COLLEGIO DI COORDINAMENTO
COLLEGIO DI COORDINAMENTO
composto dai signori:
(CO) XXXXXXX Presidente
(CO) LUCCHINI GUASTALLA Membro designato dalla Banca d'Italia (CO) SIRENA Membro designato dalla Banca d'Italia
(CO) DI RIENZO Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(CO) LAMANDINI Membro di designazione rappresentativa dei clienti
LUCCHINI GUASTALLA
Seduta del 14/11/20222
FATTO
Nel proprio ricorso parte ricorrente ha affermato di aver sottoscritto, unitamente al cointestatario del ricorso, una fideiussione omnibus con l’intermediario resistente in data 17/12/2015 per garantire le obbligazioni di una società. Ha dichiarato di essersi avveduto, a seguito di rilascio di copia del contratto nel gennaio 2022, del fatto che il contratto suddetto risultava conforme allo schema contrattuale predisposto dall’ABI, “con conseguente nullità delle clausole contrattuali come disposto dal provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia”, come recentemente statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 41994/2021.
Nelle proprie controdeduzioni l’intermediario resistente ha osservato, in via preliminare, che il ricorso sarebbe stato presentato dal ricorrente come “consumatore” e ha conseguentemente contestato l’erroneità di tale qualifica. A questo proposito ha osservato che il ricorrente avrebbe sottoscritto la fideiussione omnibus a garanzia dei rapporti contrattuali della società nella qualità di amministratore unico della stessa. L’intermediario ha, inoltre, eccepito l’incompetenza per materia dell’arbitro, ritenendo che la verifica dell’esistenza, al momento della sottoscrizione della fideiussione, di una intesa anticoncorrenziale dovrebbe essere rimessa alle sezioni specializzate in materia di impresa e, dunque, esulerebbe dalla competenza dell’ABF.
Nel merito ha evidenziato che:
- la Banca d’Italia, con il provvedimento n. 55/2005, non ha accertato alcuna condotta vietata dalla normativa antitrust, essendosi limitata a concludere che lo schema
elaborato dall’ABI conteneva alcune disposizioni che, se applicate in modo uniforme, sarebbero risultate in contrasto con l’art. 2, comma 2, lett. a) L. 287/1990. Ha richiamato, a tale proposito, la pronuncia della Corte di Cassazione (sent. n. 30818/2018) secondo cui «il provvedimento della Banca d’Italia non ha accertato, ma ha indicato in termini soltanto ipotetici» la sussistenza dell’intesa anticoncorrenziale;
- il ricorrente non avrebbe fornito alcuna prova in ordine all’applicazione, con riferimento al contratto sottoscritto nella specie, di norme uniformi fra le banche, né avrebbe prodotto testi di fideiussione sottoscritti nel medesimo periodo da altri clienti presso altri istituti di credito, al fine di dimostrare la sussistenza di un uso uniforme delle clausole contestate;
- secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza di merito, laddove il contratto di fideiussione sia stato stipulato a distanza di anni dal periodo analizzato dal provvedimento della Banca d’Italia, tale provvedimento non può costituire una “prova privilegiata” e parte attrice dovrebbe dimostrare l’esistenza di una intesa anticoncorrenziale al momento della sottoscrizione del contratto, non potendosi dare alcun rilievo alla circostanza per cui la fideiussione sottoscritta “ricalca” lo schema ABI dell’ottobre 2002, che la ricorrente neanche avrebbe allegato al ricorso;
- in ordine all’invocata inefficacia della fideiussione per decadenza del termine ex art. 1957 c.c., il contratto prevede la clausola di garanzia c.d. “a prima richiesta” (cfr. art. 7 condizioni contrattuali), per cui si sarebbe in presenza di un contratto autonomo di garanzia e non di una fideiussione e, pertanto, «non sarebbe intervenuta alcuna decadenza dai termini previsti dall’art. 1957 c.c. in quanto la disciplina di tale articolo non è applicabile al caso di specie».
- l’obbligazione garantita non risulterebbe ancora scaduta, in quanto il conto corrente intestato alla società, attualmente a debito, è ancora in essere e, pertanto, non si sarebbe ancora verificato il dies a quo (chiusura del conto corrente) da cui si dovrebbero far decorrere i sei mesi previsti dall’art. 1957 c.c.
