraprendere in ambito europeo. Per ogni area vengono stabiliti gli obiettivi da raggiungere nel biennio 2010-2012 specificando gli strumenti che la pubblica amministrazione spagnola deve utilizzare per il loro raggiungimento.
Tra gli obiettivi più significativi va ricordato il diritto all'alloggio per i nuclei familiari, diritto che viene garantito attraverso specifici programmi urbanistici già avviati negli anni precedenti (programma ARIS per i centri storici e i municipi rurali, e ARUS per i centri urbani). Il diritto ad un alloggio dignitoso è definito dal Piano come aspetto centrale del processo di integrazione.
Secondo stime del 2007, l'88% della popolazione Rom spagnola dispone di una abitazione stabile e il 12% vive in baracche dislocate nelle periferie delle maggiori città. Il Piano di azione si pone l'obiettivo di rendere disponibile un alloggio alla totalità delle comunità nomadi e di migliorare le condizioni generali di abitabilità60. Il problema abitativo viene affrontato dal Piano in un quadro nazionale (e non locale), in quanto rappresenta una priorità politica. Tali politiche abitative devono essere sviluppate in base ad azioni legislative generali e con i mezzi di finanziamento stabiliti dal Piano Statale sull'Abitazione, che fa riferimento al Ministerio de Vivienda61, piano predisposto per risolvere i problemi abitativi di tutti i cittadini spagnoli.
Un altro settore sul quale il Piano di azione concentra la sua attenzione riguarda le politiche nel campo dell'educazione e dell'istruzione. Malgrado gli obiettivi già raggiunti dai governi spagnoli, la scolarizzazione delle popolazioni
59 Pagina 12 del Piano di Azione.
60 In quanto alla distribuzione territoriale, si segnala che il 70% delle abitazioni delle popolazioni gitane risiedono nelle Comunità autonome di Andalusia, Valenzia, Madrid e Catalogna.
61 Il Plan Estatal de Vivienda y Rehabilitación 2009-2012 è stato approvato con Decreto Reale 2066/2008 il 12 dicembre 2008. Vedi, xxxx://xxx.xxx.xx/xxx/xxxx/0000/00/00/xxxx/X00000-00000.xxx.
nomadi viene giudicata insufficiente, sia per l'assenteismo dei ragazzi, sia per il rendimento scolastico al di sotto della media. I dati più significativi riguardano la scuola secondaria. L'80% degli studenti di popolazioni nomadi abbandonano gli studi prima del completamento del ciclo scolastico. Questi fattori incidono poi esponenzialmente sulla possibilità degli studenti di iscriversi a corsi di formazione universitaria: nell'anno accademico 2004-2005, fra 1.462.771 studenti universitari in Spagna, non più di 1000 erano di provenienza Rom (in proporzione rispetto alla popolazione essi avrebbero dovuto essere oltre 28.600). Inoltre altri studi hanno evidenziato che il numero degli analfabeti appartenenti alle comunità Rom spagnole è di 4,6 volte superiore rispetto alle persone analfabete registrate dal censimento della popolazione spagnola eseguito nel 2001 dall'Institudo Nacional de Estatística62.
4.6 Il caso della Serbia
La comunità Rom è la più grande minoranza presente in Serbia; rappresenta circa il 6% della popolazione totale. Il governo di Belgrado ha posto come punto principale della propria agenda politica la ricerca di soluzioni efficaci dirette al miglioramento delle condizioni di vita e ad una più efficace integrazione sociale. L'impegno serbo per migliorare l'integrazione delle comunità nomadi con il resto della popolazione ha avuto inizio nel 2001 con il varo della bozza della Strategia per l'Integrazione e la Responsabilizzazione dei Rom, il primo documento strategico per migliorare la situazione dei Rom in Serbia.
A partire dal 2005 l'impegno della Serbia nei confronti dei Rom è stato ribadito in ambito internazionale con la partecipazione di Belgrado all'iniziativa della Decade dell'Inclusione dei Rom 2005-2015, la cui Dichiarazione finale è stata firmata a Sofia.63. La Dichiarazione, appoggiata dai dodici Paesi che hanno preso
63 xxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xxx/xxxx
parte all'evento (Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Macedonia, Montenegro, Romania, Serbia, Slovacchia e Spagna), definiva gli obiettivi programmatici, da realizzare nell'arco di dieci anni.
Nel 2009 la Serbia ha assunto la Presidenza nei lavori del Summit della Decade dell'Inclusione dei Rom 2005-2015. L'impegno si è tradotto sul piano nazionale in due importanti risultati: da un lato la revisione e l'attuazione della Strategia per l'Integrazione e la Responsabilizzazione dei Rom; dall'altro l'implementazione di un Piano d'Azione Nazionale per i Rom in Serbia.
L'Ufficio per la Strategia Nazionale per i Rom, sotto la supervisione del Ministero per i Diritti Umani e delle Minoranze della Repubblica di Serbia, ha coordinato tutte le attività per lo sviluppo della Strategia e del Piano d'Azione attraverso pubbliche audizioni. Nel corso di numerosi dibattiti svolti in una Conferenza tematica organizzata nel 2008 hanno avuto luogo discussioni ed approfondimenti di notevole interesse. I lavori della Conferenza hanno coinvolto i rappresentanti del Ministero per i Diritti Umani e l'Ufficio per la Strategia per i Rom, oltre a membri di ong, esperti indipendenti e autorità locali.
Il risultato dei dibattiti è stato la stesura del Piano d'Azione Nazionale, che ha stabilito l'azione del Governo in 13 aree di intervento: educazione, abitazione, impiego, sanità, cultura, media e informazione, protezione sociale, accesso ai documenti personali di riconoscimento, partecipazione politica, lotta alla discriminazione, tematiche femminili, status giuridico e intesa politica con i paesi di provenienza64.
Il Piano d'Azione della Repubblica di Serbia individua alcune tematiche
prioritarie richiamando la necessità di interventi ancora più incisivi. Tra le molte emergenze viene messa in particolare evidenza l'importanza dell'educazione e dell'istruzione come strumenti principali di integrazione sociale delle popolazioni Rom.
Secondo i dati dell'UNICEF sulle condizioni di vita dei fanciulli in Serbia (2006), quasi il 70% dei bambini Rom sono poveri e oltre il 60% delle famiglie
64 Il Piano d'Azione è chiamato "Strategy for Improvement of the Status of Roma in the Republic of Serbia" è consultabile sul sito del Governo della Repubblica di Serbia, http:// xxx.xxxxxx.xxx.xx/?xxxxxx_xxxxxxx