- anche se si ritenesse estinta l’obbligazione principale, l’intermediario avrebbe comunque interrotto la decadenza dei termini, avendo inviato, sia al debitore principale che ai garanti, la lettera di preavviso di revoca degli affidamenti ed intimazione di pagamento. Ritiene sul punto l’intermediario che la fideiussione non si estingua se il creditore, entro il termine previsto dall’art. 1957 c.c., abbia avanzato anche solo una semplice richiesta stragiudiziale.
Tanto premesso, l’intermediario ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso, essendo richiesti all’ABF accertamenti sottratti alla sua competenza; in subordine, di respingerlo, in quanto infondato in fatto e in diritto, oltre che privo di qualsiasi supporto probatorio circa i fatti e le circostanze a fondamento della pretesa.
In sede di repliche, parte ricorrente ha allegato il provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005. Ha poi sostenuto la infondatezza della qualificazione del contratto non come fideiussione omnibus, ma come contratto autonomo di garanzia, sostenendo che la clausola “a semplice richiesta scritta”, in assenza di altri elementi, non sarebbe sufficiente per affermare siffatta qualificazione.
Ha poi contestato quanto sostenuto dall’intermediario resistente, secondo cui il dies a quo da cui si dovrebbero conteggiare i sei mesi previsti dall’art. 1957 c.c. non sarebbe cominciato a decorrere, affermando che la diffida del 04/09/2019 non sarebbe mai stata recapitata al debitore principale, essendo stata spedita a un indirizzo errato.
Ha precisato, in ogni caso, che il rapporto principale sarebbe stato ripartito in scadenze e il creditore aveva l’obbligo di avviare “serie iniziative” entro sei mesi dalle singole scadenze e che, secondo quanto affermato dalla Corte Cassazione, in presenza di un rapporto principale ripartito in scadenze periodiche per il debitore, il dies a quo a partire dal quale decorre il termine di decadenza del termine fissato dall’art. 1957 c.c. va individuato nella data delle singole scadenze, e non già nel termine “finale” del rapporto principale (Cass. 15902/2014 e 2301/2004).
Nelle controrepliche, l’intermediario ha eccepito la tardività del deposito in sede di replica della copia del provvedimento di Banca d’Italia n. 55/2005, ribadendone, comunque, l’irrilevanza, rispetto alla fattispecie in esame, che riguarderebbe un contratto concluso ad anni di distanza dal predetto provvedimento.
Quanto all’interruzione della decadenza dal termine previsto dall’art. 1957 c.c., ha fatto presente che la Corte di Cassazione ha ritenuto sufficiente a tal fine la semplice richiesta di pagamento stragiudiziale, trasmessa anche solo nei confronti del garante, qualora sia presente nel contratto la clausola “a prima richiesta” (come nel caso di specie). Ha infine evidenziato che parte ricorrente non ha negato di aver ricevuto l’intimazione della banca, ribadendo per il resto le proprie argomentazioni.
Il Collegio rimettente ha preliminarmente affermato la fondatezza dell’eccezione relativa alla qualificazione di parte resistente, richiamando la decisione n. 5368/2016 del Collegio di Coordinamento, nella quale, affrontando la questione del c.d. “professionista di rimbalzo”, è stato enunciato il seguente principio di diritto: «nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società` commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata».
Rilevato che, nel caso di specie, parte ricorrente ha sottoscritto la fideiussione omnibus a garanzia dei rapporti contrattuali della società in qualità di amministratore unico della stessa, ha affermato che avrebbe agito come non consumatore.
Quanto alla seconda eccezione preliminare sollevata da parte resistente, il Collegio rimettente ne ha affermato la infondatezza, richiamando la pronuncia del Collegio di Coordinamento, decisione n. 14555/2020, nella quale si statuisce che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287/90 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non anche alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese (in senso conforme, cfr. XXX Xxxx, decisione n. 13895/21; ABF Napoli, decisione n. 5064/22). Ciò premesso il Collegio rimettente, preso atto della complessità e importanza delle questioni rilevate e della sussistenza di orientamenti non uniformi tra i singoli Collegi territoriali, ha sospeso la trattazione del ricorso e ha rimesso la decisione a questo Collegio di coordinamento.
DIRITTO
La prima questione di merito che questo Collegio è chiamato a dirimere attiene alla validità della fideiussione rilasciata dal ricorrente (e da altro soggetto cointestatario del ricorso) a garanzia delle obbligazioni contratte da una società nei confronti dell’intermediario resistente, asseritamente riproduttiva dello schema contrattuale uniforme predisposto
dall’ABI e censurato dalla Banca d’Italia, perché ritenuto contrastante con la disciplina Antitrust. Più precisamente, il ricorrente si duole della conformità di tale fideiussione allo schema uniforme predisposto dall’ABI e ha chiesto di accertare la nullità delle clausole dichiarate illegittime dalla Banca d’Italia col provvedimento n. 55/2005 e, conseguentemente, di affermare l’avvenuta estinzione della fideiussione per il decorso del termine semestrale entro cui il creditore avrebbe dovuto attivarsi per far valere le sue ragioni ex art. 1957 c.c.
Dall’analisi della documentazione in atti è possibile riscontrare che la fideiussione omnibus oggetto di contestazione è stata stipulata dal ricorrente nel 2015 per l’adempimento delle obbligazioni contratte da una società fino a concorrenza dell’importo di € 6.500,00 (poi elevato, nel 2016, a € 13.000). Il ricorrente non ha prodotto il testo dello schema ABI, né ha riferito in modo specifico le proprie contestazioni ad alcuna delle clausole del contratto sottoscritto. In sede di repliche, tuttavia, ha allegato copia dello schema ABI e del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 e ha precisato che la nullità parziale del contratto dovrebbe limitarsi «alle clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema ABI dichiarati nulli dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 (nn. 2, 6 e 8)».
La questione alla base della presente controversia trae origine dal provvedimento n. 55 del 2.05.2005 emesso dalla Banca d’Italia in funzione di autorità garante della concorrenza tra banche, ai sensi degli artt. 14 e 20 della legge n. 287 del 1990. Nel citato provvedimento Banca d’Italia ha dichiarato che gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI nell’ottobre del 2002 contenessero disposizioni in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a) della Legge n. 287/1990 (Legge Antitrust),
«nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme».
La Banca d’Italia, che – è bene rammentarlo – all’epoca rivestiva la qualità di autorità garante della concorrenza per le banche, ha ritenuto che la standardizzazione contrattuale fosse anticoncorrenziale, nel caso in cui gli schemi contrattuali prevedano clausole, incidenti su aspetti rilevanti del contratto, tali da impedire «un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti» e da ostacolare la possibilità di una diversificazione del prodotto offerto, in ragione della loro costante e uniforme applicazione. Più specificamente, la natura anticoncorrenziale di siffatte clausole è stata ravvisata nella loro attitudine, in quanto uniformemente applicate, ad addossare in capo al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca, ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa, senza risultare funzionali a garantire l’accesso al credito bancario. Il menzionato provvedimento, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, costituirebbe prova privilegiata in relazione alla sussistenza del comportamento accertato e del suo eventuale abuso.
A seguito dell’accertamento condotto dalla Banca d’Italia si è posto il problema della sorte dei contratti stipulati “a valle”, ossia delle fideiussioni rilasciate in epoca posteriore a detto provvedimento da soggetti terzi a beneficio di intermediari finanziari, il cui contenuto riproduca le clausole del modello di fideiussione omnibus oggetto di censura da parte della Banca d’Italia.
Al tale proposito, giova ricordare che il Collegio di Coordinamento, con la decisione n. 14555/20, dopo aver preliminarmente osservato che «lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a “fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali”, risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990», ha affermato la nullità parziale delle clausole de quibus, in applicazione del principio di conservazione del contratto.
In particolare, il Collegio ha enunciato i seguenti principi di diritto:
“1. Qualora un contratto riproduca uniformemente i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni contrattuali che un’intesa anticoncorrenziale ha fissato in precedenza, le relative clausole contrattuali sono nulle.
2. Per quanto riguarda il prezzo di acquisto o di vendita, in particolare, la nullita` della relativa clausola importa la nullita` dell’intero contratto, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare tale lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari).
3. Per quanto riguarda le altre condizioni contrattuali, la loro nullita` importa la nullita` dell’intero contratto soltanto quando esse siano essenziali. Quando esse siano invece accessorie, il contratto resta valido per il resto.
4. A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà` delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”.
5. Si tratta di una nullità` che puo` essere fatta valere solo dal ricorrente ed e` rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse”.
La tesi della nullità parziale ha trovato successivo riscontro nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 41994/2021, intervenuta a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto con riguardo alle conseguenze della sottoscrizione di una fideiussione stipulata in conformità di intese anticoncorrenziali, censurate dal provvedimento di Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005. I giudici di legittimità, in ossequio al principio di conservazione del contratto, hanno aderito all’orientamento giurisprudenziale favorevole a riconoscere il rimedio della nullità parziale «in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti».
La Suprema Corte, a sostegno della propria tesi, ha rilevato come la fideiussione bancaria “a valle” evidenzi un “collegamento funzionale con la volontà anticompetitiva a monte”, in virtù del quale la nullità dell’intesa a monte “non può che inficiare anche l’atto conseguenziale”, che “costituisce lo sbocco dell’intesa vietata essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti (Cass., Sez. Un., n. 2207/2005)”, pur concludendo poi nel senso di una nullità soltanto parziale, fermo il disposto dell’art. 1419, 2° co., cod. civ. In tale ottica, la nullità delle singole clausole contrattuali potrà invalidare l’intero contratto solo ove si dimostri che la porzione colpita da invalidità ha una rilevanza tale nell’economia contrattuale che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.
Sempre secondo tale pronunciamento, l’estensione della nullità all’intero contratto avrebbe portata eccezionale e sarebbe onere di chi abbia interesse a caducare l’intero assetto programmato provare l’interdipendenza del resto del contratto rispetto alla clausola invalida (restando, del pari, precluso al giudice rilevare d’ufficio siffatto effetto estensivo).
Tanto premesso, deve sottolinearsi che la questione della “estensione” dell’accertamento condotto da Banca d’Italia alle fideiussioni successive al 2005 non è stata affrontata ex professo né nella richiamata decisione del Collegio di Coordinamento, n. 14555/20, né nella sentenza delle Sezioni Unite, n. 41994/21, sebbene il Collegio di Coordinamento e le Sezioni Unite abbiano esaminato fattispecie posteriori all’accordo sanzionato.
Xxxxxx, come correttamente rilevato dall’intermediario resistente, la giurisprudenza di merito successiva alla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite ha, in più occasioni,
escluso che l’accertamento della Banca d’Italia possa estendersi de plano anche alle fideiussioni concluse in un periodo successivo a quello oggetto di accertamento (2002- 2005), gravando sull’attore l’onere della prova della sussistenza di una intesa anticoncorrenziale e della applicazione uniforme delle rilevanti clausole contrattuali (in tal senso, Trib. Milano, 14-20 luglio 2022; Trib. Milano, 19 gennaio 2022; Trib. Forlì, 16
maggio 2022, n. 486).
Ciò chiarito, pare utile ricordare che anche la dottrina che si è occupata di tale problematica ha affermato che, mentre le fideiussioni sottoscritte anteriormente all'accertamento che ha portato all’emanazione del Provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2015 (indicativamente, annualità 2003-2005) possono senz'altro giovarsi della sua massima portata presuntiva, confidando integralmente sulla natura di prova privilegiata, diversa conclusione deve essere tratta per le fideiussioni stipulate in epoca successiva.
In questi ultimi casi, infatti, il garante-attore potrà giovarsi della presunzione di reiterata diffusione (almeno sino al 2005) del testo de quo (e, consequenzialmente, dell'accertata lesività per le dinamiche concorrenziali), ma al contempo dovrà dimostrare la persistenza della intesa antitrust fino alla sottoscrizione del proprio contratto, per mezzo di una prova, specifica e puntuale, della diffusione seriale del modello ABI. Secondo questa impostazione, condivisa dalla giurisprudenza di merito già citata, la diffusione dell'archetipo censurato sarebbe accertabile mediante la produzione in giudizio (oltre che del modello ABI e del Provvedimento n. 55/2005), di un numero ragguardevole di modelli contrattuali somministrati alla clientela negli anni di riferimento, ascrivibili a diversi istituti bancari e diffusi sull'intero territorio nazionale. In altri termini, dovrebbe essere il garante- attore a comprovare che «un numero significativo di istituti di credito, all'interno del medesimo mercato, avrebbe coordinato la propria azione al fine di sottoporre alla clientela modelli uniformi di fideiussione» (così, testualmente, Trib. Padova, 3 marzo 2020, n. 453), stante la circostanza per cui «il provvedimento numero 55/2005 della Banca d'Italia vale quale prova privilegiata soltanto con riferimento alle fideiussioni prestate nel periodo di tempo oggetto di esame della banca medesima» (in tal senso si è espresso Trib. Milano, 19 gennaio 2022).
Onde evitare uno sconfinamento in una probatio diabolica, specie in considerazione dell'asimmetria connaturante il rapporto Istituto-garante, Trib. Milano, 25 gennaio 2022, ha ammesso la possibilità di avanzare una istanza di esibizione documentale, ex art. 210 c.p.c., sebbene in funzione complementare (e non sostitutiva) al corretto adempimento dell'onere probatorio gravante direttamente sulla parte attrice.
Pertanto, relativamente alla distribuzione degli oneri probatori, è diffuso il convincimento giurisprudenziale (cui aderisce App. Venezia, 13 settembre 2021, n. 2356) che l'onere della prova circa l'esistenza di una intesa anticoncorrenziale, indefettibile presupposto della richiesta di nullità della fideiussione ex artt. 2 L. n. 287/1990 e 1419, comma 1, c.c., graverebbe sull'attore.
Secondo questa impostazione, nessun serio indizio di una intesa anticoncorrenziale può essere tratto dal solo fatto che nella singola fideiussione siano state inserite le medesime tre clausole già sanzionate da Banca d’Italia nel 2005, tanto più considerando che dette clausole non erano contrarie a norme imperative, ma il profilo di nullità si basava unicamente sulla violazione dell'art. 2 L. n. 297/1990. Pertanto, in assenza di una indicazione – da parte dell'attore – sufficientemente plausibile di seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la libertà di concorrenza, la domanda di nullità della fideiussione omnibus (e/o di alcune clausole della medesima) non può essere accolta (così App. Napoli 13 gennaio 2020; App. Milano 20 novembre 2018; App. Milano 23 luglio 2020; Trib. Cosenza 2 marzo 2021; Trib. Sondrio 28 aprile 2021; Trib.
Lucca 7 maggio 2021).
Sulla base di quanto finora illustrato ritiene questo Collegio che vada condivisa tale ultima soluzione.
In sintesi, la mera produzione del contratto di fideiussione contenente clausole analoghe a quelle dello schema ABI censurato, non consente di ritenere provato né che l'intesa anticoncorrenziale accertata da Banca d'Italia nel 2005 fosse perdurante al momento della stipulazione della fideiussione contestata (e ciò tanto più la stipulazione della fideiussione si allontani nel tempo rispetto all’anno 2005, potendosi viceversa presumere che in prossimità di quell’anno i modelli contrattuali fossero ancora frutto della intesa sanzionata, ma successivamente sempre in misura minore o nulla), né che l'utilizzo di tali clausole sia l’effetto di quella specifica intesa accertata da Banca d'Italia all’epoca piuttosto che espressione della convenienza dell'utilizzo di clausole di analogo tenore – di per sé non contrario a norme imperative – per la parte predisponente le condizioni generali di contratto (conf. Trib. Milano, 19 novembre 2020; nonché Trib. Bologna, 4 novembre 2020;
Trib. Sondrio, 28 aprile 2021).
Così risolta la prima questione di merito, va ora affrontato il diverso quesito relativo al fatto che la garanzia rilasciata da parte ricorrente possa comunque essere qualificata come fideiussione pur essendo prevista - all’art. 7 delle condizioni contrattuali - la clausola di pagamento “a semplice richiesta scritta” oppure che l’accordo stipulato inter partes debba (per la medesima ragione) essere riqualificato quale contratto autonomo di garanzia. Sul punto deve ricordarsi che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella pronuncia n. 3947/2010, hanno affrontato e risolto ex professo la questione della “idoneità o sufficienza della clausola di pagamento a prima o semplice richiesta (o senza eccezioni) a trasformare un contratto di fideiussione (pur atipico) in un Garantievertrag”, statuendo che
«la clausola ‘a prima richiesta e senza eccezioni’ dovrebbe di per sé orientare l’interprete verso l’approdo alla autonoma fattispecie del Garantievertrag, salva evidente, patente, irredimibile discrasia con l’intero contenuto “altro” della convenzione negoziale». La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, recentemente ribadito che ai fini della corretta qualificazione giuridica del contratto di garanzia è necessario valutare le pattuizioni contrattuali nel loro complesso (cfr. Cass., n. 4717/2019).
Il più recente orientamento dottrinale e giurisprudenziale ha precisato che l’autonomia della garanzia dal rapporto principale non è però necessariamente implicita nella previsione di una clausola “a prima richiesta” o simili, sebbene ciò possa considerarsi quale elemento presuntivo dell’assenza dell'accessorietà della garanzia. Pertanto, anche se il vincolo di accessorietà è senz’altro significativamente attenuato dalla previsione dell’obbligo di pagamento “a prima richiesta”, tale clausola non ha rilievo decisivo per la qualificazione del contratto di garanzia.
In più occasioni si è, infatti, affermato che va valutato il significato obiettivo dell’accordo, sia sotto il profilo del rapporto tra obbligazione principale e obbligazione di garanzia, sia sotto il profilo del rapporto tra garante e debitore principale.
Orbene, com’è noto, mentre la fideiussione è volta a tutelare l'esatto adempimento della medesima obbligazione principale altrui, il contratto autonomo di garanzia pone a carico del garante un’obbligazione autonoma e diversa, proprio perché non rivolta al pagamento del debito principale, quanto a indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata. Contemporaneamente, la prestazione cui è tenuto il garante è diversa da quella cui è tenuto l'obbligato principale, ricorrendo una netta autonomia rispetto all'obbligazione principale (cfr., ex multis, Cass. n. 31313/21).
Inoltre, il contratto autonomo di garanzia si caratterizza rispetto alla fideiussione per l’assenza del vincolo di accessorietà della garanzia, derivante dall’esclusione della facoltà di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale in deroga all'art. 1945
c.c., e dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché dalla proponibilità di tali eccezioni al garante anche successivamente al pagamento effettuato da quest'ultimo.
Da ciò pare emergere la centralità della clausola che preveda l’inciso “senza eccezioni”, o che comunque neghi al garante la facoltà di opporre eccezioni al creditore, ai fini della qualificazione del negozio quale contratto autonomo di garanzia ed in tal senso si è pronunciata la Suprema Corte con la sentenza n. 16213/2015.
Ciò premesso e venendo all’esame del caso che ne occupa, deve evidenziarsi che l’art. 7 prevede che il pagamento del fideiussore debba avvenire “a semplice richiesta scritta”, ma non contempla affatto alcuna rinuncia del garante che abbia adempiuto a domandare in un successivo momento la ripetizione delle somme sulla base delle eventuali eccezioni che egli possa proporre in forza del rapporto principale.
Tale aspetto induce a concludere che tale previsione contrattuale possa più correttamente essere qualificata quale clausola solve et repete, non tale da far venir meno il vincolo di accessorietà tra obbligazione del debitore principale e obbligazione del garante; conseguentemente il contratto all’origine della presente controversia – ben lungi dal dover essere riqualificato quale contratto autonomo di garanzia – conserva pienamente i caratteri propri del contratto fideiussorio.
Per tutte le ragioni finora illustrate il ricorso non pare degno di accoglimento.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono questo Collegio di Coordinamento esprime perciò i seguenti principi di diritto:
1. “Con riferimento alle fideiussioni stipulate dopo il 5 maggio 2005, le clausole riproduttive degli artt. 2, 6 e 8 dello schema uniforme predisposto dall’ABI – di cui la Banca d’Italia ha accertato il carattere restrittivo della concorrenza con Provvedimento n. 55/2005 - non possono ex se considerarsi anticoncorrenziali e dunque nulle.
Infatti, il Provvedimento sopra indicato non può considerarsi prova privilegiata per le fideiussioni, quale quella oggetto della presente controversia, sottoscritte a distanza di anni dalla data dello stesso.
2. La clausola “a prima richiesta” contenuta in un contratto di fideiussione non vale a qualificarlo quale contratto autonomo di garanzia, non essendo sufficiente a privare il contratto medesimo del carattere di accessorietà rispetto al credito garantito”.
Il Collegio rigetta il ricorso.
PER QUESTI MOTIVI
IL PRESIDENTE
firma 1